Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

6 sei 66: Quattro vite oltre il Novecento
6 sei 66: Quattro vite oltre il Novecento
6 sei 66: Quattro vite oltre il Novecento
Ebook169 pages2 hours

6 sei 66: Quattro vite oltre il Novecento

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

6 sei 66 è una data di nascita, il 6 giugno 1966, a partire dalla quale si sviluppano quattro storie diverse che provano a tracciare un ritratto, pur parziale, di una generazione. Quella dei cinquantenni di oggi, i quali hanno potuto assistere, e talvolta partecipare, ai profondi cambiamenti che, nello stesso periodo, hanno segnato l’Europa e il mondo. I quattro protagonisti nascono in quattro diversi luoghi: Dresda (Germania Est), Dinan (Francia), Odense (Danimarca) e Coimbra (Portogallo). Vivranno i turbolenti anni Settanta, i colorati Ottanta, gli inquieti Novanta. E passeranno la mano a una nuova generazione.
LanguageItaliano
Release dateJul 5, 2019
ISBN9788893691987
6 sei 66: Quattro vite oltre il Novecento

Related to 6 sei 66

Titles in the series (37)

View More

Related ebooks

Performing Arts For You

View More

Related articles

Reviews for 6 sei 66

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    6 sei 66 - Alberto Cardino

    978-88-9369-198-7

    Prologo - 1966

    Quante cose possono accadere in un istante? Prendiamo una data qualsiasi, più o meno significativa, più o meno lontana, famosa, isolata, anonima. Siamo in Europa, non c’è dubbio. Cos’è l’Europa? In quella precisa data, il 6 giugno 1966, l’Europa è parte di un gioco più grande: la Guerra Fredda. C’è la cortina di ferro.

    Delphine

    Da una parte nasce Delphine, nella cittadina bretone di Dinan. Un villaggio dell’area più brulla, ventosa e isolata dell’esagono francese. Un luogo affascinante, dove gli uomini hanno imparato a convivere con una natura tanto bella quanto indomita.

    «Ma chi l’avrebbe mai detto che sarei finito a vivere proprio qua?» pensa per l’ennesima volta Alphonse, originario della calda e zingara Camargue. E per l’ennesima volta visualizza nella sua mente il viso timido e sincero di Adrienne, di cui si è perdutamente innamorato tre anni prima. «Una cameriera così carina ad Arles farebbe girare la testa a molti uomini.» A queste parole e all’occhiolino di Alphonse, Adrienne aveva reagito con uno sguardo glaciale. Lui ricorda bene quel giorno. Lei aveva i capelli lisci legati in una coda senza pretese. Non un filo di trucco. Quelle fossette così evidenti anche se lei non sorrideva.

    «Io non la conosco, signore, e non le consento di prendersi queste libertà.» Altro che sorridere. Lo guardava negli occhi con aria di sfida. Il sorriso tronfio del giovane cow-boy del Sud si era attenuato ma non spento. Gli era piaciuta da subito. Adrienne si era voltata e, da dietro, non vista, si era concessa un accenno di sorriso. Ma questo, Alphonse non l’aveva mai saputo. Il funerale di una vecchia pro-prozia del Nord si era, così, tramutato in un’occasione del destino. Da non perdere. Il locale «La belle italienne» era stato oggetto, nei giorni successivi, di frequenti puntate da parte di Alphonse che, improvvisamente, non poteva più fare a meno della cucina d’Oltralpe.

    Delphine, si diceva. È la loro prima figlia e viene al mondo il giorno 6 di giugno del 1966. Sente di dover partorire, Adrienne, mentre prepara la salsa in cucina. Assieme a quello che è poi diventato suo marito, Alphonse, gestisce un grazioso ristorante in centro a Dinan, riuscito esito dell’amalgama di almeno tre diverse culture gastronomiche: italiana, bretone e del sud della Francia, quest’ultima un po’ gitana per influsso secolare dei popoli passati per la Camargue.

    L’ospedale è a Rennes, non proprio dietro l’angolo. Alphonse l’accompagna emozionato e ansioso. Tra una contrazione e l’altra, Adrienne gli indica le direzioni da prendere ai semafori, mentre lui non è in grado di aggiungere il ragionamento geografico alle ansie di futuro papà.

    Arrivano finalmente a destinazione.

    Quando sente il pianto di bambina provenire dalla sala parto, si calma per pochi istanti, poi è travolto da una gioia più forte di tutte le altre gioie provate fino a quel momento. Quasi una rinascita. Il tempo futuro gli sembra già troppo limitato per consentirgli di vivere tutta questa felicità solo annusata.

    Una giornata piovosa, in linea con il clima del posto, che non vuole sapere di primavere, estati e stagioni convenzionali: clima celtico, ama chiamarlo Alphonse. Adrienne è bretone ma i suoi genitori provengono dall’Italia, veneti di Padova.

    Delphine nasce in una comunità orgogliosa delle sue tradizioni, custodite dai vecchi con i volti resi spigolosi dal vento freddo del nord e tramandate ai giovani con la musica, i balli, gli abiti caratteristici, le feste, l’idioma orgogliosamente distante da quello di Parigi.

    L’Italia è lontana. Pure Parigi è lontana, per la verità. La selvaggia natura bretone è stata, infatti, domata solo in minima parte. In questo sta, principalmente, il fascino primordiale di questi luoghi isolati.

    Delphine è circondata da tutta la sua famiglia: i nonni materni, dal sangue italiano, confabulano emozionati con quelli paterni appena arrivati da Arles. «È così piccola» si preoccupa Adrienne. «È bellissima, amore, è uguale a te.» «Ma che dici, burlone? Come puoi già parlare di somiglianze? È un batuffolo ancora indistinguibile.» «Io la distinguo bene, invece» interviene la sorella minore di Adrienne, Georgette.

    La prende in braccio e la piccola sembra a suo agio, non protesta. «Vieni dalla zietta, Delphine. Com’è bella, Adrienne, non può che aver preso dalla nostra famiglia. Senza offesa, caro cognato.» «Figurati, esprimi pure tutto il tuo disgusto» risponde lui, e le risate si diffondono nella stanza. Tutti sanno che scherza, Georgette.

    Alphonse è un bell’uomo, con i suoi occhi verdi e il fisico atletico. Alto, poi. A Dinan era da tempo che non girava un uomo così alto. Aveva attirato, e continuava ad attirare, molte attenzioni femminili.

    Sono solo scherzi di una novella zia, giovane ed entusiasta.

    Helga

    Centinaia di chilometri a est, al di là del Muro ancora fresco di calcestruzzo, nasce Helga in un sobborgo di Dresda. Germania Est, sfera d’influenza sovietica. I genitori, Hans e Ruth, ancora ricordano i bombardamenti americani e inglesi che rasero al suolo le loro case di bambini. Passati dalla dittatura di destra a quella di sinistra senza soluzione di continuità, vivono nel mito dell’uguaglianza e nell’illusione della ricchezza distribuita, ma spesso hanno ancora fame dopo cena e sentono lontano il profumo della libertà. La crescita dell’economia pianificata, forse, porterà la DDR a una prosperità ancora sconosciuta, di cui Helga - i suoi genitori lo sperano - potrà un giorno godere.

    Hans è un perito elettronico destinato a entrare in uno degli irreggimentati percorsi di lavoro dell’economia statalizzata. Ruth è invece una giovane insegnante che educa i bambini alla giustizia sociale garantita dallo Stato. Il reddito familiare è ancora instabile, a volte insufficiente. Ma il progresso sociale comporta sacrifici, che Hans e Ruth sono disposti a sostenere per un futuro migliore.

    «Tesoro, sei così piccola» Ruth guarda la sua bambina appena nata, il giorno 6 giugno 1966, stesa sul letto accanto a lei, su lenzuola bianche in una stanza bianca di un tetro ospedale ricostruito nel dopoguerra. «Ti darò tutto quello che io non ho avuto...» continua a parlare, ignorando la distrazione della piccola, abbarbicata ai suoi seni per saziare una fame che pare insaziabile. Il dubbio però, pur nell’immensa felicità di essere madre, la assale. Ha dimenticato, lei, cosa vuol dire «benessere.» Ne ha uno sbiadito ricordo, così sbiadito da dubitare spesso della sua verità.

    Avrà avuto quattro o cinque anni, la guerra era già cominciata e per il «Reich millenario» le sorti sembravano vittoriose dopo la conquista di buona parte del continente europeo. Sotto gli anni della dittatura nazista, i suoi genitori erano stati benestanti: il padre generale dell’esercito tedesco, con tessera del partito ma senza entusiasmi, la madre casalinga, discendente di una illustre famiglia prussiana.

    Poi la guerra era volta al peggio: il padre era rimasto ucciso in Russia. La madre, incapace di far fronte alle difficoltà in una città rasa al suolo con una figlia piccola, era stata spinta a lasciare Ruth in un istituto. Per rigenerare i suoi fragili nervi era stata invitata a tornare dalla sua famiglia in Prussia, per il tempo necessario a ristabilirsi.

    Un tempo infinito per la piccola Ruth. Quando, a dieci anni compiuti, la bimba aveva potuto riabbracciare la madre, aveva ritrovato una donna estranea, apatica, anaffettiva, che nei suoi confronti aveva perso qualsiasi trasporto materno. Era poi morta, la sua povera madre, alla soglia dei suoi vent’anni.

    «Io non ti abbandonerò mai, piccolina, te lo prometto. Mai!» e intanto Helga si è dolcemente addormentata, mantenendo le labbra appoggiate al capezzolo. Ruth crede nell’uguaglianza, ha sostenuto il socialismo. Ma la vita è difficile, i generi di prima necessità scarseggiano, i salari non sono sufficienti per un’esistenza dignitosa. Quando raggiungeranno, i tedeschi dell’Est, condizioni di vita migliori? Il benessere toccherà la generazione di Helga? «Eccovi, mie principesse. Ho rimediato un brezel al mercato qui vicino, e anche un pezzo di formaggio. Li ho nascosti dalle infermiere: se li avessero visti, li avrebbero sequestrati (e consumati senza farsi troppi scrupoli...)» «Grazie Hans, sei un tesoro.» «Ma dorme, la mia cucciola. Come è bella, amore, come è bella.» «Hans, ascolta...» «Come mai hai quel viso così corrucciato? Non ti senti bene, forse? Ti senti spossata? Che domanda ti faccio, si vede proprio che non sono stato io a partorire.» «Non è questo... Hans, proviamo a guardarci negli occhi e a dirci la verità.» «La verità? Ti ascolto...» «Tu vuoi davvero che Helga viva nelle condizioni in cui siamo costretti a vivere? Pensi davvero che qualcosa cambierà, Hans?» «Ruth, tesoro, potremmo provare ad andare via» intanto abbassa la voce, per un riflesso condizionato. I loro sguardi, vividamente uniti, tornano poco dopo a vedere il bianco delle pareti, il grigio del cielo, la freddezza astratta del quadro appeso accanto alla finestra, e non riescono più a incrociarsi.

    Il discorso non viene ripreso. Né da lui, né da lei. È ora di concentrarsi sulla piccola Helga, che si risveglia e, trovandosi a un soffio dal paradiso, riprende la poppata.

    António

    Il 6/6/66 nasce anche António, in una cittadina bellissima, Coimbra, nel Portogallo decadente e prostrato dagli anni di dittatura. Una dittatura latina, quella di Salazar, un residuato dei fascismi e autoritarismi degli anni Trenta. Poco più a Nord, oltre il confine, nelle inospitali lande galiziane «regna» ancora il Generalissimo Franco, anche lui scampato alle Liberazioni del ‘45, forte dell’appoggio di Santa Romana Chiesa. António nasce in un continente moderno, ma da un lato c’è l’Atlantico, dall’altro lato la libertà è lontana quanto l’estensione della grande penisola iberica. António, figlio di Maria, nasce a casa, con l’aiuto di un’ostetrica senza troppe carinerie ed effusioni, mentre il padre Luís cerca di procurarsi un tozzo di pane pulendo le scarpe agli uomini d’affari e di rendita che popolano le piazze di Porto. Incontrerà il suo piccolino o piccolina la sera stessa, al ritorno dalla città, afferrato alle ringhiere di un treno troppo pieno, con il vento in faccia.

    Non sa ancora, Luís, che la sua bella Maria ha già partorito. Mentre scendono dal treno e poi salgono contadini e impiegati, insegnanti e ragazzini, donne di mezza età dalle sontuose e colorate forme e ragazze snelle dalla pelle olivastra e le labbra carnose a forma di cuore, Luís pensa alla sua famiglia.

    Il treno è tanto rumoroso quanto affollato. Luís riesce, tuttavia, miracolosamente a trovare un posto a sedere, stavolta. I guadagni di oggi sono stati particolarmente scarsi. «Possibile che abbiano tutti imparato, i ricchi di Porto, a lustrarsi le scarpe?» pensa fra lo sconsolato e il divertito. «Salazar ha forse imposto una nuova legge che stabilisce l’obbligo di provvedere ciascuno alla pulizia delle proprie scarpe? In modo da eliminare dalle strade e piazze quelli come me, così antiestetici?» Sorride, Luís, al suo stesso pensiero. Se ne accorge la signora seduta di fronte, vestita tutta di nero, che pare avere cent’anni. Sorride anche lei.

    «Oggi è un giorno di felicità, vedo...» gli rivolge così la parola e, parlando, mostra una dentatura ormai compromessa. «C’è qualcuno che ti aspetta, per condividere la tua gioia?» Luís non vorrebbe chiacchierare, è spossato dalla giornata di lavoro. Tuttavia non si sottrae. «Mi aspetta mia moglie, signora.» «Non è sola tua moglie ad aspettarti, vero?»

    No, in effetti lei porta in grembo il loro figlio o la loro figlia: è questione di poco, ormai, perché esca dal pancione. «È incinta, mia moglie, in effetti...» risponde infine Luís. «Lo so, ragazzo, lo so. L’ho letto nei tuoi occhi.» Luís sorride al pensiero di aver incontrato, forse, una vecchia strega.

    «E cosa altro legge, signora, nei miei occhi?» La vecchia non si fa attendere «Leggo un maschietto, che scommetto già ti accoglierà stasera.» Luís rimane attonito per pochi istanti, poi pensa divertito di avere incontrato una svitata o... peggio, una sedicente maga truffatrice. «Ah, è così? Potrò verificare fra poco la sua profezia.» Il viso fin lì gioviale della vecchia si oscura all’improvviso. «Maria...»

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1