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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

Corso di laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale

Elaborato in Politiche dell’Ambiente

DELIBERAZIONE PUBBLICA E PARTECIPAZIONE:


IL CASO DI BOLOGNA

Candidato Relatore

Davide Piga Rodolfo Lewanski

Sessione: marzo 2007

Anno accademico 2005/2006

1
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Indice:

Introduzione...............................................................................................................7
1. La democrazia deliberativa....................................................................................9
2. Analisi di un processo deliberativo: criteri e parametri .....................................18
3. Politiche locali e partecipazione...........................................................................20
4. “Bologna. Città che cambia”: PSC e PGTU partecipati.......................................22
5. “Una città in movimento”: il forum sul PGTU....................................................24
6. Conclusioni: valutare un processo deliberativo...................................................39
Bibliografia/Sitografia..............................................................................................43
Allegati.....................................................................................................................45

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“C’è un nuovo fenomeno che trasformerà il mondo, ed è il governo dell’opinione
pubblica.”
James Bryce, 1888

“Potete discutere quanto volete, tanto poi è il Comune che decide.”


Maurizio Zamboni, Assessore alla Mobilità del Comune di Bologna, 2005

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INTRODUZIONE

Questa tesi costituisce un’analisi ed una valutazione del progetto “Bologna. Città
che cambia”, un percorso partecipativo avviato nel 2005 dal Comune di Bologna,
riguardante la pianificazione urbanistica della città. L’analisi si fonda sulle
conoscenze derivate dagli studi sulla democrazia deliberativa, che costituiscono la
base teorica di riferimento per progetti di questa natura e della quale cominceremo
col fornire una breve ma essenziale descrizione nella prima parte dell’elaborato.
Successivamente, verrà fatto un necessario accenno ai due strumenti di
pianificazione intorno ai quali è stato costruito il processo deliberativo qui
analizzato: il Piano Strutturale Comunale (pianificazione urbanistica) e il Piano
Generale del Traffico Urbano (pianificazione dei trasporti), d’ora in poi
rispettivamente “PSC” e “PGTU”. Nella terza ed ultima parte di questo lavoro
entreremo nel merito dell’analisi, prendendo come caso di studio il processo di
coinvolgimento degli attori sociali in relazione alla mobilità, che costituisce la
seconda fase di “Bologna. Città che cambia”, ovvero quella riguardante la stesura
del PGTU. Cercheremo infine di sintetizzare i risultati ottenuti, collocando
l’esperienza all’interno di una scala di valutazione della partecipazione, che tenga
conto dei vari elementi che concorrono a determinare il livello effettivo di influenza
del processo partecipativo nella determinazione delle scelte finali.

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1. LA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA

Siamo noi stessi a prendere direttamente le decisioni o


almeno a ragionare come si conviene sulle circostanze
politiche: non riteniamo nocivo il discutere all’agire, ma
il non portare alla luce attraverso il dibattito tutti i
particolari possibili di un’operazione, prima di
intraprenderla.
Pericle

La democrazia deliberativa, chiamata anche deliberazione pubblica, è un tema


presente negli studi dei sistemi politici da circa tre decenni. L’argomento principale
di questo filone di studi è che la politica non riguardi solo il potere, ridotto al
conteggio dei voti o alla negoziazione tra attori aventi preferenze predeterminate e
fisse, ma che fare politica significhi o dovrebbe significare deliberare, ovvero
decidere attraverso un processo dialogico in cui le posizioni espresse siano
argomentate in maniera razionale (Bächtiger e Steiner 2005).
Gli obiettivi di fondo dell’approccio deliberativo nei confronti delle decisioni
pubbliche sono, dunque, da un lato trovare un consenso ragionato circa la validità
delle decisioni finali, attraverso la cosiddetta “coercizione non coercitiva
dell’argomento migliore” (Habermas 1986), dall’altro promuovere la
partecipazione dei cittadini al processo decisionale riguardante le politiche
pubbliche, favorendo l’empowerment della cittadinanza, ovvero l’effettiva capacità
di incidere sui processi decisionali.
Presupposto a questo secondo obiettivo è il principio di legittimità, concetto legato
a quello di rappresentatività. La prima questione che si deve affrontare quando si
apre un processo decisionale di tipo inclusivo è infatti definire chi coinvolgere. Tale
scelta è resa necessaria dall’impossibilità pratica di invitare al tavolo deliberativo
un’intera comunità, sia questa una città, un paese o anche solo un quartiere. È
perciò necessario anteporre al processo deliberativo una selezione dei partecipanti
atta a formare un microcosmo rappresentativo della comunità di riferimento, di
modo che possano essere espresse le posizioni e le preferenze di tutti coloro che
saranno coinvolti negli effetti che la decisione andrà a produrre.

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La democrazia deliberativa costituisce un filone di studi della teoria democratica
piuttosto giovane. La sua origine è legata alla moderna crisi delle istituzioni e della
prassi democratica tradizionale, ovvero al fatto che le tradizionali istituzioni
democratiche si trovano oggi ad affrontare problematiche nuove e più complesse, di
fronte alle quali faticano a trovare soluzioni efficaci.
Un chiaro esempio di questo fenomeno riguarda la gestione dei conflitti ambientali:

“I canali tradizionalmente disponibili nell’armamentario dei sistemi politici


democratici appaiono infatti inadeguati ad affrontare in maniera efficace le
situazioni di conflitto ambientale. Il compito della magistratura, cui gli interessi
coinvolti fanno talvolta ricorso, consiste nell’applicazione di norme, non nella
disanima di questioni sostantive aventi complessi risvolti tecnici, scientifici,
ambientali ed economici. Forme di democrazia diretta quali i referendum
presentano le questioni in termini forzatamente dicotomici, inadeguati a cogliere la
complessità delle questioni sul tappeto e soprattutto a individuare soluzioni
soddisfacenti per i diversi interessi in gioco e per la società nel suo complesso. Le
procedure amministrative di consultazione come le udienze pubbliche […] sono
spesso troppo formalizzate per essere utili, o diventano occasioni per amplificare le
proprie posizioni di fronte ai media, piuttosto che per individuare soluzioni alle
questioni. Prendendo atto di ciò, in molti paesi si è avviata da tempo la ricerca di
approcci innovativi.” (Lewanski 2007)

Il modo tipico di gestire i conflitti ambientali consiste in una dinamica ben nota
agli studiosi di partecipazione, che costituisce la cosiddetta sindrome DAD,
(Decisione – Annuncio – Difesa):

a. l’Amministrazione promotrice prende la sua decisione al chiuso


con i suoi esperti e i sui tecnici;
b. soltanto alla fine, quando la scelta appare solida, argomentata e
documentata, la annuncia al pubblico;
c. a quel punto, si apre un vero e proprio assalto alla diligenza e
l’Amministrazione proponente sarà costretta a difendere la scelta

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compiuta con le unghie e con i denti, senza avere la possibilità di
migliorarla (se non marginalmente) o di metterla in discussione
(Bobbio 2004).

La sindrome DAD è un fenomeno che produce lo stallo, l’immobilità, il muro


contro muro, ed è dunque all’origine della perdita di fiducia dei cittadini nei
confronti delle istituzioni e della distruzione del capitale sociale.
Vale dunque la pena di riflettere se non sia possibile affrontare tali conflitti secondo
modalità che non risultino solo più democratiche, ma anche più efficaci e capaci di
generare scelte condivise.

Una soluzione che ha avuto un certo rilievo nella pratica delle Amministrazioni
locali è il coinvolgimento degli stakeholder, ovvero “coloro che hanno (hold) un
interesse specifico sulla posta in gioco (stake), anche se non dispongono
necessariamente di un potere formale di decisione o di un’esplicita competenza
giuridica” (Bobbio 2004).
Tale affermazione chiama però in gioco una distinzione fondamentale, ovvero
quella tra associazioni portatrici di interessi diffusi e stakeholder (ad esempio
sindacati, esponenti di imprese e associazioni di categoria), che oltre ad essere
portatori di interessi particolari hanno tendenzialmente un potere negoziale
maggiore rispetto alle prime. La scelta di coinvolgere nel processo decisionale
soltanto gli stakeholder comporta quindi il rischio di indebolire la capacità
deliberativa del dibattito, favorendo l’imposizione di dinamiche negoziali a scapito
di un approccio realmente dialogico (vedi p.10, tab.1).
Anche la scelta di estendere il coinvolgimento ad associazioni e comitati portatori
di interessi diffusi appare in qualche misura limitata, in quanto i leader dei gruppi
possono avere da un lato un rapporto debole e precario con i cittadini che
dovrebbero rappresentare e dall’altro tendono a essere portatori di logiche auto-
referenziali, lasciando spesso fuori gli interessi di categorie sociali non organizzate
e quindi potenzialmente sotto-rappresentate, quali ad esempio quelle di immigrati,
giovani o anziani di un certo ambito territoriale.

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Tabella 1: Differenze tra approccio negoziale e dialogico nei processi decisionali.

NEGOZIAZIONE Criterio DIALOGO

La cooperazione in atto nel


processo negoziale è un Atteggiamento
mezzo per perseguire i propri nei confronti La cooperazione è un fine in sé stessa.
obiettivi. dell’altro
Atteggiamento strategico.
Affermazione e
legittimazione dei propri Obiettivo Ricerca del consenso ragionato.
interessi.
Promesse e minacce. Uso non strategico di argomentazioni.
Strumenti
Scambio. Reciprocità.
L’incertezza viene percepita come un
bene comune, fonte di apprendimento.
Aprire scatole nere, sviscerare questioni
aiuta a capire meglio la natura dei
L’incertezza è percepita come
problemi (sense-making). Di conseguenza
negativa e la sua gestione
tutto può essere messo in discussione
viene limitata alle preferenze
(complessità cognitiva) intorno ai punti
degli attori (complessità
focali esistenti, ovvero ai caratteri salienti
politica). Il resto è dato,
della questione affrontata su cui tutti gli
perciò non si entra nel
Gestione attori sono concordi.
merito.
dell’incertezza
Si formano opinioni, attraverso un
Gli attori affermano opinioni
processo di apprendimento generativo:
e posizioni, senza tuttavia
nell’interazione ha un ruolo chiave la
modificare la struttura delle
“capacità negativa” dei partecipanti,
proprie preferenze.
ovvero la loro disposizione
all’apprendimento, l’apertura delle
proprie mappe cognitive, il disinteresse
per la ricerca immediata di “fatti” e
“ragioni” che rassicurino e annullino la
tendenza motivazionale.

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La migliore soluzione praticabile è dunque quella di includere nel processo il più
ampio spettro di interessi e punti di vista legati alla questione sul tappeto,
coinvolgendo anche cittadini non organizzati. Se l’insieme risulta sufficientemente
vario e eterogeneo potremo avere la ragionevole speranza che nessun aspetto
rilevante sarà trascurato.
Un vantaggio intrinseco di tale approccio risiede inoltre nella maggiore stabilità di
politiche pubbliche definite in maniera inclusiva e consensuale, sia nel senso che i
cittadini sono maggiormente disposti ad accettare disposizioni che essi stessi
abbiano contribuito a definire, sia che una decisione ponderata su molteplici e
differenti punti di vista è anche qualitativamente migliore di una decisione affrettata
e superficiale.

L’approccio deliberativo è dunque un ipotesi complessa, dispendiosa e difficile da


realizzare, riguardo a cui assume una posizione centrale la selezione dei
partecipanti, una fase che come vedremo non va data per scontata, in quanto è
possibile (e nel nostro caso è avvenuto) che l’Amministrazione scelga di non
considerare necessaria la formazione di un microcosmo rappresentativo, affidandosi
piuttosto alla partecipazione volontaria dei cittadini (vedi Par.5.1).

La sola presenza al processo deliberativo non basta però a garantire un’effettiva


partecipazione di tutte le voci rilevanti sulla materia trattata dal dibattito. Un
esempio negativo in questo senso è la forma assembleare, in cui la scarsa
strutturazione del processo decisionale inibisce lo svolgimento di un confronto
approfondito ed efficace e rende possibile eludere la necessità di trasformare le
preferenze in argomentazioni. Quando la cornice istituzionale è vaga e precaria la
legittimazione ne risente, in quanto il discorso pubblico è facilmente manipolabile,
anche in buona fede.
Gli studi sulle dinamiche di gruppo evidenziano infatti almeno un paio di sindromi
in questo senso: le “minoranze agguerrite”, cioè piccoli gruppi di individui più
attivi che tendono a monopolizzare il dibattito ed orientare l’opinione generale, e la
“polarizzazione di gruppo”, ovvero la tendenza a spostarsi su posizioni estreme,
favorendo atteggiamenti litigiosi piuttosto che cooperativi (Pellizzoni 2005).

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Viceversa, approcci partecipativi strutturati consentono di costruire una visione
articolata e rappresentativa delle questioni e posizioni in campo rispetto alle
questioni affrontate.
Appare dunque fondamentale, nell’ottica di promuovere un processo decisionale
volto ad ottenere un consenso ragionato, la creazione di un contesto che induca i
partecipanti a seguire specifiche regole condivise di comportamento che vincolino
gli interlocutori a giustificare le loro opinioni e posizioni facendo riferimento
all’interesse pubblico, di modo che sia loro impedito, ad esempio, il perseguimento
di interessi egoistici, l’espressione di pregiudizi o l’uso delle minacce. La qualità
dell’interazione dipende dunque anche dalla struttura del contesto (il setting) entro
cui il dibattito si svolge. Una cornice ben definita non pregiudica il contenuto delle
scelte, ma è fondamentale per mettere i partecipanti nella condizione di attuare un
confronto che sia produttivo e le cui conclusioni possano essere considerate
legittime.
Il setting può dunque essere definito un “sistema di regole che prescrivono,
proibiscono e consentono” (Pellizzoni 2005). Esso serve a definire i luoghi fisici e
normativi dove avverrà il confronto, rendendo pertanto possibile l’organizzazione
di una cooperazione efficiente, in cui i costi di transazione siano ridotti al minimo.
E’ inoltre importante sottolineare il fatto che la prospettiva istituzionale focalizza
l’attenzione dei partecipanti sulla logica sottostante a tale regolazione; questo
significa che la forma del setting ha un intrinseco legame di senso col tipo di
interazione che si instaurerà tra partecipanti all’istituzione stessa. Diventa dunque
vitale stabilire regole condivise, espressione di principi che siano in accordo e che
promuovano lo spirito del processo deliberativo.

Un obiettivo della deliberazione pubblica è dunque il riavvicinamento tra i cittadini


e le Amministrazioni, in un contesto dove da un lato si ha un progressivo
“scollamento” tra questi soggetti e quindi un allontanamento dei cittadini dalle
proprie responsabilità sociali, e dall’altro l’imporsi sulla scena politica di
problematiche nuove e complesse, che richiedono all’opposto un coinvolgimento
più attivo da parte dei cittadini e dunque una maggiore capacità da parte delle
Amministrazioni di gestione e valorizzazione del capitale sociale.

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Una sfida importante che le Amministrazioni locali si trovano oggi ad affrontare è
proprio favorire e valorizzare questo coinvolgimento, ed è per rispondere a
quest’esigenza che sono state sviluppate numerose tecniche che possono essere
ricondotte alla democrazia deliberativa e che mirano a sviluppare, nelle parole di
uno dei suoi maggiori esponenti, “un’istituzione che dica ai politici cosa il pubblico
penserebbe se davvero pensasse e se avesse a disposizione informazioni corrette in
merito alle varie questioni” (Fishkin 2004).
Tale definizione richiama due problemi con cui l’azione pubblica deve fare i conti e
che aiutano a spiegare come l’approccio deliberativo possa essere d’aiuto. Tali
problemi sono strettamente connessi tra loro, in quanto fanno entrambi riferimento
alla dimensione informativa: la caratteristica “miopia” delle amministrazioni
pubbliche e la “ignoranza razionale” che caratterizza l’opinione pubblica, ovvero da
un lato la difficoltà di ascolto e di interpretazione delle amministrazioni pubbliche
nei confronti dell’opinione pubblica, e dall’altro il fatto che, tradizionalmente, nella
democrazia prevale l’espressione della volontà popolare, a prescindere dalla sua
competenza e razionalità. Di conseguenza:

«l’opinione pubblica, nelle sue ordinarie manifestazioni non è illuminata né


equilibrata. Non è deliberativa perché il suo corretto funzionamento è
costantemente inficiato da problematiche di vario genere. Prima fra tutte,
l’“ignoranza razionale”: se la mia voce è destinata a perdersi tra milioni di altre
voci, quale incentivo avrò a svolgere al meglio il mio ruolo di cittadino?» (Fishkin
2004)

A entrambi i problemi si contrappone la rilevanza teorica e pedagogica dei processi


di deliberazione pubblica:

«Frequentemente i decisori hanno grandi difficoltà nell’interpretare


correttamente la volontà del pubblico nei confronti delle politiche pubbliche. Gli
attori pubblici possono avere informazioni anche piuttosto dettagliate dai lobbisti e
dagli attivisti, ma raramente la volontà di questi ultimi combacia con quella della
maggior parte dell’elettorato. I sondaggi pubblici possono dire qualcosa di

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interessante sulle opinioni di un campione rappresentativo, ma queste opinioni
sono temporanee e basate su una condizione di informazione scarsa. Le procedure
deliberative possono migliorare la trasmissione di informazioni dal basso verso
l’alto e permettere a coloro cui è rimandata la decisione di ascoltare una voce più
informata e consapevole. Contemporaneamente esperienze di questo tipo possono
contribuire a un miglioramento della percezione da parte dei cittadini dei termini
del o dei problemi posti. Discussione e potenziamento del processo informativo
permettono a temi spesso guardati con superficialità dal pubblico di essere
affrontati in tutta la loro complessità e analizzati da più prospettive.»
(Pellizzoni 2005)

Oltre a quella informativa c’è però un’ultima fondamentale dimensione di cui


occorre tenere conto quando si parla di democrazia deliberativa: l’influenza del
processo deliberativo nella determinazione delle scelte finali. In altre parole, se
vogliamo che i cittadini recuperino il senso della propria responsabilità politica,
dobbiamo metterli in condizione di vedere i frutti dei propri sforzi. In termini
deliberativi, dunque, questo significa guardare alla rilevanza del “campo di scelta”,
ovvero la sussistenza e consistenza di un effettivo margine decisionale, la reale
possibilità di cambiare qualcosa attraverso la discussione, contrapposta a situazioni
in cui le discussioni si svolgano in contesti rigidi, dove le decisioni siano di fatto
già state prese (la già citata sindrome DAD). Una questione essenziale da cui
dipende la fiducia dei cittadini nel processo deliberativo è perciò quella
dell’impegno che i decisori pubblici si assumono nel tener conto delle opinioni e
delle scelte che la cittadinanza ha espresso in sede deliberativa. Prescindere da
questo punto significa minare alla base il successo di un processo decisionale di
tipo inclusivo: chi mai intraprenderebbe una discussione sapendo che non verrà
ascoltato? Questa è probabilmente una delle sfide più complesse che la democrazia
deliberativa si trova ad affrontare, ovvero il rapporto che questa concezione di
democrazia assume con la tradizionale forma rappresentativa in cui, come abbiamo
già affermato, ciò che conta è la legittimazione ad imporsi che il decisore trae dal
voto e nient’altro.

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In sintesi, la democrazia deliberativa si pone come fine quello di elaborare contesti
strutturati che garantiscano quella che Habermas chiama la “situazione discorsiva
ideale” (Habermas 1986), in cui l’inclusione dei destinatari delle decisioni nel
processo decisionale e il dialogo riflessivo siano considerati mezzi necessari per
arrivare a decisioni legittime in società moderne, pluralistiche, frammentate e
complesse, migliorando la pratica democratica e la qualità delle politiche pubbliche,
rendendole più stabili in quanto basate su un consenso ragionato e informato.

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2. ANALISI DI UN PROCESSO DELIBERATIVO: CRITERI E PARAMETRI

Una volta definito cos’è un processo deliberativo, è opportuno sintetizzarne i


concetti principali, definendo i criteri su cui baseremo la nostra osservazione ed i
parametri che ne costituiranno lo schema analitico.
Esistono numerose tecniche che rientrano nella definizione di democrazia
deliberativa: citizen jury, planning cell, deliberative polling, bilancio partecipativo,
focus group e consensus conference sono solo alcuni dei principali modelli
deliberativi. Non rientra nei propositi di questo lavoro offrire una catalogazione e
una spiegazione esauriente di tutte le tipologie di deliberazione sperimentate fino ad
oggi, quello che invece riguarda la nostra analisi sono i punti che tutte queste
esperienze hanno in comune fra loro, ovvero gli elementi essenziali di un effettivo
processo deliberativo. Questi elementi possono essere pensati come tre criteri per
un processo deliberativo pienamente democratico (Carson 2005):

1. Influenza: la deliberazione dovrebbe avere la capacità di influenzare i


processi decisionali e le politiche pubbliche.
2. Inclusione: il processo deliberativo dovrebbe essere inclusivo dei diversi
valori e punti di vista presenti sul territorio, garantendo pari opportunità di
partecipazione per tutti.
3. Deliberazione: il processo deliberativo dovrebbe garantire un dialogo
aperto, l’accesso alle informazioni, il rispetto delle opinioni altrui, lo spazio
per comprendere e riformulare le questioni e tendere verso il consenso.

Tutti i metodi deliberativi di consultazione, per quanto diversi tra loro, dovrebbero
mirare a questi tre criteri. Pertanto il successo di un processo deliberativo può
essere misurato su di essi. Ognuno di questi elementi è un criterio necessario al
successo, e solo con la combinazione di tutti i tre elementi un processo deliberativo
può essere considerato pienamente democratico. Per esempio, un referendum può
essere estremamente influente (se prescritto dalla Costituzione o commissionato da
un decisore) e altamente rappresentativo o inclusivo, ma potrebbe essere inficiato
dall’incapacità di consentire ai partecipanti di confrontarsi con la complessità del

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tema cui si riferisce, a causa della limitatezza delle opzioni di scelta disponibili. In
questo senso il referendum può essere considerato carente in termini di potenziale
dialogico o capacità deliberativa.
Inoltre, questi tre criteri sono interdipendenti: ad esempio, senza un esplicito
collegamento tra la consultazione e l’influenza effettiva sulle decisioni finali, è
difficile far rientrare un’esperienza anche largamente inclusiva nella definizione di
deliberazione.
L’incrocio tra questi tre criteri costituisce dunque una buona base valutativa delle
modalità decisionali.
Riguardo invece ai parametri di riferimento intorno cui costruire l’analisi di un
processo deliberativo, richiamiamo qui i punti salienti che caratterizzano
l’approccio deliberativo già accennati precedentemente, ovvero quegli ambiti che la
democrazia deliberativa si pone di affrontare e dai quali dipendono da un lato le
difficoltà e dall’altro le opportunità che le Amministrazioni pubbliche si trovano
oggi ad affrontare. In sintesi: la selezione dei partecipanti, nell’ottica di formare un
microcosmo rappresentativo della comunità di riferimento; il setting (ovvero una
strutturazione del processo che renda quanto più efficiente il dibattito); il livello di
informazione dei partecipanti in merito agli argomenti del dibattito; il margine
decisionale disponibile (ovvero l’effettiva esistenza di questioni ancora da decidere,
contrapposta alla sindrome DAD); l’influenza della deliberazione pubblica sulle
scelte del decisore.

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3. POLITICHE LOCALI E PARTECIPAZIONE

L’approccio deliberativo nei processi decisionali è un tema che possiede ormai una
sensibile rilevanza nella pratica delle Amministrazioni locali. Il coinvolgimento
delle associazioni e dei cittadini è esplicitamente previsto in numerosi programmi
di riqualificazione urbana come i contratti di quartiere, e i piani di zona previsti
dalla legge quadro sulle politiche sociali si basano anch’essi su un approccio
inclusivo. Numerose sono le tecniche di deliberazione sperimentate in tutto il
mondo (alcune delle quali già citate nel capitolo precedente) nonostante la ricerca
empirica sistematica sulla deliberazione stia ancora muovendo i suoi primi passi.
Persino l’Unione Europea ha dato un fortissimo impulso in questa direzione: è
infatti difficile trovare un programma comunitario in cui non compaiano, con
grande rilievo, espressioni come partenariato, coinvolgimento dei cittadini,
partecipazione. La nascita dei processi decisionali inclusivi è dunque una delle più
importanti innovazioni introdotte nell’azione amministrativa.
E’ in questo contesto che si colloca un’importante innovazione riguardante l’Emilia
Romagna: la Legge Regionale 20/2000, che regola la “disciplina generale sulla
tutela e l’uso del territorio”. Tale legge comporta una svolta nell’ambito della
pianificazione urbanistica, perché oltre a introdurre procedure obbligatorie di
concertazione istituzionale, già di per sé inedite nel panorama legislativo inerente
all’urbanistica, invita le Amministrazioni locali a coinvolgere “le associazioni
economiche e sociali, chiamandole a concorrere alla definizione degli obiettivi e
delle scelte strategiche”1 riguardanti lo sviluppo urbanistico della città. Questo ci
riporta alla distinzione tra associazioni portatrici di interessi diffusi, stakeholder e
singoli cittadini già citata precedentemente: una questione importante a cui la legge
20/2000 non sembra fare troppo caso, promuovendo l’inclusione ma nel contempo
limitandola ai gruppi organizzati.
Tornando alle implicazioni di tale legge sulla pianificazione territoriale, è
opportuno inserire qui un accenno a quelli che sono i due strumenti di
pianificazione contemplati dal nostro caso di studi.

1
Legge Regionale 20/2000 dell’Emilia Romagna, Art. 14, par. 4.

20
Il primo strumento è quello avente portata più ampia: il PSC. Esso costituisce lo
strumento di pianificazione urbanistica strutturale valido per il medio periodo
(vent’anni), con caratteristiche programmatiche, non prescrittive, deputato a
scegliere le linee principali per le localizzazioni insediative, le infrastrutture e le
caratteristiche ambientali, scelte che si traducono in previsioni determinanti
attraverso il Piano Operativo e il Regolamento Urbanistico Edilizio.
Al PSC sono subordinati altri piani di portata settoriale, che concentrano il loro
ambito attuativo a singole tematiche e periodi temporali più brevi del PSC (la cui
stesura precedente a quella del 2005/06 è avvenuta a Bologna nel 1985, sotto la
vecchia e più nota nomenclatura di “Piano Regolatore Generale”). Tra questi piani
settoriali ci interesseremo in particolare del PGTU, sull’elaborazione del quale è
concentrata questa analisi.
Come abbiamo visto, a Legge Regionale n.20/2000 dell’Emilia Romagna ha
introdotto un’attività di concertazione tra tutti i portatori di interesse, sin dall’avvio
dell’elaborazione del PSC, attraverso la Conferenza di Pianificazione [disciplinata
nello specifico all’art. 14 della L.R. n.20/00 e – in via generale – agli articoli 14 e
seguenti della legge n.241/90]. La Conferenza di Pianificazione è una fase
necessaria del processo di elaborazione del PSC e ha l'obiettivo di realizzare la
concertazione istituzionale tra le Amministrazioni interessate dall'esercizio delle
funzioni di pianificazione, attraverso l'integrazione delle diverse competenze e la
ricerca della condivisione degli obiettivi generali e delle scelte strategiche di piano.
Accanto a questa forma consultiva necessaria, la legge regionale prevede che il
Comune possa ampliare le forme di consultazione oltre quelle previste dalla legge.
E’ in questo contesto che nasce il progetto “Bologna. Città Che Cambia”, un forum
attivato per garantire l’informazione e la partecipazione urbanistica che
l’Amministrazione ha voluto promuovere, almeno nominalmente, “lungo l’intero
percorso di elaborazione del piano e sin dalle prime fasi di definizione degli
indirizzi”2.

2 “Piano Strutturale Comunale. Programma per la formazione del PSC condiviso e partecipato”, documento di sintesi dell’allegato alla Delibera
di Giunta P.G. n. 28014/05; p. 3.

21
Figura 13: Cronologia fondamentale del percorso per l’elaborazione del PSC partecipato

3 “Bologna. Città che cambia” Documento finale del forum, Cap. 1, 29/11/2005.

22
4. “BOLOGNA. CITTÀ CHE CAMBIA”: PSC E PGTU PARTECIPATI

Il forum “Bologna. Città Che Cambia”, spazio di confronto con associazioni e


cittadini, nasce dunque dall’obiettivo di favorire una “partecipazione dal basso”,
come propugna lo stesso programma di mandato dell’Amministrazione.
Il percorso del forum cittadino ha preso avvio il 14 aprile 2005, con una prima fase
dedicata al futuro PSC e alle competenze specifiche dei vari strumenti di
pianificazione (quelli sovra-ordinati, come il Piano Territoriale di Coordinamento
Provinciale, e i futuri Piani come il PGTU, quello energetico e quello ambientale).
La prima fase si è conclusa il 15 dicembre 2005. In seguito l’Amministrazione, che
aveva assunto l’impegno di continuare i lavori su temi quali la mobilità, la qualità
urbana, la casa e la perequazione urbanistica, ha istituito un secondo forum che si
configurava come prosecuzione del forum “Bologna. Città che cambia”, ed è stato
avviato il 18 Giugno 2006. Dunque, di fatto, una seconda fase del progetto,
chiamata “Una città in movimento: percorso di partecipazione sul PGTU”, è stata
organizzata come ciclo di incontri strutturati sul modello deliberativo, ed è su
questa esperienza che si concentra la nostra analisi.

23
Figura 24: Le tappe fondamentali del “Percorso di partecipazione sul PGTU”

4
“Una città in movimento. Percorso di partecipazione sul PGTU. Documento conclusivo”, p.6.

24
5. “UNA CITTÀ IN MOVIMENTO”: IL FORUM SUL PGTU

I lavori del forum cittadino “Percorso di partecipazione sul PGTU” si sono


articolati dal 28 giugno fino al 20 settembre, in due sessioni plenarie e tre incontri
tematici.
L’intenzione dichiarata dall’Amministrazione comunale riguardo a questi incontri
era quella di fornire la più ampia occasione di partecipazione sui temi scelti in un
arco di tempo molto ristretto, attraverso un itinerario ad incontri ravvicinati (a
giugno e luglio i primi due incontri ed a settembre il terzo) motivato
dall’Aministrazione con la necessità di evitare uno sfilacciamento della discussione
che, secondo l’Amministrazione, era invece risultato nella fase precedente del
forum sul PSC, prolungata per più mesi.
La scelta del periodo estivo non è però sembrata particolarmente favorevole in
termini di potenziale inclusivo: un percorso di partecipazione che si svolge a
cavallo delle ferie estive rischia di essere compromesso dal fatto che in quel
periodo una consistente parte della cittadinanza è fuori città e quindi non può o è
comunque disincentivata a partecipare.
Inoltre, l’impostazione di un percorso ad incontri ravvicinati, pur avendo una sua
propria ragione pratica, ha tuttavia suscitato in più occasioni critiche dai
partecipanti, in quanto la strutturazione in tempi serrati del processo e la durata
limitata dei singoli incontri non lasciava di fatto spazio e tempo per un confronto
significativo sulle questioni in agenda.

25
Tabella 2: Date e temi dei tre incontri tematici del forum.

3.
2. SICUREZZA
1. AMBIENTE CIRCOLAZIONE
20 luglio 2006
13 luglio 2006 6 settembre 2006

- Polveri - pericoli per bici e - Congestione


CRITICITA’ - Rumore pedoni - Mappatura archi e
(osservate e - Occupazione Spazi - incidentalità incroci critici
percepite) con automobili - tutela categorie deboli - Incremento moto
- Uso del territorio (anziani/disabili/bimbi) - Cantieri

- Incremento del - Percorsi sicuri - Piste ciclabili


Trasporto Pubblico casa/scuola collegate e sicure
- Regolamentazione - Gli accorgimenti per i - Piano sosta (aree,
dell’uso dell’auto disabili (barriere parcheggi,tariffe)
(accessi ZTL e T) architettoniche, - Sistemi ITS
- Isole ambientali e semafori etc…) (semafori
SOLUZIONI
pedonalizzazioni - STARS intelligenti, pannelli
PGTU
- Uso veicoli a a
(attese e
minore messaggio variabile,
pianificate)
impatto (incentivi preferenziazione)
conversione e - Road Pricing
regolamentazione - Le grandi opere
merci) previste e in
corso di
realizzazione

5.1 La selezione dei partecipanti

Il forum, così come si evince dal documento di presentazione del processo


partecipativo sul PGTU, era rivolto “principalmente alla società civile organizzata
(associazioni di categoria, ambientaliste e sociali, ordini professionali ed enti del
territorio) oltre che ai singoli cittadini”. Dunque rappresentanti delle istituzioni e
della società civile, portatori di interessi diffusi sul territorio, singoli cittadini.
Come accennato precedentemente, la scelta di chi coinvolgere nel processo
decisionale presenta tre alternative: stakeholder (interessi particolari), associazioni
e comitati (interessi diffusi), e singoli cittadini.
Riguardo al nostro caso di studio, la scelta dell’Amministrazione è sembrata
ricadere sul coinvolgimento preferenziale dei gruppi organizzati (come in effetti
richiesto dalla legge 20/2000), con possibilità di partecipazione volontaria anche

26
per cittadini non organizzati, ma solo in maniera residuale e senza microcosmo
rappresentativo. A tal riguardo va tuttavia evidenziata l’assenza di una adeguata
campagna di informazione sull’evento: a detta degli organizzatori stessi infatti
l’ultima pubblicità fatta al processo era quella sull’apertura del forum “Bologna.
Città che cambia”, risalente al 14 Aprile 2005, ovvero quasi un anno prima.
Le ricadute di questa carenza si sono fatte sentire durante gli incontri, come
testimoniano alcuni commenti fatti dagli stessi esponenti dell’Amministrazione, tra
cui l’Assessore alla mobilità Maurizio Zamboni:

«Tutti sono abilitati a partecipare. Ci sono organizzazioni che qui non vedo, ma che
avrei voluto vedere»

In sostanza non c’è stata alcuna selezione dei partecipanti. La formazione di un


microcosmo rappresentativo non è stata presa in considerazione
dall’Amministrazione, che ha preferito affidarsi al coinvolgimento dei gruppi
organizzati e solo residualmente a quello dei singoli cittadini. Questa scelta
comporta una disomogeneità del tavolo deliberativo dovuta, come abbiamo già
accennato, alla differenza di peso tra la voce di singoli cittadini, associazioni e
comitati e quella degli stakeholder, che hanno maggiore potere negoziale.
Nei fatti, il numero di adesioni raccolte appare molto limitato. L’elenco delle
associazioni e dei soggetti intervenuti attivamente nel dibattito con osservazioni nel
corso degli incontri e invio di documenti sul web, estratto dal documento
conclusivo del forum, è riportato di seguito (vedi tab.3).

27
Tabella 3: I gruppi organizzati presenti al percorso di partecipazione sul PGTU
Categorie economiche, Enti e Ordini professionali

Regione Emilia Romagna; Provincia di Bologna; ARPA sezione provinciale di


Bologna; Comune di Casalecchio di Reno; Soprintendenza per i beni architettonici
e del paesaggio dell’Emilia Romagna; Ordine degli Ingegneri; Ordine dei Geologi
della Regione Emilia Romagna; Collegio dei Periti Industriali Laureati della
Provincia di Bologna; Collegio dei Geometri; TAV S.p.a.; Tecnicoop; Confesercenti
di Bologna; ATC S.p.a.; S.R.M. Agenzia TPL; Confartigianato di Bologna; Enea;
Collegio Costruttori Edili ed Imprenditori Affini della Provincia di Bologna;
Finanziaria Bologna; Metropolitana S.p.a; Bologna Fiere; Lega delle Cooperative
Bologna; CNA provinciale di Bologna; Ausl Città di Bologna; UIL Bologna;
Università degli Studi di Bologna; Confcooperative di Bologna; Hera Bologna;
C.A.I.R.E;. A.G.C.I. provinciale di Bologna; Ascom Bologna;Unipol S.p.a; Coop
Nuovo Mondo; Policlinico S. Orsola; Coop Ansaloni; Autostazione Bologna.

Associazioni, sindacati e movimenti politici

Arci; WWF Bologna Metropolitana; Associazione sindacale piccoli proprietari


immobiliari – ASPPI; Movimento Repubblicani europeo; CGIL Bologna; CISL
Bologna; Comitato Nodo; Centro Antartide; DS Bologna; Comitati ESMOG;
Unione sindacale italiana; Il Cerchio Verde; Rete Lilliput; Comitato Parco Funivia;
Comitato Piazza Verdi; Airis SRL; Associazione Rinnovamento della Sinistra;
Comitato Strada Maggiore e San Vitale; Associazione Segantini;
VIVICALDERARA; Federmanager provincia di Bologna.

Una sola necessaria precisazione sui dati: questo elenco non rappresenta i soggetti
che erano presenti a tutti gli incontri, bensì un’aggregazione delle adesioni
all’insieme degli incontri che si sono tenuti. In altre parole: se è vero che tutti questi
soggetti (cinquantacinque) hanno partecipato al forum, è improbabile che ognuno di
essi abbia preso parte a tutti gli incontri, come è possibile evincere dai dati dei
singoli incontri, illustrati nella seguente tabella (rilevati dallo stesso documento e
riscontrati con quelli che ho raccolto personalmente).

28
Tabella 4: I partecipanti all’incontro di apertura ed ai tre incontri tematici del forum sul PGTU.

INCONTRO PRIMO SECONDO TERZO


D’APERTURA INCONTRO INCONTRO INCONTRO

CITTADINI/E 13% 22% 18% 23%

ASSOCIAZIONI 20% 6% 8% 12%

COMITATI 6% 7% 4% 6%

SINDACATI/
MOVIMENTI 9% 7% 10% 12%
POLITICI

ENTI 32% 34% 35% 28%

SOC.
PROFESSIONALI/ 20% 24% 25% 19%
ENTI CON
FINALITÁ
TOTALE
75 54 49 52
PARTECIPANTI

Il dato medio di partecipazione è stato di circa 60 persone per incontro. A questi


numeri vanno aggiunti quelli del forum web, che ha raccolto circa 290 interventi.
Una considerazione sui dati riguarda il significato dei numeri sulle presenze agli
incontri: tali valori riguardano la presenza cumulativa, ovvero il numero di soggetti
intervenuti dall’inizio alla fine dell’incontro. Non dicono perciò nulla
dell’andamento delle presenze lungo lo svolgersi del dibattito, riguardo al quale si
rimanda al paragrafo sui tempi (5.3).

29
5.2 Il setting: struttura e informazione

Il dialogo tra i partecipanti ha avuto luogo su piani differenti. Un primo livello


attraverso le due assemblee plenarie di apertura e chiusura del forum, che nelle
intenzioni dell’ Amministrazione sarebbero dovute servire a raccogliere e
confrontare le conoscenze e le informazioni a disposizione, e per indirizzare il
dibattito con nuove osservazioni e proposte sul futuro Piano. Una seconda modalità
d’interazione, invece, è avvenuta tramite incontri tematici settimanali aventi durata
di circa tre ore, che hanno privilegiato l’approfondimento e la discussione fra le
diverse voci. Inoltre è stato creato un apposito forum web, strumento di
partecipazione a distanza a disposizione di tutti i cittadini (quindi anche dei cittadini
che non erano presenti agli incontri tematici), moderato e arricchito di
documentazione e report dai tecnici dell’Amministrazione. Sono infine state
proposte alcune “biciclettate” lungo le piste ciclabili della città, come momento
parallelo di socializzazione.

30
Figura 3: fotografia di un cartellone alla fine di un gruppo di lavoro.

Nei tre incontri tematici gli obiettivi del futuro PGTU, sintetizzati sui cartelloni e
sulle schede distribuite (vedi p.24 tab.2), hanno dunque costituito la traccia di
partenza del dibattito.
La piattaforma on-line del forum, nata per estendere la discussione oltre i momenti
d’incontro, doveva restituire un quadro delle percezioni della cittadinanza in
relazione all’ambito urbano. Forum web e incontri dal vivo sono stati concepiti e
usati come “vasi comunicanti”: i partecipanti alle sedute tematiche hanno spesso
inviato contributi scritti sul forum web per specificare meglio la loro posizione o
continuare un tema dibattuto in sala. Lo strumento web, nelle intenzioni
dell’Amministrazione, avrebbe dovuto offrire materiale in costante elaborazione
che costituisse un valore aggiunto agli incontri tematici.
La discussione all’interno di questi incontri è stata “facilitata” da moderatori
impegnati nella gestione della comunicazione, nella presentazione delle proposte e

31
nella traduzione delle stesse in azioni e obiettivi chiaramente comunicabili,
sintetizzati a volte su appositi cartelloni. Gli stessi “facilitatori” avevano il compito
di elaborare documenti di sintesi alla fine di ogni incontro. Il fatto che i resoconti
fossero scritti dai facilitatori senza il contributo del pubblico solleva però alcuni
interrogativi circa il rispetto del criterio di influenza, in quanto stendere resoconti
non è una mera operazione tecnica, poiché la stesura del resoconto costituisce una
rielaborazione del lavoro svolto in cui si inserisce un secondo livello di riflessione.
Il lavoro di stesura del resoconto permette infatti di sviluppare una riflessione sulla
riflessione, un’indagine sull’indagine: scrivere un resoconto significa rielaborare,
indicizzare, distribuire priorità, razionalizzare. In un lavoro di questo genere è
implicito che agiscano filtri cognitivi, differenze interpretative. Delegare perciò tale
lavoro a terzi che siano parte in causa, in quanto esponenti dell’Amministrazione,
significa intaccare il potenziale di influenza dei partecipanti. Nel nostro caso il
problema è stato temperato dal fatto che fosse dato modo ai partecipanti di dire la
loro, in quanto una versione non definitiva dello stesso veniva inviata sul forum
web, dove era possibile fare osservazioni e commenti. Dunque una qualche
validazione del resoconto c’è stata, tuttavia non si tratta qui di una stesura
partecipata, quanto piuttosto di una mera consultazione su un lavoro già svolto.
A completare l’elenco degli strumenti disponibili al processo deliberativo c’erano
infine un verbale, che veniva redatto contestualmente alla discussione per mezzo di
un computer, e la cosiddetta “PGTU box”: una cassetta custodita all’interno della
sala del dibattito in cui lasciare il proprio intervento in forma libera, adita alla
raccolta di segnalazioni e suggerimenti.
Riguardo dunque al setting, sono rilevabili alcuni aspetti positivi di strutturazione
del processo deliberativo: c’era un calendario ben definito, alcuni facilitatori, una
persona che scriveva il verbale e un’altra che sintetizzava i punti emersi su un
cartellone.
Ad ogni incontro venivano invitati relatori, il cui compito era elevare il livello di
informazione dei partecipanti sugli argomenti del dibattito, ed è stato infine
distribuito ai partecipanti del materiale informativo con schede tecniche e alcuni
estratti da articoli di giornale ad ogni incontro. Tuttavia non sono mancati difetti,
anche strutturali, come ad esempio la totale assenza di condivisione delle regole: i

32
partecipanti hanno avuto lo spazio e gli strumenti che l’Amministrazione ha messo
a loro disposizione, ma non hanno avuto nessuna parte nel discutere le regole del
percorso. Questo ha originato diverse critiche, in particolare riguardo a tempi e temi
del dibattito.

5.3 Il setting: i tempi

Gli incontri tematici cominciavano alle h17 e duravano in teoria fino alle h20. Ogni
incontro veniva aperto da uno o più interventi da parte di relatori tecnici che, pur
avendo un ruolo fondamentale nell’aumentare il livello di informazione dei
partecipanti sui temi trattati nell’incontro, ottenevano spesso un effetto
controproducente per il dibattito stesso, in quanto dilungavano il loro intervento per
oltre metà del tempo a disposizione per l’intero incontro. Due le conseguenze nel
dettaglio: da un lato il numero dei partecipanti, che dopo circa un’ora e mezza di
relazioni su numeri e grafici risultava visibilmente ridotto (“Sono andati via tutti. E’
tardi. Si è cominciato tardi… Non si è parlato di molte cose.”5), dall’altro la
concreta mancanza di tempo a disposizione per il dibattito (“Se i tecnici parlano
due ore, noi quando parliamo?”6). Per risolvere l’inconveniente, nel secondo
incontro lo staff ha deciso di limitare gli interventi di ognuno a due minuti, mentre
nel terzo incontro è stata data al pubblico la possibilità di intervenire anche durante
l’esposizione dei relatori (il primo intervento del pubblico è stato comunque dopo
quarantacinque minuti). Pur tuttavia, tali misure non sono bastate a risolvere il
problema, efficacemente sintetizzato dal personale che gestiva il forum che
all’ultimo ha ammesso: “Utili gli interventi nel merito, ma siamo fuori tempo
massimo”.
A tale riguardo è utile fare riferimento alla tabella n.5, riportata di seguito,
riguardante le presenze agli incontri rilevate ad intervalli di tempo regolari lungo
tutta la durata degli incontri. I dati ufficiali sulla partecipazione non contemplavano
livelli intermedi, ma solo il numero di presenze totali registrate dall’inizio alla fine
dell’incontro. Avendo raccolto personalmente i dati mancanti, ho potuto rilevare

5
estratto dall’intervento di un partecipante.
6
ibidem.

33
alcune dinamiche importanti che comunicano qualcosa di più su come il pubblico
abbia percepito i tre incontri tematici:

Tabella 5: Il numero di partecipanti ai tre incontri tematici del forum suddivisi per fasce
orarie.

Primo incontro Secondo incontro Terzo incontro

h17 46 42 47

h19 23 35 37

Totale 54 49 52

Da un primo sguardo a questi numeri possiamo già notare il fatto che una parte del
numero totale dei partecipanti è costituita da individui che non hanno preso parte
all’incontro nel suo insieme. Se infatti all’inizio di ogni incontro (h17) il numero
dei partecipanti è inferiore a quello cumulato, questo significa che alcuni
partecipanti sono arrivati più tardi, mentre osservando il dato parziale delle h19 (si
ricordi che gli incontri duravano circa tre ore, quindi fino alle h20) è evidente che,
viceversa, molti abbiano lasciato la sala ben prima della conclusione degli incontri.
Tornando alla considerazione riguardo alla durata delle relazioni tecniche, dalla
tabella si evince chiaramente che queste lasciassero spazio al dibattito quando
ormai la platea era già consistentemente ridotta, anche perché gli incontri non
prevedevano pause interne e la soglia di attenzione tendeva in media a subire un
picco negativo verso le h18.45-19, orario in cui aumentava la confusione e si
verificavano puntualmente dei piccoli “esodi”.
In sintesi, i dati raccolti in questa tabella costituiscono un’evidenza empirica a
supporto di alcune importanti critiche (periodo estivo, tempi ristretti, spazio
dedicato al dibattito insufficiente) che testimoniano l’organizzazione di un setting
che non ha favorito la partecipazione effettiva dei cittadini al processo deliberativo.
Un ultimo appunto che purtroppo sfugge all’evidenza dei dati, ma rimane
comunque significativo, riguarda invece l’effettività della partecipazione, ovvero il

34
fatto che a prendere parola non fossero tutti, bensì soprattutto una minoranza di
soggetti presenti a tutti gli incontri, persone che erano già presenti alla prima fase
del forum e che avevano già una certa confidenza tra di loro e nei confronti degli
esponenti dell’Amministrazione.

5.4 Il margine decisionale e l’influenza sulle decisioni

Riguardo ai temi toccati dal forum, è stato da subito reso chiaro da parte dei
facilitatori che il PGTU fosse competente solo per quanto riguarda interventi da
eseguirsi su uno scenario di breve periodo, lasciando sullo fondo l’assetto delle
infrastrutture per la mobilità, e che inoltre la discussione su temi locali e luoghi
specifici sarebbe stata da affrontarsi negli incontri di quartiere. Il forum sul PGTU
doveva dunque concentrarsi su linee di indirizzo politiche e scenari programmatici
della mobilità ad infrastrutture invariate, mentre interventi e azioni locali avrebbero
invece dovuto essere definite nei vari piani particolareggiati di quartiere, a valle
dell’approvazione del PGTU.
E’ dunque emerso un limite rilevante al margine decisionale affidato al processo:
l’impossibilità di parlare né di infrastrutture né di “luoghi specifici”.
Sulla questione che il dibattito non andasse inteso come dibattito sull’assetto
infrastrutturale di previsione, la motivazione offerta dall’Amministrazione è stata
che il PGTU, nello specifico, fosse un piano operativo di 4 anni e che quindi il
punto di vista infrastrutturale andasse trattato nel forum precedente (quello sul PSC,
avente valenza di medio periodo).
Una critica mossa più volte dal pubblico durante tutti gli incontri del forum è stata
che in realtà neanche in sede di dibattito sul PSC fosse stato lasciato uno spazio per
discutere di infrastrutture, con la motivazione che su quel tema le decisioni fossero
già state prese. Quest’incomprensione è rimasta viva sullo sfondo di tutti gli
incontri tematici e in particolare del terzo, che aveva tra i temi in agenda anche
quello delle “grandi opere” (vedi p.24, tab.2). La contraddizione è facilmente
spiegabile se si pensa che, parlando di urbanistica, è facile trovarsi di fronte a
problemi e questioni trasversali che, pur riguardando l’ambito di competenza
specifico del PGTU, non possono essere affrontate separatamente dal piano delle
infrastrutture, pena il rischio di adottare “provvedimenti inefficaci che non

35
risolvono i problemi”, come ha sottolineato un partecipante. In ogni caso, sono state
proprio le parole dell’Assessore alla Mobilità Maurizio Zamboni a mettere un punto
alla questione:

«La domanda del PGTU è: con le infrastrutture esistenti, siamo in grado di


migliorare il governo della mobilità? Correttivi, questo è il PGTU, non altro».

Questo genere di conflitto tra cittadini e Amministrazione è ben noto agli studiosi
di democrazia deliberativa, secondo la quale la scelta del “momento” in cui inserire
il processo decisionale gioca un ruolo chiave, che trascurato può compromettere
l’intero processo:

«A quale stadio va inserito il momento partecipativo o concertativo? Conviene


aprire la discussione quando cominciano a prendere forma le prime idee o quando
si è già arrivati a un progetto strutturato e definito? È meglio rischiare, a costo di
andare allo sbaraglio, oppure lavorare su dati solidi e concreti? Una domanda di
questo genere può apparire un po’ troppo astratta. A seconda delle circostanze o
del problema sul tappeto, può essere preferibile l’una o l’altra via. Inoltre, le
amministrazioni non sempre sono libere di scegliere quando. Per esempio può
capitare che si accorgano dell’esistenza di tensioni e malumori, solo quando il
progetto è già pronto e in questo caso c’è poco da fare: bisogna aprire la
consultazione su quell’ipotesi che è già stata compiutamente definita. È
importante, però, capire che cosa implica scegliere la prima o la seconda strada.
Ossia che cosa cambia se decidiamo di aprire un processo inclusivo “il più presto
possibile” oppure se aspettiamo di avere in mano tutti gli elementi necessari e
quindi lo apriamo “il più tardi possibile”.» (Bobbio 2004)

Riguardo al nostro forum, la situazione era grosso modo corrispondente a quella


descritta da quest’ultimo caso. Il principale inconveniente che si può incontrare in
un processo decisionale il cui campo di scelta effettivo sia troppo ridotto consiste
nella difficoltà di tornare indietro, ovvero che più la progettazione è andata avanti,
meno si può modificare. Il rischio in questo caso è quello di mettere gli

36
interlocutori di fronte a un secco aut aut: prendere o lasciare. E questi ultimi
avranno la sensazione di essere stati poco considerati o addirittura presi in giro. Si
tratta in questo caso della già citata sindrome DAD, di cui il forum ha mostrato
qualche sintomo soprattutto quando si è posta la questione delle infrastrutture. In
quel contesto, l’impressione che si aveva guardando lo svolgersi del dibattito era
effettivamente quella di un botta e risposta tra cittadini e Amministrazione dove
quest’ultima assumeva un ruolo difensivo, di giustificazione delle proprie scelte già
compiute. Tale problema riguarda direttamente il grado di influenza sulle decisioni,
a cui abbiamo già accennato in precedenza e che costituisce un criterio centrale
nella valutazione dei processi deliberativi.
A tal proposito va specificato che il lavoro sulla mobilità all’interno di questa
seconda parte del forum costituiva solamente una tappa del processo di
partecipazione per il nuovo PGTU: a conclusione del forum, l’Amministrazione si è
assunta il compito di elaborare materiali e osservazioni raccolte, comprensivi dei
contributi pervenuti via web, per la stesura di una bozza del documento di sintesi,
con una versione grafica corrispondente (una soluzione analoga a quella adottata a
conclusione della prima fase del forum (quella sul PSC), per la quale venne
elaborato e distribuito ai partecipanti un cd-rom contenente una “mappa dei temi e
dei luoghi” nella quale venivano raccolti i contributi di tutti gli incontri plenari e
tematici riguardanti il PSC). Successivamente, si è tenuto un ultimo incontro
plenario per la condivisione del documento conclusivo e la presentazione della
proposta sul PGTU. Tale documento è stato quindi proposto come contributo alla
redazione del nuovo PGTU.
Il seguito, così come illustrato nel documento conclusivo del percorso di
partecipazione sul PGTU, è riassunto dalla procedura descritta di seguito:

1. Le osservazioni raccolte al forum vengono contro-dedotte negli


uffici;
2. Il PGTU viene adottato dal Consiglio Comunale (con possibili
modifiche);
3. Pubblicazione del PGTU definitivo;

37
4. Periodo di 60 giorni a disposizione dei cittadini per presentare
osservazioni;
5. Le osservazioni raccolte nei 60 giorni vengono contro-dedotte negli
uffici;
6. Approvazione del PGTU da parte del Consiglio Comunale.
Le implicazioni negative di questa procedura sono molteplici. Innanzitutto ritorna il
tema della condivisione del resoconto: l’Amministrazione non ha organizzato una
fase partecipativa di stesura del documento finale, limitandosi a sottoporre il
documento già scritto ai partecipanti degli incontri e inserendolo nel forum web, in
via consultiva. Questo comporta come abbiamo già affermato una possibile
distorsione interpretativa dell’opinione dei partecipanti e un conflitto col criterio di
influenza, in quanto a “tirare le somme” di tutto il processo non sono i partecipanti,
bensì gli stessi esponenti dell’Amministrazione. Inoltre, la procedura sopra descritta
emerge come non ci sia alcun empowerment della cittadinanza, ovvero non sembra
migliorare la capacità dei cittadini di incidere sui processi decisionali riguardanti le
politiche pubbliche. Si parla infatti soltanto di “contributo alla redazione” del
PGTU, ma non viene specificato in che modo le decisioni dei cittadini andranno ad
influire sulle scelte finali dell’Amministrazione. Il procedimento di approvazione
del piano ricalca infatti la linea dei tradizionali iter non partecipativi riguardanti la
formulazione di politiche pubbliche: adozione, pubblicazione e approvazione, con
l’unica voce vincolante del Consiglio Comunale e la presenza di un processo di
consultazione soltanto formale.

38
6. CONCLUSIONI: VALUTARE UN PROCESSO DELIBERATIVO

Completata la descrizione del forum, resta da definire come si possa valutare e


catalogare un processo deliberativo. Come abbiamo già accennato, gli studi sulle
deliberazione sono ancora giovani, ma qualche strumento di valutazione oltre ai
criteri sopra definiti (influenza, inclusione e deliberazione) è stato fissato. Merita
in questo senso una particolare attenzione la scala della partecipazione elaborata da
“Iap2” (International Association of Public Participation). Iap2 è un’associazione
nata nel 1990 in Canada, che ha come obiettivo quello di promuovere e migliorare
la partecipazione pubblica in processi decisionali che riguardino interessi pubblici.
Oggi Iap2 costituisce un punto riferimento nel campo della partecipazione, e tra i
vari contributi offerti allo sviluppo degli studi sulla deliberazione pubblica ha
prodotto una scala della partecipazione, riprodotta di seguito.

Tabella 6: La “scala della partecipazione” proposta da Iap2.

INFORMAZIONE CONSULTAZIONE COINVOLGIMENTO COLLABORAZIONE EMPOWERMENT

Obiettivo Obiettivo Obiettivo Obiettivo Obiettivo


Fornire Ottenere un feed- Lavorare Agire in Affidare al
informazioni back dal pubblico direttamente col partenariato col pubblico il potere
bilanciate e su analisi, pubblico attraverso pubblico in ogni decisionale.
obiettive per alternative e/o un processo che aspetto della
aiutare il pubblico decisioni. assicuri che le deliberazione,
a capire i opinioni del incluso lo sviluppo
problemi, le pubblico siano delle alternative e
alternative, le costantemente l’identificazione
opportunità e/o le capite e della soluzione.
soluzioni considerate.
Promessa al Promessa al Promessa al Promessa al Promessa al
pubblico pubblico pubblico pubblico pubblico
Vi terremo Vi terremo Lavoreremo con Vi consulteremo Implementeremo
informati. informati, voi per assicurare direttamente per le vostre
ascolteremo e che le vostre consigli e decisioni
riconosceremo le preoccupazioni e innovazioni nella
vostre aspirazioni siano formulazione di
preoccupazioni e direttamente soluzioni e
aspirazioni e riflesse nelle includeremo il più
forniremo un alternative possibile i vostri
feed-back su sviluppate e suggerimenti e
come i contributi forniremo un feed- raccomandazioni
del pubblico back su come i nelle decisioni
abbiano contributi del
influenzato le pubblico abbiano
decisioni influenzato le
decisioni.

39
La scala assume il punto di vista dell’Amministrazione e il livello di partecipazione
è illustrato in ordine crescente da sinistra a destra. Si parte perciò da un basso
livello di partecipazione associato alla pratica dell’informazione, in cui l’obiettivo
dell’Amministrazione è informare i cittadini in maniera efficace circa i problemi, le
alternative, le opportunità e/o le soluzioni che sono disponibili, ma senza lasciare
alcuno spazio alle opinioni della cittadinanza, arrivando fino al gradino
dell’empowerment, caratterizzato da un affidamento totale del potere decisionale
nelle mani dei cittadini, con un relativo impegno dell’Amministrazione ad
implementare le scelte risultanti dalla deliberazione.
Riguardo al nostro caso di studio, la valutazione è impostata su due fasi. La prima
consiste nell’individuare i principali punti di forza e di debolezza del forum,
attraverso la lente dei criteri posti precedentemente. In seguito si procede a un
confronto tra il caso analizzato e le caratteristiche dei gradini della scala di Iap2.
Il primo criterio è dunque il grado di inclusione, identificabile con una domanda: è
stata data possibilità di esprimersi a tutte le voci rilevanti sui temi affrontati? Su
questo tema le debolezze del forum sono molte, a cominciare dalla scelta di
coinvolgere in via preferenziale i gruppi organizzati, tralasciando la formazione di
un microcosmo rappresentativo della cittadinanza. Questa scelta, unitamente a
quella di collocare il processo a ridosso dell’estate e alla mancanza di un’adeguata
campagna informativa sull’evento ha del tutto inficiato la possibilità di considerare
il lavoro svolto dal forum come un prodotto della cittadinanza. Nel concreto, infatti,
si rilevano una certa limitatezza numerica e una scarsa rappresentatività riguardo ai
partecipanti, riconosciuta anche dall’Amministrazione comunale attraverso le
parole dell’Assessore Zamboni, già citate in precedenza (vedi p.25).
Il secondo criterio è la deliberazione, sintetizzabile nel concetto di dialogo
rapportato a quello di negoziazione (vedi p.10, tab.1), finalizzato al raggiungimento
di un consenso ragionato e informato. Riguardo a questo tema abbiamo riscontrato
un significativo punto di forza nella dimensione informativa del processo: le
relazioni dei tecnici, il materiale offerto, il forum web e il dibattito in sé hanno
effettivamente contribuito ad aumentare la consapevolezza dei partecipanti, mentre
il materiale raccolto e sintetizzato nel documento conclusivo si presta a diminuire,
sebbene in misura modesta, la “miopia” dell’Amministrazione (vedi p.13).

40
Penalizzante invece la scelta di organizzare un processo misto, in cui hanno
partecipato una prevalenza di stakeholder e una minoranza di cittadini, associazioni
e comitati (vedi p.27, tab.4), che come abbiamo visto indebolisce legittimità e
solidità delle decisioni finali. In altre parole, se il processo deliberativo era stato
pensato per evitare i problemi derivanti da un approccio di tipo “autarchico” quale è
la sindrome DAD, ci si chiede se la strada deliberativa intrapresa
dall’Amministrazione abbia davvero comportato un coinvolgimento dei cittadini
nelle decisioni. La conformazione dei partecipanti al processo rende tuttavia
difficile affermare che quella presente al forum fosse “la voce della città”.
Criticabile infine anche la tempistica degli incontri, strutturata in maniera tale da
inibire la possibilità di svolgere un dibattito realmente partecipato ed efficace.
Il terzo ed ultimo criterio è l’influenza, corrispondente al concetto di
empowerment, che costituisce anche l’ultimo gradino nella scala della
partecipazione. Riguardo a questo aspetto non abbiamo elementi positivi: fin
dall’inizio il dibattito è apparso fortemente limitato nella scelta dei temi da
discutere (ricordiamo l’impossibilità di parlare di infrastrutture e luoghi specifici),
mentre le ripercussioni che questo possa aver avuto sulla determinazione delle
scelte finali dell’Amministrazione sono del tutto vaghe, riassunte dall’espressione
“contributo alla redazione del PGTU”. Non va dimenticato infine il problema della
distorsione interpretativa delle opinioni del forum dovuta a resoconti e documento
finale redatti dagli organizzatori, senza un coinvolgimento diretto dei partecipanti.
Per questi motivi, spostando lo sguardo sui requisiti posti dalla scala della
partecipazione, possiamo decisamente escludere che il forum in questione possa
essere catalogato come processo di empowerment. Scendendo al secondo gradino
della scala in ordine di intensità della partecipazione, la struttura del setting in
tempi ridotti e la limitatezza delle opzioni di scelta disponibili (esclusione di
infrastrutture e luoghi specifici dal dibattito) non consentono di definire il lavoro
del forum come una collaborazione tra l’Amministrazione ed i cittadini. Il terzo
gradino è il coinvolgimento. Di questo tipo di approccio abbiamo trovato un
sintomo nel forum web, che costituisce di fatto uno strumento utile che
l’Amministrazione ha a disposizione per ascoltare, capire e considerare le
preoccupazioni e le aspettative dei cittadini, ma tale ascolto non può tuttavia essere

41
definito diretto, in quanto sussiste il problema dei resoconti e del documento finale
redatti non dai cittadini stessi, bensì da esponenti dell’Amministrazione.
Questo processo presenta dunque alcune caratteristiche che lo collocano tra il
gradino di consultazione e quello di informazione: da un lato, il documento finale
(inteso come “contributo alla redazione del PGTU”) e il forum web, non possono
che costituire un valido feedback del pubblico riguardo alla percezione delle
questioni che l’Amministrazione ha messo sul tavolo, fermo restando il limite
sostanziale dovuto alla scarsa rappresentatività dei partecipanti e quello derivato
dalla totale assenza di garanzie riguardo all’influenza del processo sulle decisioni
finali. Dall’altro, la dimensione più significativa del forum rimane quella
dell’informazione, in cui il forum ha il suo maggiore punto di forza.
Il processo partecipativo promosso dal Comune di Bologna costituisce dunque un
primo passo che l’Amministrazione ha voluto compiere ai fini di un
riavvicinamento tra cittadini e politica locale. È in quest’ottica che esso assume il
suo principale valore. Riguardo invece all’efficacia deliberativa del processo, le
carenze evidenziate non consentono di definire “Bologna. Città che cambia” come
un processo realmente partecipativo, ma piuttosto come una consultazione della
cittadinanza su temi che rimangono comunque sotto il completo arbitrio
dell’Amministrazione.

42
BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA

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Roma 2004.

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Handbook: Strategies for Effective Civic Engagement in the Twenty-First
Century, Jossey Bass, USA 2005.

FISHKIN, J., Il sondaggio deliberativo, perché e come funziona, in Bosetti, G.,


Maffettone, S. (a cura di), Democrazia deliberativa: cos’è, Roma 2004.

HABERMAS, J., Teoria dell'agire comunicativo, 2 voll., Il Mulino, Bologna 1986.

LEWANSKI, R., Democrazia delle infrastrutture, infrastrutture per la


democrazia, Bologna 2007.

PELLIZZONI, L., Discutere l’incerto, in Pellizzoni, L. (a cura di), La


deliberazione pubblica, Meltemi, Roma 2005.

TUCIDIDE, Storie, Rizzoli, Milano 1967.

43
Piano Strutturale Comunale. Programma per la formazione del PSC condiviso
e partecipato, documento di sintesi dell’allegato alla Delibera di Giunta P.G. n.
28014/05.

“Bologna. Città che cambia” Documento finale del forum, Cap. 1, 29/11/2005.
http://www.iperbole.bologna.it/forum/file.php?5,file=90

Linee programmatiche per il mandato amministrativo 2004 – 2009, I valori e le


scelte per il futuro della città.
http://www.comune.bologna.it/comune/giunta/programmadimandato/docs/pr-mand-
def/linee-programmatiche-definitive.pdf

“Bologna. Città che cambia”, Percorso di partecipazione sul PGTU. Documento


conclusivo “una città in movimento”, 20/09/2006.
http://urp.comune.bologna.it/Mobilita/mobilita.nsf/3b5a117046b7c6e7c1256e3c005
6b9e2/d31f7f55c909e35ac1257242005b7c9a/$FILE/04%20Forum_02.pdf

“Bologna. Città che cambia”, Percorso di partecipazione per il PGTU.


http://urp.comune.bologna.it/PSC/PSC.nsf/1d47b9bee7175c51c1256e63005ae6d7/
576aef9985ff9335c125728800364f76/$FILE/percorso_forum.pdf

“International Association for Public Participation”.


www.iap2.org

44
ALLEGATI

Allegato 1: il forum "Bologna. Città che cambia" visto dalla stampa7.

7
Quotidiano “La Repubblica”, edizione di Bologna, 13/04/2005, p.3.

45
Allegato 2: Il protocollo d'intesa sulla progettazione urbanistica partecipata. Un primo effetto
della legge 20/20008.

8
Quotidiano “L’unità”, edizione di Bologna, 29/11/2005, p. 3.

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