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Candidato Relatore
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Indice:
Introduzione...............................................................................................................7
1. La democrazia deliberativa....................................................................................9
2. Analisi di un processo deliberativo: criteri e parametri .....................................18
3. Politiche locali e partecipazione...........................................................................20
4. “Bologna. Città che cambia”: PSC e PGTU partecipati.......................................22
5. “Una città in movimento”: il forum sul PGTU....................................................24
6. Conclusioni: valutare un processo deliberativo...................................................39
Bibliografia/Sitografia..............................................................................................43
Allegati.....................................................................................................................45
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4
“C’è un nuovo fenomeno che trasformerà il mondo, ed è il governo dell’opinione
pubblica.”
James Bryce, 1888
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INTRODUZIONE
Questa tesi costituisce un’analisi ed una valutazione del progetto “Bologna. Città
che cambia”, un percorso partecipativo avviato nel 2005 dal Comune di Bologna,
riguardante la pianificazione urbanistica della città. L’analisi si fonda sulle
conoscenze derivate dagli studi sulla democrazia deliberativa, che costituiscono la
base teorica di riferimento per progetti di questa natura e della quale cominceremo
col fornire una breve ma essenziale descrizione nella prima parte dell’elaborato.
Successivamente, verrà fatto un necessario accenno ai due strumenti di
pianificazione intorno ai quali è stato costruito il processo deliberativo qui
analizzato: il Piano Strutturale Comunale (pianificazione urbanistica) e il Piano
Generale del Traffico Urbano (pianificazione dei trasporti), d’ora in poi
rispettivamente “PSC” e “PGTU”. Nella terza ed ultima parte di questo lavoro
entreremo nel merito dell’analisi, prendendo come caso di studio il processo di
coinvolgimento degli attori sociali in relazione alla mobilità, che costituisce la
seconda fase di “Bologna. Città che cambia”, ovvero quella riguardante la stesura
del PGTU. Cercheremo infine di sintetizzare i risultati ottenuti, collocando
l’esperienza all’interno di una scala di valutazione della partecipazione, che tenga
conto dei vari elementi che concorrono a determinare il livello effettivo di influenza
del processo partecipativo nella determinazione delle scelte finali.
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1. LA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA
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La democrazia deliberativa costituisce un filone di studi della teoria democratica
piuttosto giovane. La sua origine è legata alla moderna crisi delle istituzioni e della
prassi democratica tradizionale, ovvero al fatto che le tradizionali istituzioni
democratiche si trovano oggi ad affrontare problematiche nuove e più complesse, di
fronte alle quali faticano a trovare soluzioni efficaci.
Un chiaro esempio di questo fenomeno riguarda la gestione dei conflitti ambientali:
Il modo tipico di gestire i conflitti ambientali consiste in una dinamica ben nota
agli studiosi di partecipazione, che costituisce la cosiddetta sindrome DAD,
(Decisione – Annuncio – Difesa):
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compiuta con le unghie e con i denti, senza avere la possibilità di
migliorarla (se non marginalmente) o di metterla in discussione
(Bobbio 2004).
Una soluzione che ha avuto un certo rilievo nella pratica delle Amministrazioni
locali è il coinvolgimento degli stakeholder, ovvero “coloro che hanno (hold) un
interesse specifico sulla posta in gioco (stake), anche se non dispongono
necessariamente di un potere formale di decisione o di un’esplicita competenza
giuridica” (Bobbio 2004).
Tale affermazione chiama però in gioco una distinzione fondamentale, ovvero
quella tra associazioni portatrici di interessi diffusi e stakeholder (ad esempio
sindacati, esponenti di imprese e associazioni di categoria), che oltre ad essere
portatori di interessi particolari hanno tendenzialmente un potere negoziale
maggiore rispetto alle prime. La scelta di coinvolgere nel processo decisionale
soltanto gli stakeholder comporta quindi il rischio di indebolire la capacità
deliberativa del dibattito, favorendo l’imposizione di dinamiche negoziali a scapito
di un approccio realmente dialogico (vedi p.10, tab.1).
Anche la scelta di estendere il coinvolgimento ad associazioni e comitati portatori
di interessi diffusi appare in qualche misura limitata, in quanto i leader dei gruppi
possono avere da un lato un rapporto debole e precario con i cittadini che
dovrebbero rappresentare e dall’altro tendono a essere portatori di logiche auto-
referenziali, lasciando spesso fuori gli interessi di categorie sociali non organizzate
e quindi potenzialmente sotto-rappresentate, quali ad esempio quelle di immigrati,
giovani o anziani di un certo ambito territoriale.
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Tabella 1: Differenze tra approccio negoziale e dialogico nei processi decisionali.
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La migliore soluzione praticabile è dunque quella di includere nel processo il più
ampio spettro di interessi e punti di vista legati alla questione sul tappeto,
coinvolgendo anche cittadini non organizzati. Se l’insieme risulta sufficientemente
vario e eterogeneo potremo avere la ragionevole speranza che nessun aspetto
rilevante sarà trascurato.
Un vantaggio intrinseco di tale approccio risiede inoltre nella maggiore stabilità di
politiche pubbliche definite in maniera inclusiva e consensuale, sia nel senso che i
cittadini sono maggiormente disposti ad accettare disposizioni che essi stessi
abbiano contribuito a definire, sia che una decisione ponderata su molteplici e
differenti punti di vista è anche qualitativamente migliore di una decisione affrettata
e superficiale.
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Viceversa, approcci partecipativi strutturati consentono di costruire una visione
articolata e rappresentativa delle questioni e posizioni in campo rispetto alle
questioni affrontate.
Appare dunque fondamentale, nell’ottica di promuovere un processo decisionale
volto ad ottenere un consenso ragionato, la creazione di un contesto che induca i
partecipanti a seguire specifiche regole condivise di comportamento che vincolino
gli interlocutori a giustificare le loro opinioni e posizioni facendo riferimento
all’interesse pubblico, di modo che sia loro impedito, ad esempio, il perseguimento
di interessi egoistici, l’espressione di pregiudizi o l’uso delle minacce. La qualità
dell’interazione dipende dunque anche dalla struttura del contesto (il setting) entro
cui il dibattito si svolge. Una cornice ben definita non pregiudica il contenuto delle
scelte, ma è fondamentale per mettere i partecipanti nella condizione di attuare un
confronto che sia produttivo e le cui conclusioni possano essere considerate
legittime.
Il setting può dunque essere definito un “sistema di regole che prescrivono,
proibiscono e consentono” (Pellizzoni 2005). Esso serve a definire i luoghi fisici e
normativi dove avverrà il confronto, rendendo pertanto possibile l’organizzazione
di una cooperazione efficiente, in cui i costi di transazione siano ridotti al minimo.
E’ inoltre importante sottolineare il fatto che la prospettiva istituzionale focalizza
l’attenzione dei partecipanti sulla logica sottostante a tale regolazione; questo
significa che la forma del setting ha un intrinseco legame di senso col tipo di
interazione che si instaurerà tra partecipanti all’istituzione stessa. Diventa dunque
vitale stabilire regole condivise, espressione di principi che siano in accordo e che
promuovano lo spirito del processo deliberativo.
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Una sfida importante che le Amministrazioni locali si trovano oggi ad affrontare è
proprio favorire e valorizzare questo coinvolgimento, ed è per rispondere a
quest’esigenza che sono state sviluppate numerose tecniche che possono essere
ricondotte alla democrazia deliberativa e che mirano a sviluppare, nelle parole di
uno dei suoi maggiori esponenti, “un’istituzione che dica ai politici cosa il pubblico
penserebbe se davvero pensasse e se avesse a disposizione informazioni corrette in
merito alle varie questioni” (Fishkin 2004).
Tale definizione richiama due problemi con cui l’azione pubblica deve fare i conti e
che aiutano a spiegare come l’approccio deliberativo possa essere d’aiuto. Tali
problemi sono strettamente connessi tra loro, in quanto fanno entrambi riferimento
alla dimensione informativa: la caratteristica “miopia” delle amministrazioni
pubbliche e la “ignoranza razionale” che caratterizza l’opinione pubblica, ovvero da
un lato la difficoltà di ascolto e di interpretazione delle amministrazioni pubbliche
nei confronti dell’opinione pubblica, e dall’altro il fatto che, tradizionalmente, nella
democrazia prevale l’espressione della volontà popolare, a prescindere dalla sua
competenza e razionalità. Di conseguenza:
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interessante sulle opinioni di un campione rappresentativo, ma queste opinioni
sono temporanee e basate su una condizione di informazione scarsa. Le procedure
deliberative possono migliorare la trasmissione di informazioni dal basso verso
l’alto e permettere a coloro cui è rimandata la decisione di ascoltare una voce più
informata e consapevole. Contemporaneamente esperienze di questo tipo possono
contribuire a un miglioramento della percezione da parte dei cittadini dei termini
del o dei problemi posti. Discussione e potenziamento del processo informativo
permettono a temi spesso guardati con superficialità dal pubblico di essere
affrontati in tutta la loro complessità e analizzati da più prospettive.»
(Pellizzoni 2005)
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In sintesi, la democrazia deliberativa si pone come fine quello di elaborare contesti
strutturati che garantiscano quella che Habermas chiama la “situazione discorsiva
ideale” (Habermas 1986), in cui l’inclusione dei destinatari delle decisioni nel
processo decisionale e il dialogo riflessivo siano considerati mezzi necessari per
arrivare a decisioni legittime in società moderne, pluralistiche, frammentate e
complesse, migliorando la pratica democratica e la qualità delle politiche pubbliche,
rendendole più stabili in quanto basate su un consenso ragionato e informato.
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2. ANALISI DI UN PROCESSO DELIBERATIVO: CRITERI E PARAMETRI
Tutti i metodi deliberativi di consultazione, per quanto diversi tra loro, dovrebbero
mirare a questi tre criteri. Pertanto il successo di un processo deliberativo può
essere misurato su di essi. Ognuno di questi elementi è un criterio necessario al
successo, e solo con la combinazione di tutti i tre elementi un processo deliberativo
può essere considerato pienamente democratico. Per esempio, un referendum può
essere estremamente influente (se prescritto dalla Costituzione o commissionato da
un decisore) e altamente rappresentativo o inclusivo, ma potrebbe essere inficiato
dall’incapacità di consentire ai partecipanti di confrontarsi con la complessità del
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tema cui si riferisce, a causa della limitatezza delle opzioni di scelta disponibili. In
questo senso il referendum può essere considerato carente in termini di potenziale
dialogico o capacità deliberativa.
Inoltre, questi tre criteri sono interdipendenti: ad esempio, senza un esplicito
collegamento tra la consultazione e l’influenza effettiva sulle decisioni finali, è
difficile far rientrare un’esperienza anche largamente inclusiva nella definizione di
deliberazione.
L’incrocio tra questi tre criteri costituisce dunque una buona base valutativa delle
modalità decisionali.
Riguardo invece ai parametri di riferimento intorno cui costruire l’analisi di un
processo deliberativo, richiamiamo qui i punti salienti che caratterizzano
l’approccio deliberativo già accennati precedentemente, ovvero quegli ambiti che la
democrazia deliberativa si pone di affrontare e dai quali dipendono da un lato le
difficoltà e dall’altro le opportunità che le Amministrazioni pubbliche si trovano
oggi ad affrontare. In sintesi: la selezione dei partecipanti, nell’ottica di formare un
microcosmo rappresentativo della comunità di riferimento; il setting (ovvero una
strutturazione del processo che renda quanto più efficiente il dibattito); il livello di
informazione dei partecipanti in merito agli argomenti del dibattito; il margine
decisionale disponibile (ovvero l’effettiva esistenza di questioni ancora da decidere,
contrapposta alla sindrome DAD); l’influenza della deliberazione pubblica sulle
scelte del decisore.
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3. POLITICHE LOCALI E PARTECIPAZIONE
L’approccio deliberativo nei processi decisionali è un tema che possiede ormai una
sensibile rilevanza nella pratica delle Amministrazioni locali. Il coinvolgimento
delle associazioni e dei cittadini è esplicitamente previsto in numerosi programmi
di riqualificazione urbana come i contratti di quartiere, e i piani di zona previsti
dalla legge quadro sulle politiche sociali si basano anch’essi su un approccio
inclusivo. Numerose sono le tecniche di deliberazione sperimentate in tutto il
mondo (alcune delle quali già citate nel capitolo precedente) nonostante la ricerca
empirica sistematica sulla deliberazione stia ancora muovendo i suoi primi passi.
Persino l’Unione Europea ha dato un fortissimo impulso in questa direzione: è
infatti difficile trovare un programma comunitario in cui non compaiano, con
grande rilievo, espressioni come partenariato, coinvolgimento dei cittadini,
partecipazione. La nascita dei processi decisionali inclusivi è dunque una delle più
importanti innovazioni introdotte nell’azione amministrativa.
E’ in questo contesto che si colloca un’importante innovazione riguardante l’Emilia
Romagna: la Legge Regionale 20/2000, che regola la “disciplina generale sulla
tutela e l’uso del territorio”. Tale legge comporta una svolta nell’ambito della
pianificazione urbanistica, perché oltre a introdurre procedure obbligatorie di
concertazione istituzionale, già di per sé inedite nel panorama legislativo inerente
all’urbanistica, invita le Amministrazioni locali a coinvolgere “le associazioni
economiche e sociali, chiamandole a concorrere alla definizione degli obiettivi e
delle scelte strategiche”1 riguardanti lo sviluppo urbanistico della città. Questo ci
riporta alla distinzione tra associazioni portatrici di interessi diffusi, stakeholder e
singoli cittadini già citata precedentemente: una questione importante a cui la legge
20/2000 non sembra fare troppo caso, promuovendo l’inclusione ma nel contempo
limitandola ai gruppi organizzati.
Tornando alle implicazioni di tale legge sulla pianificazione territoriale, è
opportuno inserire qui un accenno a quelli che sono i due strumenti di
pianificazione contemplati dal nostro caso di studi.
1
Legge Regionale 20/2000 dell’Emilia Romagna, Art. 14, par. 4.
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Il primo strumento è quello avente portata più ampia: il PSC. Esso costituisce lo
strumento di pianificazione urbanistica strutturale valido per il medio periodo
(vent’anni), con caratteristiche programmatiche, non prescrittive, deputato a
scegliere le linee principali per le localizzazioni insediative, le infrastrutture e le
caratteristiche ambientali, scelte che si traducono in previsioni determinanti
attraverso il Piano Operativo e il Regolamento Urbanistico Edilizio.
Al PSC sono subordinati altri piani di portata settoriale, che concentrano il loro
ambito attuativo a singole tematiche e periodi temporali più brevi del PSC (la cui
stesura precedente a quella del 2005/06 è avvenuta a Bologna nel 1985, sotto la
vecchia e più nota nomenclatura di “Piano Regolatore Generale”). Tra questi piani
settoriali ci interesseremo in particolare del PGTU, sull’elaborazione del quale è
concentrata questa analisi.
Come abbiamo visto, a Legge Regionale n.20/2000 dell’Emilia Romagna ha
introdotto un’attività di concertazione tra tutti i portatori di interesse, sin dall’avvio
dell’elaborazione del PSC, attraverso la Conferenza di Pianificazione [disciplinata
nello specifico all’art. 14 della L.R. n.20/00 e – in via generale – agli articoli 14 e
seguenti della legge n.241/90]. La Conferenza di Pianificazione è una fase
necessaria del processo di elaborazione del PSC e ha l'obiettivo di realizzare la
concertazione istituzionale tra le Amministrazioni interessate dall'esercizio delle
funzioni di pianificazione, attraverso l'integrazione delle diverse competenze e la
ricerca della condivisione degli obiettivi generali e delle scelte strategiche di piano.
Accanto a questa forma consultiva necessaria, la legge regionale prevede che il
Comune possa ampliare le forme di consultazione oltre quelle previste dalla legge.
E’ in questo contesto che nasce il progetto “Bologna. Città Che Cambia”, un forum
attivato per garantire l’informazione e la partecipazione urbanistica che
l’Amministrazione ha voluto promuovere, almeno nominalmente, “lungo l’intero
percorso di elaborazione del piano e sin dalle prime fasi di definizione degli
indirizzi”2.
2 “Piano Strutturale Comunale. Programma per la formazione del PSC condiviso e partecipato”, documento di sintesi dell’allegato alla Delibera
di Giunta P.G. n. 28014/05; p. 3.
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Figura 13: Cronologia fondamentale del percorso per l’elaborazione del PSC partecipato
3 “Bologna. Città che cambia” Documento finale del forum, Cap. 1, 29/11/2005.
22
4. “BOLOGNA. CITTÀ CHE CAMBIA”: PSC E PGTU PARTECIPATI
23
Figura 24: Le tappe fondamentali del “Percorso di partecipazione sul PGTU”
4
“Una città in movimento. Percorso di partecipazione sul PGTU. Documento conclusivo”, p.6.
24
5. “UNA CITTÀ IN MOVIMENTO”: IL FORUM SUL PGTU
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Tabella 2: Date e temi dei tre incontri tematici del forum.
3.
2. SICUREZZA
1. AMBIENTE CIRCOLAZIONE
20 luglio 2006
13 luglio 2006 6 settembre 2006
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per cittadini non organizzati, ma solo in maniera residuale e senza microcosmo
rappresentativo. A tal riguardo va tuttavia evidenziata l’assenza di una adeguata
campagna di informazione sull’evento: a detta degli organizzatori stessi infatti
l’ultima pubblicità fatta al processo era quella sull’apertura del forum “Bologna.
Città che cambia”, risalente al 14 Aprile 2005, ovvero quasi un anno prima.
Le ricadute di questa carenza si sono fatte sentire durante gli incontri, come
testimoniano alcuni commenti fatti dagli stessi esponenti dell’Amministrazione, tra
cui l’Assessore alla mobilità Maurizio Zamboni:
«Tutti sono abilitati a partecipare. Ci sono organizzazioni che qui non vedo, ma che
avrei voluto vedere»
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Tabella 3: I gruppi organizzati presenti al percorso di partecipazione sul PGTU
Categorie economiche, Enti e Ordini professionali
Una sola necessaria precisazione sui dati: questo elenco non rappresenta i soggetti
che erano presenti a tutti gli incontri, bensì un’aggregazione delle adesioni
all’insieme degli incontri che si sono tenuti. In altre parole: se è vero che tutti questi
soggetti (cinquantacinque) hanno partecipato al forum, è improbabile che ognuno di
essi abbia preso parte a tutti gli incontri, come è possibile evincere dai dati dei
singoli incontri, illustrati nella seguente tabella (rilevati dallo stesso documento e
riscontrati con quelli che ho raccolto personalmente).
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Tabella 4: I partecipanti all’incontro di apertura ed ai tre incontri tematici del forum sul PGTU.
COMITATI 6% 7% 4% 6%
SINDACATI/
MOVIMENTI 9% 7% 10% 12%
POLITICI
SOC.
PROFESSIONALI/ 20% 24% 25% 19%
ENTI CON
FINALITÁ
TOTALE
75 54 49 52
PARTECIPANTI
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5.2 Il setting: struttura e informazione
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Figura 3: fotografia di un cartellone alla fine di un gruppo di lavoro.
Nei tre incontri tematici gli obiettivi del futuro PGTU, sintetizzati sui cartelloni e
sulle schede distribuite (vedi p.24 tab.2), hanno dunque costituito la traccia di
partenza del dibattito.
La piattaforma on-line del forum, nata per estendere la discussione oltre i momenti
d’incontro, doveva restituire un quadro delle percezioni della cittadinanza in
relazione all’ambito urbano. Forum web e incontri dal vivo sono stati concepiti e
usati come “vasi comunicanti”: i partecipanti alle sedute tematiche hanno spesso
inviato contributi scritti sul forum web per specificare meglio la loro posizione o
continuare un tema dibattuto in sala. Lo strumento web, nelle intenzioni
dell’Amministrazione, avrebbe dovuto offrire materiale in costante elaborazione
che costituisse un valore aggiunto agli incontri tematici.
La discussione all’interno di questi incontri è stata “facilitata” da moderatori
impegnati nella gestione della comunicazione, nella presentazione delle proposte e
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nella traduzione delle stesse in azioni e obiettivi chiaramente comunicabili,
sintetizzati a volte su appositi cartelloni. Gli stessi “facilitatori” avevano il compito
di elaborare documenti di sintesi alla fine di ogni incontro. Il fatto che i resoconti
fossero scritti dai facilitatori senza il contributo del pubblico solleva però alcuni
interrogativi circa il rispetto del criterio di influenza, in quanto stendere resoconti
non è una mera operazione tecnica, poiché la stesura del resoconto costituisce una
rielaborazione del lavoro svolto in cui si inserisce un secondo livello di riflessione.
Il lavoro di stesura del resoconto permette infatti di sviluppare una riflessione sulla
riflessione, un’indagine sull’indagine: scrivere un resoconto significa rielaborare,
indicizzare, distribuire priorità, razionalizzare. In un lavoro di questo genere è
implicito che agiscano filtri cognitivi, differenze interpretative. Delegare perciò tale
lavoro a terzi che siano parte in causa, in quanto esponenti dell’Amministrazione,
significa intaccare il potenziale di influenza dei partecipanti. Nel nostro caso il
problema è stato temperato dal fatto che fosse dato modo ai partecipanti di dire la
loro, in quanto una versione non definitiva dello stesso veniva inviata sul forum
web, dove era possibile fare osservazioni e commenti. Dunque una qualche
validazione del resoconto c’è stata, tuttavia non si tratta qui di una stesura
partecipata, quanto piuttosto di una mera consultazione su un lavoro già svolto.
A completare l’elenco degli strumenti disponibili al processo deliberativo c’erano
infine un verbale, che veniva redatto contestualmente alla discussione per mezzo di
un computer, e la cosiddetta “PGTU box”: una cassetta custodita all’interno della
sala del dibattito in cui lasciare il proprio intervento in forma libera, adita alla
raccolta di segnalazioni e suggerimenti.
Riguardo dunque al setting, sono rilevabili alcuni aspetti positivi di strutturazione
del processo deliberativo: c’era un calendario ben definito, alcuni facilitatori, una
persona che scriveva il verbale e un’altra che sintetizzava i punti emersi su un
cartellone.
Ad ogni incontro venivano invitati relatori, il cui compito era elevare il livello di
informazione dei partecipanti sugli argomenti del dibattito, ed è stato infine
distribuito ai partecipanti del materiale informativo con schede tecniche e alcuni
estratti da articoli di giornale ad ogni incontro. Tuttavia non sono mancati difetti,
anche strutturali, come ad esempio la totale assenza di condivisione delle regole: i
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partecipanti hanno avuto lo spazio e gli strumenti che l’Amministrazione ha messo
a loro disposizione, ma non hanno avuto nessuna parte nel discutere le regole del
percorso. Questo ha originato diverse critiche, in particolare riguardo a tempi e temi
del dibattito.
Gli incontri tematici cominciavano alle h17 e duravano in teoria fino alle h20. Ogni
incontro veniva aperto da uno o più interventi da parte di relatori tecnici che, pur
avendo un ruolo fondamentale nell’aumentare il livello di informazione dei
partecipanti sui temi trattati nell’incontro, ottenevano spesso un effetto
controproducente per il dibattito stesso, in quanto dilungavano il loro intervento per
oltre metà del tempo a disposizione per l’intero incontro. Due le conseguenze nel
dettaglio: da un lato il numero dei partecipanti, che dopo circa un’ora e mezza di
relazioni su numeri e grafici risultava visibilmente ridotto (“Sono andati via tutti. E’
tardi. Si è cominciato tardi… Non si è parlato di molte cose.”5), dall’altro la
concreta mancanza di tempo a disposizione per il dibattito (“Se i tecnici parlano
due ore, noi quando parliamo?”6). Per risolvere l’inconveniente, nel secondo
incontro lo staff ha deciso di limitare gli interventi di ognuno a due minuti, mentre
nel terzo incontro è stata data al pubblico la possibilità di intervenire anche durante
l’esposizione dei relatori (il primo intervento del pubblico è stato comunque dopo
quarantacinque minuti). Pur tuttavia, tali misure non sono bastate a risolvere il
problema, efficacemente sintetizzato dal personale che gestiva il forum che
all’ultimo ha ammesso: “Utili gli interventi nel merito, ma siamo fuori tempo
massimo”.
A tale riguardo è utile fare riferimento alla tabella n.5, riportata di seguito,
riguardante le presenze agli incontri rilevate ad intervalli di tempo regolari lungo
tutta la durata degli incontri. I dati ufficiali sulla partecipazione non contemplavano
livelli intermedi, ma solo il numero di presenze totali registrate dall’inizio alla fine
dell’incontro. Avendo raccolto personalmente i dati mancanti, ho potuto rilevare
5
estratto dall’intervento di un partecipante.
6
ibidem.
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alcune dinamiche importanti che comunicano qualcosa di più su come il pubblico
abbia percepito i tre incontri tematici:
Tabella 5: Il numero di partecipanti ai tre incontri tematici del forum suddivisi per fasce
orarie.
h17 46 42 47
h19 23 35 37
Totale 54 49 52
Da un primo sguardo a questi numeri possiamo già notare il fatto che una parte del
numero totale dei partecipanti è costituita da individui che non hanno preso parte
all’incontro nel suo insieme. Se infatti all’inizio di ogni incontro (h17) il numero
dei partecipanti è inferiore a quello cumulato, questo significa che alcuni
partecipanti sono arrivati più tardi, mentre osservando il dato parziale delle h19 (si
ricordi che gli incontri duravano circa tre ore, quindi fino alle h20) è evidente che,
viceversa, molti abbiano lasciato la sala ben prima della conclusione degli incontri.
Tornando alla considerazione riguardo alla durata delle relazioni tecniche, dalla
tabella si evince chiaramente che queste lasciassero spazio al dibattito quando
ormai la platea era già consistentemente ridotta, anche perché gli incontri non
prevedevano pause interne e la soglia di attenzione tendeva in media a subire un
picco negativo verso le h18.45-19, orario in cui aumentava la confusione e si
verificavano puntualmente dei piccoli “esodi”.
In sintesi, i dati raccolti in questa tabella costituiscono un’evidenza empirica a
supporto di alcune importanti critiche (periodo estivo, tempi ristretti, spazio
dedicato al dibattito insufficiente) che testimoniano l’organizzazione di un setting
che non ha favorito la partecipazione effettiva dei cittadini al processo deliberativo.
Un ultimo appunto che purtroppo sfugge all’evidenza dei dati, ma rimane
comunque significativo, riguarda invece l’effettività della partecipazione, ovvero il
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fatto che a prendere parola non fossero tutti, bensì soprattutto una minoranza di
soggetti presenti a tutti gli incontri, persone che erano già presenti alla prima fase
del forum e che avevano già una certa confidenza tra di loro e nei confronti degli
esponenti dell’Amministrazione.
Riguardo ai temi toccati dal forum, è stato da subito reso chiaro da parte dei
facilitatori che il PGTU fosse competente solo per quanto riguarda interventi da
eseguirsi su uno scenario di breve periodo, lasciando sullo fondo l’assetto delle
infrastrutture per la mobilità, e che inoltre la discussione su temi locali e luoghi
specifici sarebbe stata da affrontarsi negli incontri di quartiere. Il forum sul PGTU
doveva dunque concentrarsi su linee di indirizzo politiche e scenari programmatici
della mobilità ad infrastrutture invariate, mentre interventi e azioni locali avrebbero
invece dovuto essere definite nei vari piani particolareggiati di quartiere, a valle
dell’approvazione del PGTU.
E’ dunque emerso un limite rilevante al margine decisionale affidato al processo:
l’impossibilità di parlare né di infrastrutture né di “luoghi specifici”.
Sulla questione che il dibattito non andasse inteso come dibattito sull’assetto
infrastrutturale di previsione, la motivazione offerta dall’Amministrazione è stata
che il PGTU, nello specifico, fosse un piano operativo di 4 anni e che quindi il
punto di vista infrastrutturale andasse trattato nel forum precedente (quello sul PSC,
avente valenza di medio periodo).
Una critica mossa più volte dal pubblico durante tutti gli incontri del forum è stata
che in realtà neanche in sede di dibattito sul PSC fosse stato lasciato uno spazio per
discutere di infrastrutture, con la motivazione che su quel tema le decisioni fossero
già state prese. Quest’incomprensione è rimasta viva sullo sfondo di tutti gli
incontri tematici e in particolare del terzo, che aveva tra i temi in agenda anche
quello delle “grandi opere” (vedi p.24, tab.2). La contraddizione è facilmente
spiegabile se si pensa che, parlando di urbanistica, è facile trovarsi di fronte a
problemi e questioni trasversali che, pur riguardando l’ambito di competenza
specifico del PGTU, non possono essere affrontate separatamente dal piano delle
infrastrutture, pena il rischio di adottare “provvedimenti inefficaci che non
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risolvono i problemi”, come ha sottolineato un partecipante. In ogni caso, sono state
proprio le parole dell’Assessore alla Mobilità Maurizio Zamboni a mettere un punto
alla questione:
Questo genere di conflitto tra cittadini e Amministrazione è ben noto agli studiosi
di democrazia deliberativa, secondo la quale la scelta del “momento” in cui inserire
il processo decisionale gioca un ruolo chiave, che trascurato può compromettere
l’intero processo:
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interlocutori di fronte a un secco aut aut: prendere o lasciare. E questi ultimi
avranno la sensazione di essere stati poco considerati o addirittura presi in giro. Si
tratta in questo caso della già citata sindrome DAD, di cui il forum ha mostrato
qualche sintomo soprattutto quando si è posta la questione delle infrastrutture. In
quel contesto, l’impressione che si aveva guardando lo svolgersi del dibattito era
effettivamente quella di un botta e risposta tra cittadini e Amministrazione dove
quest’ultima assumeva un ruolo difensivo, di giustificazione delle proprie scelte già
compiute. Tale problema riguarda direttamente il grado di influenza sulle decisioni,
a cui abbiamo già accennato in precedenza e che costituisce un criterio centrale
nella valutazione dei processi deliberativi.
A tal proposito va specificato che il lavoro sulla mobilità all’interno di questa
seconda parte del forum costituiva solamente una tappa del processo di
partecipazione per il nuovo PGTU: a conclusione del forum, l’Amministrazione si è
assunta il compito di elaborare materiali e osservazioni raccolte, comprensivi dei
contributi pervenuti via web, per la stesura di una bozza del documento di sintesi,
con una versione grafica corrispondente (una soluzione analoga a quella adottata a
conclusione della prima fase del forum (quella sul PSC), per la quale venne
elaborato e distribuito ai partecipanti un cd-rom contenente una “mappa dei temi e
dei luoghi” nella quale venivano raccolti i contributi di tutti gli incontri plenari e
tematici riguardanti il PSC). Successivamente, si è tenuto un ultimo incontro
plenario per la condivisione del documento conclusivo e la presentazione della
proposta sul PGTU. Tale documento è stato quindi proposto come contributo alla
redazione del nuovo PGTU.
Il seguito, così come illustrato nel documento conclusivo del percorso di
partecipazione sul PGTU, è riassunto dalla procedura descritta di seguito:
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4. Periodo di 60 giorni a disposizione dei cittadini per presentare
osservazioni;
5. Le osservazioni raccolte nei 60 giorni vengono contro-dedotte negli
uffici;
6. Approvazione del PGTU da parte del Consiglio Comunale.
Le implicazioni negative di questa procedura sono molteplici. Innanzitutto ritorna il
tema della condivisione del resoconto: l’Amministrazione non ha organizzato una
fase partecipativa di stesura del documento finale, limitandosi a sottoporre il
documento già scritto ai partecipanti degli incontri e inserendolo nel forum web, in
via consultiva. Questo comporta come abbiamo già affermato una possibile
distorsione interpretativa dell’opinione dei partecipanti e un conflitto col criterio di
influenza, in quanto a “tirare le somme” di tutto il processo non sono i partecipanti,
bensì gli stessi esponenti dell’Amministrazione. Inoltre, la procedura sopra descritta
emerge come non ci sia alcun empowerment della cittadinanza, ovvero non sembra
migliorare la capacità dei cittadini di incidere sui processi decisionali riguardanti le
politiche pubbliche. Si parla infatti soltanto di “contributo alla redazione” del
PGTU, ma non viene specificato in che modo le decisioni dei cittadini andranno ad
influire sulle scelte finali dell’Amministrazione. Il procedimento di approvazione
del piano ricalca infatti la linea dei tradizionali iter non partecipativi riguardanti la
formulazione di politiche pubbliche: adozione, pubblicazione e approvazione, con
l’unica voce vincolante del Consiglio Comunale e la presenza di un processo di
consultazione soltanto formale.
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6. CONCLUSIONI: VALUTARE UN PROCESSO DELIBERATIVO
39
La scala assume il punto di vista dell’Amministrazione e il livello di partecipazione
è illustrato in ordine crescente da sinistra a destra. Si parte perciò da un basso
livello di partecipazione associato alla pratica dell’informazione, in cui l’obiettivo
dell’Amministrazione è informare i cittadini in maniera efficace circa i problemi, le
alternative, le opportunità e/o le soluzioni che sono disponibili, ma senza lasciare
alcuno spazio alle opinioni della cittadinanza, arrivando fino al gradino
dell’empowerment, caratterizzato da un affidamento totale del potere decisionale
nelle mani dei cittadini, con un relativo impegno dell’Amministrazione ad
implementare le scelte risultanti dalla deliberazione.
Riguardo al nostro caso di studio, la valutazione è impostata su due fasi. La prima
consiste nell’individuare i principali punti di forza e di debolezza del forum,
attraverso la lente dei criteri posti precedentemente. In seguito si procede a un
confronto tra il caso analizzato e le caratteristiche dei gradini della scala di Iap2.
Il primo criterio è dunque il grado di inclusione, identificabile con una domanda: è
stata data possibilità di esprimersi a tutte le voci rilevanti sui temi affrontati? Su
questo tema le debolezze del forum sono molte, a cominciare dalla scelta di
coinvolgere in via preferenziale i gruppi organizzati, tralasciando la formazione di
un microcosmo rappresentativo della cittadinanza. Questa scelta, unitamente a
quella di collocare il processo a ridosso dell’estate e alla mancanza di un’adeguata
campagna informativa sull’evento ha del tutto inficiato la possibilità di considerare
il lavoro svolto dal forum come un prodotto della cittadinanza. Nel concreto, infatti,
si rilevano una certa limitatezza numerica e una scarsa rappresentatività riguardo ai
partecipanti, riconosciuta anche dall’Amministrazione comunale attraverso le
parole dell’Assessore Zamboni, già citate in precedenza (vedi p.25).
Il secondo criterio è la deliberazione, sintetizzabile nel concetto di dialogo
rapportato a quello di negoziazione (vedi p.10, tab.1), finalizzato al raggiungimento
di un consenso ragionato e informato. Riguardo a questo tema abbiamo riscontrato
un significativo punto di forza nella dimensione informativa del processo: le
relazioni dei tecnici, il materiale offerto, il forum web e il dibattito in sé hanno
effettivamente contribuito ad aumentare la consapevolezza dei partecipanti, mentre
il materiale raccolto e sintetizzato nel documento conclusivo si presta a diminuire,
sebbene in misura modesta, la “miopia” dell’Amministrazione (vedi p.13).
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Penalizzante invece la scelta di organizzare un processo misto, in cui hanno
partecipato una prevalenza di stakeholder e una minoranza di cittadini, associazioni
e comitati (vedi p.27, tab.4), che come abbiamo visto indebolisce legittimità e
solidità delle decisioni finali. In altre parole, se il processo deliberativo era stato
pensato per evitare i problemi derivanti da un approccio di tipo “autarchico” quale è
la sindrome DAD, ci si chiede se la strada deliberativa intrapresa
dall’Amministrazione abbia davvero comportato un coinvolgimento dei cittadini
nelle decisioni. La conformazione dei partecipanti al processo rende tuttavia
difficile affermare che quella presente al forum fosse “la voce della città”.
Criticabile infine anche la tempistica degli incontri, strutturata in maniera tale da
inibire la possibilità di svolgere un dibattito realmente partecipato ed efficace.
Il terzo ed ultimo criterio è l’influenza, corrispondente al concetto di
empowerment, che costituisce anche l’ultimo gradino nella scala della
partecipazione. Riguardo a questo aspetto non abbiamo elementi positivi: fin
dall’inizio il dibattito è apparso fortemente limitato nella scelta dei temi da
discutere (ricordiamo l’impossibilità di parlare di infrastrutture e luoghi specifici),
mentre le ripercussioni che questo possa aver avuto sulla determinazione delle
scelte finali dell’Amministrazione sono del tutto vaghe, riassunte dall’espressione
“contributo alla redazione del PGTU”. Non va dimenticato infine il problema della
distorsione interpretativa delle opinioni del forum dovuta a resoconti e documento
finale redatti dagli organizzatori, senza un coinvolgimento diretto dei partecipanti.
Per questi motivi, spostando lo sguardo sui requisiti posti dalla scala della
partecipazione, possiamo decisamente escludere che il forum in questione possa
essere catalogato come processo di empowerment. Scendendo al secondo gradino
della scala in ordine di intensità della partecipazione, la struttura del setting in
tempi ridotti e la limitatezza delle opzioni di scelta disponibili (esclusione di
infrastrutture e luoghi specifici dal dibattito) non consentono di definire il lavoro
del forum come una collaborazione tra l’Amministrazione ed i cittadini. Il terzo
gradino è il coinvolgimento. Di questo tipo di approccio abbiamo trovato un
sintomo nel forum web, che costituisce di fatto uno strumento utile che
l’Amministrazione ha a disposizione per ascoltare, capire e considerare le
preoccupazioni e le aspettative dei cittadini, ma tale ascolto non può tuttavia essere
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definito diretto, in quanto sussiste il problema dei resoconti e del documento finale
redatti non dai cittadini stessi, bensì da esponenti dell’Amministrazione.
Questo processo presenta dunque alcune caratteristiche che lo collocano tra il
gradino di consultazione e quello di informazione: da un lato, il documento finale
(inteso come “contributo alla redazione del PGTU”) e il forum web, non possono
che costituire un valido feedback del pubblico riguardo alla percezione delle
questioni che l’Amministrazione ha messo sul tavolo, fermo restando il limite
sostanziale dovuto alla scarsa rappresentatività dei partecipanti e quello derivato
dalla totale assenza di garanzie riguardo all’influenza del processo sulle decisioni
finali. Dall’altro, la dimensione più significativa del forum rimane quella
dell’informazione, in cui il forum ha il suo maggiore punto di forza.
Il processo partecipativo promosso dal Comune di Bologna costituisce dunque un
primo passo che l’Amministrazione ha voluto compiere ai fini di un
riavvicinamento tra cittadini e politica locale. È in quest’ottica che esso assume il
suo principale valore. Riguardo invece all’efficacia deliberativa del processo, le
carenze evidenziate non consentono di definire “Bologna. Città che cambia” come
un processo realmente partecipativo, ma piuttosto come una consultazione della
cittadinanza su temi che rimangono comunque sotto il completo arbitrio
dell’Amministrazione.
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BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA
BOBBIO, L. (a cura di), A più voci, Edizioni Scientifiche Italiane, Roma 2004.
43
Piano Strutturale Comunale. Programma per la formazione del PSC condiviso
e partecipato, documento di sintesi dell’allegato alla Delibera di Giunta P.G. n.
28014/05.
“Bologna. Città che cambia” Documento finale del forum, Cap. 1, 29/11/2005.
http://www.iperbole.bologna.it/forum/file.php?5,file=90
44
ALLEGATI
7
Quotidiano “La Repubblica”, edizione di Bologna, 13/04/2005, p.3.
45
Allegato 2: Il protocollo d'intesa sulla progettazione urbanistica partecipata. Un primo effetto
della legge 20/20008.
8
Quotidiano “L’unità”, edizione di Bologna, 29/11/2005, p. 3.
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