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, Ante SLI-
SKOVIC
, Tomo VLAJIC
, il vice di SLISVOVIC
Pasko LJUBIC
, Vlado COSIC
e
Anto FURUNDZ
, Ante SLISKOVIC
, Tomo VLAJIC
, il vice di SLISVOVIC
Pasko LJUBIC
,
Vlado COSIC
e Anto FURUNDZ
. A questo in-
contro fu convenuto che sarebbe stato emanato lordine di uccide-
re lintera popolazione maschile di Ahmi3i e di dare alle fiamme il
villaggio.
Anche altri paragrafi del rapporto di quaranta pagine porta-
no lattribuzione secondo Nobilo. Dunque non c da stupirsi
che il rapporto di venti pagine citato dalla Camera dappello se-
guisse gli stessi argomenti che Nobilo aveva presentato, in que-
sto senso, a favore di Blayki3. La richiesta di revisione della Pro-
cura sosteneva che qualcuno aveva riassunto loriginale rappor-
to di quaranta pagine e ne aveva nascosto la fonte. La richiesta
continuava:
Si sostiene che nessuna Camera utilizzerebbe asserzioni fattuali del
collegio di difesa, non suffragate da prove, come base per proscio-
gliere un imputato. difficile immaginare che il passo esatto sum-
menzionato, comprendente le parole Secondo Nobilo, sarebbe
stato inserito nella nota 705 come base dei riscontri della Camera
dappello se la Camera dappello fosse stata pienamente informata
della cosa.
La domanda di revisione chiedeva poi: Come pu la Camera
dappello basarsi su unasserzione della difesa quando non sta-
ta presentata alcuna prova a favore della difesa che suffraghi ta-
le affermazione?.
Da parte sua la difesa affermava che in dieci anni la pubblica
accusa non era stata in grado di fornire una sola prova credibile
che stabilisse un legame tra Tihomir Blayki3 e il massacro di Ah-
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mi3i. La difesa contestava la novit dei fatti nuovi che la squa-
dra della Procura aveva presentato. E affermava che la Procura
non aveva dimostrato che il rapporto di venti pagine del mini-
stero dellInterno sul massacro di Ahmi3i fosse una falsificazio-
ne della versione di quaranta pagine, che questi due documenti
non erano in realt lo stesso rapporto e che la Camera dappel-
lo aveva accolto il rapporto di venti pagine con la piena consa-
pevolezza che una delle fonti era Nobilo....
Il 23 novembre 2006 la Camera dappello presenta la sua de-
cisione finale sul caso Blayki3. I giudici ritengono per qualche
motivo che la pubblica accusa non abbia introdotto nessun fat-
to nuovo e non abbia dimostrato che Blayki3 abbia emesso un
ordine verbale di condurre i preparativi per lattacco del 16 apri-
le. I giudici ritengono anche, tra laltro, che il rapporto di qua-
ranta pagine del ministero degli Interni non costituisce un fatto
nuovo alla luce delle norme del Tribunale e che, anche se costi-
tuisse un fatto nuovo, la Procura non ha dimostrato che avrebbe
potuto influire sul verdetto raggiunto nel giudizio dappello se-
condo il quale le prove presentate al processo di primo grado e
in quello dappello non permettono di concludere che Blayki3
fosse responsabile, individualmente o come superiore, dei cri-
mini commessi ad Ahmi3i il 16 aprile 1993.
Un senso di delusione ora incombe su di me e sui membri
del mio staff. Sento che i giudici si stanno aggrappando a cavilli
legali e a sofismi anzich fare uno sforzo ragionato per indivi-
duare la verit della questione e amministrare la giustizia dovu-
ta a quelle vittime bruciate nelle case di Ahmi3i. Penso che il ca-
so Blayki3 abbia mostrato con tutta chiarezza gli effetti deleteri
esercitati sulla giustizia dalla pressione, sostanzialmente politi-
ca, di chiudere il Tribunale entro il 2010.
Alla fine, Tihomir Blayki3 sconta nove anni, non per compli-
cit nel massacro di Ahmi3i e nei crimini presso altri villaggi vi-
cini nella Bosnia centrale, ma per i maltrattamenti ai prigionie-
ri musulmani, come il loro uso quali scudi umani. Il regime di
Tudjman, ormai morto da cinque anni, riuscito nel suo impe-
gno di vanificare il lavoro del Tribunale.
Ormai era arrivato alla fine anche il lavoro della Procura su
Ivica Raji3. Il 25 ottobre 2005, Raji3 si dichiarava colpevole di
quattro dei dieci capi di imputazione ascrittigli. La dichiarazio-
ne dellaccordo contiene una esposizione dei fatti che farebbe
fremere dallorrore chiunque abbia una mente normale. Raji3
afferma che il 23 ottobre 1993 il capo del comando supremo del-
la milizia croato-bosniaca, Slobodan Praljak, aveva ordinato a
Raji3 e ad altri di risolvere la situazione di Varey senza mostra-
re piet per nessuno. Raji3 dichiara nero su bianco che a Stu-
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pni Do comandanti e soldati della milizia croato-bosniaca sotto
il suo comando cacciarono i musulmani civili bosniaci dalle ca-
se e dai nascondigli, li derubarono dei valori, uccisero uomini,
donne e bambini musulmani, e violentarono donne musulmane.
Lattacco si tradusse nella morte di almeno trentasette musul-
mani, bambini, anziani, donne e uomini, circa sei dei quali era-
no combattenti. In separati episodi del massacro di Stupni Do,
tre uomini e una donna musulmani furono uccisi a colpi di ar-
ma da fuoco o sgozzati. Una donna fu portata in una casa da un
soldato della milizia croato-bosniaca dove fu giustiziata; due
donne anziane, una delle quali invalida, furono soppresse den-
tro una casa; un musulmano fu colpito da vari colpi sparati a
bruciapelo dopo che si era rifiutato di dare il suo denaro a un
miliziano croato-bosniaco; un uomo musulmano, nove donne e
tre bambini furono uccisi mentre tentavano di fuggire; tre gio-
vani donne musulmane che erano sfuggite allarrivo iniziale dei
soldati della milizia croato-bosniaca furono trovate nascoste in
un piccolo scantinato e uccise; sette membri di una famiglia
musulmana, tra cui due bambini dellet di due e tre anni, furo-
no trovati bruciati dentro il loro rifugio; un uomo musulmano
che era stato gravemente ferito a entrambe le gambe, fu portato
in una casa successivamente data alle fiamme dai soldati della
milizia croato-bosniaca; una donna musulmana fu portata in
una stanza e uccisa, e la sua casa fu data alle fiamme.
Per aver comandato unoperazione che produsse un simile
massacro, la Camera giudicante condanna Ivica Raji3 a dodici
anni di carcere. Solo dodici anni per trentasette morti, molti dei
quali giustiziati a freddo. La Procura, alla luce delle lievi con-
danne comminate dai giudici del Tribunale dopo la decisione
originale su Blayki3 nel 2000, aveva chiesto solo quindici anni.
Ma ridurre la pena stato ridicolo.
Non so perch i giudici del Tribunale siano cos riluttanti ad
assegnare pene allaltezza dei crimini. meglio, immagino, es-
sere il banchiere che deruba la banca, perch si portano bei ve-
stiti e si appartiene ai club giusti, ed essere il comandante che
commette crimini di guerra perch non devi macchiarti di san-
gue luniforme. Forse i giudici non si sentono sicuri di s perch
sono troppo scarsi i precedenti per condannare leader politici e
comandanti militari in processi per crimini di guerra. Forse
troppi magistrati del Tribunale, molti dei quali sono studiosi di
diritto e professori universitari, mancano dellesperienza di giu-
dici. Ma questo non giustifica le condanne a pene ridicolmente
brevi. Credo che tutto questo riveli una debolezza e una man-
canza di coraggio per guardare il male in faccia. Un uomo che
uccide la moglie e due figli riceve quasi per routine una condan-
na allergastolo. E qui abbiamo persone giudicate colpevoli di
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aver partecipato alluccisione di decine, o centinaia e persino
migliaia di persone. Come possibile che se sei al comando di
soldati che uccidono decine di persone te la cavi con appena
una dozzina di anni? Per lo meno i giudici non badavano alla
nazionalit quando comminavano condanne leggere. Nellotto-
bre del 2007 stato giudicato Veselin Yljivanjanin, il coman-
dante delle forze dellesercito nazionale iugoslavo che presero
Vukovar, per aver favorito e istigato la deportazione e la tortura
di pi di duecento persone portate via dallospedale della citta-
dina e successivamente passate per le armi; Yljivanjanin ha ri-
cevuto unoltraggiosa condanna a cinque anni. Il comandante
delle unit che eseguirono le esecuzioni di queste duecento per-
sone, Mile Mrkyi3, stato giudicato colpevole di omicidio e tor-
tura, ma ha ricevuto solo ventanni: una vergogna, e i croati han-
no avuto ragione a dar voce alla loro frustrazione.
come se alcuni giudici si fossero intorpiditi e considerasse-
ro le vittime meno umane dei carnefici. No, questa gente merita
una condanna a vita. E condanna a vita deve voler dire che
muoiano in carcere, non che se ne vadano liberi dopo una deci-
na danni o che li lascino tornare a casa per motivi di salute.
La Croazia sembrava pronta a superare un altro ostacolo nel
dicembre 2004. LUnione europea annunciava che avrebbe aper-
to dei colloqui sulladesione con il governo croato, se Zagabria
avesse dimostrato la sua piena collaborazione con il Tribunale.
A marzo, per, linizio dei colloqui veniva rimandato, perch Za-
gabria non aveva ottemperato alle richieste. Questi mesi erano
punteggiati da incontri a Ginevra e a Parigi e da notizie e voci di
avvistamenti di Gotovina e di suoi abboccamenti con membri
del servizio di intelligence francese e con ex legionari. In un in-
contro tenuto il 19 aprile 2005, Sanader sostiene con fermezza
che il suo governo stava facendo tutto il possibile per arrestare
Gotovina, non a causa dellUnione europea, ma perch un do-
vere nazionale e internazionale. Come possiamo procedere?
domanda. Voglio risolvere il caso. Voglio che Gotovina finisca
allAia e che lei dia una valutazione positiva. Sono pronto a svi-
luppare un piano dazione per fare il massimo... Ho investito
tutto il mio capitale politico per la normalizzazione della vita in
Croazia. E questo comprende lautorit della legge... Se sapessi
dov, lo consegnerei immediatamente.
Non ne sono tanto sicura, dico a Sanader. Comincio a du-
bitare della sua volont politica. Da marzo a oggi, che cosa ave-
te fatto? E riferisco che luomo che ha lincarico di informare il
Tribunale sulle iniziative della Croazia per cooperare non sa
niente di quello che sta accadendo.
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Lei ha ragione, annuisce Sanader. Sono pronto a cam-
biare.
dal 10 marzo che aspetto un rapporto, dico, prima di
parlare dei francesi e degli ex legionari e di chiedere che cosa
stanno facendo le autorit croate per spezzare la rete di prote-
zione di Gotovina. Ho parlato con Chirac, aggiungo. E gli ho
detto che vicino a Gotovina.
Riporto anche una pista secondo la quale Gotovina si stareb-
be nascondendo in alcuni monasteri francescani.
Che cosa si pu fare con la chiesa cattolica, i monasteri e i
francescani?
Sanader dice che ha parlato con le autorit ecclesiastiche in
Croazia.
Procediamo discutendo di molti dettagli riguardanti le ope-
razioni per individuare e catturare Gotovina, e verso la fine del
colloquio Sanader mi chiede che cosa dir al Consiglio dEuro-
pa in Lussemburgo di l a un mese. Da questo dipendono le aspi-
razioni croate a entrare in Europa.
Nei miei commenti allUnione europea il 26 aprile 2005, dico
che non cambiato niente nelle valutazioni del mio ufficio a pro-
posito del mancato arresto da parte dei croati di Ante Gotovina,
il quale si trova ancora in Croazia e si sposta di tanto in tanto in
Bosnia-Erzegovina. In un comunicato stampa dico di aver forni-
to alla Croazia i particolari relativi alla rete che protegge Gotovi-
na e di aver assicurato i leader croati che avrei detto che la Croa-
zia stava cooperando pienamente con il Tribunale solo dopo che
la Croazia avr portato Gotovina allAia o rivelato al Tribunale
dove si trova. Pensavo che il governo croato stesse temporeg-
giando e cercando di convincere Gotovina a costituirsi, rispar-
miando a Sanader le conseguenze politiche. Mi sbagliavo.
Mi incontro nuovamente con Sanader allinizio di giugno,
prima di presentare un altro rapporto chiave al Consiglio di si-
curezza delle Nazioni Unite. sempre pi disperatamente biso-
gnoso di risolvere il problema di Gotovina, e ancora una volta
promette di fare il possibile. Sanader ha corso un rischio politi-
co e sta concedendo interviste ai giornali croati impegnandosi
pubblicamente ad arrestare Gotovina. Mi assicura che il gover-
no ha tutta la volont di lavorare di conserva con il Tribunale
per catturare Gotovina. Far in modo che tutte le piste e le
informazioni vengano verificate immediatamente. Il governo in-
dagher sugli affari finanziari di membri della rete di protezio-
ne di Gotovina.
Ringrazio Sanader per gli sforzi, e gli chiedo se le autorit
croate sono disposte a effettuare ricerche nei monasteri france-
scani del paese. Risponde di s. Con questa intesa, e con lindi-
cazione arrivata da un servizio dintelligence amico che Gotovi-
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na si nasconde in un monastero, vado a Roma per parlare con
monsignor Giovanni Lajolo, segretario vaticano per le Relazioni
con gli stati, il ministro degli Esteri del pontefice. luglio. Vo-
glio sapere da monsignor Lajolo che cosa pu fare la chiesa per
sostenere lo sforzo di trovare Gotovina. (Ci sono moltissimi mo-
nasteri in Croazia. Ne abbiamo fatto una lista: sono decine.)
Ricordo che mi fanno passare, con il mio collaboratore sviz-
zero Jean-Daniel Ruch, dai cancelli del Vaticano, protetti dalle
lunghe spade e alabarde delle famose guardie svizzere. Mi dico
scherzando che spero che la mia origine svizzera e gli anni pas-
sati nei monasteri cattolici diano qualche peso ai miei argomen-
ti. Lauto si ferma allinterno delle mura. Da qui, alcuni preti ci
accompagnano a piedi attraverso un dedalo di vestiboli e corri-
doi. Alla fine, da un passaggio scoperto, una porta si apre su una
austera e silenziosa anticamera. La solennit tale che mi sem-
bra di essere in una chiesa. Monsignor Lajolo esce dal suo uffi-
cio, ci saluta e ci fa accomodare.
nato e cresciuto in Piemonte, subito al di l delle Alpi sviz-
zere dove sono cresciuta io. La nostra conversazione in italiano
comincia in tono sommesso. Il monsignore mi dice che il Vati-
cano non uno stato, per cui non pu far nulla.
Lo interrompo.
Scusi, monsignore, dico. Quello che mi sta dicendo una
rivelazione, per me. Non parliamo sempre del Vaticano come di
uno stato? Un tempo non parlavamo di uno Stato della chie-
sa? Ricordo perfettamente la dicitura Stato della chiesa sulle
carte della penisola italiana nei miei libri di storia. Ho sempre
pensato che il Vaticano, bench minuscolo, goda di sovranit.
Ero convinta che potesse prendere decisioni in proprio. E penso
che possa ancora farlo, quando vuole.
Quindi chiedo a monsignor Lajolo se il Vaticano sarebbe co-
s gentile da chiedere alla Conferenza episcopale croata di inter-
cedere perch i suoi membri smettano di esprimere espressioni
di sostegno a Gotovina. Il monsignore adesso mi spiega che il
papa di Roma non ha autorit sulla Conferenza dei vescovi. Ri-
spondo che pensavo che i vescovi cattolici dovessero obbedire al
pontefice, e che mi sembrava ci fosse stato una specie di scisma
proprio su questa questione. No, no, la risposta.
Alla fine chiedo unudienza privata con Benedetto XVI. Senza
unesitazione, monsignor Lajolo risponde che sua santit riceve
solo presidenti e ministri. Io ribatto che ho letto sul Corriere
della Sera che Benedetto ha appena ricevuto il capo di un par-
tito che non n presidente n ministro: Credo che non sareb-
be una cosa inappropriata per lui ricevere il Procuratore di un
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Tribunale internazionale sui crimini di guerra che sta lavorando
per difendere i diritti umani.
Monsignor Lajolo mi guarda intensamente e dice: Se desi-
dera vedere il papa, pu venire sabato in piazza San Pietro. In-
tende dire che posso piazzarmi davanti alla folla di tutti gli altri,
nel gruppo prescelto per stringere la mano a papa Benedetto e
baciargli lanello e, in mezzo a tutti i fedeli adoranti, chiedere al
pontefice di aiutarmi a trovare Gotovina.
Grazie, dico, non sono qui in veste di pellegrina, sono un
Procuratore. Ho saputo che il nostro latitante si nasconde in un
monastero cattolico. So che il Vaticano ha il miglior servizio di
intelligence del mondo. Quindi penso che per voi sarebbe facile
scoprire se si trova davvero in uno dei monasteri della Croazia.
A un certo punto, nel corso della conversazione, sono scivolata
nellinglese della diplomazia. Non chiedo a monsignor Lajolo di
intraprendere una ricerca. Non chiedo altro che unindagine di-
screta per verificare se ci sono frati che stanno aiutando un lati-
tante ricercato per crimini di guerra.
Il prelato mi guarda male. Mi ha portato una specie di dono
ufficiale, una serie di monete commemorative del Vaticano. Con
un gesto rapido del polso le getta sul tavolo, poi ci saluta ed esce
dalla stanza. Ruch, il protestante svizzero, e io, la cattolica ro-
mana non praticante che ha studiato in due istituti religiosi, re-
stiamo seduti qui, nel mezzo del labirinto vaticano, circondati
da crocifissi e reliquie e statue e sotto quei soffitti affrescati da
Raffaello e Michelangelo con Giuditta e Oloferne, la biblioteca, i
giardini, il centro delluniverso cattolico. Quando allungo la ma-
no a raccogliere la borsa di Louis Vuitton e nessun mortale pu
udirci, Ruch si china al mio orecchio e bisbiglia: Adesso ti sco-
munica.
La mattina di venerd 30 settembre 2005 sono bloccata al-
laeroporto di Schiphol. Laereo ha non so quale problema mec-
canico e il governo svizzero ci ha mandato un altro velivolo che
deve arrivare e portarci a Zagabria. Il mio cellulare suona. il
primo ministro della Croazia, Ivo Sanader. Ha buone notizie.
Venga.
Qualche ora dopo i membri della mia squadra e io siamo se-
duti in una stanza con il primo ministro Sanader, il presidente
Mesi3 e altre autorit croate. Sanader annuncia che gli uomini
della sicurezza hanno localizzato Gotovina. Appena uno o due
giorni prima, dice, Gotovina ha parlato con la moglie su uno dei
suoi cellulari: ne ha una ventina.
vero? chiedo a Sanader, scettica. Non sono in vena di
prendere per buona a occhi chiusi una affermazione del genere,
uscire dalla stanza e sbattere il mio naso da scomunicata contro
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lennesimo muro di gomma. Sanader e la Croazia hanno molto
da guadagnare. Devo comparire davanti alla task force dellU-
nione europea di l a tre giorni per fornire le mie valutazioni sul
grado della cooperazione della Repubblica di Croazia con il Tri-
bunale. Una valutazione positiva aiuterebbe la Croazia a fare un
altro passo in direzione dellUnione europea. Tutto ora dipende
dallautenticit di questa intercettazione telefonica. Se laccet-
tassi come genuina, dovrei riferire che la Croazia sta cooperan-
do pienamente con il Tribunale. Sarebbe un rischio enorme,
perch Gotovina ancora in libert.
Il procuratore capo della Croazia, Mladen Baji3, accompa-
gna me e il mio aiuto, Anton Nikoforov, al piano di sopra in una
stanza con attrezzature audio e mi fa sentire il nastro della te-
lefonata di Gotovina. La voce sembra proprio la sua. Fa persino
un accenno alla mia visita a Zagabria. Si vanta, dice qualcosa
come Non mi prender mai.
I croati spiegano che la moglie di Gotovina ha trascurato di
cambiare la scheda telefonica dopo lultima volta che lha usata.
Forse stata solo una distrazione, penso; ma forse, dopo tanti
anni di latitanza del marito, lha fatto di proposito. Quale che
sia il motivo, la polizia ha intercettato la conversazione. Hanno
rintracciato la provenienza della chiamata, da qualche parte
delle isole Canarie. Ma esattamente dove, nelle Canarie, rimane
un mistero.
Autorevoli rappresentanti della stampa si erano radunati, in
attesa di raccogliere i miei commenti sullincontro con Sanader,
Mesi3 e le altre autorit del governo croato. Naturalmente avevo
convenuto con i croati che non avrei fatto cenno allintercetta-
zione di Gotovina. Esco cercando di assumere unaria scorag-
giata e insoddisfatta. Sottolineo la mia delusione per il fatto che
il generale Ante Gotovina, che stiamo ricercando da pi di mez-
zo decennio, non si trova ancora allAia. Questo il mio muro di
gomma. Di proposito non esprimo alcun giudizio sulla coopera-
zione del governo croato. Se mi facessero una domanda specifi-
ca, non so che cosa risponderei. Per fortuna nessuno me lo chie-
de. E i giornalisti sentono nella mia risposta esattamente quello
che volevano sentire. Riferiscono che sono insoddisfatta della
cooperazione di Zagabria e che, ancora una volta, un solo uo-
mo, Ante Gotovina, e una sola donna, Carla Del Ponte, vanifi-
cheranno le aspirazioni della Croazia a entrare nellUnione eu-
ropea. Mentre loro trasmettono i loro articoli, il capo delle inda-
gini del Tribunale, Patrick Lopez-Terres, vola a Madrid con il
procuratore croato, Baji3, per prestare assistenza alle autorit
spagnole nella ricerca di Gotovina.
Tre giorni dopo in Lussemburgo, stupisco tutti, tranne ovvia-
mente Sanader, Mesi3 e gli altri dirigenti croati, fornendo allU-
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nione europea un rapporto entusiastico sulla cooperazione del-
la Croazia con il Tribunale. Ora i giornalisti si lanciano in spe-
culazioni sulle massicce pressioni politiche di paesi dellUnione
europea che mi avrebbero indotta a modificare la mia valutazio-
ne. Non sono libera di spiegare pubblicamente perch sono tan-
to soddisfatta, perch metterei sullavviso Gotovina. In un certo
senso, questa disinformazione sulla pressione politica ci d una
mano. Senza questo, Gotovina potrebbe sospettare che c in
ballo qualcosa e fuggirebbe verso una ignota destinazione, e io
avrei perso la scommessa.
La polizia croata non riesce a intercettare altre telefonate di
Gotovina. La polizia e i servizi segreti in Spagna stanno control-
lando gli aeroporti in tutte le isole Canarie. Abbiamo sentito le
voci per cui Gotovina si troverebbe a bordo di uno yacht, e te-
miamo che possa lasciare larcipelago via mare. Poi succede
qualcosa. La mia portavoce, Florence Hartmann, si trova a leg-
gere un libro scritto da Gotovina, che a un certo punto parla di
un suo viaggio alle Canarie, descrivendo un luogo specifico in
cui ha delle conoscenze. Avvertiamo Madrid. E le autorit spa-
gnole, il 7 dicembre, lo arrestano in un ristorante di Tenerife.
in compagnia di una splendida donna. E io penso che, chiss,
forse la moglie di Gotovina diventata lennesima moglie pian-
tata, come tante di quelle donne di cui mi ero sorbita le storie
tanti anni fa a Lugano, quando facevo la divorzista.
A met dicembre 2005, in un discorso al Consiglio di sicu-
rezza, esprimo la gratitudine del Tribunale verso lUnione euro-
pea e i suoi stati membri per aver offerto al Tribunale per la Iu-
goslavia lappoggio politico che tanto ha contribuito alla cattura
di Gotovina. Questo ci pu servire da modello per superare le
difficolt che incontriamo in Bosnia-Erzegovina e in Serbia e
Montenegro, dico. La chiave del successo stata una combi-
nazione di incentivi internazionali, forniti principalmente dalla
coerente politica dellUnione europea di condizionare laccesso
[allUnione] alla piena cooperazione [con il Tribunale per la Iu-
goslavia], e un efficace piano operativo congiunto tra Croazia e
Tribunale. Anche gli Stati Uniti hanno fornito un importante so-
stegno esigendo che la Croazia non potesse entrare nella Nato se
non dopo che Gotovina fosse stato consegnato allAia... Questa
miscela di volont politica ed efficienza operativa ha dato i suoi
frutti.
Durante il nostro primo incontro allinizio del 2000, Stipe
Mesi3 mi aveva detto che Franjo Tudjman, come Miloyevi3, non
avevano capito la tendenza allunificazione europea e alla rimo-
zione dei confini tra gli stati dellEuropa. Diceva che la Serbia e
la Croazia avevano lanciato la guerra in Bosnia-Erzegovina per-
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ch Miloyevi3 e Tudjman avevano cercato di impadronirsi di ter-
ritorio della Bosnia. Ora la Croazia era sulla via per lEuropa.
Ma quanti anni perduti erano costati alla Croazia a causa dei
suoi futili tentativi di sfidare la comunit internazionale, di ce-
lare le prove, di nascondere latitanti imputati di crimini di guer-
ra e sottoposti a mandato darresto internazionale? Oggi Slove-
nia, Romania e Bulgaria sono tutte sotto lombrello dellUnione
europea. La Croazia nonostante le sue aspirazioni, nonostante
il fatto che Zagabria sia a nord di Roma e a occidente di Vienna
no. E il tempo potrebbe essere scaduto mentre Tudjman, cos
cieco alla tendenza dellEuropa dopo la caduta del Muro di Ber-
lino, intesseva vacui miti nazionalisti e gettava nel lutto centi-
naia di migliaia di persone.
Nellaprile del 2006 il Tribunale ha aperto il processo ai sei
croati bosniaci accusati di aver rivestito ruoli politici e militari
cruciali nella campagna di violenza che Tudjman aveva lanciato
nel tentativo di smembrare la Bosnia-Erzegovina. Avevo cono-
sciuto uno degli imputati, Jadranko Prli3, anni prima, verso la
fine del 2000, alla commemorazione dei cinque anni dellAccor-
do di pace di Dayton. Rigido ma apparentemente sofisticato, al
tempo Prli3 era il ministro degli Esteri della Bosnia-Erzegovina.
Avevamo parlato in italiano. Mi aveva fatto omaggio di una co-
pia del suo libro sulla guerra. Io non gli avevo fatto capire che
era indagato. Ma sicuramente lui lo sapeva, cos come doveva
sapere che ogni incriminazione contro di lui e gli altri vertici
croato-bosniaci sarebbe stata unincriminazione indiretta ai de-
ceduti Tudjman, Yuyak, Bobetko e Boban. I documenti che
Tudjman e i capi della sua intelligence avevano cercato in ogni
modo di nascondere gli archivi della milizia croato-bosniaca e
le trascrizioni delle riunioni che Tudjman aveva registrato nel
suo ufficio fornivano gran parte delle prove presentate duran-
te il processo. Le udienze sarebbero continuate per mesi dopo la
mia uscita dal Tribunale. Avevo fiducia che questo caso, a diffe-
renza di quello di Blayki3, avrebbe portato giustizia alle vittime
di Ahmi3i, Stupni Do, Mostar, e le altre cittadine e gli altri vil-
laggi che avevano sofferto durante la campagna della Croazia,
con la Serbia, per strappare territorio alla Bosnia-Erzegovina.
Avevo fiducia che le prove che mostravano le realt di questa
campagna sarebbero rimaste per sempre in sfida e contrasto al-
leredit di negazione e inganno lasciata da Tudjman e dai suoi
protetti.
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Violenza, paura e povert mettono a tacere i testimoni. E nei
primi anni del nuovo millennio, il Kosovo, la provincia della
Serbia che costituiva la regione della ex Iugoslavia meno svilup-
pata, soffriva di violenza, paura e povert. Come si fa a trovare
testimoni e a perseguire crimini di guerra in una terra la cui po-
polazione traumatizzata e amareggiata non ha avuto il tempo
per trovare e seppellire i suoi morti; in una terra che non ha al-
cuna istituzione e scarsa concezione dellautorit della legge al
di l della lex talionis, lantico codice di vendetta descritto da
Omero e dagli antichi tragediografi greci; in una terra in cui le
Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali stanno
lottando con scarse risorse per ricostruire la legge e lordine e in
cui i capi delle milizie locali, molti dei quali sono malavitosi au-
topromossi a eroici paladini di un popolo vittimizzato, mirano
al potere politico e usano la violenza per scalzare nemici e av-
versari? Il Kosovo presentava allUfficio della Procura tutte
quante queste sfide.
Durante la primavera e linizio dellestate del 1999, soldati e
poliziotti serbi intraprendevano la totale pulizia etnica della
maggioranza della popolazione albanese del Kosovo. Le unit
combattenti serbe andavano di villaggio in villaggio, di cittadina
in cittadina, uccidendo e incendiando. Dalle case fuggiva un fiu-
me di albanesi, contadini e bottegai, professori universitari e
medici, padri e madri, nonni in sedie a rotelle improvvisate,
nonne caricate sui carri a cavalli, bambini in braccio ai genitori,
ragazzi che si muovevano a piedi e che portavano quanto pote-
vano dei loro averi in zaini e valigie. La fiumana si dirigeva ai
valichi di frontiera, dove i poliziotti serbi confiscavano carte di-
dentit, rubavano quanto cera di valore, scaricava tutti nella vi-
cina Albania o Macedonia. Questo spostamento di centinaia di
migliaia di albanesi era il culmine di decenni di scontri etnici i
11.
Kosovo: dal 1999 al 2007
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cui antecedenti risalgono a un passato pi lontano di quanto po-
trei approfondire. Ma questi lontani antecedenti diventano peg-
gio che irrilevanti, sono patetici alibi per i crimini in corso. Mol-
ti serbi, ma certamente non tutti, sostengono di vedere il Koso-
vo come una sorta di Terra Santa, perch qui sorge una serie di
monasteri serbi ortodossi di epoca medioevale e perch fu sede
di un imperatore serbo del XIV secolo; ma i leader serbi odierni
ambiscono al Kosovo anche, come un tempo i loro corrispettivi
medioevali, per le sue ricchezze minerarie.
Una lite comunista composta di albanesi locali ha governa-
to il Kosovo dai primi anni settanta. Nel 1981, un anno dopo la
morte del maresciallo Tito, i separatisti albanesi scesero in piaz-
za nella capitale kosovara, Priytina, chiedendo che la provincia
diventasse la settima repubblica della vecchia Iugoslavia, indi-
pendente dalla Serbia. La presidenza della Iugoslavia post-Tito,
un comitato di otto persone, invi le truppe che repressero con
la violenza le manifestazioni. Alla met degli anni ottanta, mem-
bri della minoranza serba del Kosovo protestano contro i mal-
trattamenti da parte degli albanesi, che ormai costituivano qua-
si il novanta per cento della popolazione della provincia. Slobo-
dan Miloyevi3 sal al potere patrocinando la causa dei serbi del
Kosovo. Sotto la sua guida nel 1990, Belgrado revocava lauto-
nomia del Kosovo e imponeva il governo diretto, il governo di
forza maggiore che recava con s la pretesa dellimpunit. La
polizia serba sloggiava gli albanesi dalle sale del governo, dai
posti di lavoro, dalle scuole, persino dagli ospedali. Gli albanesi
rispondevano istituendo strutture parallele di governo, istruzio-
ne, salute e sicurezza e, seguendo il consiglio delle ambasciate
occidentali a Belgrado, evitarono di prendere le armi durante le
guerre in Croazia e in Bosnia-Erzegovina, dove la Serbia era pi
vulnerabile.
Nella primavera del 1993, per, un piccolo gruppo di kosova-
ri albanesi favorevoli alla resistenza armata al dominio di Bel-
grado, istitu una milizia clandestina, lEsercito di liberazione
del Kosovo (Uck). Suoi scopi dichiarati erano quelli di mobilita-
re gli albanesi del Kosovo per una guerra di liberazione e per ri-
spondere con la violenza agli atti di violenza commessi dalle au-
torit serbe. Nei primi anni dellesistenza dellEsercito di libera-
zione del Kosovo, solo un piccolo numero di suoi membri aveva
la base in Kosovo; molti di loro operavano dagli Stati Uniti e da
paesi dellEuropa occidentale, compresa la Svizzera.
Verso la fine del 1995 era ormai chiaro agli albanesi politica-
mente avvertiti, nelle varie parti del mondo, che il processo di pa-
ce internazionale per la Croazia e la Bosnia-Erzegovina aveva
scavalcato il Kosovo. Due anni dopo uno scontro armato tra for-
ze serbe e lEsercito di liberazione del Kosovo costava la vita a un
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insegnante locale; migliaia di albanesi partecipavano al suo fu-
nerale, e tra loro cerano tre uomini con il passamontagna nero e
uniformi militari con le mostrine dell Uck. LEsercito di libera-
zione del Kosovo era uscito dalla clandestinit. Il 28 febbraio e il
primo marzo 1998, unit di polizia serbe dotate di elicotteri,
mezzi corazzati, mortai e mitragliatrici lanciavano attacchi a
sorpresa contro lEsercito di liberazione in diversi villaggi con
lobiettivo di annientare la leadership della milizia kosovara e di
sottomettere con il terrore la popolazione civile. Durante questi
attacchi, le forze serbe aprirono il fuoco indiscriminatamente sui
civili. Il 5 marzo 1998, le forze di sicurezza serbe attaccavano la
residenza del leader dellEsercito di liberazione del Kosovo,
Adem Jashari. La battaglia proseguiva per circa trentasei ore. Ve-
nivano riportati ottantatr morti tra gli albanesi, tra cui almeno
ventiquattro tra donne e bambini. Adem Jashari e tutti i membri
della sua famiglia, tranne una bambina di undici anni, erano tra
i morti. Una donna incinta fu uccisa con un colpo di arma da
fuoco in faccia. La polizia serba, stando a quanto si riportava,
aveva giustiziato alcuni degli uomini davanti alle loro case.
La tattica terroristica delle forze serbe sortiva per leffetto
contrario. A decine di migliaia gli albanesi partecipavano ai fu-
nerali della famiglia Jashari e degli altri. Un membro del coman-
do dellUck pronunciava un discorso funebre di tono patriottico.
Lappoggio popolare per lUck cresceva. I giovani entravano nu-
merosi nella milizia. I suoi comandanti locali riorganizzavano le
loro forze e si muovevano al contrattacco. La polizia serba conti-
nuava a versare il sangue dei civili. Nel 1998 gli Stati Uniti e altri
paesi occidentali esercitavano forti pressioni su Belgrado perch
mettesse fine alle violenze contro i civili albanesi nel Kosovo.
Nellottobre di quellanno i paesi della Nato minacciavano di lan-
ciare attacchi aerei se Belgrado non avesse cessato la sua azione
di forza.
Allinizio della primavera del 1999, dopo rinnovate violenze
dei serbi e dellUck in Kosovo e il fallimento di una conferenza
per la pace in Francia, la Nato lanciava attacchi aerei per co-
stringere Belgrado a ritirare la polizia e le forze militari da quel-
la regione disastrata. La massiccia operazione di pulizia etnica
serba aveva inizio sotto la copertura dei bombardamenti Nato.
Lesodo e i bombardamenti continuavano fino al giugno 1999,
quando Miloyevi3 accett di ritirare le truppe serbe da gran par-
te del Kosovo. Le truppe Nato fecero a gara con le forze russe
per occupare lo spazio lasciato vacante. Le Nazioni Unite isti-
tuirono una missione, lUnmik, per aiutare il Kosovo a costruir-
si una struttura politica e una, pi urgente, di sicurezza. I co-
mandanti dellUck emersero come forza politica. In molti ango-
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li del Kosovo questi comandanti costituivano lunica legge. E
lUfficio della Procura cominciava a ricevere informazioni se-
condo le quali alcuni di loro avevano partecipato a crimini di
guerra contro serbi, rom, musulmani, slavi e membri di altri
gruppi etnici, oltre che contro questi albanesi che venivano ac-
cusati di tradimento dallEsercito di liberazione del Kosovo. Il
mandato dellUfficio della Procura, formulato per combattere la
cultura dellimpunit, imponeva di indagare sulle accuse contro
i leader di pi alto livello di tutte le parti dei conflitti nella ex Iu-
goslavia. Questo comportava indagare e, se necessario, perse-
guire quei leader dellUck responsabili dei crimini commessi
dalla milizia. Il compito di perseguire gli accusati di livello infe-
riore spettava allUnmik e alle autorit locali.
Erano numerosi i rapporti che arrivavano su presunti crimi-
ni dellUck da indagare. LUfficio della Procura riceveva notizie
secondo le quali nel 1998 e nel 1999 soldati dellUck avevano se-
questrato centinaia di serbi, rom, albanesi e membri di altri
gruppi etnici: alcuni di questi prigionieri erano detenuti in cam-
pi di fortuna, alcuni confinati nelle stalle del bestiame, alcuni
picchiati, altri stuprati, altri torturati, giustiziati, e infine alcuni
semplicemente sparivano. La Procura riceveva rapporti secondo
i quali soldati dellUck erano ricorsi a violenza e intimidazione
per scacciare famiglie di serbi e di rom dai villaggi natali e ave-
vano ucciso quelli che vi erano rimasti. La Procura riceveva rap-
porti secondo i quali soldati dellUck avevano usato i prigionieri
come scudi umani. Riceveva rapporti su un luogo di esecuzioni
presso un lago. Riceveva rapporti su cadaveri di vittime, e persi-
no su prigionieri, che venivano trasferiti in Albania.
Dopo il mio viaggio a Priytina nel novembre 1999, Nataya
Kandi3 inviava allUfficio della Procura un rapporto pubblicato
che indicava che 593 persone serbi, montenegrini, rom, mu-
sulmani slavi erano sparite o erano state sequestrate dopo il 12
giugno 1999, il giorno in cui in Kosovo era stato dispiegato la
Kfor, la forza di pace internazionale guidata dalla Nato, ed era-
no ancora disperse al 31 dicembre 2000. Diversi aspetti di que-
ste sparizioni erano strani, e portavano a pensare che non si
trattasse semplicemente delle consuete azioni di vendetta che si
verificano dopo un conflitto. La gran parte delle sparizioni ri-
guardava distretti in cui non cerano state violenze su larga sca-
la da parte delle forze serbe contro gli albanesi del Kosovo du-
rante la campagna aerea della Nato. Anche decine di militari
dellesercito iugoslavo erano spariti durante i bombardamenti e
gli scontri avvenuti contemporaneamente contro lUck. Pi di
1500 albanesi erano scomparsi dopo che lUck li aveva presi in
custodia durante i bombardamenti, e pi di 300 albanesi erano
spariti nella seconda met del 1999 e nel corso del 2000.
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Il 25 gennaio 2001, durante la mia prima visita a Belgrado,
mi ero incontrata con familiari di persone disperse del Kosovo
che si erano riuniti allinterno delledificio del ministero degli
Esteri mentre fuori, per strada, qualche centinaio di manife-
stanti protestava. Il presidente del gruppo di kosovari, Ranko
Djinovi3, aggiornava me e la mia delegazione sulla situazione
degli scomparsi tra il 1998 e il 2001. Lassociazione era in pos-
sesso di prove di attivit criminali svolte da membri dellUck.
Queste prove, diceva, comprendevano testimonianze oculari di
rapimenti di uomini, donne e bambini, tre quarti dei quali era-
no stati catturati dopo larrivo della Kfor e dellUnmik. Djinovi3
accusava i vertici dellUck Hasim Thai, il suo direttore politi-
co, e Agim eku, il suo comandante della responsabilit dei ra-
pimenti e degli eccidi in Kosovo; Djinovi3 diceva che lassocia-
zione aveva raccolto i nomi di duecento sequestratori, tutti
membri dellUck. Djinovi3 mi chiedeva di indagare sui crimini
commessi dopo larrivo della Kfor in Kosovo nel giugno 1999. Ci
avrei provato, era stata la mia risposta. Ma gli chiedevo di solle-
citare il governo della Iugoslavia ad appoggiare la richiesta di
estendere il mandato del Tribunale per coprire questi presunti
crimini. In quel momento, molti familiari dei serbi scomparsi
erano convinti che i loro parenti fossero ancora vivi e che fosse-
ro stati trasportati oltre confine in Albania; ma, stranamente,
erano state ben poche, o forse nessuna, le richieste credibili di
riscatto. Fuori, dopo lincontro, avevo visto i dimostranti con i
cartelli e li avevo sentito gridare Carla una puttana. Alcuni di
loro avevano preso a bersaglio lauto, mentre ci allontanavamo,
lanciando biglie con le fionde.
LUfficio della Procura avrebbe in seguito ricevuto informa-
zioni, che gli investigatori e i funzionari dellUnmik avevano ac-
quisito da una squadra di giornalisti affidabili, sul fatto che nel
corso dei mesi estivi del 1999 albanesi kosovari avevano tra-
sportato con i camion al di l del confine tra il Kosovo e lAlba-
nia del Nord trecento persone rapite. Questi prigionieri inizial-
mente erano stati rinchiusi in capannoni e altre strutture, in lo-
calit come le cittadine di Kuks e Tropoje. Secondo le fonti dei
giornalisti, che venivano identificate solo come albanesi kosova-
ri, alcuni dei prigionieri pi giovani e pi fisicamente in forma,
che venivano nutriti, visitati dai medici e non venivano mai pic-
chiati, erano stati trasferiti in altre strutture di detenzione in
Burrell e dintorni, una delle quali era una baracca dietro una ca-
sa gialla a una ventina di chilometri a sud della cittadina. Una
stanza dentro questa casa gialla, riferivano i giornalisti, era sta-
ta sistemata come una camera operatoria di fortuna; e qui i chi-
rurghi espiantavano gli organi dei prigionieri. Questi organi poi,
stando alle fonti, venivano inviati attraverso laeroporto di Rinas
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presso Tirana a cliniche chirurgiche allestero per essere im-
piantati in pazienti paganti; uno degli informatori aveva effet-
tuato personalmente una di queste consegne allaeroporto. Le
vittime private di un rene venivano rinchiuse nuovamente nella
baracca fino al momento in cui venivano uccise per altri organi
vitali; in questo modo, gli altri prigionieri nella baracca erano
consapevoli della sorte che aspettava anche loro; e, secondo la
relazione, scongiuravano terrorizzati di essere uccisi immedia-
tamente. Tra i prigionieri che sarebbero stati portati in questa
baracca, cerano donne provenienti dal Kosovo, dallAlbania,
dalla Russia e da altri paesi slavi, e due delle fonti dicevano che
aiutavano a seppellire i corpi dei morti intorno alla casa gialla e
in un cimitero vicino. Secondo le fonti, loperazione di contrab-
bando degli organi si svolgeva con la conoscenza e il coinvolgi-
mento attivo di ufficiali intermedi e superiori dellUck. Gli inve-
stigatori del Tribunale scoprivano che se le informazioni dei
giornalisti e dei funzionari dellUnmik erano lacunose, i dettagli
erano coerenti tra loro e confermavano le informazioni raccolte
direttamente dal Tribunale. Il materiale interno [dellUfficio
della Procura] non... contiene specificamente materiale sullAl-
bania; ma le scarse dichiarazioni di testimoni e altro materiale
di cui disponiamo confermano e in una certa misura ampliano
le informazioni suddette, leggevo in un promemoria su questa
attivit. Tutti gli individui che le fonti citano come presenti nei
campi in Albania nellestate inoltrata del 1999, erano dichiarati
dispersi nellestate 1999 e da allora non sono pi stati visti.
Le raccomandazioni erano ovvie: Tenendo presente la natu-
ra estremamente grave di questi casi, il fatto che praticamente
nessuno dei corpi delle vittime dellUck sia stato trovato nelle
esumazioni in Kosovo, e il fatto che queste atrocit sarebbero
state commesse sotto la supervisione o il comando della leader-
ship di medio o alto livello dellUck, devono essere indagate nel
modo pi accurato possibile da investigatori professionali ed
esperti. Le vittime di questi casi erano state rapite probabil-
mente dopo la fine della campagna aerea della Nato in un pe-
riodo in cui il Kosovo brulicava di peacekeeper stranieri e di le-
gioni di investigatori e operatori di organizzazioni sui diritti
umani per cui non era chiaro se i crimini commessi in questo
lasso di tempo ricadessero sotto il mandato del Tribunale per la
Iugoslavia. LUfficio della Procura avrebbe voluto che giornalisti
e Unmik fornissero i nomi delle fonti pi altri particolari perso-
nali e ogni altra informazione di cui disponessero su queste ac-
cuse. La Procura doveva compilare e analizzare tutto il materia-
le interno relativo al caso. Se i giornalisti e lUnmik non coope-
ravano, la Procura doveva in qualche modo identificare, localiz-
zare e interrogare le fonti dei giornalisti, senza conoscerne li-
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dentit o lubicazione; intraprendere una missione con le fonti
nei siti albanesi; e, se necessario, condurre unindagine sulla
scena del crimine e le relative esumazioni.
Le indagini sullUck si sarebbero rivelate le pi frustranti tra
quelle intraprese dal Tribunale per la Iugoslavia. Nel giugno
1999 il Kosovo non aveva una polizia, e la Nato e lUnmik si era-
no assunti il compito di svolgere quella funzione con scarso en-
tusiasmo. La comunit albanese aveva i suoi leader politici, co-
me Ibrahim Rugova e altri moderati che nei tardi anni ottanta e
negli anni novanta si erano sforzati di applicare metodi nonvio-
lenti per resistere alloppressione serba. Ma questi leader politi-
ci si trovavano privi di istituzioni di governo funzionanti. Per
queste ragioni, gli inquirenti dellUfficio della Procura non pote-
vano raccogliere prove ricorrendo alle autorit locali del Koso-
vo. I pochi albanesi in Kosovo disposti a fornire informazioni e
a testimoniare in tribunale contro gli indiziati dellUck doveva-
no essere protetti, e questo significava in alcuni casi trasferire
intere famiglie in paesi terzi in un periodo in cui molti stati era-
no riluttanti ad accogliere persone del genere. Gli investigatori
della polizia, da Berna e Bruxelles al Bronx, sanno quanto sia
frustrante indagare sugli albanesi coinvolti in attivit della cri-
minalit organizzata. Lalbanese, una delle lingue pi antiche
dEuropa, rappresenta un problema, perch sono pochissimi
quelli che lo parlano non essendo albanesi; e affidarsi a inter-
preti di nascita albanese, come reclutare informatori e testimo-
ni albanesi, difficile perch la societ albanese estremamen-
te chiusa e molti clan riconoscono solo la legge tradizionale del-
la vendetta, cosa che espone i familiari alle rappresaglie. I testi-
moni serbi erano fuggiti oltre i confini del Kosovo in Serbia e
Montenegro; e Miloyevi3 e i leader politici nazionalisti serbi,
nellintento di difendere se stessi e i membri delle forze armate e
della polizia dalle incriminazioni, non avevano concesso agli in-
vestigatori del Tribunale di accedere alle vittime serbe di pre-
sunti crimini dellUck.
Durante la mia visita iniziale in Kosovo, il capo dellUnmik,
Bernard Kouchner, aveva riconosciuto che perseguire obiettivi
dellUck era politicamente cruciale. Membri del suo staff diceva-
no di essere interessati ai crimini perpetrati dopo la fine della
campagna aerea della Nato, e noi avevamo informato Kouchner
che questi crimini, compresi gli eccidi sistematici e i rapimenti,
rientravano nel mandato del Tribunale. Lappoggio ad alto livel-
lo verso le incriminazioni sembrava continuare per qualche
tempo. Ma alla fine ci eravamo scontrati con il muro di gomma.
Sono sicura che alcune autorit dellUnmik e persino della
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Kfor temevano per la loro vita e per quella dei membri della lo-
ro missione. Penso che alcuni giudici del Tribunale per la Iugo-
slavia avessero paura di essere raggiunti dagli albanesi. Ma lim-
punit che ammanta potenti figure politiche e militari si ali-
menta della riluttanza, frutto della paura, ad applicare la legge.
Limpunit prospera anche quando quelli che vengono percepiti
come imperativi politici ostacolano lamministrazione della giu-
stizia. Penso che alla fine le autorit dellUnmik si sarebbero il-
luse di poter contare sullaiuto di ex leader dellUck con prece-
denti poco chiari per sviluppare istituzioni funzionanti e impor-
re lautorit della legge. Ovviamente come cercare la quadratu-
ra del cerchio. Ma portare ordine dallanarchia non era un mio
problema. La mia missione era perseguire persone contro le
quali gli investigatori del Tribunale per la Iugoslavia avevano
raccolto prove sufficienti sui crimini di guerra.
Il 6 ottobre 2000, ho un nuovo incontro con il capo dellUn-
mik, Bernard Kouchner. Abbiamo saputo che lUnmik e la Kfor
sono stati messi in allarme da speculazioni circolate sulla stam-
pa locale secondo le quali il Tribunale aveva emesso incrimina-
zioni segrete contro Hasim Thai, Agim eku e un certo nume-
ro di altri leader dellUck. Unmik e Kfor considerano Thai e
eku qualcosa di pi di una minaccia alla sicurezza del perso-
nale Unmik e Kfor e alle loro missioni: li considerano un perico-
lo per lintera iniziativa di pace nei Balcani. In teoria, Thai e
eku sono in grado di dar fuoco alla violenza in Macedonia e
nella Serbia meridionale e in altre zone incitando le loro irre-
quiete minoranze albanesi. Informo Kouchner che queste voci
su incriminazioni segrete di Thai e eku non hanno alcun fon-
damento. Gli dico che gli investigatori del Tribunale stanno esa-
minando le accuse di crimini di guerra compiuti dallUck contro
serbi, rom e altri. Ma non siamo pronti a preparare alcun man-
dato contro albanesi.
Qualche settimana dopo mi trovo a Dayton, in Ohio, per un
convegno in occasione del quinto anniversario dellAccordo di
pace che aveva messo fine alla violenza in Bosnia-Erzegovina. A
differenza di quelli che avevano ospitato i colloqui di pace di
Dayton del 1995, gli organizzatori della conferenza per lanni-
versario hanno invitato rappresentanti degli albanesi del Koso-
vo. Mi trovo seduta sul podio accanto ad Hasim Thai per una
tavola rotonda. Cominciamo a conversare. Thai riconosce che
gli albanesi hanno commesso crimini durante le violenze in
Kosovo. Ma afferma che erano civili con le uniformi dellUck.
Quindi fa qualche commento improprio che mi provoca. Lo
guardo negli occhi e gli dico che ho aperto le indagini su crimi-
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ni commessi dagli albanesi in Kosovo. Non parlo mai di unin-
criminazione contro di lui, ma sicuramente Thai arriva a que-
sta conclusione, perch il suo volto si fa di marmo.
Nel 2002 era ormai chiaro che le indagini della Procura sulle
violenze in Kosovo avevano incontrato intralci e frustrazioni co-
me quelli che stava subendo lUnmik nei suoi tentativi di mette-
re sotto processo centinaia di membri dellUck di rango inferio-
re accusati di crimini di guerra. Abbiamo bisogno di prove sulla
catena di comando dellUck, abbiamo bisogno di sapere quali
ufficiali dellUck erano al comando di unit che combattevano
in particolari aree e quando questi ufficiali avevano assunto il
comando. Durante la mia visita a Washington il 18 marzo 2002,
ricordo alle autorit americane che lUfficio della Procura ha
presentato un certo numero di richieste di assistenza di impor-
tanza critica per le indagini sullUck e, nonostante i numerosi
solleciti, non ha ricevuto nulla. Se il processo della giustizia
vuole guadagnare un qualche consenso in Serbia, aprendo cos
la strada a un certo grado di riconciliazione, bisogna che i cri-
mini dellUck vengano svelati, dico. Lingiustizia il seme di
guerre future. Gli Stati Uniti, tramite la potenza aerea della Na-
to, hanno offerto un sostegno militare decisivo allUck. Temo
che, nonostante il suo appoggio a parole del Tribunale, Wa-
shington non veda bene le incriminazioni contro leader dellUck
perch queste incriminazioni complicherebbero lo sforzo inter-
nazionale per costruire nuove istituzioni in Kosovo e farebbero
ritardare il momento in cui il Pentagono potr spostare le sue
truppe dal Kosovo allAfghanistan e su altri fronti nella guerra
contro al Qaeda. Altri paesi della Nato non presentano una si-
tuazione migliore. Nellottobre 2003 sono a Londra e mi incon-
tro con il capo del Foreign Office, Jack Straw. Soffre, gli hanno
appena estratto il dente del giudizio. Ci lamentiamo della man-
canza di cooperazione da parte del Regno Unito. LUfficio della
Procura ha richiesto informazioni sulla struttura dellUck, e
usciamo dal colloquio convinti che il governo britannico stia
fingendo quando afferma di non avere alcuna notizia.
Un mese dopo il viaggio a Washington sono di nuovo a Bel-
grado. Persino Nataya Kandi3 mi dice di non poter aiutare gli
investigatori del Tribunale a trovare albanesi disposti a testimo-
niare contro le atrocit perpetrate dallUck, al cui vertice oltre a
Thai e eku, c un terzo comandante, Ramush Haradinaj, che
si affermato come il leader dellUck in aree del Kosovo occi-
dentale adiacenti al confine albanese. Kandi3 dice che i testimo-
ni albanesi si rifiutano di parlare di questi incidenti anche con
gli investigatori delle organizzazioni di diritti umani. Pi tardi,
quel giorno stesso, diciamo al viceprimo ministro della Serbia,
Nebojya Jovi3, che la Procura sta progettando, con lUnmik e al-
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tre organizzazioni, di far svolgere una perizia scientifico-legale
in due localit, una delle quali un sito presso il lago di Ra-
donjic, presunta sede di esecuzioni, nel Kosovo occidentale. Jo-
vi3 dice che fornir al Tribunale una lista di centonovantasei
possibili siti di esecuzioni e che ha gi dato le stesse informazio-
ni allUnmik un anno fa ma non ha saputo di alcun risultato. Ci
chiede di spingere lUnmik e la Kfor a fornire maggiori informa-
zioni sui dispersi al governo serbo. Jovi3 pessimista sul nuovo
capo dellUnmik, Michael Steiner, un diplomatico tedesco che
ha partecipato alliniziativa internazionale nella Bosnia-Erzego-
vina del dopoguerra. Mi avverte che Steiner potrebbe consigliar-
ci di evitare di incriminare albanesi e che gli albanesi presente-
ranno ogni genere di scuse. Le diranno solo quello che lei desi-
dera sentire, dice Jovi3.
Dopo il colloquio, Jovi3 e io abbiamo un altro teso incontro
con i rappresentanti delle famiglie delle persone disperse e rapi-
te dal Kosovo. I quesiti che pongono sono legittimi. Perch il
Tribunale non fornisce notizie dei loro familiari scomparsi? Per-
ch il Tribunale non riuscito a trovare le fosse comuni? Perch
non sono stati trovati possibili luoghi di detenzione? Perch non
ci sono albanesi incriminati per rapimento dopo che lassocia-
zione aveva fornito allUfficio della Procura liste di indiziati?
Questi familiari non si fidano di nessuno, nemmeno del governo
serbo; anzi, una volta mi hanno detto di aver ricevuto maggiore
cooperazione dagli albanesi kosovari che avevano parenti spari-
ti. Stiamo facendo del nostro meglio, spiego. Dico loro che
lUfficio della Procura sta insistendo perch Kfor e Unmik offra-
no piena cooperazione ma che non possiamo indagare su tutti i
crimini commessi. So di non essere riuscita a soddisfarli.
Il giorno dopo, il 19 aprile 2002, siamo a Priytina per incon-
trarci con il comandante della Kfor, il generale francese Marcel
Valentin, e con Michael Steiner dellUnmik, che non vedo da
quando, quasi un anno prima, eravamo saliti sul tetto del Reich-
stag a Berlino. Chiedo a Valentin di fornire allUfficio della Pro-
cura informazioni sulla struttura di comando e le zone di opera-
zioni dellUck. Sono sicura che i contingenti della Kfor arrivati
in Kosovo per la prima volta nel giugno 1999 hanno dovuto
compilare rapporti informativi e grafici relativi a queste infor-
mazioni. Come avrebbero fatto altrimenti i comandanti della
Kfor, gli addetti allintelligence e i consiglieri sugli affari politici
e civili a sapere con chi avevano a che fare? Non compilare que-
sta documentazione sarebbe stata una negligenza. Valentin ri-
sponde che la Kfor aveva gi cominciato a fornire informazioni
alla Procura. Ma, dice, a quellepoca i documenti dei primi con-
tingenti della Kfor erano archiviati presso il quartiere generale
Nato in Belgio o nelle sedi Nato di singoli stati membri. Informo
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Valentin e Steiner che intendo aver pronta la prima incrimina-
zione dellUck per giugno, che lincriminazione e i mandati dar-
resto saranno consegnati direttamente alla Kfor, e che sar im-
possibile dare un preavviso perch ogni incriminazione deves-
sere controfirmata da un giudice. Chiedo a Valentin che la Kfor
si prepari ad arrestare gli incriminati al pi presto possibile, do-
mandando al contempo se la Kfor preferisce unincriminazione
segreta o pubblica. Il consigliere politico di Valentin, uno statu-
nitense, dice che il momento giusto per emettere i mandati
contro perpetratori albanesi. Consiglia che i mandati contro al-
cuni dei bersagli siano pubblici, perch cos questi non avrebbe-
ro dove fuggire n un modo per evitare di consegnarsi allAia.
Mi sento incoraggiata da queste parole. Ma sono anche infor-
mata delle leggendarie montagne del Nord dellAlbania, e mi
chiedo se la Kfor sia in grado di catturare latitanti albanesi pi
di quanto sia stata capace la forza Nato in Bosnia di arrestare
Karadzi3.
I miei consiglieri e io ci incontriamo in seguito con il primo
ministro del Kosovo, Bajram Rexhepi. Qui lobiettivo quello di
assicurarsi la cooperazione delle autorit locali per il giorno in
cui il Tribunale emetter incriminazioni contro degli albanesi.
Dico a Rexhepi che il ruolo dei leader politici albanesi del Koso-
vo sar quello di spiegare alla popolazione albanese che vanno
puniti i crimini commessi da ogni parte. Rexhepi sa bene che
ladulazione quel cemento che tiene insieme il muro di gom-
ma. Elogia loperato del Tribunale. Elogia me. Elogia quello che
abbiamo fatto. Dichiara che nessuno al di sopra della legge.
Dice che sar facile spiegare questa cosa al popolo del Kosovo.
Ma, precisa, la maggioranza degli albanesi dellUck ha combat-
tuto per lideale di un Kosovo indipendente e non per uccidere.
Sostiene che i crimini commessi dagli albanesi in Kosovo sono
le malefatte di individui e quindi si trovano su un piano diverso
dei crimini commessi dai serbi. Io ero ufficiale sanitario nel-
lUck, dice. Non ho notato nessuna violazione da parte dellUck
delle norme di guerra, perch impegno dellUck era combattere
solo gente in uniforme, la polizia e lesercito. Cos, secondo la
logica di Rexhepi, a nessun comandante si pu chiedere conto
degli eccidi e dei rapimenti compiuti dai subordinati. Dico a
Rexhepi che gli investigatori dellUfficio della Procura stanno
incontrando delle difficolt. I testimoni, affermo, sono sottopo-
sti a intimidazioni e sono cos terrorizzati allidea di parlare del-
lUck che si rifiutano di discutere persino della sua presenza in
determinate zone. Rexhepi dice che questa reticenza non lo me-
raviglia. La polizia locale del Kosovo ancora inefficace, dice, e
il conflitto ha rimosso ogni tab.
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Durante lestate del 2002, lUfficio della Procura continua ad
avere difficolt ad accumulare prove di qualit sufficiente a for-
mulare imputazioni. Gli investigatori continuano a incontrare
problemi nel trovare quelle prove che stabiliscano il collega-
mento tra gli ufficiali superiori ed episodi di comportamento
criminale. I sostituti procuratori discutono dei problemi di giu-
risdizione relativi alla presentazione di imputazioni basate su
incidenti verificatisi dopo che le autorit serbe hanno lasciato il
Kosovo. Molte delle nostre vittime erano anziani, uomini e don-
ne, che erano rimaste sole nei villaggi dopo che tutti i giovani
erano fuggiti, e cos abbiamo vittime morte o disperse e pochi
testimoni, se non nessuno. Non disponiamo ancora di docu-
menti che chiariscano la struttura dellUck e di testimoni dispo-
sti a parlarne. Le squadre scientifiche hanno approfondito le
informazioni su una trentina di cadaveri trovati presso il lago
Radonji3, ma entro lautunno gli investigatori sono riusciti a
identificarne, con il test del Dna, soltanto otto.
Il 22 ottobre 2002 sono di nuovo a Priytina. Il nuovo coman-
dante della Kfor, il generale italiano Fabio Mini, mi assicura che
le sue forze saranno pronte ad arrestare in ogni momento qual-
siasi ricercato del Tribunale, e che sono state completate le valu-
tazioni di pericolo di quattordici potenziali obiettivi apparte-
nenti allUck. Dico al generale Mini che una o due incriminazio-
ni dovrebbero essere confermate entro la fine dellanno. Mini di-
ce che la Kfor conterebbe di cercare prima di convincere gli in-
criminati a costituirsi spontaneamente, ma che avrebbe anche
pronte le operazioni di arresto per procedere immediatamente.
Come Valentin prima di lui, esprime i suoi dubbi sullaffidabilit
dellUnmik. Sar necessario cooperare con lUnmik allultimo
minuto, dice il generale Mini. Poi scherza sulle strette relazioni
tra alcuni membri del personale dellUnmik ed ex leader del-
lUck. Quando vi saranno i primi arresti, dice Mini: Vedremo
molti leader locali andarsene in vacanza con una scorta Usa.
Parliamo anche dei dispersi, delle indicazioni che vi sarebbero
fosse comuni in tre aree dellAlbania settentrionale, e del possi-
bile coinvolgimento dei servizi segreti albanesi. Mini d istru-
zioni ai suoi di organizzare immediate ricognizioni aeree, con
lesame agli infrarossi di possibili sedi di fosse comuni prima
che arrivino le nevicate invernali. AllUnmik apprendiamo che
una fonte ha preteso cinquantamila euro per ognuna di due fos-
se comuni da identificare nellAlbania del Nord.
Solo qualche mese dopo gli investigatori del Tribunale e del-
lUnmik raggiungono lAlbania centrale e visitano la casa gialla
che le fonti giornalistiche avevano identificato come il luogo in
cui i prigionieri erano stati uccisi per espiantarne gli organi. I
giornalisti accompagnano sul sito gli investigatori e un procura-
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tore albanese. La casa ora bianca; il proprietario nega che sia
mai stata ridipinta, anche se gli investigatori individuano tracce
di giallo lungo la base delle sue mura. Sul posto, gli investigato-
ri trovano pezzi di garza. Nei pressi si trova una siringa usata,
due sacche di plastica da fleboclisi incrostate di fango, e flaconi
vuoti di medicinali, alcuni dei quali di un miorilassante impie-
gato abitualmente negli interventi chirurgici. Lapplicazione di
una sostanza chimica rivela agli uomini della scientifica schizzi
di sangue sulle pareti e sul pavimento di una stanza allinterno
della casa, tranne che in una zona pulita del pavimento di circa
un metro e ottanta per sessanta centimetri. Il proprietario offre
una variet di spiegazioni per le macchie di sangue nel corso dei
due giorni trascorsi dagli investigatori nel villaggio. Inizialmen-
te dice che anni prima la moglie aveva partorito in quella stan-
za. Poi, quando la moglie dichiara che in realt i figli erano nati
altrove, afferma che la famiglia aveva usato il locale per macel-
lare gli animali per una festivit musulmana.
Le conclusioni che si possono ricavare dai rilievi degli inve-
stigatori, combinati con le informazioni frammentarie offerte
dai giornalisti, sono allettanti. Storie di prigionieri uccisi da
trafficanti di organi circolano in molte aree di conflitto, ma ra-
ramente si trovano prove concrete capaci di togliere questi rac-
conti dal regno delle leggende urbane. Le siringhe, le fleboclisi,
le garze... sono chiaramente materiale di conferma, ma come
prove purtroppo sono insufficienti. Gli investigatori non sono in
grado di determinare se le tracce rinvenute siano di sangue
umano. Le fonti non hanno indicato la posizione delle fosse del-
le presunte vittime, quindi non abbiamo trovato i corpi. La mis-
sione non convince nessuna delle persone che si trovano nella
casa gialla o nei dintorni a farsi avanti con informazioni affida-
bili. I giornalisti hanno fin dallinizio rifiutato di rivelare le loro
fonti; e gli investigatori del Tribunale non sono stati in grado di
identificarle. Vi sono anche ostacoli giurisdizionali, dovuti alle
date dei presunti rapimenti, il trasporto delle vittime oltre il
confine con lAlbania, lattivit criminale svolta in Albania, e la
scena del crimine in quel paese. Il procuratore albanese locale
rivela unaltra dimensione del problema cooperazione; si van-
ta di avere parenti che hanno combattuto nellUck e dice allin-
vestigatore del Tribunale: Qui non ci sono sepolture di serbi.
Ma se hanno portato serbi oltre il confine del Kosovo e li hanno
ammazzati, hanno fatto bene. Cos, alla fine, i procuratori e gli
investigatori sui casi dellUck decidono che le prove per proce-
dere sono insufficienti. Senza le fonti e senza un modo per iden-
tificarle e rintracciarle, senza i corpi, e senza altre prove che col-
leghino indiziati di alto livello a questi atti, tutte le strade di in-
dagine sono sbarrate. Sar compito dellUnmik o delle autorit
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locali kosovare e albanesi, forse di conserva con le forze dellor-
dine serba, indagare ulteriormente su queste vicende e, se possi-
bile, perseguirne gli autori.
Il 27 gennaio 2003, grazie allappoggio investigativo del-
lUnmik, il Tribunale emette la sua prima incriminazione per
fatti relativi allUck, sostenendo che quattro albanesi incrimina-
ti avrebbero, dal mese di maggio 1998 alla fine del luglio succes-
sivo, rapito almeno trentacinque civili serbi e albanesi kosovari
nel Kosovo centrale detenendoli in condizioni disumane in una
stalla e nello scantinato di una casa dentro un complesso cinta-
to in un villaggio che era servito da base per operazioni dellUck.
Nella sua formulazione finale, lincriminazione affermava che
limputato Fatmir Limaj, che era diventato membro del Parla-
mento del Kosovo, e altri due membri dellUck, Haradin Bala e
Isak Masliu, sottoponevano i loro prigionieri ad aggressioni,
percosse e tortura. Quattordici prigionieri sarebbero stati uccisi
nella prigione improvvisata; altri dieci sarebbero stati giustizia-
ti tra le montagne vicine quando lUck aveva abbandonato larea
per lavanzare delle forze serbe.
Larresto da parte della Kfor di due degli incriminati avviene
senza intoppi. Per il terzo le cose vanno diversamente. Tre setti-
mane dopo che il Tribunale ha emesso il mandato, mi telefona
un alto ufficiale della Kfor dicendomi che Fatmir Limaj aveva
potuto imbarcarsi su un volo di linea regolare per la Slovenia
per andare a sciare con il suo socio daffari, Hasim Thai. Sono
furibonda. Il Tribunale aveva avvertito le forze dellordine in Ko-
sovo dellincriminazione e del mandato di arresto per Limaj e i
suoi coimputati. Limaj non ha assunto una falsa identit quan-
do arrivato allaeroporto di Priytina. Non era nascosto in una
qualche tana sicura. Si presentato allo sportello, ha ottenuto il
suo visto dimbarco, ha superato i controlli del passaporto e,
presumibilmente, i controlli di sicurezza, e ha preso il volo, e
nessuno si sarebbe accorto di niente. Il 18 febbraio, al nostro uf-
ficio arriva linformazione che Limaj ha gi lasciato la Slovenia.
Emetto un comunicato invitando la comunit internazionale a
farsi carico delle sue responsabilit prima che Fatmir Limaj
prenda posto accanto a Ratko Mladi3, Radovan Karadzi3 e gli
altri famigerati latitanti del Tribunale. Dopo pochi giorni le au-
torit slovene arrestano Limaj in una localit sciistica e lui si
consegna alla custodia del Tribunale scuotendo la testa, sorri-
dendo e affermando che tutto un equivoco. Gli imputati si di-
chiarano non colpevoli.
Le violenze contro i testimoni nei casi criminali locali in cui
sono coinvolti elementi dellUck erano gi iniziate quando il Tri-
bunale emette lincriminazione di Limaj. Nel dicembre 2002 a
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Priytina esplode una bomba; la stampa riferisce che il bersaglio
dellattentato doveva essere un potenziale testimone in un pro-
cesso locale a cinque ex membri dellUck accusati di aver gestito
un centro di detenzione e di aver torturato i loro prigionieri. Al-
la fine del 2002 diversi albanesi testimoniavano in un secondo
processo locale contro cinque ex membri dellUck, tra cui Daut
Haradinaj, fratello di Ramush Haradinaj, ex comandante del-
lUck; Ramush Haradinaj diventato, nel 2003, un leader politi-
co e uno degli albanesi su cui il Tribunale sta investigando. La
corte dellUnmik condanna Daut Haradinaj e i suoi quattro
coimputati per aver detenuto e ucciso quattro kosovari albanesi
nel 1999.
2
Il 4 gennaio 2003, uno dei testimoni dellaccusa in
questo caso, un ex ufficiale dellUck, Tahir Zemaj, viene ucciso a
colpi di arma da fuoco sparati da unauto in corsa insieme con il
figlio e il nipote nella pi grande citt del Kosovo occidentale,
nota agli albanesi come Pej e ai serbi con il nome di Pe3. Alme-
no quaranta persone avrebbero assistito allattentato. Anche al-
tri due testi del pubblico ministero nello stesso processo Sadik
Musaj e Ilir Selimaj vengono uccisi.
3
Otto giorni dopo che la
polizia locale appoggiata dallUnmik ha lanciato un appello ai
testimoni dellassassinio di Zemaj, qualcuno spara un missile
anticarro nelledificio della polizia regionale dellUnmik a Pej.
4
Pi tardi, vengono uccisi due agenti di polizia che indagano sul-
la morte di Zemaj. Diversi altri testimoni sopravvivono ad atten-
tati, tra cui Ramiz Muriqi, che dichiara ai giornalisti che gli im-
putati detenuti ordinano le rappresaglie contro i testimoni.
5
LUfficio della Procura ottiene ufficiosamente un rapporto del-
lUnmik sullattentato a Zemaj; in risposta alla richiesta di una
copia ufficiale, lUnmik manda il documento con tutti i passi at-
tinenti oscurati tranne uno. Il passo ancora leggibile diceva che,
prima della sua morte violenta, Zemaj aveva detto, presumibil-
mente a personale dellUnmik, che se lo avessero ucciso tra i
probabili sospettati ci sarebbero stati uno dei nostri bersagli,
Ramush Haradinaj, e un altro uomo. Ramush Haradinaj di-
chiar ai giornalisti che n lui n suo fratello erano coinvolti
nelluccisione di Zemaj.
La squadra del processo Limaj ha gi cominciato a riferirmi
che si trovano di fronte a testimoni che si rifiutano di parlare e a
testimoni che in precedenza avevano parlato con procuratori e
investigatori ma ora si rifiutano di testimoniare in aula. Lescala-
tion di violenza contro testimoni di casi criminali che sia una
violenza relativa alla testimonianza prestata da queste persone o
che sia connessa con attivit criminali o vendette senza alcuna
attinenza con i processi crea ovviamente unatmosfera di paura
che ammutolisce altri albanesi che sarebbero stati disposti a of-
frire informazioni e a deporre. Lassenza di credibili istituzioni di
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imposizione della legge e di programmi di protezione dei testi-
moni rappresenta soltanto una parte del problema.
A partire dal giugno 2004 un uomo e suo figlio tentano di in-
terferire con due testimoni che avevano accettato di deporre per
la pubblica accusa, con misure di sicurezza, nellimminente pro-
cesso contro Limaj e i suoi coimputati. Bashim Beqaj, il figlio,
avvicina uno dei testimoni protetti, designato in seguito come
B2, mentre cammina per una via di Shtime, un piccolo villaggio
del Kosovo. Bashim Beqaj accosta B2 davanti a un ristorante e
lo accusa di aver mandato suo zio, Isak Musliu, in carcere al-
lAia. I passanti impediscono laggressione. B2 si reca in casa di
Beqaj, e il padre, Beqa Beqaj, chiede scusa per il comportamen-
to del figlio e racconta a B2 che Musliu lo ha chiamato sei volte
dallAia dicendogli di andare a cercare B2.
6
Allinizio di settembre del 2004, due mesi prima che Limaj e
i suoi coimputati vadano sotto processo, Beqa Beqaj avvicina il
parente di un altro testimone protetto, B1, che sarebbe stato tor-
turato e sarebbe sopravvissuto a due tentativi di assassinio e a
un massacro durante il quale uno dei suoi genitori era rimasto
ucciso. Beqaj dice al parente di B1 di trasmettere il messaggio
che Isak Musliu regaler della terra a B1 se ritirer la dichiara-
zione giurata che ha fornito alla Procura. Il 27 settembre 2004,
Beqa Beqaj chiede due volte al parente di B1 di far sapere che
Beqaj sta parlando a nome di Fatmir Limaj e Isak Musliu e che
questi vogliono che B1 ritiri la dichiarazione giurata e torni ur-
gentemente in Kosovo per parlare con gli avvocati di Limaj. Il 6
ottobre la polizia intercetta una telefonata nella quale Beqaj di-
ce a B1 che deve venire a darci una sola dichiarazione... vieni e
di che non hai niente a che fare con Fatmir Limaj e Isak [Mu-
sliu]. In questo colloquio, Beqaj ammette di aver parlato con il
fratello di Fatmir Limaj, Demir Limaj. Beqaj chiede a B1 di in-
contrarsi con gli avvocati di Limaj e Musliu a Priytina e assicura
a B1 che non gli succeder niente. In unaltra telefonata inter-
cettata il 13 ottobre 2004, Beqaj chiede di nuovo a B1 di tornare
con urgenza in Kosovo per incontrarsi con i legali e con il fratel-
lo di Limaj e fare una dichiarazione che smentisca la preceden-
te deposizione resa al pubblico ministero.
Dimostrare le pressioni sui testimoni estremamente diffici-
le, soprattutto in una regione dove regna lillegalit. La Camera
giudicante alla fine prova la responsabilit di Beqaj, ma solo sul-
le accuse basate sulle intercettazioni telefoniche, condannandolo
a quattro mesi di reclusione. Non un deterrente sufficiente, in
una terra in cui i serbi un tempo rinchiudevano arbitrariamente
gli albanesi per mesi, e in cui i testimoni dei processi penali ven-
gono fatti fuori a colpi di arma da fuoco. Durante il processo a
Limaj, altri testimoni denunciano ai procuratori dellaccusa di
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essere stati minacciati. Alcuni hanno ricevuto dei biglietti. Altri
telefonate. Altri ancora hanno sentito le raffiche di armi automa-
tiche sparate davanti alle loro case. Alcuni riferiscono che poli-
ziotti locali hanno perquisito le loro abitazioni e hanno seguito i
loro figli. Un uomo ha visto il punto rosso di un puntatore laser
sul viso della moglie. Gli uomini dellUfficio della Procura si re-
cano ripetutamente in Kosovo sotto scorta armata e visitano le
case di potenziali testimoni per convincerli a deporre. Cercano di
convincere i leader delle comunit, spiegando che se hanno il co-
raggio di farsi avanti, altri seguiranno il loro esempio e lautorit
della legge nella loro terra si rafforzer. Uno di loro, dopo aver
prestato la sua testimonianza, viene fatto oggetto di decine e de-
cine di colpi di armi automatiche mentre si trova in auto, colpi
che miracolosamente mancano lui e il figlio quattordicenne. A
un altro fanno saltare la macchina e perde una gamba prima che
il Tribunale lo trasferisca in un paese terzo.
Il 13 novembre la Camera giudicante assolve Fatmir Limaj e
Isak Musliu, ma giudica il terzo imputato, Haradin Bala, colpevo-
le delle imputazioni di tortura, trattamento crudele e omicidio.
Motivando il proscioglimento di Limaj, i giudici osservano che le
testimonianze in aula di un certo numero di ex membri dellUck
chiamati a deporre come testi della pubblica accusa erano mate-
rialmente diverse dalle testimonianze fornite alla Procura nelle
precedenti dichiarazioni giurate. Il ragionamento dei giudici
che i sette anni passati dagli episodi descritti nellincriminazione
potrebbero aver offuscato i ricordi dei testimoni. I testimoni, ag-
giungono, potrebbero aver fornito risposte diverse perch duran-
te il processo sono state loro rivolte domande diverse da quelle
poste durante gli interrogatori in istruttoria. I giudici rilevano che
alcuni testimoni hanno giustificato le discrepanze durante lesa-
me. E dicono infine che sono disposti ad accettare la possibilit
che alcune delle discrepanze restino prive di spiegazione:
A volte appare evidente alla Camera, in particolare tenendo conto
della condotta del testimone e della spiegazione offerta per le diver-
genze, che le prove orali di alcuni di questi testimoni sono state de-
liberatamente alterate per renderle molto meno favorevoli alla pub-
blica accusa di quanto fossero le dichiarazioni precedenti. Le prove
fornite da alcuni di questi ex membri dellUck hanno dato alla Ca-
mera la netta sensazione che fossero materialmente influenzate da
un forte senso di associazione con lUck in generale... Sembrava che
fedelt superiori avessero la meglio sulla volont di alcuni testimo-
ni di dire la verit in aula su determinati punti. indiscutibile che i
criteri di onore e di altri valori di gruppo abbiano una particolare
rilevanza nella formazione culturale di testimoni che hanno le loro
radici in Kosovo.
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I giudici ricorrono persino alla citazione di una perizia per
sostenere la loro valutazione:
Il concetto albanese di onore governa tutte le relazioni che si esten-
dono al di l del legame di sangue... La solidariet con quegli indi-
vidui che hanno lo stesso sangue data per scontata, ma la fedelt
a un gruppo o a una causa che vadano oltre la famiglia devessere
invocata in maniera rituale. Lonore pu essere spiegato anche in
termini di tipo ideale di modello di condotta, e come la capacit po-
tenziale percepita in un uomo di proteggere lintegrit della propria
famiglia o di qualsiasi gruppo di riferimento pi vasto (come il clan
o un partito politico) contro attacchi esterni... [La promessa di fe-
delt o besa] impone una lealt assoluta, e richiede il rispetto da
parte dellindividuo dei valori familiari e in generale di gruppo. Al
tempo stesso ci giustifica luccisione di quelli che allinterno del
gruppo infrangono questo codice... Per... i membri di un gruppo
possono scegliere [sic] di evitare la violenza. La reazione al conflit-
to, allinsulto, al tradimento, o ad altre trasgressioni alle norme di
gruppo, dipende dalle interpretazioni dei fatti da parte dei membri,
e queste possono variare grandemente.
I giudici osservano che un numero significativo di testimoni
ha richiesto misure protettive al processo e ha espresso timore
per la propria vita e per quella dei propri familiari. Cionono-
stante la Camera giudicante ha escluso le dichiarazioni iniziali
di due testimoni, due ex membri dellUck, Shukri Buja e Rama-
dan Behluli, che contenevano le prove che Fatmir Limaj era il
comandante quando si verificarono i crimini imputatigli. En-
trambi i testimoni, per, hanno testimoniato durante il processo
che, ripensandoci, quello che avevano detto nei rispettivi inter-
rogatori con il pubblico ministero era errato. Ciascuno di questi
testimoni situava gli eventi relativi al comando di Fatmir Limaj
in momenti successivi rispetto a quanto avevano fatto nelle di-
chiarazioni precedenti, in entrambi i casi pi tardi dellepoca ri-
chiamata nellincriminazione. Le circostanze e la natura delle
loro prove facevano pensare che questa parziale sconfessione
fosse il risultato di quella che si poteva percepire come un senso
di lealt nei confronti dellUck in generale, e di Fatmir Limaj in
particolare, da parte di Shukri Buja e Ramadan Behluli. Leffet-
to prodotto era quello di privare delle sue basi lipotesi della
Procura da questo punto di vista. La pubblica accusa in sostan-
za era costretta a fare istanza che la Corte non desse credito alle
prove fornite in aula da questi due testimoni, accettando invece
la verit dei precedenti interrogatori condotti dallUfficio della
Procura, e su questa base accogliendo i rilievi materiali, nono-
stante la loro espressa ritrattazione. La Camera rispondeva di
non essere in grado di dirsi convinta della veridicit e affidabi-
lit delle precedenti dichiarazioni tanto da accettare rilievi con-
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trari alla testimonianza verbale di ciascuno dei due testimoni.
Almeno su questo punto, le prove fornite da Shukri Buja e Ra-
madan Beahluli sul ruolo di comando rivestito da Limaj, veni-
vano praticamente neutralizzate.
Considero questa decisione un esempio del trionfo della
mancanza di volont. Si lasciato che a prevalere fosse limpu-
nit che si alimenta della paura. Presentiamo appello.
Per due giorni, nel mese di marzo del 2004, scoppiano disor-
dini a opera di migliaia di albanesi in tutto il Kosovo quando i
media albanesi locali diffondono la falsa accusa che un gruppo
di serbi fosse responsabile dellannegamento di tre bambini al-
banesi in un fiume. Secondo un rapporto investigativo di Hu-
man Rights Watch, le istituzioni responsabili della sicurezza in
Kosovo Kfor, Unmik e il suo contingente di polizia internazio-
nale, e la nascente polizia locale non sono state in grado di ga-
rantire la sicurezza della minoranza serba e rom della provin-
cia. I feriti sono oltre mille, e comprendono centoventi militari
della Kfor e poliziotti Unmik e cinquantotto agenti della polizia
locale. Bande di albanesi danno alle fiamme interi villaggi serbi
e distruggono o danneggiano oltre cinquecento case serbe e
trenta tra chiese e monasteri ortodossi serbi. Quando la violen-
za si placa, non resta un solo serbo a Priytina e in altre cittadine.
Il Tribunale non ha mandato di perseguire crimini commes-
si nel corso di questi disordini. Ma la rivolta influisce sulla coo-
perazione che il Tribunale ricever in Kosovo, soprattutto da
leader di istituzioni internazionali che operano nella provincia.
Il 16 giugno 2004 il danese Sren Jessen-Petersen, che ha una
vasta esperienza di lavoro con le Nazioni Unite e altre organiz-
zazioni internazionali, diventa il nuovo capo dellUnmik. Lui e
altri stranieri che stanno cercando di governare il problema Ko-
sovo sono chiaramente interessati a stringere legami con leader
locali albanesi, su cui possano contare per migliorare la sicurez-
za in quella regione cos turbolenta, rafforzarne le istituzioni
governative, e preparare il Kosovo alla decisione finale sul suo
status futuro.
Il 3 dicembre 2004 lAssemblea del Kosovo elegge primo mi-
nistro della regione Ramush Haradinaj, capo di un partito che
ha il nome di Alleanza per il futuro del Kosovo. Proprio alla sca-
denza della strategia di completamento per le nuove incrimina-
zioni, lUfficio della Procura presenta alla Camera giudicante
unincriminazione contro Haradinaj. Un giudice impiega setti-
mane per studiare le prove e le accuse e, il 4 marzo 2005, con-
ferma latto. Fin dal novembre 2004 circolavano incontrollate
nella provincia le voci che il Tribunale avrebbe incriminato Ha-
radinaj, il quale gode di un notevole appoggio presso le missioni
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internazionali che operano in Kosovo. Ancora un mese prima
che lUfficio della Procura presentasse lincriminazione, alti di-
plomatici del Regno Unito avevano informato i miei consulenti
che Londra avrebbe sostenuto il Tribunale solo se latto di impu-
tazione fosse stato assolutamente solido. Io ritengo che lo sia.
Evidentemente, lo pensa anche lord Iain Bonomy, del Regno
Unito, che il giudice che lha controfirmato.
Lincriminazione, nella sua forma finale riveduta, sostiene
che Haradinaj stato il comandante dellUck in gran parte del
Kosovo occidentale, unarea designata dallUck come la zona
operativa del Dukagjin, e che aveva autorit di comando sui
coimputati, Idriz Balaj e Lahi Brahimaj, oltre che su altro per-
sonale dellUck. Lincriminazione sostiene che gli imputati
avevano formato unimpresa criminale congiunta il cui scopo
era consolidare il controllo dellUck sulla zona operativa del
Dukagjin con lillegale rimozione e maltrattamento di civili ser-
bi e con il maltrattamento di albanesi, rom e altri civili che era-
no visti come collaborazionisti delle forze serbe o che non ap-
poggiavano lUck. Lincriminazione presenta a Haradinaj dicias-
sette capi di imputazioni per crimini contro lumanit e venti
capi per violazione delle leggi e delle consuetudini di guerra.
In fatto di crimini di guerra, proprio vero che il diavolo, co-
me si dice, nei dettagli. Latto di accusa sostiene che, nei mesi
di marzo e aprile del 1998, forze dellUck erano ricorse a mal-
trattamenti e pestaggi per espellere civili serbi e rom dai villaggi
della zona operativa del Dukagjin e avevano ucciso civili serbi e
rom rimasti nelle loro case. A met aprile del 1998, in seguito
agli atti di violenza contro i civili serbi perpetrati dalle forze del-
lUck, gran parte della popolazione serba era fuggita. Nel corso
di alcuni giorni dopo il 19 aprile 1998, gli attacchi dellUck
avrebbero mandato via o ucciso quasi tutti i civili serbi rima-
sti nei settori di questarea da esso controllati. Tra marzo e set-
tembre del 1998, nelle municipalit della zona operativa del
Dukagjin, lUck avrebbe deportato pi di sessanta civili ucciden-
done in seguito un gran numero. I militari dellUck avrebbero
effettuato esecuzioni nellarea del lago Radonji3/Radoniq
7
e di
un canale artificiale che sfocia in un fiume che alimenta il lago.
LUck, sembra, esigeva un lasciapassare per consentire lingres-
so nellarea e i residenti locali, temendone le rappresaglie, evita-
vano di entrare nella zona. Tra la fine di agosto e linizio di set-
tembre 1998, le forze serbe avrebbero lanciato una controffen-
siva riprendendo temporaneamente larea intorno al lago Ra-
donji3/Radoniq e al canale. Una quipe serba di medici legali
avrebbe condotto unindagine nei pressi del lago e del canale e,
a met settembre, avrebbe rinvenuto resti umani di trentadue
cadaveri, poi identificati; la squadra scopr anche i resti di unal-
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tra decina di individui rimasti non identificati. Tutti i resti
avrebbero mostrato segni di morte violenta, e tutti sono stati
successivamente restituiti alle famiglie e sepolti in un cimitero
ortodosso di Djiakovica.
Fornisco i dettagli del seguente sommario non solo per evi-
denziare la natura non eroica delle accuse sorte in relazione al
sito di esecuzioni dellEsercito di liberazione del Kosovo presso
il lago Radonji3, ma anche per mostrare che le presunte vittime,
persone per le quali in troppo pochi hanno alzato la voce, perso-
ne che avevano nomi e cognomi e genitori e figli e figlie e spe-
ranze e timori, non erano solo serbi, erano albanesi, rom, mu-
sulmani slavi, erano cattolici, ortodossi, seguaci dellIslam:
Tra il 21 aprile 1998 e il 12 settembre 1998, il coimputato Idriz Ba-
laj e militari dellUck avrebbero sequestrato due sorelle serbe,
Bukosava Markovi3 e Darinka Kova3, portandole via dalla loro ca-
sa. Lautopsia avrebbe rivelato ferite di arma da fuoco su entrambi i
cadaveri e multiple fratture ossee sul corpo di Bukosava Markovi3.
Il 21 aprile 1998 o nei giorni immediatamente circostanti, militari
dellUck avrebbero sequestrato una coppia di coniugi serbi, Milo-
van Vlahovi3 e Milka Blahovi3. I militari dellUck avrebbero minac-
ciato di morte gli albanesi locali che cercavano di impedire il se-
questro.
Il 20 luglio 1998 o nei giorni immediatamente circostanti, il coim-
putato Ramush Haradinaj e militari dellUck avrebbero sequestrato
Hajrullah Gashi e Isuf Hoxha, entrambi kosovari albanesi, da un
autobus. Lautopsia effettuata sul corpo di Hajrullah Gashi avrebbe
rivelato ferite da trauma inferto con un corpo contundente. Lauto-
psia effettuata sul corpo di Isuf Hoxha avrebbe rivelato fratture
multiple e diversi frammenti mancanti di ossa del cranio.
Nellagosto 1998, Ilira Frrokaj e suo marito Tush Frrokaj, entrambi
kosovari albanesi cattolici, stavano viaggiando a bordo di unauto
quando militari dellUck li avrebbero sequestrati a un posto di bloc-
co. Il corpo di Ilira Frrokaj, ritrovato accanto al veicolo traforato
dai proiettili, rivelava la presenza di una pallottola in una gamba,
fratture ossee multiple, tra cui fratture del cranio, e segni che il cor-
po era stato bruciato. Il corpo di Tush Frrokaj non sarebbe stato
rinvenuto.
Nellagosto 1998, Idriz Balaj deteneva Zenun Gashi, un rom ex poli-
ziotto; Misin Berisha; e il figlio di questi, Sali Berisha, presso un
quartiere generale dellUck. Il naso di Sali Berisha sarebbe stato
mozzato in presenza di Idriz Balaj. Idriz Balaj avrebbe legato i tre
uomini con il filo spinato, conficcando le spine del filo nella carne.
Idriz Balaj avrebbe pugnalato Zenun Gashi in un occhio. I tre uo-
mini sarebbero stati legati dietro il veicolo di Idriz Balaj e trascina-
ti in direzione del lago Radonji3/Radoniq. I loro corpi furono suc-
cessivamente identificati con lesame del Dna.
Afrim Sylejmani, un kosovaro albanese, sarebbe scomparso nella-
prile 1998. Membri dellUck avrebbero sequestrato Rade Popadi3,
306
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un ispettore di polizia serbo, mentre viaggiava con un collega po-
liziotto a bordo di un furgone il 24 maggio 1998 o nei giorni im-
mediatamente circostanti. Ilija Anti3, un serbo, sarebbe stato vi-
sto vivo per lultima volta il 27 o 28 maggio 1998, mentre visitava
la casa del fratello; il corpo di Anti3 avrebbe rivelato multiple frat-
ture ossee, comprese ferite al cranio. Idriz Hoti, kosovaro albane-
se, sarebbe sparito nel giugno o luglio 1998. Il 4 luglio 1998, mili-
tari dellUck avrebbero sequestrato Kujtim Irneraj, kosovaro rom.
Il 12 luglio 1998, militari dellUck avrebbero sequestrato Nurije
Krasniqi e Istref Krasniqi, entrambi kosovari albanesi, dalla loro
casa di famiglia.
Il 18 luglio 1998, Zdravko Radunovi3, serbo, sarebbe sparito dopo
aver lasciato la casa; militari dellUck lo avrebbero sequestrato e
consegnato a un comandante locale dellUck; mentre era in custo-
dia dellUck, a Radunovi3 sarebbe stato sparato alla testa e ucciso.
Velizar Stoyi3, serbo, sarebbe sparito il 19 luglio 1998; lesame dei
suoi resti avrebbe rivelato ferite di arma da fuoco alla testa e alle
gambe e il segno di una fune intorno al collo.
Il 27 luglio 1998 o nei giorni immediatamente circostanti, un koso-
varo albanese di nome Malush Shefki Meha scompariva. Nel mese
di agosto 1998, un rom di nome Xhevat Berisha scompariva. Il fi-
glio di Kemajl Gashi, kosovaro albanese, vedeva per lultima volta
suo padre in una caserma dellUck, il cui comandante gli riferiva
che il padre era stato arrestato come spia serba; il figlio avrebbe
sentito i militari dellUck picchiare suo padre. Il 10 luglio 1998 o nei
giorni immediatamente circostanti, un kosovaro albanese cattolico
di nome Pal Krasniqi sarebbe andato presso un quartiere generale
dellUck per arruolarsi; Krasniqi sarebbe rimasto in questo quartie-
re generale per qualche giorno prima di essere arrestato come spia;
successivamente Krasniqi sarebbe stato picchiato pesantemente fi-
no a quando avrebbe fatto una falsa confessione; lultima volta sa-
rebbe stato visto vivo il 26 luglio 1998 o nei giorni immediatamente
circostanti presso il quartiere generale dellUck.
Il Tribunale stava contando sulla Kfor e sullUnmik per larre-
sto e il trasferimento allAia di Haradinaj. Nel corso del novem-
bre 2004, lUfficio della Procura in contatto con il comandante
francese della Kfor, il tenente generale Yves De Kermabon, che
chiede solo dieci o quindici giorni di preavviso per preparare i
piani operativi per effettuare larresto di Haradinaj e fronteggia-
re gli eventuali disordini sociali che potrebbero scoppiare come
reazione a esso. Haradinaj viene a sapere dellincriminazione l8
marzo 2005, pronuncia un discorso patriottico in cui nega ogni
colpa, e, a suo merito, si dimette immediatamente annunciando
che si consegner il giorno dopo. Grazie in gran parte alle pres-
sioni degli Stati Uniti e dellUnione europea, non ci sono n ma-
nifestazioni n violenze. Il capo dellUnmik, Sren Jessen-Peter-
sen, sembrerebbe pi contrariato di Haradinaj stesso per lincri-
minazione. Jessen-Petersen ha stretto rapporti di amicizia con
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Haradinaj e non ne fa mistero in un comunicato che emette il
giorno dopo:
Non posso nascondere che le sue dimissioni lasceranno un grosso
vuoto. Grazie alla dinamica leadership di Ramush Haradinaj, alla
forza del suo impegno e della sua prospettiva, il Kosovo oggi pi
vicino che mai alla realizzazione delle sue aspirazioni nel determi-
nare il proprio status futuro. Personalmente mi rattrista di non po-
ter lavorare pi con un partner e un amico come lui.
Nella sua decisione odierna, Mr Haradinaj ha ancora una volta po-
sto gli interessi del Kosovo al di sopra di quelli suoi personali. im-
portante che il popolo del Kosovo risponda con la stessa dignit e
maturit dimostrata da Ramush Haradinaj.
Comprendo il senso di choc e di rabbia provocato da questa svolta.
Faccio appello per al popolo del Kosovo perch esprima i suoi
sentimenti con mezzi pacifici. Una risposta violenta non aiuter il
Kosovo. Far solo gli interessi di coloro che sono determinati a fer-
mare il progresso del Kosovo. Sar un grosso passo indietro ri-
spetto a tutto quello che il Kosovo ha realizzato recentemente e
vanificher tutte le ultime conquiste, e particolarmente quelle rea-
lizzate durante la leadership di Mr Haradinaj.
La decisione annunciata da Mr Haradinaj di cooperare con il Tribu-
nale, nonostante la sua ferma convinzione di innocenza, bench sia
dolorosa per lui, per la sua famiglia, per il Kosovo e per i suoi tanti
amici e partner, Unmik compreso, al tempo stesso un esempio
della crescente maturit politica del Kosovo quale membro respon-
sabile della comunit internazionale. Sono fiducioso che Mr Hara-
dinaj sar ancora in grado di servire il Kosovo per il cui futuro
migliore ha tanto sacrificato e tanto contribuito.
importante che tutti noi manteniamo la calma e la dignit in que-
sti giorni difficili...
8
Le parole elogiative di Jessen-Petersen sembrano implicare
non solo che lUnmik debole e in balia degli albanesi che han-
no praticamente castrato la missione delle Nazioni Unite duran-
te i disordini del 2004, ma che il capo della missione dellOnu in
Kosovo, un rappresentante speciale del Segretario generale, si
schierato pubblicamente con Ramush Haradinaj in un processo
davanti al Tribunale delle Nazioni Unite. Si rilegga lultima fra-
se: importante che tutti noi manteniamo la calma e la dignit
in questi giorni difficili.... A quali noi Jessen-Petersen si riferi-
sce? Il giorno in cui Jessen-Petersen scrive il suo addio a Hara-
dinaj, limputato vola verso i Paesi Bassi a bordo di un aereo pri-
vato tedesco. Durante uno scalo in Germania, una guardia do-
nore in elmetti e guanti bianchi si presenta a rendergli omaggio.
A met marzo Haradinaj e gli altri imputati si dichiarano
non colpevoli. Un mese dopo il collegio di difesa di Haradinaj
presenta una mozione chiedendone la libert provvisoria. Hara-
dinaj presenta una dichiarazione scritta in cui si impegna a non
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interferire in alcun modo con nessuna delle vittime o dei testi-
moni. La difesa sostiene che Haradinaj gode di una ecceziona-
le reputazione personale e politica, e presenta attestazioni sul-
la sua persona sottoscritte da numerosi personaggi internazio-
nali di alto rango, politici, militari e diplomatici. Il generale
Klaus Reinhardt, che stato al comando della Kfor dallottobre
del 1999 alla primavera del 2000, dichiara che Haradinaj un
uomo di cui mi fido interamente e di cui ho cercato attivamen-
te il parere e che Haradinaj un politico con caratteristiche
di primordine che saranno un fattore chiave nella riconcilia-
zione dei diversi gruppi etnici in Kosovo. Da parte sua Jessen-
Petersen scrive che Haradinaj un uomo di dinamica leader-
ship e di forte impegno e prospettiva, e che ha mostrato di-
gnit e maturit con la decisione di costituirsi spontaneamen-
te. LUnmik, prevedibilmente, accetta di fornire le necessarie
garanzie per assicurare il rispetto da parte di Haradinaj delle
condizioni che la Camera giudicante volesse imporre. Aveva
preso la posizione esattamente opposta quando nel 2003 Fatmir
Limaj aveva chiesto la stessa libert provvisoria; in quella occa-
sione lUnmik aveva sostenuto di disporre di risorse limitate e
che, data la posizione geografica del Kosovo, sarebbe stato rela-
tivamente facile per un imputato fuggire in territori vicini... os-
sia al di l del confine tra le montagne senza legge dellAlta Al-
bania. Per Haradinaj, lo stesso Unmik che si era praticamente
svaporato durante i disordini del 2004, ora affermava in una di-
chiarazione confidenziale scritta di avere la piena autorit e il
controllo sullo stato della legge in Kosovo e di trovarsi in con-
dizione di fornire specifiche garanzie su Haradinaj. Il responsa-
bile in seconda dellUnmik, Larry Rossin, si presenta alludienza
sulla libert provvisoria e assicura alla Corte che lUnmik sotto-
st allobbligo di cooperare pienamente con il Tribunale.
La pubblica accusa si oppone alla richiesta di scarcerazione
di Haradinaj. I procuratori sostengono che c rischio di fuga
perch se fosse giudicato colpevole dei capi di imputazione
ascrittigli, probabilmente riceverebbe una condanna detentiva
considerevole. Il pericolo di una fuga di Haradinaj, per, non
lunica preoccupazione della Procura. La pubblica accusa, come
risulta chiaramente dalla sua relazione, teme che Haradinaj co-
stituisca un pericolo per testimoni e vittime e che la sua sola
presenza in Kosovo intimorisca i testimoni dellaccusa impe-
dendo loro di deporre. La Procura ha gi chiesto misure protet-
tive per un terzo dei testimoni che si propone di chiamare a de-
porre nel caso Haradinaj. La Procura non possiede informazio-
ni che qualche testimone sia stato intimidito, e tanto meno inti-
midito da Haradinaj, cosa che estremamente difficile da dimo-
strare. Ma cita numerosi episodi da cui si deduce che il Kosovo
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ancora un luogo estremamente pericoloso per un testimone
che deponga in un procedimento penale. Un testimone protetto,
in un altro caso, ha subito un tentativo di assassinio proprio
mentre la Camera giudicante stava decidendo se permettere a
Haradinaj di aspettare a casa linizio del processo. La Procura
sostiene che la scarcerazione provvisoria di Haradinaj indeboli-
rebbe in misura notevole la fiducia nutrita dai testimoni nei
confronti del Tribunale.
Alla fine, la Corte sentenza che non vi alcun dubbio che
lUnmik, rappresentando lamministrazione civile ad interim del
Kosovo ed essendo dotata della piena autorit per limposizione
della legge, cooperer pienamente e assister in ogni questione
connessa alle procedure in corso davanti al Tribunale. La Ca-
mera giudicante decide che non esiste alcuna prova che, se scar-
cerato, Haradinaj costituisca un pericolo per vittime, testimoni
o altri. Per un periodo di novanta giorni gli proibisce ogni appa-
rizione in pubblico e ogni attivit pubblica; ma gli permette di
partecipare alle attivit amministrative e organizzative del suo
partito politico. Scaduto il periodo di novanta giorni, la Camera
giudicante revoca in pratica il divieto, citando un rapporto del-
lUnmik in cui si prevedono effetti positivi dal coinvolgimento di
Haradinaj in attivit politiche pubbliche e dagli imminenti ne-
goziati sullo status finale del Kosovo.
Nel 1996 il Tribunale aveva vietato a Radovan Karadzi3 di
partecipare ad attivit politiche. Che genere di messaggio man-
dano adesso lUnmik e la Camera giudicante? Si immagini una
persona in Kosovo che debba decidere se correre il rischio di te-
stimoniare in Tribunale contro un imputato dellUck. Il Kosovo
soffre di una diffusa e sistematica intimidazione di testimoni
che sta avendo un impatto significativo sulle attivit processua-
li sia a livello locale sia davanti al Tribunale. Dichiaro al Consi-
glio di sicurezza delle Nazioni Unite che la subornazione dei te-
stimoni potrebbe avere influenzato il giudizio nel caso Limaj.
So che ogni apparizione pubblica di Haradinaj costituisce in
pratica un messaggio a chiunque stia decidendo se testimoniare
contro di lui, e presentiamo questa preoccupazione alla Camera
giudicante. Mi domando come mai gli amministratori interna-
zionali in Kosovo e, a quanto pare, i governi degli Stati Uniti e
del Regno unito stiano investendo cos tanto in Haradinaj. In un
incontro a Washington nel dicembre 2005, chiedo quanto sia
importante Haradinaj per gli Stati Uniti. Spiego che lUnmik
riuscito a convincere i giudici della Camera giudicante che quel-
luomo rappresenterebbe la chiave della stabilit del Kosovo. Mi
rispondono che gli Stati Uniti non lavoreranno con lui.
Il 15 dicembre 2005, in un discorso al Consiglio di sicurezza
dellOnu, riferisco dei problemi che stiamo avendo con lUnmik.
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Il mio ufficio incontra difficolt ad avere accesso a documenti
in possesso dellUnmik. A volte sono redatti o trasmessi in modo
tale da non poter essere usati in aula. Anche la cooperazione of-
ferta dallUnmik nella protezione dei testimoni stata in qual-
che caso meno che ottimale. Inoltre, il mio ufficio non convin-
to che lUnmik stia esercitando nel modo pi proprio il control-
lo sulle condizioni poste... per la scarcerazione provvisoria di
Haradinaj.
Il giorno dopo mi incontro con Kofi Annan per discutere del-
la situazione dellUnmik. I nostri testimoni non si fidano pi
dellUnmik. In questo stesso mese lUnmik ha fornito una tardi-
va e impropria risposta a un caso di minacce a un testimone.
LUnmik sta trasferendo le iniziative di polizia in Kosovo a loca-
li che erano stati militari dellUck e che, invece di proteggere i
nostri testimoni, li minacciano. Informo Annan di un manifesto
nel centro di Priytina con unimmagine di Haradinaj e una frase
in suo appoggio di Jessen-Petersen.
Sono daccordo, risponde Annan.
Lamentiamo che durante lautunno del 2005 il numero due
dellUnmik aveva partecipato a un matrimonio di un parente
stretto di Haradinaj.
Scarso giudizio politico, risponde Annan.
Il Segretario generale alla fine ci consiglia di dialogare con
lUnmik, come lui deve dialogare con gli stati membri. Haradi-
naj, dice Annan, visto come un uomo ragionevole in questa
compagnia di strani personaggi, ma non sta allUnmik decidere
chi debba essere il leader del Kosovo. Annan promette che cer-
cher di far rimuovere il manifesto e di interessarsi ai nostri
problemi. Mi sollecita di rimanere in contatto con Nicolas Mi-
chel, il sottosegretario dellOnu per gli Affari legali.
Seguo il suo consiglio. Il 15 marzo 2006 scrivo a Michel, rife-
rendogli nei dettagli la scarsa cooperazione ricevuta dallUnmik
dopo il mio incontro con il Segretario generale il 15 dicembre
2005. Lo informo che in diverse occasioni sono stata in corri-
spondenza con Jessen-Petersen e che questioni importanti solle-
vate in questo carteggio sono rimaste irrisolte. Dico a Michel
che la gestione dellUnmik della sicurezza dei testimoni in Koso-
vo continua a porre gravi problemi, sebbene abbia richiamato
lattenzione di Jessen-Petersen sulla questione almeno sei volte.
LUnmik non sta prendendo alcuna iniziativa per risolvere que-
sti problemi. Per esempio, il Tribunale e lUnmik hanno stabilito
un sistema per proteggere i testimoni pi delicati trasferendoli
rapidamente dalle loro case verso luoghi sicuri. Questo sistema
si basa su fascicoli contenenti le informazioni critiche sui testi-
moni protetti e le loro famiglie. LUnmik ha conservato questi
fascicoli fino allottobre 2005, quando stato convenuto che fos-
311
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sero consegnati al Tribunale. Membri dello staff del Tribunale si
sono incontrati con lUnmik per il trasferimento concordato, ma
lUnmik ha detto che tutti i fascicoli erano andati distrutti.
Quando lo staff del Tribunale ha chiesto una dichiarazione scrit-
ta da cui risultasse la distruzione dei documenti, la posizione
dellUnmik cambiata. Ora lo staff si sentito dire che i fascico-
li esistevano ancora e che sarebbero stati consegnati. Quando
c stata materialmente la consegna, per, met dei documenti
mancavano. Il Tribunale allora ha dovuto rivolgersi a un altro
funzionario dellUnmik che ha fornito il resto dei fascicoli.
Per me semplicemente incomprensibile, scrivo a Michel,
che fascicoli cos importanti e delicati possano essere gestiti
con tanta incuria e negligenza. Ho segnalato la cosa al rappre-
sentante speciale del Segretario generale, ma le nostre legittime
preoccupazioni sono state totalmente ignorate.
Sollevo anche un altro problema relativo alla protezione dei
testimoni: un grave conflitto di interessi che tocca un esponente
chiave della polizia dellUnmik, il cui coniuge stato assunto co-
me investigatore dal collegio di difesa di Haradinaj. LUnmik ha
riconosciuto che nello svolgimento delle sue mansioni, lagente
di polizia ha preso conoscenza di questioni riservate relative al
caso Haradinaj ed entrato in possesso diretto di fascicoli cru-
ciali relativi ai testimoni. Scrivo:
Jessen-Petersen ha proposto che questo agente semplicemente si
astenga da ogni attivit riguardante il caso Haradinaj, e che il suo
immediato sottoposto assuma le sue mansioni. Questo chiara-
mente inaccettabile. [Il funzionario di polizia] ha accesso a infor-
mazioni estremamente delicate sui testimoni e continua a essere il
superiore della persona responsabile di questioni di protezione dei
testimoni nel caso Haradinaj. Il conflitto di interessi palese e lim-
patto paralizzante che ha sui testimoni chiarissimo; inoltre, que-
sta situazione ha un ovvio effetto deleterio sulla fiducia del pubbli-
co nelle funzioni della polizia. Nonostante questo, lUnmik si mo-
stra ignaro di queste reali preoccupazioni e permette alla situazione
di permanere. Oserei dire che in qualsiasi sistema nazionale funzio-
nante una situazione del genere non sarebbe consentita.
LUnmik sta creando ostacoli anche per quanto riguarda le
prove documentali. Nonostante il fatto che il numero due del-
lUnmik, Larry Rossin, abbia assicurato in termini inequivoca-
bili alla Camera giudicante che avrebbe collaborato pienamente
con il Tribunale, lUnmik insiste a ricorrere a una norma del Tri-
bunale che gli consente di fornire determinati documenti in via
confidenziale anzich come materiale che possa essere presen-
tato in aula come prova. La norma del Tribunale era intesa prin-
cipalmente a proteggere informazioni di intelligence ricevute da
312
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stati sovrani, e non a permettere allorganizzazione delle Nazio-
ni Unite di impedire a un Tribunale delle Nazioni Unite di otte-
nere prove che potrebbero essere usate nei procedimenti in au-
la. Abbiamo rilevato ripetutamente questo uso improprio,
scrivo a Michel, ma lUnmik si rifiuta di modificare la propria
condotta.
Quando abbiamo richiesto informazioni riguardo alle indagini sul-
lassassinio di Tahir Zemaj nel 2003, abbiamo ricevuto una versione
riveduta del documento, con le informazioni pi importanti ritoc-
cate. In parole povere, un organismo dellOnu non pu trattare in
questo modo un Tribunale dellOnu, minando non solo la nostra
credibilit ma anche lautorit della legge pi in generale. Potr in-
teressarle sapere che disponiamo di informazioni credibili che
Tahir Zemaj stato ucciso perch stava raccogliendo materiale per
[il Tribunale per la Iugoslavia], in preparazione della sua testimo-
nianza nel caso Haradinaj et al. Questo rende ancor pi inaccetta-
bile che tali informazioni siano state sottratte [al Tribunale] e man-
da un segnale terribile agli interni che desidererebbero cooperare
con il mio ufficio.
Rilevo che Haradinaj si sta incontrando frequentemente con
funzionari di alto livello della Kfor e dellUnmik, compreso lo
stesso Jessen-Petersen. Questo mina la credibilit [del Tribuna-
le per la Iugoslavia] in Kosovo, manda un messaggio paraliz-
zante ai testimoni, ossia che Haradinaj sostenuto dai massimi
rappresentanti dellOnu in Kosovo, ed semplicemente inap-
propriato. Come si pu imporre lautorit della legge quando i
vertici dellUnmik prestano un cos aperto appoggio a una per-
sona imputata dei pi gravi crimini sotto la legge internaziona-
le?... Manda il segnale che le incriminazioni dellIcty sono insi-
gnificanti, che una persona incriminata bene accolta e anzi so-
stenuta dallUnmik ai massimi livelli. Sono sviluppi molto in-
quietanti e stanno vanificando in modo grave i nostri sforzi nel
caso Haradinaj.
Nessun cambiamento significativo interviene. Il manifesto di
Haradinaj resta al suo posto. Jessen-Petersen compare insieme
a lui, fianco a fianco, al funerale del primo presidente del Koso-
vo, Ibrajim Rugova. Alla fine di marzo, Jessen-Petersen annun-
cia che lui e Haradinaj intendono organizzare una partita di cal-
cio Danimarca-Kosovo. I giornali riportano che Haradinaj sta-
to autorizzato a partecipare alla cerimonia del Corpo di Prote-
zione del Kosovo e a sedersi accanto agli ambasciatori britanni-
co e statunitense.
9
E i testimoni della Procura continuano a de-
nunciare di aver subito minacce. La giustizia penale in Kosovo
cos inquinata dalla paura che alla fine di agosto del 2006 pro-
curatori e giudici del Kosovo stanno ostacolando le inziative
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dellUnmik di istituire ununit speciale che dovrebbe occuparsi
di crimini di guerra.
10
Il 5 marzo 2007 ha inizio il processo a Ramush Haradinaj e
ai suoi coimputati. Incentro la mia dichiarazione preliminare
sulle vittime, sui cadaveri scaricati presso il lago di Radonji3,
sulla paura dei testimoni della pubblica accusa:
I tre uomini si presentano davanti a voi accusati di crimini cri-
mini orrendi, crudeli e violenti; crimini di omicidio, deportazione,
tortura, stupro, sequestro, detenzione, e le pi brutali aggressioni;
crimini eseguiti di nascosto, lontano dagli occhi degli osservatori e
controllori internazionali. Non dubitate, come la pubblica accusa
dimostrer, che questi uomini questo signore della guerra con il
suo luogotenente e il suo carceriere hanno le mani sporche di
sangue.
Ed sangue di civili innocenti, vittime che non appoggiavano gli
imputati o la causa dellUck; vittime che molto spesso erano sole e
vulnerabili, e che sono state sistematicamente prese di mira, rapite,
assassinate e fatte sparire. Se questi imputati lavessero fatta fran-
ca, le loro vittime non si sarebbero mai pi riviste. Sarebbero sem-
plicemente state annoverate tra gli altri orrori di questo conflitto e
sarebbero letteralmente sprofondate senza lasciar traccia nelle
acque silenziose del lago di Radonji3, nel cuore della zona del
Dukagjin.
Ma le vittime assassinate, in questo caso non sono sparite. I loro
corpi e le loro storie sono stati scoperti, e nelle prossime settimane,
con laffiorare delle prove, vi parleranno, a loro modo, dalla tomba.
La voce di quelli che sono stati visti vivi per lultima volta nelle ma-
ni dellUck, i cui corpi restano dispersi o non identificati, si potr
sentire attraverso le parole angosciate dei loro cari sopravvissuti. Le
voci di alcuni di quelli che sono stati torturati e brutalizzati dal-
lUck si sentiranno direttamente in questaula. Forse non ce ne sa-
ranno molte di queste voci, perch questo non un caso, come altri,
che tratta stermini di massa e migliaia di morti.
Non saremo in grado di portare davanti a questa Corte le prove di
tutti i crimini che sono stati commessi in questa parte del Kosovo.
Sarebbe impossibile. Ma a mano a mano che i giorni di questo pro-
cesso passeranno, a mano a mano che ogni testimone sar esamina-
to e ogni documento prodotto, sono sicuro che questa Camera co-
mincer a penetrare nel mondo chiuso della zona di Dukagjin, che
ha costituito il cuore del clan Haradinaj, nel centro della base di po-
tere di Ramush Haradinaj. Forse, anche questo a differenza di ogni
altro caso, la geografia sar la chiave per capire i fatti. La geografia
stessa un altro dei testimoni silenziosi in questo caso, e inviterei
questa Corte a prestare particolare attenzione alle localit, alle di-
stanze, al raggio di azione delle attivit, allaccessibilit dei luoghi
che compariranno negli eventi. Vorr anche invitare la Camera giu-
dicante, al momento opportuno nel corso del processo, a fare una vi-
sita alle scene del crimine per vedere di persona quei luoghi.
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Non voglio giustificarmi; questo non sar un caso facile per la pub-
blica accusa. un processo che, francamente, qualcuno non avreb-
be voluto vedere, e che pochi hanno appoggiato con la loro coope-
razione, a livello locale e internazionale. Ma io ho insistito sullin-
criminazione, e lho presentata nella fiducia che la Camera giudi-
cante riterr le prove presentate dalla Procura convincenti e incon-
trovertibili.
La protezione dei testimoni che hanno avuto il coraggio di farsi
avanti stata, e continuer a essere, di importanza cruciale. Voi sa-
pete che molti testimoni sono riluttanti a deporre. Alcuni sono ad-
dirittura terrorizzati. Le intimidazioni e le minacce di cui i testimo-
ni sono stati fatti oggetto in questo caso sono state un problema
grave e protratto per gli individui interessati e per il pubblico mini-
stero. Questo problema non risolto. I testimoni continuano a rice-
vere minacce, minacce velate ma anche dirette. Proprio in questo fi-
ne settimana, il nostro primo testimone diretto e vittima...
La difesa fa obiezione, come prevedevo.
GUY-SMITH: Vostro Onore, se posso...
GIUDICE ORIE: Avvocato Guy-Smith.
GUY-SMITH: Ritengo che queste affermazioni non solo sono altamen-
te tendenziose, ma esorbitano del tutto dai limiti di una dichiara-
zione introduttiva.
GIUDICE ORIE: Signora Del Ponte, intesa comune che... tanto per fa-
re un esempio, che laddove i testimoni siano bene... se diranno la
verit o no, questa gi una valutazione di... quello che accadr
non appropriato a una dichiarazione di apertura. Mi chiedo se
ovviamente questa Corte dovr decidere in proposito non sta-
to ancora deciso, come ho gi detto, su questioni di protezione dei
testimoni, e ovviamente sentiremo parlare, chiaro, dal pubblico
ministero della necessit di tale protezione. Se non dovessero esse-
re necessari ulteriori dettagli in relazione alla riluttanza dei testi-
moni a deporre, e questo uno dei problemi da voi incontrati nel
preparare questo... nella preparazione di questo caso, suggerirei di
procedere a sentire da lei quali prove ci porter, a meno che lei non
dissenta da me, e allora vorrei sentire la sua versione.
DEL PONTE: Signor Presidente, sto solo informando la Corte che que-
sto fine settimana che questo fine settimana ho ricevuto
uninformazione su minacce che un testimone ha ricevuto adesso.
GIUDICE ORIE: Ho capito che questo...
DEL PONTE: E allora mi domando perch non posso informare la
Corte di un evento, di fatti che si sono verificati durante il fine setti-
mana e che sono direttamente connessi con questo processo. Per-
ch, signor Presidente, se non ho testimoni che si presentano in au-
la, sar costretta a ritirare lincriminazione.
GIUDICE ORIE: Signora Procuratore, penso che non ci sia niente di
inappropriato nellinformare la Corte delle minacce. Ma se, alla di-
chiarazione introduttiva, dove in termini generali lei ha precisato
che questo punto di grande interesse per la Procura, se approfon-
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dire i dettagli, dove non saremo in grado di indagare ulteriormente
la questione, se questo sia il modo migliore di procedere, questio-
ne dubbia. Un secondo.
[La Corte conferisce]
GIUDICE ORIE: La Camera la invita a procedere.
DEL PONTE: La Camera ha gi garantito misure protettive a pi di un
terzo dei nostri testimoni. So che lei capisce e si rende conto delle
difficolt che incontrano i testimoni a deporre contro questi impu-
tati. Ma quello che voglio dire, signor Presidente, che nutro piena
fiducia che prenderete ogni misura possibile per permettere ai te-
stimoni di raggiungere lAia per testimoniare in tutta sicurezza e
per permettere che la verit sia ascoltata. Signori della Corte, non
c stato niente di nobile o di eroico nei crimini di questo caso. Non
c stato nulla di patriottico o di virtuoso. Erano omicidi brutali e
sanguinosi. I tre imputati erano gangster in uniforme e in pieno
controllo, e come la Corte vedr, questa si rivelata una combina-
zione sinistra e letale per le vittime di questo caso.
Cos ha inizio il processo. I miei anni presso il Tribunale fini-
ranno prima che la Camera giudicante abbia preso una decisio-
ne sul caso.
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La morte del giudice May aveva reso ancora pi nera lombra
che lassassinio di Zoran Djindji3 aveva gettato sul processo Mi-
loyevi3. Durante i giorni estivi prima dellinizio degli interventi
della difesa di Miloyevi3, la squadra della Procura si preparava a
controinterrogare i testimoni che Miloyevi3 aveva chiesto di
chiamare. (La lista iniziale era di circa millequattrocento testi e
comprendeva studiosi e politici, militari e diplomatici dei mag-
giori paesi occidentali.) Altre squadre investigative dellUfficio
della Procura stavano lavorando per presentare le ultime incri-
minazioni del Tribunale alla Camera giudicante prima della fine
del 2004, secondo quanto imponeva la strategia di completa-
mento adottata dal Consiglio di sicurezza. Era ancora troppo
presto per valutare lentit del danno che la strategia di comple-
tamento avrebbe portato ai nostri sforzi di veder fatta giustizia.
Ma fin dallinizio era chiaro che le scadenze fissate dal Consiglio
di sicurezza stavano avendo un effetto deleterio. Poco mi conso-
lava la notizia che i serbi avevano formato un nuovo governo di
minoranza che per sopravvivere doveva sottostare alle bizze del
Partito socialista di Miloyevi3. Koytunica ora era tornato, come
primo ministro della Serbia; Boris Tadi3 aveva lasciato il mini-
stero della Difesa e aveva vinto le elezioni presidenziali; e gli ul-
tranazionalisti militanti, i radicali di Yeyeli, controllavano un
terzo del Parlamento e soffocavano qualsiasi cosa sapesse di
concessione allOccidente. Ricordo di essermi lamentata che la
popolazione serba in et di voto cos ridotta dallemigrazione
dei giovani pi intelligenti e motivati che era cominciata allini-
zio degli anni novanta, e cos intimorita, come mi aveva detto
Djindji3, dai comunisti e dai nazionalisti sembrava incapace
di rinnovare la faccia della politica. Non cerano molti motivi
per pensare che la cooperazione di Belgrado con il Tribunale do-
12.
Belgrado: dal 2004 al 2006
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vesse migliorare. Come si poteva mai credere alla Serbia come
forza stabilizzatrice nei Balcani?
Il 29 giugno 2004 sono di nuovo davanti al Consiglio di sicu-
rezza delle Nazioni Unite. Qui non ho da riferire nessuna novit
positiva rispetto alla mia ultima apparizione nel dicembre pre-
cedente. Le autorit dellUnione degli stati di Serbia e Montene-
gro non hanno mostrato pressoch alcuna collaborazione. Il
paese dai due nomi un rifugio sicuro per almeno quindici lati-
tanti, tra cui il generale Mladi3. A questo punto sono cos diffi-
dente nei confronti delle autorit belgradesi che sono esitante a
condividere con loro le mie informazioni. Lultima volta che le
avevo informate sulla localizzazione di un latitante di alto livel-
lo, un uomo colpito da imputazioni relative al massacro di Sre-
brenica, Belgrado aveva giudicato inappropriato il momento
politico per effettuare larresto; poi, come per una semplice
combinazione, il fuggiasco era sparito. Il mio rapporto si con-
clude cos: Nutro fiducia che il Consiglio si renda conto che se
questo pattern di non cooperazione dovesse continuare, non so-
lo gli obiettivi posti dalla strategia di completamento saranno
messi a repentaglio, ma potrebbero essere a rischio anche tutte
le acquisizioni positive del Tribunale.
Occorrono solo poche settimane perch il presidente del
Consiglio di sicurezza emetta una dichiarazione ufficiale che
non fa niente di pi che esigere, ancora una volta, che Serbia e
Montenegro cooperino con il Tribunale e arrestino Mladi3 e Ka-
radzi3. Questa dichiarazione presidenziale appare tanto pi pri-
va di mordente in quanto, qualche giorno dopo il mio discorso a
New York, qualcuno allinterno del ministero degli Esteri di Bel-
grado aggiunge al danno la beffa. Alle 9.30 di marted 13 luglio
funzionari del Tribunale consegnano alle autorit competenti di
Belgrado un mandato di arresto per Horan Hadzi3, lex presi-
dente dellautoproclamata repubblica che Miloyevi3 e lesercito
nazionale iugoslavo hanno ritagliato dal territorio croato nel
1991. Il Tribunale ricerca Hadzi3 per complicit e istigazione
nella persecuzione di civili croati e altri non serbi nella repub-
blica ribelle serba in Croazia; militari serbi e membri di gruppi
paramilitari avevano ucciso centinaia di questi civili, comprese
donne e anziani, ed espulso centinaia di migliaia di persone dal-
le loro case. Un amico del Tribunale tiene Hadzi3 sotto sorve-
glianza al tempo in cui stata emessa lincriminazione. Vive a
Novi Sad, una citt sul Danubio a nordovest di Belgrado. in
calzoncini corti e sta lavorando nel suo giardino quando, qual-
che ora dopo la presentazione del mandato a Belgrado, il suo
cellulare squilla. La conversazione, la soffiata di qualcuno del
ministero degli Esteri, dura pochi secondi. Hadzi3 si precipita
in casa e ricompare dopo qualche minuto in pantaloni lunghi e
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con una valigia. Quindi sale in auto e sparisce. Losservatore lo
fotografa mentre riceve la telefonata e mentre fugge. Pubbli-
chiamo queste fotografie per svergognare le autorit di Belgra-
do. Lo stesso giorno riceviamo anche informazioni che il gene-
rale Ratko Mladi3 risiede presso la cittadina serba di Zajejar, vi-
cino al confine con la Bulgaria.
La pressione degli Stati Uniti e dellUnione europea, la mia
relazione al Consiglio di sicurezza sul flagrante rifiuto di Bel-
grado di cooperare, i servizi della stampa internazionale sul no-
no anniversario del massacro di Srebrenica e le scandalose im-
magini di Hadzi3 in fuga contribuiscono evidentemente a indur-
re il primo ministro Koytunica a cambiare atteggiamento nei
confronti del Tribunale. Non si ancora posata la polvere che
Hadzi3 ha lasciato dietro di s con la sua fuga che Koytunica no-
mina un incaricato speciale, Nebojya Vujovi3, responsabile delle
relazioni con il Tribunale; poi Koytunica manda Vujovi3 a infor-
marci che Belgrado ora fermamente decisa a rispettare i suoi
obblighi. Vujovi3 rifiuta di entrare nella sede del Tribunale dalla
porta principale. Quando lo abbiamo fatto arrivare, inosservato,
nel mio ufficio, e fatto sedere al tavolo delle riunioni, proclama
che il Tribunale diventato la questione di politica estera pi
pressante di Belgrado. Il futuro della Serbia, dice, dipende dalla
cooperazione con il Tribunale. Determiner se la Serbia sar
ammessa al processo di adesione allUnione europea. Determi-
ner se militarmente la Serbia ha qualche chance di entrare a
far parte della Nato. Per questo motivo, dice Vujovi3, la Serbia
desidera risolvere, in maniera rapida e razionale, tutte le que-
stioni rimaste in sospeso con il Tribunale. Questa storia laveva-
mo gi sentita uguale quattordici mesi prima.
Quindi Vujovi3 comincia una presentazione che in seguito
tra i miei collaboratori e me chiameremo il discorso dellorso
nel bosco, perch Vujovi3 usa questa analogia per descrivere in
che modo la Serbia intenda dare la caccia a tutti i suoi ricercati
di secondo piano, indurli a consegnarsi spontaneamente, e
quindi isolare e catturare Mladi3, lorso nel bosco, e trasferirlo a
noi entro due o tre mesi. I servizi di sicurezza civili e militari di
Belgrado, ci assicura, ora stanno cooperando con agenzie di in-
telligence straniere per localizzare Mladi3. Ma, avverte, anche
altri imputati, come Goran Hadzi3 e quattro dei generali della
polizia e dellesercito che il Tribunale ha incriminato in relazio-
ne con la pulizia etnica nel Kosovo Sreten Luki3, Vladimir La-
zarevi3, Vlastimir Djordjevi3 e Nibojya Pavkovi3 dovranno es-
sere processati in Serbia come passo preliminare prima dellla
consegna allAia. Vujovi3 dice che figure influenti della societ
serba, come sua santit il patriarca Pavle, capo della chiesa or-
todossa serba, manderanno a Mladi3 un messaggio chiaro.
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Vujovi3 annuncia che una campagna di informazione, anche
tramite la televisione, iniziata una settimana prima per spiega-
re con chiarezza al popolo serbo che il paese ha bisogno di un
nuovo approccio al Tribunale. Quindi aggiunge: Siamo tutti al
corrente di quello che accaduto a Srebrenica, e dobbiamo
mettere fine a questa situazione imbarazzante... Vediamo inte-
ressi convergenti tra lUfficio della Procura e il nostro stato: noi
desideriamo integrarci nellUnione europea, e voi desiderate
concludere il lavoro del Tribunale... Faremo del nostro meglio
per aiutarvi, se voi ci aiutate. Un rappresentante degli Stati
Uniti presente e prende appunti su tutto ci che Vujovi3 sta
promettendo.
Insomma, penso, o il messaggio che la Serbia sta sentendosi
ripetere da quasi dieci anni sta cominciando finalmente a rag-
giungere Koytunica, o Koytunica ha in qualche modo fatto in-
tervenire gli americani per aiutarlo a costruire un grande muro
di gomma. Tocco il dato di fatto imbarazzante della fuga di Go-
ran Hadzi3. Sapevamo dovera, dico. Lincriminazione era se-
greta. Ma trapelata lo stesso alla stampa. Vujovi3 dice che
Koytunica non ha niente a che fare con la fuga di Hadzi3 o con
la fuga di notizie, e sostiene che lincriminazione arrivata nel
momento peggiore possibile, proprio quando Belgrado stava co-
minciando a implementare la sua nuova strategia.
Sono scettica, a dir poco, sulla capacit di Belgrado di con-
durre legittimi processi ai criminali di guerra. Il sistema giudi-
ziario della Serbia si trova in questo momento in una sorta di
realt virtuale in cui i prescelti di Miloyevi3 e i suoi fedeli occu-
pano ancora posizioni chiave. Ma so che gli Stati Uniti stanno
fornendo al governo serbo una significativa assistenza tecnica
per istituire una corte penale locale sui crimini di guerra, che
presto offrir a Belgrado aiuto finanziario per la protezione dei
testimoni. Cos propongo di fornire loccasione per cominciare a
mettere alla prova lintegrit di questo nascente sistema giudi-
ziario: presenter una mozione alla Camera giudicante chieden-
dole di trasferire sotto la giurisdizione di Belgrado un caso rela-
tivamente semplice. Certamente non si tratter del caso Hadzi3
o di uno dei casi contro i quattro generali incriminati in relazio-
ne alla pulizia etnica in Kosovo. Dovete darmi Hadzi3 e Mla-
di3, dico. Dei generali possiamo parlarne in un secondo mo-
mento... Dovete arrestare Hadzi3 questa settimana, e Mladi3 la
settimana prossima.
Mladi3, gli ricordo, dispone di reti di protezione connesse
con i militari, e questi potrebbero trovare pi conveniente ucci-
derlo. Poi lancio una stoccata al generale Krga, il capo di stato
maggiore dellesercito iugoslavo, ribattezzato a quanto pare
esercito di Serbia e Montenegro, che, insieme con il generale
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Aco Tomi3, confidente di Koytunica e angelo custode di Mladi3,
mesi fa mi aveva mentito spudoratamente dichiarando che le-
sercito non stava proteggendo Mladi3. Krga pu esservi di aiu-
to, dico a Vujovi3 con tutto il sarcasmo di cui sono capace. Nel
maggio 2003 ho passato informazioni sullubicazione di Mla-
di3... e so che Mladi3 ha ricevuto queste informazioni subito do-
po. Dopo la discussione, Vujovi3 e lamericano sgusciano via
dalla porta posteriore del Tribunale, apparentemente senza es-
sere riconosciuti.
Aspettiamo. I telefoni squillano, ma le chiamate non ci por-
tano nessuna notizia di arresti di Ratko Mladi3, Goran Hadzi3 o
altri latitanti serbi. Poi, dopo nove giorni di attesa, la Camera
giudicante annuncia la decisione che ha preso su una mozione
di rilascio dalla detenzione in attesa del processo di due degli
imputati che, secondo gli atti daccusa, hanno operato nellepi-
centro della violenta campagna di Miloyevi3 per impossessarsi
di territorio in Croazia e in Bosnia-Erzegovina. Questi due im-
putati sono Jovica Staniyi3 e Frenki Simatovi3, i responsabili
dei Berretti rossi, lunit paramilitare dei servizi di sicurezza
serbi, i cui membri sono implicati in crimini di guerra, oltre che
nellattentato a Zoran Djindji3 nel 2003. Pochi giorni dopo las-
sassinio di Djindji3, Staniyi3 e Simatovi3 si erano trovati in cu-
stodia della polizia locale; ma le autorit di Belgrado avevano
una tale paura di questi due operativi della polizia che il mini-
stro degli Interni Duyan Mihajlovi3 e il ministro degli Esteri Go-
ran Svilanovi3 mi avevano praticamente scongiurato di comple-
tare gli atti daccusa contro di loro in modo tale che Belgrado
potesse trasferirli allAia. Ora, mentre lUfficio della Procura fa il
possibile per tenere Staniyi3 e Simatovi3 dietro le sbarre, il nuo-
vo governo di Belgrado, lo stesso governo che ci ha appena col-
mato di parole damore, raccontato storielle di orsi nei boschi, e
non riuscito a fare nemmeno un arresto, si fa avanti e offre
una garanzia scritta che, se richiesto, arrester Staniyi3 e Sima-
tovi3 e ce li rimander.
La linea della Procura di appoggiare la libert provvisoria
solo per quegli imputati che si sono costituiti spontaneamente e
che hanno accettato di farsi interrogare dai nostri investigatori
e procuratori e di cooperare con il pubblico ministero. Staniyi3
e Simatovi3, a quanto ci risulta, non si sono consegnati volonta-
riamente; hanno accettato di venire allAia, ma solo per tirarsi
fuori da qualche squallida galera serba per poter alloggiare nel-
la struttura di Scheveningen, che al confronto un Club Med sul
Mare del Nord. Avrebbero potuto fornire unutile testimonianza
per quasi tutti i casi portati davanti al Tribunale per la Iugosla-
via, ma hanno preferito non dire nulla ai nostri investigatori. La
Procura sostiene che, dal momento che Staniyi3 e Simatovi3 ri-
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schiano la condanna allergastolo, molto probabile che fugga-
no come Hadzi3 piuttosto che tornare sotto la custodia del Tri-
bunale allo scadere della libert provvisoria. La Procura sostie-
ne che, una volta liberi, c un serio pericolo che Staniyi3 e Si-
matovi3 usino la loro influenza presso la polizia e il mondo del-
la malavita per intimidire i testimoni e le loro famiglie. In una
dichiarazione sottoposta alla considerazione della Camera giu-
dicante, un investigatore della Produra dice che un numero si-
gnificativo di potenziali testimoni, per i casi contro Staniyi3 e
Simatovi3 e per quello contro Miloyevi3, hanno gi rifiutato di
essere interrogati per i timori sulla propria sicurezza. Secondo
linvestigatore, hanno detto esplicitamente che se quegli uomi-
ni fossero in libert, non si sentirebbero abbastanza sicuri per
parlare con me. Uno dei potenziali testimoni della pubblica ac-
cusa informa linvestigatore di aver fatto parte dei Berretti rossi
e di considerare Staniyi3 e Simatovi3 le persone pi potenti del
paese e... che non intendeva contrariarle in quanto questo
avrebbe potuto avere conseguenze pericolose per lui.
Esigenze di segretezza mi impediscono di rivelare quello che
so delle raccomandazioni ricevute dalla Camera giudicante a fa-
vore della richiesta di libert provvisoria di Staniyi3 e Simato-
vi3; esigenze di segretezza mi impediscono anche di rivelare
qualcosa di quelle organizzazioni che potrebbero aver fornito
queste raccomandazioni, le quali, ovviamente, potrebbero an-
che non essere mai esistite. Alla fine, la Camera giudicante si
convince che, se messi in libert, i due imputati non costituireb-
bero un pericolo n per le vittime n per i testimoni. Nella loro
decisione, i giudici basano il loro ragionamento, tra laltro, sulle
garanzie personali di Staniyi3 e Simatovi3 e sul fatto che i giu-
dici hanno dato a entrambi lordine di non interferire con vitti-
me o testimoni.
Staniyi3 e Simatovi3 immediatamente raggiungono Belgra-
do. Basti dire che il nostro ufficio non ha poteri di polizia, e di-
mostrare lintimidazione di testimoni sarebbe unimpresa anche
se un procuratore avesse unintera forza di polizia a disposizio-
ne per indagare sulle accuse. Purtroppo, anche qui non sono li-
bera di parlare delle denunce dirette che potremmo aver ricevu-
to da potenziali testimoni che potrebbero aver avvertito la pre-
senza di altri due orsi nei boschi della Serbia. Ma posso dire che
qualche mese dopo la decisione della Camera giudicante di con-
cedere la libert provvisoria, un diplomatico occidentale che se-
gue da vicino gli sviluppi politici in Serbia e le sue relazioni con
il Tribunale, mi dice preoccupato che Staniyi3 implicato nelle
manovre di Mladi3 per rimanere in libert e che lo stesso gover-
no Koytunica ha finito per rammaricarsi della decisione di libe-
rarli.
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Il 31 agosto 2004 lAula 1 torna a prendere vita quando Mi-
loyevi3 comincia a presentare la sua difesa. Senza smentirsi,
non costruisce una difesa legale in senso convenzionale. Sceglie
piuttosto di buttarla in politica, di lanciare comizi ai suoi fede-
lissimi in Serbia e altrove sulla sua interpretazione della scom-
parsa della Iugoslavia:
C un fatto storico fondamentale da cui bisogna partire quando si
cerca di capire che cosa successo e che ha condotto a tutto ci che
accaduto nel territorio della Iugoslavia dal 1991 a oggi, ed que-
sto: la distruzione violenta di uno stato europeo, la Iugoslavia, che
derivata dalla condizione di stato della Serbia, lunico alleato del
mondo democratico in questa parte del mondo nel corso degli ulti-
mi due secoli.
Miloyevi3 quindi presenta la Serbia come una vittima e
nientaltro. Sostiene che la Germania, il Vaticano, gli Stati Uniti
e le nazioni dellUnione europea hanno cospirato per distrugge-
re la Iugoslavia. Afferma che nel 1991 i serbi in Croazia si trova-
vano di fronte al rischio imminente di genocidio. Descrive una
parata militare a Zagabria il 28 maggio 1991, durante la quale
Tudjman era comparso in ununiforme militare degna di Tito,
esibendo schiere di soldati armati di fucili automatici, forniti
presumibilmente dalla Germania. Miloyevi3, inutile dirlo, non
fa cenno al fatto che si era incontrato due volte con Tudjman
nelle settimane precedenti per contrattare la spartizione della
Bosnia-Erzegovina.
Poi Miloyevi3 definisce la guerra in Bosnia-Erzegovina come
una lotta di religione tra il cristianesimo e lIslam militante. An-
cora una volta definisce il Tribunale per la Iugoslavia unistitu-
zione illegale. Questo genere di difesa andr avanti per quasi
due anni, e per gran parte di questo periodo Miloyevi3 concen-
tra la propria retorica su questioni storiche legate al Kosovo e
non alla Bosnia-Erzegovina o alla Croazia. Va detto, a merito
del Tribunale, che due giorni dopo che Miloyevi3 ha iniziato la
sua dichiarazione di apertura, la Camera giudicante cerca di im-
porre una sorta di collegio di difesa. Ma il tentativo si smonta
dopo che Miloyevi3 e molti dei suoi testimoni rifiutano di coo-
perare con gli avvocati nominati dufficio dalla Corte, Steven
Kay e Gillian Higgins, i britannici amici curiae che avevano se-
guito il processo fin dai primissimi giorni. Il tentativo salta
quando Miloyevi3 vince un appello di contestazione alliniziati-
va della Camera. Ora, mentre i mesi passano, i giudici si trovano
in presenza di una circostanza terribile: il tempo concesso per la
presentazione della linea di difesa sta scadendo e Miloyevi3 non
ha presentato nessuna difesa riconoscibile come tale per le due
componenti dellargomentazione avanzata dalla Procura che so-
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no probabilmente le pi forti: i capi di imputazione relativi a
crimini commessi in Bosnia-Erzegovina e in Croazia. Questa si-
tuazione incredibile, penso, non si sarebbe mai verificata se la
Camera giudicante avesse obbligato Miloyevi3 ad accettare fin
dallinizio il collegio di difesa assegnatogli dufficio.
Verso linizio di ottobre arriva il momento di tornare a Bel-
grado per preparare un altro rapporto al Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite sulla cooperazione di Serbia e Montenegro
con le iniziative del Tribunale. Abbiamo concluso la nostra atte-
sa di Mladi3 senza fanfare, anche se qualche settimana prima
Belgrado ci aveva informato che le sue agenzie di intelligence ci-
vile e militare, insieme con rappresentanti di governi amici, ave-
vano istituito una speciale cellula investigativa il cui unico sco-
po era quello di arrestare Mladi3. Veniamo a sapere che la mo-
glie e il figlio di Mladi3, Darko, sono sotto sorveglianza. Appren-
diamo che le perquisizioni condotte nella residenza di Mladi3 a
Belgrado e in una casa in un villaggio sul monte Zlativor, una-
rea rurale adiacente al confine serbo con la Bosnia, non hanno
dato risultati. (A quanto ricordo, in questo periodo che sento
dire che Mladi3 si dedica allapicoltura e vive nei pressi di Valje-
vo in un cottage da villeggiatura di propriet dellesercito. Quin-
di a quanto pare lorso davvero nel bosco.)
Allinizio del colloquio che ho con lui il primo ottobre, Ko-
ytunica riconosce quel che ovvio: che anche se la Serbia riu-
scisse in qualche modo a catturare la ventina di ricercati ancora
in libert in Serbia e nellentit serba in Bosnia-Erzegovina, la
cooperazione del governo di Belgrado sarebbe giudicata solo
dalla sua capacit di arrestare Ratko Mladi3. (Karadzi3, laltro
latitante di alto profilo, considerato un problema della Repu-
blika Srpska e della Nato.) Koytunica mi d la sua assicurazio-
ne, esattamente come cinque mesi prima aveva fatto Vujovi3,
che la Serbia e paesi amici stanno facendo il possibile per trova-
re Mladi3 e individuare gli altri fuggiaschi, a eccezione dei quat-
tro generali incriminati in relazione al Kosovo. Arrestare i gene-
rali sarebbe politicamente molto arduo, spiega, data la questio-
ne dello status futuro del Kosovo. In Serbia c un tribunale in
grado di svolgere questo lavoro, assicura. Il governo perfet-
tamente consapevole della necessit di cooperare, ma ha anche
la responsabilit della situazione politica del paese.
Ringrazio Koytunica. Finalmente, dopotutto, ha ammesso
che la Serbia deve cooperare. Gli ricordo, per, che sono passa-
ti mesi senza alcun arresto, anche dopo che il Tribunale e altri
avevano fornito a Belgrado informazioni tempestive che rivela-
vano dove si trovassero i ricercati. Comprendo le difficolt del
paese, dico. Ma ho bisogno di vedere risultati per poter anda-
re davanti al Consiglio di sicurezza dellOnu e dire che la Serbia
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sta offrendo piena collaborazione. Lo informo che abbiamo ap-
pena ricevuto informazioni da fonti di intelligence che Mladi3
ha levato le tende da Olpenac, una cittadina a sud di Belgrado, e
che ora si trova sotto sorveglianza in un complesso militare pro-
prio nella capitale. Gli dico anche che le nostre informazioni
contengono un particolare inquietante: le autorit serbe non
starebbero eseguendo larresto di Mladi3 perch Belgrado inten-
de, in cambio della sua consegna, chiedere garanzie alla comu-
nit internazionale che il Kosovo continuer a far parte della
Serbia.
Koytunica fa una risatina.
Poi gli chiedo di bloccare la pensione militare di Mladi3.
Koytunica conferisce con i suoi consiglieri, che immediatamen-
te rispondono che le leggi locali rendono impossibile sospende-
re i benefici di pensione di Mladi3. Trovo la cosa totalmente as-
surda. (Si immagini un uomo accusato di omicidi di massa che
se ne va in giro libero in un paese con la possibilit di incassa-
re la pensione per mantenersi. Ora si immagini un governo che
afferma di non poter congelare il conto bancario del latitante e
nemmeno trasferire la pensione su un fondo di garanzia fino
alla sua resa. E ora si immagini un governo che non mette agli
arresti un uomo accusato di omicidi di massa ma arriva solo a
chiedergli gentilmente di costituirsi. Questo mondo distorto
quello che Koytunica sta chiedendoci di accettare.) Quindi
chiedo a Koytunica che cosa succederebbe una volta accertato
che la politica del governo di convincere i latitanti a consegnar-
si spontaneamente non desse esiti. Visto che la domanda non
produce una risposta soddisfacente, gli dico che voglio che il ri-
cercato venga arrestato e consegnato. Non posso aspettare al-
linfinito che le autorit serbe lo convincano a costituirsi volon-
tariamente.
Lancio unesca a Koytunica quando gli dico che lUfficio del-
la Procura pronto a cooperare con i procuratori locali e a ri-
trasferire alcuni casi a Belgrado. Koytunica a questo punto mi
ricorda che, nonostante voci e promesse, il Tribunale non ha in-
criminato nessun leader della milizia albanese che tante soffe-
renze ha inflitto ai serbi in Kosovo. Rispondo che entro la fine
dellanno lUfficio della Procura presenter unincriminazione
contro un alto grado della milizia albanese kosovara, lEsercito
di liberazione del Kosovo, nonostante il fatto che n la Serbia n
le organizzazioni internazionali di stanza in Kosovo ci avessero
dato una cooperazione di qualche rilievo. Lo informo che il suo
ministro della Giustizia, Vladan Bati3, ha continuato ad assicu-
rare che avrebbe fornito allUfficio della Procura pile di docu-
menti per le indagini sullEsercito di liberazione del Kosovo, ma
che questi documenti sono risultati di nessuna utilit.
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Il 10 ottobre il Tribunale ha un colpo di fortuna. La squadra
ricerche dellUfficio della Procura riceve una soffiata sul luogo
in cui si trova Ljubiya Beara, un ex subordinato di Ratko Mladi3
nellesercito serbo-bosniaco che era stato incriminato per reati
di genocidio, omicidio e altri in connessione con loccupazione e
la pulizia etnica dellarea protetta di Srebrenica e il susseguente
massacro degli ottomila musulmani, adulti e ragazzi. Beara al-
loggia a un tiro di schioppo da Belgrado. Informiamo immedia-
tamente le autorit serbe che se, dopo limbarazzo in cui si sono
trovate dopo la fuga di Hadzi3, sono davvero intenzionate a di-
mostrare la volont di cooperare con il Tribunale, devono cir-
condare la casa di Beara, prenderlo in custodia e trasferirlo im-
mediatamente allAia. Passiamo linformazione anche agli Stati
Uniti. Beara non pu far altro che arrendersi, ma il governo di
Belgrado continua a tenere in piedi la finzione che si sia conse-
gnato volontariamente. Viene trasportato da Belgrado a Rotter-
dam con un aereo privato, accompagnato dal ministro della
Giustizia che mi telefona perch lo vada a prendere allaeropor-
to. Sono l ad aspettarlo verso le undici di sera quando laeropla-
no raggiunge il terminal. Mi aspetto di sentire qualcosa di signi-
ficativo, qualche messaggio confidenziale, qualche notizia sugli
arresti in atto. A quanto pare per il ministro mi ha chiamata al
solo scopo di farmi assistere a come lui e Beara, il presunto or-
ganizzatore intermedio del massacro di Srebrenica, si abbrac-
ciano e si salutano con i soliti baci sulle guance del rituale bal-
canico un attimo prima che il personale della sicurezza metta le
manette a Beara e lo spedisca al penitenziario di Scheveningen.
chiaro che Beara ha ricevuto qualche genere di tangibile ri-
compensa per essersi arreso. Non ho mai saputo cosa ci fosse
nel pacchetto di incentivi di cui le autorit serbe lo hanno grati-
ficato. Gira la voce che Belgrado stia sventolando pagamenti in
denaro sonante e persino automobili nuove davanti agli occhi
degli altri accusati del Tribunale. Ora pi che mai il Tribunale
ha bisogno che questa strategia funzioni. I processi si stanno
trascinando da anni, e la fine del 2008 si avvicina a grandi passi.
Un mese dopo larresto di Beara, comincio a pensare che
forse la strategia delle rese volontarie ci potrebbe far prende-
re lorso in persona. Duyan Mihajlovi3 e Nataya Kandi3 si in-
contrano con me nella sala Vip del terminal dellaeroporto di
Zurigo. Mihajlovi3 dice di aver ricevuto un messaggio di mem-
bri dellentourage della sicurezza di Mladi3, di cui si rifiuta di
rivelare lidentit. Il messaggio dice che Mladi3 disposto a
consegnarsi alle autorit in Bosnia, Serbia o Grecia, solo se la
sua famiglia ricever appoggio finanziario e solo se potr
scontare la condanna in Russia. Non posso prendere per buo-
na a occhi chiusi questa offerta. Voglio le prove che viene dav-
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vero da lui, insisto. Ho bisogno di una foto recente e di un
campione della sua grafia. I fondi, continuo, non saranno un
problema. Gli Stati Uniti o qualcun altro potrebbe aiutarci a
trovare il denaro. Quanto allo scontare in Russia la condanna,
parler con il presidente del Tribunale e vedr se Mosca, che
non ha accordi bilaterali con il Tribunale e, come il Vaticano,
solo controvoglia risponde alle nostre lettere o riconosce di
aver ricevuto da noi richieste di assistenza, far i passi neces-
sari. Lincontro di Zurigo, per, finisce in un nulla di fatto.
Passano altre settimane. Comincio a pensare che il nuovo at-
teggiamento esibito da Koytunica, sia tramite il suo inviato
speciale Vujovi3 in luglio, sia di persona durante il nostro col-
loquio di ottobre, in realt non sia altro che lennesimo muro
di gomma.
Parto in volo per gli Stati Uniti da Zurigo subito dopo lin-
contro con Mihajlovi3 e ancora una volta parlo al Consiglio di
sicurezza dellOnu della mancanza di cooperazione della Serbia.
Venti latitanti circa si aggirano ancora liberi per le aree control-
late dai serbi, e tra questi vi sono Karadzi3, Mladi3, i quattro ge-
nerali ricercati in relazione agli eventi in Kosovo del 1999, e di-
versi imputati per crimini relativi al massacro di Srebrenica.
Sottolineo che il Tribunale non riuscir a rispettare gli obiettivi
fissati dal Consiglio di sicurezza a meno che questi accusati non
vengano processati allAia. di importanza cruciale che gli ar-
resti vengano eseguiti al pi presto possibile per poter celebrare
processi congiunti di tutti gli imputati incriminati in relazione
agli stessi atti criminali per esempio tutti gli accusati incrimi-
nati in connessione con il massacro di Srebrenica per evitare
di duplicare processi e sprecare tempo e risorse preziosi. Il pri-
mo ministro Koytunica ha detto chiaramente di non aver inten-
zione di arrestare i latitanti, ma solo di convincerli a costituirsi
di loro spontanea volont, dico. Il governo serbo ha deciso de-
liberatamente di ignorare i propri obblighi legali... Nel comples-
so, la mancanza di cooperazione da parte di Belgrado resta lo-
stacolo pi importante affrontato dal Tribunale nellapplicazio-
ne della strategia di completamento.
Alcune settimane dopo riceviamo linformazione che Ratko
Mladi3 in Bosnia-Erzegovina, ossia entro il raggio dazione
della forza di pace Nato. La nostra fonte dice che si trova nei pa-
raggi del suo villaggio natale di Kalinovik, una municipalit rac-
chiusa dalle montagne, e che frequenta una chiesa locale per i
servizi religiosi. Lo comunichiamo immediatamente alla Nato e
aspettiamo di vedere che cosa accadr. La Nato risponde che
non pu entrare in azione. Il preavviso stato troppo breve. La
localit troppo difficile da raggiungere via terra. Gli elicotteri
sarebbero inefficaci.
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Non so che cosa sia stato, esattamente, a guidare gli sforzi
di Belgrado tra la fine del 2004 e linizio del 2005 a esercitare
pressione affinch i ricercati del Tribunale si costituissero vo-
lontariamente. Forse la corsa a cooperare aveva avuto inizio
perch eminenti esponenti della chiesa ortodossa serba aveva-
no cominciato a lamentare che i loro concittadini stavano sci-
volando nella penuria per colpa di pochi individui ostinati che
rifiutavano di consegnarsi. Forse si era diffusa la notizia tra le
stanze del governo che gli Stati Uniti erano disposti davvero a
pagare premi in denaro a chi avesse fornito informazioni che
portassero allarresto dei ricercati del Tribunale, cos come quel
laboratorio medico a Locarno era disposto a pagare ai miei fra-
telli e me una somma per ogni serpente velenoso catturato.
Forse un numero significativo di ricchi espatriati serbi stava
tornando a casa dallestero, facendo rientrare i loro patrimoni e
pretendendo, a porte chiuse, che il governo serbo normalizzas-
se le relazioni del paese con lEuropa e gli Stati Uniti. Forse
qualche donatore straniero si era fatto avanti e aveva permesso
alle autorit di rimpolpare il pacchetto di incentivi che il gover-
no poteva offrire ai latitanti in cambio della resa. (Un ministro
a Belgrado ci avrebbe detto in seguito che il governo non era ri-
corso al bilancio dello stato per attingere il denaro destinato a
questo scopo, anche se una legge gi esistente prevedeva attri-
buzioni di spesa di questo genere ed esisteva anche una linea di
budget. Una cosa che mi induceva a domandarmi: da dove pro-
viene il denaro per le taglie?) Forse Koytunica aveva ammesso
con se stesso che le sue politiche stavano portando la Serbia al-
lisolamento diplomatico. Gli arrivavano parole dure dagli Stati
Uniti e dallUnione europea gi almeno dalla fine del 2004.
Questo doveva risultare evidente allintero mondo il 13 gen-
naio, il giorno in cui i serbi festeggiavano il nuovo anno, quan-
do il Dipartimento di stato annunciava, quasi due mesi prima
della scadenza, che non sarebbe stato in grado di certificare il
rispetto della Serbia delle condizioni poste dal Congresso per
lassistenza estera. Il 14 gennaio lambasciatore americano in
Serbia e Montenegro, Michael Polt, annunciava che Washing-
ton aveva effettuato tagli consistenti negli aiuti e avrebbe ritira-
to i consiglieri tecnici. Il 25 gennaio il commissario europeo
per lampliamento, Olli Rehn, diceva che la mancata coopera-
zione di Belgrado con il Tribunale stava bloccando lintegrazio-
ne della Serbia nellUnione europea.
Quale che fosse il motivo, dallinizio del dicembre 2004 alla
primavera inoltrata del 2005, il Tribunale assisteva a una rapida,
quasi tumultuosa serie di rese volontarie. Improvvisamente, i la-
titanti cominciavano a riversarsi dalla Serbia e dalla Republika
Srpska:
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Un ex comandante del contingente dellEsercito serbo-bosniaco che
aveva assediato Sarajevo, incriminato per aver impiegato lartiglie-
ria e i cecchini per terrorizzare la popolazione della citt dal 1994
alla fine dellassedio nel 1995: Dragomir Miloyevi3, costituitosi il 3
dicembre 2004.
Il comandante di una prigione presso la cittadina bosniaca di Foja,
incriminato per aver perseguitato, schiavizzato, torturato, picchia-
to e ucciso prigionieri musulmani e altri non serbi: Savo Todovi3,
costituitosi il 15 gennaio 2005. (Il ministero degli Interni della Re-
publika Srpska ha inviato un rappresentante dalla madre di
Todovi3 a chiederle di convincere il figlio a consegnarsi. Ne segue
una scena patetica. Todovi3 entra nella stanza e annuncia che non
ce la fa pi a vivere in un garage. Veniamo a sapere che si ridotto
in un tale stato di indigenza da far s che la polizia abbia dovuto
prestargli dei soldi perch si comprasse un paio di calzoni decenti.)
Il primo dei quattro generali incriminati per complicit nella mas-
siccia operazione di pulizia etnica in Kosovo nel 1999: Vladimir La-
zarevi3, costituitosi il 3 febbraio. (La festa di addio di Belgrado al
suo eroe vedeva tra i partecipanti il primo ministro Koytunica e sua
santit il patriarca Pavle, che elogiava Lazarevi3 per il suo sacrificio
in nome della patria. Un jet governativo portava Lazarevi3 nei Pae-
si Bassi. La stampa di Belgrado avrebbe riferito successivamente
che il figlio di Lazarevi3 aveva ricevuto unauto in dono da un mini-
stro del governo.)
Il comandante assistente del generale Ratko Mladi3 per gli affari di
morale, legali e religiosi, che avrebbe trasmesso lordine di attacca-
re larea protetta di Srebrenica, compresi i posti di osservazione ge-
stiti dai peacekeeper olandesi: generale Milan Gvero, costituitosi il
24 febbraio.
Il capo delle operazioni dellesercito serbo-bosniaco, incriminato
per fatti connessi con lespulsione forzata e la deportazione delle
popolazioni musulmane delle aree protette di Srebrenica e Zepa e
presunto autore di un documento, noto come Direttiva 7, che era
stato firmato da Radovan Karadzi3 il 21 marzo 1995 e che ordina-
va allesercito serbo-bosniaco di creare una situazione intollerabi-
le di totale insicurezza, senza speranza di sopravvivenza per gli
abitanti di Srebrenica e Zepa: Radivoje Mileti3 si costituiva il 28
febbraio.
Il generale Momjilo Periyi3, capo dello stato maggiore generale dal-
lagosto del 1993 fino al novembre del 1998, incriminato per aver
usato la propria autorit per fornire allesercito serbo-bosniaco una
consistente assistenza militare, che presumibilmente sapeva sareb-
be stata usata, in misura significativa, nellesecuzione di crimini,
tra cui lassedio e il bombardamento di Sarajevo e il massacro di
Srebrenica. Pur essendo al corrente delle accuse di gravi crimini
commessi da membri dellesercito serbo-bosniaco e dallesercito
serbo in Croazia, Periyi3 avrebbe mancato al suo dovere di applica-
re misure disciplinari o preventive: si costituiva il 7 marzo.
Il ministro responsabile della polizia e della sicurezza dello stato
nella Republika Srpska, incriminato, tra le altre cose, per tortura,
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trattamento crudele e deportazione ai danni di musulmani bosniaci
e croati bosniaci: Mijo Staniyi3, costituitosi l11 marzo.
Un leader paramilitare di Foja, incriminato per il coinvolgimento
in abusi sessuali e stupri, compreso uno stupro di gruppo, di donne
detenute presso la scuola superiore di Foja: Gojko Jankovi3, costi-
tuitosi il 14 marzo. (Jankovi3 era nascosto in Russia, e sua moglie lo
ha convinto a consegnarsi per il bene della famiglia.)
Nonostante queste rese sorprendenti, il 16 marzo lUnione
europea inviava a Belgrado un segnale inequivocabile: che
avrebbe continuato a considerare la cooperazione con il Tribu-
nale una condizione per relazioni pi strette: Bruxelles annun-
ciava che avrebbe rinviato i colloqui di adesione con la Croazia
perch Ante Gotovina era ancora a piede libero e le iniziative
della Croazia per arrestarlo erano state inadeguate. Secondo la-
nalisi politica della situazione in Serbia svolta al tempo dallIn-
ternational Crisis Group, a questo punto che il governo serbo
cominciava a minacciare la sospensione delle pensioni ai ricer-
cati, il congelamento dei loro conti bancari e lemissione di
mandati darresto locali contro di loro. Ora la fantasmagoria
delle rese si intensificava con larrivo di nuovi latitanti:
Il comandante della sicurezza di una brigata dellesercito serbo-bo-
sniaco, incriminato per fatti connessi con lespulsione forzata e la
deportazione delle popolazioni di Srebrenica e Zepa e che avrebbe
contribuito a pianificare, organizzare e dirigere il trasporto di pri-
gionieri musulmani ai campi di sterminio; Drago Nikoli3, costitui-
tosi il 17 marzo.
Un comandante di brigata dellesercito serbo-bosniaco incriminato
per fatti connessi con lespulsione forzata e la deportazione delle
popolazioni di Srebrenica e Zepa e che avrebbe comandato unit
implicate negli attacchi alle enclave di Srebrenica e Zepa e nel mo-
vimento di persone dalle enclave, tra cui uomini musulmani tra-
sportati ai campi di sterminio: Vinko Pandurevi3, costituitosi il 23
marzo.
Un vicecomandante di una brigata militare allinterno del ministero
di polizia della Republika Srpska, incriminato per fatti connessi
con lespulsione forzata e la deportazione delle popolazioni di Sre-
brenica e Zepa e che avrebbe contribuito a neutralizzare le forze
delle Nazioni Unite intorno a Srebrenica e che aveva la responsabi-
lit della gestione di tutti i prigionieri bosniaci musulmani e co-
mandava truppe che contribuirono a detenere e trasportare uomini
musulmani dallenclave di Srebrenica ai centri di detenzione dai
quali venivano trasferiti ai campi di sterminio: Ljubomir Borovja-
nin, costituitosi il primo aprile.
Il generale Sreten Luki3, il secondo dei quattro generali di Koytuni-
ca, incriminato per fatti connessi alla pulizia etnica del Kosovo: co-
stituitosi il 4 aprile. (Luki3 si consegna volontariamente in accappa-
toio e ciabatte in un ospedale dove era sottoposto a cure mediche.
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Apprendiamo che allultimo minuto Luki3 ha cercato di ottenere
di essere processato in Serbia offrendo in cambio di catturare
Karadzi3.)
Il vicecomandante per la sicurezza del Corpo della Drina delleser-
cito serbo-bosniaco, incriminato per fatti connessi con lespulsione
forzata e la deportazione delle popolazioni di Srebrenica e Zepa e
che avrebbe contribuito a controllare il movimento di musulmani
dalle enclave, dirigendo e sovrintendendo al trasporto di musulma-
ni da Potojar ad aree al di fuori della Republika Srpska e che avreb-
be collaborato al trasporto e allorganizzazione di uomini musul-
mani da Bratunac a centri di detenzione dai quali sarebbero stati
trasferiti ai campi di sterminio: Vujadin Popovi3, costituitosi il 14
aprile. (Popovi3 era nascosto in Russia.)
Il comandante dellesercito iugoslavo, Nebojya Pavkovi3, il terzo dei
generali di Koytunica, incriminato per fatti connessi con la massic-
cia pulizia etnica del Kosovo nel 1999: costituitosi il 25 aprile.
La Serbia non attender molto per raccogliere i frutti di que-
sta prova concreta del nuovo atteggiamento del suo governo nei
confronti del Tribunale. Il 12 aprile, uno studio di fattibilit del-
lUnione europea d una valutazione positiva a Serbia e Monte-
negro; e il 25 aprile ottiene lapprovazione a negoziare un accor-
do di stabilizzazione e associazione. Sullo sfondo degli arresti
serbi si pone larrivo allAia dellalbanese di massimo livello in-
criminato dal Tribunale, il comandante dellEsercito di libera-
zione del Kosovo, Ramush Haradinaj, insieme con altri due co-
mandanti dellUck ugualmente incriminati. La Camera giudi-
cante concede anche la libert provvisoria a ex associati di Mi-
loyevi3: Milan Milutinovi3, gi presidente della Serbia; il genera-
le Dragoljub Ojdani3, ex capo di stato maggiore dellesercito iu-
goslavo; Nikola Yainovi3, ex viceprimo ministro della Iugosla-
via; e il generale Vladimir Lazarevi3, che cos potr godersi lau-
tomobile che il figlio avrebbe ricevuto in cambio della sua con-
segna solo tre mesi prima. In sostanza, la sfornata di rese dimo-
strava che la Serbia era disposta a cooperare con il Tribunale,
ma solo se lUnione europea e gli Stati Uniti ribadivano con suf-
ficiente energia che la cooperazione con il Tribunale rimaneva
una precondizione perch la Serbia godesse di una relazione
pi stretta con loro. Reciprocamente, le rese dimostravano che,
quando gli Stati Uniti e lUnione europea non erano fermi nelle-
sigere la condizionalit, la Serbia non faceva nulla. Ricordavo la
lettera di Kofi Annan del 2001, che criticava i nostri sforzi per
convincere gli Stati Uniti e lUnione europea a mantenere la po-
litica della condizionalit. Dove saremmo adesso, pensavo, se
non avessimo insistito perch questo nesso fosse mantenuto? La
risposta ovvia. I nostri investigatori starebbero accumulando
pile di documenti insignificanti. I nostri procuratori starebbero
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mettendo insieme incriminazioni carenti di fatti e scrivendo
dotti articoli per le riviste di diritto. E i giudici del Tribunale non
starebbero processando nessuno se non serbi di basso livello
catturati allestero, qualche croato consegnato dopo la morte di
Tudjman, e musulmani di Bosnia-Erzegovina arresisi senza pro-
testare.
In seguito a questa fioritura di rese di serbi, per, il modello
di Koytunica delle consegne volontarie fallisce. La sua disponi-
bilit a usare i poteri di polizia per arrestare i nostri rimanenti
ricercati si rivela inadeguata. L8 maggio 2005, contatto il presi-
dente George W. Bush per chiedergli assistenza, e sto con lui per
una decina di secondi. il sedicesimo anniversario della fine
della Seconda guerra mondiale in Europa. Bush viene nei Paesi
Bassi per rendere omaggio agli americani, canadesi ed europei
le cui spoglie mortali riposano nel cimitero di Margraten presso
Maastricht, uomini e donne che hanno dato la vita per liberare
milioni di europei dalla tirannide nazista.
Lambasciatore degli Stati Uniti nei Paesi Bassi, Clifford M.
Sobel, mi invita a partecipare alla commemorazione e accetta di
favorire un mio colloquio con il presidente Bush. Lambasciato-
re Sobel mi assegna un posto nella prima fila di Vip scelti per
stringere la mano al presidente Bush. C sua altezza reale la re-
gina Beatrice. C il primo ministro dei Paesi Bassi Jan Pieter
Balkenende. Io stessa faccio fatica a capacitarmi di come io,
Procuratore di un Tribunale delle Nazioni Unite per un defunto
stato balcanico, sia arrivata a trovarmi in simile compagnia.
Bush alla fine passa lungo la fila fermandosi a parlare con tutti,
uno alla volta. Da vero texano, mi stringe la mano e mi guarda
dritto negli occhi come se fossimo amici di vecchia data. For-
mulo una frase, quella che mi ero preparata.
Karadzi3, risponde lui, pronunciando il nome non meglio
di quanto lo pronunci io. Lo prenderemo. Poi passa oltre.
Siamo in Olanda ed il mese di maggio, per cui la giornata
grigia e fredda. E quando la commemorazione si sta concluden-
do, scorgo Condoleezza Rice, ormai Segretario di stato, che si
dirige a passo svelto verso la carovana di auto parcheggiate per
riscaldarsi nella sua limousine. Mi lancio allinseguimento, con i
tacchi che affondano nel terreno umido. Appena fuori dellin-
gresso del cimitero chiedo allambasciatore Sobel dove sia anda-
ta il Segretario Rice.
Terza auto, risponde.
Mi avvicino. La sua scorta ha circondato il veicolo. Al mo-
mento cruciale, per, i miei capelli biondi danno i loro frutti.
Madame Procuratore, dice una delle guardie del corpo,
sorridendo. Mi ricordo di lei! Le ho fatto da scorta a San Die-
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go! Gli sorrido come se fosse un fratello che non vedo da tanto
tempo e gli dico che ho urgente bisogno di parlare con il Segre-
tario di stato.
Ma come no?
Apre la portiera della limousine, dice qualche parola e mi fa
cenno di salire. Un attimo dopo mi trovo seduta faccia a faccia
con il Segretario di stato Rice. Per lei una sorpresa, evidente,
ma probabilmente non piacevole. Le dico che ho appena parlato
di Karadzi3 con il presidente Bush. Devo avere Karadzi3, insi-
sto. Poi dico qualcosa del genere: Guardi che lavorare con la
vostra Cia una cosa impossibile. Non lo state facendo, non fa-
te larresto. Non possibile che la nazione pi potente del mon-
do non riesca a catturarlo....
Stiamo cercando bin Laden, mi dice.
Rispondo con un sorriso: Bin Laden un problema vostro,
Karadzi3 il mio.
Lei fa un sorrisetto, o forse rabbrividisce. La guardia apre lo
sportello. Scendo proprio mentre la carovana si sta mettendo in
modo, salgo sulla mia auto che sta dietro al presidente Bush e
agli altri. Sirene e lampeggiatori blu, polizia in motocicletta che
ferma il traffico. Attraversiamo di gran carriera cittadine e vil-
laggi olandesi come ai vecchi tempi a Hockenheim. Lungo la
strada la gente applaude e ci fa segni di saluto.
Nella tarda mattinata del primo giugno 2005, Geoffrey Nice
sta conducendo un controesame di uno dei testi a difesa di
Miloyevi3, il generale Obrad Stevanovi3, ex viceministro degli
Interni della Serbia. Stevanovi3 ha appena finito di spiegare
che lui non al corrente se unit paramilitari abbiano mai at-
traversato il confine tra Serbia e Republika Srpska perpetrando
crimini durante la guerra di Bosnia. Non avrei tollerato una co-
sa del genere, proclama Stevanovi3. Non avrei mai potuto
chiudere un occhio.
No, penso io, mai e poi mai. So gi che cosa verr adesso.
Nice annuncia che presenter un video. La luce in aula viene
abbassata. Qualcuno schiaccia il tasto play. I monitor lampeg-
giano. Sullo schermo appare un prete ortodosso serbo che bene-
dice i membri di ununit paramilitare nota come gli Scorpioni,
che affiliata al ministero degli Interni serbo e ha il tipico ber-
retto rosso e la divisa azzurra della polizia. Stevanovi3 commen-
ta che limmagine troppo sfocata per riconoscere i volti dei
membri dellunit, ma che laudio sufficientemente chiaro per
distinguere uno o due nomi. Nice procede a mostrare altri seg-
menti del nastro, mettendolo in pausa di tanto in tanto. Questo
video, dice, rivela che squadre di uomini venivano portate a
questo gruppo di Scorpioni a Srebrenica per essere giustiziati, e
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che venivano giustiziati, e quello che vediamo qui un camion
con un carico di sei giovani... E si vedono i Berretti rossi... I
monitor mostrano i sei giovani prigionieri condotti su unaltura
e in una radura con lerba alta. Due alla volta, vengono ammaz-
zati dalle spalle. I corpi accasciati appaiono in mezzo allerba e
tra i cespugli. I prigionieri ancora vivi spostano i morti finch
gli Scorpioni, questi eroi serbi, sparano agli ultimi due.
Stevanovi3 invitato a commentare:
Sono cos sconvolto che devo dire che queste sono tra le immagini
pi mostruose che io abbia mai visto su uno schermo. Naturalmen-
te non ho mai visto niente del genere in... dal vivo. Sono sbalordito
che abbiate mostrato questo video in connessione con la mia testi-
monianza, perch sapete benissimo che questo non ha niente a che
fare con me o con le unit che comandavo. Ho tentato di spiegarlo
ieri, e ho tentato di spiegarlo anche oggi. Non dico che non avete il
diritto di farlo, ma devo dire che sono profondamente sconvolto...
E questo il punto. I satelliti rimandano in tutto il mondo le
immagini di questi Scorpioni che ammazzano giovani musul-
mani a sangue freddo. Le vittime sono solo sei sui circa ottomi-
la musulmani, adulti e ragazzi, giustiziati dopo la caduta della
zona protetta delle Nazioni Unite a Srebrenica. Slobodan
Miloyevi3 resta seduto impassibile al suo posto. Non ho idea se
abbia sentito la voce delloperatore che sollecita i killer a finire
in fretta il lavoro perch la batteria si sta esaurendo. Se in quel
momento fossi stata in Miloyevi3, per, la disperazione mi
avrebbe paralizzato lanima. Nella prima met del 2005, Miloye-
vi3 ha visto il braccio dov rinchiuso riempirsi di facce note
provenienti da Belgrado, dalla Bosnia-Erzegovina, dalla Croa-
zia; in effetti, quasi lintera leadership serba si trova dietro le
sbarre o libera ma solo provvisoriamente, in attesa del processo;
quindi a quanto pare la sua dichiarazione sullillegalit del Tri-
bunale non stata raccolta da nessuno, in nessuna circostanza.
La mozione degli amici curiae di rigettare il caso della pubblica
accusa stata respinta un anno fa. La difesa politica di Miloye-
vi3 non riesce neppure a scalfire la montagna di fatti che lo so-
vrasta, e altri dati verranno alla luce nel corso degli imminenti
processi ai suoi complici. Tutti, tranne pochi fanatici, evitano di
dare ascolto alle sue diatribe politiche. Solo pochi inveterati
apologeti in Serbia e allestero possono ancora negare che il
massacro di Srebrenica sia avvenuto e che i serbi della Serbia
abbiano partecipato come carnefici. Internet render disponibi-
le il video degli Scorpioni a chiunque, in qualsiasi momento,
con un semplice clic del mouse, e questo sgretoler leredit di
Miloyevi3 riducendola in polvere, la stessa della strada bosniaca
dove gli Scorpioni avevano ucciso le loro vittime, tanto sicuri
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dellimpunit da prendersi la briga di riprendere con la teleca-
mera lazione, mostrando le proprie facce e quelle delle vittime,
come se stessero ballando a un ricevimento nuziale. Consape-
volmente, e forse in maniera pi significativa nel subconscio,
Miloyevi3 doveva sapere che non sarebbe stato mai pi un uomo
libero.
La televisione serba quella sera stessa manda in onda inte-
gralmente il video degli Scorpioni. E il giorno dopo mi trovo
nellufficio di Koytunica per un viaggio programmato in prece-
denza nella ex Iugoslavia per preparare una relazione sui nostri
progressi da presentare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite. Ha laria di sempre, accasciato e scarmigliato, come se
volesse mostrare che il peso dellintero paese grava sulle sue so-
le spalle. Koytunica inizia il colloquio mettendo in evidenza, ov-
viamente, il progresso che ha fatto la Serbia dalla mia ultima vi-
sita. Dice che la sua strategia delle rese volontarie ha funzionato
e aggiunge che apprezza la comprensione che ho mostrato. Dice
che le decisioni della Camera giudicante di concedere la libert
provvisoria hanno costituito un contributo importante, cos co-
me le imputazioni del Tribunale contro membri di alto livello di
altre nazionalit, e con questo si riferisce agli albanesi. Dice
che sta lavorando al caso Mladi3 perfettamente consapevole
della sua importanza, e commenta che, quando avverr, larre-
sto di Mladi3 sar un enorme sollievo per tutti. Solo a questo
punto Koytunica menziona il video degli Scorpioni: Voglio dir-
le che siamo rimasti scioccati da quanto abbiamo visto ieri in te-
levisione, e abbiamo condotto immediatamente unoperazione e
arrestato sei membri degli Scorpioni.... Definisce brutale e ver-
gognosa lesecuzione dei civili. Dice che il governo determina-
to a trovare tutti gli esecutori e a punirli. Questo tutto. Obietti-
vo. Privo di emozioni. Nessun accenno a qualcun altro pi su
nella catena di comando. Come se larresto di questa manova-
lanza delle esecuzioni bastasse a soddisfare il mondo.
A un certo punto del monologo di Koytunica entra nella stan-
za in jeans e T-shirt Rade Bulatovi3, capo dellagenzia di intelli-
gence del governo, scusandosi per il suo stato e spiegando di
aver lavorato tutta la notte per identificare e catturare membri
degli Scorpioni che vivevano a Belgrado e in altre zone della
Serbia. Dopo la diffusione televisiva del video, uno degli esecu-
tori era cos sicuro che non sarebbe mai stato arrestato per aver
ucciso dei musulmani al punto di presentarsi addirittura alla
polizia serba chiedendo protezione, presumibilmente dai mu-
sulmani o dagli attivisti dei diritti umani. Limpressione che ri-
cavo che Koytunica si sia sentito in dovere di darsi da fare pri-
ma del mio arrivo e che sia risentito per il fatto che lo scandalo
internazionale suscitato dal video degli Scorpioni lo abbia co-
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stretto a effettuare gli arresti anzich aspettare che i killer si co-
stituissero spontaneamente. Larresto degli Scorpioni ha dimo-
strato che cosa in grado di fare la polizia serba quando riceve
ordini dallalto.
Gli ricordo che il Tribunale ha ancora sette latitanti serbi in
libert, compresi due di cui si dice che siano in Russia; e che
abbiamo bisogno che il governo serbo li prenda in custodia en-
tro due mesi. Voglio che larresto di Mladi3 avvenga prima del
decimo anniversario del massacro dell11 luglio di Srebrenica.
Koytunica, nonostante tutti i suoi discorsi sui benefici purifica-
tori che larresto di Mladi3 avr sullo stato serbo, evita di fare
promesse su un arresto prima dellanniversario; dice per che
sar arrestato entro il 5 ottobre, la scadenza posta dallUnione
europea.
Il giorno dopo, a Sarajevo, mi incontro con le rappresentanti
delle vedove e delle madri degli uomini e dei ragazzi uccisi a
Srebrenica. Dico che lUfficio della Procura sta facendo tutto il
possibile per catturare Karadzi3 e Mladi3 prima dell11 luglio.
Dico che Mladi3 si trova in Serbia e che abbiamo ricevuto rap-
porti attendibili che affermano che Karadzi3 sarebbe nascosto
presso monaci ortodossi serbi. Dico che finalmente Koytunica
sembrerebbe disposto a cooperare. Quindi annuncio che boicot-
ter il decimo anniversario di Srebrenica se Mladi3 non sar
stato messo agli arresti. Ne ho abbastanza delle sceneggiate di
cordoglio da parte dei potenti. La commemorazione di questan-
no sar speciale. Il presidente della Serbia, Boris Tadi3, sar
presente. Sar l anche il capo della Banca Mondiale, Paul
Wolfowitz. Anche Javier Solana, che ha definito Srebrenica un
colossale, collettivo e vergognoso fallimento sar presente. Il
presidente del Tribunale Theodor Meron sar l in rappresen-
tanza della nostra istituzione. Lo sceicco Saleh al-AsShaikh gui-
der la delegazione saudita. Lambasciatore Richard Holbrooke,
lartefice dellAccordo di pace di Dayton, sar presente, come
anche lambasciatore Pierre Prosper. Rifiutarmi di prendere po-
sto tra loro sar la mia protesta per la mancanza di unazione ef-
ficace da parte delle autorit serbe e della comunit internazio-
nale, la mia assenza servir a ricordare che nemmeno Mladi3 e
Karadzi3 stanno dove dovrebbero stare.
Il 13 giugno sono davanti al Consiglio di sicurezza. Dico ai
membri che c stato un evidente cambiamento nellatteggia-
mento delle autorit di Belgrado e che, dalla fine di dicembre
del 2004 quattordici dei nostri incriminati, sei dei quali ricerca-
ti per reati connessi con il massacro di Srebrenica e sette lati-
tanti di lunga data, si sono consegnati. Laccesso ai testimoni
migliorato. Sono tutti sviluppi positivi. Ma non posso, in co-
scienza, ignorare il protrarsi del mancato arresto da parte delle
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autorit di Belgrado dei restanti ricercati, tra cui Radovan Ka-
radzi3 e Ratko Mladi3. Sette degli imputati si trovano entro il
raggio dazione delle autorit serbe.
L8 agosto 2005 festeggiamo un altro arresto. Milan Luki3,
uno dei pi famigerati killer della guerra bosniaca, un ricercato
al cui dossier il mio ufficio ha appropriatamente assegnato il
nome in codice di Lucifero, stato messo sotto custodia. Le
autorit argentine hanno rintracciato il suo cellulare e seguito la
moglie nel viaggio fatto dalla Bosnia con la figlia per raggiun-
gerlo. Luki3, un parente del generale Sreten Luki3, era al co-
mando di una milizia che terrorizzava gli abitanti musulmani
della cittadina bosniaca di Viyegrad e dei suoi paraggi. Secondo
testimoni oculari che conoscono Luki3 fin da bambino, aveva
anche preso parte agli eccidi di Srebrenica. Mi incontro con di-
verse vittime di Luki3. Una una madre che dice che non mi
perdoner mai se Milan Luki3 allAia non avr quello che meri-
ta. Racconta nei particolari come Luki3 avesse invaso casa sua
violentandola alla presenza dei suoi due figli, di nove e dodici
anni; racconta come Luki3 lavesse poi portata nella cucina or-
dinandole di scegliere un coltello affilato; quindi racconta come,
sotto i suoi occhi, Luki3 lo abbia usato per sgozzare i due bam-
bini. Ho la pelle doca. E ricordo adesso Luki3, dopo la consegna
allAia, che entra nel mio ufficio in giacca e cravatta come un
uomo daffari, e che protesta che tutto un errore e, ovviamen-
te, lo dimostrer. Mi sono alzata per congedarlo alla fine del no-
stro colloquio. E di nuovo mi si accapponata la pelle quando
lui si chinato a baciarmi la mano.
Sredoje Luki3, cugino e presunto complice di Milan Luki3,
viene arrestato il 16 settembre allarrivo allaeroporto di Belgra-
do con un volo dalla Russia. Due settimane dopo segue larresto
di Dragan Zelenovi3, che viene preso in custodia, probabilmen-
te per errore, da un capo della polizia a Khanty-Mansiysk, una
regione petrolifera a est degli Urali. Zelenovi3 ricever una con-
danna a quindici anni di reclusione dopo essersi dichiarato col-
pevole delle imputazioni di tortura e stupro in connessione con
aggressioni a donne musulmane, tra cui una quindicenne, che
lui e altri soldati serbi avevano preso prigioniere a Foja nelle-
state del 1992.
Sono di nuovo a Belgrado il 29 settembre 2005. Questa vol-
ta la questione come spingere nel modo migliore per ottenere
maggiore cooperazione usando la scadenza fissata dallUnione
europea per larresto di Mladi3, la scadenza che a giugno Koy-
tunica si era impegnato a rispettare. Di nuovo riconosco i pro-
gressi che Serbia e Montenegro hanno fatto durante lanno. La
lista dei ricercati del Tribunale si ridotta a sei nomi: Mladi3,
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Karadzi3, Hadzi3, il generale Vlastimir Djordjievi3, il generale
zdravko Tolimir (braccio destro di Ratko Mladi3, che ricercato
in connessione con, tra laltro, la pulizia etnica di Srebrenica e
Zepa e il massacro di prigionieri musulmani dopo la caduta del-
le enclave), e Stojan Zupljanin (comandante in capo della sicu-
rezza serba nella Bosnia occidentale, ricercato con le imputazio-
ni, tra laltro, di genocidio e persecuzione connessi con la pulizia
etnica di musulmani, compreso il maltrattamento di musulmani
detenuti in un certo numero di campi di concentramento).
inutile soffermarsi sulla scadenza di ottobre stabilita dallUnione
europea, per cui suggerisco che i serbi arrestino Mladi3 entro la
fine dellanno. Riferisco di inquietanti notizie che mi sono arri-
vate sulla mancanza di coordinamento tra i servizi dintelligence
civile e militare. Koytunica risponde che rivalit tra il servizio ci-
vile e quello militare esistono anche in altri paesi. Dice che la re-
sa volontaria non pi la sola opzione nei confronti dei latitanti,
lasciando intendere che potrebbero essere in preparazione degli
arresti. Dove si trovi Mladi3, per, si ignora. Dice che per la Ser-
bia importante arrivare alla fine di questa strada e che Belgra-
do tra poco si trover di fronte a specifiche scadenze determina-
te dallUnione europea.
Tre settimane dopo, Rade Bulatovi3 e Nebojya Vujovi3 mi ag-
giornano pi nello specifico sulle iniziative per catturare i sei ul-
timi latitanti. Vujovi3 comincia la parte sostanziale del collo-
quio esponendo la posizione serba sul Kosovo; tranne lindipen-
denza e la violazione della sovranit di Serbia e Montenegro,
qualsiasi soluzione accettabile. Al primo accenno di indipen-
denza, dice, vi saranno centomila serbi del Kosovo sui trattori
a Belgrado davanti al palazzo del governo, e il governo, qualun-
que sia, sar spazzato via. Chiedo specificamente se a parere di
Belgrado esista un nesso tra i colloqui sul Kosovo e la soluzione
del caso Mladi3. Vujovi3 mi assicura che, ovviamente, non esiste
nessuna connessione e che il governo ha la volont politica di ri-
solvere il caso Mladi3. Consegnare Karadzi3 e Mladi3 allAia
non farebbe che rafforzare la posizione di Belgrado nei negozia-
ti sul Kosovo, dice. Dopodich, ripete, la cosa importante per il
governo serbo la percezione che la provincia resti entro la
Serbia.
Bulatovi3, la cui credibilit ai miei occhi si praticamente
esaurita, dice che lultima apparizione confermata di Ratko
Mladi3 in Serbia risale al 2002. Da allora ci sono state solo voci
che si trovasse a Belgrado, a Valjevo, a Novi Sad, in Macedonia
e persino in Moldova e in altri luoghi. Poi, Bulatovi3 dice che la-
genzia di intelligence civile serba ha cominciato a cercare di ri-
costruire la rete di sostegno di Mladi3 a partire dal 2002. Ha
identificato unottantina di persone intorno a Mladi3 e ha verifi-
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cato che provenivano tutte dallesercito. I due servizi di infor-
mazione, quello civile e quello militare, hanno messo ventisei di
queste persone sotto sorveglianza. Le autorit stanno cercando
ogni traccia di contatti tra Mladi3 e la sua famiglia, perch sono
stati i contatti di famiglia a condurre le autorit ai latitanti cat-
turati nel corso dellanno. Le case e i telefoni dei familiari di
Mladi3 sono sotto controllo. Per la prima volta un funzionario
dellagenzia di intelligence civile ha stabilito un contatto con la
moglie di Mladi3 e il figlio, Darko. (Questi avrebbe chiesto: Do-
ve sei stato tutti questi anni?.) Bulatovi3 dice che, se Mladi3
ancora in Serbia, devessere dalle parti delle cittadine di Gornji
Milanovac o di Valjevo, o nellarea di confine con la Bosnia-Er-
zegovina. La prognosi di Bulatovi3 che il servizio di informa-
zioni potrebbe averlo sotto la sua custodia entro la fine di que-
stanno, il 2005.
Bulatovi3 dice che non ci sono notizie su Karadzi3 e nessuna
apparente connessione tra le persone che nascondono Karadzi3
e Mladi3. Non ha notizie di Hadzi3, ma riferisce che tutti i suoi
amici e parenti sono sotto sorveglianza. Tolimir stato sul pun-
to di essere catturato cinque o sei mesi fa, dopo lindividuazione
della moglie, che presumibilmente gli stava portando delle me-
dicine. Lei stata licenziata dallesercito, e lintelligence milita-
re la tiene sotto osservazione. Tolimir probabilmente vicino a
Mladi3, conclude Bulatovi3, perch le loro famiglie erano in
stretto contatto.
A questo punto il governo della Croazia ha cominciato a coo-
perare con il Tribunale, fornendo informazioni chiave che il 7
dicembre portano allarresto in Spagna del generale Ante Goto-
vina. Questo successo accresce la pressione su Belgrado perch
cooperi con il Tribunale. So che Koytunica stato informato
esplicitamente che la Serbia non ha nessuna chance di strin-
gere normali relazioni con gli Stati Uniti finch Mladi3 non sar
stato arrestato.
A met dicembre, di nuovo, non c nessuna novit da riferi-
re su Belgrado al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. De-
cido di usare la mia relazione sui progressi per chiarire due
punti ai membri del Consiglio. Primo, il Tribunale ormai dipen-
de esclusivamente da Serbia e Montenegro per quanto riguarda
larresto dei sei ultimi latitanti, compreso Rodovan Karadzi3 e
Ratko Mladi3. Nonostante le assicurazioni di Belgrado che la
questione dei ricercati potr essere risolta in pochi mesi, non ve-
do ancora alcun tentativo credibile di individuarli e catturarli.
Secondo, non esiste un meccanismo per coordinare le varie atti-
vit del Tribunale stesso con i singoli stati della ex Iugoslavia e il
contingente militare dellUnione europea in Bosnia-Erzegovina.
Queste entit non stanno mostrando alcuna volont di mettere a
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disposizione anche le pi banali informazioni raccolte dai loro
servizi, e, quanto alle operazioni, sembra sia in corso una specie
di gioco degli equivoci. In Bosnia-Erzegovina, per esempio, il
Tribunale riuscito a sapere chi sta facendo cosa per scovare
Karadzi3 e Mladi3 o per meglio dire chi non sta facendo cosa.
A un certo punto, senza alcun preavviso, la polizia del Montene-
gro ci notifica che Sonja ha attraversato il confine dalla Bosnia
al Montenegro. Siamo scombussolati. La polizia della Repu-
blika Srpska non ci ha dato il minimo avviso dei suoi movimen-
ti, per cui chiediamo una spiegazione. Ci rispondono che qual-
cuno dallinterno della Nato li ha invitati a desistere. Cerchiamo
di identificare chi, esattamente, abbia dato queste istruzioni al-
le autorit della Republika Srpska. Ci rivolgiamo alla Nato e ci
sentiamo rispondere: Noi no. Successivamente scopriamo che
qualcuno della Cia ha detto alla polizia della Republika Srpska
che lUfficio della Procura era daccordo a sospendere le misure
di sorveglianza. Noi non abbiamo mai detto una cosa del gene-
re. I miei sforzi di capire come sia stato possibile che succedes-
se questa cosa producono solo uninsoddisfacente risposta di tre
parole: Gap di comunicazione.
Dico ai membri del Consiglio che le nostre risorse di intelli-
gence e i servizi di informazione dei paesi maggiori indicano
che Mladi3 si trovi ancora in Serbia, sia ancora sotto la prote-
zione dellesercito di Serbia e Montenegro, si rifiuti ancora di
consegnarsi volontariamente, godendo ancora della sua libert
perch al governo di Koytunica, che potrebbe arrestarlo in qual-
siasi momento, manca la volont di farlo. Karadzi3, i cui protet-
tori stanno sfruttando il modo confusionario con cui la comu-
nit internazionale sta procedendo contro di lui, continua il suo
andirivieni tra Serbia e Montenegro e larea della Bosnia-Erze-
govina controllata dai serbi, probabilmente con laiuto di ele-
menti del clero della chiesa ortodossa serba. Gorna Hadzi3,
Zdravko Tolimir e Stojan Zupljanin sono anche loro entro il rag-
gio di azione delle autorit di Serbia e Montenegro. Per due vol-
te in due anni, lUfficio della Procura ha informato le autorit
russe dellubicazione di Djordjevi3 a Mosca e a Rostov sul Don,
ma le autorit locali hanno risposto di essere andati a cercarlo
ma non lavevano trovato. Ora sappiamo che probabilmente
avevano ragione, perch a quanto pare Djordjevi3 ha lasciato la
Russia intorno al 2003.
Sulla base di questa valutazione, chiedo che la comunit in-
ternazionale, soprattutto lUnione europea e gli Stati Uniti, riba-
disca che la cooperazione con il Tribunale resta un prerequisito
perch Serbia e Montenegro ricevano assistenza finanziaria e
tecnica e sviluppino relazioni pi strette con la Nato e lUnione
europea. Desidero che migliori il coordinamento sulle iniziative
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per catturare i latitanti tra il Tribunale, i singoli stati, lUnione
europea, la Nato e le missioni delle Nazioni Unite nelle varie
parti dellex Iugoslavia. Desidero che i rappresentanti della Nato
e della nuova forza dellUnione europea in Bosnia-Erzegovina si
incontrino con le autorit locali coinvolte nelle iniziative. Desi-
dero un autentico scambio di informazioni. Desidero veder
creato un nuovo meccanismo di coordinamento per una pianifi-
cazione e uno scambio di informazioni sensati tra le agenzie im-
pegnate in attivit di raccolta di materiale di intelligence.
Serbia e Montenegro non dispongono ancora di un piano
dazione serio e articolato per localizzare e arrestare i latitanti
sul loro territorio. Manca il coordinamento tra il governo cen-
trale di Belgrado e le autorit locali delle singole repubbliche di
Serbia e di Montenegro. Le rivalit tra le loro agenzie di intelli-
gence sono ormai palpabili. Lesercito di Serbia e Montenegro
continua a ostacolare la cooperazione di Belgrado con il Tribu-
nale. Lesercito, nonostante le assicurazioni del governo, conti-
nua a rifiutarsi di fornire al Tribunale la documentazione mili-
tare e medica di Mladi3 e i documenti relativi alla campagna del
Kosovo.
Da dieci anni la comunit internazionale sta giocando come il gatto
con il topo con Karadzi3 e Mladi3. E per gran parte di questo tem-
po, i gatti hanno deciso di giocare bendati, di graffiarsi tra loro e di
permettere ai topi di fuggire da un buco a un altro. il momento
che i gatti si tolgano la benda. il momento che la comunit inter-
nazionale e i governi locali, soprattutto in Serbia e Montenegro e
nella Republika Srpska, concertino le loro azioni per trovare i luo-
ghi in cui questi latitanti si nascondono e per arrestarli e per conse-
gnarli al [Tribunale per la Iugoslavia] perch questo possa sommi-
nistrare la giustizia che il Consiglio di sicurezza ha promesso al po-
polo della ex Iugoslavia nel 1993. il momento che i gatti smettano
di essere lo zimbello dei topi.
Sono preoccupata. Cominciano ad arrivarmi voci che i mem-
bri dellalleanza Nato Italia, Grecia, Spagna e diversi altri pae-
si sono pronti ad accogliere Serbia e Montenegro nella Part-
nership for Peace, che in sostanza il programma di avvicina-
mento alla Nato per i nuovi potenziali membri. Mi preoccupa
anche che, nonostante le assicurazioni degli Stati Uniti e di altri
paesi, la comunit internazionale possa essere disposta a nego-
ziare leliminazione della condizionalit in cambio di un am-
morbidimento della posizione della Serbia sul Kosovo. Un in-
contro con Koytunica e Bulatovi3 a Belgrado allinizio di feb-
braio non produce nulla di nuovo. Koytunica, ancora una volta,
sottolinea la capacit del sistema nazionale di processare i cri-
minali di guerra, ma mi assicura di essere dalla stessa parte.
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Un mese dopo cominciano dei problemi che offrono alle au-
torit di Belgrado la scusa per rallentare quel poco di attivit ri-
guardo agli arresti che stanno mettendo in pratica. Domenica 5
marzo 2006, Milan Babi3, predecessore di Goran Hadzi3 come
presidente della repubblica ribelle serba in Croazia, si suicida
nella sua cella del penitenziario di Scheveningen.
Ecco un imputato che aveva cercato di fare una cosa onore-
vole. Nonostante le minacce al suo benessere e al benessere del-
la sua famiglia, si era arreso. Invece di rimanere in silenzio e di
approfittare del pacchetto di incentivi che la Serbia offriva ai ri-
cercati che vivevano in latitanza da cos tanti anni, Babi3 aveva
confessato e si era dichiarato colpevole di uno dei capi di impu-
tazione, quello relativo ai crimini contro lumanit. Grazie in
gran parte agli sforzi assidui di Hildegard Uertz-Retzlaff, il pro-
curatore tedesco responsabile delle indagini sui legami tra
Miloyevi3 e i crimini commessi durante il conflitto in Croazia
del 1991, Babi3 aveva espresso rimorso per le sue azioni e aveva
chiesto ai fratelli croati di perdonare i fratelli serbi. Deponen-
do davanti al Tribunale aveva inferto un duro colpo alle affer-
mazioni di Miloyevi3 secondo le quali il mondo esterno era re-
sponsabile delle violenze scoppiate nella ex Iugoslavia. Babi3
aveva dichiarato alla Camera giudicante che leffimero stato ser-
bo, creato in territorio croato da Miloyevi3 con il suo aiuto, non
sarebbe potuto sopravvivere in alcun modo senza il cordone
ombelicale che arrivava fino a Belgrado. I ribelli serbi in Croa-
zia, secondo la sua testimonianza, avevano ricevuto armi dalla
Serbia, compresi missili e carri armati, e la loro banca nazio-
nale era stata in pratica una filiale della Banca Nazionale di Iu-
goslavia a Belgrado. Babi3 stava scontando una condanna a tre-
dici anni di reclusione, e si trovava temporaneamente nellunit
di detenzione di Scheveningen. Aveva cominciato a denunciare
che altri detenuti dellunit lo stavano minacciando. Aveva chie-
sto il trasferimento al braccio olandese del carcere, lontano dai
suoi conterranei serbi, croati e musulmani. Aveva protestato
perch la moglie e i figli non potevano tornare a Belgrado per-
ch lui aveva testimoniato contro Miloyevi3 e contro il progetto
della Grande Serbia. Chiedeva che i figli fossero autorizzati a
iscriversi in ununiversit in Olanda, pagando qui le spese per
listruzione. Il collegio di difesa di Babi3 si era rivolto a me chie-
dendo appoggio per risolvere il problema della sua famiglia.
Avevo parlato della situazione con il cancelliere capo del Tribu-
nale, invitandolo a risolverlo. Nessuna soluzione praticabile era
stata individuata finch Babi3 ne aveva trovata una lui, nel mo-
do pi tragico, quella prima domenica di marzo. Sentivo di aver
fatto quello che potevo. Paradossalmente, per, sentivo che
avrei dovuto fare di pi.
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Sono via dallAia, in vacanza, la mattina della domenica suc-
cessiva in cui muore Slobodan Miloyevi3. Ricordo che le auto-
rit carcerarie avevano scoperto il suo corpo poco prima delle
dieci del mattino. Il mio cellulare squilla unora dopo. I compa-
gni di detenzione di Miloyevi3, ne sono sicura, fanno arrivare al
mondo la notizia che morto. Il mio primo pensiero di torna-
re allAia ed emettere un comunicato per contrastare ogni ipote-
si che la morte di Miloyevi3 possa in qualche modo ridurre lim-
portanza del Tribunale, uninterpretazione di questo orribile
evento che gli avversari dellistituzione avrebbero sicuramente
cercato di smerciare.
Nella nostra prima conferenza stampa chiariamo che il Tri-
bunale per la Iugoslavia ben pi che il solo Tribunale per Mi-
loyevi3 e che il suo successo o il suo fallimento non dipendono
esclusivamente dal processo a Miloyevi3. Dobbiamo processare
altri leader serbi di alto livello imputati degli stessi crimini di
cui Slobodan Miloyevi3 era stato chiamato a rispondere. Di que-
sto gruppo di imputati fanno parte sei ex leader e alti gradi mili-
tari serbi incriminati per crimini commessi in Kosovo. Il pro-
cesso a otto ufficiali con imputazioni connesse con il genocidio
di Srebrenica inizier tra poco. Ora pi che mai mi aspetto che
la Serbia arresti e trasferisca allAia Ratko Mladi3 e Radovan
Karadzi3.
Per molti versi, a un livello pi profondo, la morte di Miloye-
vi3 mi provoca un sentimento di collera. Dopo quattro anni di
udienze rimanevano solo quaranta ore alla difesa per presentare
il suo caso. Il procedimento doveva concludersi presumibilmen-
te nellarco di qualche settimana. Per mesi avevamo lamentato
che Miloyevi3 non stesse prendendo i farmaci prescrittigli per la
pressione sanguigna; non sapevamo che stesse assumendo so-
stanze non prescritte che avrebbero inficiato gli effetti benefici
della sua medicina. Aveva chiesto che la Camera giudicante gli
concedesse la scarcerazione provvisoria perch potesse recarsi
in Russia per trattamenti medici. Vedevamo la richiesta per
quello che era: un disperato tentativo di evitare un verdetto di
colpevolezza cercando di far sembrare la sua malattia pi grave
di quello che era, in modo tale da poter raggiungere moglie e fi-
glio, che erano ricercati dalle autorit serbe, e rendersi irreperi-
bile. Si possono fare solo speculazioni sulla natura della morte
di Miloyevi3, e se sia stato un suicidio per sconsideratezza. Ma
Miloyevi3 conosceva le sue condizioni fisiche e, interferendo
con la terapia, sapeva di star giocando con la propria vita.
Slobodan Miloyevi3 non aveva niente da guadagnare rima-
nendo vivo pi a lungo, e aveva tutto da perdere. Con la morte,
Miloyevi3 era evaso. Aveva privato le centinaia di migliaia delle
sue vittime della piena giustizia che spettava loro. Il miglior ri-
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sultato che il processo a Miloyevi3 aveva offerto loro stato la
decisione della Camera giudicante di respingere la mozione,
presentata a favore di Miloyevi3, di proscioglierlo dalle accuse
per mancanza di prove. andato nella tomba sapendo che la
Camera giudicante aveva mantenuto in piedi limputazione di
genocidio.
Sento il dovere di concludere la dichiarazione emessa dopo
la morte di Miloyevi3 con un tributo a Zoran Djindji3, a sua mo-
glie Ruzica e alla loro famiglia. stato Djindji3, pi di chiunque
altro, a mostrare il coraggio di fare quello che era necessario per
portare Slobodan Miloyevi3 allAja perch potesse affrontare la
giustizia, perch il Tribunale potesse dimostrare che nessun ca-
po di stato pu mai pi presumere di essere immune dalla giu-
stizia per aver osato commettere crimini di massa. In questo
modo, la volont di Zoran Djindji3 ha reso possibile un proces-
so che ha segnato la fine di unera lunga e disperata. Mi stato
di incoraggiamento sapere che i serbi venuti a commemorare
lanniversario della morte di Djindji3 erano pi numerosi di
quelli che hanno partecipato al funerale di Miloyevi3.
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La morte di Slobodan Miloyevi3 preludeva a un crollo del-
lappoggio politico su cui il Tribunale si basava per completare
la sua missione. Miloyevi3 era diventato limputato simbolo,
lHermann Gring del Tribunale, il secondo tra i favoriti di Hi-
tler, processato a Norimberga prima di suicidarsi, e il generale
Hideki Tojo del Tribunale, il primo ministro giapponese condan-
nato a Tokyo. Troppi giornalisti, propagandisti e leader politici
erano arrivati a identificare il Tribunale e il suo lavoro con il
processo Miloyevi3 ignorando tutti gli altri suoi casi. Lincrimi-
nazione della leadership croato-bosniaca, che in sostanza rap-
presentava il processo contro leredit di Franjo Tudjman e pre-
sentava forse la documentazione storica pi chiara in assoluto
per dimostrare come le decisioni prese dai leader politici nel
chiuso delle loro stanze producano crimini di guerra sul campo,
avrebbe richiamato scarsa attenzione al di l delle dosi di di-
sinformazione somministrate tramite la stampa croata. Il pro-
cesso di Ramush Haradinaj avrebbe suscitato interesse perch
si era installato nellestablishment politico del Kosovo e si era
ingraziato diplomatici e amministratori internazionali. Ora che
Miloyevi3 stava assaporando i suoi cigarillos e il suo cognac in
compagnia di Tudjman nellaldil, era evidente che lUfficio del-
la Procura avrebbe dovuto raddoppiare i suoi sforzi per convin-
cere lUnione europea a mantenere la pressione che stava eserci-
tando sulla Serbia. Questa era lultima leva significativa che ave-
vamo su Koytunica e le autorit di Belgrado, oltre che sui leader
del Montenegro e dellentit serba in Bosnia-Erzegovina, perch
arrestassero le ultime sei delle centosessantuno persone che il
Tribunale aveva incriminato. Io cercavo di contrastare ogni am-
morbidimento della posizione dellUnione europea. Forse il mio
atteggiamento era troppo rigido.
Il 15 marzo 2006 mi incontro con Hans Winkler, vicemini-
13.
Belgrado e il Montenegro: 2006 e 2007
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stro degli affari Esteri dellAustria, lo stato membro dellUnione
europea che occupa la presidenza dellorganizzazione. Il mio
messaggio il solito: le autorit di Belgrado sanno dov il na-
scondiglio di Ratko Mladi3 in Serbia; invece di arrestarlo ed
estradarlo allAia, Koytunica e gli altri leader serbi stanno per-
dendo tempo e sperperando risorse in vani tentativi di convin-
cerlo a costituirsi spontaneamente e poi cercando di convincere
tutti noi che questa inettitudine equivale alla cooperazione per
la quale Belgrado si aspetta di essere premiata. Winkler spiega
che lUnione europea sta continuando a esigere larresto di Mla-
di3 e ha deciso che, se la Serbia non dimostrer una piena coo-
perazione e non trasferir Mladi3 entro la fine di marzo, lUnio-
ne europea romper le trattative con Belgrado su un accordo di
stabilizzazione e associazione. Belgrado ha un bisogno dispera-
to di concludere questo accordo. Rappresenta lunica speranza
che hanno Serbia e Montenegro di essere ammessi un giorno
nella nuova Europa. Cos, secondo Winkler, la cooperazione con
il Tribunale rimane un prerequisito chiave da cui dipende lin-
gresso in Europa.
Per adesso, penso io.
Passano le settimane e il governo di Belgrado continua a pro-
mettere di intensificare lo sforzo per arrestare Mladi3. Ma le-
sercito continua a non fornire niente di consistente, e ci sono
buoni motivi per credere che ufficiali in servizio e a riposo si
stiano comportando in modo opposto. Le rivalit tra le agenzie
dintelligence civile e militare stanno frenando le indagini, o al-
meno cos ci viene detto. Le incongruenze tra i vari rapporti sui
progressi che Belgrado fornisce al Tribunale mi fanno sospetta-
re che alcuni dei contenuti siano stati manipolati. La mancata
cattura di Radovan Karadzi3, responsabilit comune di Serbia,
Republika Srpska, Nato e la nuova forza militare europea in Bo-
snia, lEufor, diventata una farsa. Il progettato ridimensiona-
mento dellEufor aggraver ulteriormente la situazione. Allini-
zio della primavera del 2006, riceviamo dalle autorit montene-
grine lavviso che stato intercettato un messaggio della nipote
di Karadzi3 a un uomo in Svizzera, che chiede la consegna di
determinati farmaci di cui, a quanto sembra, Karadzi3 stesso ha
bisogno. I montenegrini hanno seguito luomo dalla Svizzera al
Montenegro, dove consegna i medicinali allautista di un auto-
bus. Lautista poi si sposta fino a... Belgrado. I montenegrini se-
gnalano al Tribunale che non possono continuare a seguirlo,
perch Belgrado in Serbia, unaltra giurisdizione. Lautista ora
sotto la responsabilit delle autorit serbe. LUfficio della Pro-
cura avverte le autorit di Belgrado. Riceviamo notizia che si so-
no perse le tracce del conducente: senza altre spiegazioni. Per
pura disperazione, chiedo al Consiglio di sicurezza delle Nazio-
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ni Unite che assegni allUfficio della Procura poteri speciali e ri-
sorse adeguate per agire autonomamente e arrestare i latitanti
dovunque si nascondano; ma so che la richiesta non approder
a nulla.
Infilo le assicurazioni ricevute da Winkler nella mia Louis
Vuitton e faccio un giro che tocca Banja Luka, Belgrado e Pod-
gorica per concentrare tutta la pressione possibile sui serbi del-
la Republika Srpska, della Serbia e del Montenegro, per i quali
gli sforzi di Belgrado per avvicinarsi allEuropa sono fondamen-
tali. Ho sentito dire che il funzionario che sovrintende ai pro-
cessi di espansione dellUnione europea, il finlandese Olli Rehn,
sta preparandosi ad annunciare lannullamento del prossimo ci-
clo di colloqui di stabilizzazione e associazione con lUnione di
Serbia e Montenegro, che dovrebbero iniziare il 5 aprile. So che
il Montenegro ha fissato per il 21 maggio un referendum sullin-
dipendenza. Se i colloqui con lUnione europea falliscono, i
montenegrini favorevoli allindipendenza potrebbero, con gran-
de contrariet di Koytunica, raccogliere i voti necessari per se-
pararsi dalla Serbia.
A Banja Luka mi trovo seduta di fronte a Milorad Dodik, che
ancora primo ministro della Republika Srpska, lentit serba
della Bosnia. Gli ricordo tutte le promesse fatte sei anni prima
che si sono risolte in niente. Dodik risponde incolpando la Ser-
bia, sostenendo di aver sospeso ogni assistenza finanziaria alle
famiglie dei ricercati del Tribunale, e facendo una nuova serie di
promesse. Non ho molti motivi per credergli. Negli undici anni
trascorsi da quando stata riconosciuta nellAccordo di pace di
Dayton, la Republika Srpska non ha arrestato nemmeno uno dei
latitanti del Tribunale, e le autorit locali hanno privato lespres-
sione giustizia penale di ogni significato. Dobbiamo informa-
re Dodik e il suo ministro degli Interni che il nuovo consigliere
del ministro degli Interni per le questioni relative al Tribunale
sospettato di aver commesso crimini di guerra ed cugino di
uno dei nostri quattro ricercati; il ministro presente. Lui, ov-
viamente, sostiene che la cosa gli giunge nuova, e io devo pensa-
re che nessuno si sia preso il disturbo di controllare anche se il
consigliere e il latitante hanno lo stesso cognome: Zupljanin.
Anche i miei colloqui in Serbia risuonano delle solite pro-
messe e assicurazioni. Sentiamo che anche dopo il suicidio di
Milan Babi3 e la morte di Miloyevi3, il desiderio di consegnare
Mladi3 rimasto genuino, perch arrestare il generale fuggitivo
aprirebbe la porta dellUnione europea. Sentiamo dire da mini-
stri che si dimetteranno se non si otterr presto un risultato.
Sentiamo che i servizi dintelligence militari e civili di Belgrado
adesso cantano in piena armonia. Sentiamo che Mladi3 non si
nasconde pi nelle strutture dellesercito. Sentiamo che alcuni
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militari potrebbero essere stati coinvolti individualmente nella
protezione di Mladi3, ma ovviamente nessun ufficiale superiore
e certamente non lesercito del paese in quanto istituzione. Sen-
tiamo che il servizio di informazioni militare della Serbia tiene
sotto controllo quarantadue persone che si presume stiano aiu-
tando Mladi3 e che ci sono stati contatti confermati tra Mladi3 e
alcuni apicoltori nei pressi di Valjevo e altre cittadine serbe.
Sentiamo che le autorit hanno identificato cinquecentodiciotto
appartamenti nella sola Belgrado come possibili nascondigli e
che centonovantadue appartamenti di propriet delle forze ar-
mate sono stati perquisiti. Sentiamo che nel gennaio 2006 Mla-
di3 ha alloggiato per circa dodici giorni presso un ufficiale del-
lesercito di nome Stanko Risti3 in un cottage che questi possie-
de presso il confine serbo con la Croazia. Sentiamo che Mladi3,
allinizio di febbraio 2006 si spostato nellappartamento della
madre di Risti3 nella cittadina di Sremska Mitrovica. Sentiamo
che il servizio di informazioni ora far pressioni su questo
Risti3 perch fornisca informazioni sullubicazione attuale di
Mladi3. Sentiamo che Mladi3 isolato, si prepara da solo il pa-
ne, usa farmaci e comunica con la famiglia tramite il cellulare e
la posta. Sentiamo che la famiglia di Mladi3 lo sta rifornendo di
denaro mediante un altro ufficiale, un certo Jovan Djogo. Sen-
tiamo che tutti i membri della famiglia Mladi3 sono sotto sorve-
glianza. Ci dicono che il generale Aco Tomi3, ora a riposo, un
uomo molto pericoloso che la polizia non si neppure presa la
briga di interrogare.
Nel tardo pomeriggio del 29 marzo 2006, mi incontro con
Koytunica presso la sede del governo serbo nel centro di Belgra-
do. Koytunica, sempre cos legnoso, cos caparbio, appare inso-
litamente effervescente. Mi dice di aver parlato con Olli Rehn e
di aver saputo che mi incontrer con lui a Bruxelles. Dice che
catturare Mladi3 nellinteresse della Serbia e del Tribunale.
Ammette che Mladi3 si trova in Serbia. Conferma che la polizia
ha seguito i movimenti di Mladi3 fino a met febbraio, ma da al-
lora ne ha perso le tracce. Poi si lascia sfuggire che se i negozia-
ti con lUnione europea dovessero bloccarsi, questo renderebbe
pi difficile localizzare e arrestare Mladi3.
Sono scettica su tutto quello che ho sentito. I membri della
mia squadra e io ci chiediamo per quale motivo le autorit ser-
be abbiano fornito questo fiume di informazioni solo ora che
sono in visita a Belgrado e subito prima che lUnione europea
prenda una decisione cruciale, e non con maggiore continuit.
Voglio la prova che Belgrado stia facendo davvero qualcosa. Di-
co a Koytunica che secondo me sta solo continuando a tentare
di costringere Mladi3 a consegnarsi di sua volont. Koytunica lo
nega immediatamente. Dice che le due opzioni, arresto e resa
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volontaria, sono ancora entrambe aperte, ma prima Mladi3
devessere localizzato.
Quanto tempo? domando.
Rade Bulatovi3, capo dellagenzia di intelligence del governo
serbo, la Bia, dice: Presto... ancora qualche settimana.
Poi, senza che nessuno glielo chieda, Koytunica tira fuori
qualcosa che potevo aspettarmi: la promessa che Mladi3 sar
agli arresti entro la fine di aprile. Mi chiede di dare a Olli Rehn
una valutazione positiva, o almeno incoraggiante, sulla coope-
razione della Serbia, perch questo sarebbe un bene per il pae-
se. Il successo della Serbia sar il successo del Tribunale, dice.
Questo coup de thtre sembra troppo bello per essere vero. Ma
non posso fare altro che dire a Koytunica che gli conceder tem-
po fino alla fine di aprile.
Immagino che le circostanze difficili che si trovano ad af-
frontare Serbia e Montenegro costringeranno Koytunica a tener
fede alla promessa. Come potrebbero lui e i suoi sostenitori ro-
vinare tanta parte della futura prosperit e sicurezza dei loro fi-
gli per un testardo rifiuto di consegnare pochi uomini anziani,
non per essere sottoposti a una persecuzione ma per rispondere
a legittime accuse, tra cui il genocidio, derivanti da atti di ster-
minio di massa che hanno trasformato in paria lintero paese?
Durante il volo di ritorno allAia, confido ai miei consiglieri che
questa volta... di nuovo... sono sicura che Mladi3 presto sar in
mano nostra.
Il 31 marzo percorro lautostrada dallAia a Bruxelles. Olli
Rehn mi comunica di aver appena telefonato al primo ministro
Koytunica e al presidente Boris Tadi3 informandoli che in base
alla valutazione che fornir sulla cooperazione di Belgrado con
il Tribunale, annuncer al Parlamento europeo se i colloqui con
lUnione degli Stati di Serbia e Montenegro proseguiranno.
Dico a Rehn: Il mese scorso avrebbero potuto arrestare Mla-
di3 tre volte, e invece gli hanno mandato messaggi. Spiego che
alla fine di gennaio un serbo, questo Stanko Risti3 che in teoria
doveva trovarsi sotto sorveglianza della polizia ventiquattrore
su ventiquattro, ha accompagnato in auto Mladi3 da Belgrado a
una casa sicura presso il confine serbo con la Croazia. Ora, la
leadership non intende rivelare dove si trovi Mladi3. Ma, ag-
giungo, Koytunica sottoposto a una notevole pressione; mi ha
detto che hanno perso un po di settimane a causa della morte di
Miloyevi3; ha chiesto ancora qualche settimana per consegnare
Mladi3 alla giustizia.
Alla fine di aprile, specifico a Rehn.
Ci stanno provando sul serio? chiede Rehn.
Mi sembra di s, mi sembra che questa volta ci stiano pro-
vando... Risti3 dovrebbe essere arrestato... E io ho detto a Ko-
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ytunica che correr il rischio e chieder la continuazione dei
colloqui, e, se non consegna Mladi3, la pagher molto cara.
Rehn conviene che un rischio che vale la pena di correre. Gli
consiglio di tenere gi pronte le sanzioni nel caso che Koytunica
non tenga fede alla parola.
Rehn si rivolge al suo staff: Abbiamo qualche buona sca-
denza a maggio?.
Cenni di diniego. Lo staff decide di crearne una. Smembrano
lagenda di un incontro programmato per il 5 aprile e rimanda-
no la seconda parte a una nuova data nella prima met di mag-
gio, che, per coincidenza, cade subito prima il referendum del
Montenegro sullindipendenza. Rehn quindi chiama Koytunica,
il quale gli assicura, a quanto mi dice, che se Mladi3 non viene
catturato lui si dimetter.
Aspettiamo, e non tardiamo molto a renderci conto che le
promesse di Koytunica non sono altro che un muro di gomma.
A marzo, Patrick Lopez-Terres, il capo dellufficio investigativo,
torna allAia da un viaggio a Belgrado con una valutazione della
situazione sconfortante: i serbi, nonostante limpegno di Koytu-
nica, stanno solo continuando a cercare di convincere Mladi3 a
costituirsi spontaneamente. Evidentemente pensano che se riu-
scissero a rimandare la scadenza di marzo dellUnione europea,
avrebbero guadagnato diversi altri mesi.
Viene aprile. E se ne va. Le piogge primaverili annaffiano i
tulipani olandesi. Il vento del Mare del Nord soffia con forza
sulle dune e i fairway e le mura del carcere di Scheveningen.
Vojislav Koytunica non ci d nulla, e non si dimette. Il 3 maggio
dico a Olli Rehn che lUfficio della Procura ha ricevuto un rap-
porto completo sulle iniziative del governo di Belgrado per cat-
turare Mladi3. Anzich arrestare il latitante, i serbi hanno arre-
stato gente sospettata di fornirgli rifugio. Inoltre, sulla stampa
di Belgrado sono trapelate notizie su questa cosiddetta caccia
alluomo.
Rehn risponde che informer il presidente dellUnione euro-
pea che Belgrado non ha onorato i suoi impegni. La cosa, di-
ce, ormai riguarda la credibilit della politica dellUnione.
Rehn cancella immediatamente una tornata di colloqui con Bel-
grado fissata per i primi di maggio, e ottiene lappoggio dei mi-
nistri degli Esteri dellUnione europea, che si riuniscono qual-
che giorno dopo. Il 21 maggio, in Montenegro si tiene il referen-
dum, e lindipendenza vince di stretta misura. Le conseguenti
dichiarazioni di indipendenza montenegrina e serba durante la
prima settimana di giugno formalizzano lestinzione dellUnio-
ne degli stati di Serbia e Montenegro, cancellando le ultime ve-
stigia della fu Iugoslavia, lo stato che era nato dalle ceneri della
Prima guerra mondiale, lo stato che Slobodan Miloyevi3 aveva
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sognato di dominare interamente. Koytunica e altri leader serbi,
che non perdono mai loccasione di attribuire ad altri la respon-
sabilit dei loro problemi, danno la colpa al Tribunale.
A met giugno, Belgrado viene allAia. Rade Bulatovi3, capo
dellagenzia dintelligence del governo serbo, il Bia, ci dice che il
nostro rapporto allUnione europea stato impreciso, male-
volo e politicizzato. Ha la faccia tosta di sostenere che non ci
sono stati ostacoli allarresto di Mladi3 e che Belgrado non si sta
limitando a lavorare per convincere Mladi3 a consegnarsi spon-
taneamente. Spiega che i suoi operativi hanno cercato di tra-
smettere messaggi a Mladi3 tramite suo figlio Darko perch
convinti che questi appoggiasse il padre e fosse pronto a discu-
tere della resa. La morte di Miloyevi3 ha rovinato tutto, dice Bu-
latovi3, e la sospensione dei negoziati con lUnione europea e il
voto montenegrino per lindipendenza hanno reso evidente che
il Tribunale per la Iugoslavia un organismo politico manipola-
to in modo da esercitare pressioni sulla Serbia.
Ora Bulatovi3 ci rivela un nuovo pacchetto di misure prese
da Belgrado per prendere in custodia Mladi3. Il servizio di infor-
mazioni del governo, dice, sta studiando tutti i contatti di Mla-
di3 con le forze armate e la leadership politica. Ci dice che pra-
ticamente nessuno in Serbia disposto a nascondere Mladi3 e
che alcune persone che gli hanno dato rifugio sono state arre-
state. Ricorda che Djogo stato messo sotto custodia e, con
unammissione che la dice lunga sullintegrit del sistema giudi-
ziario serbo, sar condannato a quattro anni di carcere, cosa
che mander un severo messaggio a tutti coloro che potrebbero
star pensando di aiutare Mladi3. Bulatovi3 dice che gli investi-
gatori stanno esaminando la documentazione sanitaria di Mla-
di3 per vedere se lo si possa individuare attraverso i contatti con
i medici che lo stanno curando. Si lamenta della mancanza di
cooperazione da parte dei militari. Ci dice che agenti della poli-
zia segreta stanno seguendo la moglie di un altro ricercato im-
putato per fatti relativi al massacro di Srebrenica, il generale
Zdravko Tolimir, vicecomandante di Mladi3 per lintelligence e
la sicurezza, perch Mladi3 e Tolimir potrebbero nascondersi
insieme. Dice che Belgrado sta cercando anche di localizzare
Goran Hadzi3, lex leader politico dei serbi di Croazia, la cui fu-
ga dalla giustizia, dopo una soffiata dallinterno del governo di
Belgrado il giorno in cui era stata formulata lincriminazione,
era stata fissata su pellicola da un servizio dintelligence amico.
Basta, penso quando mi pare di aver sentito abbastanza del-
lesposizione di Bulatovi3. Ho la sensazione che ogni volta che
mi incontro con lui dovrei portarmi dietro una macchina della
verit. Poi parlo: Mladi3 avrebbe dovuto essere consegnato pi
di otto settimane fa. Stiamo vedendo sui giornali tutto quello
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che il Bia in teoria dovrebbe star facendo in segreto. tutto co-
s poco professionale... La mia idea che lo stiate facendo di
proposito semplicemente per raccogliere supporto politico.
Dai vostri sforzi investigativi non vediamo sortire nulla,
continuo, rilevando alcune delle numerose incoerenze nella ver-
sione degli eventi fornita da Bulatovi3, cosa che, ovviamente, si-
gnifica che gli sto dando esplicitamente del bugiardo. Poi gli
spiego che se Belgrado fosse davvero interessata a catturare
Mladi3 sarebbe stato pi produttivo continuare a tenere sotto
controllo la sua rete di appoggio che non arrestarne i membri.
Bulatovi3 cerca di difendersi accusando qualcun altro. Le
pressioni della leadership politica ci hanno costretto a ricorrere
a metodi radicali, dice. Dovevamo dimostrare che stavamo fa-
cendo qualcosa! Bulatovi3 protesta ancora pi calorosamente
quando gli diciamo che, diversamente dalla Serbia, il Montene-
gro ha messo in atto misure significative per rintracciare
Karadzi3. Sappiamo a che ora ognuno dei membri della fami-
glia Karadzi3 in Montenegro va a letto la sera e si alza al matti-
no, dico. Conosciamo ogni parola che viene pronunciata nella
loro casa.
Non vi fidate di noi? conclude Bulatovi3.
Non abbiamo idea di quello che stanno dicendo i vostri in-
terrogati. Da voi non riceviamo alcuna informazione, rispondo.
Bulatovi3 fa lincredulo. Sappiamo di avere uno o due mesi
per catturarlo. Abbiamo un grave conflitto con lesercito, e tutti
quelli che fanno parte della rete che protegge Mladi3 sono mili-
tari. Ci dice che Karadzi3 e Zupljanin si trovano, al novanta per
cento delle probabilit, in Montenegro e che Tolimir ha bisogno
di frequenti cure mediche.
Poco dopo la visita di Bulatovi3, le autorit di Belgrado fan-
no un altro tentativo di prendere tempo, presentando una cosa
che chiamano il loro Piano dazione per catturare Mladi3, Ka-
radzi3 e gli altri ricercati. Labbozzo di questo piano attraversa il
cyberspazio tra Belgrado e lAia. Dobbiamo persino protestare
che nelle prime versioni in qualche modo il verbo arrestare
scomparso dalla lista degli obiettivi del governo serbo. Alla fine,
il 15 luglio 2006, il Piano dazione raggiunge la sua versione de-
finitiva, sulla carta. Il suo scopo individuare, arrestare ed
estradare Ratko Mladi3 e i restanti ricercati per mezzo di una
azione sincronizzata delle autorit statali competenti. La lea-
dership statale dovrebbe istituire una struttura operativa di si-
curezza una cellula per raggiungere questi obiettivi. La lea-
dership deve anche mostrare in continuit e pubblicamente la
chiara e determinata volont di arrestare Ratko Mladi3 e trasfe-
rirlo allAia e spiegare che il suo arresto, come larresto di altri
ricercati, nellinteresse della Serbia. Infine, devessere formu-
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lato un dettagliato piano operativo in coordinamento con lUffi-
cio della Procura, che verr informato degli sviluppi con caden-
za quotidiana. Annunciando il Piano dazione al pubblico serbo,
Koytunica afferma che difficile immaginare che unUnione eu-
ropea senza la Serbia possa contribuire a garantire la stabilit
nei Balcani.
Per lui, forse.
Due sedie mancano nel banco degli imputati nellAula nume-
ro 1 del Tribunale la mattina del luned 21 agosto 2006, quando
si apre il processo sul caso denominato The Prosecutor v. Popo-
vi3 et al. I giudici e il personale della cancelleria ci sono. Gli in-
terpreti sono seduti nelle loro cabine. Dietro il vetro di sicurezza
nella platea, le guardie di sicurezza spiegano al pubblico e ai
membri della stampa come usare i dispositivi da cui ascoltare le
traduzioni. C unintera squadra della pubblica accusa, guidata
da Peter McCloskey, un californiano che ha presentato i primi
casi di Srebrenica. E vi sono sette imputati, trasandati dal pri-
mo allultimo e pochissimo conosciuti anche in Bosnia e in Ser-
bia. Le due sedie mancanti sul banco degli imputati sono quelle
che dovrebbero accogliere Ratko Mladi3 e il suo complice,
Zdravko Tolimir. Questo avrebbe dovuto essere lultimo proces-
so del Tribunale su Srebrenica. McCloskey avrebbe dovuto
esporre il caso di Srebrenica in una dettagliata dichiarazione di
apertura per lultima volta. Ora, ci sar bisogno almeno di un al-
tro processo.
Approfitto delloccasione per rivolgermi alla Corte e ricorda-
re le vittime del massacro di Srebrenica, un evento, temo, che
troppi diplomatici e leader politici che hanno a che fare con la
Serbia preferirebbero far finta che non fosse mai accaduto:
al di l di ogni ragionevole contestazione il fatto che un genocidio
e altri crimini contro lumanit siano stati commessi... Unintera
popolazione cancellata, donne, bambini e anziani espulsi dalle loro
case; uomini e ragazzi indifesi abbattuti dai plotoni di esecuzione,
sepolti nelle fosse comuni, e poi riesumati e seppelliti di nuovo nel
tentativo di nascondere al mondo la verit.
Ma la tragedia sempre viva di Srebrenica, il primo lascito di questa
atrocit tocca alle famiglie che sono rimaste. Le donne e i bambini
costretti a vivere la loro vita privati dei padri, senza i mariti, i fra-
telli, i figli, i vicini, la loro comunit...
Questi sette imputati, signori della Corte, ufficiali, in servizio sotto
Ratko Mladi3 e Zdravko Tolimir, sono tra i maggiori responsabili, i
maggiori responsabili dei crimini tremendi commessi a Srebrenica
che risultano dagli atti daccusae...
Lo sforzo di portare davanti alla giustizia i maggiori responsabili
dei crimini tremendi nella ex Iugoslavia, compreso il capitolo pi
buio, il genocidio a Srebrenica, incompleto. Purtroppo, due uomi-
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ni che dovrebbero sedere come imputati davanti a questa corte in
questo momento, in questa aula, sono ancora in libert. Mi riferi-
sco, naturalmente, a Ratko Mladi3 e Zdravko Tolimir.
assolutamente scandaloso che questi uomini, insieme con Rado-
van Karadzi3, non siano stati arrestati e consegnati al Tribunale
perch affrontino le accuse mosse contro di loro. Il governo della
Repubblica di Serbia pienamente in grado di arrestare questi uo-
mini. Finora si semplicemente rifiutato di farlo... Linspiegabile ri-
fiuto di arrestare e trasferire Mladi3 vuol dire che in futuro occor-
rer celebrare un altro processo per Srebrenica, quando Mladi3 e
Tolimir saranno sotto custodia. E non ci si faccia illusioni: lui, Mla-
di3, e Tolimir, Karadzi3, e tutti gli altri latitanti verranno arrestati.
Saranno portati allAia e processati per i loro crimini. Questo lim-
pegno che prendiamo con la comunit internazionale, con le donne
che piangono i loro cari [a Srebrenica], e con tutte le vittime del
conflitto nella ex Iugoslavia.
McCloskey e il suo team danno quindi inizio alla maratona
della presentazione delle prove e degli argomenti. E io torno al-
lo sforzo frustrante di costringere la Serbia a mantenere i propri
obblighi internazionali. Il cosiddetto Piano dazione, va da s,
non ha prodotto alcuna azione.
Lo status quo nessun arresto e anche una cooperazione av-
vilente da parte di Belgrado, ma un deciso rifiuto dellUnione
europea di intrattenere colloqui di stabilizzazione con Belgrado
si trascina fino alla seconda met del 2006. Quindi, la questio-
ne della sovranit sul Kosovo, la travagliata provincia a stra-
grande maggioranza etnica albanese, sale in cima allagenda
serba di Stati Uniti, Unione europea e Nazioni Unite.
Lo sforzo delle Nazioni Unite per definire il futuro status del
Kosovo stava per arrivare a un momento cruciale. Il Segretario
generale aveva nominato lex presidente della Finlandia, Martti
Ahtisaari, rappresentante speciale incaricato di proporre un
piano per il futuro della provincia. Nel tentativo di ammorbidire
la prevedibile opposizione di Belgrado al piano per il Kosovo,
alcuni stati membri dellUnione europea cominciavano a chie-
dere di ridurre lopposizione della stessa Unione ai colloqui di
stabilizzazione e associazione. Cos facendo, mi sembrava, sta-
vano in pratica premiando il mancato rispetto della Serbia del
suo obbligo a cooperare.
Stava cambiando anche la linea politica degli Stati Uniti.
Nellautunno del 2006 riceviamo indicazioni che lamministra-
zione Bush era impegnata in un dibattito interno sullautorizza-
zione da dare alla Serbia ad aderire alla Partnership for Peace
della Nato, il programma di orientamento che lorganizzazione
utilizza per agevolare lingresso nellalleanza dei paesi dellEuro-
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pa orientale e dellex Unione Sovietica. Alcuni segmenti della
classe dirigente serba auspicavano lingresso nella Partnership
for Peace, che comportava unassistenza finanziaria per poten-
ziare le forze armate. La linea politica degli Stati Uniti da tempo
era quella che la Partnership for Peace fosse aperta solo a quei
paesi i cui governi mostravano una cooperazione piena con il
Tribunale per la Iugoslavia; Belgrado era stata informata che
poteva aderire solo dopo che Mladi3 fosse stato consegnato al-
lAia. La questione ora diventava se Washington intendesse ab-
bandonare questa precondizione. Sentiamo dire che il Consiglio
della sicurezza nazionale ora appoggiava il ritiro di questa con-
dizione, sostenendo che lingresso della Serbia nella Partnership
for Peace avrebbe sventato un avvicinamento di Belgrado alla
Russia e imposto alle forze armate serbe delle riforme che
avrebbero facilitato la cattura di Mladi3, Karadzi3 e degli altri
latitanti. Nel tardo autunno, non molto tempo prima di un fon-
damentale summit della Nato a Riga il cui inizio programma-
to per il 28 novembre, riceviamo la notizia che il dibattito ter-
minato e che Washington continuer a ritenere valide le condi-
zioni precedenti. Siamo fiduciosi che le pressioni su Belgrado
proseguiranno ininterrotte.
Il 28 novembre, per, ricevo una telefonata dal Dipartimento
di stato che ci informa che durante il volo a bordo dellAir Force
One da Washington a Riga, il presidente George Bush ha deciso
di ribaltare la linea politica degli Stati Uniti. Ci dicono che lam-
ministrazione Bush ha ricevuto una lettera del presidente serbo
Boris Tadi3, che fa appello allingresso nella Partnership for
Peace perch questo migliorer le prospettive di leader politici
serbi filoccidentali nelle imminenti elezioni. Nonostante una re-
sistenza allultimo minuto da parte di un numero esiguo di stati
membri, tra cui i Paesi Bassi, la Nato decide di aprire le porte al-
la Serbia, affermando che lalleanza ha riaffermato i valori e
principi fissati nei documenti della Partnership for Peace, si
aspetta una piena cooperazione, e controller attentamente la
cooperazione della Serbia.
Non sono affatto contenta. Annuncio che n la Nato n gli
Stati Uniti hanno consultato preventivamente il Tribunale per
valutare la natura e il grado della cooperazione di Belgrado e
che la decisione della Nato ci ha colti di sorpresa. Dico anche che
la decisione si presenta come un premio per il rifiuto serbo di
cooperare. Lamministrazione Bush ha in pratica deciso che
rientra nei valori e principi della Nato accogliere nella fami-
glia della Nato quegli stessi militari che stanno proteggendo
Mladi3, il latitante incriminato per lassassinio di settemilacin-
quecento prigionieri musulmani, adulti e ragazzi, per non parla-
re delle altre imputazioni.
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Il viceprocuratore David Tolbert e il mio consigliere politico
Jean-Daniel Ruch sono in visita a Washington qualche settima-
na dopo e chiedono a un membro dello staff del Consiglio per la
sicurezza nazionale perch gli Stati Uniti abbiano pensato bene
di abbandonare la leva di cui disponevano nei confronti dei ser-
bi. Labbiamo ancora, afferma lui. Possiamo influenzare gli
europei. Possiamo dire allEuropa di mantenere la sua fermezza
e di continuare la cooperazione con il Tribunale su tutti i punti
in discussione. Il cambiamento di linea politica, conferma,
stato effettuato per migliorare le prospettive elettorali di Tadi3.
Noi riteniamo che questa valutazione e questo approccio siano
sbagliati. La nuova politica statunitense, pensiamo, non far
che rafforzare gli avversari di Tadi3: Koytunica e il resto della
destra serba, che da sempre spingono per non far nulla, per
aspettare finch la risolutezza della comunit internazionale
non fosse venuta meno e il ricordo di Srebrenica sfumato del
tutto. I fatti ci danno ragione. Il leader politico che emerge dalle
urne dopo il ribaltamento della linea politica di Washington
Koytunica, non Tadi3; e il cambiamento di direzione lascia gli
Stati Uniti senza pi possibilit di influire sulla Serbia. Koytuni-
ca chiaramente ben lieto di accettare questa manna caduta dal
cielo. Annuncia che una cosa buona essere membri della
Partnership for Peace, perch rafforza i legami della Serbia con
lOccidente e potrebbe aiutare la Serbia a riacquistare il control-
lo sul Kosovo, una cosa di cui Washington chiaramente non ha
voglia di sentir parlare, perch ansiosa di vedere lo status del
Kosovo risolto a favore degli albanesi, in modo che il Pentagono
possa dirottare le sue truppe su aree di conflitto pi critiche co-
me lIraq e lAfghanistan. Con gli americani che ora si trovano a
tirare fili che non sono connessi a nulla, Koytunica libero di
giocare la carta russa sul Kosovo; e infatti la gioca.
Il ribaltone di Washington sulla Partnership for Peace non
ha che poche ore di vita, e gi cominciamo a notare, allinterno
dellUnione europea, una spinta ad ammorbidire le sue richieste
alla Serbia perch cooperi con il Tribunale. Il 28 novembre
2006, lo stesso giorno del mutamento in volo della linea politica
di George Bush, il direttore politico del Foreign Office britanni-
co, John Sawers, giunge allAia. Sawers inizia il nostro colloquio
assicurandomi che i britannici sono, ovviamente, i pi fervidi
sostenitori del Tribunale nellUnione europea e che le uniche di-
vergenze tra il mio ufficio e il governo britannico sono sorte su
questioni di tattica e non strategiche. Parliamo della Serbia,
dice Sawers. Sono daccordo che una cosa frustrante. Al livel-
lo politico non hanno fatto niente. Ma i due servizi dintelligen-
ce si stanno coordinando meglio, e questo noi lo vediamo come
un piccolo progresso.
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un movimento, non un progresso, intervengo io.
Sawers chiede come potrebbe fare lUnione europea a man-
tenere la condizionalit, ossia continuare a richiedere la coope-
razione della Serbia con il Tribunale come un prerequisito per i
colloqui di stabilizzazione e associazione: Gli Stati Uniti hanno
deciso di concederle la Partnership for Peace. Sar molto diffici-
le per il primo ministro Blair mantenere da solo la posizione.
Mi chiedo perch Blair dovrebbe essere da solo allinterno
dellUnione europea quando i Paesi Bassi, il cui contingente di
pace aveva assistito alla caduta di Srebrenica, sostiene senza
esitazioni il Tribunale. Quindi, mi chiedo, gli olandesi posso-
no mantenere da soli la posizione. E i francesi e i belgi ci appog-
giano. E Blair non pu stare con loro?
Sawers dice che potremmo aspettarci una spinta dallItalia,
la Spagna, lUngheria, lAustria e la Grecia, il paese che pi fer-
vidamente sostiene lingresso della Serbia nellUnione europea,
per far ripartire i colloqui di stabilizzazione e associazione. Do-
vremo boxare con intelligenza, dice Sawers, ma poi d unindi-
cazione che la Gran Bretagna potrebbe essere pronta a gettare
la spugna: Quello che vorremmo portare i serbi in un ciclo di
cooperazione. Di conseguenza, se esiste un impegno politico e
segni positivi di progresso, indipendentemente dal trasferimento
di Mladi3 allAia, potremmo invitare Olli Rehn a riprendere i ne-
goziati. Questa la frase chiave. E Sawers la dice senza nem-
meno pronunciare la parola Kosovo.
Il 21 gennaio 2007, gli elettori serbi vanno alle urne. Il risul-
tato una netta vittoria della destra, anche se i seggi in Parla-
mento sono divisi tra i radicali e gli alleati di Koytunica, e nes-
sun partito ottiene la maggioranza assoluta. Ancora una volta la
comunit diplomatica sceglie di vedere Koytunica non come lo
strenuo nazionalista che ma come un moderato utile per te-
nere a bada il Partito radicale unorganizzazione ultranaziona-
lista e fautrice della violenza guidata da Vojislav Yeyelj, che
gradito ospite nel carcere di Schevinengen in attesa del pro-
cesso per imputazioni relative ai presunti crimini di guerra
commessi dalla milizia del suo partito in Croazia e in Bosnia. La
comunicazione dei risultati elettorali preannuncia mesi di nego-
ziati per formare il nuovo governo.
Non passa molto tempo prima che i britannici siano di nuo-
vo allAia. Geoffrey Hoon, il ministro per gli Affari dellUnione
europea, viene a parlare con me nel mio ufficio il 29 gennaio.
Questa volta dico chiaramente come la penso. I serbi continua-
no a dire che vogliono che Mladi3 si costituisca spontaneamen-
te. Avrebbero potuto consegnarlo tanto tempo fa se avessero vo-
luto... Per cui ho paura che la decisione dellUnione europea di
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riprendere i colloqui con Belgrado mander un messaggio nega-
tivo, un pessimo messaggio.
Mladi3 dov? chiede Hoon.
Probabilmente in un appartamento di Belgrado... I capi di
entrambi i servizi di intelligence debbono sapere esattamente
dove si trova, ma non c il segnale di via libera da parte di Koy-
tunica per arrestarlo. Boris Tadi3, il presidente serbo, permet-
terebbe di sicuro larresto di Mladi3, continuo, ma, come presi-
dente, non ne ha il potere.
Quindi Hoon sollecita qualsiasi idea che possiamo avere sul-
le iniziative che Belgrado potrebbe intraprendere, a parte larre-
sto e la consegna di Mladi3, che mi indurrebbero a dichiarare
che la Serbia sta collaborando con il Tribunale. Definisco il Pia-
no dazione una cortina fumogena, ma dico: Se vi fosse qual-
cuno nei posti chiave di cui potessi fidarmi, che ci fornisse
informazioni, questo potremmo chiamarla cooperazione. Ma di
Bulatovi3 non posso fidarmi, perch lui mente continuamente.
Hoon dice che andr a Belgrado prima della prossima riu-
nione dei ministri degli Esteri dellUnione europea, prevista per
febbraio, e cercher di esercitare una pressione politica sui ser-
bi: nel loro pieno interesse cooperare. Non far ulteriori con-
cessioni, altrimenti non arriveremo da nessuna parte.
E il Kosovo? chiedo, riferendomi alla possibilit che Mla-
di3 sia liquidato in cambio del consenso della Serbia a lasciar
andare il Kosovo.
Non c bisogno di uno scambio a questo punto, dice
Hoon. Daltra parte... non so proprio se possiamo aspettare che
Mladi3 sia qui prima di riprendere i colloqui... importante che
vi sia una prova di progresso obiettiva. Poi possiamo vedere se
quel progresso ha in s qualche sostanza. Chiede di Karadzi3, e
io gli dico che abbiamo indicazioni che si trova in Serbia ma che
spesso rientra nella Republika Srpska, muovendosi con laiuto
della chiesa ortodossa serba da un monastero allaltro e da un
villaggio allaltro. Karadzi3 dipende dal traffico di droga, dico,
aggiungendo che stiamo chiedendo laiuto di imprenditori ser-
bo-bosniaci stanchi di pagare la sua protezione.
Ma le autorit della Republika Srpska non stanno facendo
nulla per i latitanti. Mi lamento di non saper pi che cosa stia
facendo la comunit internazionale per catturare i ricercati del
Tribunale in Bosnia. Quindi, concludo i miei commenti con lof-
ferta di capitolare, di ritirarci dal campo da gioco: Se la comu-
nit internazionale non pi interessata ad arrestare i nostri ri-
cercati, vorrei che ce lo diceste. Concluderemo i nostri processi.
La finiremo di dedicare risorse alla ricerca dei latitanti. Sarebbe
una decisione politica. La ripresa dei colloqui di stabilizzazione
e associazione sar un segnale. Se riprendere i colloqui, vuol di-
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re che Karadzi3 e Mladi3 non vi interessano pi. Hoon rispon-
de nettamente: La nostra posizione non questa.
Lo spero.
Il 31 gennaio sono a Bruxelles e mi incontro con Javier Sola-
na, anzich con Olli Rehn, che andato a Helsinki per motivi di
famiglia.
Il novanta per cento dei nostri ricercati sotto custodia gra-
zie allUnione europea, dico a Solana. Ora il momento cru-
ciale per prendere Mladi3. Ma Spagna, Italia, Slovenia, Austria,
Ungheria e altri vogliono riprendere i colloqui di stabilizzazione
e associazione a causa del Kosovo... Questo avr leffetto peggio-
re possibile, perch Koytunica ha ricevuto lammissione alla
Partnership for Peace per non aver fatto nulla. Lui stesso ne ri-
masto sorpreso. E ora spera che anche lUnione europea rinunci
alla condizionalit... Se le cose stanno cos, smetter di ricercar-
lo. Ma dovete dirmelo.
Oh, no, Carla, risponde Solana in un modo che sembra ac-
cendere un riflettore sul muro di gomma. Devi continuare. Ma
sai bene che la situazione nei Balcani deve essere stabilizzata.
Continueremo a dire le stesse cose.
Dobbiamo separare il Kosovo da Mladi3, dico io.
S, risponde, ma il governo lo stesso, e i russi compliche-
ranno le cose per fargli guadagnare tempo. Solana quindi mi d
unanteprima sulla soluzione proposta da Ahtisaari alla questio-
ne della sovranit del Kosovo. Gli albanesi otterrebbero lindi-
pendenza, ma sotto supervisione. Il piano finale sar presentato
pi in l nel mese. Ma la questione Mladi3 rester immutata.
Se i negoziati riprendono il 12 febbraio, possiamo dimenti-
carci di Mladi3 e Karadzi3, dico, riferendomi ai colloqui di sta-
bilizzazione e associazione.
I negoziati non inizieranno se non c cooperazione, ri-
sponde Solana, ma Mladi3 non una condizione. Rileviamo
che le sue parole rispecchiano la posizione dei britannici: coope-
razione indipendentemente dallarresto di Mladi3, abbassando lo
standard.
Prima deve cambiare qualcosa nei servizi dintelligence, di-
co. Se vengo informata di quello che stanno facendo, sono pron-
ta a confermare che c piena collaborazione anche se Mladi3
non allAia... Ma Koytunica pu consegnarmi subito Mladi3.
Bulatovi3 pu consegnarmelo. Fate pressione su Koytunica. Per
il momento non insisto su Karadzi3. Ma Mladi3 lo voglio.
Il giorno dopo, primo febbraio, telefono su una linea aperta
al presidente della Serbia, Boris Tadi3, per far seguito a un in-
contro segreto che avevamo avuto due mesi prima a Berlino.
Uno degli argomenti discussi era un rapporto su Mladi3 che Ta-
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di3 stava cercando di ottenere da entrambi i servizi di intelligen-
ce serbi. Poco dopo lincontro, due consiglieri di Tadi3 erano ve-
nuti allAia presentandomi un diagramma schematico con la
struttura organizzativa dellennesima iniziativa per arrestare
Mladi3. Loperazione avrebbe fatto riferimento a Tadi3, non a
Koytunica. Durante la telefonata chiedo a Tadi3 notizie del rap-
porto su Mladi3 dei servizi di sicurezza. Sono passati due mesi,
mi dice, e sta ancora aspettando.
E la nuova organizzazione? domando. Se attiva questa
nuova struttura, la cosa potrebbe essere molto positiva. E do-
vrebbe prendere decisioni sulle persone che desidera avere in
questa organizzazione, un piccolo gruppo.
Sono daccordo, risponde, dei cambiamenti sono necessari.
Sarebbe bene riprendere il lavoro adesso.
Purtroppo, replica Tadi3, c il problema del Kosovo. Un
anno fa, il problema era la morte di Miloyevi3. Dallautunno, so-
no state le elezioni. Ora il Kosovo. Senza il Kosovo, dice Ta-
di3, le cose sarebbero molto pi facili.
Luned 5 febbraio parlo al telefono con Olli Rehn. Merco-
led sar a Belgrado, e voglio sentire il tuo input, dice. La mia
idea che, questa settimana, non scenderemo nei particolari
pubblicamente su quello che ci si aspetta dalla Serbia. Ma in
privato studieremo i dettagli per fare qualche progresso serio. In
ogni caso, lUnione europea non prender alcuna decisione sui
colloqui finch non sar nominato un nuovo governo. Abbiamo
bisogno di punti di riferimento concreti, di criteri generali.
Rehn mi chiede di fargli preparare dal mio ufficio una valu-
tazione sulla cooperazione di Belgrado e di mandargli una lista
di passi che la Serbia potrebbe effettuare prima e dopo la for-
mazione del nuovo governo. Bene, rispondo, questo in prati-
ca significa che Belgrado ha un mese per dimostrare che ha dav-
vero intenzione di arrestare Mladi3. Quello che debbono fare
mettere le persone giuste nei posti giusti... Ma Koytunica va per-
suaso ad arrestare Mladi3, perch pu farlo immediatamente.
Tadi3 avr bisogno di un mese. A Tadi3 serviranno nuove strut-
ture, persone nuove e nuovi modi di lavorare... Per cui, quello
che dovresti fare, per favore, premere sul governo attuale. in
ballo la credibilit dellUnione europea. La cooperazione va an-
cora peggio di prima. Koytunica entrato nella Partnership for
Peace e ha ricevuto messaggi che i negoziati riprenderanno tra
breve. Perch mai dovrebbe muoversi?
Mandiamo immediatamente a Rehn una relazione sulla
mancata cooperazione di Belgrado insieme con la lista richiesta
delle cose che i serbi potrebbero fare per migliorare la situazio-
ne. Dallottobre del 2006, riferiamo, la cooperazione di Belgrado
ha subito un deterioramento sia in termini di ricerca dei latitan-
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ti sia sullaccesso a documenti e testimoni. Le ultime informa-
zioni che abbiamo ricevuto dalle autorit di Belgrado sulla cac-
cia alluomo risalgono al 13 ottobre. Il Piano dazione non ha la
minima probabilit di successo. Un numero crescente di richie-
ste di assistenza, tra cui una avanzata molto tempo prima del fa-
scicolo personale militare di Ratko Mladi3, sono rimaste senza
risposta. LUfficio della Procura ha buoni motivi per credere che
le autorit di Belgrado siano in grado di arrestare Mladi3 e altri
latitanti, ma che non hanno la volont di farlo. Dal marzo del
2006 Belgrado non ha fornito alcuna informazione significativa
su Mladi3 o sui suoi sostenitori, e si sono lasciati sfumare piste
potenzialmente utili. Analogamente, Belgrado non ha mostrato
alcuna volont di cooperare per quanto riguarda larresto di Ra-
dovan Karadzi3.
Per dimostrare la cooperazione con gli sforzi del Tribunale,
un nuovo governo avrebbe dovuto intraprendere alcuni cambia-
menti significativi strutturali e tra il personale. In particolare,
Koytunica, ancora primo ministro ad interim, pi il ministro de-
gli Interni, quello della Giustizia, quello della Difesa e i capi dei
servizi dintelligence non possono essere considerati come part-
ner affidabili. Il presidente Tadi3 deve assumersi personalmente
la responsabilit dellarresto dei latitanti, esprimere un forte im-
pegno pubblico in questo senso, e ottenere lautorit e le risorse
necessarie per realizzare questo compito. Al livello operativo
dello sforzo per arrestare Mladi3, va istituita una nuova struttu-
ra coinvolgendo il meglio del personale civile e militare sotto un
comando unificato che risponda direttamente al presidente Ta-
di3, e un meccanismo di coordinamento operativo con lUfficio
della Procura.
Il 6 febbraio ci incontriamo con il ministro degli Esteri dei
Paesi Bassi Ben Bot, che conferma che anche il governo olande-
se ha ricevuto informazioni dalle quali risulta che le autorit di
Belgrado potrebbero arrestare Mladi3 ma non hanno la volont
di farlo. Bot ci avverte che dobbiamo aspettarci altre pressioni
per la ripresa dei colloqui di stabilizzazione e associazione tra la
Serbia e lUnione europea. Ci avverte che alcuni membri riten-
gono impensabile che la Serbia sia lasciata al di fuori dellEuro-
pa e che lisolamento, che spingerebbe Belgrado verso la sfera
dinfluenza di Mosca, sarebbe pi problematico del mancato ar-
resto di alcuni criminali di guerra. La linea di Belgrado e dei
suoi sostenitori, dice, che si toglierebbe dai pasticci se riuscis-
se a tener duro ancora per un anno e mezzo.
Il giorno dopo, il 7 febbraio, mi attivo per affrontare i sosteni-
tori della Serbia entro lUnione europea. La mia prima tappa
Madrid. Qualche settimana prima avevo dichiarato a un giornale
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spagnolo di essere delusa per lappoggio incondizionato offerto
dalla Spagna alla ripresa dei negoziati tra lUnione europea e la
Serbia; dopo questa intervista, lambasciatore spagnolo nei Paesi
Bassi mi informa che il suo ministro degli Esteri, Miguel ngel
Moratinos, rimasto talmente contrariato dai miei commenti da
pensare di annullare il nostro incontro a Madrid. Lambasciatore
mi consiglia di non parlare pi con la stampa prima dellincontro.
Latmosfera nelle stanze del ministero degli Esteri spagnolo
tesa quando mi presento per il mio colloquio con Moratinos. Il
mio aiuto, Jean-Daniel Ruch, mi dir in seguito di essere stato
tutto il tempo seduto sullorlo della sedia chiedendosi chi avrebbe
fatto la prima mossa per mettere fine alla discussione, se io rac-
cogliendo la mia Louis Vuitton, o Moratinos indicandoci la porta.
Non posso fare a meno di pensare che lansia di Madrid sulla Ser-
bia abbia molto a che fare con le analogie tra il problema della
Serbia con il Kosovo e quello della Spagna con la regione basca.
Ringrazio brevemente la Spagna per lappoggio offerto al Tri-
bunale, soprattutto per lo sforzo per catturare il latitante croato
Ante Gotovina. Ma, aggiungo, sono sorpresa che Spagna, Ita-
lia, Ungheria e gli altri vogliano riprendere i colloqui con la Ser-
bia anche in assenza di una sua cooperazione con il Tribunale.
Sono anche sorpresa che lei se la sia presa perch ho espresso
queste mie preoccupazioni alla stampa... Io sono un procuratore,
e godo di indipendenza. E non apprezzo che lambasciatore spa-
gnolo sia venuto da me a informarmi che cera il rischio che non
fossi bene accetta qui. Questo un ricatto, e a me non piace.
Madame, risponde Moratinos, un ambasciatore di Spagna
non ha bisogno di ricorrere al ricatto. E io sono a mia volta sor-
preso che lei, madame Del Ponte, abbia espresso un giudizio
preventivo sulla posizione spagnola prima di venire nel paese ad
ascoltare direttamente quale sia la posizione del governo... Lei
da me non ha mai sentito qual la nostra posizione... A quanto
mi risulta lei non era presente alla riunione del Consiglio in cui
ho espresso questa posizione. Se si era gi formata un giudizio,
forse non era necessario che ci incontrassimo...
Noi vogliamo aiutarvi come vi abbiamo aiutato con la Croa-
zia, che era un paese candidato [allingresso nellUnione euro-
pea] prima ancora che vi fosse una piena cooperazione. Perch
non possiamo usare lo stesso approccio con la Serbia?
Moratinos mi assicura che accogliere di nuovo la Serbia nei
colloqui di stabilizzazione e associazione non vuol dire che lU-
nione europea cesser di premere perch cooperi pienamente
con il Tribunale. Non siamo tenuti a concludere laccordo se
non c la piena cooperazione, dice. Stiamo dicendo ai serbi
che hanno perso il Montenegro, che stanno perdendo il Kosovo
e che debbono consegnare Mladi3. Ma io sono preoccupato per
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la stabilit nella regione. Incoraggeremo i serbi perch possia-
mo avere risultati sul campo.
Moratinos diventato rosso, alza la voce, gesticola al modo
latino. Dice che la Spagna e gli altri paesi vogliono riprendere i
negoziati con la Serbia. Non senza condizioni, mi assicura,
ma larresto di Mladi3 non pu essere una condizione.
Mi dispiace di averla fatta arrabbiare, mi scuso. Poi, per es-
sere chiara, riferisco lintera storia del perch i negoziati siano
saltati nella primavera del 2006. Gli dico delle ripetute vane pro-
messe di Koytunica. Dico a Moratinos che la parola di Koytuni-
ca non vale niente. Gli dico che non abbiamo alcuna coopera-
zione da Belgrado fin da subito prima che la Nato decidesse di
invitare la Serbia nella Partnership for Peace.
Moratinos riconosce che nella primavera del 2006 la Spagna
aveva appoggiato la rottura dei negoziati con Belgrado.
Da allora non cambiato niente, dico.
Moratinos ribatte che Karadzi3 responsabilit della Bo-
snia-Erzegovina, come se il governo di Sarajevo fosse responsa-
bile dellassoluta mancanza di cooperazione dei serbi bosniaci
nel governo della Republika Srpska. Perch non dice che non
c piena cooperazione per quanto riguarda la Bosnia? dice
Moratinos. Questo approccio non ha funzionato. Dobbiamo
trovare un approccio che dia dei risultati. una questione di vi-
ta o di morte per molte persone.
A questo punto la discussione si fa estremamente tesa. Mi ri-
volgo al mio aiuto, Ruch, che vede quanto sono in collera. Di
qualcosa, gli dico. E Ruch introduce qualche argomento, che
non ricordo neppure, solo per far calmare le acque.
Moratinos segue la linea Koytunica sulla sospensione dei
colloqui della Serbia con lUnione europea, come se la cosa fos-
se mirata a pregiudicare lesito del referendum sullindipenden-
za del Montenegro. Quindi ripete la sua promessa: Faremo tut-
to il possibile per indurre la Serbia a cooperare. Vogliamo una
cooperazione efficace. Se arriviamo alla fine dei colloqui e Mla-
di3 non c, allora non firmiamo.
Mi dia due mesi, dico, intendendo due mesi dopo la forma-
zione di un nuovo governo serbo.
Gliene do tre, risponde Moratinos. Fra tre mesi, torner
qui a scongiurare il mio appoggio.
A questo punto siamo tutti e due in piedi.
Il giorno dopo, 14 febbraio, riceviamo una telefonata da
Bruxelles con linvito a un pranzo al Palais DEgmont con il mi-
nistro degli Esteri belga, Karel De Gucht. Dopo un momento di
confusione allaeroporto, arriva lauto del ministro che ci ac-
compagna a un incontro con deliziosi gamberetti, tournedos, e
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bicchieri di Chablis Premier Cru e un Bordeaux di dieci anni. Il
ministro riferisce che il Belgio e i Paesi Bassi si sono battuti con
tutte le forze alla riunione dei ministri degli Esteri dellUnione
europea per evitare che Spagna, Italia, Austria, Ungheria e Slo-
venia chiama questi paesi gli asburgici convincano gli altri
a emettere una dichiarazione che i negoziati sulla stabilizzazio-
ne e associazione saranno ripresi con la Serbia senza condizioni
significative. Invece, grazie al Belgio, ai Paesi Bassi e ad altri, la
dichiarazione dice che i colloqui saranno ripresi solo dopo che
la Serbia avr formato un nuovo governo e avr dimostrato un
chiaro impegno a cooperare con il Tribunale e ad assumere ini-
ziative concrete ed efficaci. Si tratta di un ammorbidimento del-
la posizione precedente nessun colloquio senza una completa
cooperazione, compresi gli arresti dei latitanti ma non in-
condizionata. stato quanto di meglio potevamo ottenere, di-
ce De Gucht. Erano disposti ad accettare la Serbia solo in base
a un vago impegno... Se abbandoniamo Mladi3, la cosa avr un
impatto sullintera regione. Poi dice che il Belgio rimarr fer-
mo sulla cooperazione anche se dovesse restare solo e che man-
der una lettera al ministro degli Esteri tedesco che presiedeva
la riunione dei ministri per chiedere che alla prossima riunio-
ne dei ministri degli Esteri io sia ascoltata.
Da Bruxelles voliamo a Roma per un faccia a faccia, il 15
febbraio, con il ministro degli Esteri, Massimo DAlema, un al-
tro sostenitore della necessit di eliminare la condizionalit per
la ripresa dei colloqui con la Serbia sulla stabilizzazione e asso-
ciazione. Laccoglienza nella patria del muro di gomma molto
pi cordiale di quella che ho ricevuto in Spagna. Comincio di-
cendo a DAlema che gli sono grata per avermi ricevuta, perch
sta diventando difficile trovare ministri che abbiano ancora
tempo da dedicarmi: Temo che lUnione europea decider di
riprendere i negoziati con la Serbia senza alcuna condizione,
perch non abbiamo pi alcuna cooperazione sui ricercati o sui
documenti.
Ho bisogno di un intero mese dopo che il governo si for-
mato, per avere Mladi3. Quello che ci serve adesso ristabilire i
contatti. Moratinos ha accettato di concedermi tre mesi dopo la
formazione del nuovo governo.
Ma, dice DAlema, lei sa che tutti, tranne il Belgio e i Pae-
si Bassi, sono daccordo con me che i colloqui debbono ripren-
dere se c un progresso. Non si tratta di abbandonare il Tribu-
nale. Noi vogliamo dei risultati. La sospensione fallita. Tutto
collegato. Il Kosovo collegato... Non dimentichi, Tadi3 ritiene
che la nostra formula sia la migliore, e non dimentichi che
Djindji3 ha pagato il prezzo pi alto per la sua collaborazione
con il Tribunale... Un atteggiamento ostile non incoragger la
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cooperazione. Un atteggiamento ostile far montare il naziona-
lismo. Questo potrebbe destabilizzare lintera regione...
Insomma, siamo in una fase delicatissima, ma in sostanza
abbiamo una posizione ferma. Prima della formazione di un
nuovo governo non accadr nulla. Poi dovremo verificare la cre-
dibilit del nuovo governo e rivedere la posizione dellUnione
europea. Non ci servono polemiche pubbliche. Renderebbero
pi confuso il messaggio... Quindi dobbiamo fare insieme una
valutazione, perch se i Serbi hanno limpressione che il Procu-
ratore isolato, cesseranno del tutto di cooperare con lei. Nes-
suno in Europa pensa che i serbi non debbano cooperare. Dob-
biamo creare un clima di fiducia. Mi sbaglier. Ma sono in buo-
na fede.
Non mi affatto chiaro come potrebbero le autorit di Bel-
grado cooperare di meno. Lo status del Kosovo non ha niente a
che fare con il Tribunale, dico. Temo che non avremo mai Ka-
radzi3 e Mladi3. Il Tribunale deve chiudere nel 2010. Stanno
prendendo tempo. Hanno avuto il regalo della Partnership for
Peace, e adesso gli state offrendo un altro regalo.
Comincio di nuovo ad andare in collera. Dovrebbe essere il
mio ufficio a determinare se il nuovo governo stia cooperando
davvero, dico. La valutazione tocca a me. Forse Tadi3 ha la vo-
lont di lavorare con me. Ma dovete darmi il tempo necessario
per esprimere una valutazione... Se si riprendono i colloqui e
Mladi3 ancora a piede libero, la cosa render molto pi diffici-
le il lavoro della Procura anche in Croazia e in Bosnia.
Ovviamente, dice DAlema, devessere il Tribunale a deter-
minare se le azioni sono concrete.
Quindi, chiedo, lei daccordo che io faccia una valutazio-
ne prima che decidiate se riaprire i negoziati?
Be, io sono daccordo solo sul fatto che lei venga consultata
sulla concretezza delle azioni del governo di Belgrado.
Mi aspetto che il nuovo governo mi contatti, dico. Sono
pronta a dichiarare che c piena cooperazione se mi coinvolgo-
no nel lavoro.
In conclusione, DAlema dice che un problema di volont
politica... Se ha paura che stiano tirando per le lunghe per far
chiudere il Tribunale, saremo pronti a estendere il mandato ol-
tre il 2010. A questo punto capisco che inutile andare avanti.
Solo il Consiglio di sicurezza dellOnu pu estendere il mandato
oltre il 2010. LItalia non fa parte del Consiglio di sicurezza. E
certamente non fornir i fondi per prolungare la vita del Tribu-
nale nemmeno di un solo giorno.
Il processo di Srebrenica era iniziato da poco pi di due me-
si nellautunno del 2006, quando gli Stati Uniti avevano abban-
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donato la condizionalit per lingresso della Serbia nella Part-
nership for Peace e i paesi dellUnione europea avevano comin-
ciato a cincischiare sulla condizionalit per riprendere i nego-
ziati sulla stabilizzazione e associazione. Nellultima settimana
di febbraio del 2007, la Procura ha ancora sei mesi per finire la
presentazione del caso contro Popovi3 e gli altri imputati, in as-
senza del latitante Mladi3 e del suo assistente per lintelligence e
la sicurezza, Tolimir. Grazie a due dei testimoni dellaccusa, ri-
cevo ancora un altro segnale che mi ricorda perch, nonostante
levidente erosione del sostegno per il Tribunale da parte delle
potenze occidentali, devo perseverare per portare davanti alla
giustizia i restanti ricercati.
A qualche metro dal mio ufficio, un testimone della Procura,
un uomo il cui nome e identit sono tenuti segreti per proteg-
gerlo dalle rappresaglie, seduto nel banco dei testimoni dietro
uno schermo che lo nasconde agli spettatori in aula. Il testimo-
ne era il conducente di un camion per gli approvvigionamenti
per lesercito serbo-bosniaco. Consegnava cibo e bevande alle
unit militari al tempo del massacro di Srebrenica. Nella parte
cruciale della sua testimonianza, riferisce di aver assistito alle-
secuzione di ragazzi e adulti musulmani trasportati a un campo
di sterminio gi disseminato di cadaveri. Poi avvenne un evento
di quelli che cambiano la vita:
In quel mucchio, in quella catasta di cadaveri che non sembravano
pi persone... solo una pila di carne a pezzi... emerse un essere
umano. Dico un essere umano, ma per la precisione era un bambi-
no di cinque o sei anni. incredibile. Incredibile.
Un essere umano venne fuori e cominci a muoversi verso il sentie-
ro, il sentiero dove gli uomini con i fucili automatici stavano facen-
do il loro lavoro. E questo bambino camminava verso di loro. Tutti
quei soldati e poliziotti, quella gente che non aveva problemi a spa-
rare... allimprovviso... abbassarono i fucili e tutti quanti, dal primo
allultimo, rimasero come paralizzati. E quello era solo un bambi-
no... un bel bambino innocente... coperto di pezzi di viscere di altra
gente...
Questo ufficiale... sono sicuro che era un tenente colonnello o un
colonnello... Ed era... la persona pi arrogante... si rivolse agli uo-
mini, ai soldati, e disse: Che state aspettando? Finitelo. E quegli
uomini, quegli uomini che non avevano avuto problemi ad ammaz-
zare, gli dissero: Signore lei ha la pistola, perch non lo finisce lei?
Forza, perch noi non possiamo farlo. Tutti quanti... erano sempli-
cemente ammutoliti; poi lufficiale disse: Prendete il bambino,
mettetelo sul camion e portatelo laggi; e poi portatelo qui con il
prossimo viaggio e cos poi verr finito.
Io ero l, completamente impotente. Ero un esterno... uno dei servi-
zi logistici... non centravo niente con quello che stava succedendo
l. Loro stavano giustiziando della gente, e il mio lavoro era portare
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da mangiare i viveri; e poi hanno preso il bambino, non quelli che
stavano finendo i fucilati, no. Gli altri presero il bambino per ma-
no... Lui diceva: Babo, cos che chiamano il pap. Diceva: Babo
dove sei?. Il bambino era sotto choc. Lo portarono al camion. Il
bambino, capendo che era gi stato sul camion, fu preso dalle con-
vulsioni. Tremava e diceva: No, no. Non voglio.
Allora sono intervenuto... Ho detto: State a sentire, io accendo le
luci nel mio furgone, e metto la musica cos lo distraiamo da tutto
quello che sta succedendo. Accendo la radio perch volevo che il
bambino tornasse in s. Era completamente sperduto, non capiva
che cosa succedeva e lui chi era. Ho detto: Cerco di portarlo io do-
ve voi volete che lo porto. E cos sono salito sul furgone e ho acce-
so la luce... e questo ha aiutato il bambino perch per lui era tutto
buio assoluto...
Gli ho detto: Vieni qua, vieni qua, vieni da me. Ho detto: Guarda,
ho la luce accesa, c la musica. Dun tratto mi ha preso la mano ed
venuto da me... Non vorrei che nessuno di voi avesse questa espe-
rienza. Ero un uomo forte. Ero un uomo solido. Quella era la mia
reputazione. Ma non augurerei a nessuno di provare questa cosa...
la stretta, la stretta della sua mano nella mia, ed ero stupito di tanta
forza. La forza di questo bambino. E poi io... sono salito sul furgo-
ne, io... lho lasciato solo per un secondo, solo perch dovevo accen-
dere il motore, e mettere su la musica, e poi siamo tornati indietro
con il resto... lo sapete chi era il resto... perch la sfornata successi-
va potesse essere fatta fuori.
Appena quattro giorni dopo, il 26 febbraio 2007, il video del-
la televisione a circuito chiuso nel mio ufficio sta di nuovo mo-
strando le attivit in corso nellAula 1. Un giovane sta prestando
la sua testimonianza a porte chiuse: il giovane, che, bambino di
sette anni, insanguinato, infangato e coperto di merda, era sbu-
cato dalla catasta di cadaveri e si era avvicinato ai carnefici che
avevano ammazzato il suo babo.
Purtroppo, mentre sedevo nel mio ufficio ascoltandone le pa-
role, potevo quasi udire un collettivo respiro di sollievo e uno
scoppio di risa maliziose provenire dalla direzione della Serbia.
Quella stessa mattina, nelle loro solenni camere nel Palazzo del-
la Pace a un solo chilometro dal Tribunale per la Iugoslavia, i
giudici della Corte internazionale di giustizia, il pi potente or-
ganismo giudiziario delle Nazioni Unite, avevano emesso una
decisione nellazione penale promossa dalla Repubblica di Bo-
snia-Erzegovina accusando la Serbia di complicit nel genoci-
dio in Bosnia-Erzegovina dal 1992 al 1995 perch, tra le altre
cose, Slobodan Miloyevi3 aveva armato, finanziato e incoraggia-
to i serbi di Bosnia a compiere la campagna di pulizia etnica che
era costata decine di migliaia di vite e scacciato centinaia di mi-
gliaia di persone dalle loro case. La Corte internazionale di giu-
stizia annuncia che i suoi giudici hanno votato, tredici a due,
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per il proscioglimento della Serbia dallaccusa di genocidio in
Bosnia-Erzegovina, compresi gli eccidi di Srebrenica. La mag-
gioranza ha sentenziato che la Serbia non ha commesso geno-
cidio, tramite suoi organi o persone i cui atti comportino una
responsabilit in base al consueto diritto internazionale. Nella
motivazione della sentenza, il presidente della Corte, giudice
Rosalyn Higgins del Regno Unito, scrive: La Corte rileva che gli
atti di genocidio a Srebrenica non possono essere attribuiti a or-
gani di stato [della Serbia]. Questa sentenza vincolante e defi-
nitiva. Non pu esserci appello.
Sono esterrefatta. La verit, capisco, non servita. Dalla pri-
mavera del 2003 in poi, lUfficio della Procura ha ottenuto centi-
naia di documenti segreti, tra cui i verbali di riunioni di leader
politici e militari iugoslavi in tempo di guerra, che forniscono la
chiara prova del ruolo giocato dalla Serbia nella guerra di Bo-
snia. La Serbia ha ottenuto il benestare del Tribunale per la Iu-
goslavia per mantenere nascoste al pubblico alcune sezioni di
questi documenti e, cosa pi importante, nascoste ai giudici del-
la Corte internazionale di giustizia. Questi giudici avrebbero po-
tuto prendere una decisione diversa se avessero insistito per
avere accesso alla documentazione completa del Consiglio su-
premo di difesa. La Corte, invece, non ha ordinato la consegna
dei documenti direttamente alla Serbia. Gli avvocati che presen-
tavano il caso della Bosnia avevano chiesto alla Corte di chiede-
re che la Serbia fornisse una versione incensurata dei documen-
ti; ma la Corte aveva rifiutato, affermando che prove abbon-
danti erano a disposizione presso il Tribunale sui crimini di
guerra. La sentenza della Corte riconosce che i giudici non han-
no visto le sezioni protette delle minute del Consiglio supremo
di difesa. I magistrati della Corte internazionale di giustizia scri-
vono opinioni divergenti e di critica a questa carenza. Il vicepre-
sidente della Corte, Awn Shawkat al-Khasawneh di Giordania,
scrive nella sua opinione che deplorevolmente la Corte ha man-
cato di agire e aggiunge: ragionevole immaginare che questi
documenti avrebbero fatto luce sulle questioni centrali. Laltro
giudice dissidente, Ahmed Mahiou dellAlgeria, scrive che i giu-
dici avevano diverse ragioni, nessuna delle quali sufficiente-
mente convincente per non richiedere i documenti; tra queste
ragioni cera il timore di dare limpressione che la Corte si stesse
schierando e il timore di interferire nella sovranit di uno stato
o di trovarsi in imbarazzo davanti a un rifiuto serbo. Questa si-
tuazione, penso, sarebbe da ridere se non fosse cos tragica.
I verbali del Consiglio supremo di difesa e altri fascicoli per-
sonali segreti forniscono la prova incontrovertibile che il con-
trollo e la direzione dello sforzo bellico serbo in Bosnia-Erzego-
vina sono stati in mano alla Serbia. Spiegano nei particolari in
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che modo Belgrado finanziava e alimentava lo sforzo bellico dei
serbi. Mostrano che lesercito serbo-bosniaco, bench dopo il
1992 formalmente separato dallesercito iugoslavo, ne era in
realt unappendice. I documenti dimostrano che forze serbe,
tra cui la polizia segreta, hanno svolto un ruolo nella presa di
Srebrenica e nella preparazione del massacro che l si svolto.
Potrei essere accusata di vilipendio, dicendo questo. Ma la que-
stione troppo importante per non essere messa in chiaro.
In una seconda parte della sua sentenza, la Corte internazio-
nale di giustizia rileva, per dodici voti contro tre, che la Serbia
ha violato lobbligo a impedire il genocidio, cosa che ha un le-
game con il massacro di Srebrenica del 1995. Il giudice Higgins
dice che per le autorit di Belgrado era chiaro che esisteva il
grave rischio di un pesante massacro a Srebrenica. Cionono-
stante, la Serbia non aveva mostrato di intraprendere alcuna
iniziativa per impedire che accadesse quel che accadde n alcu-
na azione da parte sua per sventare le atrocit che si stavano
commettendo. La sentenza dice che laffermazione della Serbia
di essere nellimpossibilit di evitare i massacri non corrispon-
de alla sua ben nota influenza sullesercito serbo-bosniaco.
La Corte ritiene che lindennizzo pecuniario per la mancata
prevenzione del genocidio a Srebrenica non sia il rimedio ap-
propriato. Per la Corte la forma pi appropriata di soddisfazio-
ne sarebbe una dichiarazione in cui la Serbia dichiari di non
aver rispettato lobbligo di prevenire il crimine del genocidio.
La mia squadra legale e io ci riuniamo quel pomeriggio per
vedere se nella decisione della Corte internazionale di giustizia
ci sia qualcosa che potremmo applicare allo sforzo diplomatico
di esercitare maggiori pressioni su Belgrado perch consegni i
nostri ricercati. La Corte ha dichiarato che la Serbia ha violato
la Convenzione sul genocidio, rendendola cos il primo stato
mai colpito da questa accusa, perch non ha arrestato e conse-
gnato Mladi3 e Karadzi3 al Tribunale per la Iugoslavia. Questa
sentenza ci offre potenti argomenti da portare ai paesi dellU-
nione europea: volete davvero integrare uno stato che ha violato
la Convenzione sul genocidio? Cosa ne dei vostri valori e prin-
cipi? Cosa ne del mai pi?
Il 27 febbraio 2007 scrivo ad Angela Merkel, cancelliere della
Repubblica federale di Germania, che in quel momento alla
presidenza dellUnione europea. La mia lettera rimarca che la
Corte internazionale di giustizia ha ritenuto che la Serbia abbia
mancato nel prevenire lesecuzione di un genocidio a Srebrenica
e nel punirne gli autori, incluso Ratko Mladi3. Come hanno
mostrato passate esperienze, solo la continua pressione e la
chiarezza del messaggio dellUnione europea indurr la Serbia a
cooperare. Per il bene della giustizia e dellautorit della legge,
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della massima importanza che lUe mantenga la posizione di
principio che ha preso e che i negoziati su un Accordo di stabi-
lizzazione e associazione riprendano solo dopo che la Serbia ha
arrestato ed estradato Ratko Mladi3.
Una cortese risposta arriva una settimana dopo.
Durante lultima settimana di maggio del 2007, mesi dopo le
elezioni parlamentari, i leader politici della Serbia riescono fi-
nalmente a formare un nuovo governo. Pi o meno in questo pe-
riodo, lUfficio della Procura invia a Belgrado due investigatrici
esperte in diritti umani e crimini di guerra, Stephanie Frease e
Vlatka Miheli3, per monitorare le iniziative di questo nuovo go-
verno volte a mettere sotto chiave gli ultimi imputati latitanti.
La situazione comincia a evolvere.
Il 31 maggio 2007 il numero dei ricercati che ancora manca-
no allappello scende da sei a cinque, quando le autorit della
Republika Srpska finalmente compiono il loro primo arresto.
Non richiede molto sforzo da parte loro. la squadra di Bulato-
vi3 a Belgrado, e non i serbi bosniaci, ad aver scoperto che
Zdravko Tolimir, lex numero due di Ratko Mladi3, si nasconde
in un appartamento che sarebbe adiacente alla residenza di uno
dei parenti di Mladi3. Tolimir stato lunico nellesercito serbo-
bosniaco in grado di esprimere apertamente il suo dissenso ver-
so Mladi3. A quanto pare non un corrotto e vive nellaustera
semplicit di un monaco ortodosso. Mladi3 si fida ciecamente
di lui, chiave di volta della rete di protezione.
I serbi non mi hanno mai fornito un resoconto credibile di
questa operazione di arresto, soprattutto perch Koytunica, no-
nostante tutte le sue promesse, resta contrario ad arrestare cri-
minali di guerra e, per qualche motivo che non sono mai riusci-
ta a capire, desidera mantenere la finzione che la Serbia non
avrebbe niente a che fare con la cattura di Tolimir. Sapevamo
che Tolimir aveva problemi di salute e che il personale di Bula-
tovi3 stava tenendo sotto controllo i suoi medici e sua moglie.
Forse questo sforzo ha portato alla scoperta del suo nascondi-
glio. Ununit speciale serba ha preso Tolimir in custodia quan-
do lui si rifiutato di consegnarsi spontaneamente. Bulatovi3,
sembra, avrebbe chiamato la polizia della Republika Srpska av-
vertendola che Mladi3 o qualcuno a lui vicino avrebbe attraver-
sato il confine dalla Serbia in Bosnia-Erzegovina. Unit di poli-
zia serbo-bosniache hanno raggiunto Bratunac, che sorge sulla
Drina, il confine naturale tra i due paesi. Le autorit serbe poi, a
quanto sembra, avrebbero trasportato Tolimir oltre il fiume,
perch la polizia della Republika Srpska lo ha trovato mentre
camminava da solo lungo una strada sul lato bosniaco, presso
un villaggio chiamato Sopotnik. Tolimir ha rifiutato di rispon-
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dere alle domande mentre veniva trasportato alla capitale della
Republika Srpska, Banja Luka, dove le autorit serbo-bosniache
lo hanno consegnato al contingente militare europeo. Seguendo
una procedura preordinata, la Nato lo ha condotto in volo al-
lAia. Tolimir non ha protestato mentre si trovava sotto la custo-
dia del contingente militare internazionale in Bosnia; al contra-
rio, i comandanti della forza mi hanno detto in seguito che era
calmo e discuteva della sua filosofia di vita e di tecniche del con-
trollo della mente. Le autorit serbo-bosniache mi hanno poi ri-
ferito che lui non avrebbe mai pi partecipato a una sceneggia-
ta del genere perch Koytunica potesse dire che nessuno degli
imputati del Tribunale era stato arrestato su suolo serbo.
(Scherzando, un funzionario della polizia della Republika Srpska
diceva che le autorit serbe vedevano la Republika come un luo-
go dove scaricare le loro scorie nucleari.)
Larresto di Tolimir mi coglie di sorpresa. una spinta signi-
ficativa per il morale del Tribunale e sembra presagire la cattura
di Mladi3 in persona. Tolimir in collera durante le prime
udienze davanti alla Camera giudicante. Ignora le ingiunzioni
del giudice. Non si alza in piedi. Si toglie lauricolare che tra-
smette la traduzione simultanea in serbo-croato della procedu-
ra, cos da non dover ascoltare la lettura ad alta voce degli otto
capi di imputazione che lo accusano di genocidio e altri crimini
relativi al massacro di Srebrenica. Tolimir si rifiuta di dichiarar-
si colpevole o innocente e pretende che il Tribunale indaghi sul
suo illegale arresto e rapimento da parte di un gruppo crimi-
nale. Dentro di s, ne sono sicura, sente di essere stato tradito
dai suoi connazionali serbi. Non capisco perch Bulatovi3 non
abbia tenuto in custodia Tolimir pi a lungo per interrogarlo sul
nascondiglio di Mladi3.
Da mesi sto programmando un viaggio lungo a Belgrado che
coincida con la nomina del nuovo governo. Intendo incontrarmi
con quante pi autorit possibile, riempire lagenda di colloqui
per esigere larresto degli ultimi latitanti del Tribunale, e in que-
sto modo esercitare la massima pressione possibile sul governo
serbo perch onori i suoi obblighi internazionali. Larresto di
Tolimir, pochi giorni prima che il 4 giugno abbia inizio la mia
visita, mi priva di buona parte della spinta che volevo portare.
Le sale del governo a Belgrado risuonano del solito ritornello
La Serbia deve rispettare tutti gli obblighi che ha verso il Tribu-
nale per la Iugoslavia al pi presto possibile ma stavolta le
labbra che pronunciano queste parole appartengono a ministri,
capi della polizia e capi dei servizi segreti serbi.
Il primo incontro che ho a Belgrado quel luned con Koytu-
nica. Nonostante una certa piacevole retorica, non affatto un
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colloquio piacevole. Koytunica mi assicura che la cooperazione
della Serbia con il Tribunale entrata in una nuova fase. Que-
stultima tappa del processo ora sar pi facile, dice, assicuran-
domi che i coordinatori delle relazioni della Serbia con il Tribu-
nale, Vladimir Vukjevi3 e Rasim Laji3, hanno fatto un lavoro
magnifico con larresto di Tolimir. Tutto stato effettuato in
cooperazione con la Republika Srpska, si vanta. Poi dice che
larresto di Mladi3 e degli altri ricercati si sarebbe realizzato un
anno prima, se io solo avessi dato a Olli Rehn una calorosa rela-
zione sulla cooperazione della Serbia con il Tribunale e se lU-
nione europea non avesse interrotto i colloqui di stabilizzazione
e associazione con Belgrado. A questo punto, dice Koytunica,
tutto sarebbe risolto.
Lo ringrazio per larresto di Tolimir. Condivido la sua valuta-
zione che ora ci sono buone prospettive per nuovi arresti e per-
ch la Serbia riprenda i colloqui con lUnione europea. Ma conti-
nuo ad avere la sensazione che ci sia qualcosa che non va. Ko-
ytunica continua a ribadire che Tolimir stato catturato nella
Republika Srpska, come se non sapesse quello che so io, o lo sa-
pesse e pensasse che per me non abbia importanza. Gli chiedo
come mai non abbia rilasciato pubblicamente nessun commento
sullarresto di Tolimir, non abbia voluto far sapere al pubblico
serbo quanto sia cruciale che gli accusati siano portati alla giu-
stizia.
Non era necessario, risponde. Limportante che sia stato
fatto. Quindi si lancia in una critica al Tribunale ed esprime
persino appoggio a Yeyelj, il nazionalista serbo radicale, dicen-
do che sono stati manipolati testimoni contro di lui. Questa la-
mentela di Koytunica sui testimoni ridicola, e nessuno la sta
prendendo sul serio, tranne, a quanto pare, il giudice che presie-
de il processo a Yeyelj, il corso Jean-Claude Antonetti, i cui mo-
nologhi dalla sua cattedra hanno gi indotto gli altri due giudici
del caso Yeyelj a dissociarsi pubblicamente da lui.
Debbo continuare a insistere sulla piena cooperazione, dico.
Koytunica allora afferma che arrestare Mladi3 sar pi diffi-
cile per la Serbia di quanto arrestare Gotovina lo sia stato per la
Croazia perch, spiega, Mladi3 non lo conosciamo. Non lo
abbiamo mai visto. della Bosnia. Non si sa dove si trovi....
Mladi3 era qui in Serbia e a Belgrado e le autorit ne erano
perfettamente al corrente, rispondo. Possiamo essere sicuri
che abbiate la volont politica di risolvere la questione?
Su Mladi3, risponde Koytunica, s.
Non ne sono affatto sicura. Non ho molti motivi per fidarmi.
Il primo ministro serbo, dopo tutto, ha appena tirato fuori que-
sta perla: Mladi3 non lo conosciamo. E appena poche ore do-
po apprendiamo di pi sulla verit dellarresto di Tolimir. Risul-
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ta che Vladimir Vukjevi3, il procuratore capo della Serbia sui
crimini di guerra, e Rasim Laji3, il responsabile ufficiale della
Serbia per i rapporti con il Tribunale, non sapevano nulla dello-
perazione di arresto di Tolimir, e Vukjevi3 aveva persino pensa-
to di dimettersi perch era stato tenuto fuori dalla decisione.
Siamo tutti seduti in riunione, e Bulatovi3 ci racconta delle
menzogne, mi dice Vukjevi3. Perch non si arrestato Tolo-
mir nel modo giusto in Serbia per dimostrare piena cooperazio-
ne? Alla fine Vukjevi3 si rassegna allidea che, come dice lui
stesso, non importa il colore del gatto, basta che prenda i topi.
Dopo larresto di Tolimir, non mi resta che fare lo stesso anchio.
Mi trattengo in Serbia altri quattro giorni, in colloqui con le au-
torit, cercando di assicurarmi che larresto di Tolimir non sia lul-
timo. Allinizio della conversazione con il presidente Boris Tadi3,
dico che fornir alle Nazioni Unite e allUnione europea una valu-
tazione positiva della cooperazione della Serbia, e lo informo che
Olli Rehn ha gi accennato al fatto che la Serbia ricever un no-
tevole sostegno finanziario dallUnione europea. Gli dico anche
che, quale che fosse in passato la nostra opinione su Bulatovi3,
stata la figura principale dietro larresto di Tolimir. Bulatovi3 ha
prodotto risultati. Abbiamo bisogno che abbia ancora successo.
Bulatovi3 pu prendere Mladi3, dico a Tadi3, e allora lasciamo-
glielo fare. Cerchiamo di pensare un modo per finire tutto questo.
Tadi3 dice come la pensa senza mezzi termini, perch per molte
buone ragioni di cui mi rendo perfettamente conto, non si fida di
Bulatovi3 e, nel rimpasto del governo, sta cercando di sostituirlo.
Proprio lei chiede che Bulatovi3 rimanga? dice, doman-
dandomi se sono saltata sul carro di Koytunica.
Non ho molta fiducia in Bulatovi3. Lho detto chiaro e tondo
a tutti, Bulatovi3 compreso, un anno prima dellarresto di Toli-
mir. Ma le lancette avanzano. La squadra di Bulatovi3 ha avuto
la responsabilit dellarresto. Lappoggio di altri ministeri serbi
sta migliorando. Persino il famoso fascicolo personale di Ratko
Mladi3 stato consegnato, con leccezione di un solo documen-
to, una valutazione della sua attivit durante lanno del massa-
cro di Srebrenica, il 1995. Il prossimo impegno arrestare Mla-
di3 e gli altri. Non ha senso cambiare i giocatori in campo ades-
so, soprattutto ora che tutti quelli coinvolti nel processo di
espansione dellUnione europea stanno osservando ogni mossa
di Belgrado. La palla in mano ai servizi. Li assisteremo quan-
do pi possiamo.
Io voglio Mladi3, dico. Adesso.
Poco dopo la polizia della Republika Srpska fa irruzione nel-
le case di due familiari di Stojan Zupljanin. Il 15 giugno gli eli-
cotteri della polizia serba cercano Mladi3 presso due monasteri
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ortodossi in unarea collinare a ovest di Belgrado. E lo stesso
giorno lagenzia di intelligence serba riceve dallUfficio della Pro-
cura informazioni su una delle amanti di Vlastimir Djordjevi3.
stata fermata per una piccola infrazione doganale, e durante lin-
terrogatorio ha rivelato lubicazione di Djordjevi3... non in Rus-
sia, come pensavamo tutti, ma in una localit turistica sulla co-
stiera montenegrina. Djordjevi3 tornato dalla Russia non pi
tardi del 2003, quando il passaporto stava per scadergli. Si pro-
curato documenti falsi in Serbia e ha vissuto per almeno una
parte del tempo sotto uno pseudonimo provocatorio: Novica Ka-
radzi3. In seguito ha viaggiato avanti e indietro per Belgrado, al-
loggiando persino allHotel Moskva, il maggiore albergo della
citt. Il personale di servizio non sapeva chi fosse. La moglie, in-
contrandolo in strada, non lo riconosceva. Lavorava nelledilizia
a Budva, un centro turistico sullAdriatico dove la mia squadra e
io avevamo trascorso una serata magnifica bevendo vino e pas-
seggiando per le strade della citt vecchia. La localit ha goduto
di un boom edilizio che impiega migliaia di lavoratori in nero, e
Djordjevi3 riuscito a mimetizzarsi tra loro.
Le autorit montenegrine, a quanto sembra, non avevano
idea che Djordjevi3 si trovasse nel loro paese, e non hanno cre-
duto a Bulatovi3 quando le ha avvertite. Poco dopo la mezza-
notte del 17 giugno, un aereo atterra in Montenegro con un
gruppo di poliziotti e agenti dellintelligence serbi e di investiga-
tori del Tribunale. Nel giro di quale ora unit della polizia si
concentrano su un indirizzo di Budva. Djordjevi3 non c. Pro-
cedono su una seconda localit, lappartamento di un certo
Stojkovi3, un serbo di Belgrado. Djordjevi3 qui.
Ho alcune domande imbarazzanti per le autorit montene-
grine quando mi reco da loro tre settimane dopo. Karadzi3, di-
co al presidente Filip Vujanovi3. Karadzi3... Djordjevi3 viveva
sotto lo pseudonimo di Karadzi3! uno schiaffo in faccia. Co-
me ha fatto Djordjevi3 a vivere in Montenegro passando inos-
servato?
Vujanovi3 e gli altri spiegano che nessuno ha mai cercato se-
riamente Djordjevi3 in Montenegro, perch tutti erano convinti
che fosse nascosto in Russia. Il Montenegro non aveva ricevuto
nessuna richiesta di informazioni su di lui, mentre cerano ri-
chieste e soffiate su quasi tutti gli altri ricercati. Spiegano che
Djordjevi3 era nascosto in luoghi in cui nei suoi anni in polizia
aveva sviluppato delle connessioni. Risiedeva solo in apparta-
menti e case di propriet di serbi. Aveva a che fare solo con cit-
tadini serbi.
Ma il nome: Karadzi3? Com possibile risiedere in Monte-
negro con questo nome per pi di un anno e non essere registra-
to? Quante persone che si chiamano Karadzi3 vivono qui?
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Chiedo a Vujanovi3 che faccia in modo che la cooperazione tra
la polizia montenegrina e quella serba venga rafforzata. Mi assi-
cura che le autorit collaboreranno e seguiranno ogni pista.
Sarebbe stato meglio se fosse stato arrestato il vero Karad-
zi3, dice Vujanovi3. Sottolinea che il vero Karadzi3 e Mladi3
avevano la priorit. Mi ricorda che i montenegrini hanno intro-
dotto un agente fidato in un monastero ortodosso per cercare
Karadzi3, e che ne hanno mandati altri a controllare la sua pre-
senza al funerale di sua madre. Vujanovi3 dice che le autorit
montenegrine continueranno a esercitare la massima pressione
possibile sui membri della famiglia Karadzi3. Hanno imposto il
divieto di spostamento a quarantasei persone sospettate di esse-
re coinvolte nella rete di supporto dei latitanti; tra queste vi so-
no membri della famiglia Karadzi3 e il vescovo Filaret del mo-
nastero ortodosso serbo a Mileyevo. Alla fine, i montenegrini mi
invitano a fare una gita al parco nazionale di Tara.
Dopo, penso io. Dopo.
La prima volta che mi sono incontrata con qualcuna delle
migliaia di donne che hanno perso mariti, padri e figli a Srebre-
nica stato durante una delle mie visite iniziali in Bosnia-Erze-
govina, poco prima della caduta di Slobodan Miloyevi3. Mi ave-
vano cercato le organizzatrici di un gruppo che si chiama Ma-
dri di Srebrenica. Chiedevano un incontro. Una piccola folla,
almeno qualche centinaia di persone, si era raccolta davanti al
palazzo delle Nazioni Unite a Sarajevo. Le guardie di sicurezza
si rifiutano di lasciarle entrare e mi informano che mi sarebbe
stato possibile incontrarmi solo con due o tre rappresentanti.
Sarebbe un disastro. Dico alle guardie che se non fanno entrare
tutte le donne andr io fuori, da sola. Solo allora allestiscono
una sala riunioni. Ci tengo a stringere la mano a ognuna delle
donne che entrano nella sala. Sento i calli su quelle mani. Vedo
gli abiti consunti. Fiuto le condizioni misere in cui vivono. Mi
aspettavo che si lamentassero di cose materiali, di alloggi squal-
lidi, mancanza di cibo, impossibilit di trovare lavoro. Molte di
loro parlano, e non vorrei farle smettere di parlare... e lunica
cosa di cui parlano la giustizia: Tu rappresenti la giustizia,
dice una di loro. Devi portare Miloyevi3 allAia. Non si pu im-
maginare quanto mi senta umiliata, un simbolo della incapacit
della comunit internazionale di garantire la giustizia.
La seconda volta che incontro le donne di Srebrenica du-
rante la cerimonia dellanniversario, l11 luglio 2001. Il processo
Kristi3 in corso. Molte delle donne si sono presentate per sep-
pellire i loro cari, i cui resti erano tra i seicento circa identifica-
ti nel corso dellultimo anno. Quando entro nel cimitero si alza
un rauco coro di voci femminili che gridano in serbo-croato.
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Non capisco una parola. Ma i suoni gutturali della frustrazione
li riconosco. A quel punto Miloyevi3 stato arrestato. Ma ora le
donne esprimono la loro rabbia perch il Tribunale non ha cat-
turato Karadzi3 e Mladi3. Non posso fare altro che parlare.
Perch gridate cos? dico. Siamo in un cimitero. Preghiamo.
Unisco i palmi delle mani da brava ragazza cattolica in preghie-
ra. Preghiamo per quelli che sono sepolti qui e per quelli che
mancano. Le donne tacciono. Aprono le braccia secondo luso
musulmano e pregano, e anchio allargo le braccia. Insieme,
stiamo l. Una comincia a pregare ad alta voce, poi unaltra, e
unaltra e unaltra.
Dopo aver boicottato il decimo anniversario nel 2005, torno
a Srebrenica l11 luglio 2006. Sono praticamente sola con i reli-
giosi musulmani. Le donne sono in ginocchio. Ma a me hanno
dato una sedia, e io resto l, lunica seduta mentre la folla di mu-
sulmani inginocchiati si china in avanti, tocca il suolo con la
fronte, si rialza. Non mi sento troppo a mio agio, a essere luni-
ca che non si inginocchi e si pieghi nella preghiera musulmana;
ma mi sento onorata. Poi, prima della mia ultima visita a Sre-
brenica l11 luglio 2007, le Madri di Srebrenica annunciano
pubblicamente che non gradiscono la mia presenza alla cerimo-
nia annuale perch Karadzi3 e Mladi3 non sono stati arrestati.
Dico che parteciper comunque, e i miei collaboratori e io fac-
ciamo il viaggio di due ore da Sarajevo in quella mattina di piog-
gia. La strada che entra a Srebrenica stretta, e affollata da mi-
gliaia di persone che hanno perso molti motivi per vivere e por-
tano ancora sulle spalle i segni della miseria in cui le ha lasciate
la guerra. La mia squadra e io procediamo disagevolmente a
piedi dietro le guardie di sicurezza e alla fine riusciamo a farci
strada tra la folla ed entriamo nella sala Vip. Scambio i saluti
con lambasciatore di Germania. Poi il capo spirituale della co-
munit musulmana di Bosnia, Reils-ul-Ulema Mustafa Ceri3, si
avvicina. Mi prende la mano. Mi accoglie con calore, certamen-
te al corrente del fatto che le Madri di Srebrenica non mi avreb-
bero voluta. Sono felice di vederla, dice. Ceri3 molto cordia-
le. sempre stato un forte sostenitore del Tribunale, indipen-
dentemente dalla direzione in cui soffiava il vento popolare in
Bosnia. Si sempre dichiarato per la responsabilizzazione dei
leader. Mi sento pi rilassata. Poi sorride. Rasim Deli3, dice,
facendo il nome di uno degli imputati, lex comandante delle-
sercito di Bosnia. innocente. Sorride ancora, e io sorrido a
mia volta.
No, dico. Non lo .
Mi tiene la mano ancora qualche minuto. Scambiamo anco-
ra un po di convenevoli. Poi mi ripete: Deli3... innocente.
No, dico io. Non lo . La situazione quasi tragicomica,
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ma il benvenuto del Reis importante per me, e molto apprez-
zato, perch ha fatto in modo che lo vedessero tutti.
Quel giorno i musulmani stanno seppellendo i resti di altre
quattrocentotrentacinque vittime di Srebrenica, e mi danno un
foulard da mettere durante le loro preghiere. una cosa che
spezza il cuore vedere le lunghe file di bare coperte dai teli verdi
e assistere alla scena dei familiari che si avvicinano ai loro cari
che possono seppellire solo dopo dodici anni. Dopo le preghiere,
torno allarea di ingresso. Le leader delle Madri di Srebrenica
sono l, insieme con rappresentanti di altri gruppi di donne di
Srebrenica, e con membri della stampa. Devo parlare con lei
come persona privata, non come procuratore, dice Munira Yu-
bayic, la presidente delle Madri di Srebrenica. Presto la conver-
sazione si accende. Ci aveva detto che sarebbero stati arrestati
lanno scorso, e ha mentito, dice.
No, non ho mentito, rispondo. Vi avevo detto che ero sta-
ta informata da Belgrado che stavano per consegnarceli.
Allora uningenua.
una situazione assurda, e un triste esempio di come la fru-
strazione, il dolore e la disperazione possano stritolare unani-
ma. Non mi piace che mi si dia della bugiarda; sono tuttaltro
che ingenua; e non mi va di essere diventata una specie di capro
espiatorio per queste vittime in collera. Ma capisco la sofferenza
e condivido un po della loro frustrazione. Dopo pochi minuti, le
bosniache stanno litigando tra loro. Alcune sono convinte che
ho fatto un patto con Zoran Djindji3 per non arrestare Mladi3.
Altre pensano che ci sia laccordo segreto di permettere al go-
verno di Belgrado di non consegnare i verbali del Consiglio su-
premo di difesa. I miei collaboratori e io cerchiamo di spiegare
che non c nessun accordo. Forse alcune di loro si fidano anco-
ra di noi. Il gruppo sta litigando quando vado via per prendere
laereo.
Le ultime quattro persone delle centosessantuno incriminate
dal Tribunale Mladi3, Karadzi3, Zupljanin e Hadzi3 sono an-
cora a piede libero negli ultimi giorni dei miei otto anni allAia.
La sensazione di fallimento si fa pi profonda con lavvicinarsi
della scadenza del mio mandato, il dicembre 2007.
Nella tarda estate del 2007, vi sono segnali incoraggianti di
un imminente arresto di Mladi3. Bulatovi3 ci dice che le auto-
rit serbe tengono sotto controllo undici medici, tra cui un cer-
to Doder, e seguono il traffico delle comunicazioni telefoniche
sui cellulari. Si fanno perquisizioni a Belgrado e dintorni; e,
mentre si svolgono queste operazioni, gli agenti tengono doc-
chio parenti e noti sostenitori di Mladi3 per vedere come si
muovono. Non c nessuna reazione evidente. La rete di suppor-
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to sembra si sia ristretta ora che le autorit hanno offerto incen-
tivi ai suoi membri noti e hanno fatto balenare la minaccia di
azioni legali. Sarebbe difficile immaginare che Djogo, Risti3, i
medici e gli altri contattati dai servizi di intelligence e dalla po-
lizia siano tanto incauti da avvicinare Mladi3.
Karadzi3 scomparso, probabilmente nei suoi monti di ori-
gine lungo il confine tra Bosnia e Montenegro. Nessun risultato
ha prodotto larresto di suo figlio Saya, che ha provocato persi-
no un appello pubblico della moglie di Karadzi3, Ljiljia, perch
il suo Radovan si costituisse. I conti bancari della famiglia sono
stati bloccati, ma evidentemente il clan Karadzi3 non ha proble-
mi di denaro; in una perquisizione nella casa di famiglia a Pale
si sono trovati ventimila euro, che probabilmente rappresenta-
no una parte dei diritti dautore dei libri pubblicati da Karadzi3.
Continuiamo a ricevere rapporti che ne segnalano i movimenti
dentro e fuori dal Montenegro. Veniamo a sapere di un nascon-
diglio in una cittadina chiamata Priboj, poco pi a valle di Mi-
leyevo, il monastero che sede del vescovo Filaret. Ricordo che
tre anni prima cera stata unofferta di consegnare Karadzi3,
non vivo ma morto, per cinque milioni di dollari, cosa che nes-
suno voleva tranne forse la polizia locale, per la quale Karadzi3 rap-
presentava una palla al piede pesante cinque milioni di chili.
Zupljanin lascia una quantit di tracce che non conducono
da nessuna parte. Ci giungono informazioni che stato visto a
Herceg Novi, sulla costa montenegrina. La moglie e il figlio so-
no sotto custodia. Si fanno pressioni sulla cognata e su una-
mante incinta, una delle otto amanti di cui siamo a conoscenza,
per convincerlo a costituirsi. Poi sentiamo dire che potrebbe
trovarsi a Mosca.
Hadzi3, continuano ad assicurarci, dovrebbe consegnarsi tra
non molto, perch rimasto a secco di quattrini. Ma ci sono in-
dicazioni che sia fuggito dalla Serbia in Romania e qualcuno di-
ce che potrebbe essersi rifugiato in Bielorussia. Di quanto dena-
ro si ha bisogno per sopravvivere in Bielorussia con le proprie
manie di grandezza?
La mia attesa continuer... finch sar finita e passer al mio
successore. C uno strano senso di vuoto che scende nellanima
con un simile fallimento dopo otto anni di battaglie e aspettati-
ve che oscillano allimpazzata. lo stesso senso di vuoto che la-
scia il sole del Nord quando tramonta cos repentinamente nei
pomeriggi di fine dicembre. Il vento invernale soffia sui bui
campi di golf deserti dei Paesi Bassi e contro le spoglie mura del
carcere di Scheveningen e tira una cortina di grigio tra le dune
umide e le stelle. Per me non c modo di ricorrere a parole di
saggezza per lenire il disappunto e il senso di attesa delusa, per-
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ch il semplice fatto del fallimento il semplice fatto del falli-
mento, e perch, almeno per questi quattro latitanti, due dei
quali accusati di genocidio, la mia bestia nera, limpunit, sem-
bra aver sconfitto i miei sforzi per sconfiggerla. Mi sembra qua-
si di sentire le risate che arrivano da una Serbia che, anche do-
po tutte le menzogne dei suoi leader, anche dopo che le truppe
che agivano in suo nome hanno lasciato le migliaia di cadaveri a
decomporsi a Srebrenica, potrebbe essere accolta nellUnione
europea, come se il suono non rimbalzasse con un tonfo sordo
dal muro di gomma che si estende da Bruxelles a Londra a Pari-
gi, a Roma, a Washington e a New York, come se il resto di noi
tutti avesse dimenticato.
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Ho sentito illustri studiosi di diritto sostenere che necessa-
rio che la pace prenda piede in una terra lacerata dalla guerra
prima che sia possibile dispensare la giustizia, che la giustizia
internazionale non pu funzionare finch volano le pallottole e
piovono le bombe, finch le colonne di profughi sono in marcia,
vengono catturati i prigionieri, stretti i lacci emostatici, gridati
ordini di fare fuoco, e mucchi di terra scaricati sui cadaveri con-
torti. Ho anche sentito diplomatici affermare che la pace ha la
priorit sulla giustizia, che nessun accordo di pace pu essere
formulato senza che i leader di almeno una parte ottengano las-
sicurazione che non saranno perseguiti.
Non sono daccordo.
Le istituzioni della giustizia internazionale possono, a mio
parere, cominciare a funzionare e anche a produrre un impatto
costruttivo, prima ancora che si sia raggiunta la pace. Il Tribu-
nale per la Iugoslavia lo dimostra. Il Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite ha istituito il Tribunale per la Iugoslavia mentre
in Bosnia-Erzegovina si commettevano ancora crimini di guer-
ra. Sono convinta che con una pi robusta affermazione della
sua autorit durante i suoi primi deboli anni, il Tribunale avreb-
be avuto un effetto deterrente pi forte e avrebbe frenato le vio-
lenze contro i civili. Il presidente Tudjman, come risulta dalle
trascrizioni presidenziali, ribadiva pi e pi volte che lappoggio
della Croazia alla milizia croato-bosniaca e lintervento militare
dellesercito croato in Bosnia-Erzegovina dovevano essere tenu-
ti segreti, in parte perch temeva che la Croazia sarebbe stata
sottoposta, come la Serbia e il Montenegro, a sanzioni economi-
che e in parte, ne sono convinta, perch non voleva essere chia-
mato a rispondere di crimini di guerra. Nellautunno del 1993, il
comandante di un campo di concentramento croato-bosniaco
trovava il tempo per scrivere un rapporto in cui esprimeva la
Epilogo
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preoccupazione che le condizioni in cui vivevano i prigionieri
rendevano lui e altri passibili di essere perseguiti penalmente.
Ratko Mladi3, nel giugno 1995, un mese prima del massacro di
Srebrenica, esprimeva ai funzionari delle Nazioni Unite il timo-
re che fosse considerato un criminale di guerra; in questo modo
riconosceva il Tribunale come una minaccia, ma il deterrente
era insufficiente. Nel 1999, Miloyevi3 comprendeva i rischi lega-
li che si assumeva mandando la polizia serba e lesercito iugo-
slavo a espellere gli albanesi dal Kosovo; per quale motivo altri-
menti avrebbe fatto dissotterrare dalla sua polizia caricare sui
camion frigoriferi e riseppellire in fosse comuni nascoste allin-
terno del perimetro di una base aerea nei pressi di Belgrado i
corpi delle vittime albanesi? E quante altre bombe Nato avreb-
bero provocato disastri se Louise Arbour non avesse emesso un
esplicito ammonimento e i leader dellalleanza non avessero do-
vuto preoccuparsi del rischio di essere trascinati davanti al Tri-
bunale per non aver preso le adeguate misure di precauzione
per proteggere i civili e identificare legittimi obiettivi militari?
Si immagini quanto pi profondo sarebbe stato leffetto deter-
rente del Tribunale per la Iugoslavia se non fosse arrivato per
primo, se dei Tribunali internazionali avessero gi dimostrato
che i leader politici e militari potevano essere chiamati a rispon-
dere delle loro azioni.
No, la giustizia non sempre tenuta ad aspettare la pace, e la
giustizia non dovrebbe aspettare la pace. Le nazioni firmatarie
del Trattato di Roma lo sapevano. Hanno creato la Corte penale
internazionale perch agisse come deterrente a futuri crimini di
guerra. Con una pi robusta affermazione di volont pu dis-
suadere in futuro figure politiche e militari dal prendere il gene-
re di decisioni prese da Pol Pot in Cambogia, dai leader gnoci-
daires in Ruanda, dai comandanti della milizia in Sierra Leone,
e da Saddam Hussein e altri in Iraq... tutti convinti di godere
dellimpunit.
In ogni area di conflitto, leader politici, diplomatici, alti gra-
di militari, capi dellintelligence ed esperti propongono ragioni
stringenti per aggirare lopera delle istituzioni della giustizia in-
ternazionale. Ci sar sempre qualche iniziativa che, sosterranno
i diplomatici, deve avere la precedenza. Ci saranno sempre ar-
gomenti pragmatici per giustificare la mancata cooperazione da
parte di un paese o dei suoi leader, e a volte il rifiuto esplicito a
cooperare, con uno sforzo giudiziario per mettere fine alla cul-
tura dellimpunit. Spingere per la cooperazione con un Tribu-
nale penale internazionale sembrer sempre mettere a rischio
un qualche programma di ricostruzione, unelezione imminen-
te, un dibattito sulla nuova costituzione, qualche decisione cru-
ciale in economia o in politica estera. Ma gli sforzi di pacifica-
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zione e di formazione di una nazione non produrranno mai la
pace n costruiranno nazioni se non includono, fin dal loro ini-
zio, una componente di giustizia per perseguire i peggiori viola-
tori della legge umanitaria internazionale di tutte le parti, per
porre fine alla cultura dellimpunit, per chiarire a tutti che nes-
suno al di sopra della legge. Costruire la pace senza la compo-
nente della giustizia assicura in pratica un futuro conflitto. Con-
sente ai diplomatici di negoziare accordi di pace il cui prezzo
lasciare al loro posto potenti leader politici e militari che avvele-
neranno ulteriormente le relazioni nella societ. Questo ci
che quasi accaduto con Miloyevi3 durante i bombardamenti
Nato del 1999. Questo quasi accaduto, con lappoggio delle
Nazioni Unite, in Kosovo. Questo accaduto in Ruanda.
A mano a mano che il tempo passa e le armi diventano pi
letali e meno costose, permettere allimpunit di averla vinta e
consentire che gli amari ricordi viventi di ingiustizie infettino
intere societ e interi gruppi culturali e religiosi metter a re-
pentaglio il benessere praticamente di ognuno, dovunque. Dob-
biamo partire dal presupposto che non esista un momento poco
opportuno per cominciare ad accumulare prove e trovare testi-
moni, per presentare accuse, per eseguire arresti e, per quei ca-
si confermati, per emettere giudizi contro i perpetratori di ogni
parte di un dato conflitto.
Il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia e il
Tribunale penale internazionale per il Ruanda erano viziati fin
dal momento in cui sono scaturiti dalla volont collettiva del
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. I difetti erano inevi-
tabili in queste istituzioni di giustizia che non avevano alcun
precedente, che raccoglievano personale da culture diverse,
combinavano tradizioni giuridiche talvolta incompatibili, ed
erano prive di molti dei poteri di base che i sistemi giudiziari pe-
nali nazionali di norma possiedono. Ma, nonostante queste fal-
le, e nonostante alcuni fallimenti, i due Tribunali hanno prodot-
to successi significativi.
Dalla sua fondazione fino al giorno della mia partenza alla
fine del 2007, il Tribunale per la Iugoslavia ha incriminato cen-
tosessantuno individui da tutte le parti dei conflitti che hanno
ammorbato le terre della ex Iugoslavia negli anni novanta. Ho
firmato sessantadue atti di accusa per crimini di guerra e, dalli-
nizio del mio mandato fino a met agosto 2007, novantuno im-
putati sono stati presi in custodia.
Tra gli imputati trasferiti allunit di detenzione di Scheve-
ningen cerano i vertici della leadership serba, incluso Slobodan
Miloyevi3 e membri del governo, della polizia e delle agenzie di
informazione, oltre a Vojislav Yeyeli, il leader ultranazionalista
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di una famigerata milizia di partito. Nel caso di Miloyevi3, i giu-
dici hanno stabilito che esistevano prove sufficienti in base alle
quali una Camera giudicante poteva riscontrare al di l di ogni
ragionevole dubbio che limputato ex presidente della Serbia
aveva partecipato al genocidio. Gran parte della leadership poli-
tica e militare della Republika Srpska stata arrestata, tra cui
individui accusati di aver organizzato e messo in atto lassedio
di Sarajevo, aperto campi di concentramento in Bosnia occiden-
tale e ordinato e diretto il massacro di Srebrenica. Il generale
Radislav Kristi3 stato giudicato colpevole di istigazione al ge-
nocidio a Srebrenica. Momjilo Krajiynik, il presidente del Par-
lamento della Republika Srpska, stato assolto dallimputazio-
ne di genocidio, ma stato condannato a ventisette anni per cri-
mini contro lumanit. Biljana Plavyi3, membro durante la guer-
ra del vertice politico della Republika Srpska, si dichiarata col-
pevole. Momir Nikoli3, capitano dellesercito serbo-bosniaco e
capo della sicurezza e dellintelligence di una delle sue brigate si
dichiarato colpevole del reato di persecuzione, un crimine
contro lumanit, per il suo ruolo nel genocidio di Srebrenica.
Nikoli3 ha ricevuto nel 2003 una condanna a ventisette anni di
reclusione. Ma la sua dichiarazione di colpevolezza ha avuto
unimportanza pi profonda, colta in un editoriale scritto per il
New York Times da Emir Suljagi3, un sopravvissuto di Srebre-
nica che per anni ha lavorato come giornalista seguendo le atti-
vit del Tribunale. Suljagi3 ha scritto che, per lui, lammissione
di colpevolezza di Nikoli3 sfondava il muro della negazione che
i serbi bosniaci avevano costruito intorno a Srebrenica. Prima
della dichiarazione di colpevolezza, scrive, la maggioranza dei
serbi nella Republika Srpska sosteneva che gli eccidi di Srebre-
nica non erano mai esistiti, che i musulmani si erano ammazza-
ti tra loro, o che i morti erano soldati; il governo della Republika
Srpska arrivato a pubblicare un rapporto ufficiale affermando
che solo duemila musulmani erano stati uccisi, milleottocento
dei quali erano militari. Fino al momento in cui Nikoli3 ha con-
fessato, scrive Suljagi3, non avevo mai sentito un serbo bo-
sniaco ammettere che il massacro fosse avvenuto... Le confes-
sioni mi hanno dato un senso di sollievo che non provavo dalla
caduta di Srebrenica nel 1995. Mi hanno dato quel riconosci-
mento che ho cercato per questi ultimi otto anni. Pur essendo
tuttaltro che delle scuse, queste ammissioni sono un punto di
partenza. Noi musulmani bosniaci non dobbiamo pi dimostra-
re di essere stati vittime. I nostri amici e cugini, padri e fratelli
sono stati uccisi non dobbiamo pi dimostrare che erano in-
nocenti.
Il cancro e altre malattie mortali hanno privato il Tribunale
per la Iugoslavia della possibilit di processare il presidente
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Franjo Tudjman, il ministro della Difesa, Gojko Yuyak, il gene-
rale Bobetko e altri elementi di primo piano del governo e delle
forze armate della Repubblica di Croazia, oltre a Mate Boban, il
leader croato-bosniaco. Ma il Tribunale ha incriminato il gene-
rale Ante Gotovina dellesercito croato e processato diversi co-
mandanti della milizia e leader politici croato-bosniaci. Dario
Kordi3 e Tihomir Blayki3, prima di essere prosciolto da una de-
cisione della Corte dappello che ha ignorato fatti chiave, era
stato giudicato colpevole di crimini relativi al massacro di Ah-
mi3i. Il Tribunale ha sottoposto a processo sei dei massimi per-
sonaggi croato-bosniaci accusati di aver partecipato allimpresa
criminale congiunta progettata da Tudjman per smembrare la
Bosnia-Erzegovina e fonderne il territorio con la nascente Re-
pubblica di Croazia; le accuse contro questi sei individui si rife-
rivano alle operazioni di pulizia etnica su vasta scala effettuate a
Mostar, Stolac e altre cittadine e villaggi, al trattamento feroce
somministrato nei campi di prigionia croato-bosniaci e ad altre
attivit intraprese per sradicare la popolazione musulmana in
aree su cui Tudjman aveva messo gli occhi. (A suo disonore, la
stampa internazionale non ha mai dato a questo caso lattenzio-
ne che meritava.) Infine, Ivica Raji3 si dichiarato colpevole di
aver diretto il massacro di musulmani a Stupni Do.
Il Tribunale ha processato un certo numero di comandanti
musulmani bosniaci e albanesi kosovari. Sefer Hailovi3, capo di
stato maggiore dellesercito della repubblica di Bosnia-Erzego-
vina, stato giudicato colpevole delle imputazioni di omicidio
relative alleccidio, nel settembre 1993, di trentatr civili croato-
bosniaci nel villaggio di Grabovica e alleccidio di ventinove ci-
vili croato-bosniaci nel villaggio di Uzdol. Enver Hadzishanovi3
stato giudicato colpevole di non aver preso le misure necessa-
rie e ragionevoli per punire chi aveva usato trattamenti crudeli
verso prigionieri e aveva compiuto diversi omicidi, compresa la
decapitazione, da parte di mujaheddin stranieri, di un serbo bo-
sniaco vittima di una rapimento, Dragan Popovi3, che era stato
sequestrato con altri membri delle comunit croato-bosniaca e
serbo-bosniaca nella cittadina di Travnik, nella Bosnia centrale,
la notte del 19 ottobre 1993. Il Tribunale ha anche processato e
assolto il comandante albanese kosovaro Fatmir Limaj. Gli esiti
di questi casi sono stati inferiori alle mie aspettative. Al momen-
to di lasciare il tribunale, Ram Haradinaj era ancora sotto pro-
cesso, come anche Rasim Deli3, lex comandante dellesercito
della repubblica di Bosnia-Erzegovina, imputato in base alla
sua autorit di comando su combattenti mujaheddin stranieri
che avrebbero commesso crimini di guerra.
Il Tribunale per la Iugoslavia ha ispirato listituzione del Tri-
bunale per il Ruanda, i Tribunali speciali per i crimini di guerra
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per la Sierra Leone, Timor Est, Cambogia e Libano, e la Corte
penale internazionale. Ha favorito anche lo sviluppo di Tribuna-
li sui crimini di guerra nazionali in Bosnia, Croazia, Serbia e
Kosovo, con il compito di processare imputati di livello medio e
basso. In conseguenza delle iniziative per acquisire prove atte a
giungere a solide imputazioni, procedimenti e giudizi, il Tribu-
nale per la Iugoslavia ha raccolto milioni di elementi probatori,
tra cui centinaia di migliaia di documenti presentati come re-
perti; questo materiale, se gli storici, gli scrittori e i giornalisti
faranno il loro lavoro in maniera efficace, render difficile a fu-
turi demagoghi in Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Macedo-
nia e Kosovo fomentare listeria interetnica. Grazie al lavoro del
Tribunale, non c un singolo gruppo nelle terre della ex Iugosla-
via che possa proclamarsi vittima e solo vittima. Nessun gruppo
pu indicare i suoi leader di un tempo dichiarandoli incolpevo-
li. Senza il Tribunale, difficile pensare che il pubblico serbo
avrebbe mai visto il video degli Scorpioni o appreso i particolari
del massacro di Srebrenica e i nomi dei suoi esecutori. diffici-
le pensare che il pubblico croato sarebbe mai stato in grado di
leggere le trascrizioni delle riunioni in cui il suo presidente e i
vertici del suo governo prendevano le decisioni per partecipare
allo smembramento della Bosnia-Erzegovina e allespulsione
delle popolazioni. Le autorit serbe dovrebbero trovare il co-
raggio di consegnare al pubblico i verbali del Consiglio supre-
mo di difesa affinch i serbi di ogni paese possano vedere una
volta per tutte in che modo esattamente Miloyevi3 e i membri
del governo e delle forze armate di Belgrado parteciparono alla
guerra in Bosnia-Erzegovina e valutare di persona se questo
equivaleva alla partecipazione al genocidio commesso a loro
nome a Srebrenica.
Nonostante tutti gli sforzi della squadra della Procura, il Tri-
bunale per il Ruanda probabilmente non riuscir a spezzare il
ciclo di impunit che ha macchiato la storia del Ruanda portan-
do al suo popolo indicibili sofferenze. La causa primaria di que-
sta circostanza sta nelle decisioni prese dal Consiglio di sicurez-
za delle Nazioni Unite e soprattutto dagli Stati Uniti e la Gran
Bretagna. Dove sono le indagini dei presunti eccidi commessi
dalla milizia tutsi, il Fpr, i cui membri oggi fanno parte del go-
verno e delle forze armate del Ruanda? Quale giustizia hanno ri-
cevuto le vittime hutu innocenti? Che cosa fa presagire questo
per il futuro del Ruanda e dellAfrica centrale?
Nonostante questo fallimento, il Tribunale per il Ruanda ha
fatto significativi passi avanti nellamministrare la giustizia per
le vittime del genocidio. Al momento della sua chiusura, il Tri-
bunale per il Ruanda avr processato pi di sessanta gnocidai-
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res di alto profilo. Ha istruito casi contro imputati che vanno da
Thoneste Bagosora, la presunta mente organizzatrice del geno-
cidio, a Simon Bikindi, il popolare musicista le cui canzoni
avrebbero incitato i gnocidaires a uccidere. Il Tribunale avr ot-
tenuto condanne contro un ex primo ministro, leader politici e
militari, figure di primo piano del mondo degli affari, e membri
della stampa e del clero. Il Tribunale per il Ruanda ha conside-
rato gli stupri hutu un crimine tanto odioso da costituire un pre-
cedente giuridico a livello mondiale che riconosce luso dello
stupro come unarma di guerra, una forma di tortura, un crimi-
ne contro lumanit, un mezzo di persecuzione e uno strumento
di genocidio.
Il Tribunale per la Iugoslavia e il Tribunale per il Ruanda do-
vevano completare la loro missione in un periodo di tempo fini-
to per un costo relativamente nominale che stato, cionono-
stante, oggetto di infinite lamentele da parte di stati membri e di
amministratori delle Nazioni Unite. Rispetto alle spese astrono-
miche delle consuete risposte del mondo sviluppato a crisi di si-
curezza su larga scala aiuti umanitari, interventi militari, mis-
sioni di peacekeeping, partizioni territoriali, iniziative di rico-
struzione e di sviluppo i Tribunali hanno fatto un lavoro pre-
zioso con un esborso minimo. E hanno prodotto anche molte le-
zioni importanti: quelle che seguono sono solo alcune.
I procuratori debbono conservare lobiettivit in presenza di
crimini orrendi che accendono le emozioni e generano unim-
mensa pressione a trovare qualcuno, chiunque, responsabile.
Nonostante le grida delle vittime e gli appelli internazionali alla
giustizia, i procuratori debbono assicurare che i diritti degli im-
putati vengano rispettati. Occorre predisporre strutture e mec-
canismi idonei, allinterno dellUfficio della Procura di un Tribu-
nale, per assicurare la possibilit a un imputato e al suo collegio
di difesa di esporre materiale a discolpa. I Tribunali, fin dal loro
inizio, debbono disporre di ununit di difesa pienamente ope-
rativa e funzionante; fondi sufficienti, se necessario, alla tempe-
stiva traduzione di documenti attinenti nella lingua dellimputa-
to; ed effettuare una corretta valutazione della competenza del
consiglio di difesa e una valutazione se il consiglio di difesa stia
effettivamente rappresentando il suo cliente e non solo difen-
dendo gli interessi dellistituzione, stato, o gruppo etnico del-
limputato.
Le risoluzioni e gli altri strumenti con cui si istituiranno fu-
turi Tribunali debbono dare alla Procura lesplicito mandato di
agire contro gli esecutori di massimo livello e quelli di medio li-
vello pi famigerati. I Tribunali debbono muoversi rapidamente
per dirigere gli sforzi investigativi e prosecutori contro imputati
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di alto rango, e lapparato delle Procure deve essere dotato di
personale e di unorganizzazione tali da produrre incriminazio-
ni contro bersagli della leadership e procedere contro individui
di livello inferiore solo laddove esista una ragionevole probabi-
lit che la loro incriminazione frutter materiale di prova che
porti allincriminazione e alla condanna degli indiziati di pi al-
to rango, o quando i presunti atti degli individui di livello infe-
riore siano cos famigerati che la loro incriminazione avr un
impatto sulla riconciliazione e la stabilit di una data localit o
regione. Lincriminazione di altri imputati di livello medio e bas-
so dovrebbe essere lasciata alle corti interne, di comunit o di
trib. Non sempre sono gli esecutori di massimo livello ad avere
la maggiore importanza per le vittime: una delle nostre testimo-
ni ha dichiarato agli investigatori che le interessava di pi vede-
re erogata la giustizia a un vicino che incontrava tutte le setti-
mane al mercato del paese, un uomo che, sosteneva, aveva ucci-
so membri della sua famiglia.
Differenze significative tra un approccio di civil law e uno di
common law alle attivit di istruzione penale vanno conciliate,
in particolare per quanto riguarda gli aspetti procedurali.
Crimini relativi al genere sessuale debbono essere indagati in
modo rigoroso e professionale, e i loro autori appropriatamente
incriminati e processati.
Le incriminazioni dei vertici, quasi senza eccezioni, saranno
sempre degli strumenti complessi. Ma debbono, nei limiti della
legge, essere tenuti quanto pi semplici sia possibile anche se le
accuse riflettono i crimini pi gravi; incriminazioni alla Al Ca-
pone, per evasione fiscale, sono inefficaci per quanto riguarda
la cultura dellimpunit.
Nei Tribunali futuri, la Camera giudicante, e non solo la Pro-
cura, deve assumere posizioni pi ferme e pi esplicite per ob-
bligare governi non cooperativi a produrre ogni prova necessa-
ria a formare informati riscontri fattuali e giudizi. Se un Tribu-
nale non possiede lautorit di compiere arresti, trasferire gli
imputati ed emettere mandati di comparizione, allora deve di-
sporre di mezzi efficaci per imporre a governi nazionali rilut-
tanti lesecuzione di queste funzioni. Quando si trattato del
Tribunale per la Iugoslavia e del Tribunale per il Ruanda, il Con-
siglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha mancato totalmente di
prendere iniziative efficaci per fornire di denti le richieste dei
Tribunali in fatto di cooperazione da parte di stati non coopera-
tivi, e sarebbe insensato credere che avverr mai per i futuri Tri-
bunali. Forse, nello stilare risoluzioni per la creazione di futuri
Tribunali, il Consiglio di sicurezza dovrebbe includere un panie-
re di meccanismi di sanzioni preapprovate, adeguabili, sostenu-
te dal Capitolo 7, che la Camera giudicante possa applicare, a
388
01_016_FELTR_Allinseguimento 28-02-2008 8:59 Pagina 388
sua discrezione, in seguito a un riscontro giudiziario che un sin-
golo stato non sta cooperando pienamente con il Tribunale in
buona fede.
Nelle prime fasi del loro mandato, i procuratori debbono
istituire unit di ricerca, con poteri di arresto, per localizzare
imputati ricercati e prenderli in custodia.
Le Nazioni Unite, i suoi stati membri e le organizzazioni in-
ternazionali che investono fondi significativi e altre risorse nei
tribunali internazionali debbono anche prestare assistenza nella
localizzazione e larresto degli imputati latitanti. Un Tribunale
non pu essere lasciato alloscuro sulle iniziative attuate da
agenzie di intelligence amiche coinvolte nel processo di reperi-
mento e di arresto di imputati latitanti, perch altrimenti non vi
sarebbe alcuna garanzia che queste iniziative siano coordinate o
producano risultati concreti.
I testimoni interni spesso cambiano versione quando si pre-
sentano in aula e si trovano di fronte ai loro vecchi padroni; in
fatto di insiders, le regole del Tribunale non dovrebbero vietare
alla pubblica accusa di controesaminare i suoi testi interni e di
trattarli, se necessario, da testimoni ostili.
Lesperienza del Kosovo ha dimostrato che lautorit di un
Tribunale delle Nazioni Unite dovrebbe avere la precedenza su
quella di iniziative delle Nazioni Unite di tipo politico, di pea-
cekeeping, umanitario e di sviluppo.
In situazioni di conflitto in cui sia creato un Tribunale sui
crimini di guerra, lorganismo che istituisca un Tribunale ine-
rente dovrebbe prevedere che un periodo di durata significativa
immediatamente dopo la fine del conflitto ricada sotto la giuri-
sdizione temporale del Tribunale, perch allindomani di un
conflitto sono comuni le uccisioni e i rapimenti di rappresaglia,
e possono coinvolgere individui di alto rango convinti di poter
agire nellimpunit.
I processi sui crimini di guerra contro figure di vertice sono
complessi e richiedono tempo; se la comunit internazionale de-
sidera seriamente sostenere la giustizia internazionale, deves-
sere pronta a esercitare la pazienza e a fornire fondi adeguati.
Imponendo irrealistiche limitazioni di tempo alla durata dei Tri-
bunali, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha in prati-
ca interferito sul modo in cui il Tribunale ha amministrato la
giustizia.
I casi non dovrebbero essere portati affrettatamente al pro-
cesso. I giudici dovrebbero resistere alle pressioni pubbliche
esercitate per portare al processo casi di alto profilo prima che
essi siano pienamente istruiti, e dovrebbero prendere iniziative
per spiegare al pubblico il vantaggio ultimo e la necessit di non
dare inizio prematuramente a un processo. Molto tempo e mol-
389
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to sforzo si sarebbero risparmiati se le tre incriminazioni contro
Slobodan Miloyevi3 fossero state realmente perfezionate.
La Camera giudicante del Tribunale per la Iugoslavia ha
sprecato una quantit spropositata di tempo richiedendo che la
Procura dimostrasse innumerevoli volte che in Bosnia-Erzego-
vina era esistito un conflitto armato. Un periodo di gestione pre-
processuale avrebbe permesso alle Corti di eliminare questioni
che non fossero oggetto di contenzioso e di restringere ulterior-
mente i punti per i quali fosse necessaria una testimonianza
orale diretta.
Come molte persone che hanno tentato di limitare la durata
dei Tribunali e di ridurre i costi, i giudici dei Tribunali hanno
imposto limitazioni di tempo alla Procura, e troppo spesso lo
hanno fatto in modo apparentemente capriccioso, senza una
chiara considerazione per il tempo, il denaro e la fatica spesi
prima che i casi fossero presentati a processo. La Camera giudi-
cante di un Tribunale dovrebbe astenersi dal ridurre unilateral-
mente casi complessi di leadership; le decisioni di rimuovere ar-
tificialmente uno o pi capi dimputazione pu minare seria-
mente i casi contro individui di alto rango. Determinate imputa-
zioni, come quella di persecuzione, possono essere usate per
per raccogliere un ampio ventaglio di attivit criminali entro
ununica rubrica, riducendo la necessit di un numero eccessivo
di capi dimputazione.
Una commissione di programmazione funzionante, che fissi
con largo anticipo per i processi date di udienza che i giudici
non possano cambiare senza consultare le parti, migliora leffi-
cienza di una Corte. I Tribunali dovrebbero avere commissioni
di programmazione ben funzionanti.
Lindipendenza del procuratore implica unindipendenza di
portafoglio; nessuna Cancelleria dovrebbe avere il controllo sui
fondi di un ufficio della Procura. Una piena verifica pubblica
dei conti economici dovrebbe essere un elemento fondamentale
tra gli elementi base in base ai quali un Tribunale funziona.
Occorre dedicare molto pi impegno a fornire alle vittime
una maggiore padronanza sulle procedure e dare una maggiore
considerazione alle loro necessit e ai loro desideri. A mio pare-
re anche le vittime dovrebbero essere rappresentate in aula. I
Tribunali dovrebbero comprendere quanto sia importante ren-
dere i processi comprensibili alle comunit pi colpite dai cri-
mini di guerra. Il pubblico dovrebbe essere avvertito di non for-
marsi aspettative non realistiche. Partecipare alla procedura
giudiziaria non sempre porta a una guarigione o a una chiu-
sura, e per questi effetti si potrebbe dedicare maggiore rifles-
sione alle complementari misure di indennizzo e di verit-e-ri-
conciliazione e ad altri mezzi per aiutare le vittime a riprendere
390
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la loro vita. Un efficace programma di ampliamento dei limiti
cruciale per il successo di un Tribunale; e i programmi di am-
pliamento debbono prendere in considerazione la cultura, la
lingua e le aspettative delle persone su cui il Tribunale fa sentire
il suo effetto, da tutte le parti di un conflitto. Un Tribunale do-
vrebbe tenere i suoi processi in zone quanto pi vicino possibile
allarea del conflitto.
I Tribunali debbono dedicare unattenzione particolare alla
protezione dei testimoni, e soprattutto dei testimoni interni. I
Tribunali delle Nazioni Unite dovrebbero essere in grado di at-
tingere alle risorse di altre istituzioni delle Nazioni Unite attive
in aree post-conflitto.
Occorre fare un sforzo per assicurare il reclutamento di giu-
dici dotati di maggiore competenza e maggiore esperienza. La
qualit dei giudici potrebbe essere migliorata se i governi stata-
li che propongono persone per la carica di giudice dei Tribunali
fossero tenuti a richiedere la presentazione o lapprovazione dei
candidati alle associazioni locali della magistratura o dellavvo-
catura. Con tutto il rispetto per il parere di tanti sostenitori del-
la giustizia internazionale, i Tribunali hanno bisogno pi di giu-
dici penali esperti e meno di studiosi di diritto. Programmi di
formazione e di istruzione legale per tutti i giudici e il personale
debbono svolgersi nel corso di tutte le fasi del processo.
I Tribunali dovrebbero considerare la necessit di assumere
pi procuratori legali dotati di esperienza nellorganizzazione e
la gestione di casi ampi e complessi, e persino in cause civili di
class-action, affiancandoli a procuratori legali che hanno espe-
rienza di attivit penale e competenza nellinterrogatorio delle
vittime.
Per quanto rispettato possa essere nei sistemi giuridici di
common law il principio della difesa svolta personalmente dal-
limputato, permettere a una figura di leadership di difendersi
da solo in un Tribunale sui crimini di guerra offre a un simile
imputato una opportunit troppo vasta di trasformare il banco
degli accusati in un pulpito per comizi, e il processo in un circo
politico. La Camera giudicante deve nominare un difensore per
gli imputati che non ne presentino uno loro. Se limputato ritie-
ne che i suoi diritti vengano violati, la Camera processuale coin-
volta permetta allimputato di presentare commenti e domande
scritte testimone per testimone, argomento per argomento, re-
perto per reperto, alla Camera giudicante o alla Camera di ap-
pello. Dopo aver visto come Miloyevi3 ha montato la sua dife-
sa e dopo aver sopportato le sceneggiate di Vojislav Yeyelj, sap-
piamo pi che mai che una difesa efficace fondamentale per
lequit, per la credibilit di un Tribunale, per la credibilit della
391
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documentazione creata dal Tribunale e, cosa pi importante, per
le vittime.
I giudici di un Tribunale dovrebbero istituire linee guida per
le sentenze, e articolare queste linee guida tenendo presente la
gravit dei crimini. Una bacchettata sulla mano per casi che
comportano eccidi di massa e persino genocidio non ottiene al-
cun risultato per sconfiggere la cultura dellimpunit, non crea
alcun effetto deterrente, e sicuramente fa poco per dare soddi-
sfazione alle vittime, molte delle quali rischiano la vita per testi-
moniare contro individui potenti e spesso spietati, che in segui-
to verranno rilasciati.
Nei casi in cui le persone imputate riconoscano la loro re-
sponsabilit per i crimini, e in cui i giudici sono convinti che le
prove supportino la loro responsabilit, la risultante dichiara-
zione di colpevolezza pu avere, come ha dimostrato la dichia-
razione di colpevolezza di Momir Nikoli3, importanti funzioni
conciliatorie e storiche.
Ancora oggi, sono pi una cacciatrice di serpenti che una
studiosa di diritto. Dopo un quarto di secolo di lavoro in procu-
ra, i miei occhi vedono pi bianco e nero che sfumature di gri-
gio, una cosa che io considero essere una risorsa. Non sento di
dovermi scusare perch sono risoluta o perch dico quello che
penso.
Certamente avrei potuto fare meglio il mio lavoro e, con il
senno di poi, posso dire che alcune cose le avrei fatte in modo
diverso. Avrei dovuto muovermi pi tempestivamente per tra-
sferire o licenziare alcuni procuratori incompetenti. Avrei dovu-
to trovare il tempo per essere pi presente nei corridoi dellUffi-
cio della Procura; ho sottovalutato leffetto che questo avrebbe
avuto sul morale dellufficio. Ho provato risentimento per le
pressioni in fatto di tempo che la strategia di completamento ha
esercitato sulle squadre della Procura perch producessero ora
o mai pi incriminazioni quando lalternativa era lasciar regna-
re limpunit. A volte mi sono lamentata per non essere stata ca-
pace di dirigere lUfficio della Procura come un vero studio lega-
le, e non sotto le regole del personale delle Nazioni Unite, che
applicano cos tante restrizioni e procedure da influire negativa-
mente sui risultati. I procuratori dei Tribunali in futuro dovreb-
bero avere pi mano libera nel reclutare e assumere i talenti mi-
gliori. E quelle persone che i procuratori per i Tribunali sceglie-
ranno in futuro dovrebbero capire che la longevit nella carica
cruciale, perch il lavoro di procuratore comporta numerosissi-
me dimensioni e richiede una quantit di tempo significativa
per padroneggiarle tutte.
Quello che ho imparato, quello che ho cercato di illustrare
392
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nel presentare in queste memorie i successi e i fallimenti della
mia squadra e miei, che sconfiggere la cultura che permette ai
potenti, dal boss dei boss di Cosa Nostra ai leader politici e mili-
tari, di commettere qualsiasi nefandezza e non essere chiamati
a rispondere una questione di volont che spesso esige limpa-
zienza pi che la pazienza, un fatto di guadagnare consensi, di
esercitare pressione, di correre rischi, correggere errori, sfonda-
re il muro di gomma, ignorare critiche e minacce e, a volte, su-
bire la perdita di amici e collaboratori. Perseguire crimini di
guerra non un gioco intellettuale esente da rischi. Gli ultimi
due secoli hanno dimostrato che gli esseri umani sono capaci di
affermare la loro volont di infilare milioni di bambini, con i lo-
ro genitori e i nonni e i fratelli, nei forni e nelle camere a gas, di
ammazzare a colpi di machete migliaia di persone, di torturare
e giustiziare prigionieri, di circondare e bombardare intere citt
mentre le telecamere trasmettono lazione, di usare gli stupri di
massa e la schiavit sessuale come unarma di guerra e di terro-
re, di espellere intere popolazioni dalle terre dei loro antenati.
Questi secoli sanguinosi hanno dimostrato che le vittime sono
straordinariamente coraggiose, forti e resistenti e che meritano
giustizia per i crimini che cos insensatamente e spietatamente
sono stati commessi contro di loro. Questi secoli hanno dimo-
strato anche che in molti casi diplomatici, leader mondiali, uffi-
ciali, e capi dei servizi di spionaggio, banchieri e imprenditori, e
persino funzionari delle Nazioni Unite, sono pronti a considera-
re tali criminali come legittimi interlocutori e partner. Se si vuo-
le che le vittime di crimini cos spropositati vedano mai la giu-
stizia realizzata, e che la societ umana riduca i casi di una si-
mile violenza criminale di massa, i rischi da correre, la volont
contrapposta da imporre, e il lavoro da fare debbono superare i
rischi corsi, la volont imposta e gli sforzi fatti dai peggiori tra
noi, da quelli che vorrebbero farci credere che loro sono al di so-
pra della legge.
393
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Prologo
1
Arthur Schopenhauer, Larte di trattare le donne, a cura di Franco Volpi,
Adelphi, Milano 2000, pp. 46-46.
2
Testimony of Witness O, The Prosecutor v. Radislav Krsti3, 13 aprile 2000, Trial
Transcript, app. 2818-2939, http://www.un.org/icty/transe33/000413ed.htm,
trad. ingl. a cura di C.S.
2. I crimini di guerra in Iugoslavia
1
The Prosecutor v. Slobodan Miloyevi3, Verbale del processo, 12 febbraio 2002,
p. 8.
2
Trascrizione presidenziale, 27 dicembre 1991.
3
Ewa Tabeau e Jakub Bijak, War-related Deaths in the 1992-1995 Armed Con-
flicts in Bosnia and Herzegovina: A Critique of Previous Estimates and Recent
Results, European Journal of Population, 2005, vol. 21, nn. 2-3, giugno
2005, pp. 187-215 (29).
4
Patrick, Ball, et al., Killings and Refugee Flow in Kosovo, March-June 1999, pe-
rizia preparata per lICTY, 3 gennaio 2001.
5
United Nations, Report of the International Tribunal for the Prosecution of
Persons Responsible for Serious Violations of International Humanitarian
Law Committed in the Territory of the former Yugoslavia since 1991, 25 Au-
gust 1999, A/54/187 5/1999/846, http://www.un.org/icty/rappannu-
e/1999/index.htm
6
The Observer, 26 dicembre 1999.
7
Office of the Prosecutor, International Criminal Tribunal for the former Yugo-
slavia, Final Report to the Prosecutor by the Committee Established to Re-
view the Nato Bombing Campaign Against the Federal Republic of Yugosla-
via, lAia, 13 giugno 2000, http://www.un.org/icty/pressreal/nato061300.htm.
3. Il genocidio in Ruanda
NOTE
395
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1
Jean Hatzfeld, Une saison de machettes, Editions du Seuil, Paris 2003.
4. Belgrado: 2000 e 2001
1
Lettera del segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan a Carla Del Pon-
te, procuratore capo del Tribunale penale internazionale per la ex Iugosla-
via, 6 marzo 2001.
2
I tre di Vukovar erano Veselin Yljivanjanin, Mile Mrkyi3 e Miroslav Radi3,
tutti ufficiali dellesercito nazionale iugoslavo.
6. Belgrado: 2002 e 2003
1
The Prosecutor v. Slobodan Miloyevi3, Trial Transcript, 12 febbraio 2002, pp. 1-
11, http://www.un.org/icty/transe54/020212IT.htm.
2
Prosecutor v. Slobodan Miloyevi3,Verbale del processo, deposizione di Paddy
Ashdown, 15 marzo 2002, pp. 2355, 2380.
3
Veselin Yljivanjanin, Mile Mrkyi3 e Miroslav Radi3.
4
Carla Del Ponte, Procuratore capo del Tribunale penale internazionale per la
ex Iugoslavia, Rapporto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, 30 ot-
tobre 2002; il corsivo aggiunto.
7. Kigali: 2000 e 2001
1
www.afriquespoir.com/cibles/page20.html;www.chez.com/cprgla/temoigna-
ges/Linguyeneza.htm.
2
Human Rights Watch, Leave None to Tell the Story: Genocide in Rwanda,
www.hrw.org/reports/1999/rwanda/Geno1-3-03.htm#P86_35545.
8. Belgrado. 2003 e 2004
1
Lettera del Procuratore capo Carla Del Ponte al ministro degli affari Esteri del-
lUnione degli Stati di Serbia e Montenegro, Svilanovi3, 24 maggio 2003.
Corsivi aggiunti.
2
The Prosecutor v. Slobodan Miloyevi3, Verbali del processo, Controinterrogato-
rio di Zoran Lili3, 9 luglio 2003, e Reperto D 160.
3
Alors, Gnral, il est encore en fuite, Mladi3, cest inaccettable, il faut me
larrter immediatement.
4
International Crisis Group, Serbian Reform Stalls Again, Europe Report n.
145, di James Lyons, 17 luglio 2003, che cita Hugh Griffiths, Humanitarian
or War Criminals, Transitions Online, e Tribunale penale internazionale
per la ex Iugoslavia, The Prosecutor v. Slobodan Miloyevi3, dichiarazione
scritta, 9 maggio 2002, Reperto 143, OTP Reference K1136.
5
Carla Del Ponte, Procuratore capo del Tribunale penale internazionale per la
ex Iugoslavia, Rapporo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, 9 otto-
bre 2003.
6
The Prosecutor v. Slobodan Miloyevi3, Verbale del processo, 10 febbraio 2004,
p. 31709.
7
Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia (ICYT), comunicato stam-
396
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pa 842e, Statement of Judge Theodor Meron, President of the UCTY, upon
the Resignation of Judge Richard George May, 22 febbraio 2004.
8
The Prosecutor v. Slobodan Miloyevi3, Camera giudicante, Decisione sulla mo-
zione di proscioglimento, 16 giugno 2004, http://www.un.org/icty/milosevic/
trialc/judgement/index.htm.
9. Kigali: 2002 e 2003
1
S/RES/1503 (2003).
10. Zagabria: dal 1999 al 2007
1
The Prosecutor v. Tihomir Blayki3, Rapporto al presidente Franjo Tudjman di
Rarkica Rebi3, 4 giugno 1998, Allegato 4 alla Risposta della Procura alla
mozione del Ricorrente ad ammettere prove integrative, 13 settembre 2001.
2
Ibidem.
3
Tenente colonnello Bob Stewart, Broken Lives, pp. 295-298.
4
http://www.un.org/icty/blaskic/appeal/judgement/index.htm, nota 705.
5
The Prosecutor v. Tihomir Blayki3, Richiesta della Procura di revisione o ricon-
siderazione (Versione pubblica), 10 luglio 2006, p. 19.
11. Kosovo: dal 1999 al 2007
1
Humanitarian Law Center, Abductions and Disappearances of non-Albanians in
Kosovo, Belgrado 2001.
2
Protests in Priytina, in Beta, 7 gennaio 2003.
3
United States State Department, Human Rights Report for 2003.
4
OSCE Mission in Kosovo, Kosovo, Review of the Criminal Justice System,
marzo 2002-aprile 2003, pp. 11, 18.
5
Jeta Xhrra, Muhamet Hajrullahu e Arben Salihu, Investigation: Kosovos Wild We-
st, Birn Kosovo, 18 febbraio 2000, http://kosovo,birn.eu.com/en/1/51/1770/.
6
P. 13.
7
I toponimi compaiono prima in serbocroato e poi in albanese.
8
www.unmikonline.org/press/2005/pr1325.pdf.
9
Koha Ditore, 2 settembre 2006, p. 10.
10
Lajm, 31 agosto 2006, pp. 1, 3.
397
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Ahtisaari, Martti ex presidente della Finlandia, rappresentante
speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite, respon-
sabile della formulazione di un piano di assetto per il futuro
status del Kosovo.
Albright, Madeline ex Segretario di stato ed ex ambasciatrice
degli Stati Uniti allOnu durante lamministrazione Clinton.
Annan, Kofi ex Segretario generale delle Nazioni Unite.
Antonetti, Jean Claude giudice del Tribunale per la Iugoslavia
delle Nazioni Unite.
Aptel, Cecile consigliere politico dellUfficio della Procura del
Tribunale per il Ruanda delle Nazioni Unite.
arap Moi, Daniel presidente del Kenya.
Arbour, Louise ex Procuratore capo dei Tribunali delle Nazio-
ni Unite per la Iugoslavia e per il Ruanda.
Babi3, Milan ex presidente dellautoproclamata repubblica
serba in Croazia, suicidatosi nel carcere di Scheveningen.
Bagosora, Thoneste colonnello dellesercito del Ruanda, pre-
sunto pianificatore ed esecutore del genocidio degli hutu
contro i tutsi.
Baji3, Mladen Procuratore capo statale della Croazia.
Barayagwiza, Jean-Bosco ex proprietario hutu di media, incri-
minato per incitamento alla violenza tramite i mezzi di co-
municazione durante i massacri dei tutsi nel 1994.
Bati3, Vladan ministro della Giustizia di Serbia.
Beara, Ljubiya ufficiale dellesercito serbo-bosniaco, incrimi-
nato con imputazioni di genocidio, omicidio e altri reati in
connessione con il massacro di Srebrenica.
Berlusconi, Silvio ex primo ministro dellItalia.
Bhutto Benazir ex primo ministro del Pakistan.
Bikindi, Simon popolare cantante del Ruanda pre-genocidio,
Dramatis Personae
399
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arrestato nei Paesi Bassi con imputazioni di partecipazione
egli eccidi di tutsi.
Biserko, Sonja capo della Commissione di Helsinki per i dirit-
ti umani in Serbia.
Biya Paul presidente del Camerun.
Blayki3, Tihomir ex leader militare croato-bosniaco in Bosnia
centrale.
Blewitt, Graham ex viceprocuratore del Tribunale delle Nazio-
ni Unite per la Iugoslavia.
Boban, Mate - presidente della Repubblica croata istituita du-
rante la guerra in Bosnia-Erzegovina.
Bobetko, Janko comandante dellEsercito della Repubblica di
Croazia, imputato per fatti connessi a un attacco ai serbi nel
settembre 1993.
Boccassini, Ilda magistrato inquirente di Milano.
Bonomy, lord Iain - giudice del Tribunale delle Nazioni Unite
per la Iugoslavia.
Borovjanin, Ljubomir ufficiale dellEsercito serbo-bosniaco,
imputato per fatti connessi con il massacro di Srebrenica.
Borsellino, Paolo magistrato inquirente di Palermo, assassina-
to dalla mafia.
Bot, Ben ministro degli Esteri dei Paesi Bassi.
Bruguire, Jean-Luis magistrato inquirente di Parigi.
Budd, Colin ambasciatore del Regno Unito nei Paesi Bassi.
Bulatovi3, Rade capo dellagenzia dintelligence governativa
della Serbia, la Bia.
Calvi, Roberto ex presidente della seconda banca italiana, il
Banco Ambrosiano, rinvenuto morto a Londra sotto il Black-
friars Bridge.
Cancemi, Salvatore membro del clan dei corleonesi, diventato
informatore.
Carboni, Flavio processato e assolto per lomicidio di Roberto
Calvi.
Carlos lo Sciacallo (nome di battaglia di Ilich Ramirez Snchez)
venezuelano, membro del Fronte popolare di liberazione
della Palestina, autore di un sequestro di ostaggi alla sede
dellOpec a Vienna.
Cassese, Antonio ex presidente del Tribunale delle Nazioni
Unite per la Iugoslavia.
Cayley, Andrew ex procuratore aggiunto anziano del Tribunale
delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
eku, Agim ex capo di stato maggiore dellEsercito di libera-
zione del Kosovo.
Ceri3, Reis-ul-Ulema Mustafa leader della comunit islamica
della Bosnia-Erzegovina.
Jermak, Ivan generale a riposo dellEsercito della repubblica
400
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di Croazia, processato per fatti connessi con loperazione
Tempesta del 1995.
Chirac Jacques ex presidente della Francia.
Clark, Wesley generale dellesercito degli Stati Uniti, ex capo
del Comando supremo alleato in Europa.
Corell, Hans sottosegretario delle Nazioni Unite per gli Affari
legali.
2ori3, Valentin ex capo della polizia militare della Repubblica
croata nella Bosnia-Erzegovina del periodo bellico.
DAlema, Massimo ministro degli Esteri dellItalia.
de Caprio, Sergio (Capitano Ultimo) ufficiale dei carabinieri,
arrest il boss della cosca dei corleonesi in un ingorgo stra-
dale a Palermo.
De Gucht, Karel ministro degli Esteri del Belgio.
Deli3, Rasim ex comandante dellEsercito della repubblica di
Bosnia-Erzegovina.
Des Forges, Alison investigatore sui diritti umani, Human Ri-
ghts Watch.
Di Pietro, Antonio ex magistrato inquirente di Milano.
Djeri3, Vladimir consigliere legale del ministro degli Esteri di
Serbia.
Djindji3, Zoran ex primo ministro di Serbia, assassinato da
membri dei Berretti rossi, ununit scelta della polizia serba.
Djogo, Jovan ex ufficiale dellEsercito serbo-bosniaco, che
avrebbe prestato aiuto a Ratko Mladi3 mentre era in latitan-
za.
Djordjevi3, Vlastimir ex generale della polizia serba e capo del-
la Pubblica sicurezza, incriminato per fatti connessi con la
pulizia etnica in Kosovo.
Djukanovi3, Milo ex primo ministro del Montenegro.
Djuro,Vladimir ex investigatore del Tribunale delle Nazioni
Unite per la Iugoslavia.
Dodik, Milorad primo ministro della Republika Srpska.
Draykovi3, Vuk ministro degli Esteri della Serbia, gi acceso
anticomunista.
Dreifuss, Ruth ex presidente della Svizzera.
Dyachenko, Tatyana consigliera personale e figlia dellex presi-
dente russo Boris Eltsin.
Eltsin, Boris ex presidente della Russia.
Falcone, Giovanni magistrato inquirente di Palermo, assassi-
nato con la moglie, Francesca Morvillo, il 23 maggio 1992.
Farrell, Norman consigliere legale ed ex capo della Sezione ap-
pelli dellUfficio della Procura del Tribunale delle Nazioni
Unite per la Iugoslavia, ex consigliere per il Comitato inter-
nazionale della Croce Rossa.
401
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Fenrick, William procuratore aggiunto del Tribunale delle Na-
zioni Unite per la Iugoslavia.
Filaret vescovo del monastero serbo ortodosso di Mileyevo.
Gahima, Gerard procuratore generale del Ruanda.
Georgijevski Ljupjo ex primo ministro di Macedonia.
Gojovi3, Radomir generale a riposo, procuratore della corte
marziale dellEsercito iugoslavo.
Goldstone Richard ex Procuratore capo del Tribunale delle
Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Gotovina, Ante ex generale dellEsercito della Repubblica di
Croazia, imputato per fatti connessi con loperazione milita-
re che espulse la popolazione serba da tratti di territorio
croato nellagosto del 1995.
Groome, Dermot ex procuratore aggiunto anziano del Tribu-
nale delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Grubaj, Momjilo ex ministro della Giustizia della Repubblica
federale di Iugoslavia.
Gvero, Milan generale dellEsercito serbo-bosniaco, incrimi-
nato per fatti connessi con il massacro di Srebrenica.
Habyarimana, Juvnal ex presidente del Ruanda, assassinato
il 6 aprile 1994 quando laereo su cui viaggiava fu abbattuto.
Hadzi3, Goran, ex leader dei serbi di Croazia.
Haradinaj, Ramush ex comandante dellEsercito di liberazio-
ne del Kosovo, incriminato per fatti connessi con gli eccidi di
serbi nel Kosovo occidentale il primo ministro kosovo dal
dicembre 2004.
Harmon, Mark procuratore aggiunto anziano del Tribunale
delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Hartmann, Florence portavoce dellUfficio della Procura del
Tribunale delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Higgins, Gillian uno degli amici curiae nel processo Miloyevi3.
Higgins, Rosalyn presidente della Corte internazionale di giu-
stizia.
Holbrooke, Richard ex ambasciatore degli Stati Uniti presso le
Nazioni Unite, artefice dellAccordo di pace di Dayton.
Hollis, Brenda procuratore aggiunto anziano del Tribunale
delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Hoon, Geoffrey ministro del Regno Unito per gli affari dellU-
nione europea.
Izetbegovi3, Alija ex presidente della repubblica di Bosnia-Er-
zegovina e leader nel periodo bellico dei musulmani di Bo-
snia.
Jallow, Hassan Bubacar successore di Carla Del Ponte come
Procuratore capo del Tribunale delle Nazioni Unite per il
Ruanda.
Jankovi3, Gojko ex leader del gruppo paramilitare serbo, incri-
402
01_016_FELTR_Allinseguimento 28-02-2008 8:59 Pagina 402
minato per coinvolgimento in abusi sessuali e stupri contro
donne detenute a Foja.
Jelavi3, Ante ex membro croato della presidenza di Bosnia-Er-
zegovina.
Joji3, Petar ex ministro della Giustizia della Repubblica fede-
rale di Iugoslavia.
Jorda, Claude ex presidente del Tribunale delle Nazioni Unite
per il Ruanda.
Joris, Jean-Jacques ex consigliere diplomatico di Carla Del
Ponte.
Jovanovi3, Jedo viceprimo ministro della Serbia.
Kabuga, Flicien finanziere hutu, incriminato per fatti con-
nessi con il genocidio del 1994.
Kagame, Paul presidente del Ruanda.
Kambanda, Jean ex primo ministro del governo hutu del
Ruanda, dichiaratosi colpevole di genocidio.
Kandi3, Nataya capo del Centro legale umanitario di Belgrado.
Karadzi3, Radovan ex leader dei serbi di Bosnia, incriminato,
tra laltro, per fatti connessi con il massacro di Srebrenica.
Kay, Steven uno degli amici curiae nel processo Miloyevi3.
Kayonga Charles generale dellEsercito del Ruanda, incrimi-
nato per fatti connessi con lassassinio del presidente Juvnal
Habyarimana.
al-Khasawneh, Awn Shawkat vicepresidente della Corte inter-
nazionale di giustizia.
Kirk McDonald, Gabrielle presidente della Camera dappello
del Tribunale delle Nazioni Unite per il Ruanda.
Knezevi3, Duyan esercito serbo-bosniaco, incriminato per fat-
ti connessi con la pulizia etnica in Bosnia occidentale.
Kordi3, Dario leader politico dei croati in Bosnia centrale in
periodo bellico, giudicato colpevole di imputazioni relative
al massacro di musulmani di Ahmi3i.
Koytunica, Vojislav ex presidente della Repubblica federale di
Iugoslavia, primo ministro della Serbia.
Kouchner, Bernard ministro degli Esteri della Francia, ex capo
della Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (Unmik).
Kovajevi3, Vladimir ufficiale dellEsercito nazionale iugosla-
vo, incriminato in connessione con lattacco a Dubrovnik.
Krajiynik, Momjilo ex presidente del Parlamento serbo-bo-
sniaco, giudicato colpevole di persecuzione, sterminio, omi-
cidio, deportazione e altre imputazioni.
Krga, Branko capo di stato maggiore dellEsercito iugoslavo.
Kwon, O-Gon giudice del Tribunale delle Nazioni Unite per la
Iugoslavia.
Laji3, Rasim coordinatore delle relazioni della Serbia con il
Tribunale delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
403
01_016_FELTR_Allinseguimento 28-02-2008 8:59 Pagina 403
Lajolo, monsignor Giovanni ministro degli Esteri del Vatica-
no.
Lazarevi3, Vladimir generale della polizia serba, incriminato
per complicit nella pulizia etnica in Kosovo del 1999.
Lili3, Zoran ex presidente della Iugoslavia.
Lopez-Terres, Patrick capo dellufficio investigativo del Tribu-
nale delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Luki3, Milan leader paramilitare serbo-bosniaco, incriminato
per multiple imputazioni di omicidio in connessione con la
pulizia etnica di Viyegrad.
Luki3, Sredoje parente di Milan Luki3, incriminato per fatti
connessi con la pulizia etnica di Viyegrad.
Luki3, Sreten generale della polizia serba, incriminato per fat-
ti connessi con la pulizia etnica del Kosovo.
Lukovi3, Milorad Ulemek comandante dei Berretti rossi, lu-
nit scelta della polizia paramilitare serba.
Mahiou, Ahmed giudice della Corte internazionale di giustizia.
Manoli3, Josip ex capo della polizia segreta della Croazia.
Markaj, Mladen ex generale dellesercito della repubblica di
Croazia, incriminato per fatti connessi con loperazione
Tempesta del 1995.
Markovi3, Rade capo della sicurezza dello stato serbo.
Marovi3, Svetozar ex presidente dellUnione degli Stati di Ser-
bia e Montenegro.
Marti3, Milan leader della polizia e delle forze armate dei ser-
bi in Croazia, incriminato per fatti connessi con un attacco
missilistico alla capitale croata, Zagabria.
May, Richard giudice, presidente della Corte al processo Mi-
loyevi3 presso il Tribunale delle Nazioni Unite per la Iugo-
slavia.
McCloskey, Peter procuratore aggiunto anziano del Tribunale
delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Mejaki3, Zeljko ex comandante del campo di concentramento
di Omarska, incriminato per fatti connessi con la pulizia et-
nica serba di musulmani in Bosnia occidentale.
Merkel, Angela cancelliere della Repubblica federale di Ger-
mania.
Meron, Theodor ex presidente del Tribunale delle Nazioni Uni-
te per la Iugoslavia.
Mesi3, Stipe presidente della Croazia.
Mihajlovi3, Duyan ex ministro degli Interni della Serbia.
Mileti3, Radivoje ex capo delle operazioni dellesercito serbo-
bosniaco, incriminato per fatti connessi con il massacro di
Srebrenica.
Miloyevi3, Dragomir ex comandante delle forze dellesercito
serbo-bosniaco che assediarono Sarajevo, incriminato per
404
01_016_FELTR_Allinseguimento 28-02-2008 8:59 Pagina 404
aver usato lartiglieria e i cecchini per terrorizzare la popola-
zione di Sarajevo dal 1994 alla fine dellassedio, nel 1995.
Miloyevi3, Slobodan ex presidente della Serbia, ex presidente
della Iugoslavia.
Milutinovi3, Milan ex presidente della Serbia.
Mladi3, Darko figlio di Ratko Mladi3.
Mladi3, Ratko ex comandante dellesercito serbo-bosniaco, in-
criminato per fatti connessi con, tra le altre cose, il massacro
di Srebrenica.
Montgomery, William ex ambasciatore degli Stati Uniti in
Croazia e nella Repubblica federale di Iugoslavia.
Moratinos, Miguel ngel ministro degli Esteri della Spagna.
Mrkyi3, Mile ex colonnello dellesercito iugoslavo, incriminato
per fatti connessi con lesecuzione di prigionieri catturati a
Vukovar nel 1991.
Muna, Bernard ex viceprocuratore del Tribunale delle Nazioni
Unite per il Ruanda.
Murigande Charles segretario generale del Fronte patriottico
ruandese.
Musabyimana, Samuel vescovo della chiesa anglicana, incri-
minato con accuse di genocidio, cospirazione nel genocidio,
e sterminio.
Nahimana, Ferdinand ex direttore della Radio Tlvision Li-
bre des Mille Collines, incriminato per fatti connessi con il
genocidio del Ruanda.
Ndadaye Melchior ex presidente hutu del Burundi, assassina-
to nellottobre 1993.
Ndindabahizi, Emmanuel ex ministro delle Finanze del Ruan-
da, incriminato con accuse di genocidio, incitazione al geno-
cidio e crimini contro lumanit.Negroponte, John ex am-
basciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite.
Ngeze, Hassan ex direttore di un giornale estremista del Ruan-
da, incriminato per incitamento alla violenza tramite i mass
media.
Ngoga, Martin diplomatico ruandese responsabile del monito-
raggio del Tribunale delle Nazioni Unite per il Ruanda.
Nice, Geoffrey ex procuratore aggiunto anziano del Tribunale
delle Nazioni Unite per il Ruanda.
Nikiforov, Anton ex assistente del Procuratore capo del Tribu-
nale delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Nikoli3, Drago ex ufficiale dellesercito serbo-bosniaco, incri-
minato per fatti connessi con il massacro di Srebrenica.
Niyitegeka, Eliezer ex ministro delle Informazioni del Ruanda,
imputato davanti al Tribunale delle Nazioni Unite per il
Ruanda.
Nkurunziza, Jackson generale dellEsercito ruandese, incrimi-
405
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nato in Francia in connessione con lassassinio del presiden-
te hutu del Ruanda Juvnal Habyarimana.
Nobilo, Ante avvocato difensore di Tihomir Blayki3.
Ntaryamira, Cyprien ex presidente del Burundi, ucciso con
Juvnal Habyarimana, ex presidente del Ruanda, il 6 aprile
1994 quando il suo aereo fu abbattuto.
Ojdani3, Dragoljub ex capo di stato maggiore dellesercito iu-
goslavo, incriminato per fatti connessi con la pulizia etnica
del Kosovo del 1999.
Pandurevi3, Vinko ex comandante di brigata dellesercito ser-
bo-bosniaco, incriminato per fatti connessi con il massacro
di Srebrenica.
Patterson, Nancy ex procuratore aggiunto anziano del Tribu-
nale delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Pavkovi3, Nebojya ex capo di stato maggiore dellesercito iugo-
slavo, incriminato per fatti connessi con la pulizia etnica del
Kosovo in 1999.
Periyi3, Momjilo ex capo di stato maggiore dellesercito iugo-
slavo, incriminato per fatti connessi con crimini di guerra
commessi in Bosnia-Erzegovina.
Petkovi3, Milivoj ex capo di stato maggiore generale della mi-
lizia croato-bosniaca, incriminato per gravi infrazioni delle
convenzioni di Ginevra, deportazione illegale di un civile e
altre imputazioni.
Pillay, Navanethem ex presidente del Tribunale delle Nazioni
Unite per il Ruanda.
Plavyi3, Biljana ex membro serbo della presidenza collettiva
della Bosnia-Erzegovina, dichiaratasi colpevole delle impu-
tazioni di crimini di guerra.
Pocar, Fausto presidente del Tribunale delle Nazioni Unite per
la Iugoslavia.
Polt, Michael ex ambasciatore degli Stati Uniti in Serbia e
Montenegro.
Popovi3, Vladimir Beba ex consigliere capo del primo mini-
stro Zoran Djindji3.
Popovi3, Vujadin vicecomandante per la sicurezza dellesercito
serbo-bosniaco, Corpo della Drina, incriminato per fatti con-
nessi con il massacro di Srebrenica.
Powell, Colin ex Segretario di stato degli Stati Uniti.
Praljak, Slobodan ex comandante della milizia croato-bosnia-
ca, incriminato per gravi infrazioni della Convenzione di Gi-
nevra, violazioni delle leggi sugli usi di guerra e crimini con-
tro lumanit.
Prli3, Jadranko ex primo ministro della repubblica procla-
mata dai croati bosniaci sul territorio bosniaco. Incriminato
406
01_016_FELTR_Allinseguimento 28-02-2008 8:59 Pagina 406
per gravi infrazioni della Convenzione di Ginevra, violazioni
delle leggi sugli usi di guerra e crimini contro lumanit.
Prosper, Pierre ex ambasciatore generale degli Stati Uniti per i
Crimini di guerra.
Pusi3, Berislav ex ufficiale dei croati bosniaci, incriminato per
fatti connessi con lespulsione di musulmani dalla Bosnia-
Erzegovina.
Rajan, Ivica ex primo ministro della Repubblica di Croazia.
Radi3, Miroslav ex capitano dellesercito iugoslavo, incrimina-
to per fatti connessi con lesecuzione di prigionieri catturati
a Vukovar.
Radiyi3, Zivko membro serbo della presidenza collettiva post-
bellica della Bosnia-Erzegovina.
Raji3, Ivica comandante, reo confesso, delle unit della milizia
croato-bosniaca che uccisero decine di musulmani, compre-
si donne e bambini, in un villaggio chiamato Stupni Do.
Ralston, John ex capo dellufficio investigativo del Tribunale
delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Raznatovi3, Zeljko Arkan ex figura della malavita di Belgrado,
comandante di una forza paramilitare serba, incriminato
per fatti connessi con imprigionamento, percosse, stupro ed
esecuzione di prigionieri.
Rehn, Olli Commissario europeo per lampliamento.
Reinhardt, Klaus generale, ex comandante della Kfor.
Rekundo, Emmanuel il prete cattolico, catturato in svizzera ex
cappellano dellesercito ruandese, che avrebbe preso parte
agli eccidi di tutsi a Kabgayi.
Rice, Condoleezza Segretario di stato degli Stati Uniti, ex Con-
sigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Richard, Alain ex ministro della difesa della Francia.
Riina, Salvatore presunto boss dei boss della mafia siciliana.
Risti3, Stanko ex ufficiale dellesercito serbo-bosniaco, che
avrebbe agevolato la latitanza di Ratko Mladi3.
Robertson, lord George ex Segretario generale della Nato.
Robinson, Patrick giudice del Tribunale delle Nazioni Unite
per la Iugoslavia.
Rorschacher, Valentin capo dellUfficio centrale svizzero per il
traffico di droga.
Roth, Ken direttore esecutivo di Human Rights Watch.
Ruch, Jean-Daniel ex consigliere politico del Tribunale delle
Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Ruggio, Georges il cosiddetto hutu bianco, ex giornalista ita-
lo-belga della Radio Tlvision Libre des Mille Collines, di-
chiaratosi colpevole di incitamento al genocidio.
Rwigamba, Andrew tenente colonnello dellesercito ruandese,
procuratore militare del Ruanda.
407
01_016_FELTR_Allinseguimento 28-02-2008 8:59 Pagina 407
Yainovi3 Nikola ex viceprimo ministro della Repubblica fede-
rale di Iugoslavia.Salinas, Ral fratello di Carlos Salinas,
ex presidente del Messico.
Sanader, Ivo primo ministro della Repubblica di Croazia.
Sawers, John direttore politico del Foreign Office.
Scheffer, David ex ambasciatore generale degli Stati Uniti per i
Crimini di guerra.
Schneider, Cynthia ambasciatrice degli Stati Uniti nei Paesi
Bassi.
Schroeder, Gerhard cancelliere della Repubblica federale di
Germania.
Schulte, Greg ex senior director per lEuropa sudorientale del
Consiglio per la sicurezza nazionale.
Scott, Ken procuratore aggiunto anziano del Tribunale delle
Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Seromba, Athanase prete cattolico incriminato con imputazio-
ni relative al genocidio in Ruanda.
Yeyelj, Vojislav fondatore e capo dellultranazionalista Partito
radicale serbo, incriminato per fatti connessi con attivit del-
la milizia del partito in Croazia e Bosnia-Erzegovina.
Sezibera, Richard ambasciatore del Ruanda negli Stati Uniti.
Simatovi3, Frenki ex comandante dellUnit operazioni spe-
ciali del Servizio di sicurezza statale serbo, imputato di cri-
mini commessi in Croazia e Bosnia-Erzegovina.
Simi3, Blagoje serbo bosniaco incriminato per fatti connessi
con la pulizia etnica della municipalit di Bosanski Yamac in
Bosnia settentrionale.
Skuratov, Yuri ex procuratore generale di Russia.
Yljivanjanin, Veselin ex comandante dellesercito iugoslavo,
incriminato per fatti connessi con lesecuzione di feriti e altri
prigionieri presi allospedale di Vukovar.
Sobel, Clifford M. ambasciatore degli Stati Uniti nei Paesi
Bassi.
Solana, Javier ministro degli Esteri della Commissione euro-
pea.
Staniyi3, Jovica ex capo del Servizio di sicurezza di stato ser-
bo, imputato per crimini commessi in Croazia e Bosnia-Er-
zegovina.
Staniyi3, Mijo ex ministro degli Interni della Republika Srpska,
incriminato tra le altre cose per tortura, trattamento crudele
e deportazione di musulmani bosniaci e di croati bosniaci.
Stevanovi3, Obrad ex viceministro degli Interni della Serbia
Stoji3, Bruno ex ministro della Difesa della Repubblica croata
in Bosnia-Erzegovina.
Stojiljkovi3, Vlajko ex ministro degli Interni della Serbia, in-
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criminato per fatti connessi con la pulizia etnica del Kosovo
nel 1999, suicidatosi.
Straw, Jack ex capo del Foreign Office.
Yubayi3, Munira presidentessa delle Madri di Srebrenica,
unorganizzazione delle vedove e madri di uomini massacra-
ti a Srebrenica.
Yuyak, Gojko ex ministro della Difesa della Repubblica di
Croazia, il pi stretto consigliere del presidente croato
Franjo Tudjman.
Svilanovi3, Goran ex ministro degli Esteri di Serbia.
Tadi3, Boris presidente della Serbia, ex ministro della Difesa di
Serbia.
Tadi3, Duyko ex guardia del campo di concentramento serbo-
bosniaco di Omarska, arrestato in Germania e processato
dal Tribunale delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Taft, William consigliere legale del Segretario di stato degli
Stati Uniti Colin Powell.
Tenet, George ex direttore della statunitense Central Intelli-
gence Agency.
Terzi3, Zlatoje generale dellesercito iugoslavo, capo della com-
missione per la cooperazione con il Tribunale delle Nazioni
Unite per la Iugoslavia.
Tieger Alan procuratore aggiunto anziano del Tribunale delle
Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Todovi3, Savo comandante di un penitenziario serbo-bosnia-
co, incriminato per persecuzione, riduzione in schiavit, tor-
tura, percosse e omicidio di prigionieri musulmani.
Tognoli, Oliviero ex manager finanziario della mafia siciliana.
Tolbert, David viceprocuratore del Tribunale delle Nazioni
Unite per la Iugoslavia.
Tolimir, Zdravko ex generale dellesercito serbo-bosniaco, in-
criminato per atti connessi con, tra laltro, il massacro di
Srebrenica.
Tomi3, Aco ex generale dellEsercito iugoslavo, capo del dipar-
timento sicurezza dello stato maggiore generale.
Trajanov, Pavle ex ministro degli Interni della Repubblica di
Macedonia.
Tudjman, Franjo ex presidente della Repubblica di Croazia.
Uertz-Retzlaff, Hildegard procuratore aggiunto anziano del
Tribunale delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Uwilingiyimana Agathe ex primo ministro hutu moderato
del Ruanda, assassinata con i suoi figli da truppe estremi-
ste hutu.
Vasiljevi3, Aleksandar ex generale dellesercito iugoslavo ed ex
capo del servizio di controspionaggio dellesercito iugoslavo.
Vdrine Hubert ex ministro degli Esteri della Francia.
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01_016_FELTR_Allinseguimento 28-02-2008 8:59 Pagina 409
410
Vujanovi3, Filip presidente del Montenegro.
Vujovi3, Nebojya inviato speciale al Tribunale delle Nazioni
Unite per la Iugoslavia.
Vukjevi3, Vladimir procuratore capo della Serbia per i crimini
di guerra, coordinatore delle relazioni della Serbia con il Tri-
bunale delle Nazioni Unite per la Iugoslavia.
Walpen, Laurent ex capo dellufficio investigativo del Tribuna-
le delle Nazioni Unite per il Ruanda.
Weinberg de Roca, Ins ex giudice del Tribunale delle Nazioni
Unite per la Iugoslavia.
Williamson, Clint ex procuratore aggiunto del Tribunale delle
Nazioni Unite per la Iugoslavia, ambasciatore generale degli
Stati Uniti per i Crimini di guerra.
Winkler, Hans viceministro degli Esteri dellAustria.
Zacklin, Ralph vicesegretario generale per gli Affari legali del-
le Nazioni Unite.
Zelenovi3 Dragan ex guardia carceraria serbo-bosniaca, di-
chiaratosi colpevole delle imputazioni di tortura e stupro in
connessione con aggressioni a donne musulmane.
Zivkovi3, Zoran ex primo ministro della Serbia, assassinato il
12 marzo 2003.
Zupljanin, Stojan comandante della sicurezza serbo-bosniaco
nella Bosnia occidentale, incriminato di genocidio e persecu-
zione in relazione con la pulizia etnica di musulmani.
01_016_FELTR_Allinseguimento 28-02-2008 8:59 Pagina 410
Qualsiasi sforzo della pubblica accusa richiede una squadra,
e i miei sforzi personali avrebbero dato scarsi frutti se non ci
fossero stati i miei consiglieri e lo staff dellUfficio della Procura
con i suoi legali, analisti, investigatori, esperti linguisti, speciali-
sti di prove e tecnici informatici, troppo numerosi per citarne
tutti i nomi. Ringrazio tutti loro. Per lassistenza a queste me-
morie, sono particolarmente grata a Norman Farrell, la cui pa-
zienza, competenza legale, solidit di giudizio e capacit di sug-
gerimenti editoriali ha portato parti significative del manoscrit-
to a un livello molto pi alto di quello che avrei mai potuto rag-
giungere da sola, e ai miei editor Raffaele Scelsi e Carlo Feltri-
nelli. Ho anche un debito di riconoscenza con Jean-Jacques Jo-
ris, Jean-Daniel Ruch, Laurent Walpen e Dominique Reymond
(Svizzera); Diana Dicklich, Yves Roy e Alexandra Milenov (Ca-
nada); Anton Nikiforov (Russia); Milbert Shin, Mark Harmon,
Ken Scott, Clint Williamson, Moya Magilligan, Peter McCloskey,
Stephen Rapp e Bill Tomljanovich (Stati Uniti); Andrew Cayley
(Regno Unito); Florence Hartmann, Patrick Lopez-Terres, Ceci-
le Aptel, e la mia assistente personale Christine Bosman (Fran-
cia); Ljiljana Pitesa e Sanja Bokali3 (Croazia); Olga Kavran, Ju-
lija Bogoeva e Ljiljana Todorovi3-Sudetic (Serbia); Michael
Hehn (Germania); e per lidea originale del muro di gomma,
Matteo Costi (Italia). Diverse persone e organizzazioni hanno
offerto commenti, aiuto nelle traduzioni e suggerimenti fattuali,
tra cui Sabina Zanetta, Laura Silber, Barbara Yurk, Michael
Kaufman, Sara e Azra Sudetic, e Jacques Rossier; Nataya Kan-
di3 dellHumanitarian Law Fund; Alison Des Forges di Human
Rights Watch; lInstitute for War and Peace Reporting e James
Lyons e lInternational Crisis Group per le loro relazioni sulla si-
tuazione politica in Serbia; Mirko Klarin dellagenzia Sensa; Ni-
na Bang Jensen ed Edgar Chen della Coalition for International
Ringraziamenti
411
01_016_FELTR_Allinseguimento 28-02-2008 8:59 Pagina 411
412
Justice; Hirondelle per le news sul Tribunale per il Ruanda; e
Anton, Maartje, e il cortese personale del Cafe Room dellAia,
per aver mantenuto costante il fiume di cappuccini che ha con-
tribuito a rispettare il calendario del manoscritto. Infine, un rin-
graziamento speciale alle persone che hanno scambiato con me
idee e commenti sulle lezioni apprese: Judith Armatta della Coa-
lition for International Justice, che ha generosamente messo a
mia disposizione idee del suo libro sul processo Miloyevi3; Gary
Bass della Princeton University; Peggy Kuo, la cui partenza per
Wall Street stata una perdita per il Tribunale per la Iugoslavia;
Diane Orentlicher e Kelly Askin della Open Society Justice Ini-
tiative; e, di nuovo, Norman Farrell e Ken Scott dello staff del
Tribunale. Mentre sono grata a tutte le persone citate per i con-
sigli e i suggerimenti offerti, le opinioni espresse in questo libro
sono esclusivamente mie.
01_016_FELTR_Allinseguimento 28-02-2008 8:59 Pagina 412
11 Prologo
21 1. Il muro di gomma fino al 1999
45 2. I crimini di guerra in Iugoslavia
77 3. Il genocidio in Ruanda
100 4. Belgrado: 2000 e 2001
136 5. La burocrazia del Tribunale: dal 2000 al 2002
153 6. Belgrado: 2002 e 2003
191 7. Kigali: 2000 e 2001
207 8. Belgrado. 2003 e 2004
236 9. Kigali: 2002 e 2003
254 10. Zagabria: dal 1999 al 2007
286 11. Kosovo: dal 1999 al 2007
318 12. Belgrado: dal 2004 al 2006
346 13. Belgrado e il Montenegro: 2006 e 2007
381 Epilogo
395 Note
399 Dramatis personae
411 Ringraziamenti
Indice
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414
Stampa Grafica Sipiel
Milano, marzo 2008
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