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L'IMPRESA COME SISTEMA ORGANIZZATIVO

Antonio Lerro e Giovanni Schiuma

LIEG Center for Value Managment


Universit della Basilicata

1. Premessa
Le organizzazioni sono dei fenomeni complessi, ambigui e talvolta anche paradossali.
Ne consegue che assai difficile risultata effettuarne unanalisi. A riprova di tale
osservazione lenorme quantit di schematizzazioni che sono state proposte nella
letteratura per analizzare e schematizzare i sistemi organizzativi. Si tratta per lo pi di
differenti approcci teorici volti a definire degli schemi di lettura, ovvero delle
interpretazioni del sistema impresa, in particolare, e dellorganizzazione in generale.
Lorganizzazione legata al comportamento dellessere umano. Infatti, la storia degli
uomini si fonda sulla loro capacit di organizzarsi al fine di raggiungere degli obiettivi
che la singola individualit non potrebbe realizzare. Lorganizzazione coinvolge
numerosi aspetti che sono stati evidenziati ed analizzati dagli studiosi di organizzazione
con il coinvolgimento di differenti e complementari discipline scientifiche. Ad ogni
modo alla base dellorganizzazione risiede la suddivisione del lavoro in compiti
elementari e/o ambiti di specializzazione di modo che diversi individui o gruppi di
individui possano dedicarsi alla loro realizzazione. Quindi lorganizzazione presuppone
unaggregazione di sforzi individuali. Tuttavia affinch questi sforzi siano finalizzati al
raggiungimento di un obiettivo necessitano di essere integrati e coordinati. Ecco quindi
che lorganizzazione coinvolge da un lato la disaggregazione e dallaltro lintegrazione
coordinata delle azioni. Il coordinamento una condizione necessaria, sebbene non
sufficiente, per garantire efficacia ed efficienza allazione organizzata. Si ricorda che
lefficacia rappresenta la capacit di raggiungere lobiettivo preposto; mentre
lefficienza rappresenta la capacit di raggiungere lobiettivo massimizzando le risorse
disponibili. Il concetto di coordinamento coinvolge poi diverse dimensioni legate alle
dinamiche relazionali quali il comando, la comunicazione, il monitoraggio e controllo.
Sembra quindi possibile affermare che lorganizzazione una propriet caratteristica
degli esseri viventi per mezzo della quale ciascuna soggettivit, pur non cessando di
esistere come autonoma unit, esplica la propria esistenza in funzione di un organismo
superiore che lo comprende e che, nella sintesi, riesce ad esprimere una diversa e pi
ampia individualit, punto di partenza, a sua volta, per nuove riproposizioni verso
sistemi pi complessi.
L'organizzazione, quindi, prima ancora che come unentit fisica o logica, pu essere
definita come una modalit del comportamento umano connaturata allagire di fronte
alla complessit. Le organizzazioni non esistono in natura ma vengono progettate e
costruite dalluomo allo scopo di conseguire determinati risultati, i quali non sarebbero
il pi delle volte raggiungibili senza lapporto congiunto, coordinato e protratto nel
tempo di pi partecipanti e limpiego di risorse adeguate. Pertanto lorganizzazione
costituisce lespressione della necessit di aggregare, integrare e coordinare un insieme
di risorse al fine di raggiungere un obiettivo.
Tutti i rapporti che si possono sviluppare tra lunit particolare e lorganismo generale e
fra questi e lambiente esterno costituiscono loggetto degli studi organizzativi. Questi
appaiono caratterizzati da una perenne mutevolezza che viene a determinarsi a causa
delle diversificazioni che le singole unit organizzative assumono nel tempo e nello
spazio, a seconda del grado di sviluppo raggiunto dallambiente in cui operano.

Tuttavia, in tali unit si possono riscontrare alcune caratteristiche ripetitive e comuni, la


cui individuazione conduce ad un insieme di principi e di norme universali,
potenzialmente validi per molteplici organizzazioni, dalle trib agli eserciti, dalla
Chiesa ai team sportivi.
L'organizzazione tout court, quindi, nasce con l'uomo e si evolve con la sua storia, ma
soltanto recentemente, con l'avvento dell'era industriale, su di essa si sviluppata una
teoria dellorganizzazione.
E importante evidenziare che la teoria dellorganizzazione, sebbene annoveri ormai
una molteplicit ed una pluralit di contributi, non pochi dei quali sorgono per
contaminazione di approcci scientifici differenti, sociologico, psicologico, economicogenerale, aziendale, ingegneristico-gestionale, non si presenti ancora oggi, come un
corpo unitario di ipotesi verificate da ragionamenti scientifici ma, piuttosto, sembra
configurarsi come concettualizzazioni messe a confronto con diverso successo con la
realt.
Ci la pi rilevante conseguenza del confronto, non ancora composto da sintesi
convincenti, tra due concezioni fondamentali, non confondibili nella molteplicit delle
correnti di pensiero. Da un lato si situano coloro che associano ad organizzazione lidea
dellinsieme ordinato ma dinamico di individui, dove luomo lelemento di base
dellanalisi nel gruppo e nel sistema nel quale opera (concezione soggettivistica o
volontaristica). Dallaltro si annoverano coloro che nellorganizzazione individuano
lelemento focale della struttura e, perci, studiano preferibilmente le caratteristiche
formali del sistema e dei sotto-sistemi in cui gli individui esplicano la loro azione,
ordinata al conseguimento di un preciso fine. Da questo punto di vista emergono come
fattori principali di organizzazione sia i vincoli che tengono uniti gli uomini in strutture,
sia gli obiettivi che ne determinano lazione (concezione reificata e deterministica).
Lanalisi organizzativa pu addentrarsi in ciascuno dei citati aspetti o ricomprenderli
tutti, dallindividuo al sistema passando per il gruppo: non pertanto senza spiegazione
il fatto che gli studi organizzativi abbiano assunto uno straordinario sviluppo, seguendo
approcci anche notevolmente divergenti.
In relazione ai due approcci di analisi dellorganizzazione, nel tempo nellambito degli
studi organizzativi si sono sviluppate diverse interpretazioni di organizzazione. Queste
sono di solito raggruppate in quattro aggregati principali. Si tratta di alternativi concetti
e/o approcci allorganizzazione e sono il risultato di differenti, seppure complementari e
talvolta sovrapposti, filoni di studio.
Il primo interpreta lorganizzazione come subsistema di un pi vasto sistema sociale. Di
tale microsistema si considerano congiuntamente lunit e le parti: ad esempio,
nellimpresa industriale si studiano non solo la totalit sistemica, ma anche la diversit
delle funzioni aziendali, considerate sia nella loro autonomia che nella loro reciproca
dipendenza.
Il secondo aggregato analizza lorganizzazione in termini di struttura. Con essa si
intende lo schema ordinato delle gerarchie delle posizioni d lavoro, dei ruoli, delle
mansioni, delle relazioni organizzative, dei processi decisionali ed informativi entro il
sistema, basate su precise regole definite il pi delle volte ex-ante ma anche ex-post.
Organizzazione intesa anche come specifica attivit del pi generale governo di un
sistema. In questo senso ad essa si fa spesso riferimento nelle imprese come sinonimo di

management e quindi come aspetto del processo ancor pi vasto e complesso


dellamministrazione aziendale. Infine, lorganizzazione intesa come un organismo
personale, biologico, dove luomo assunto a variabile critica del sistema e lattenzione
si focalizza principalmente sul lavoro umano, cio sui gruppi e sugli individui dei quali
il sistema si compone e da cui riceve forza vitale per agire nellambiente competitivo.
Nel seguito del capitolo si forniscono dei lineamenti di analisi organizzativa che
sintetizzano tali diversi approcci. In particolare, lanalisi avr come focus una
particolare organizzazione: limpresa, il sistema aziendale, ossia quel sistema di forze
economiche, ordinate e strutturate che, attraverso processi di produzione di beni e
servizi in condizioni di equilibrio economico, finanziario ed organizzativo, crea valore
per gli stakeholders, ossia per linsieme dei soggetti portatori di interesse, interni ed
esterni allimpresa, che entrano in rapporto con essa e che ne influenzano il
raggiungimento degli obiettivi. Infatti, le imprese, sebbene possano perseguire diverse
strategie per il raggiungimento degli obiettivi, non possono prescindere dallimportanza
del sistema organizzativo quale strumento e risorsa necessaria per la creazione e la
gestione del valore.

2. Lineamenti di teoria dellorganizzazione


Gli studi di organizzazione aziendale possono farsi risalire alla fine dellOttocento
allorquando la diffusione dellindustria in Gran Bretagna determin lo sviluppo di
numerosi studi volti ad analizzare la divisione del lavoro. In particolare Adam Smith nel
suo celebre volume Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni
(1776) pone laccento sulla divisione e specializzazione del lavoro evidenziando come
questo garantisca un aumento delle capacit produttive in ogni mestiere. Gi Smith
pone in evidenza i vantaggi della suddivisione del lavoro: maggior destrezza
delloperaio, dovuta alla specializzazione, che fa crescere la sua capacit di lavoro; la
riduzione dei tempi di lavorazione; e la possibilit di adottare le macchine nelle attivit
specializzate.
Successivamente, nella prima met dellOttocento un altro studioso, Charles Babbage
sviluppa i primi studi sulla direzione e la gestione aziendale. Nel suo volume On the
Economy of the Machinery and Manifactures (1832) evidenzia ulteriormente i vantaggi
della divisione del lavoro: riduzione del tempo necessario per imparare un nuovo
mestiere e minor spreco di materiali per lapprendimento; abolizione del tempo
necessario per passare da una mansione allaltra; maggiore abilit, acquisita nel ripetere
sempre le stesse operazioni, utilizzando al meglio gli strumenti e migliorando i metodi
di lavoro. Nello stesso periodo, Andrew Ure medico studioso di chimica e fisica nel suo
trattato The philosophy of Manufactures (1835), analizza i problemi delle fabbriche e
pone lattenzione su due principali questioni: la meccanizzazione del sistema produttivo
ed il comportamento dei singoli operai e della forza-lavoro nel suo insieme. Propone
uninterpretazione del sistema di fabbrica come la combinazione di due sottoinsiemi:
le macchine e gli operai che lavorano integrati fra loro e con il sistema meccanico.
Pone quindi in evidenza la necessit di addestrare gli uomini ad un lavoro continuo e
regolare, cos che questi si integrino con il sistema tecnologico. A tale scopo propone la
definizione di un codice di fabbrica che definisca le regole standard di

comportamento degli individui. Lidea di fondo che lessere umano imperfetto e


compie facilmente degli errori, ne consegue che grandi benefici possono essere ottenuti
dalla sua sostituzione con le macchine. Tuttavia essendo il processo produttivo
lintegrazione degli uomini con le macchine, si rende necessario addestrare gli operai
cos che questi operino in sintonia con le macchine.
Allinizio del XX secolo, in concomitanza con lo sviluppo dellindustria orientata alla
produzione di massa, lorganizzazione del lavoro diviene un aspetto centrale nella
gestione dellimpresa. In tale periodo, la societ neoindustriale dellepoca si trovava di
fronte ad organizzazioni aziendali costituite per raggiungere un preciso fine quello del
profitto dei capitani dindustria che le avevano create- ma la loro struttura non era
programmata per massimizzare i benefici della combinazione dei fattori a fini di lucro,
n era in grado di porsi come strumento di controllo. Il limite da superare era costituito
dalla confusione con la quale le masse operaie si agglomeravano entro i confini della
fabbrica simili ad indistinte folle piuttosto che a squadre ordinate ed era altres
costituito dal modo assolutamente improvvisato con cui gli operai si orientavano nei
loro compiti di lavoro e si rapportavano alle macchine.
Sulla scia dei paradigmi culturali e filosofici del Positivismo, secondo il quale le scienze
esatte erano o sarebbero state presto in grado di risolvere in modo esaustivo qualsiasi
problema delluomo, si afferma lidea che lorganizzazione del lavoro, con lavvento di
impianti produttivi sempre pi avanzati, non debba pi essere lasciata al caso,
allarbitrio ed allimprovvisazione di persone qualsiasi, ma possa essere, al contrario,
studiata e progettata da esperti con metodo scientifico e assoggettata, come una
macchina, a rigorose norme di funzionamento.
NellOttocento non esisteva una progettazione articolata delle mansioni e del contributo
di ciascun lavoratore allorganizzazione produttiva, la cui supervisione era demandata al
coordinamento diretto del caporeparto, in una logica derivata dalla produzione
artigianale e dal ruolo del capo mastro. Con laumento dei lavoratori impiegati nelle
imprese e con le esigenze di standardizzazione delle mansioni conseguenti alla
produzione di massa sorse la necessit di una razionalizzazione accurata
dellorganizzazione del lavoro e dellutilizzo della manodopera. E in questo contesto
storico-economico che nasce il cosiddetto approccio oggettivo allorganizzazione del
lavoro, allinterno del quale si colloca il fondamentale contributo di Frederick Taylor e
degli altri studiosi che sono stati raccolti nel filone dello scientific management.
Prima di Taylor, fare il lavoro era ritenuta la cosa pi importante, mentre la scelta del
modo in cui lavorare era vista come un aspetto secondario, incluso nei compiti esecutivi
e quasi confinato in una sorta di scatola nera. Imprenditori e manager sapevano ci che
entrava e ci che usciva dalla scatola, ma ignoravano i processi al suo interno. Taylor
propone, invece, che le imprese aprano quella scatola e ne analizzino scientificamente il
contenuto in ogni dettaglio, nella convinzione che la trasparenza di ci che realmente
avviene nel processo produttivo la premessa essenziale per qualsiasi programmazione
della produzione e riorganizzazione delle strutture secondo criteri efficientistici.
Ipotizzato che il massimo della prosperit, in una organizzazione, sia generato dal
massimo di produttivit del lavoro, lobiettivo di Taylor quello di permettere il
conseguimento di un aumento di produttivit rispetto agli standard precedenti; per
ottenere tali risultati risulta necessaria una trasformazione radicale non solo del modo di
produrre, ma dellintera struttura organizzativa. Taylor, pertanto, propone la cosiddetta

organizzazione scientifica del lavoro, basata essenzialmente su pochi, importanti


principi:
Distinzione dei compiti e distribuzione delle responsabilit: le mansioni e le
responsabilit dei lavoratori, dei quadri, dei managers devono essere certe e
chiaramente definite. Data la difficolt di reperire persone dotate di conoscenze ed
esperienze in tutti i campi e per evitare che i capi siano oberati da numerose ed
eterogenee mansioni e si lasci spazio alliniziativa personale, limpresa deve essere
organizzata in modo da restringere larco delle responsabilit affidate ai singoli
soggetti, attraverso una rigorosa pianificazione dei compiti. Ci comporta laumento
numerico dei quadri intermedi, lindividuazione degli specifici campi di competenza e
lancoraggio delle prestazioni a norme e procedure prestabilite dalla direzione. Si passa
quindi da una direzione di tipo gerarchico puro ad una di management funzionale, in cui
i sottoposti non fanno pi riferimento ad un solo capo, ma ad una pluralit di superiori,
ciascuno dei quali si occupa di un aspetto particolare del lavoro. Taylor, in particolare,
prevede una fitta burocrazia interna, concepita come strumento di efficienza e di
conformit alle direttive del vertice.
Studio scientifico dei metodi di lavoro: comporta una rigida separazione tra
progettazione ed esecuzione del lavoro. Si devono analizzare le singole operazioni di
lavoro, per farle eseguire secondo regole precise e razionali, anzich secondo le
indicazioni approssimative della tradizione. Trova attuazione attraverso due
strumenti. Il primo la misurazione di tempi e metodi, vale a dire losservazione e la
scomposizione del lavoro umano nelle singole operazioni di base e la sua ricostruzione
secondo criteri oggettivi di efficienza in compiti elementari, oggetto di dettagliate
prescrizioni della direzione e destinati a ripetersi per lunghi periodi, in modo da
abbreviare i tempi di apprendimento, accrescere labilit nellesecuzione e permettere
limpiego di attrezzature finalizzate. Il secondo strumento il task management, che
prevede una determinazione a priori del carico giornaliero di lavoro tale da consentire
prestazioni standardizzate e con una produttivit molto pi elevata di quella ottenuta
con i vecchi sistemi.
Selezione e addestramento scientifico della manodopera: gli uomini devono essere
scientificamente selezionati e formati a compiere il lavoro cui sono pi adatti.
Lassegnazione delle mansioni ai singoli dipendenti non pu avvenire seguendo la
tradizione, la simpatia o il caso, ma deve rispettare anchessa criteri rigorosamente
scientifici che consentano la collocazione delluomo giusto al posto giusto. Il compito
dei tecnici dellorganizzazione scientifica del lavoro quindi quello di pervenire,
attraverso colloqui, test psicofisici ed altro, ad una selezione delle risorse umane e ad
una allocazione razionale dei ruoli lavorativi, tale da ottimizzare il rapporto biunivoco
tra doti soggettive del lavoratore e caratteristiche oggettive della prestazione di lavoro.
Anche laddestramento e la formazione devono avvenire in modo preciso e
commisurato ai compiti, invece di attendere che siano gli stessi lavoratori ad apprendere
empiricamente ed a migliorarsi in maniera fortuita.
Incentivazione pecuniaria: si deve ricorrere alluso di incentivi monetari per motivare i
lavoratori a produrre di pi. La minore gratificazione derivante dalla relativa banalit e
ripetitivit dei compiti compensata da aumenti salariali proporzionali allaumento

della produttivit dellazienda. Coerentemente, quindi, al mancato raggiungimento degli


obiettivi da parte del lavoratore consegue di regola una diminuzione proporzionale del
salario.
Con Taylor ed il filone dello scientific management si afferma quindi il paradigma
della razionalit: lidea di fondo che esista sempre e possa essere definita la one best
way, vale a dire il modo migliore di fare le cose; si tratta soltanto di individuarlo e
applicarlo, secondo il metodo scientifico deduttivo. Anche se in termini non sempre
espliciti, il riferimento teorico pi remoto di questo orientamento una concezione
dellorganizzazione come puro mezzo che viene plasmato dai fini di chi detiene il
comando. Questi opera secondo un principio di razionalit che risponde a forti criteri
efficientistici e trascura ogni altra considerazione di tipo culturale, sociale, psicologico
che possa interferire con lobiettivo della massimizzazione del risultato.
Il pensiero tayloristico trova importanti applicazioni in quasi tutti i pi importanti settori
dellindustria manifatturiera statunitense e successivamente europea degli inizi del XX
secolo. Tuttavia il taylorismo ha storicamente trovato la sua perfezione nellallora
nascente settore automobilistico, in particolare nelle aziende del capitano dindustria
Henry Ford. Si sostiene, infatti, che Ford perfezion il taylorismo incorporandolo nella
tecnologia della catena di montaggio: di qui il virtuoso connubio tra taylorismo come
metodo di organizzazione e fordismo come metodo di industrializzazione.
Da un punto di vista pi operativo, il taylorismo si adatta bene alle grandi dimensioni
aziendali, al trionfo della meccanica ed alla produzione di massa di beni standardizzati
su cui sono facilmente conseguibili delle economie di scala, ma si indebolisce
progressivamente a partire da quando, nella seconda met del secolo, le grandi imprese
devono fronteggiare lemergere di un cambiamento delle abitudini, bisogni e desideri
dei consumatori finali. Questi dalla richiesta di prodotti standardizzati e massificati si
muovono verso la domanda di prodotti innovativi e pi personalizzati. A fronte di un
mutamento della domanda dei mercati e dellemergere di innovazioni le grandi imprese
vanno incontro ad un processo di ristrutturazione con una graduale deverticalizzazione.
Si affermano nuove configurazioni organizzative non pi basate sul modello della
grande impresa verticale fortemente standardizzata sia nei processi produttivi che nella
natura dei prodotti offerti, ma ispirate alla creazione di reti di relazioni tra imprese
raccordate da meccanismi di coordinamento ed integrazione inter-organizzativi.
A Taylor e allorganizzazione scientifica del lavoro, nel tempo, sono state mosse molte
critiche: le carenze motivazionali, lutilizzo del solo incentivo monetario, la mancata
considerazione della dimensione sociale del lavoro, lautoritarismo, lorientamento
marcatamente pro manageriale, la parcellizzazione del lavoro, lidentificazione uomomacchina, lo sfruttamento dei lavoratori misurato dallo scarto tra aumento di
produttivit e aumento retributivo, ecc.. Si tratta certamente di osservazioni importanti
che tuttavia meritano di essere rivisitate, anche alla luce del fatto che molto spesso le
critiche riguardano le applicazioni e non le idee, e che anche le tanto criticate
applicazioni del taylorismo sembrano rappresentare una risposta coerente con le
caratteristiche economiche, sociali e tecnologiche del tempo, negli Stati Uniti e
successivamente negli altri Paesi. Inoltre bene non confondere, attualmente, il
superamento delle applicazioni di stampo fordista con lesaurimento della carica vitale
del taylorismo, dal momento che le esigenze di creare sistemi produttivi di cui luomo

sia soltanto un mero strumento, di standardizzare i gusti dei consumatori, di offrire al


mercato beni e servizi prodotti con operazioni iperspecializzate sono ancora in alcune
forme ed in alcuni contesti produttivi presenti e perseguite.
Una delle critiche pi forti rivolte agli studiosi dellorganizzazione scientifica del lavoro
era la mancata considerazione delle variabili psicologiche e sociali che interessano
individui e gruppi nelle strutture organizzative. A queste problematiche si deve lorigine
dellapproccio soggettivista allanalisi dei sistemi organizzativi. In particolare, della
cosiddetta scuola delle human relations. Fu proprio linteresse per queste variabili
psico-sociali, in precedenza del tutto ignorate, che port a scoprire lesistenza, accanto
allorganizzazione formale, di una organizzazione informale, ed accanto ad obiettivi
di carattere oggettivo delle organizzazioni, quali lefficienza, la produttivit, la
redditivit, la legalit, limparzialit, anche obiettivi di carattere soggettivo di
soddisfazione e di sviluppo individuale dei singoli partecipanti allorganizzazione.
La scuola delle human relations assume grande rilevanza negli studi del pensiero
organizzativo in seguito ad alcune ricerche condotte presso gli stabilimenti Hawthorne
della Western Electric, tra il 1927 e il 1932, dagli psicanalisti Elton Mayo e Fritz
Roethlisberger. Le ricerche, avviate con lobiettivo di trovare delle connessioni tra le
condizioni fisiche degli ambienti di lavoro, in particolare lintensit dellilluminazione
dei locali, ed il rendimento dei dipendenti, condussero a risultati particolarmente
sorprendenti. I dipendenti vennero suddivisi in due gruppi: il primo gruppo gruppo
desperimento - avrebbe lavorato nel reparto con illuminazione aumentata, il secondo
gruppo gruppo di controllo - avrebbe continuato a lavorare nel reparto con le
condizioni di illuminazione normale. Tuttavia, a dispetto delle aspettative, si osserv
che la produttivit aumentava sia nel reparto in cui si era attuato laumento di
illuminazione, sia nel reparto di controllo, dove lilluminazione era rimasta immutata.
Inoltre, anche provando a ridurre lilluminazione, e quindi in condizioni ambientali
peggiorate, nel primo gruppo la produttivit, anzich diminuire, tendeva ad aumentare.
Se ne dedusse che la produttivit del sistema organizzativo non poteva essere imputata
solo allambiente di lavoro e alla struttura del processo produttivo, ma esisteva unaltra
variabile che prescindeva dai fattori analizzati dallo scientific management. Si concluse
che la determinante delle prestazione produttive era costituita dal fattore umano da
intendersi non solo come componente meccanica del sistema produttivo, ma come
individuo portatore di interessi, valori, stili comportamentali ed attitudini che
influenzano le prestazioni organizzative.
Lesperimento rivel che era il grado di coesione e di affiatamento tra i componenti del
gruppo, derivante dalla qualit dei rapporti interpersonali al suo interno, a determinare
in massima parte lelevato livello di performance, ancor pi delle stesse condizioni
fisiche dellambiente di lavoro, dal momento che i componenti del primo gruppo, quello
desperimento, si auto-selezionavano, erano dei volontari che si conoscevano, si
sentivano amici, avevano gi delle buone relazioni sociali tra loro. Si scopr, altres,
lesistenza e limportanza, nellambito delle organizzazioni, dei gruppi informali, vale a
dire di aggregazioni spontanee tra lavoratori derivanti da dinamiche di tipo relazionale e
socio-affettivo non necessariamente coincidenti con i gruppi formali stabiliti dalla
direzione aziendale.

Al contempo emerse la grande importanza rivestita dai fattori motivazionali personali e


di gruppo allinterno delle organizzazioni: lesperienza dimostrava infatti che laumento
di produttivit era fortemente connesso al fatto che i componenti del gruppo
desperimento si sentivano pi motivati perch avvertivano pi attenzione nei loro
confronti, qualcuno mostrava interesse al loro lavoro, per la prima volta erano
orgogliosi di quello che stavano facendo. Inoltre si evidenziava per la prima volta la
questione degli stili di leadership: ad Hawthorne anche il capo del gruppo
desperimento, a sua volta, si sentiva notato e quindi attuava, anche in maniera
inconsapevole, uno stile di direzione pi orientato alle persone e non meramente alla
produzione e ci si ripercuoteva in maniera positiva sulla produttivit.
Si concluse pertanto che appropriati interventi del management sul piano della
progettazione organizzativa e delle interazioni microsociali, dirette a costruire e
motivare adeguatamente i gruppi, possono aumentare sensibilmente il rendimento
lavorativo. Mentre lo scientific management considerava i dipendenti come meri
erogatori di forza lavoro, autori come Mayo, Roethlisberger ed altri delle human
relations evidenziano la necessit di una visione pi completa del rapporto uomoorganizzazione, che recuperi il complesso dei fattori psicologici latenti che
condizionano il comportamento lavorativo dei soggetti. Ne consegue che una maggiore
attenzione dellorganizzazione alle esigenze di natura psicologica dei soggetti, in
particolare allarmonia ed alla qualit dellambiente microsociale in cui si lavora, pu
essere pi efficace per il rendimento lavorativo che non un semplice aumento della
remunerazione. E importante tuttavia sottolineare che sebbene con una
focalizzazione diversa - anche le istanza soggettiviste della scuola human relations si
collocano in impostazioni teoriche one best way dove lobiettivo rimane comunque la
funzionalizzazione delle forze produttive ai fini del profitto.
Le tesi di Mayo sono state in seguito riprese, sul finire degli anni Trenta, dalle analisi di
Chester Barnard circa le istanze cooperative allinterno delle organizzazioni e il ruolo
centrale del dirigente nel superamento dellutilitarismo verso la cooperazione. Per
Barnard, infatti, il manager professionale leale agli scopi della propriet, ma nel
contempo attento alle esigenze delle persone che lavorano. Per rendere compatibili
istanze diverse il manager, quindi, comunica e media, avendo come fine principale il
consenso e lidentificazione di tutti agli scopi dellorganizzazione. In questa ottica,
Barnard supera la concezione solo emozionale del consenso, presente nella linea delle
relazioni umane, e apre il discorso sulla motivazione alladesione ed allimpegno del
lavoro per obiettivi. Il lavoro di Barnard sar ripreso da numerosi studi sullo stile di
direzione. Dopo la seconda guerra mondiale, sulla scia di Barnard, si assiste infatti al
proliferare di numerosi contributi sul tema dello stile di direzione. Rilevanti sono, solo
per citarne qualcuno, i contributi di MacGregor, Likert, Katz, Blake e Mouton.
Laltro tema, di derivazione soggettivista, molto trattato negli studi organizzativi a
partire dagli anni Cinquanta senza dubbio la motivazione, in particolare con i
contributi ascrivibili a Maslow, Hertzberg e MacGregor.
Successivamente, a partire dagli anni Sessanta, nel mondo anglosassone si sviluppavano
programmi di ricerca il cui comune punto di partenza era quello di dimostrare
linfondatezza delle soluzioni one best way sia di matrice oggettiva che soggettiva.
Lattenzione degli studiosi si spostava quindi dalla ricerca dellottimalit universale del
disegno e del comportamento organizzativo al tentativo di spiegare la diversit

organizzativa: perch imprese dotate di forme organizzative molto diverse riuscivano ad


essere ugualmente efficaci ed efficienti? Quali dimensioni concorrono a spiegare tali
diversit? Questo filone di studi che si proponeva quindi di spiegare la variet delle
caratteristiche di struttura, meccanismi operativi e stili di direzione sulla base della
situazione in cui imprese e individui operano si concretizz negli anni Settanta nella
formazione di un insieme sistematico di conoscenze noto come contingency theory.
Il successo di questo approccio stato tale che ancora oggi la progettazione
organizzativa si basa in gran parte sulle conoscenze sviluppate dagli studiosi
contingency, quali la Woodward, Burns e Stalker, Seiler, Lawrence e Lorsch, solo per
citarne alcuni. Una delle sintesi pi compiute della scuola contingente stata realizzata
da Henry Mintzberg (1979; 1983), uno dei massimi studiosi di organizzazione e
progettazione organizzativa di sempre. Parallelamente alle teorie contingency, si
registrano anche altri contributi al pensiero organizzativo da parte di altre scuole:
pensiamo a tutto lapproccio delle teorie fenomenologiche di matrice husserliana; alle
teorie cognitiviste di Simon, March e Weick; alle teorie dellazione organizzativa di
Thompson.
Negli ultimi due decenni, infine, si assistito ad un notevole sviluppo di approcci
teorici che, superando tradizionali compartimentazioni tra economia industriale ed
organizzazione, hanno messo in evidenza laumento delle capacit esplicative e
normative ottenibili attraverso unintegrazione tra paradigmi economici e paradigmi
organizzativi. Il pi rilevante di tali tentativi certamente quello compiuto dalla
cosiddetta economia organizzativa di Barney e Ouchi (1986) e in particolare dalla
teoria dei costi di transazione, sviluppatasi a partire dai lavori di Williamson (1975;
1985; 1994), che ha ripreso e ampliato a sua volta alcune idee di fondo di Coase (1937).

3. Le Componenti dei Sistemi Organizzativi


In qualsiasi sistema organizzativo, si possono fondamentalmente individuare due
principali componenti: la prima di solito definita organizzazione formale e raggruppa
gli studi e le applicazioni empiriche che si interessano dell'insieme dei ruoli, delle
norme e delle procedure che nel loro complesso costituiscono la struttura organizzativa
e che, nel suo ambito, possono trovare una esplicita e formalmente ben definita
descrizione, alla quale ciascun componente dovrebbe attenersi. Lorganizzazione
formale si traduce con la definizione dellinsieme delle relazioni che legano tra loro le
diverse componenti del sistema impresa e coinvolge non solo il disegno sia verticale
che orizzontale dei rapporti tra individui e/o gruppi di individui, ma si occupa anche
della definizione delle norme e procedure di comportamento che regolamentano il
funzionamento del sistema impresa.
Costruire una struttura significa, in altri termini, pervenire alla sintesi di un lavoro
teorico e gestionale che prende avvio dalla progettazione di regole e norme di
comportamento e si conclude inserendo le variabili tecnologiche, personali e sociali in
una precisa configurazione organigrammatica, avendo allo stesso tempo riguardo alla
strategia ed allambiente in cui si colloca limpresa.
Questa definizione strutturale appare indispensabile nella costruzione di qualsiasi
sistema organizzativo, anche se deve essere riguardata alla stregua di una premessa

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necessaria, ma non per questo sufficiente al complesso funzionamento della


organizzazione intesa nella sua globalit. Quindi in sintesi lorganizzazione formale
definisce la morfologia interna del sistema organizzativo, ossia la sua architettura e la
relativa fisiologia di funzionamento. Corrisponde allinsieme delle relazioni ufficiali e
documentate definite allinterno dellorganizzazione.
La seconda componente, generalmente definita organizzazione informale, connessa
invece al fattore umano, ossia alle persone ed ai gruppi che fanno vivere i sistemi
organizzativi, alle manifestazioni del comportamento individuale e collettivo, alle
dinamiche motivazionali e decisionali, agli stili di leadership dei manager, e a tutte
quelle componenti intangibili legate alle dinamiche relazionali interpersonali, sociali e
psicologiche che influenzano lefficacia ed efficienza organizzativa.
In effetti difficilmente si potr riscontrare una completa coincidenza fra quanto stabilito
dalle regole dell'organizzazione formale e la realt pratica, sempre influenzata dalla
personalit di coloro che la dovranno realizzare. Ci nonostante appare indispensabile il
preliminare chiarimento degli elementi e degli strumenti della componente formale
dellorganizzazione, la quale, sebbene influenzata dagli aspetti pi informali, svolge in
ogni caso una rilevante funzione di guida e di coordinamento generale. In conclusione
lorganizzazione informale volta ad analizzare e comprendere le dinamiche relazionali
tra gli individui e come i loro comportamenti influenzano lefficienza del sistema
organizzativo.

4. Organizzazione Formale
Il raggiungimento di qualunque obiettivo sia a livello individuale che di sistema
richiede lesecuzione di attivit operative. Linsieme di tali attivit, che nel loro
complesso costituiscono il processo produttivo o lavoro da eseguire, necessitano per
essere realizzate di risorse sia di trasformazione che per la trasformazione. Le prime si
configurano come input al processo produttivo, mentre le seconde sono alla base del
funzionamento dei processi di trasformazione realizzati nelle attivit lavorative.
Affinch le attivit lavorative e linsieme delle risorse siano integrate per il
raggiungimento degli obiettivi preposti necessario dotarsi di unorganizzazione.
Questa, come gi evidenziato nel paragrafo precedente, caratterizzata da due
componenti fondamentali. Nel seguito si analizzano le propriet alla base della
definizione di una struttura organizzativa formale.
Suddivisione e specializzazione del lavoro
Le azioni da svolgere nellambito del sistema organizzativo per conseguire gli obiettivi
ad esso assegnati, pur avendo un carattere complesso, possono essere analiticamente
scomposte in gruppi di attivit pi semplici, quindi pi facilmente attuabili e
controllabili. Ci si fonda sullanalisi dei processi alla base del funzionamento del
sistema impresa e allindividuazione delle attivit alla base del funzionamento di
ciascun processo. Lindividuazione di gruppi di attivit da eseguire consente la
definizione dei compiti organizzativi, ossia delle funzioni operative che devono essere
necessariamente svolte al fine di conseguire gli obiettivi prefissati. Questi possono
essere raggruppati definendo cos le mansioni organizzative, ossia i compiti e/o le
attivit che devono essere svolti da un ruolo organizzativo. Il criterio seguito per il

11

raggruppamento dei compiti in mansioni organizzative quello dellomogeneit delle


singole attivit, ossia vengono aggregate in una mansione organizzativa quelle attivit
che ricadono nel medesimo ambito di specializzazione e competenze, o presentano delle
affinit in relazione agli output di pertinenza. Lanalisi e la suddivisione del lavoro in
gruppi di attivit e compiti operativi costituisce la premessa fondamentale di qualsiasi
analisi organizzativa, sia per imprese di piccola dimensione, sia per imprese di media e
grande dimensione. Per la piccola unit, tuttavia, essendo pi mansioni accentrate su
pochi operatori, la scomposizione del lavoro in compiti specializzati si svilupper quasi
esclusivamente come regola logica di ordine mentale. Mentre nelle imprese di media e
grande dimensione essa si riproporr come vera e propria diversificazione delle
mansioni da attribuire a specifici ruoli organizzativi.
La suddivisione del lavoro in compiti consente di realizzare una specializzazione
funzionale allinterno del sistema organizzativo. Infatti, gli individui e/o gruppi di
individui impegnati nello svolgimento continuato nel tempo della stessa tipologia di
attivit maturano un livello di competenze ed abilit che garantisce non solo lefficacia
delle attivit organizzative, ma soprattutto lefficienza. Attraverso un graduale e
continuo processo di specializzazione le varie componenti del sistema organizzativo
aumentano le proprie prestazioni riuscendo ad ottenere risultati qualitativamente e
quantitativamente migliori.
Definizione del ruolo
Per facilitare il processo di specializzazione del lavoro, il criterio generalmente seguito
per il raggruppamento delle attivit quello dell'omogeneit delle singole azioni che si
concretizza nella definizione del ruolo. Nella struttura organizzativa e sul piano
formale, il ruolo determinato da una posizione alla quale sono attribuiti determinati
compiti o funzioni, da svolgere nell'ambito di precisi rapporti che si devono intrattenere
nelle interazioni con gli altri ruoli del sistema. Al ruolo necessario associare un ben
definito grado di autorit e di responsabilit. L'autorit formale costituita dal potere
legittimo a svolgere le mansioni previste nel quadro di una libert guidata, che consenta
di esplicare processi decisionali, di operare quindi nell'azione pratica, e, infine, di
controllare i risultati prodotti. All'autorit strettamente connesso il concetto di
responsabilit, cosciente capacit, cio, di saper assumere, insieme con i vantaggi,
anche le obbligazioni rivenienti dall'autorit. Responsabilit, quindi, significa
conoscenza dei problemi insiti nei compiti che si assumono, volont di risolverli,
necessit di dover dar conto del proprio operato. Ed proprio questa limitazione che
spiega perch, in generale, l'individuo portato a ricercare l'autorit, la gestione cio del
potere, fuggendo invece il momento della responsabilit, del controllo e del rendiconto
sui risultati che tale gestione ha prodotto. Parlando di autorit vi da sottolineare una
fondamentale differenza fra quella cos detta formale, ufficialmente imposta e
delegabile, e quella invece derivante da innate qualit insite nella personalit
dell'individuo. L'autorit formale, per potersi meglio esprimere, deve essere attribuita a
personalit corredate di determinate qualit, quali intelligenza, forza morale, cultura,
esperienza, ecc., che inneschino un naturale fenomeno di leadership, di guida cio
pienamente accettata dai subordinati verso cui si manifesta. L'autorit informale, spesso
chiamata anche carismatica, mutuando il significato letterale di "dono della grazia"
proprio della parola "carisma", non pu ritenersi una componente normale
dell'organizzazione, anche se sovente proprio ad essa deve essere ascritto il merito del
successo di una iniziativa. In termini organizzativi, invece, l'autorit va intesa come

12

potere attribuito agli individui, non in quanto capi carismatici, ma come esecutori di
prefissate funzioni connesse a specifici ruoli. In questo senso, l'autorit formale risulta
essere essa stessa una facolt delegabile, proprio attraverso la differenziazione che la
struttura organizzativa subisce con la differenziazione dei ruoli.
Processo di delega
Il processo di delega quella relazione che si instaura tra due ruoli organizzativi
allorquando un ruolo il delegante delega, ossia trasferisce e/o attribuisce autorit e
responsabilit dellesecuzione di un compito, ad un altro ruolo organizzativo delegato
che si incarica della realizzazione delle attivit delegate. Attraverso il processo di
delega si trasferisce il diritto di operare liberamente entro prefissati limiti, imposti dalla
necessit di coordinamento delle diverse attivit delegate, riservandosi, comunque,
sempre il controllo dei risultati. Il processo di delega deve essere accompagnato da una
responsabilizzazione del ruolo delegato e implica, quindi, allo stesso tempo il concetto
di controllo. Controllo da sviluppare in sede esecutiva, da parte dell'operatore delegato,
sui risultati connessi alla propria azione, per essere trasferito poi all'organo delegante
soltanto quando sia stata eventualmente accertata la difformit fra gli obiettivi
effettivamente raggiunti e quelli invece sperati (controllo per eccezioni). Il
ragionamento pu rientrare nell'ambito pi ampio del concetto di responsabilizzazione
dell'organo periferico da attuarsi attraverso una preliminare individuazione degli
obiettivi da raggiungere, lasciando che sia lo stesso incaricato a scegliere e a imporsi la
migliore via per il loro conseguimento e operando, quindi, il controllo sugli scostamenti
tra realt effettiva e programmata (management by objectives). Importante ai fini della
responsabilizzazione proprio il momento dell'autodeterminazione decisionale, perch,
per il suo tramite, l'azione da compiere risulta liberamente scelta dallo stesso operatore
e non appare brutalmente imposta dall'esterno. In questo ultimo caso, infatti, l'interesse
del subordinato generalmente sar maggiormente teso a ricercare le possibili
giustificazioni per non aver agito secondo le previsioni imposte, piuttosto che a
realizzare nel migliore dei modi tali previsioni.
Il concetto di controllo non va inteso in senso puramente statico e repressivo, ma deve
costituire una informazione di ritorno (feedback) da recepirsi mentre l'azione ancora in
atto, per consentire l'immediato inserimento di eventuali operazioni di aggiustaggio, non
appena sia stata avvertita la tendenza a fuoriuscire dai limiti imposti dai programmi
inizialmente accettati.
Lattivit di controllo demandata al delegante che deve raccogliere le informazioni
necessarie alla comprensione dello stato di avanzamento delle attivit e del livello di
raggiungimento degli obiettivi preposti. Dal momento che lattivit di controllo richiede
un impegno di risorse da parte del delegante, ne consegue che bench un delegante
possa definire molteplici relazioni di delega con diversi deleganti, queste non possono
eccedere un determinato valore di soglia oltre il quale il delegante non sarebbe nelle
condizioni operative di coordinare e monitorare i propri delegati. Tale valore di soglia
definito come ampiezza di controllo e rappresenta il numero massimo di rapporti
subordinati controllabili da ciascun superiore diretto.
Nel passato, grazie in particolare agli studi di V.A. Graicunas, si tentarono approcci
teorici al problema cercando di determinare, attraverso il calcolo combinatorio,
l'estensione ottimale della supervisione, partendo dalla osservazione, in verit esatta,

13

che il numero dei rapporti tra un capo ed i suoi dipendenti molto pi ampio del
numero dei dipendenti stessi, a causa delle interazioni laterali tra i dipendenti che
sempre si determinano. L'approccio al problema, effettuato in termini puramente
quantitativi, sebbene possa presentare un qualche interesse in sede teorica, si scontra
con la mutevole realt pratica, nella quale non appare mai trascurabile il fattore
qualitativo, per cui risulta estremamente difficile poter stabilire a priori il numero di
persone che un controllore pu agevolmente controllare. Tale numero dipende da
moltissimi fattori, fra i quali, importantissimo, il rapporto fra le reciproche personalit
del controllore e dei controllati, per cui la regola informale pi valida, suggeribile al
proposito, quella che il numero ottimale dei rapporti controllabili da un capo debba
essere tale da consentirgli, in condizione di normalit, una efficace azione direttiva.
Integrazione e coordinamento
E da considerare, allo stesso tempo, che la specializzazione pone un altro importante
problema organizzativo, quello dellintegrazione, ovvero come riuscire ad orientare
unit e ruoli aziendali disomogenei, se non addirittura in conflitto, verso obiettivi
comuni, senza, per, rinunciare ai vantaggi derivanti dalla divisione del lavoro. Il
fabbisogno di integrazione pu quindi essere definito come la qualit del coordinamento
richiesto tra unit organizzative al fine di raggiungere in modo unitario le finalit
dazienda, senza rinunciare alla differenziazione di orientamenti e di modalit di
funzionamento organizzativi coerenti con i caratteri dei singoli task e tali da consentire
la massimizzazione delle economie di specializzazione. La progettazione dei sistemi di
integrazione, argomento che esula da questa trattazione, si pone proprio lobiettivo di
riportare verso lunit comportamenti ed atteggiamenti differenziati in quanto derivanti
da assetti organizzativi sviluppati nel tempo da settori aziendali impegnati a svolgere
attivit specialistiche.

4.1 Strutture formali delle relazioni organizzative


I ruoli presenti nel sistema organizzativo e le reciproche relazioni di dipendenze ed
interdipendenza che esplicitamente si evidenziano per consentirne il coordinamento
ufficiale, costituiscono nel loro insieme la struttura formale della organizzazione.
Questa pu essere descritta facendo riferimento essenzialmente a due modelli
relazionali di base, quello gerarchico-lineare, o di line, e quello funzionale, o di staff, le
cui combinazioni possono poi spiegare i diversi tipi di strutture organizzative rilevabili
in pratica.
Il sistema delle relazioni organizzative di tipo gerarchico-lineare si basa su una
concezione piramidale del sistema delle relazioni di comando. Secondo tale modello
ogni dipendente pu ricevere ordini solo dal suo diretto superiore. Ne consegue che se
un ruolo organizzativo X deve trasmettere uninformativa ad un altro ruolo Y, posto
al medesimo livello gerarchico, non pu farlo direttamente, ma tramite il ruolo
organizzativo immediatamente pi elevato nella scale gerarchica delle relazioni; questi
deve rivolgersi al suo diretto ruolo superiore, e cos via, fino a che linformativa non
raggiunga un ruolo comune ad entrambi. Da questi inizier il percorso inverso, in
direzione discendente, fino a raggiungere il reparto, lufficio o la persona destinataria
dellinformativa. La figura che segue espone graficamente tale percorso burocratico
(Figura 1).

14

1 livello di
comando

0 Unit di
comando principale

0.1 Unit di
comando

0.2 Unit di
comando
2 livello di
comando

0.1.1

0.1.2

0.1.3

0.2.1

0.2.2

0.2.3

Figura 1. Sistema delle relazioni organizzative gerarchico o di line.


Alla struttura delle relazioni lineare garantisce senza dubbio una certa unit
nellindirizzo gestionale ed un elevato grado di disciplina, che dovrebbero assicurare
una sicura convergenza delle scelte aziendali verso le finalit prestabilite. Di contro,
tale modello sconta uneccessiva lentezza del processo decisionale anche quando gli
eventi richiederebbero rapidit e tempestivit negli interventi; un artificioso aumento di
lavoro amministrativo; unesasperazione della gerarchia e della burocratizzazione. Tutto
ci, ovviamente, si traduce rapidamente in modesti livelli di efficienza.
La struttura delle relazioni organizzative di tipo funzionale, invece, si basa sul principio
della divisione del lavoro. In contrapposizione ai principi del sistema delle relazioni di
tipo gerarchico, imperniata sul ruolo gerarchico quale componente fondamentale per il
coordinamento delle attivit svolte ad un livello inferiore della struttura organizzativa,
la struttura relazionale funzionale fa leva sulla specializzazione delle funzioni che si
ottiene attraverso una spinta suddivisione del lavoro, sia di quello intellettuale, sia di
quello manuale. Secondo tale approccio un dipendente pu ricevere ordini da chiunque
altro, sempre se pi elevato in grado e nellambito delle specifiche competenze. La
figura seguente riproduce uno schema di ordinamento funzionale (Figura 2).

15

Unit direzionale

Specialista
funzione 0

0.1.1

livello
specialistico

0.1.2

0.1.3

Specialista
funzione 1

0.1.4

0.1.5

Figura 2. Sistema delle relazioni organizzative funzionale o di staff.


Il sistema delle relazioni di tipo funzionale risponde ad una logica organizzativa pi
moderna rispetto a quella di tipo gerarchico, tuttavia anchessa non immune da
critiche. Si osserva, infatti, che organi diversi possono contemporaneamente emanare
direttive destinate ad un medesimo ruolo organizzativo e di conseguenza si possono
creare gravi conflitti di competenza. Inoltre, la struttura delle relazioni funzionali corre
il rischio di non conservare lunidirezionalit di indirizzo nelle decisioni aziendali.
Alla struttura delle relazioni lineare ed a quello funzionale si sono aggiunti nel tempo
altri sistemi di relazioni organizzative, sulla spinta di una realt operativa caratterizzata
da nuove esigenze. Attraverso una sintesi dei due modelli di base in precedenza
analizzati, si pervenuti alla cosiddetta struttura di tipo "line-staff", o gerarchicofunzionale. Lorganizzazione per line e staff si basa su una combinazione delle due
strutture di relazioni. Lorganizzazione impostata dal punto di vista operativo per
livelli gerarchici unit di line , ma le decisioni degli organi superiori sono supportate
da servizi specializzati compiuti da uffici o gruppi di persone unit di staff dotati di
competenze specifiche, ma non aventi rapporti con la struttura operativa. Gli staff,
infatti, sono organi di assistenza formati da esperti altamente qualificati che si
affiancano alla struttura gerarchica di line per fornire ausilio e consulenza. Agli staff
non sono attribuiti poteri di comando e pertanto, nella rappresentazione grafica non
sono posizionati sulle linee gerarchiche che segnano i livelli decisionali e di
responsabilit (Figura 3).
0 Unit di
comando principale

livello
specialistico

Specialista funzione A

Specialista funzione B

0.1 Unit di
comando

0.2 Unit di
comando

0.1.1

0.1.2

0.1.3

0.2.1

0.2.2

0.2.3

Figura 3. Sistema delle relazioni organizzative gerarchico-funzionale o di line-staff.

16

Nella realt pratica, tuttavia, lo specialista, pur privato di autonomia formale, spesso
assume un'autorit informale motivata proprio dalla sua preparazione e competenza;
autorit che pu prevalere su quella degli uomini destinati alla linea, creando motivi di
conflitto informale.
Una particolare posizione di staff che vale la pena segnalare quella che, nell'ambito
dell'organizzazione, dovrebbero svolgere i comitati. In essi i responsabili di varie
posizioni di linea si riuniscono insieme con gli specialisti di staff per discutere problemi
comuni a pi settori, per pervenire cos, attraverso la fusione di una coralit di opinioni
e di diverse esperienze, a suggerimenti che costituiscano una sintesi ottimale di quanto
esprimibile da ciascun partecipante. La funzione consultiva di staff dei comitati va
attribuita anche a quelli cos detti esecutivi, le cui decisioni sono di tipo eminentemente
operativo. I suggerimenti che i comitati sono in grado di manifestare devono essere
recepiti poi dalla linea operativa, alla quale spetta in ultima analisi la competenza di
deciderne la attuazione, imponendola quindi gerarchicamente agli organi esecutivi.
Nella realt operativa, al momento della definizione e/o re-ingegnerizzazione di una
struttura organizzativa, i diversi ruoli e funzioni possono trovare una prima, assai
generale classificazione facendo riferimento alle gi descritte posizioni di line e staff.
Questa suddivisione deve considerarsi in termini molto flessibili in quanto il ruolo, ma
ancor pi la stessa funzione, nel momento operativo potranno assumere caratteristiche
ambivalenti, ora di line, ora di staff, a seconda delle finalit che si vogliono perseguire.
Nella definizione del sistema delle relazioni oltre alla tipologia delle relazioni occorre
prestare attenzione anche allo sviluppo dimensionale del sistema delle relazioni. In tal
senso si possono distinguere due principali tipologie di strutture relazionali, a seconda
che queste tendano a svilupparsi lungo una direzione verticale, piuttosto che
orizzontale.
Nel primo caso -sistemi di relazioni con sviluppo verticale-, la struttura delle relazioni
si caratterizza per la presenza di differenti livello gerarchici. La struttura organizzativa e
di tipo verticale e si riscontra un insieme di ruoli e funzioni strutturate secondo un
sistema a strati. Muovendoci dallo strato di livello superiore a quello inferiore ci si
sposta dagli organi di comando e direzione a quelli operativi. Pertanto in questo
modello organizzativo esiste fondamentalmente una separazione tra comando ed
esecuzione. Invece, nei sistemi di relazioni con sviluppo orizzontale, si in presenza di
sistemi organizzativi con struttura piatta. Ci significa che si riscontrano pochi livelli
gerarchici di separazione tra la direzione ed i livelli operativi e per contro si rileva un
numero cospicuo di ruoli sul medesimo livello organizzativo. Questo tipo di modello
organizzativo si caratterizza fondamentalmente per il grado di autonomia dei ruoli
organizzativi operativi ai quali demandato non solo lo svolgimento delle attivit, ma
anche una capacit decisionale. Pertanto questo tipo di modello organizzativo
particolarmente indicato in quei sistemi organizzativi nei quali si richiede capacit
decisionali ed autonomia ai ruoli periferici; questo ad esempio il caso delle imprese di
consulenza o di vendita mediante una rete di agenti. Occorre evidenziare uno dei
principali problemi delle strutture organizzative piatte quello del coordinamento dei
ruoli organizzativi. Tuttavia negli ultimi decenni, anche grazie sia allo sviluppo di
sistemi di comunicazione ICT (Information and Communication Technology) che

17

facilitano i processi di coordinamento, questo tipo di struttura si fortemente affermato


e diffuso come modello organizzativo di riferimento che garantisce efficienza e
snellezza con un contenimento dei costi operativi e di gestione.
Organigramma
Una volta individuata la struttura formale nelle componenti, in termini di ruoli e
mansioni organizzative, che la suddivisione prescelta avr suggerito come
maggiormente confacenti, e nei rapporti, in termini di sistema delle relazioni, esistenti
fra tali componenti, se ne potr dare unimmagine grafica, mediante un apposito
diagramma che prende il nome di organigramma.
Lorganigramma una rappresentazione sintetica, storica e statica dellorganizzazione.
Esso costituisce una rappresentazione grafica di una struttura organizzativa ed in
grado di dare una visione immediata delle suddivisioni e delle articolazioni a cui
corrispondono i diversi organi e le varie posizioni gerarchiche. La finalit
dellorganigramma quella di fornire unimmagine disaggregata e funzionale del
sistema organizzativo in esame. uno strumento di sintesi che consente di
rappresentare le principali componenti formali dellorganizzazione e permette di
comprendere attraverso unimmagine unitaria aggregata, dove risiedono le competenze
e qual il livello di strutturazione dellautorit e della responsabilit dei ruoli
organizzativi. Adottando una metafora fisiologica, lorganigramma pu essere
assimilato ad una radiografia del corpo umano. Esso consente di analizzare le
componenti strutturali del sistema organizzativo, di analizzare le relazioni tra queste
componenti, di valutare il loro ruolo e di individuare le componenti critiche per lo
svolgimento di specifiche funzioni. Ovviamente lorganigramma tender ad essere tanto
pi esteso quanto pi grande sar il sistema organizzativo indagato e la sua utilit tende
ad essere tanto pi rilevante al crescere dellorganizzazione in quanto strumento di
sintesi della comprensione dellestensione e della struttura dellorganizzazione.
Lorganigramma costituisce unimmagine storica dal momento che esso rappresenta
sempre una foto istantanea di un dato momento dello sviluppo dellorganizzazione.
Inoltre unimmagine statica. Ci pone in evidenza la necessit di adottare un
approccio dinamico alla gestione dellorganigramma che prevede sue frequenti revisioni
ed aggiornamenti, cos da garantire che esso fornisca sempre unimmagine reale e
veritiera della struttura dellorganizzazione.
Dal punto di vista grafico lorganigramma si presenta come un grafo, con due
componenti fondamentali: le linee, che denotano le relazioni di comando ed i flussi
informativi, ed i blocchi che definiscono i ruoli organizzativi. Esistono diverse
rappresentazioni dellorganigramma. La rappresentazione maggiormente adoperata
certamente quella cosiddetta lineare-verticale, in cui i vari ruoli organizzativi sono fra
loro collegati per l'appunto in verticale, ponendo in evidenza la linea gerarchica diretta e
gli organi consultivi di staff. In essi, il grafico assume la classica rappresentazione
piramidale, sviluppandosi dal vertice direzionale fino alla base operativa. Tali
organigrammi potranno essere pi o meno estesi a seconda dell'ampiezza delle
informazioni che si vogliono trasmettere per ciascuna posizione. Nella loro redazione e
stesura va comunque tenuto sempre presente il concetto di omogeneit, cos da creare
ben definite aree dove inserire ruoli omogenei.
Esistono anche organigrammi a sviluppo orizzontale, a sviluppo di lettura da sinistra
verso destra, con uno svolgimento che si distende via via dagli organi di massimo
livello fino a quelli con minori poteri e pi modeste responsabilit. Tali organigrammi

18

sono particolarmente adatti alle unit produttive in cui, per diverse ragioni, appare
inopportuno porre in risalto i rapporti gerarchici interni allazienda.
Esistono poi anche organigrammi radiali, nel qual caso la direzione posta al centro di
un cerchio e lungo le direzioni radiali si sviluppano i diversi livelli gerarchici. Questo
tipo di rappresentazione meglio si presta a comprendere quali ruoli sono posti sul
medesimo livello gerarchico, sebbene afferenti a differenti linee di comando e
responsabilit.
Bench lorganigramma sia uno strumento fortemente esplicativo e rappresentativo dei
livelli di autorit e responsabilit, nonch dei flussi informativi, esso da solo non
sufficiente a rappresentare la complessit di un sistema organizzativo. per queto
motivo che tale strumento affiancato da altri strumenti, quali in particolare un
mansionario. Si tratta di un manuale corredato da dettagliate descrizioni delle mansioni,
delle norme e delle procedure che caratterizzano il sistema organizzativo indagato. Ci
al fine di definire senza possibilit di equivoci i rapporti gerarchici, i compiti devoluti a
ciascun organo, i poteri decisionali assegnati a ogni ufficio, le responsabilit e le
mansioni spettanti al singolo dipendente, la natura e lampiezza delle funzioni di
controllo, e cos via.

4.2 Le Principali Strutture Organizzative


I principi dellorganizzazione formale nonch, come si vedr, dellorganizzazione
informale convergono allinterno delle cosiddette funzioni aziendali le quali possono
essere raggruppate essenzialmente in tre macroaggregati, le funzioni operative, le
funzioni di indirizzo e coordinamento e la funzione imprenditoriale.
Le funzioni operative possono essere, a loro volta, distinte in tipiche e integrative. Le
tipiche attengono alla realizzazione delle attivit produttive fondamentali dellimpresa,
e si identificano nella funzione Ricerca & Sviluppo, Approvvigionamenti, Produzione,
Marketing e Commerciale, mentre le funzioni operative integrative possono essere
ricondotte alle funzioni Finanza e Gestione del Personale.
Le aree funzionali operative fungono da naturale interfaccia dei vari mercati che
caratterizzano lambiente specifico in cui limpresa opera. Lunica eccezione
rappresentata dalla funzione di produzione che interagisce con lesterno per il tramite
delle altre. Tali funzioni, oltre a realizzare lattivit operativa loro demandata,
controllano lefficacia e lefficienza con cui essa viene attuata e svolgono attivit di
supporto alla funzione imprenditoriale, fornendole le informazioni necessarie ad
orientarne loperato.
Le funzioni di indirizzo e coordinamento coadiuvano lo svolgimento sia dellattivit
imprenditoriale che di quella operativa e possono essere ricondotte alle funzioni
Organizzazione, Programmazione & Controllo, Sistemi Informativi.
La funzione imprenditoriale, infine, definisce le caratteristiche fondamentali
dellimpresa, la tipologia dei rapporti che essa deve avere con lambiente in cui vive ed
opera, gli obiettivi globali che deve perseguire ed i soggetti cui affidare la realizzazione
dellattivit necessaria a tal fine. Essa si identifica con la direzione strategica
dellimpresa.
Nellambito delle funzioni aziendale sopra delineate, la funzione Organizzazione, in
particolare, ha lo specifico obiettivo di delineare le modalit attraverso le quali

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limpresa mette a sistema le risorse, materiali ed immateriali, per svolgere, in condizioni


di efficienza oltre che di efficacia, le proprie combinazioni produttive.
Nel definire il proprio sistema decisionale ed operativo, in relazione al tipo di attivit
svolta ed alle caratteristiche dellambiente in cui opera o intende operare, limpresa pu
far riferimento ad alcune strutture organizzative di base, variamente combinabili:

struttura organizzativa semplice;


struttura organizzativa plurifunzionale;
struttura organizzativa multidivisionale;
struttura organizzativa per linnovazione;
struttura organizzativa a matrice.

La struttura organizzativa semplice


Nella struttura organizzativa semplice, tipica delle imprese di piccole dimensioni, le
diverse funzioni sono indistinte ed accentrate nelle mani dellimprenditore-capitalista,
coadiuvato, a volte, da collaboratori che svolgono mansioni prevalentemente esecutive.
Al crescere della dimensione aziendale si rende necessaria, per, una progressiva
differenziazione delle funzioni e la loro attribuzione ad organi diversi.
La necessit di decentramento decisionale genera spesso timori e diffidenze
nellimprenditore individuale, la cui cultura di solito lontana dal concepire la
collaborazione con altre persone: questo fattore costituisce una delle cause pi rilevanti
del mancato sviluppo e talvolta addirittura dellelevata mortalit delle imprese di
piccole dimensioni.
La struttura organizzativa plurifunzionale
Nella struttura organizzativa plurifunzionale (Figura 4) le principali funzioni sono
differenziate ed attribuite a singoli direttori che hanno la responsabilit non solo
dellefficacia, ma soprattutto dellefficienza realizzata nel perseguire gli obiettivi loro
assegnati.
Ladozione di questa struttura porta alla creazione di due livelli di decisioni strategiche,
rappresentati dalla direzione generale e dai dirigenti delle diverse aree funzionali.
La direzione generale, di concerto con il management di direzione, quale ad esempio il
Consiglio di Amministrazione, e la propriet, definisce le strategie aziendali, ne
controlla lattuazione e si preoccupa di dirimere gli eventuali conflitti che dovessero
sorgere tra le varie funzioni.
Lattivit delle diverse aree generalmente destinata a supportare il vertice centrale
nella formulazione delle strategie aziendali, definire le linee di applicazione di tali
strategie nellambito funzionale e realizzare lattivit operativa di loro competenza,
controllandone lefficienza con cui essa viene svolta.
Questa struttura sembra rispondere alle esigenze delle imprese monobusiness e di quelle
che operano in aree daffari molto omogenee tra di loro, per tipologie di prodotti,
tecnologie utilizzate e situazioni di mercato.
Obiettivo principale di tale struttura garantire la massima efficienza nella gestione
delle risorse affidate, realizzabile in virt dellelevata specializzazione tecnica di coloro
che operano allinterno di ciascuna funzione, che consente di migliorare continuamente
i rendimenti delle risorse impiegate attraverso lutilizzo delle conoscenze possedute e
delle esperienze progressivamente maturate.

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Il principale limite, invece, sembra insito nella sua eccessiva rigidit, dovuta proprio
allelevata specializzazione dei compiti ed alla difficolt di coordinamento delle
funzioni che si manifesta soprattutto quando limpresa si trova ad operare in ambienti
turbolenti.
D irezione
G enerale

D irezione
Personale

D irezione
Produzione

D ir. A cquisti

D irezione

D irez.
V endite

U nit fun zionali


U nit
operativa
1

U nit
operativa
2

U nit operative

Figura 4. Struttura organizzativa polifunzionale o dipartimentale.


La struttura organizzativa multidivisionale
Nella struttura multidivisionale si realizza una differenziazione delle attivit in base ai
prodotti, alle aree geografiche oppure, pi generalmente, alle aree daffari, che
determina il formarsi di un vertice centrale, assistito da vari organi di staff, e differenti
divisioni. Il vertice centrale ha il compito di definire lorientamento strategico
dellimpresa, di gestire i processi comuni a pi divisioni, di coordinare e controllare
lattivit svolta dalle singole divisioni. A ciascuna di queste viene demandato, invece, lo
svolgimento dei processi e delle combinazioni di processi relativi alla realizzazione di
specifici prodotti, alla gestione di una determinata area di mercato o daffari.
In linea generale la struttura multidivisionale pu assumere due diverse configurazioni,
a seconda che i processi decisionali strategici siano accentrati presso il vertice centrale
oppure vengano, almeno parzialmente, demandati anche ai vertici divisionali. In questa
ultima ipotesi i direttori delle varie divisioni possono detenere notevoli responsabilit in
merito alla gestione delle risorse finanziarie, tecniche ed umane loro assegnate.
Pur potendosi presentare perfettamente autonome, pi generalmente le attivit svolte
dalle singole divisioni presentano varie interrelazioni al fine di realizzare rilevanti
sinergie e acquisire importanti vantaggi competitivi sulla concorrenza.
Le divisione di una struttura organizzativa multidivisionale possono essere definite in
funzione di tre principali criteri di riferimento: prodotti, aree geografiche e processi
produttivi. I primi due rappresentano i criteri principali di riferimento. In Figura 5, si
riporta uno schema tipo di una struttura organizzativa multidivisionale su base prodotto.

21

Direzioni
funzionali

Direzione Generale

Divisione
Prodotto A

Alta direzione

Direzione divis.

Divisione
Prodotto B
Vendite

Vendite

Marketing

Marketing
Promozione

Promozione
Progettazione

Progettazione

Vendite

Vendite

Unit operative

Figura 5. Struttura organizzativa multidivisionale per prodotto.


In struttura organizzativa multidivisionale, ogni divisione tende ad assumere i connotati
di una "quasi impresa", nel senso che tende a strutturarsi e ad essere gestita come una
vera e propria impresa indipendente anche se in ultimo integrata allinterno di un
sistema unitario. I vantaggi di una struttura organizzativa multidivisionale risiedono in
primis nella possibilit di gestire in modo ottimale produzioni diversificate. Occorre
per sottolineare che tale struttura ha senso solo allorquando si di fronte ad aree di
business di elevate dimensioni. In tali condizioni, tale struttura organizzativa garantisce
una profonda conoscenza dellarea di business, nonch consente di sviluppare dirigenti
con capacit globali. Poich le strutture organizzative multidivisionali determinano la
definizione di unimpresa corporate, cio di unimpresa con diverse unit di business
coincidenti proprio con le divisioni, si rende necessario al fine di garantire
unintegrazione strategica delle diverse unit ladozione di un sistema di monitoraggio,
valutazione e gestione delle prestazioni basato su un sistema informativo aziendale.
La struttura multidivisionale presenta il rischio di realizzare diversi livelli di efficienza
nellespletamento delle stesse attivit funzionali svolte allinterno delle divisioni. Per
evitare che ci avvenga, nelle imprese diversificate focalizzate su diverse aree di
business, che operano in ambienti particolarmente complessi, si preferisce ricorrere a
strutture a matrice, caratterizzate dal fatto che i centri operativi ricevono un duplice
orientamento: dalle divisioni o aree di business e dalle funzioni, a loro volta coordinati
dal vertice centrale.
importante osservare che allampliarsi delle dimensioni e della complessit
dellattivit svolta da unimpresa con una struttura organizzativa multidivisionale, si
assiste spesso alla formazione di gruppi aziendali, al cui interno possibile individuare
unimpresa capogruppo (holding) che controlla le altre, giuridicamente autonome, che li
compongono. La holding preposta alla definizione delle strategie di portafoglio delle
aree daffari, al coordinamento e al controllo delle attivit delle altre imprese del gruppo
e a tal fine gestisce in modo accentrato alcuni principali funzioni/processi. Oltre al
decentramento decisionale, la formazione di un gruppo consente di frazionare il rischio
che grava sullattivit svolta complessivamente, agevola lattuazione di strategie di
portafoglio (cessioni/acquisizioni di imprese), moltiplica la dimensione delle attivit
controllate dal soggetto economico e realizza sistemi di controllo pi sensibili ed
efficaci.

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La struttura organizzativa per linnovazione


La necessit da parte dei sistemi organizzativi di fronteggiare un contesto ambientale
sempre pi dinamico e turbolento porta alla definizione di strutture organizzative in
grado di sostenere le dinamiche innovative. Si tratta di strutture snelle orientate alla
definizione di nuove soluzioni tecnico-produttive e/o organizzativo-gestionali.
Tra le strutture organizzative rivolte alla gestione dei processi innovativi si possono in
particolare annoverare la task-force e l'organizzazione per progetto. La task-force
rappresenta una struttura organizzativa temporanea costituita da specialisti con
differenti competenze che attivata in presenza di un problema/obiettivo ben
determinato. Si tratta di una struttura fortemente focalizzata sul raggiungimento di uno
specifico risultato. La task-force smobilitata con il conseguimento dell'obiettivo. In
presenza di problemi che richiedono un frequente ricorso a strutture del tipo task-force,
l'organizzazione pu modificarsi tendendo a soluzioni strutturali con carattere di
maggiore continuit quali l'organizzazione per progetto.
La struttura organizzativa per progetto si basa sulla formazione di un gruppo di progetto
preposto alla gestione del lancio di un nuovo prodotto, allingresso in una nuova aree
daffari o pi in generale per lanalisi e definizione di una nuova soluzione di business.
La responsabilit della realizzazione dei singoli progetti viene attribuita ad un direttore
(project manager), di elevato livello gerarchico, il quale, nella sua attivit si avvale di
persone reperite presso le diverse funzioni che possiedono le competenze differenti
necessarie per il progetto.
I gruppi hanno generalmente durata limitata poich esauriscono il loro compito nello
sviluppo del progetto. Dopo tale fase, infatti, lo svolgimento delle attivit relative
allesecuzione del progetto viene ripartita tra le aree funzionali a ci preposte oppure
confluiscono in una divisione appositamente costituita.
Questa struttura si adatta molto bene anche ad imprese che operano su commessa ed in
ambienti in cui i prodotti ed i processi produttivi sono soggetti a rapida obsolescenza e
conseguentemente a rapida sostituzione.
La struttura organizzativa a matrice
La struttura organizzativa a matrice caratterizza quei sistemi organizzativi che operano
per progetti, cio basati su una produzione che volta a realizzare uno specifico
obiettivo e che presenta elementi di complessit tali da rendere il processo produttivo
fondamentalmente unico e non ripetitivo e quindi non standardizzabile. questo ad
esempio il caso di tutte quelle imprese che operano per commessa per la realizzazione
di un prodotto di tipo non standard. Un tipico esempio di imprese di questa natura sono
le imprese di costruzione le quali sono sempre impegnate nella realizzazione di progetti,
che bench possano presentare similarit nella loro natura, ad esempio opere stradali
piuttosto che edilizia residenziale, si trovano ad operare in condizioni operative ogni
volta differenti.
La struttura organizzativa a matrice pu essere interpretata come unintegrazione della
struttura organizzativa multifunzionale con quella multidivisionale. Infatti, tale struttura
organizzativa si presenta cos struttura: le colonne della matrice corrispondono con le
diverse funzioni organizzative, si tratta delle funzioni specialistiche nelle quali sono
collocate le competenze necessarie allo svolgimento di una specifica funzione; mentre
lungo le righe sono poste le divisioni (Figura 6). In realt, non si tratta di vere e
proprie divisioni, quanto piuttosto di aree di business e/o di progetto. Questo tipo di

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struttura organizzativa adatta per quelle organizzazioni che sono chiamate a realizzare
differenti progetti in parallelo secondo un programma di produzione di medio-lungo
periodo. Lorganizzazione attribuisce la responsabilit e coordinamento della
realizzazione di ciascun progetto ad un responsabile il project manager- il quale ha il
compito di pianificare, programmare, gestire e valutare la realizzazione del progetto
impiegando la consulenza delle diverse funzioni specialistiche. Generalmente, per la
realizzazione di un progetto da ogni funzione specialistica viene assegnato uno o pi
responsabili di funzione. Si viene cos a definire un team di progetto, costituito dagli
esperti provenienti dalle diverse funzioni specialistiche, che sotto il coordinamento del
project manager sono chiamati a realizzare il progetto.
Questa tipologia di struttura presenta un elevato grado di complessit interna dovuto
alle difficolt di bilanciamento dei poteri tra il vertice centrale ed i responsabili
funzionali e quelli dei progetti. In particolare, ciascun project manager si trova nelle
condizioni operative di essere responsabile nei confronti del vertice centrale, a cui si
interfaccia e risponde direttamente per la realizzazione del progetto, ma di avere una
blanda autorit sul gruppo di progetto. Infatti, gli specialisti di funzione dal punto di
vista della linea di comando dipendono in maniera forte dai direttori di funzione ed in
maniera debole dal responsabile di progetto. Una volta terminato il progetto gli
specialisti rientrano nelle funzioni di pertinenza e sebbene le esperienze sviluppate nella
realizzazione dei progetti siano importanti per lesperienza di lavoro, le progressioni nei
percorsi di carriera sono fondamentalmente influenzata dalle decisioni dei direttori di
funzione, piuttosto che dalle posizioni dei project manager. Tutto ci comporta che i
project manager oltre a possedere adeguate conoscenze tecnico-gestionali devono avere
delle forti capacit carismatiche e di leadership tali da sopperire allautorit formale con
Direzione Generale

Direzione
Funzione 1

Progetto
A

Direzione
Progetti
Progetto
B
Progetto
C

quella informale.

Direzione
Funzione 2

Direzione
Funzione 3

La scelta della struttura organizzativa pi adatta per il sistema organizzativo indagato


funzione di una serie di variabili. In particolare sembra possibile individuare quattro
principali discriminanti per a scelta della struttura organizzativa, queste sono: la
dimensione aziendale, la tipologia di produzione, il mercato ed il settore industriale di
riferimento e il comportamento direzionale.
La dimensione aziendale influenza fortemente sia la tipologia che lampiezza della
struttura organizzativa. Generalmente tanto pi piccola limpresa tanto pi semplice
sar il modello organizzativo adattato. importante precisare per che al crescere della
dimensione di impresa importante mantenere snello il sistema organizzativo ed evitare
la creazione di sovrastrutture che possano inficiare lefficienza, se non addirittura
lefficacia del sistema organizzativo. Quindi la scelta del sistema organizzativo pi
adatto deve sempre rispondere a dei criteri di efficienza e snellezza. Anche la natura del
processo produttivo influenza la tipologia di struttura organizzativa. Quelle imprese che
operano per processi in condizioni quasi standard possono adottare strutture funzionali;
mentre organizzazioni che operano per progetti tendenzialmente devono adottare
strutture a matrice o per progetti. Oltre al processo produttivo anche il comparto
industriale di riferimento ed il mercato sono unaltra discriminante importante da tener
in conto nella definizione della struttura organizzativa. Ambiti particolarmente dinamici
richiedono strutture assai flessibili e snelle. Infine la struttura organizzativa
caratteristica di un sistema organizzativo influenzata dal comportamento direzionale,
che generalmente definito dalla propriet. Cos a comportamento autoritari
corrisponderanno tendenzialmente strutture verticali con una basso livello di autonomia
e partecipazione al processo decisionale dei diversi ruoli organizzativi, e viceversa.

5. Organizzazione informale
La sola definizione dellorganizzazione formale e quindi della struttura morfologica e
funzionale dellimpresa, anche se perfettamente progettata, non fornisce alcuna garanzia
sul raggiungimento efficiente degli obiettivi aziendali, in quanto i ruoli, che in essa si
definiscono, saranno ricoperti da individui o gruppi di individui. Quindi lefficacia, ma
soprattutto lefficienza della struttura organizzativa finir con il dipendere dalla
componente umana. Si rende quindi indispensabile ai fini organizzativi focalizzare
lattenzione anche su tale componente. Il primo studioso a focalizzare lattenzione
sullimportanza rivestita dagli individui nel buon funzionamento dellimprese, fu Elton
Mayo (1933). A questi va il merito di aver gettato le basi dellorganizzazione informale
intesa come linsieme dei rapporti che, per moventi non prestabiliti nellambito delle
regole formali, si vengono ad instaurare fra i componenti del sistema organizzativo in
funzione delle loro diverse personalit. In tale panorama il compito dellorganizzazione
informale proprio quello di analizzare la componente umana, riguardata nellambito
aziendale, definendo e classificando le diverse manifestazioni della personalit umana e
cercando di coglierne le motivazioni. Sotto questo aspetto lo studio si avvale in larga
parte degli strumenti di analisi propri della psicologia e sociologia applicate e tende ad
inquadrarsi come una autonoma disciplina, la psico-sociologia industriale.
Quindi lorganizzazione informale volta fondamentalmente a comprendere,
interpretare e valutare il comportamento e gli stili di azione degli individui e dei gruppi
di invidi allinterno del sistema organizzativo. Lanalisi di queste dimensioni alquanto

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complessa dal momento che le manifestazioni esteriori del comportamento umano sono
difficilmente classificabili, sia per la loro natura prettamente qualitativa, sia per il gran
numero di parametri in gioco. Ne consegue, che nella letteratura organizzativomanageriale sono state proposte numerose classificazioni. Si tratta di modelli di tipo
descrittivo che focalizzano lattenzione sullindividuo cercando qualitativamente di
definirne il carattere comportamentale e gli aspetti motivazionali. Complessivamente
sembra possibile classificare i modelli proposti nella letteratura secondo due classi di
riferimento; quella dei modelli che focalizzano lattenzione sulla personalit del singolo
individuo al fine di valutarne la sua rispondenza alle mansioni e al contesto
organizzativo a cui deve far riferimento, e la classe dei modelli che analizzano le
dinamiche di gruppo e le relazione tra i relativi componenti.
Il processo di valutazione in generale impostato cercando di individuare alcuni
parametri sui quali sviluppare una scala di valori che, partendo da una posizione
minima, pervengano ad un limite massimo. Il primo problema che si pone, quindi,
costituito dal sezionare con riferimento ad una realt complessa, qual il
comportamento e/o gli stili di azione di un individuo o gruppi di individui, alcuni
parametri giudicati rappresentativi su cui costruire una scala quantitativa di valori per la
valutazione.
Tra i modelli di valutazione proposti, un primo strumento di valutazione cosiddetto
modello comportamentale. Esso schematizza il comportamento individuale attraverso
l'individuazione dei fenomeni pi tipici connessi con l'evoluzione della vita umana. In
particolare, il modello si basa su una scala di valutazione che pone ai due estremi della
scala due valutazioni estreme ed opposte. Da un lato posto il comportamento
infantile. Dallaltro lato della scala di valutazione posto invece il comportamento
maturo. Al primo stadio si associa unattitudine comportamentale caratterizzata da una
forte dipendenza dagli altri, in cui predomina una ricerca di subordinazione, giustificata
anche dalla esigenza di soddisfare una necessit di sicurezza. Dipendenza e
subordinazione che, sul piano psicologico, tendono a creare miti o altre forme
irrazionali che possono anche sconfinare nella vera e propria superstizione. In questo
caso, la personalit dellindividuo appare poco sviluppata, quindi tendenzialmente
soggiogabile, cos come la capacit decisionale di autodeterminazione, e ci provoca
una tendenza repulsiva alla assunzione di autonome responsabilit. Invece, al secondo
stadio corrisponde il comportamento tipico di un individuo autonomo e determinato.
Esso manifesta unattitudine alla completa indipendenza, si caratterizza per la ricerca di
posizioni di potere, capaci di porre in stato di subordinazione le personalit con le quali
entra in rapporto. In tal caso prevale un approccio razionale allanalisi delle situazioni
ed un elevato livello di sicurezza in s stessi; sensazioni che tendono generalmente ad
essere trasferite agli altri individui operanti nel medesimo contesto organizzativo.
Un'altra classificazione di tipo assai generale volta ancora a valutare gli stili
comportamentali quella che considera, ai due estremi, il comportamento autocratico
dittatoriale, in contrapposizione a quello democratico partecipativo. Tale modello di
valutazione noto anche come modello di Douglas Mac Gregor ha portato alla
definizione di due alternative concezioni organizzative note come teoria x e teoria y.
Queste appaiono utili non solo per valutare gli individui, ma anche per comprendere le
tecniche di gestione operativa adottate nell'ambito del sistema organizzativo. La teoria
x, riferita a posizioni maggiormente autocratiche dittatoriali, ipotizza l'individuo come
soggetto passivo da costringere all'azione con l'autorit e la minaccia di punizioni. In

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essa, quindi, prevale un'organizzazione di tipo formale, nell'ambito della quale tutto sia
preliminarmente stabilito e predisposto al fine di un controllo di tipo autocratico
direzionale. La teoria y, invece, considera soggetti per loro natura aperti agli interessi
del sistema organizzativo, dove tendono a svolgere ruoli di attiva partecipazione. In tale
teoria quindi viene a essere maggiormente evidenziata la natura dei rapporti informali,
cercando di innescare un allargato processo di autodeterminazione periferica.

Interesse per le persone

Infine, uno dei tentativi pi riusciti di schematizzazione dello stile di azione


comportamentale nell'ambito organizzativo, quello costituito dalla cosiddetta
Managerial Grid di Robert R. Blake e Jane S. Mouton (Figura 7).

stile puro

Interesse per la produzione

Figura 7. Modello della Managrial Grid.


Lo scopo, le persone e la gerarchia vengono assunti come parametri universali
caratterizzanti le organizzazioni. Per tentare una correlazione, si cerca di individuare le
modalit seguite dai capi, la gerarchia, per raggiungere gli obiettivi organizzativi, gli
scopi, mediante i partecipanti allorganizzazione, le persone.
L'interesse soggettivo del capo viene influenzato da due parametri assunti come
fondamentali, l'interesse per gli obiettivi organizzativi, cio per la produzione, e
l'interesse per le persone. Tali parametri vengono rappresentati su di un diagramma cartesiano, preordinando una scala di valori che va dal valore minimo di 1, che
corrisponde al minimo interesse, al valore 9, che invece denota il massimo interesse.
Dalla combinazione di tali elementi possibile definire differenti stili di
comportamento a cui corrispondono alternativi effetti sia sugli obiettivo del sistema
organizzativo che sullimpatto del sistema organizzativo sugli individui.
Complessivamente il modello consente di definire 81 possibili stili comportamentali,
tuttavia quelli di riferimento afferiscono ai vertici della matrice. In particolare, si
individuano 5 stili comportamentali puri corrispondenti ai quattro vertici della matrice
ed al nodo centrale. Fra gli stili puri, quello relativo alla posizione (1:1) della matrice
corrisponde a quello di un individuo che presenta indecisione e scarso interesse sia per
la produzione che per le persone. In tal caso lindividuo tende a non criticare le azioni
ed attivit organizzative al fine di evitare critiche, cercando di scaricare sempre sugli

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altri le responsabilit. In tale stile, quindi, l'obiettivo principale quello di essere


coinvolti il meno possibile negli scopi dellorganizzazione e delle persone. Con un
inciso si potrebbe affermare che in tale posizione prevale il motto "essere presenti,
mantenendosi assenti". Lo stile caratterizzante la posizione (1:9) della matrice,
identificativo di coloro che prediligono un contesto fortemente orientato alle persone, in
cui grande rilevanza attribuita all'organizzazione informale. Generalmente in
corrispondenza di tale stile si tende a vedere il diretto superiore come ad una figura di
fratello maggiore. Invece, l'orientamento verso la produzione e verso le persone si
equivalgono nello stile (5:5). L'azione, in questo caso, dovr essere motivata da
informazioni che si sviluppino sia in senso informale sia in senso formale. Si eseguono
riunioni per inserire le persone nel gruppo, per ascoltare suggerimenti, per dare la
sensazione di una loro attiva partecipazione al processo decisorio. A tale livello si pu
affermare che l'autorit tende ad essere esercitata con il metodo della carota e del
bastone; mentre il sistema organizzativo formale e quello informale, pi che integrarsi,
si controbilanciano. Nello stile comportamentale (9:1), le persone sono riguardate alla
stregua di strumenti di produzione; le relazioni umane, quindi, vengono ridotte al minimo, mentre il controllo si sviluppa sulla base del potere gerarchico nel senso del
rapporto autorit-obbedienza. I conflitti fra subordinati vengono soppressi dai superiori,
mentre fra pari o nei confronti del capo sovrastante si tende esclusivamente a
competere. Infine, lo stile (9:9), caratterizzato dall'elemento partecipativo. In esso
perci gli individui operano attraverso la responsabilizzazione per obiettivi, cercando di
far coincidere traguardi individuali con quelli generali propri dell'intero sistema
organizzativo.
La Finestra di Johari

motivazioni sconosciute

caratteristiche percepite
dallindividuo e dagli altri

caratteristiche non
percepite dallindividuo
ma dagli altri

caratteristiche percepite
dallindividuo ma tenute
nascoste agli altri

caratteristiche ignote
allindividuo e agli altri

motivazioni conosciute

motivazioni sconosciute

individuo

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persone che lo circondano

motivazioni conosciute

caratteri
conosciuti

individuo

caratteri
sconosciuti

caratteri
conosciuti
caratteri
sconosciuti

persone che lo circondano

Alla base degli stili comportamentali degli individui si riscontra sempre la natura della
personalit del soggetto e le condizioni di contesto nelle quali il soggetto si trova
immerso, ed in particolare le interazioni con le altre personalit presenti e linsieme
delle cause motivazionali che possono essere note o incognite al soggetto. Al fine di
analizzare comprendere tali dimensioni, il modello di valutazione della Finestra di
Johari (Figura 8) propone una rappresentazione grafica che distingue lungo un
rettangolo due ambiti di riferimento: nel primo costituito da quattro aree poste in
orizzontale lungo un rettangolo sono evidenziate le motivazioni conosciute o
sconosciute all'individuo; mentre nel secondo costituito da componenti verticali sono
evidenziati gli stati danimi espressi o tenuti nascosti dall'individuo nei confronti
dell'ambiente circostante.

Figura 8. La Finestra di Johari.


Ne consegue che possibile individuare quattro posizioni tipiche, metodologicamente
importanti per l'analisi e la classificazione delle motivazioni effettivamente rilevabili
nella realt pratica. Due posizioni estreme sono quelle che prevedono caratteristiche
motivazionali totalmente note o del tutto ignote sia all'individuo che alle persone con le
quali si trova in interazione. Sono queste rispettivamente le posizioni pi facili e pi
difficili da guidare mediante azioni determinate o volute dall'individuo o attraverso
possibili convincimenti operati dall'esterno. Posizioni intermedie rispetto alle precedenti
si determinano dove le caratteristiche motivazionali non siano note al soggetto, ma
siano invece recepite dal mondo esterno o, in alternativa le caratteristiche siano
conosciute all'individuo che per tende volontariamente a mascherarle nei confronti
degli altri. Anche in tali situazioni, si potr operare con azioni che, nel primo caso,
potranno svilupparsi all'esterno dell'individuo, mentre, nel secondo, nasceranno e si
evolveranno soltanto quando sia l'individuo stesso a decidere in tal senso.
Strumenti di gestione dellorganizzazione informale: il meccanismo degli incentivi
Gli incentivi rappresentano uno strumento assai rilevante nella gestione delle dinamiche
organizzative informali. In particolare essi rappresentano degli strumenti volti a fornire
dei vantaggi capaci di stimolare l'efficienza e il rendimento individuale e/o di gruppo.
La necessit di adottare tale meccanismo dovuta fondamentalmente dalla non
immediata coincidenza fra bisogni personali e le necessit aziendali. Difficilmente le
finalit e gli interessi di vita degli individui coincidono con gli obiettivi organizzativi.
Ci pu sfociare in una conflittualit che determina una diminuzione dellefficienza e
del rendimento organizzativo. Ecco allora che si rende necessario trovare dei
meccanismi che consentano e/o facilitino lintegrazione tra aspirazioni individuali ed
obiettivi organizzativi.
Generalmente gli incentivi sono associati a fattori fisici o quanto meno quantificabili in
termini di remunerazione economica. Sebbene ci sia fondamentalmente vero. Occorre
non commettere lerrore di identificare univocamente lincentivo ad un compenso
economico. Infatti questo sebbene possa motivare gli individui non sempre garantisce
una reale integrazione tra le aspirazioni individuali ed i risultati organizzativi. Cos
soprattutto negli ultimi anni sempre pi importanza attribuita ad altre forme di
incentivazione legate a componenti immateriali quali ad esempio riconoscimenti morali
pubblicizzati attraverso strumenti di comunicazione sia interni che esterni
allorganizzazione, l'assegnazione di pi ampie disponibilit di tempo libero, il
miglioramento delle condizioni lavorative, e pi in generale un maggior coinvolgimento
nella vita e nella visione di sviluppo dellorganizzazione.
Un aspetto limitativo nell'uso di incentivi, in particolare di quelli fisici, costituito dalla
naturale tendenza ad acquisirli, dopo breve tempo, non pi nella loro funzione
incentivante, ma come forme abitudinarie oramai entrate nell'uso e, quindi, da recepirsi
in termini di obbligazioni preliminari alla vera e propria incentivazione. questo ad
esempio ci che si verificato in relazione ai premi di produzione e/o risultato del
management di molte grandi societ, che si sono poi tradotti nei casi estremi in scandali
finanziari come il caso Enron.
Un approccio al problema della ricerca di nuove forme di incentivi quello di guardare
alla scala dei bisogni umani, all'appagamento dei quali, in definitiva, l'incentivazione
deve sempre tendere. In tal senso Maslow propone una classificazione dei bisogni

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umani secondo una scala gerarchica composta da 5 livelli. Al livello pi basso vi sono i
bisogni fisiologici, essenziali alla sopravvivenza, quindi quelli che esprimono necessit
di sicurezza, di appartenenza (affezione, vicinanza, identificazione), di stima (rispetto di
s, prestigio, successo) e, infine, quel bisogno di autorealizzazione che va dalla
necessit di esprimere in pieno il proprio potenziale fino al desiderio di padroneggiare
l'ambiente.
Man mano che l'incentivazione si rivolge al soddisfacimento di queste ultime esigenze,
si rende necessario adottare un criterio di gestione del sistema organizzativo fondato sul
coinvolgimento nei processi decisionali. Tale processo deve preliminarmente essere
reso possibile per mezzo di un efficiente sistema informativo da impiegarsi sia come
strumento di comunicazione che di monitoraggio. Inoltre, il comando deve cedere il
passo a un'azione motivante di convincimento, capace cio di sollecitare il consenso in
tutti gli interessati. La mancanza di un intimo consenso, generalmente associata a uno
stadio di insoddisfazione, insieme con altre motivazioni di base, sviluppa la naturale
tendenza degli individui a riunirsi in gruppi diversi da quelli formalmente precostituiti
inficiando lefficienza del sistema organizzativo. Nell'ambito organizzativo, infatti,
accanto ai gruppi individuati e prestabiliti sul piano formale, vengono a formarsi altri
gruppi a carattere prettamente informale, nei quali ciascun membro si aggrega alla
ricerca di un appagamento di specifiche aspirazioni, a cui il gruppo formale non riesce a
dare una risposta.

6. Nuovi modelli organizzativi per l'impresa


A partire dagli anni Settanta-Ottanta laffermarsi di nuovi modelli di produzione,
insieme ad altri fattori venutisi nel tempo a determinare, quali lincertezza e la
mutevolezza della domanda, la complessit e la dinamicit dei mercati e la conseguente
crescita dei livelli di competitivit richiesti, la riduzione del ciclo di vita dei prodotti, la
disponibilit di nuove tecnologie di produzione e di supporto alla produzione, hanno
innescato lesigenza di definire nuove strutture e nuovi modelli organizzativi pi
efficienti e snelli.
A fronte di un cambiamento dello scenario competitivo le strutture organizzative
tradizionali non risultavano pi adeguate nei nuovi scenari di business: esse
postulavano, per il loro buon funzionamento, un ambiente esterno stabile e prevedibile,
sul quale poter fondare una strategia di efficienza e crescita quantitativa (economie di
scala). Esse tendevano a fornire una interpretazione semplificata e riduttiva
dellambiente esterno, per ricondurlo alla portata delle funzioni/attivit routinarie e
standardizzate. Crollavano cos alcuni pilastri dei modelli organizzativi tradizionali
quali le strutture gerarchico/piramidali, i molteplici livelli di responsabilit crescente, la
specializzazione funzionale, i processi decisionali di tipo top-down.
Le imprese sono state chiamate, quindi, a gestire situazioni sempre pi caratterizzate
dalla complessit. Galbraith definisce la complessit come gap tra le informazioni
teoricamente necessarie per svolgere unattivit in modo ottimale rispetto alle
informazioni effettivamente disponibili, tutto al fine di poter organizzare ex-ante le
proprie attivit. La complessit funzione di cinque dimensioni: la numerosit degli
elementi rilevanti a livello strategico in termini di prodotti, clienti, aree geografiche,
canali di distribuzione; la disomogeneit di tali elementi; la prevedibilit di tali

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elementi; linterdipendenza sempre dei medesimi; infine la pressione sui risultati,


espressa sia in termini di pressione esterna imposta dal contesto economico in cui si
opera sia di pressione interna imposta dal soggetto economico attraverso i livelli di
performance attese e richieste. Di fronte alla necessit di fronteggiare la complessit,
sorge lesigenza per le imprese di definire nuove soluzioni organizzative.
A livello gestionale, le soluzioni organizzative implementate negli ultimi decenni dalle
imprese di successo per far fronte alla crescente complessit possono essere distinte in
due macroaggregati. Da un lato si hanno i cosiddetti strumenti costruttivi o positivi
o di attacco, cio limpresa affronta la complessit e cerca di gestirla in primo luogo
attraverso la pianificazione e la realizzazione di migliori performance interne: il focus,
in altri termini, sul recupero di efficienza. Dallaltro si hanno i cosiddetti strumenti di
difesa, ossia limpresa cerca di ridurre e gestire la pressione sui risultati, in particolar
modo quella esogena, attraverso la creazione di alleanze, pi o meno esplicite, con altre
imprese. Al primo approccio riconducibile sia la filosofia gestionale del Total Qualit
Management (TQM) sia il Business Process Reengineering. Invece, al secondo
approccio sono riconducibili tutte quelle soluzioni ispirate alla creazione di sistemi
relazionali inter-impresa quali gli accordi tra imprese e le reti di imprese.
Il Total Quality Management
A partire dagli anni Cinquanta, lo scenario economico-produttivo e socio-organizzativo
risulta sempre pi caratterizzato da paradigmi e modelli gestionali innovativi,
sintetizzati nellacronimo TQM (Total Quality Management).
Le sue origini si possono far risalire al Giappone della fine degli anni Quaranta, un
Paese completamente devastato dagli effetti della disfatta nel secondo conflitto
mondiale, dove anche le poche imprese rimaste, tra cui la Toyota, erano afflitte da
gravissimi problemi di sopravvivenza. In particolare, ci di cui la Toyota poteva
disporre a quellepoca erano capitali esigui, macchinari obsoleti e inadeguati,
stabilimenti danneggiati e con spazi utilizzabili assai ristretti, vale a dire ben poco se
posto a confronto con le immense risorse a disposizione dei giganti del capitalismo
statunitense, forti delle applicazioni dei modelli tayloristici ed allora pi che mai leader
assoluti nella produzione di massa nel settore automobilistico. Tajihi Ohno, direttore
generale della Toyota, sapeva di poter contare su una sola grande risorsa, la
straordinaria perizia e la totale dedizione delle sue maestranze. Facendo leva su questo
unico, ma decisivo, punto di forza, elabor una strategia assolutamente originale. Intu
innanzitutto che occorreva trasformare i vincoli in risorse e decise pertanto di abbassare
il punto di profitto break even point delle economie di scala tipiche delle produzioni
di grande serie al livello di uneconomia di flessibilit basata su produzioni di breve
serie. La produzione di massa si basava sulla realizzazione dei medesimi prodotti per
diversi mesi, se non per anni, e quindi si valeva di allestimenti set up relativamente
fissi. La strategia di Ohno comport, invece, lintroduzione della pratica di cambiare
frequentemente gli allestimenti, in modo da poter produrre piccoli lotti, cogliendo cos
anche le pi piccole opportunit di mercato.
Grazie al coinvolgimento di tutto il personale in incessanti sperimentazioni ed alla
pratica del kaizen pseudofilosofia diretta al miglioramento continuo delle prestazioni
collettive i tempi di allestimento furono abbreviati di diverse ore rispetto agli standard
delle imprese statunitensi ed europee. Inoltre, gli operai addetti agli allestimenti ed
addetti alla produzione furono stimolati a lavorare insieme. In tal modo, grazie al
reciproco arricchimento delle mansioni ed al graduale apprendimento di nuove

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competenze, si giunse ad una figura di lavoratore polifunzionale, capace sia di produrre


con la massima flessibilit operativa sia di allestire le macchine in tempi
straordinariamente brevi. Il frequente cambio di produzione faceva altres venir meno il
bisogno di accumulare grandi riserve di materie prime, imponendo invece un magazzino
minimo ed un sistema di forniture e trasporti talmente efficiente da garantire consegne
limitate e puntuali, giusto in tempo per essere lavorate, il cosiddetto sistema just in time.
La produzione in lotti piccoli e diversificati permise alla Toyota di rispondere alle
variazioni di mercato ed alle richieste sempre pi personalizzate dei clienti con un
tempismo ed una flessibilit ignote ai giganti americani, che producevano unicamente in
grande serie. La produzione a piccoli lotti permetteva inoltre un controllo della qualit
estremamente pi efficace di quello praticato nella produzione di massa. Si constat, in
particolare, la convenienza di fermare il flusso produttivo per eliminare
immediatamente i difetti scoperti, piuttosto che lasciare scorrere il flusso per intervenire
a fine linea, come prescriveva il modello taylorista-fordista, cosa che comportava
sprechi assai pi consistenti di materiali e semilavorati.
Tra gli anni Cinquanta e Settanta, la Toyota, insieme ad altre imprese giapponesi che ne
seguirono lesempio, ottennero successi cos rilevanti da imporsi come alcune tra le pi
importanti, innovative e redditive imprese del mondo. Negli anni Ottanta, un gruppo di
ricercatori del MIT concettualizz il nuovo modello di produzione giapponese come
lean production o produzione snella, indicando con tale espressione ci che era
apparso loro come tratto essenziale. Alla fine degli anni Ottanta, in pieno periodo di
ristrutturazioni industriali, decentramento produttivo e contestuale sviluppo
delleconomia post-industriale, con il boom dellelettronica, dellinformatica e del terzo
settore, gli fu attribuita una denominazione che dava maggiore risalto allaspetto allora
indubbiamente pi sentito, e cio quello della continua ricerca di un pi elevato livello
di qualit. Il modello sarebbe quindi divenuto universalmente noto come Total Quality
Management e ci anche grazie allopera di consulenti aziendali di fama mondiale come
il giapponese Ishikawa e gli statunitensi Deming e Juran che ne promossero ovunque la
diffusione e lapplicazione, mettendone in particolare evidenza la portata innovativa
delle tecniche e dei metodi di valorizzazione dellorganizzazione e delle risorse umane.
Le componenti essenziali del Total Quality Management possono essere cos
sintetizzate: Sistema Just in Time (JIT), Lean production o produzione snella, Kaizen o
miglioramento continuo, Tecnologia semplice, Polifunzionalit degli operatori e
Ricerca della Qualit Totale. Per la valenza che queste componenti oggi rivestono nei
sistemi organizzativi se ne delineano nel seguito i caratteri fondamentali.
Sistema Just in Time (JIT): un sistema produttivo volto a garantire una continua e
perfetta simmetria tra lofferta di beni prodotti e la domanda di mercato basata su
complessi sincronismi tra i vari sub-sistemi che intervengono nel flusso produttivo. Le
conseguenze di questo modo di produrre sono opposte a quelle della produzione di
massa di matrice tayloristca: questultima puntava su economie di scala attraverso la
realizzazione prolungata ed uniforme di un dato prodotto e la standardizzazione di
routines e procedure. Il Just in Time rende, invece, possibile realizzare prodotti e servizi
in serie brevi e differenziate, senza produrre nulla che non sia effettivamente necessario
e con aggiustamenti continui alle variazioni dellambiente competitivo ed alle reali
esigenze dei clienti. Al fine di garantire rapide e frequenti consegne di materiali e
prodotti finiti, i fornitori non sono pi scelti solo in base ai costi delle singole
commesse, ma selezionati accuratamente in base alla loro capacit di collaborazione

32

con lorganizzazione nel lungo periodo. Ai fornitori vengono formulate richieste e


fornite indicazioni e dai fornitori vengono spesso recepiti suggerimenti e proposte di
innovazione, in unottica di reciproco beneficio.
Lean production o produzione snella: un approccio di gestione della produzione volto
alleliminazione degli sprechi, dei tempi morti e delle risorse ridondanti: meno scorte di
magazzino, meno spazi impegnati, meno movimenti di persone e materiali, meno
apparati, meno addetti, meno passaggi procedurali. Leliminazione delle risorse
ridondanti non obbedisce soltanto ad imperativi di economicit, ma si ispira ad una
filosofia di essenzialit, che fa apparire qualsiasi elemento superfluo come uno spreco,
in giapponese muda. Ohno individua diverse forme di muda , alcune pi immediate e
visibili, come gli scarti ed i prodotti scadenti, ed altri meno visibili, come i tempi morti
di attesa, le immobilizzazioni di capitali, i trasporti e le manutenzioni inutili, il
personale distolto da attivit pi produttive o addetto a compiti burocratici e di controllo
che potrebbero essere eliminati senza compromettere la produzione.
Kaizen o miglioramento continuo: quella particolare filosofia gestionale orientata ad
ottenere un sempre maggiore coinvolgimento partecipativo degli operatori nelle vicende
dellimpresa attraverso la valorizzazione delle esperienze specifiche e delle capacit
innovative di ognuno. Essa dovrebbe essere praticata in ogni unit dellorganizzazione e
si fonda su una intensa e costruttiva cooperazione tra tutti i componenti dei team di
lavoro ovunque definiti nel sistema organizzativo. Ciascun partecipante ai team,
indipendentemente dalla sua qualifica e dal suo ruolo, chiamato a dare il proprio
contributo, mettendo a disposizione dellorganizzazione-impresa e del gruppo la propria
intuizione, creativit ed esperienza. Allinterno dei team i lavoratori si confrontano sui
problemi pi frequenti, analizzano esigenze nuove, discutono le pratiche esistenti,
cercano insieme delle soluzioni, propongono e sperimentano cambiamenti ed
innovazioni, esplorano i possibili margini di miglioramento delle prestazioni ma anche
del sistema relazionale e della qualit dellambiente di lavoro. Il kaizen esattamente
lopposto della one best way dellapproccio tradizionale dello scientific management.
Infatti, mentre, la one best way impone per via gerarchica soluzioni dettate dal vertice
che si ritengono definitive ed universalmente valide, il kaizen coinvolge, tutto il
personale dellorganizzazione alla ricerca continua di soluzioni che per definizione non
sono mai definitive, ma sempre ulteriormente migliorabili ed adattabili al variare delle
tecnologie e delle risorse disponibili, delle esigenze dei clienti e delle condizioni dello
scenario economico generale.
Tecnologia semplice: non significa arretratezza tecnologica, piuttosto impianti e
dotazioni il pi possibile conoscibili e utilizzabili dal personale, che pu quindi meglio
di chiunque altro suggerire piccoli e continui miglioramenti nelle loro modalit di
impiego.
Polifunzionalit degli operatori: si contrappone ai modelli e le applicazioni
organizzative fondate su una rigida divisione e parcellizzazione del lavoro, con confini
precisi tra le mansioni. La critica mossa a tale impostazione che la divisione dei
compiti ed il loro carattere ripetitivo spinge gli individui a sviluppare ed adeguarsi a
delle routines e scoraggiava sia lapprendimento di nuove abilit e competenze, sia
lassunzione di iniziative e responsabilit formalmente non previste. Secondo la logica

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del TQM, invece, le mansioni non hanno confini e gli operatori tendono ad essere
polifunzionali. La polivalenza delle capacit professionali, oltre ad arricchire di variet
e di significato la prestazione lavorativa, consente linterscambio delle posizioni
allinterno di ciascun gruppo di lavoro ed evita cos le interruzioni dei processi
lavorativi ogni qualvolta uno dei lavoratori dovesse essere assente. Ci reso possibile
non solo attraverso unadeguata formazione, ma anche dal fatto stesso che le persone,
stimolate a socializzare, tendono a vivere con maggiore intensit la propria giornata
lavorativa, ad identificarsi fortemente nel piccolo gruppo di cui fanno parte ed a
trasmettersi reciprocamente conoscenze e competenze utili a lavorare meglio e con la
necessaria continuit ed armonia. Cos in una logica TQM non esistono mansioni ridotte
o parcellizzate e non esiste nemmeno un controllo burocratico dallalto. Al contrario, il
personale lavora in gruppo, si scambia frequentemente di ruolo e partecipa attivamente
alle dinamiche di miglioramento continuo. Inoltre, il contributo richiesto a qualunque
dipendente esula dalla esclusiva dimostrazione di capacit nello svolgimento delle
operazioni di routine per investire la soluzione di problemi concettualmente nuovi posti
dalle contingenze ambientali o dalla tecnologia e addirittura ladozione di decisioni
importanti a livello aziendale e la definizione degli obiettivi strategici.
Ricerca della Qualit Totale: coincide con lobiettivo della qualit, ossia della
realizzazione di prodotti e dei servizi in grado di soddisfare effettivamente le esigenze
dei clienti, sostituisce il primato della quantit, tipico delle imprese di ispirazione
fordista-taylorista. Il TQM assume la qualit come una caratteristica essenziale e
necessaria dei prodotti e dei servizi e tutto il processo produttivo orientato in modo da
progredire costantemente verso lobiettivo ideale dello zero-difetti. Lespressione
Qualit Totale significa che la ricerca della qualit deve essere presente lungo tutto il
processo lavorativo, dallideazione del prodotto o servizio alla scelta dei materiali, alla
competenza ed alla cortesia degli addetti, alle modalit di consegna o di fornitura,
allassistenza post-vendita. La qualit un concetto difficile da formalizzare in termini
oggettivi, poich legata alla percezione che il cliente ha delle caratteristiche del
prodotto-servizio in relazione alle sue esigenze ed aspettative. Non deriva quindi
dallapplicazione di formule precostituite piuttosto dal conseguimento di una ottimale
combinazione di molteplici fattori, quali impianti, tecnologie, processi, strutture,
professionalit, motivazioni e cultura delle risorse umane: se infatti anche uno solo di
tali fattori non supera un livello critico minimale, la qualit inevitabilmente
compromessa.

Il Business Process Reengineering


Il Business Process Reengineering (BPR) senza dubbio la soluzione organizzativa
maggiormente conosciuta e adottata dalle imprese nellultimo decennio quale strumento
per il miglioramento dellefficienza interna. Il contenuto maggiormente innovativo ed
originale dellapproccio del BPR, teorizzato negli U.S.A. allinizio degli anni Novanta
da Hammer e Champy e approfondito successivamente da Davenport e Venkatraman,
consiste essenzialmente nello spostare lattenzione dallanalisi delle componenti hard,
struttura, dimensioni, tecnologie, e soft dellorganizzazione, leadership, motivazioni,
apprendimento, allanalisi dei processi che hanno luogo allinterno delle organizzazioni.
Secondo lapproccio BPR non pi la struttura a determinare le modalit di gestione
dei processi ed il modo in cui questi sono suddivisi tra le varie unit organizzative, ma

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sono i processi, ricondotti ad unit ed affidati nella loro interezza ad un unico team di
operatori polifunzionali, a divenire lelemento determinante e strutturante
lorganizzazione. Lo strumento principale di cambiamento e miglioramento delle
prestazioni di impresa, quindi, non pi lanalisi e la progettazione della struttura, ma
diventa lanalisi e la reingegnerizzazione dei processi, a cui solo eventualmente
seguono modifiche ed adeguamenti della struttura e degli altri elementi hard e soft
dellorganizzazione
Il BPR pu essere definito un nuovo approccio organizzativo-gestionale volto a
ripensare a fondo e ridisegnare in modo radicale i processi di business per ottenere
miglioramenti drastici in parametri critici di prestazione. La reingegnerizzazione, in
altri termini, modifica in profondit il modo con cui limpresa si rapporta al mercato,
con lobiettivo di meglio soddisfare le aspettative del cliente e di accrescere il valore
offerto.
Al fine di conseguire cambiamenti aventi impatto significativo sul livello complessivo
delle prestazioni dellimpresa deve attuarsi un contemporaneo ripensamento sia degli
assetti produttivi e organizzativi, sia dei flussi informativi sia delle modalit di
condivisione della conoscenza
Dato, quindi, lobiettivo di garantire una gestione integrata e snella delle attivit
direttamente rivolte alla realizzazione dei prodotti e dei servizi aziendali, le imprese
cercano di costituire unit organizzative a presidio di alcuni processi ritenuti pi
importanti per il proprio business. Contemporaneamente, anche i processi manageriali e
di supporto sono rivisti per assicurare nuove logiche di coordinamento.
Le attivit che generalmente vengono organizzate per processi sono riconducibili allo
sviluppo prodotto, dove la qualit dei nuovi prodotti non legata unicamente alle
valutazioni dei progettisti e alle loro capacit tecniche, ma risulta sempre pi
influenzata dalla qualit dei legami informativi che si instaurano tra marketing,
progettazione, produzione e logistica; alla comunicazione al mercato, ossia si unificano
in unottica customer-oriented una serie di attivit che partendo dalla valutazione del
posizionamento competitivo dellazienda arrivano fino al contatto commerciale con il
cliente, permettendo non solo un miglior coordinamento delle modalit di proporsi ai
mercati, ma anche maggiori scambi informativi interni e con gli intermediari
commerciali; alla gestione dellordine, cio il processo che comprende tutte le attivit di
interfaccia con il cliente, a partire dal momento in cui il venditore ha raccolto un ordine
fino al momento dellincasso oppure della risoluzione di eventuale contenzioso,
passando attraverso controlli commerciali, finanziari, amministrativi e logistici. In
unottica di reengineering, si integrano tutta una serie di responsabilit che in
unorganizzazione funzionale rientrano sotto varie competenze e si cerca di superare
conflitti tra funzioni che possono creare disservizi al cliente ed extracosti per lazienda;
alla catena logistica, cio il processo che rende disponibile il prodotto per la consegna
al cliente. Il ridisegno integrato unifica il flusso informativo delle attivit logistiche:
fabbisogni ipotizzati, ordini acquisiti, programmazione della produzione, politiche di
approvvigionamento. Infine alla produzione, la quale, in una logica BPR, viene
organizzata su pi unit produttive che sviluppano ciascuna unintera porzione del
processo produttivo.
possibili individuare altri approcci volti al miglioramento dellefficienza interna, si
ricorda in particolare lappiattimento organizzativo, volto alla riduzione dei livelli
organizzativi e gerarchici con lobiettivo di rendere le comunicazioni e le decisioni
dimpresa sempre pi rapide e tempestive per far meglio fronte ai pi elevati livelli

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elasticit di risposta richiesti da uno scenario competitivo via via pi dinamico e


turbolento.
Gli accordi inter-impresa e le reti di imprese
Negli scenari competitivi degli ultimi decenni limpresa non riesce pi a basare il
proprio sviluppo su logiche esclusivamente autosufficienti, dal momento che le risorse
materiali e conoscitive accumulabili allinterno di essa risultano sempre pi insufficienti
rispetto a quelle richieste dallambiente economico generale.
Diviene pertanto quasi una necessit per la crescita se non per la stessa sopravvivenza
dellimpresa sviluppare nuove e differenti relazioni e modalit di integrazione con altre
imprese autonome.
Limpresa, in questo modo, uscendo dai suoi confini tradizionali ed aggregandosi
dinamicamente con altre forze produttive e non, si pone nelle condizioni di accrescere le
potenzialit di apprendimento e di elaborare ed assumere scelte innovative, di realizzare
sinergie con la proprie competenze e con le proprie risorse tali da consentirle di potersi
misurare con il crescente grado di complessit in unottica di maggiore efficienza
interna e di pi alta efficacia sui mercati.
La modalit organizzativa che, a livello sia di categoria concettuale che di applicazione,
si maggiormente affermata in tale nuova logica, prende il nome di rete.
La rete pu essere definita come una struttura organizzativa sovraziendale capace di
svolgere in maniera integrata le differenti fasi necessarie a realizzare produzioni
complesse. Essa caratterizzata essenzialmente dal pluralismo delle unit che ne fanno
parte e da linguaggi condivisi, codificati e specialistici che forniscono la possibilit di
un accesso simultaneo, efficace ed efficiente di ciascuna impresa al patrimonio di
informazioni e di conoscenze presenti nella realt con cui ciascuna impresa stabilisce
rapporti di interazione.
Nel tempo, al concetto di rete si sono fatte risalire situazioni economiche, organizzative
e gestionali spesso molto differenti. Da situazioni nelle quali intenso il processo di
decentramento di attivit da unimpresa centrale verso imprese subfornitrici a situazioni
nelle quali le imprese sono collegate fra loro in cicli di produzioni, sotto forma di filiere
o costellazioni; da situazioni nelle quali si creano forti legami fra imprese su base
territoriale i distretti industriali ad accordi fra imprese giuridicamente autonome, ma
legate fra loro da forti vincoli anche di tipo non meramente economici, fino alle
situazioni nelle quali grandi imprese, sebbene ad unicit di struttura proprietaria ed
organizzativa, si articolano al loro interno in strutture che sono quasi imprese. Anche
da un punto di vista pi prettamente giuridico, sono numerose le modalit di accordo,
formali o informali, che si riconducono alle reti: pensiamo, infatti, agli accordi di
subfornitura e contoterzismo, ai contratti di licensing, ai contratti di franchising, ai
consorzi, alle joint venture contrattuali, fino al caso limite vietato dalla legge dei cartelli
oligopolistici.
Sebbene la modalit organizzativa della rete si manifesta in situazioni piuttosto diverse,
costituisce un modello di cooperazione tra imprese particolarmente flessibile, ma dai
contorni giuridici e/o operativi spesso sfocati e assume forme difficilmente riconducibili
agli schemi tradizionali delle teorie organizzative, le situazioni produttive in cui pi
frequentemente si manifesta il ricorso a forme a rete possono in generale ricondursi a
due principali forme: le reti di unit interne e le reti di unit esterne.
Per reti di unit interne si intende quellinsieme di relazioni cooperative, finalizzate
allefficacia ed allefficienza gestionale, che si pongono in essere allinterno delle

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imprese tra le unit decisionali che le compongono. A fronte di mercati in cui gli spazi
di sviluppo sono prevalentemente in aree-prodotto nuove, lorientamento verso la
creazione di unit distinte dalla casa madre le cosiddette business units - nella
consapevolezza che la possibilit di differenziare tali nuove unit impegnate in nuovi
prodotti o mercati dalle regole e dai condizionamenti del resto dellorganizzazione pu
rivelarsi un importante fattore di successo. Il tratto distintivo dei nuovi rapporti fra unit
allinterno di una medesima impresa quindi quello di ricercare e di stimolare
contemporaneamente una forte autonomia ed una forte integrazione delle unit che la
compongono. Tale fenomeno appare evidente in quanto la necessit di affrontare
incertezza e complessit richiede proprio da un lato larticolazione e la differenziazione
delle competenze e dallaltro la loro integrazione in unottica sistemica.
Per reti di unit esterne, invece, si intende il complesso delle relazioni cooperative che
le imprese pongono in essere con soggetti esterni. In tali reti convergono un numero
limitato di imprese che, mentre si dividono il lavoro, operano con sostanziali rapporti di
interdipendenza reciproca rispetto allobiettivo di realizzare uno o pi prodotti
complessi finali; imprese che generalmente non possiedono singolarmente le
conoscenze e le risorse per giungere a tali prodotti complessi ma che possiedono
comunque delle core competences competenze chiave in alcune fasi produttive: la
divisione del lavoro e la valorizzazione delle core competences di ognuna in una logica
sistemica permette alla rete di conseguire economie di scala e di scopo e di ottimizzare
le specializzazioni, ottenendo cos notevoli miglioramenti delle performances anche per
ogni singola impresa.
La rete esterna generalmente non gerarchica, trattandosi di organizzazioni distinte, ma
presenta di solito degli elementi di potere connessi alla ricerca delle imprese coinvolte
di influenzare, a diversi livelli, lazione degli altri soggetti, si protrae nel tempo e vede
il coinvolgimento di imprese distinte da un punto di vista giuridico ed imprenditoriale
tra le quali, tuttavia, spicca unimpresa guida, rispetto alla quale si posizionano e si
adattano le varie imprese della rete, il cui ruolo quello di interpretare la divisione
organizzativa e di attuare meccanismi di selezione, di influenza, di creazione di
condizioni per la generazione di processi di interazioni diffusi.

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