Memoria di Dante e memoria del Lager: Il canto di Ulisse da P.
Levi, Se questo un uomo.
Perch ha ancora senso leggere Dante? Giunti allultima tappa della nostra travagliata e brutalmente accorciata lectura Dantis, legittimo domandarsi il senso della fatica compiuta in questi tre anni nellaccostarsi a unopera cos complessa, straordinaria e unica come la Divina Commedia. Qual lutilit di tale sforzo intellettivo, esegetico (lettura e commento) ed ermeneutico (interpretativo)? La risposta pi pregnante e pi efficace quella che possiamo leggere nel Canto di Ulisse, il titolo di uno dei 17 capitoli di Se questo un uomo, la testimonianza letteraria pi alta e forse pi toccante, proprio per la lucidit scientifica del racconto, della tragedia dellOlocausto, scritta non da un letterato di professione, ma da un chimico, da uno scienziato, il torinese Primo Levi, allindomani della Liberazione, nei primissimi anni del Secondo dopoguerra (1947). P. Levi, Il canto di Ulisse da Se questo un uomo (cap. XI) Introduzi Nel passo, tratto dallXI capitolo del libro, Jean, un one compagno di prigionia di Levi che ricopre la carica di Pikolo, ovvero di responsabile del Kommando Chimico del campo, tra le altre incombenze (pulizia della baracca, consegna degli attrezzi da lavoro, contabilit ecc.) ha anche quella di prelevare il rancio per il proprio gruppo di internati. Poich il trasporto della marmitta piena di zuppa richiede la collaborazione di unaltra persona, egli ha facolt di scegliersi, di volta in volta, un accompagnatore. Un giorno tocca a Primo Levi seguirlo fino alla baracca delle cucine. Sintesi Nel non lungo tragitto che va dalla cisterna interrata, del dove Primo Levi sta lavorando quando viene chiamato da passo. Jean alle cucine dove i due si recano a riempire la marmitta di zuppa per il rancio dei deportati, si svolge una lezione dal profilo molto speciale. Il giovane Jean, che essendo di origini alsaziane, parla perfettamente il francese e il tedesco, esprime al proprio compagno di prigionia il desiderio di apprendere la lingua italiana. Levi vuole subito accontentarlo, ma compie una scelta metodologicamente curiosa: assume come testo di partenza il canto XXVI dellInferno dantesco, quello di Ulisse. Una scelta istintiva, la cui ragione profonda si chiarisce solo dopo, quando la lezione assume una piega imprevista: i versi danteschi si rivelano poco produttivi dal punto di vista linguistico, ma incredibilmente attuali e incisivi riguardo ai contenuti, capaci di far luce in maniera sorprendente sulla situazione dei deportati. Aspetti fondamentali La La memoria di Dante, cos faticosamente recuperata, fa memoria affiorare, in un intreccio inestricabile, anche la memoria del di Dante vissuto dei due personaggi, Jean e Primo (le m montagne, il
e la memoria della propria identit
Virtute e conoscen za contro la disumani t del Lager: il volo di Ulisse non
folle
mare), ferocemente annullata dalla logica industriale dello
sterminio nazista in virt della quale lidentit dellinternato ridotta a un numero di matricola stampato sul braccio. E un numero che serve a inventariare oggetti o meglio strumenti di lavoro destinati alla soluzione finale. Ebbene, proprio in questo contesto di annientamento totale, di naufragio della propria dignit, il ricordo del XXVI canto dellInferno, che Levi sceglie inconsapevolmente per la sua lezione di italiano, fa affiorare, salvandola dalla brutalit del campo, lidentit profonda dellio. Dante non viene solo citato, ma arriva a contaminare il racconto: avrei dato la zuppa di oggi per saldare non ne avevo alcuna con il finale, afferma infatti lautore verso la fine del passo. Il senso di tale dichiarazione che egli sarebbe stato disposto a sacrificare un bene essenziale nel campo il misero rancio pur di salvare quei ricordi dalloblio, perch gli consentivano di ristabilire un legame con il passato, salvandolo dalloblio e fortificando la sua identit. Ricordare Dante un modo per ritrovare se stessi nellabisso del nulla, ma anche uno strumento per recuperare la propria umanit, la propria capacit di far funzionare la mente nellinferno della bestialit e della barbarie, dove lumanit messa in discussione (Se questo un uomo da questo punto di vista un titolo emblematico). Attraverso Dante, attraverso i ricordi, Primo e Jean fanno risorgere dentro il Lager il mondo di fuori, il mondo di prima, il mondo in cui gli uomini sono fatti per seguir virtute e canoscenza. Perch Levi abbia scelto di partire proprio dal XXVI canto dellInferno, lo si capisce alla fine, proprio quando egli arriva alla celebre esortazione che Ulisse rivolge ai compagni prima di sprofondare oltre labisso delle Colonne dErcole davanti alla montagna del Purgatorio: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza. Ed qui che si colloca, non a caso, il fulcro tematico del passo che abbiamo letto: ricordando il fatti non foste a viver come bruti, Levi condanna la cinica malvagit del sistema dei campi di concentramento che miravano proprio a ridurre gli uomini allo stato animale e rilancia uno scopo pi nobile e pi degno per la creatura eletta (luomo): inseguire virtute e canoscenza. Ed proprio qui che cogliamo una delle maggiori differenze tra lUlisse dantesco e lUlisse di Primo Levi che si spiega anche alla luce della diversa concezione del mondo: a) per Dante, la razionalit di Ulisse non illuminata dalla grazia di Dio , anzi che prescinde proprio dal volere divino e si spinge oltre in un atto estremo di superbia, un folle volo; questo si spiega alla luce di una visione trascendente del mondo, per cui ogni azione e ogni evento ha la sua
ragion dessere e la sua sussistenza nel piano
provvidenziale di Dio; lesplorazione di Ulisse oltre le colonne dErcole non rientra in tale piano, anzi ne sono la violazione e dunque costituisce un folle volo, un atto di empiet; per questo Dante contrappone al viaggio orizzontale di Ulisse (un viaggio geografico, spaziale) il proprio viaggio, che invece verticale (come verticale tutta la struttura della Commedia, cio tesa verso il vertice ultimo che Dio); b) per Levi, al contrario, il volo di Ulisse non empio, non folle, bens un appello alla dignit operativa (cio attiva, pratica) della ragione umana anche in condizioni estreme. Recuperando virt e conoscenza, cio la propria dimensione razionale, la propria capacit innata di spingersi oltre il limite, i deportati, costretti a vivere come bruti, riacquistano, anche se per un solo attimo, la loro dignit umana. Tutto ci si spiega alla luce della visione immanente del mondo propria di Primo Levi, una visione laica e materialista che esclude ogni provvidenzialismo. Il Il naufragio di Ulisse in vista della montagna del Purgatorio naufragio a cui rimanda la citazione finale Infin che l mar fu sopra finale noi richiuso riflette il naufragio di Primo: anchegli, proprio grazie alla memoria di Dante,ha momentaneamente riconquistato la propria identit che tuttavia, subito dopo, viene nuovamente sommersa dalla realt di Auschwitz che torna a dominare con la sua Babele di lingue (il tedesco, il polacco, il francese), con le sue necessit fisiche primarie (il rancio) e con tutto il suo dolore.