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Lettura protologica del mito del Politico di Platone.

Correva l'anno 1959, quando Hans Joachim Krmer pubblic un'opera destinata a creare una vera e
propria rivoluzione copernicana nel panorama degli studi platonici. Fu proprio in quell'anno, infatti,
che venne alla luce, ad Heidelberg, il suo Aret bei Platon und Aristoteles1. Questo lavoro,
di fatto, present al mondo dei platonisti un nuovo paradigma ermeneutico finalizzato, negli
obiettivi dei suoi teorizzatori, a realizzare una piena e migliore comprensione delle opere del
filosofo ateniese. Come avremo modo di vedere nel corso del mio lavoro, Krmer propose
un'esegesi filosofica di Platone che nessun altro studioso, negli anni precedenti, seppe percorrere
sino in fondo. A partire da quel momento prese nuovo vigore, nell'orizzonte sterminato della
bibliografia su Platone, un problema a cui, nel passato, erano state forse date soluzioni drastiche, ma
di scarsa efficacia: mi riferisco alla cosiddetta questione delle Dottrine non scritte. Al
contempo si affermarono con forza e prepotenza le teorie della Scuola di Tubinga, le quali, oltre
che in Germania, ebbero, a partire dagli anni '80 2, straordinaria fortuna e successo anche in Italia, e
in particolare presso l'Universit Cattolica di Milano (tanto da far s che si possa parlare,
oggigiorno, di Scuola di Tubinga-Milano). Come ogni rivoluzione e cambiamento radicale,
tuttavia, anche quello tubinghese fu destinato ad incontrare e suscitare aspre critiche ed accese
polemiche tanto nel nostro paese, quanto nel restante orizzonte degli studi critici su Platone, visto e
considerato che molti studiosi rimasero profondamente scettici sugli effettivi progressi apportati dal
nuovo paradigma interpretativo proposto dal Platonbild di Tubingen. Come evidenziato dal titolo
del mio lavoro, mia intenzione, in questa sede, analizzare il seguente paradigma in relazione ad
uno dei pi controversi e discussi miti di Platone: quello, vale a dire, raccontato e proposto a
Socrate il Giovane dallo Straniero di Elea durante la discussione filosofico-dialettica portata avanti
dai due, discussione che, nel suo insieme, costituisce la struttura e la trama del dialogo Politico.
Cercher, dapprima, di giustificare il forte concetto da me espresso nel primo enunciato del presente
1

H. KRMER, Aret bei Platon und Aristoteles. Zum Wesen und zur Geschichte der platonischen Ontologie,
Heidelberg 1959.
A partire dalla pubblicazione, presso il <<Centro di Ricerche di Metafisica>> dell'Universit Cattolica, del libro di
H. KRMER, Platone e i fondamenti della metafisica. Saggio sulla teoria dei principi e sulle dottrine non scritte di
Platone, con una raccolta dei documenti fondamentali in edizione bilingue e bibliografia, Milano 1982.

capitolo, mostrando, a tal fine, la straordinaria portata dell'innovazione realizzata dal nuovo
paradigma in relazione agli sviluppi tradizionali degli studi su Platone; in seguito, presenter gli
assi portanti e di base della scuola di Tubinga-Milano nella loro semplice articolazione teorica, per
concludere, infine, con un tentativo di applicazione di questi stessi principi metodologici e teoretici
in rapporto al mito del succitato dialogo. Queste tre fasi, nel loro insieme, cercheranno di fornire
un'immagine complessiva del nuovo paradigma scientifico, mostrato e disvelato tanto nelle sue
indiscutibili innovazioni e novit, quanto nelle sue (altrettanto indiscutibili) complessit e
problematiche di fondo. La scelta del mito destinato a costituire il background di tali riflessioni non
stata casuale: non solo perch, come detto in precedenza, su questa molto stato scritto e
proposto dalla critica antica e moderna (la quale , molto spesso, giunta a conclusioni tra loro
radicalmente inconciliabili), ma anche per il motivo che, come avr cura di mostrare
successivamente, il mito del Politico, indipendentemente dalla miriade di interpretazioni che ne
sono state date, di certo uno dei pi concettualmente e filosoficamente densi dell'intero corpus
platonico. In esso si possono incontrare i problemi relativi alla Teodicea, al male nel mondo, al
movimento del cosmo, alla natura del Divino Artefice, ad una realt, quella di Crono, cos diversa
rispetto a quella di Zeus, all'interno della quale ci troviamo ad essere inseriti, all'anima e al
movimento ad essa preposto. Si pu discutere, attraverso di esso, su quanti cicli Platone avesse in
mente per il nostro mondo, ed inoltre se egli concepisse i rivolgimenti cosmici in senso letterale, o
come metafora atta a rappresentare la struttura ontologica del mondo. Si possono cercare le fonti e
le cause del rivolgimento cosmico, che rischia di far precipitare il mondo nel mare infinito della
dissomiglianza. Ma soprattutto, all'interno della vicenda mitica viene presentato il tema che
maggiormente stava a cuore al filosofo e al suo maestro Socrate: la felicit () e i mezzi
con cui raggiungerla. Si basa, essa, sui soli beni materiali o serve possedere un qualcosa di diverso,
oltre alla prosperit esteriore, per potersi dire veramente felici? E in che rapporto sta, con tutto
questo, la filosofia? A queste riflessioni di carattere etico, fisico, cosmologico, psicologico,
antropologico, la scuola di Tubinga, con l'interpretazione del mito da essa fornita, nella figura di

Konrad Gaiser, all'interno della seconda parte dell'opera Platons ungeschriebene Lehre3,
aggiunge anche considerazioni di tipo protologico-stoicheiologico. Analisi, cio, che in pieno
accordo con i dettami fondamentali del suddetto movimento critico, toccano direttamente i
(presunti) vertici metafisici platonici dell'Uno e della Diade indefinita, considerati nei loro
rapporti reciproci, oltre che in relazione al Demiurgo e all'Anima del Mondo. In base a quest'ordine
di considerazioni, pu essere oramai agevole confutare l'idea di chi, come Reinhardt 4, Loenen5 e
Taylor6, appariva propenso a vedere nella storia narrata dallo Straniero un totalmente privo di
autentico significato filosofico, o almeno non tale da doversi sottoporre ad attenta indagine
analitica. All'interno di esso, tutt'al contrario, sono inseriti, come accennato, alcuni degli aspetti pi
importanti e filosoficamente significativi del pensiero platonico. A citare Gaiser 7, potremmo dire
che, in effetti, il mito del Politico dischiude un modo di accedere a ci che
metafisicamente superiore. Del resto, come metter in luce successivamente, ritengo che
non solo il pensiero platonico, con la sua articolazione gnoseologica tra le varie realt e le rispettive
forme di conoscenza, ma anche la cornice stessa del dialogo, all'interno della quale la vicenda
mitica perfettamente incastonata, possano ed anzi debbano giustificare una lettura seria e
filosofica del mito del Politico (procedimento, questo, effettivamente portato avanti e sviluppato
dalla grande maggioranza degli studiosi di Platone). Certamente, il termine e il successivo
riferimento dello Straniero all'attenzione dei bimbi che ascoltano le fiabe (con l'indicazione,
oltretutto, della giovane et di Socrate) possono muovere le opinioni in direzioni opposte rispetto a
quelle qui sopra presentate. Ma altrettanto significativo notare e mettere in evidenza la situazione
che precede e, di fatto, giustifica l'introduzione del mito. Questo, difatti, interviene come ausilio e
soccorso ad un impasse che filosofico ed anzi, ancor di pi, che dialettico. Dopo la tra
i campi del sapere, e l'ulteriore per il regno animale, si giunge a un risultato che
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Si veda K. GAISER, La metafisica della storia in Platone, Traduzione di G. REALE, Milano 1988 (opera composta
dall'autore per l'edizione italiana, rielaborando profondamente la seconda parte del volume Platons ungeschriebene
Lehre. Studien zur systematischen und geschichtlichen Begrndung der Wissenschaften in der platonischen Schule,
Stoccarda 1963).
K. REINHARDT, Platons Mythen, Berlino 1927, p. 118.
J. H. M. M. LOENEN, De Nous in het Systeemvan Plato's Philosophie, Amsterdam 1951, pp. 167 ss.
A. E. TAYLOR, Plato. The man and his Work, Londra 1956, pp. 395 ss.
K. GAISER, La metafisica..., p. 174.

rende inevitabile una svolta8. Se ne pu arguire, dunque, che il livello ludico della vicenda
mitica venga superato immediatamente, e che ci che richieder la concentrazione e l'attenzione di
Socrate il Giovane non sar una favoletta, ma un racconto atto a superare le difficolt
precedentemente incontrate e a permettere la ripresa del procedimento diairetico: un mito ormai
dimenticato, che sar utile per definire cos' il re 9. arrivato per il momento, ancor
prima di affrontare queste specifiche problematiche, di presentare i canoni fondamentali della
corrente interpretativa della scuola di Tubinga. Come ogni rivoluzione, essa tale perch si
inserisce, modificandolo nel contempo, all'interno di un sistema, costituito nello specifico dagli
studi critici tradizionali su Platone, con il quale non si identifica e nel quale non si riconosce. Penso
sia dunque utile, proprio al fine di una migliore comprensione delle teorie dei tubinghesi, accostarsi
ad una visione generale e d'insieme, un grand'angolo dei principali paradigmi interpretativi della
filosofia platonica.

1.1 Gli orientamenti della ricerca su Platone.


Il filosofo Hans Georg Gadamer scrisse, a proposito della situazione globale degli studi platonici
sviluppatisi sino al 1974, che il problema generale dell'interpretazione platonica,
quale si presenta a noi oggi, si fonda sull'oscuro rapporto esistente tra l'opera
dialogica e la dottrina di Platone, che conosciamo soltanto tramite la tradizione
indiretta10. In effetti, davvero curioso notare come una delle pi accese ed aspre querelle
critiche sia potuta sorgere nei riguardi di un filosofo, del quale possediamo tutte le numerose opere
da lui destinate alla pubblicazione. Ma ci pu essere sufficiente per poter dire di avere, di quello
stesso filosofo, un quadro preciso, chiaro, fondato e, soprattutto, completo? Si pu dire, cio, di aver
compreso un filosofo o un autore solo perch lo si letto? Di aver carpito tutti i suoi insegnamenti, i
suoi consigli, le sue dottrine, perch ci si confrontati direttamente con i suoi testi? Pu essere
ritenuto valido, insomma, il ragionamento possiedo tutto ci che stato scritto da un
8
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10

M. TULLI, La storia impossibile nel Politico di Platone, <<Elenchos>>, 14 (1994), p. 5.


M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica, Milano 1996, p. 80.
H. G. GADAMER, Studi platonici, 2 voll., Casale Monferrato 1994, vol 2, p.90.

autore ergo so tutto di quell'autore? Domande e problematiche di tal sorta risultano essere
particolarmente spinose proprio nei confronti e nei riguardi di Platone. Si potrebbe quasi dire, con
voluta provocazione, che, almeno secondo alcuni studiosi, mentre della maggioranza dei filosofi del
pensiero antico (Parmenide, Eraclito..) sappiamo troppo poco, di Platone al contrario sappiamo
troppo. Difatti, in aggiunta ai dialoghi filosofici a noi pervenuti, possediamo testimonianze
importanti sulle dottrine del filosofo grazie anche al preziosissimo contributo fornitoci dalla
tradizione indiretta. Il problema di fondo per dato dal fatto che proprio queste ultime
testimonianze, lungi dall'integrarsi coerentemente con le indicazioni forniteci dalle opere scritte,
presentano un quadro e un'immagine della filosofia di Platone sostanzialmente diversa rispetto a
quella dei dialoghi (sebbene non siano mancati tentativi di identificazione delle dottrine proposte
dalle fonti indirette con quelle presentate dai dialoghi filosofici, come vedremo successivamente a
proposito della concezione trabattoniana dei principi platonici). A ben vedere, i dialoghi filosofici e
le testimonianze delle fonti indirette partono da basi completamente divergenti. I primi, infatti,
furono opere promosse e divulgate dal filosofo presso un ampio uditorio di pubblico. Le seconde, al
contrario, indipendentemente dalla paternit e dal valore che si voglia loro attribuire,
presenterebbero, secondo gli studiosi, dottrine circolanti nel chiuso e circoscritto ambiente
dell'Accademia. infatti doveroso precisare sempre, quando si parla di Platone, che questi non fu
semplicemente e solamente un filosofo, ma anche un vero e proprio paideuta, il quale era solito
tenere cicli di lezioni presso i suoi discepoli sui pi importanti elementi ed aspetti della propria
filosofia. Com' ben noto, l'Accademia, fondata da Platone ad Atene nel 387 A.C, costitu uno dei
centri culturali ed intellettuali di spicco della capitale Attica del IV secolo prima della nostra era.
Essa costituiva un istituto di studio e ricerca, dotato di mezzi e finanze autonomi, in cui maestri e
discepoli conducevano vita comune. Si trattava, dunque, di una vera e propria comunit di studio,
che si radunava per poter coltivare il pi alto sapere. Nell'Accademia antica convennero inoltre
personalit di spicco ed eccellenza della cultura dell'epoca, tra le quali da menzionare soprattutto
il nome di Aristotele. Questo non solo perch Aristotele fu senza dubbio, proprio assieme al maestro

Platone, il massimo pensatore del mondo antico, ma anche perch risulta essere proprio lo stagirita,
in molti suoi testi, a testimoniare, in maniera peraltro abbastanza frequente, dottrine platoniche
circolanti all'interno dell'Accademia stessa. Sul rapporto tra Aristotele e Platone nota soprattutto la
violentissima critica alla teoria delle idee platoniche, portata avanti dallo stagirita nei libri della
Metafisica11. Ma la teoria delle idee, indipendentemente da come la si voglia leggere e
comprendere, venne comunque professata esplicitamente da Platone nelle sue opere filosofiche. La
Ideenlehre, o meglio una Ideenlehre viene presentata da Platone, ad esempio, nel Fedone: ci su
cui ancora non v' concordia di opinioni da parte degli studiosi su come intenderla. Pi
enigmatica, in quanto essa non pu trovare un appoggio effettivo nei dialoghi, risulta invece essere
la seguente testimonianza, tratta dal libro A della Metafisica.

' , .
, ' .12

Poich quindi le Forme sono cause delle altre cose, Platone ritenne che gli elementi costitutivi delle Forme fossero gli
elementi di tutti gli esseri. Come elemento materiale delle Forme egli poneva il Grande e Piccolo, e come causa formale
l'Uno.

Questa frase, di fatto, presenta al lettore platonico un vero e proprio superamento del piano
metafisico della Ideenlehre, in quanto ravviserebbe, al di sopra delle idee, i principi delle idee
medesime, qui chiamati Uno e Diade Indefinita. Ma proprio di questi presunti vertici metafisici
Platone non parla esplicitamente nei dialoghi.
In generale, possiamo dire che Aristotele riferisce ed attribuisce a Platone, in numerosi passi delle
sue opere13, dottrine non presenti nei dialoghi, n facilmente coordinabili con il contenuto di essi.
Nel IV libro della Fisica14, Aristotele denomina tali insegnamenti . Ai passi
11
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13

14

Cfr. Metaph., A 9.
Metaph., A 6, 987 B 18-21.
Si veda in particolare il cap. 6 del Libro A della Metafisica (987 B 29- 988 A 15) nel quale Aristotele compie
un'esposizione riassuntiva dei fondamenti filosofici del pensiero platonico.
Phys., IV, 2, 209 B 14, .

aristotelici vanno aggiunti anche quelli, altrettanto significativi, di Teofrasto, il quale attribuisce a
Platone, in un passo della Metafisica15, contenuti dottrinali simili a quelli presentati da Aristotele.
Aristosseno16, invece, ad informarci del fatto che Platone tenne almeno una esposizione pubblica
di dottrine, non coincidenti con quelle dei dialoghi, cui il filosofo diede il titolo .
Sappiamo inoltre, da Simplicio17, che almeno cinque scolari di Platone (Aristotele stesso,
Speusippo, Senocrate, Eraclide, Estieo) esposero per iscritto proprio quelle dottrine sul Bene.
Grazie al contributo di Alessandro d'Afrodisia18, che Wilpert19 dimostr essere stato a conoscenza
del testo aristotelico, sono giunti sino ai nostri giorni ampi frammenti dell'esposizione aristotelica.
Infine, attraverso Porfirio e Dercillida, Simplicio20 ci ha conservato un passo di Ermodoro in cui, sia
pur in maniera estremamente sintetica, vengono accennate ed attribuite a Platone dottrine simili a
quelle a noi fornite dalla testimonianza di Aristotele. Franco Repellini 21, con metodo del tutto
condivisibile22, opera, nella sua rassegna critica, una significativa distinzione tra queste
testimonianze, tutte contraddistinte dall'essere indiscutibilmente riferite a Platone, ed un secondo
gruppo di fonti indirette, costituite prevalentemente da altri passi aristotelici, che, pur presentando
nel complesso dottrine simili a quelle del primo gruppo, non possono tuttavia essere con certezza
riferite a Platone, in quanto non contengono, al loro interno, l'indicazione dei membri
dell'Accademia che le formularono e condivisero 23. Il resoconto delle fonti indirette pu terminare
con materiale di forse minor importanza ed evidenza, quantomeno per il nostro specifico campo
d'indagine, costituito da resoconti dossografici in cui materiale dottrinale accademico-platonico si

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Metaph., 6, A 15-B 17.


Harm. elem., 2, 20, 13-31, 3 (Macran).
In Aristot. Phys., (I, 4, 187 A 12) p.151.
Cfr. W. D.ROSS, Aristotelis Fragmenta selecta, Oxford 1955, pp. 111-120.
P. WILPERT, Reste verlorener Aristotelesschriften bei Alexander von Afrodisias, <<Hermes>>, 75 (1940), pp. 376378.
In Aristot. Phys., (I, 9, 192 A 3) pp. 247-248.
F. F. REPELLINI, Gli Agrapha Dogmata di Platone: la loro recente ricostruzione e i suoi presupposti storicofilosofici, <<Acme>>, 26 (1973), pp. 51-84.
Ritengo sia sempre conveniente adottare una certa cautela nell'attribuire a Platone le dottrine testimoniateci dalle
fonti indirette, specie quelle che non menzionano direttamente il nome del filosofo. Spinti dalle loro considerazioni,
gli esoterici rischiano infatti di addurre, a riprova delle loro tesi, testimonianze, come quella citata alla nota 23, che
non affatto detto si riferiscano alla filosofia platonica. Ci, del resto, costituisce uno dei principali punti di
disaccordo e contrasto tra esoterici e non-esoterici.
Cfr Metphys., I, 3, 1090 B 13-1091 A 5; Cfr. anche De An., I, 2, 404 B 16-30.

trova sovente mischiato con formulazioni teoriche extra-accademiche 24, da vari accenni sparsi alle
dottrine esoteriche rintracciabili negli antichi commentari ad Aristotele, ed infine dall'opera pseudoaristotelica , contenente materiale dottrinale dell'antica Accademia. Nel loro insieme,
comunque, queste testimonianze forniscono un'immagine di Platone nuova ed inedita per un lettore
abituale dei dialoghi filosofici. In particolar modo emergerebbe, da un confronto sinottico tra queste
fonti, che il vertice metafisico ed il conseguente fondamento teoretico di Platone non sarebbe pi
costituito dalle idee e dalla conseguente teoria delle idee, bens da un'ulteriore fondazione
della teoria delle idee, cio la teoria dei principi. Di fronte ad una situazione del genere, assai
perentorio il giudizio di Repellini: non c' scampo, dunque: il problema delle
dottrine non scritte non pu essere messo da parte come secondario, ma
riguarda il centro filosofico del pensiero platonico25.
Prima della pubblicazione del libro di Krmer nel 1959, l'atteggiamento della critica nei confronti
delle fonti indirette fu particolarmente scettico e riduttivo. Ci fu vero, in particolar modo, per
quanto concerne l'opera ed il pensiero di Friedrich Schleiermacher, il cui approccio ermeneutico ai
testi platonici venne denominato da Krmer e dal pi autorevole esponente della scuola esoterica di
Milano Giovanni Reale, sulla base della teoria delle rivoluzioni scientifiche di Th. Kuhn, scienza
normale e paradigma tradizionale26. Lo Schleiermacher contribu infatti, in maniera
significativa, all'affermarsi dell'idea che Platone si risolvesse totalmente nei dialoghi, curando dal
1804 al 1828 un'imponente traduzione di Platone 27, la prima tecnicamente e filosoficamente
sistematica, che mise perfettamente in luce, soprattutto nell'Einleitung, la sua visione sul rapporto
dialoghi-teorie non scritte. Tale rapporto poteva, nella coscienza schleiermacheriana, essere
riassunto nel seguente assunto: gli scritti sono autarchici ed hanno una valenza
autonoma totale. Il filologo tedesco difatti, suggestionato dai principi dell'estetica romantica,
(la forma d'arte, per lui, si identificava necessariamente con il suo contenuto, in quanto
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SESTO EMPIRICO, Adv. Math.., X, 248-283.


F. F. REPELLINI, Gli Agrapha Dogmata di Platone.., pp. 52-53.
Sul tema dei Paradigmi scientifici e della loro applicazione all'ermeneutica platonica, si vedano i primi due ampi
capitoli di G. REALE, Per una nuova interpretazione di Platone..., pp. 21-84.
D. SCHLEIERMACHER, Platons Werke, Berlino 1804-1828.

riprodurrebbe l'infinito nel finito individualizzandolo) giunse a definire i dialoghi come una sintesi
perfetta di forma e contenuto, totalmente coerente ed inscindibile. Alla domanda che ponevamo in
precedenza, se cio potesse essere sufficiente, per comprendere il pensiero di Platone, basarsi
unicamente su quello che proprio da Platone era stato messo per iscritto, lo Schleiermacher avrebbe
certamente risposto in maniera positiva. Per lui i dialoghi avevano una palese unit dottrinale ed
esprimevano un preciso e chiaro sistema filosofico. Di conseguenza, la tradizione indiretta finiva
col perdere ogni valore ai fini di una corretta comprensione della filosofia platonica. Sarebbe
sufficiente, io credo, citare la seguente frase del filologo tedesco per avere un'idea del suo pensiero
riguardo alle fonti indirette e ad un presunto Platone esoterico: Aristotele non si richiama
mai ad altre fonti, ma si richiama piuttosto dappertutto in modo naturale e
semplice, agli scritti pervenutici28. Lo stesso Schleiermacher, del resto, non negava a priori
la possibilit di un Platone esoterico. Semplicemente negava che questo Platone esoterico potesse
presentare teorie filosofiche inedite e non armonizzabili con quelle dei dialoghi. Fu proprio
Schleiermacher, infatti, ad asserire che anche dove, qua e l, vengono citati altri
insegnamenti perduti o forse orali, queste citazioni non contengono affatto
qualcosa che non si legga nei nostri scritti o che si discosti interamente da
essi29. Egli, inoltre, suppose che il filosofo avesse scritto le sue opere in un ordine preciso, e
secondo un chiaro piano pedagogico. Il lettore, secondo quest'impostazione di pensiero, avrebbe
dovuto esser avviato dalla successione degli scritti su una strada che lo potesse portare dai fenomeni
ovvi alla conoscenza delle idee supreme. Una perfetta coerenza degli scritti e un conseguente
ridimensionamento delle fonti indirette, sono dunque i due aspetti principali delle teorie di
Schleiermacher. Ovviamente questa tesi necessitava, per poter essere espressa a ragion veduta e con
cognizione di causa, di due necessari corollari: 1) un'analisi attenta degli unici custodi della verit
platonica, i dialoghi, analizzati a fondo nella loro forma e struttura oltre che nella loro effettiva
successione cronologica, 2) una contemporanea neutralizzazione delle testimonianze della
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29

D. SCHLEIERMACHER, Einleitung (ristampata nel volume: AA. VV., Das Platonbild. Zehn Beitrage zum
Platonverstandnis, a cura di K. GAISER, Hildesheim 1969), p. 9.
Ibidem.

tradizione indiretta, laddove essa pareva essere effettivamente inconciliabile con i dati espressi dai
dialoghi a noi tramandati. A quest'ultima operazione critica si dedicarono in modo particolarmente
attivo, tra gli altri, Shorey30, Wilamowitz-Moellendorf31, Natorp32 e Cherniss33. La critica di questi
studiosi prese le mosse dalla natura stessa delle testimonianze prese in oggetto. Le fonti sono
indirette, dunque ci che in esse viene espresso non viene presentato direttamente da Platone: ne
consegue che, se le testimonianze forniteci sono in accordo con quanto l'autore presenta nelle opere
da lui direttamente composte, allora queste possono essere considerate attendibili. Se invece, come
abbiamo visto essere il caso di Platone, le testimonianze indirette non sono coerenti con quanto
esposto dal pensatore nei suoi scritti, allora queste devono essere rigettate come inattendibili. In
particolare, sostiene Cherniss, si pu ritenere come molto probabile un fraintendimento ed una
incomprensione, da parte di Aristotele, di alcuni punti dottrinali essenziali del pensiero platonico. Il
difetto di questa linea interpretativa consiste fondamentalmente nel sminuire, in un certo qual senso,
il ruolo che, in tutto questo, ebbe uno dei massimi pensatori del mondo greco. Bisognerebbe, difatti,
supporre che Aristotele, pur essendo stato senza dubbio il miglior discepolo di Platone all'interno
dell'Accademia e pur avendo l studiato per ben 19 anni, abbia completamente travisato, in maniera
peraltro abbastanza ingenua, il pensiero del suo maestro. Un'ipotesi del genere appare debole anche
per Luc Brisson34, uno dei pi convinti studiosi anti-esoterici francesi, del quale avremo modo di
parlare anche in relazione al mito di cui ci occuperemo successivamente. Un'altra interpretazione
(questa s apprezzata da Brisson35) tenderebbe, invece, a sottolineare la pratica aristotelica
consistente nel riportare e nel criticare non ci che stato effettivamente scritto da Platone, ma gli
sviluppi ai quali aveva dato forma la filosofia platonica all'interno dell'Accademia. Effettivamente,
in molte testimonianze sopravvissuteci della tradizione indiretta non viene esplicitato in maniera
chiara il nome di Platone, ed alcune teorie in esse riportate come, ad esempio, quella delle linee
indivisibili potrebbero maggiormente adattarsi a Senocrate piuttosto che a Platone. Nel panorama
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P. SHOREY, De Platonis Idearum Doctrina, Monaco 1884, pp. 31-39.


U. VON WILAMOWITZ-MOELLENDORF, Platon, Berlino 1919, I vol., p. 705.
P. NATORP, Platos Ideenlehre, Leipzig 1921, p. 441.
H. CHERNISS, Aristotle's Criticism of Plato and the Academy, I vol., Baltimora 1944.
L. BRISSON, Gli orientamenti recenti della ricerca su Platone, <<Elenchos>>, 15 (1994), p 282.
Ibidem.

critico italiano, la studiosa che, con pi intensit ed impegno, ha portato avanti quest'ultima tesi
stata Margherita Isnardi-Parente36. A suo dire, la testimonianza aristotelica sulle Dottrine non
scritte sarebbe totalmente inattendibile; non solo perch Aristotele era solito interpretare i filosofi a
lui precedenti con schemi e categorie mentali a lui proprie e familiari, ma ignote ai suoi
predecessori, ma anche perch lo stagirita non si sarebbe accorto che la filosofia di Platone era s
incentrata sulle idee, ma che queste avevano carattere assiologico, prima ancora che ontologico. Ne
consegue che il deontologismo, il confronto continuo con il modello che costituiva
l'essenza della filosofia di Platone, venuto meno a favore di un ontologismo di
tipo derivativo, di una struttura graduale dell'essere, in cui l'elemento
matematico assume particolare rilievo37. Su queste basi si sarebbero mossi Senocrate, gli
Accademici, e lo stesso Aristotele nella Metafisica. La Isnardi-Parente vedrebbe, in queste dottrine
accademiche, un tentativo di salvaguardia dell'integrit del pensiero platonico. Sarebbe quindi stato
in corso, nell'Accademia, un'opera di difesa del maestro e di rincalzo delle sue teorie.
Effettivamente, il pensiero platonico appare, a tratti, fortemente ambiguo, soprattutto per quel che
concerne la teoria delle idee: quest'ultime, ad esempio, erano s entit semplici, 38,
39, ma erano anche, in virt del procedimento diairetico, sottoposte ad una
scomposizione analitica la quale non poteva che creare crepe al principio dell'unitariet dell'idea. Al
fine di sanare problematiche come questa, gli Accademici avrebbero ravvisato una struttura
composita all'interno delle idee stesse: in tal modo esse sarebbero state concepite come strutture
derivanti da unit e molteplicit, senza differenziazioni di sorta col numero. Ora, proprio Aristotele,
nel libro M della Metafisica40, ci dice che le idee furono concepite in un certo modo all'inizio (
) e in un altro successivamente, secondo la natura del numero, .
Concepirle in questo modo, per la studiosa italiana, significava andare oltre i dialoghi, i quali
riconoscevano le idee come intrinsecamente unitarie, pur essendo molteplici di numero, e portare la
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M. I. PARENTE, Il problema della dottrina non scritta di Platone, <<La parola del Passato>>, 41 (1986), pp. 5-30,
ID, L'eredit di Platone nell'Accademia antica, Napoli 1989.
M. I. PARENTE, L'eredit di Platone.., p. 28.
Phaed., 78 C 7.
Phaed., 59 C.
Metaph., 1078 B 11-12.

composizione uno-molteplice interiormente all'idea stessa, dandole struttura analoga a quella del
numero. Gli accademici, con la teoria dei principi avrebbero tentato una soluzione ad aporie come
quella prima citata, non rendendosi conto, sempre secondo la Isnardi-Parente, di aver snaturato
completamente il pensiero del loro maestro, e di essere caduti, a loro volta, in altre gravi aporie.
Come detto in precedenza, infatti, Platone non ha mai parlato di idee composte, n tanto meno di
principi formanti le idee stesse. Del resto, conclude la studiosa, come potrebbero le idee essere
composte da elementi, considerato che, se ci fosse vero, si introdurrebbe in esse un principio di
, che per Platone ammette solo per i sensibili? Ed inoltre non erano state proprio le idee ad
essere definite, come abbiamo visto, ed ? Quali conseguenze trarre da questa tesi?
Evidentemente che le fonti indirette, in virt degli aspetti test citati, non possono essere
considerate validi strumenti di comprensione della filosofia di Platone. Da una loro lettura, semmai,
il lettore pu trarre informazioni sugli sviluppi della dottrina dell'Ateniese all'interno
dell'Accademia e tra i suoi discepoli. Secondo il Repellini 41, anche l'ipotesi dell'evoluzione
accademica del pensiero platonico sarebbe per minata da un'aporia di partenza: bisognerebbe
infatti immaginare che Platone fosse rimasto totalmente estraneo alla formazione di un corpus
dottrinale cos complesso ed articolato, che pure sarebbe stato elaborato (quanto meno in parte)
all'interno dell'istituto da lui stesso fondato. Una ulteriore linea di pensiero vide invece nelle
presunte Dottrine non scritte un'appendice cronologica della filosofia platonica. Rispetto alla
corrente precedentemente citata, questa teoria interpretativa (rappresentata, tra gli altri, dal Robin 42,
dal Gentile43, dalla De Vogel44 e dal Ross45) recupera le fonti indirette come effettivamente
platoniche, ma di fatto emargina i contenuti da esse presentate all'ultimo periodo di vita del filosofo.
In tal modo, sarebbe necessario conciliare le dottrine non scritte solo con quanto esposto da Platone
nei suoi ultimi dialoghi (in special modo il Parmenide e i il Filebo). Ne deriverebbe, come
necessaria conseguenza, l'idea di uno sviluppo e di una evoluzione continua della propria filosofia
41
42
43
44
45

F. F. REPELLINI, Gli Agrapha Dogmata di Platone.., p. 53.


L. ROBIN, La thorie platonicienne des ides et des nombres d'aprs Aristote, Parigi 1908.
M. GENTILE, La dottrina platonica delle idee-numeri e Aristotele, Pisa 1930.
C. DE VOGEL, Problem concerning later Platonism, <<Mnemos>>, 4 (1949), pp. 197-216 e 299-318.
W. D. ROSS, Plato's Theory of Ideas, Oxford 1953.

da parte dello stesso Platone. Secondo il Repellini, estremizzando questo pensiero si potrebbe anche
non essere obbligati a conciliare le dottrine non scritte con alcun dialogo. Basterebbe, infatti,
posticipare cronologicamente queste dottrine al periodo immediatamente successivo all'anno di
composizione dell'ultimo dialogo scritto di Platone, per evitare qualsiasi tipo di confronto e
parallelismo. A questo punto, penso si possa meglio comprendere in che senso Reale46 possa parlare,
con terminologia pure criticata da Luc Brisson47, di rivoluzione scientifica, a proposito del
paradigma di Tubinga. A partire dal 1959, infatti, il rapporto con le due metodologie d'approccio
tradizionali alle fonti indirette e alle teorie non scritte sub uno scossone fortissimo. Krmer, Gaiser,
Reale48 sostennero, in tutte le opere da loro pubblicate, la tesi che Aristotele avesse divulgato in
forma scritta dottrine platoniche professate in forma orale dallo stesso Platone nel quadro
dell'Accademia. Loro convinzione che Platone in nessun momento avesse messo per iscritto
tutta la sua filosofia, ma che fin dai primi dialoghi, al contrario, avesse maturato la convinzione di
riservare alla formulazione orale l'acme del suo pensiero. Contro l'impostazione di Cherniss e di
Schleiermacher si recupera dunque il valore della tradizione indiretta: contro Brisson e la IsnardiParente si sostiene la paternit platonica e non accademico-platonizzante delle dottrine professate e
presentate dalle fonti indirette; infine contro coloro che concepivano le dottrine non scritte come
semplice appendice cronologica, si oppone un pensiero chiaro e sistematico di Platone sul rapporto
tra oralit e scrittura sin dall'epoca di realizzazione delle sue prime opere. Il cuore del pensiero
platonico al di l dello scritto, riposa nell'insegnamento orale. L'operazione compiuta dai
tubinghesi esattamente opposta a quella di Cherniss. A dover essere, in un certo senso, svalutati
sono ora proprio i dialoghi filosofici. Questi ultimi, come ben messo in luce da Gaiser, non hanno la
loro funzione pi importante nella comunicazione di dottrine, ma presentano solo funzioni
psicagogiche. Il loro effetto unicamente catartico e terapeutico: devono, infatti, liberare l'anima da

46
47
48

G. REALE, Per una nuova interpretazione.., pp. 89 ss.


L. BRISSON, Gli orientamenti recenti.., pp. 281-282.
I lineamenti del Platonbild tubinghiano sono tracciati in particolare nei succitati H. G. KRMER, Arete bei Platon
und Aristoteles.., in K. GAISER, Platons ungeschriebene Lehre.., in G. REALE, Per una nuova interpretazione di
Platone..,In seguito, sulla base di questi lavori, si sono sviluppate svariate analisi e ricerche, le quali non hanno,
per, portato a modifiche di rilievo nel quadro del nuovo paradigma ermeneutico.

false credenze ed opinioni, aiutandola a purificarsi dagli errori49. Per quanto riguarda, invece, la
teoria dei Principi e le questioni filosofiche ultime, esse verrebbero unicamente accennate nei
dialoghi, attraverso suggestive, ma al contempo ambigue, immagini simboliche. La loro esposizione
completa e scientifica sarebbe invece stata presentata durante le lezioni orali tenute nell'Accademia.
In questo modo, lo scritto avrebbe semplicemente assunto la funzione di sostegno della memoria
() limitandosi semplicemente a riattivare un sapere potenzialmente gi presente nella
mente del discepolo platonico. Szlezk50 avrebbe, in effetti, dimostrato la particolarissima tecnica di
scrittura dei dialoghi platonici che, come l'oracolo di Apollo a Delfi, sembrerebbero sempre
rimandare ad una forma di sapere che li travalica. Non sono rari, difatti, i passi di dialoghi filosofici
in cui il conduttore stesso del colloquio rimanda l'esame di un determinato problema, mostrando, in
tal modo, un atteggiamento chiaramente ed apertamente reticente (i cosiddetti passi di omissione,
Aussparungstellen). Visto e considerato che il dialogo platonico non mai dialogo tra pari, ma
che il conduttore del dialogo (Socrate per lo pi) si pone sempre in condizione di vantaggio e
superiorit intellettuale rispetto all'interlocutore, tali omissioni avrebbe l'unica loro finalit, almeno
secondo il Tubinghese Szlezk, di rimandare all'esposizione orale-accademica le questioni
concernenti gli aspetti pi importanti della realt. Socrate apparirebbe come l'unico vero filosofo, in
quanto in grado di venire in aiuto alle proprie stesse tesi, grazie alla conoscenza di contenuti teorici
di valore superiore. Eppure, continua Szlezk, sarebbero proprio queste stesse teorie fondanti ed
ultimative a non venir esposte dal filosofo, il quale, con scelta deliberata, deciderebbe
volontariamente di non esporle. Come facile capire, si verrebbe qui a creare una identificazione
pressoch totale tra la figura di Socrate e quella del discepolo Platone. Da questo punto di vista, le
dichiarazioni di reticenza fatte da Socrate all'interlocutore corrisponderebbero a quelle presentate al
lettore da Platone. Secondo Szlezk, dunque, nel momento stesso in cui Socrate non dice tutto a
coloro che parlano con lui, perch questi non sarebbero in grado di comprenderlo, Platone direbbe,
al contempo, al lettore che neppure egli pu essere esauriente nei suoi dialoghi:Platone,
49

50

K. GAISER, Platone come scrittore filosofico. Saggi sull'ermeneutica dei dialoghi platonici, Napoli 1984, pp. 3145.
T. A. SZLEZK, Come leggere Platone, Milano 1991.

insomma, avrebbe costruito personaggi cui Socrate non pu dire tutto per non
essere costretto, attraverso le parole di Socrate, a dire tutto al lettore 51. In questo
modo, verrebbero ad essere espresse le due principali pecche (Schaden) del testo scritto, una
riguardante il destinatario, ed una riguardante la cosa stessa. Se infatti un libro cadesse nelle mani
sbagliate di un lettore impreparato, esso risulterebbe, nei suoi riguardi, non solo inutile ma anche
dannoso potendolo allontanare dalla ricerca della sapienza. Inoltre, la diffusione indiscriminata
promossa dal testo scritto finirebbe per corrompere il testo medesimo, in quanto lo sottoporrebbe
alle critiche degli ignoranti, senza alcuna possibilit di difesa. La chiave di volta per la
comprensione di questo fenomeno sarebbe riposta, secondo i tubinghesi, all'interno della critica
della scrittura portata avanti nel Fedro. Nella parte finale del suddetto dialogo viene detto, in
effetti, che lo scritto , perch, una volta pubblicato, si diffonde ovunque e raggiunge sia
coloro che sono in grado di intenderlo, sia coloro che non lo possono capire. Di conseguenza, non
pu rispondere alle obiezioni che vengono a lui presentate, senza l'ausilio fondamentale del padre,
cio dell'autore stesso. Per questo motivo, l'esposizione letteraria indurrebbe fin troppo facilmente
in errori ed equivoci, mostrando tutti quanti i suoi limiti e la sua incapacit nella comunicazione di
determinate conoscenze. Penso che valga la pena riportare il testo della parte finale del Fedro,
considerato da Maurizio Migliori52 il vero cavallo di battaglia di tutti gli esponenti della
scuola di Tubinga.

, , ' , .
, ' , . ,
, . ,
, ' ' ,
. '
53.

51
52
53

F. TRABATTONI, Scrivere nell'Anima. Verit, dialettica e persuasione in Platone, Firenze 1994, p.105.
M. MIGLIORI, Il <<Parmenide>> e le dottrine non scritte di Platone, in AA. VV. 1991, p. 39, n. 16.
Phaedr, 275 D 4-E 6.

Perch, o Fedro, questo ha di terribile la scrittura, simile, per la verit, alla pittura. Infatti, le creature della pittura ti
stanno di fronte come se fossero vive, ma se domandi loro qualcosa, se ne restano zitte, chiuse in un solenne silenzio; e
cos fanno anche i discorsi. Tu crederesti che parlino pensando essi stessi qualcosa, ma se, volendo capire bene,
domandi loro qualcosa di quello che hanno detto, continuano a ripetere una sola e medesima cosa. E una volta che il
discorso sia scritto, rotola da per tutto, nelle mani di coloro che se ne intendono e cos pure nelle mani di coloro ai quali
non importa nulla, e non sa a chi deve parlare e a chi no. E se gli recano offesa e a torto lo oltraggiano, ha sempre
bisogno dell'aiuto del padre, perch non capace di difendersi e di aiutarsi da solo.

Altro passo importante, continuamente citato dai tubinghesi a sostegno delle proprie tesi, la
celeberrima frase contenuta all'interno della settima lettera: su queste cose non c' un mio
scritto e non ci sar mai 54. Non poteva esserci, per la scuola di Tubinga, perch le verit
fondamentali, i vertici della metafisica platonica richiedevano, come conditio sine qua non, un
metodo di esposizione ad essi adeguato: quello orale, indirizzato ad un ristretto pubblico di persone
ed allievi competenti, avvezzi a pratiche ed attivit filosofico-dialettiche. Se invece queste stesse
tesi fossero state esposte in maniera pubblica, esse avrebbero potuto causare fraintendimenti,
distorsioni o, peggio, manipolazioni da parte di un pubblico inesperto e preparato. Lo scrivere sui
principi supremi non sarebbe stato, di conseguenza, impossibile, bens inutile (per chi non avesse
avuto le conoscenze adeguate) e dannoso (perch ci sarebbe stato chi consapevolmente avesse
voluto alterarli). Una corrente interpretativa anti-esoterica (detta del dialogo letterario) replic a
queste asserzioni, considerando che i testi platonici fossero in realt esclusi dalle critiche del Fedro
e della VII lettera. Il filosofo avrebbe, infatti, creato e fondato una nuova forma letteraria
perfettamente legittima dal punto di vista filosofico: il dialogo. Attraverso la forma dialogica,
Platone avrebbe assegnato ai suoi testi scritti il vantaggio decisivo del vivo colloquio orale. In
questo modo, il lettore non verrebbe indottrinato dai dialoghi, bens stimolato a cercare da se stesso
la verit. Questo perch i dialoghi, che pure sono certamente testi scritti, in virt della loro stessa
struttura mobile non presenterebbero la sclerotizzata fissit di un trattato o di una fredda opera
dogmatica, contro la quale, ed unicamente contro la quale si muoverebbe Platone, almeno secondo
54

Epist, VII, 341 C 5, .

questa interpretazione (portata avanti, in tempi recenti, soprattutto da Margherita Isnardi-Parente 55).
Dal punto di vista del contenuto, alla metafisica oggettiva e assoluta della interpretazione
tubinghese, verrebbe contrapposta, accettando l'ottica del dialogo letterario, l'immagine di un
pensatore provvisorio e non conclusivo, convinto che il pensiero riflettente sia condannato in eterno
a discutere sempre e solo le domande. Gaiser per non ravviserebbe, nel Fedro e nella VII
lettera, indicazioni che potrebbero far pensare ad un'effettiva differenziazione tra le opere del
filosofo ed il resto degli scritti. La condanna della scrittura sarebbe totale, e senza riserve.
Effettivamente, se si osserva analiticamente il testo sopra riportato del Fedro, si pu notare in
maniera chiara come, in esso, l'attacco sia rivolto allo scritto tout-court, senza differenziazioni di
sorta. Quando, a titolo di esempio, Socrate afferma che gli scritti, attraverso la pubblicazione,
raggiungono sia lettori esperti, sia coloro ai quali non importa nulla di ci che viene loro detto, e
dunque incontrano difficolt insormontabili nella loro esposizione di importanti dottrine filosofiche,
non viene in qualche modo esplicitata, da parte di Platone, una differenza tra i suoi dialoghi e gli
altri scritti. Il problema riguarda e tocca direttamente sia gli uni, che gli altri. A queste riflessioni, di
carattere critico-testuale, gli esoterici affiancano una concezione radicalmente differente, rispetto a
quella dei sostenitori del dialogo filosofico, della filosofia platonica. Il filosofo, a loro dire, non era
certo uomo che potesse accontentarsi delle domande, n, a citare Gaiser, di un tendere sempre
inconcluso56. Al contrario, Platone dovette aver elaborato, nel chiuso e circoscritto ambiente
dell'Accademia, dottrine metafisiche ultimative. Questo non significa che gli esoterici svalutino
totalmente i dialoghi filosofici. Chi compisse un'operazione del genere, cadrebbe in un errore
fatale57. I dialoghi, oltre alla funzione ipomnematica, hanno, secondo Gaiser, anche una funzione
protrettica. Essi intendono liberare il lettore da legami erronei, stimolarlo, incoraggiarlo e spingerlo
alla ricerca dell'Aret e dell'Eudaimonia. La questione cambia, per i Tubinghesi, se si analizza il
rapporto dialoghi scritti-verit filosofiche. Chi volesse conoscere l' del pensiero di Platone, non

55
56

57

M. I. PARENTE, Platone e il discorso scritto, <<Rivista di Storia della Filosofia>>, 46 (1991), pp. 437-461.
K. GAISER, Das Gold der Weisheit. Zum Gebet des Philosophen am Schluss des <<Phaidros>>, <<Rheinisches
Museum>> 132 (1989), tr.it. con introduzione di G. REALE, Milano 1990, p. 80.
K. GAISER, Platone come scrittore filosofico.., Napoli 1984, p. 48.

potrebbe fare affidamento sui dialoghi, l'effetto principale dei quali non da cercarsi nella
comunicazione di dottrine. L'unica soluzione, secondo i Tubinghesi, consiste nell'abbandonare lo
scritto (compreso il dialogo scritto), e ricercare le verit ultime unicamente nella dimensione
dell'oralit. Per sottolineare la complessit di tali problematiche, ed al contempo per mettere in
evidenza la straordinaria sottigliezza dei tentativi di soluzione a queste aporie realizzati dagli
studiosi, penso sia utile mostrare un'altra critica rivolta al paradigma di Tubinga, molto pi sottile e
pregnante rispetto a quella del Dialogo filosofico, prima citata. Franco Trabattoni, uno dei pi
accesi e convinti critici italiani del Platone di Tubinga, mostra di concordare col Gaiser e gli altri
studiosi della stessa scuola di Tubinga nella critica da tutti loro portata avanti nei confronti della
teoria schleiermacheriana del Dialogo filosofico: sembra in verit ovvio, da un lato, che i
dialoghi costituiscano la forma letteraria che pi si avvicina al discorso orale,
cio al discorso al quale Platone attribuisce il rango filosofico pi elevato. Ma mi
pare altrettanto ovvio, dall'altro, che pur sempre di testo scritto si tratta, e che
dunque nella sua sostanza non pu sfuggire alle censure ricavabili dal Fedro e
dalla VII lettera. vero in particolare che il dialogo, non diversamente dagli altri
libri, non in grado di scegliere da s il proprio lettore 58. Ma i punti di contatto tra gli
studiosi tedeschi e Trabattoni sono davvero molto pochi. Per quest'ultimo, infatti, le testimonianze
del Fedro e della VII lettera non conterebbero sic et simpliciter un attacco contro lo scritto a
favore dell'esposizione orale dei principi. La questione non cos immediata. Dall'analisi dei testi
succitati, non emergerebbe semplicemente una critica del discorso scritto, ma anche del discorso
orale (o meglio, di una particolare forma di discorso orale). Il compito principale della filosofia di
Platone, per Trabattoni, quello della persuasione dell'anima, mediante la dialettica. La finalit
consiste nel far s che l'Anima rammemori un barlume della verit, un tempo vista direttamente.
Questo passaggio anche lo scopo dei discorsi filosofici. Il loro compito quello di supplire alla
mancanza di una vera e propria intuizione intellettuale, stimolando nell'anima un esercizio dialettico
che eternamente si muove dall'uno ai molti e viceversa. Ma per poter compiere questa operazione,
58

F. TRABATTONI, Scrivere nell'anima.., p. 20.

per una giusta e corretta psicagogia fondamentale l'ausilio del dialogo, della dimensione socratica
del filosofare. La filosofia retorica, e la retorica (la vera retorica) 59 non pu fare a meno della
conoscenza, per poter riuscire veramente persuasiva. Per giungere alla verit, le anime devono
dialogare e cercare di persuadersi. Solo nell'anima e nella sua persuasione riposa la verit. Ci che,
a suo dire, separa radicalmente Platone dai presocratici, la consapevolezza, da parte del discepolo
di Socrate, che la sua scienza non possa essere comunicata come le altre, perch riguarderebbe
realt, come la bellezza e la giustizia, che non appaiono all'evidenza. Da qui il ricorso ai logoi,
presentato nel Fedone. Essi hanno come scopo la conduzione dell'anima a credere nella verit di
cose non visibili coi sensi. I non devono uscire dal compito di persuadere l'anima. Tuttavia
Platone si rende perfettamente conto che i ragionamenti ed i discorsi possano trasformarsi in
dottrine, in dogmi. Ma se i discorsi diventano dogmi, perdono il contatto con l'anima. Il loro
compito non pi quello di persuadere, ma di insegnare.
Da qui il sorgere degli accorati appelli del Fedro. Per la conoscenza filosofica, fondamentale il
dialogo socratico, con le sue domande e le sue risposte, ma soprattutto con il suo rapporto tra anime.
Il testo scritto, anche nella forma del dialogo platonico difesa dallo Schleiermacher, comunque un
qualche cosa di fisso, stabilito, cristallizzato. Non possiamo dialogare col Parmenide o col
Fedone; possiamo solo leggerli. possibile, quindi, iniziare ad intuire la critica rivolta dal
Trabattoni ai Tubinghesi: il discorso orale ha il grande vantaggio, rispetto allo scritto, di poter
presentare, al suo interno, una potenziale capacit di rispondere. La situazione dialogica
viva il dialogo socratico, e la vera filosofia psicagogia. I Tubinghesi, al contrario, eliminano di
fatto quest'aspetto, perch vedono nell'oralit il mezzo pi adeguato per esprimere delle dottrine, per
impartire i massimi insegnamenti, scorgendo perci il massimo vantaggio del discorso orale
semplicemente nel fatto che esso, a differenza dello scritto, comporta una selezione dell'uditorio di
riferimento (tenendo sempre, come costante punto di osservazione, la pratica di insegnamento orale
59

Non la retorica di Gorgia, insomma, contro la quale Socrate combatte aspramente. Il sofista considera la retorica
come l'arte di persuadere mediante discorsi, in ogni circostanza ed ambiente in cui ci possa rivelarsi utile (Gorg
452 E). Socrate si oppone (Gorg 453 D):egli nega che possa esistere un'arte della persuasione in quanto tale, distinta
dalla conoscenza degli oggetti su cui si vuole persuadere. L'arte di Gorgia una mera , perch non si basa su
una .

di Platone nell'Accademia di fronte all'uditorio selezionato dei discepoli). In tal modo, dunque, la
fissit del discorso scritto verrebbe semplicemente sostituita dalla fissit del discorso orale. Ma
proprio questa fissit del discorso orale, secondo Trabattoni, ad essere criticata, assieme allo scritto,
nel Fedro. Di conseguenza, nei passi di omissione analizzati da Szlezk non ci troveremmo di
fronte ad un Socrate che non vuole comunicare i suoi pensieri, ma che, pi semplicemente, non pu
comunicarli a noi. Secondo Trabattoni, il compito fondamentale del filosofo consiste nella
persuasione delle anime degli interlocutori. Ma le anime debbono essere persuase in maniera attiva,
attraverso un dialogo di tipo amebeo, con domande e risposte. Come potremmo, noi, porre
domande, essendo assenti dal dialogo? Per questo motivo (e solo per questo) Socrate presenterebbe,
in molti dialoghi, delle reticenze. Queste troverebbero giustificazione effettiva nel fatto che le tesi
esposte da Socrate, pur essendo state utili per la persuasione degli interlocutori di un determinato
dialogo, avrebbero potuto non essere sufficienti per la persuasione di potenziali interlocutori assenti.
Ogni anima individuale ha proprie specifiche ed uniche peculiarit, e pu dunque reagire in maniera
diversa alle teorie che vengono a lei esposte. Vero filosofo chi, come Socrate, possiede tutte le
conoscenze e le tecniche sufficienti e necessarie alla persuasione di ciascheduno di noi. Per poter far
questo, per, il filosofo deve poter dialogare con ciascuno di noi, conoscere a fondo le individualit
delle nostre anime. Non c' bisogno di dire che il discorso scritto non possa, in virt della sua stessa
natura, adempiere a questa funzione. Esso non alla persuasione individuale perch, come
detto nel Fedro, una volta scritto qualunque discorso si rivolge inesorabilmente ,
perdendo il contatto con le singolarit individuali. Al contrario, vero discorso filosofico quello
socratico, rivolto . Come si pu ben notare, partendo dall'analisi dei medesimi testi (in
special modo dallo studio del Fedro) l'analisi esoterica e quella anti-esoterica trabattoniana
giungono a conclusioni radicalmente opposte tra loro. Da questa breve rassegna di opinioni critiche
sul rapporto oralit-scrittura-dialogo in Platone, penso si possa dunque ben comprendere l'estrema
problematicit della materia di cui stiamo trattando. Soluzioni intermedie non possono essere
trovate: o Platone fu davvero critico accanito solo del discorso scritto, al quale dovrebbe venir

sempre in soccorso il discorso orale (in quanto rivolto ad un uditorio selezionato), ed allora la
scuola di Tubinga pu aver colto il nucleo principale del pensiero platonico; oppure, al contrario, se
ad essere corretta fosse l'interpretazione di Trabattoni, non solo i Tubinghesi avrebbero torto, ma
avrebbero anche frainteso in maniera grave il pensiero del filosofo portandolo, nella sfera
dell'oralit, ad un dogmatismo contro il quale, secondo il filosofo milanese, Platone combatterebbe
in ogni ambito, compreso quello dell'oralit stessa. Prendere posizione in un ginepraio come questo,
operazione tutt'altro che agevole. Come abbiamo potuto osservare, le testimonianze delle fonti
indirette, punto di partenza degli studiosi di Tubinga, si aprono alle pi divergenti interpretazioni.
certamente un dato di fatto che la testimonianza Aristotelica debba essere presa con le dovute
cautele, stante il particolare metodo storiografico-espositivo che la contraddistingue. Questa
operazione non stata portata avanti dai Tubinghesi n da Giovanni Reale, considerato che, come
abbiamo avuto modo di vedere, l'interpretazione esoterica della filosofia platonica trova proprio in
Aristotele la propria fonte principale di riferimento ed osservazioni. Ma non sarebbe forse un errore
altrettanto grande, quello di rifiutare tout court le testimonianze di Aristotele, bollandole come
semplici incomprensioni, alla maniera di Cherniss? Che dire, poi, delle autotestimonianze
platoniche del Fedro e della VII lettera? Rinviano davvero ad una dottrina esoterica, o mostrano
semplicemente la grande importanza che riveste il dialogo e il contatto tra anime in Platone, come
pensa Trabattoni? Non mia intenzione inserirmi all'interno di una o dell'altra corrente
interpretativa. Mio compito invece quello di presentare quale lettura possa offrirci una
rivisitazione in chiave protologica del mito del Politico. Per poter far ci, dunque necessario
passare attraverso un'analisi dei principi di Platone, cos come essi sono intesi dai tubinghesi e dalla
scuola di Milano. Ci costituir la seconda parte del mio lavoro.

1.2 I Principi platonici.


Ammesso, ma come abbiamo visto tutt'altro che concesso, che il Fedro e la VII lettera siano
davvero testimonianze offerteci da Platone per mostrare che le ultime ed estreme verit riposano al

di l del testo scritto, nella pratica dell'insegnamento orale dell'Accademia rivolto presso il pubblico
ristretto e selezionato dei discepoli; ammesso, con le forti obiezioni e riserve di cui abbiamo parlato
nel precedente paragrafo, che davvero le testimonianze delle fonti indirette siano indiscutibilmente
da riferirsi a Platone, e non piuttosto ai discepoli accademici, ebbene che cosa possiamo ricavare da
una lettura di queste stesse fonti? Riportiamo, in quanto estremamente significativa, la
testimonianza aristotelica del libro A della Metafisica.

' , .
, ' []60.

Poich le Idee sono causa per le altre cose, ritenne che gli elementi di essi fossero elementi di tutti gli enti. Come
elemento materiale delle Idee poneva il Grande e piccolo, e come causa formale l'Uno. Da quelli, infatti, per
partecipazione all'Uno, derivano le Idee [i Numeri].

Aristotele afferma che i principi della filosofia platonica, a suo dire, erano da identificarsi nell'Uno,
, e nella Diade indefinita di Grande e di Piccolo, . Il primo era da
intendersi come causa formale, ', il secondo come causa materiale, . Di fronte a
questa testimonianza gli approcci degli esoterici e degli anti-esoterici sono, come facile
immaginare, completamente diversi. La Isnardi Parente61 e Trabattoni62, per rimanere nel panorama
italiano, mettono in evidenza la palese distorsione operata da Aristotele nei confronti delle teorie
platoniche, causata dalla volont, da parte dello stagirita, di ravvisare nelle teorie dei suoi
predecessori schemi e concetti, che invece proprio con Aristotele stesso avevano trovato una prima
formulazione. Si pensi ai concetti di forma e materia che compaiono in questo passo. Reale, Gaiser,
Kramer e tutti i sostenitori della tesi esoterica, preferiscono concentrarsi invece direttamente sul
contenuto della testimonianza. Essa affermerebbe, dunque, che le stesse idee non costituivano
l'acme della metafisica platonica. Lungi dall'essere principi, erano anch'esse principiati. La loro
60
61
62

ARISTOTELE, Metaph., A 6, 987 B 18-22.


M. ISNARDI PARENTE, Il problema della <<Dottrina non scritta di Platone>>.., pp.. 8-10.
F. TRABATTONI, Scrivere nell'Anima.., pp. 267-274.

origine derivava dall'Uno e dalla Diade. Visto e considerato, inoltre, che le idee erano causa degli
elementi sensibili, questi stessi principi potevano essere considerati, di riflesso,
dell'intera realt. L'Uno causa formale delle idee, cos come le idee sono cause formali dei
sensibili. La Diade di grande e piccolo a livello intelligibile era la materia su cui agiva l'Uno, e, per
partecipazione dell'Uno, dava origine alle Idee e ai Numeri, cos come, a livello sensibile,
partecipando delle Idee, dava origine alle varie cose fisiche. Possiamo dire che, nella ricostruzione
della teoria tubinghese,la quale molto si appoggia a questa fonte, la filosofia di Platone si identifica
con una sorta di ontologia gradualistica, il cui sistema metafisico costruito sottoponendo la realt a
un duplice procedimento di riduzione a, e derivazione da, principi ed elementi. Una simile
concezione pare essere testimoniata anche da fonti di origine teofrastea63 e di Alessandro
d'Afrodisia64 (fonti che per, secondo la Isnardi-Parente, riprenderebbero direttamente Aristotele,
assumendone le distorsioni conseguenti), oltre che da Sesto empirico, in un passo 65 nel quale,
tuttavia, non chiaro a chi si riferisca il filosofo parlando di Unit e Dualit. Ora, nel testo
aristotelico ci sono ben due aspetti che potrebbero sembrare assai strani ai lettori dei dialoghi di
Platone; Leggendo le opere filosofiche platoniche, facile giungere alla conclusione che gli
elementi sensibili dipendano, per il filosofo, da quelli intelligibili, costituiti dalle idee (ammesso sia
valido concepire queste ultime come ontologicamente esistenti), e che esse rappresentino i valori
supremi. Nulla si direbbe, invece, sulla derivazione delle idee da ulteriori principi. Al tempo stesso,
nei dialoghi, non si troverebbe traccia di Numeri che, come super , deriverebbero direttamente
dai principi. Stando alla Repubblica, essi apparterrebbero ad una realt a mezzo() tra
quella sensibile e quella intelligibile. Il procedimento seguito da Platone per giungere alla
definizione dei supremi principi sarebbe, secondo gli esoterici 66, il seguente: ogni spiegazione della

63

64

65

66

TEOFRASTO, Metaph., 6, B 11-16,


, ' , ,
.
ALESSANDRO DI AFRODISIA, In Arist. Metaph., p. 56, 6-9, ,
.
SESTO EMPIRICO, Adv. Mathem., X, 262, , ,
, , .
H. KRMER, Platone e i fondamenti della metafisica.., pp. 53-54 e G.REALE, Per una nuova interpretazione di
Platone.., pp. 223-226.

realt, nel mondo greco, doveva giungere, se effettivamente valida, ad una unificazione della realt
medesima (si vedano le dottrine dei principi dei presocratici). Lo stesso Platone sarebbe giunto,
tramite le idee, ad unificare i molteplici aspetti del mondo sensibile, considerando ciascuna idea
come modello unificante di una pluralit di aspetti e realt sensibili. Le stesse Idee, per, avrebbero
presentato una nuova forma di molteplicit, di natura intellegibile, data dal fatto che esse erano,
comunque, molteplici di numero. Partendo da queste basi (basi che, tuttavia, secondo Trabattoni,
non sarebbero attinenti a Platone, ma ancora una volta derivanti dalla volont esoterica di leggere
Platone con gli occhi di Aristotele67), la sfera stessa delle Idee sarebbe dipesa da una nuova ulteriore
realt, quella dei principi primi e supremi, . Da essi, sarebbero poi sorti i Numeri
Ideali (da non confondere ed identificare con i numeri matematici), i quali rappresenterebbero
l'incontro dei due principi in maniera paradigmatica: l'essenza del numero ideale consiste
in una delimitazione e determinazione specifica prodotta dall'Uno e dalla Diade,
che una molteplicit indeterminata e illimitata di Grande e Piccolo. Per
esempio il Due, che la prima determinazione del Grande e Piccolo,
molteplicit e pochezza che viene definita dall'Uno come Doppio e Met 68. La
struttura della realt, considerata alla luce delle teorie non scritte, sarebbe dunque formata da Uno e
Diade (i Principi) - Numeri Ideali - Idee - Numeri matematici - enti sensibili. Alla conclusione che
tutto derivasse dai suddetti principi, Platone sarebbe giunto anche attraverso considerazioni di tipo
logico-categoriale, come ci verrebbe testimoniato da Sesto Empirico all'interno di un capitolo 69,
posto sotto il titolo di , che viene presentato come una dottrina pitagorica. Platone
avrebbe diviso tutta la totalit degli esseri in esseri per s ( ') come Uomo, Cavallo
Terra nei quali predominerebbe il genere dell'Unit, visto che, come esseri sostanziali, sarebbero
perfettamente differenziati definiti e determinati, ed Esseri in rapporto ad altro (
). Per mezzo di una successiva divisione interna, quest'ultimi sarebbero stati ulteriormente
divisi in Essere contrari ( ) ed Esseri correlativi ( ). Gli esseri che
67
68
69

Si veda Supra, n. 60.


G.REALE, Per una nuova interpretazione di Platone.., p.238.
SESTO EMPIRICO, Adv. Mathem., X, 262.

sono in opposizione e contrasto fra loro, rientrano nel genere dell'Uguale e del Disuguale. Il primo
non soggiace al pi e meno, il secondo s. Infatti, mentre ci che immobile o conveniente non
pu essere pi o meno mobile o conveniente, il mosso o lo sconveniente pu essere pi o meno
mosso o sconveniente. Da questi generi, facile, per gli esoterici, risalire ai Principi: l'Uguale si
riporta all'Uno (l'Uno rappresenta l'uguale a se medesimo in maniera primaria), mentre il Disuguale,
in quanto ammette ed implica il pi e il meno, l'eccesso e il difetto, si ricollegherebbe alla Diade
indefinita. Similmente, i relativi rientrano nell'eccesso e nel difetto, in quanto ciascun termine pu
crescere o decrescere e diventare pi o meno (per esempio, nella coppia Grande-Piccolo il primo
e il secondo termine possono diventare pi o meno grandi o piccoli). Essi finiscono dunque per
rientrare nel genere della Diade. Il principio materiale di Platone, in contrasto con l'infinito
() pitagorico, non era inteso come unit, ma come diade indefinita ( ) tendente
all'infinitamente grande e all'infinitamente piccolo. Esso costituirebbe la base ed il sostrato
materiale dell'azione del principio formale e definiente dell'Uno. Tutto ci che nasce, nasce da un
processo di delimitazione, definizione, determinazione della Diade ad opera dell'Uno. La presenza
di tali principi comporterebbe, secondo gli anti-esoterici, aporie insormontabili. Come abbiamo
visto in precedenza, secondo la Isnardi-Parente la formazione delle idee ad opera del processo di
delimitazione della Diade da parte dell'Uno comporterebbe l'ammissione di un procedimento di
70, che per, stando ai dialoghi, sarebbe ammissibile unicamente per i sensibili. Reale 71,
riprendendo ancora una volta considerazioni precedenti di Krmer, proporrebbe, come soluzione a
questo dilemma, la tesi che, in realt, nel caso delle Idee, si possa parlare di generazione e
produzione solamente in senso metaforico, dal momento che si tratta di una sfera dell'essere che si
trova totalmente al di fuori del tempo e del processo del divenire; dunque, nel caso dei (idee e
numeri ideali) Platone si limiterebbe ad indicare semplicemente la loro struttura metafisica di enti
derivati dai due Principi supremi, senza parlare di una loro generazione temporale. Per quanto
riguarda, invece, il fatto che i dialoghi non parlino espressamente dei suddetti principi, ma ravvisino
70
71

M. ISNARDI PARENTE, Il problema delle <<Dottrina non scritta di Platone>>.., p. 22.


G. REALE, Per una nuova interpretazione di Platone.., p. 503 e H. KRMER, Platone e i fondamenti della
metafisica.., p. 156.

nelle idee l'acme della realt, i tubinghesi replicano sostenendo che, in realt, il piano dei Principi
sarebbe stato mostrato dal filosofo unicamente ai suoi discepoli, nell'ambiente dell'Accademia. Nei
dialoghi (in particolare nel Filebo e nel Protagora) potremmo trovare solo immagini e tracce di
essi, ad esempio sotto la forma, nel Filebo, dei concetti pitagorici di ed . I due
Principi, dunque, costituivano una realt suprema che non poteva essere divulgata expressis verbis,
visto il grave rischio che venisse fraintesa o disprezzata da persone ignoranti. Ma c' un'aporia
ancora pi grave, con la quale si trovano a dover fare i conti i sostenitori della tesi esoterica: quella
relativa al cosiddetto dualismo platonico. Di esso dovremo ora discutere perch, come vedremo,
tale specifica problematica coinvolge direttamente anche il mito del Politico.

1.3 Il dualismo dei Principi platonici.


Da una lettura della Metafisica aristotelica e del resto delle fonti indirette, si pu dunque arguire che
la summa della filosofia platonica fosse costituita dai due Principi dell'Uno e della Diade. La
domanda fondamentale che dobbiamo ora porci la seguente: come agivano questi Principi?
Qual'era la loro modalit di rapporto reciproco? Questi interrogativi sono di primaria importanza.
Una delle accuse pi violente mosse ai tubinghesi dagli anti-esoterici, infatti quella di aver
introdotto all'interno della filosofia di Platone un dualismo di principi di tipo manicheo-iraniano.
Dice Repellini: Per chi ritenga che l'ontologia platonica sia direttamente
traducibile in una teologia, vi qui un grosso problema: se si pone l'Uno come
Dio in base al suo essere Principio sommo, la Diade dovr essere considerata
un secondo dio, il dio negativo72. Ora, proprio un passo del mito del Politico esclude
categoricamente un'ipotesi come questa: tra le soluzioni prospettate e subito scartate dallo straniero
di Elea per la comprensione dei rivolgimenti cosmici, v' anche quella che a muovere il pianeta
siano due dei che pensino in modo contrario tra loro, '
(270 A). Goodrich73, vedrebbe, in questa frase, una velata critica ed
72
73

F. F. REPELLINI, Gli Agrapha Dogmata di Platone.., 58.


W. J. GOODRICH, Plato, Politicus 269 e-270a. An allusion to Zoroastrism?, <<Classical Review>>, 20 (1906), pp.
208-209.

allusione alla dottrina Zoroastriana del dualismo divino tra Ormudz ed Ahriman. La filosofia del
pensatore persiano era infatti fondata sullo scontro eterno tra le forze del Bene, incarnate da
Ormudz, e quelle del Male rappresentate da Ahriman. Il nostro pianeta costituiva di fatto il campo
di battaglia tra queste due forze. La conoscenza platonica della dottrina del pensatore persiano
sarebbe confermata anche da un passo dell'Alcibiade I74, in cui il nome di Zoroastro appare citato
esplicitamente. Ma una siffatta dottrina non era estranea neppure al mondo greco. Il filosofo
Empedocle di Agrigento, nei pochi versi a noi sopravvissuti, sembrerebbe (ma il condizionale
d'obbligo, in questi casi) presentare un'alternanza tra cicli cosmici, fissati dal destino, in cui
prevarrebbe il principio dell'Amore, la , ed altri in cui invece prevarrebbe il principio opposto
dell'Odio, . Platone, stando al passo del Politico succitato, combatterebbe, filosoficamente
parlando, proprio contro una tale visione manichea. Secondo gli anti-esoterici, gli studiosi di
Tubinga, ponendo l'Uno e la Diade al vertice della realt, rischierebbero proprio di riportare l'intera
realt ad un dualismo manicheo caratterizzato da due principi opposti, l'Ordine e il Disordine 75,
l'Uno e la Diade laddove invece, seguendo le indicazioni forniteci esclusivamente dai dialoghi
scritti, una problematica del genere, se anche considerassimo le idee come una classe di enti
superiori, non si porrebbe in ogni modo, stante la radicale differenziazione ontologica tra il mondo
delle idee e quello della realt sensibile. In effetti, questi due piani della realt non possono essere
accostati e ritenuti dello stesso rango: le idee sono ontologicamente ed assiologicamente superiori
alle realt fisiche, sono le cause ultime e fondanti del mondo sensibile, che dipende direttamente da
esse. chiaro, che se invece si pongono due principi alla base della realt, e se essi sono in egual
modo fondamentali per la costituzione di essa (l'Uno non potrebbe armonizzare nulla, se non ci
fosse la Diade che funga da sostrato materiale del processo; al tempo stesso, nulla potrebbe nascere
se questa non venisse informata dall'Uno e rimanesse intatta nella sua struttura amorfa) la situazione
si complica. Secondo Trabattoni, la difficolt insita in questa concezione sarebbe confermata e
74
75

Alc. I, 122 A.
F. TRABATTONI, Platone, Milano 1999, p. 339 <<In effetti, questo dualismo di bene e male ha sempre costituto
presso gli studiosi uno degli ostacoli pi gravi dell'accettazione del nuovo paradigma ermeneutico, perch
l'immagine di un Platone dualista e quasi manicheo sembra davvero, alla luce di tutti i dati di cui disponiamo, poco
realista>>.

testimoniata dalle incoerenze mostrate da Krmer nella collocazione ontologica del secondo
Principio. Lo stesso Krmer, mette in evidenza Repellini, non parve attribuire, nelle proprie opere,
una dottrina teologica a Platone, salvo poi ricostruire i dibattiti interni all'Accademia come se
fossero stati focalizzati prevalentemente proprio sulla teologia. Al tempo stesso, anche Gaiser si
sarebbe reso conto che la dottrina dei Principi avrebbe conferito alla Diade un ruolo fortemente
problematico. Egli avrebbe pensato di superare la difficolt ammettendo che vi fosse una
contraddizione di tipo logico, ma sostenendo, al contempo, che essa avrebbe potuto essere superata
con un'esperienza intuitiva, quindi irrazionale. Egli avanza inoltre l'ipotesi che anche Platone
ritenesse tale aporia superabile e risolvibile nella visione intuitiva del principio sommo.
Problematiche di questo tipo sarebbero diretta conseguenza, secondo lo studioso milanese,
dell'illecita concezione ontologica dei Principi operata dai tubinghesi e dal resto degli esoterici,
sulla base della testimonianza aristotelica. Per Trabattoni i Principi non potavano essere intesi, more
aristotelico, come sostanze ontologicamente esistenti. La loro funzione era esclusivamente di tipo
assiologico: non erano realt, erano valori. La coerenza ultima della dottrina platonica
dei principi, in tutte le diverse forme che essa pu aver assunto nello sviluppo
del pensiero platonico (le idee, l'Uno-bene delle dottrine orali), consiste
nell'unico e medesimo fine di dimostrare l'orientamento della realt verso una
dimensione unitaria, e perci superiore e buona76. Per Platone, secondo Trabattoni, era
essenziale stabilire il principio che tutto fosse bene, perch tutto era uno. Se la dottrina delle idee
rappresentava una modalit per esprimere questa concezione, la dottrina dei Principi ne
rappresentava un ulteriore prolungamento teorico. Concependo i vertici metafisici in senso
ontologico, si sarebbe costretti invece a porre la Diade come fonte assoluta del Disordine e quindi,
stando anche ad una testimonianza della Metafisica aristotelica, del Male, contraddicendo il
pensiero platonico anti-manicheo dei dialoghi. In questo modo, le fonti indirette non
presenterebbero principi ontologici, dei quali i dialoghi non possono o non vogliono parlare, bens
rappresenterebbero un modo particolare di esplicitare e chiarire contenuti gi espressi nei dialoghi
76

F. TRABATTONI, Scrivere nell'Anima.., p. 283.

(il Filebo, in particolar modo). Repellini propone un'altra soluzione: a suo parere, o perch
l'interesse di Platone per la teologia non fosse ancora sviluppato, o per qualche altro motivo, la
trascrizione della ontologia in chiave teologica rimase allo stato embrionale, venendo sviluppata
solo in seguito dai suoi discepoli. Tuttavia, come ammette lo stesso studioso che la propone,
questa supposizione appare forse un po' troppo comoda 77. Decisamente pi
complessa , invece, l'ipotesi proposta dalla De Vogel. Basandosi su una testimonianza di Sesto
Empirico78, la platonista olandese arriva a parlare di Monismo platonico. L'Uno verrebbe
considerato, per Empirico, sotto due aspetti. In primo luogo, secondo la sua identit con se stesso,
e poi secondo la alterit. Sotto il primo aspetto presentato come unit, sotto l'altro produce o
realizza la Diade Indefinita. Ci verrebbe anche confermato da un testo di Alessandro Poliistore,
tratto dagli Scritti Pitagorici: Il principio di tutte le cose la Monade. Derivando da
questa Monade, la Diade funge da sostrato materiale alla Monade, che causa.
Dalla Monade, poi, e dalla Diade indefinita derivano i Numeri 79. Secondo Reale, una
soluzione del genere creerebbe un pericoloso accostamento tra Platone e il neoplatonismo
plotiniano. Un simile avvicinamento e parallelismo sarebbe totalmente ingiustificato ed errato. Il
taglio netto tra Platone e Plotino, dal punto di vista metafisico, consiste, per Reale, proprio nel
passaggio da una concezione bipolaristica del reale a quella monopolaristica. Reale, parla, dunque
di Bipolarismo, e non di Dualismo, a proposito di Platone. A parere dello studioso esoterico, il grave
errore in cui incorrerebbero molti critici di Platone, sarebbe proprio quello di considerare i due
principi alla maniera persiana, come in totale ed estrema contrapposizione reciproca. Per Reale, i
due Principi non sono in contrasto reciproco. Tutt'al contrario, essi si implicano strutturalmente e
necessariamente in maniera continua. Il reale, sia quello di natura noetica che quello di natura
sensibile, implica necessariamente la compresenza sinergica dei due Principi. Per gli studiosi
esoterici, i due Principi, anche se sono autonomi, non sono per dello stesso rango. Dice, infatti,
Krmer: all'Uno-Bene risulta contrapposto un principio opposto della molteplicit
77
78
79

F. F. REPELLINI, Gli Agrapha Dogmata di Platone.., p. 58.


SESTO EMPIRICO, Adv. Math., X, 261.
DIOGENE LAERZIO, VIII, 25.

ugualmente originario, non per paritetico e di uguale rango 80. Trabattoni non
accetta questa interpretazione: In questo modo si verrebbe a creare una asimmetria di piani tra i due
Principi, che rimarrebbe inspiegata. O si pone la Diade sullo stesso piano dell'Uno, e allora si
ricade, a suo dire, nel problema del dualismo manicheo, oppure non si considera, come sembra fare
Reale, la Diade sullo stesso piano dell'Uno, ed allora essa non pu essere considerata un principio
della realt a tutti gli effetti. Effettivamente, la problematica molto delicata. Reale, e con lui gli
esoterici, rimangono comunque convinti delle loro idee e interpretazioni: niente di ci che esiste,
potrebbe ugualmente sussistere se venisse a mancare uno dei due elementi. Essi non mancano,
inoltre, di citare fonti e documenti a sostegno delle loro teorie. Nell'opera di Reale, possiamo
trovare, ad esempio, un rimando a Proclo. Scrive Proclo, riferendosi agli antichi in generale, ma
citando anche il nome di Platone nella parte successiva del lavoro:

Existimantes autem quod,si quis le unum ipsum seorsum et solum meditatum,sine aliis,secundum se ipsum
ponat,nullum alterum elementum ipsi apponens,nichil utique fiet aliorum,interminabilem dualitatem entium
principium induxerunt.81

[Gli antichi] ritenendo che, se si fosse posto L'uno in s inteso come separato e solo e senza altre cose, cio
senza aggiungere alcun altro elemento, non avrebbe potuto nascere alcunch d'altro, introdussero come
principio degli esseri la Diade indefinita.

Una simile teoria, come mostra la stessa De Vogel, sarebbe stata presentata, ancor prima che da
Reale, da Armstrong, nel 198482. Non era possibile, a giudizio di Armstrong, concepire l'Apeiron
platonico come vero e proprio principio del male, in quanto era anch'esso necessario per la
costituzione del mondo, esattamente allo stesso modo e livello del principio opposto del Peras. I due
Principi potevano essere considerati operanti insieme ed in armonia, cos come avviene nella
80
81
82

H. KRMER, Platone e i fondamenti della metafisica.., p. 154.


PROCLO, In Plat..Parmenidem, pp. 38 ss, ed Klibansky-Labowsky.
Armstrong espose la propria tesi in occasione di un <<Plotinus Day>>, organizzato presso la Libera Universit di
Amsterdam, sul tema: <<Dualismo platonico, gnostico e cristiano>>, Cfr. C. DE VOGEL, Ripensando Platone.., p.
230, n. 69.

filosofia cinese, e come viene espresso dal simbolo dello Yang-Yin. Ora, come avevo preannunciato
in precedenza, il mito del Politico pu effettivamente assurgere, come messo in evidenza dalle
analisi di Gaiser e di Migliori, ad importante testimonianza e conferma della tesi bipolaristica della
realt. Il mondo, viene detto dal mito del Politico, contraddistinto dall'alternanza di diverse fasi e
cicli cosmici. Ma queste fasi non sono contraddistinte da un'alternanza di dominio tra il principio
del bene (cio l'Uno), e quelle del Male (la Diade), come sembrerebbe, invece, avvenire anche in
Empedocle con le forze cosmiche dell'Amore e dell'Odio. La differenza fondamentale tra il ciclo di
Crono e quello di Zeus, data dal fatto che mentre nel primo i due Principi sono legati tra loro in
reciproca unione ed armonia, in quello di Zeus, al contrario, l'equilibrio tra questi stessi elementi
primi tende progressivamente ad indebolirsi. Dice infatti il Gaiser: La concezione platonica
della storia si differenzia fondamentalmente dal dualismo orientale-persiano e
dalla corrispondente idea dell'alternarsi di et buone e cattive del mondo, per il
fatto che, in essa, non ha luogo una battaglia tra Bene e Male come forze
divine contrapposte[...] Per quanto ci possibile vedere, si tratta, invece, di un
periodico scambio di due differenti epoche cosmiche: di un'epoca caratterizzata
da una progressiva differenziazione e tensione (quella di Zeus) e di un'epoca di
ritorno ad uno stato armonico (quella di Crono) 83. Sullo stesso piano si muove, mi pare,
anche Migliori: Questo mondo non mai l'ordine e il bene, ma pi o meno
buono, pi o meno ordinato, anche nel punto pi elevato del suo progredire 84.
Lo stesso Migliori, inoltre, non esita a parlare, a proposito di questo aspetto del mito, di Necessit
polare che domina il cosmo85. Del resto, per quanto riguarda il mondo greco, come ha
sottolineato Phaula Philippson86, la forma polare rappresenta la struttura di base non
solo della Teogonia, ma anche del comune modo di pensare. Nella forma di
pensiero polare dei greci i contrari non sono soltanto tra loro indissolubilmente
83
84
85
86

K. GAISER, La metafisica della storia in Platone.., p. 60, n. 39.


M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica.., p. 328.
Ibidem, p. 326.

P. PHILIPPSON, Genealogie als mythische Form:studien zur Theogonie des Hesiod, Oslo 1936, pp..5556.

legati, come i poli di un'asse della sfera, ma essi, nella loro pi intima esistenza
logica, precisamente cio polare, sono condizionati alla loro opposizione:
perdendo il polo opposto, essi perderebbero il loro stesso senso. da questa base
di partenza che dovremo avviare l'analisi del mito del Politico, cercando di spiegare, prima di tutto,
la causa di queste differenti fasi cicliche del mondo, cos come questa viene interpretata dai
sostenitori delle Dottrine non scritte. Per poterla comprendere appieno, tuttavia, dobbiamo
ricollegarci a due altri grandi dialoghi di Platone: il Filebo ed il Timeo.

1.4 Il rapporto Uno-Molti nel mondo sensibile.


Il Filebo , in assoluto, uno dei dialoghi maggiormente analizzati dagli studiosi esoterici. In esso,
in effetti, il rapporto Unit-Molteplicit costituisce un punto di grande rilevanza e significativa
importanza. Questa conoscenza dei rapporti Uno-Molti, dice Platone, coincide sostanzialmente con
una divina rivelazione che gli antichi ci hanno trasmesso, secondo la quale tutte le cose che si
dicono essere sono sempre costituite appunto dall'Uno e dai Molti, e contengono in s il Limite e
l'Illimitato87. Abbiamo gi avuto modo di vedere, sulla base delle fonti indirette, come il processo di
derivazione della realt a partire dai principi originari venisse concepito da Platone nel senso di una
delimitazione ed armonizzazione diretta da parte dell'Uno del principio materiale, caotico e
disordinato della Diade. Ma questo procedimento necessario e sufficiente per spiegare tutta quanta
la realt nel suo complesso? Secondo GLI ESOTERICI, Platone, all'interno del Filebo, fornirebbe
una chiara risposta. Nel suddetto dialogo, infatti, il filosofo individua (23 B-C) quattro generi
fondamentali e costitutivi della realt: il , principio di ogni determinazione e misura;
l', principio privo di qualunque determinazione e misura; un terzo genere misto, derivante
dalla mescolanza dei primi due; ed infine, come quarto genere, la causa della mescolanza (
). Mentre i non esoterici leggono nel principio del limite un riferimento al mondo delle
idee, realt individuali prime assolutamente determinate in se stesse, immutabili e non miste, gli
esoterici vi scorgono, come facile supporre, un rinvio alla natura del principio unificante per
87

Phil., 16 C-D.

antonomasia, cio l'Uno. Analogamente per quanto riguarda il genere del disordine: gli uni vi
vedono riflesso il mondo sensibile considerato in s, inteso come semplice sostrato materiale
vincolato alla generazione e alla corruzione, gli altri, invece, partono dall'analisi del mondo
sensibile descrittoci nel Timeo, ma arrivano a ricollegare la materia primordiale del mondo alla
Diade delle Dottrine non scritte. Il terzo genere, misto di limite ed illimite, costituirebbe, in base
alla prima interpretazione, un'immagine del mondo sensibile, in seguito alla partecipazione delle
idee, mentre per gli esoterici, come abbiamo visto, le idee stesse possono essere considerate, in
quanto derivate anch'esse dai due Principi, una sintesi di limite ed illimitato. A questo punto,
chiaro che mentre i non esoterici possono interpretare facilmente il quarto genere della realt, ossia
la causa della mescolanza, come il termine intermedio, l'Intelligenza che implica e media il
passaggio tra il mondo delle idee e quello della realt sensibile, gli esoterici si trovano a dover
spiegare per quale motivo, pur essendo anche le idee generate da una sintesi di limite ed illimitato,
Platone parli di una causa della mescolanza unicamente a livello degli enti sensibili, che sono in
divenire. Sostiene il Levi: poi necessario riconoscere che tra il peras e l'apeiron
delle idee e quelli delle cose sensibili pu esistere soltanto una analogia di
funzione, non un'identit di natura. [...] Appunto perch si tratta del mondo del
divenire, il misto, che il prodotto dei primi due generi, chiamato una nascita
alla realt ( ), una realt generata ( ): queste
espressioni designano il processo con cui il divenire raggiunge, per l'azione
determinante del peras, quella realt relativa di cui capace 88. Dunque, se vero
che l'Uno e la Diade sono i principi costitutivi dell'intera realt, per anche vero che, per gli
esoterici, la natura di questi principi non identica a livello sensibile ed intelligibile. La differenza
fondamentale tra sfera sensibile e sfera intellegibile, secondo l'esoterico Reale, sarebbe in
particolare da ravvisarsi nella differente natura del principio materiale. Non esisterebbe, in base a
quanto detto in precedenza, un'unica natura della Diade: al contrario, essa abbraccia un quadro assai
esteso, dal momento che rientra nella spiegazione della realt a tutti i livelli. Il genere
88

A. LEVI, Il problema dell'errore nella metafisica e nella gnoseologia di Platone, Padova 1970, p. 119.

dell'indeterminato implicherebbe, dunque, differenti modi e livelli in cui il pi e il meno,


l'eccesso e il difettosi manifestano; potremmo parlare, pi specificamente, di un indeterminato
intelligibile, e di un indeterminato sensibile. Ora, mentre nella formazione delle idee ambedue i
principi rivestono natura intelligibile e possono realizzare la loro sintesi ed unione in maniera diretta
ed immediata, nella sfera sensibile l'incontro tra gli stessi due Principi sarebbe fortemente
complicato dal fatto che, in questa specifica sfera della realt, la Diade non avrebbe natura
intelligibile, ma sensibile. Sarebbe proprio questo surplus di spessore materiale a determinare la
necessit di una causa efficiente, che realizzi concretamente la mescolanza. Secondo Reale, anche
Aristotele avrebbe ravvisato, parlando della protologia platonica nella Metafisica, l'esistenza di
una materia intelligibile e di una materia sensibile. Lo stagirita torna molte volte all'analisi di questo
elemento, che evidentemente dovette averlo colpito molto. Si pu prendere ad esempio di ci il
seguente passo della Metafisica, che sembra parlare esplicitamente di una differenziazione tra
materia sensibile ed intelligibile:

, ,
, 89.

E c' una materia sensibile e una intelligibile; quella sensibile , per esempio, il bronzo o il legno o tutto ci che
suscettibile di movimento; quella intelligibile , invece, quella presente negli esseri sensibili ma non in quanto sensibili,
come gli enti matematici.

Le conseguenze della diversit di natura del principio materiale sensibile, avranno grande
importanza nello svolgimento del Timeo.
La Diade che ci viene presentata nel Timeo appunto quella sensibile. Come appena detto, La
differenza fondamentale che essa presenterebbe, sempre secondo gli esoterici, con quella
intelligibile sarebbe data dal fatto che, mentre in quest'ultima la natura noetica comporterebbe
un'opera di limitazione ed unificazione diretta ed immediata della Diade ad opera dell'Uno, quella
sensibile implicherebbe un ispessimento, un vero e proprio surplus materiale, tale da richiedere una
89

Metaph., Z 10, 1036 A 9-12.

Intelligenza come mediatrice ed operatrice della sintesi limite-illimite. Questa Intelligenza cosmica
altro non sarebbe che il Demiurgo. In altri termini, mentre nella sfera noetica il Limite, di natura
intelligibile, agirebbe su una Diade anch'essa intelligibile ed in maniera diretta, in quella sensibile il
Limite (le idee, l'Uno) di natura intelligibile si troverebbe di fronte ad un principio materiale questa
volta di natura sensibile, che non pu direttamente essere informato dall'Uno medesimo. Qui
entrerebbe in scena l'Intelligenza del Divino Artefice, la quale agirebbe appunto come mediatrice.
Suo compito sar allora quello di realizzare in maniera indiretta nell'universo fisico, quello che il
principio produttore di forma realizza direttamente nella realt noetica. Egli dovr operare portando
il bene in sommo grado, ossia realizzando l'unit nella molteplicit, guardando all'Uno modello e
fonte di armonia ed ordine. Sulla figura del divino artefice, che come vedremo giocher un ruolo
fondamentale all'interno del mito del Politico, si incentrata una delle pi gravi incomprensioni,
secondo Reale, del paradigma esoterico tubinghese. Si infatti per lungo tempo creduto che il
Platonbild tubinghese tenda ad una forma di immanentismo, strettamente legato alla metafisica
tedesca. In questo modo, la filosofia platonica verrebbe ridotta ad un sistema rigorosamente
deduttivo, ad un Ableitungssystem, ossia ad un raffinatissimo emanazionismo. Emanazionismo che
escluderebbe, chiaramente, l'intelligenza demiurgica, intesa come figura teoretica essenziale. Reale
risponde, ancora una volta, alle critiche mosse al paradigma da lui difeso, citando Krmer, il quale a
sua volta precisa, in relazione a questa tematica: in generale si tratta di un rapporto
ontologico di derivazione nel quale il gradino pi alto possiede sempre un prius
ontico rispetto a quello pi basso e in cui, per dirla con formula platonica, il
primo pu essere o essere pensato senza il secondo, ma non, viceversa, il
secondo senza il primo. Si ha, dunque, un rapporto di dipendenza unilaterale
non rovesciabile, in cui, tuttavia, il piano pi alto offre solamente condizioni
necessarie, ma anche non sufficienti per il piano successivo. Infatti, la Diade di
grande e piccolo gioca un ruolo di fondamento in tutti i piani come principio
materiale, per senza che la sua differenziazione venga ulteriormente fondata;

il novum categoriale rimane, quindi, non spiegato 90. Il Demiurgo si inserirebbe


esattamente come mediatore fra il piano intelligibile e quello sensibile, giacch il piano intelligibile
necessario ma non sufficiente per poter generare il sensibile. Diversa fu la posizione di Gaiser: in
Platons ungeschriebene lehre egli caratterizz l'Intelligenza divina con il termine di aspetto
dinamico delle idee. Lo scrittore tedesco identificava il padre del cosmo con la forza del mondo
delle idee ed, in ultima analisi, con l'Uno come causa divina di ogni strutturazione. Per Gaiser Dio
era l'Uno. Abbiamo visto come, per Reale, le cose non stiano esattamente in questi termini: per lui il
Demiurgo, nello strutturare armonicamente il disordine originario, guardava all'Uno, si ispirava alla
sua opera formatrice ed ordinatrice, ma non era l'Uno. Non si identificava con esso. Se si osserva
con attenzione l'opera di Gaiser, si possono per trovare, nelle note a margine, dei rimandi rivolti
proprio all'opera di Reale e alla sua concezione del demiurgo 91. Questo perch Gaiser era stato
convinto, in un secondo momento, dalle opinioni dello studioso italiano ma, essendo il suo libro in
fase di composizione tipografica, non pot che inserire, all'interno di esso, delle concise note
sull'argomento. Possiamo dunque dire, fatte queste precisazioni, che secondo Reale, se si accetta e
si segue l'interpretazione esoterica di Platone, non si pu che affermare e sostenere con forza,
contrariamente a ci che viene sostenuto da molti altri studiosi, che il Demiurgo di cui parlano il
Timeo ed il Politico non costituisce una finzione o una metafora mitica, utilizzata per
giustificare e per mostrare la natura, mista di sensibile ed intelligibile, della realt, ma possiede una
effettiva consistenza ontologica; , insomma, una realt. Ed una realt fondamentale per
permettere l'incontro tra diade sensibile e l'Uno del piano intelligibile; esso, in ultima analisi, funge
da causa efficiente che, con il suo agire, permette la formazione del mondo.

1.5 Il Timeo: la Diade sensibile.


Ovviamente, se si accetta l'esegesi esoterica del Timeo non si pu sperare di veder comparire, per i
motivi citati nel primo paragrafo, il nome di Diade sensibile nel dialogo Timeo; in effetti, il
90
91

H. G. KRMER, Platone e i fondamenti della metafisica.., p. 164.


K. GAISER, La metafisica della storia.., p. 53, n. 17 e p. 146, n. 29.

principio materiale del cosmo non viene definito come , bens come . Reale, e
con lui gli esoterici, hanno dunque il compito di mostrare le connessioni sussistenti tra questa
materia presentata nel Timeo e la Diade delle Dottrine non scritte. Un'operazione del genere, per gli
anti esoterici, totalmente implausibile, e per un motivo ben evidente: la rappresenta una
realt vaga ed oscillante all'interno del dialogo. Dall'intuizione fondamentale della
necessit dello spazio come condizione primaria del corporeo si passa subito
alla descrizione primigenia del disordine come sua primaria manifestazione 92,
scrive la Isnardi-Parenti. Similmente la De-Vogel: Platone descrive la Chora come un
terzo principio, oltre all' e , che deve essere ammesso per spiegare
quest'ultima. Essa, dice Platone, una cosa difficile da chiarire con le parole o
da comprendere con l'intelletto; s, appena credibile ( ). La si
vede come in un sogno93. La Isnardi-Parente conclude le sue osservazioni sull'argomento
dicendo che la non da considerarsi un vero principio dell'essere alla stessa stregua
dell'intelligibile ordine trascendente:non si pu parlare di due principi o forze equivalenti, visto che
la materia mundi non un altro (non ci sono due chiarir esplicitamente
Polit.270a)94. Ora, a prescindere dal fatto che, a dire il vero, il passo del Politico citato dalla
studiosa non nega esplicitamente che ci siano due dei, bens due dei
(il che ci riporta al problema del dualismo platonico), importante osservare in
primo luogo come Reale risponda a queste analisi, mettendo in evidenza le connessioni tra il
principio materiale cosmologico e la Diade. Il Timeo presenta una materia cosmica variamente
definita: Reale, infatti, distingue ben quattro gruppi di connotazioni atti a descriverla. Essa
necessit (), causa errante ( ), ricettacolo di tutto ci che si genera
( ), spazio, luogo, realt amorfa paragonabile a nutrice, a una madre, e cos via.
una essenza che permane sempre identica nella sua struttura amorfa, un fascio di forze e movimenti
continui; un movimento disordinato e sregolato. In essa l'acqua, l'aria, la terra, il fuoco non sono
92
93
94

M. I. PARENTE, Il problema della <<Dottrina non scritta>>.., p. 18.


C. DE VOGEL, Ripensando Platone.., p. 232.
Cfr. Supra, nota 91.

realt ontologicamente permanenti, bens realt fenomeniche trascinate nel flusso del divenire. Esse
passano continuamente da uno stato all'altro, mutando incessantemente. Non possibile dire, per le
cose fisiche presenti nel mondo, questo fuoco o questa acqua, perch esse non hanno, per la
natura eraclitea di flusso continuo del loro ricettacolo, stabilit e consistenza ontologica al pari delle
idee. La dunque il caotico, l'inusuale, l'inintelligibile. Il filosofo italiano reputa dunque
plausibile, stanti i suddetti aspetti della materia fisica, un accostamento con la Diade delle Dottrine
non scritte, presentata dalle fonti indirette come tendenza all'infinitamente grande e
all'infinitamente piccolo, dualit di molto e di poco, di pi e meno, di maggiore e minore. Il
Demiurgo, divino artefice dotato di intelligenza e volont, si trova dunque di fronte, come un vero e
proprio artigiano, un materiale grezzo, caotico, disordinato, che, essendo egli il pi buono di tutti gli
artefici, volle ordinare ed equilibrare prendendo a modello il mondo intelligibile degli enti eterni. Il
suo compito non dunque quello di creare, ma di armonizzare. Plutarco utilizza, a tal proposito, un
verbo molto chiaro: 95. L'opera di delimitazione e formazione del
movimento caotico del mondo avviene, in modo ineffabile e meraviglioso, attraverso la mediazione
del numero e delle forme geometriche, enti intermedi tra la realt intelligibile e quella sensibile.
Reale, inoltre, focalizza la sua attenzione sul fatto che il Demiurgo non agisca sulla materia
sensibile con forza o violenza, bens con la persuasione. Ci verrebbe anche confermato dal fatto
che, in effetti, la diade sensibile non sarebbe, di per se stessa, totalmente informe, ma, come
mostrato da Timeo 48 A 2, presenterebbe delle tracce () di elementi formali. Essa dunque
non da intendersi come pura disteleologia, ossia assoluta casualit ed irrazionalit in senso quasi
manicheo visto che, continua il filosofo esoterico, in tal caso la necessit non potrebbe ricever in
modo adeguato la razionalit. Con il riferimento alle tracce formali della Diade sensibile e
all'operazione di persuasione demiurgica, verrebbe sostanzialmente confermato il rapporto
sinergico-bipolare dei due principi del mondo. Dice Happ: pu essere persuaso a
collaborare

(col

principio

razionale)

solo

ci

che,

malgrado

molteplici

differenziazioni col partner, tuttavia in certa misura con lui concorda. Qui,
95

PLUTARCO, Quaest. conv., VII, 2.

dunque, viene manifestamente alluso al fatto che ambedue i principi , pur


stando le fondamentali opposizioni, possono tuttavia essere riferiti l'uno
all'altro, se essi devono in generale agire assieme96. Se si rimanesse all'interno del
paradigma tradizionale, sarebbe in effetti molto complicato tentare di spiegare come si possibile il
fatto che, pur avendo sempre e con forza Platone sostenuto l'assoluta differenza ontologica fra i due
piani del reale, la possa presentare tracce delle idee, senza in tal modo dar luogo ad un assurdo
melange materiale-ideale. La presenza del Dio (il Demiurgo) implica dunque ordine e misura
appunto per il tramite delle forme e dei numeri. E questa operazione comporta bellezza e bont,
perch rende armonico il disarmonico, ordinato il disordinato, equilibrato il non equilibrato.
Attenzione, per: queste considerazioni, per poter essere ritenute valide, necessitano di una
interpretazione letterale (a livello ontologico prima ancora che cronologico) di ci che viene esposto
da Platone nel mito del Timeo. necessario, cio, per supportare la tesi sopra esposta, credere
all'esistenza di una materia esistente prima della formazione del mondo e del tempo, cosa accettata
dagli esoterici, che identificano siffatta materialit con la diade sensibile. Ma una simile
convinzione non deve comunque far dimenticare che, anche per il tema della materialit presentata
nel mito del Timeo, ci si trova di fronte ad una vera e propria vexata quaestio.

1.6 La diatriba sulla materia del Cosmo.


Qual' il problema di fondo che si oppone ad una esegesi letterale del mito del Timeo, cos come
questo viene presentato direttamente nel dialogo? Ebbene, il problema costituito proprio dalle
difficolt di interpretazione dell'elemento materiale del cosmo. Alcuni studiosi hanno infatti messo
in evidenza la contraddizione tra il passo 38 B 6 del dialogo, in cui viene affermato che il tempo e il
mondo nacquero insieme, e la presenza di un principio materiale, la , che di fatto esisterebbe
prima del mondo e del tempo. Da un lato, infatti, verrebbe detto, nel Timeo, che il tempo nacque
con il cosmo, e riprodurrebbe nei limiti del possibile, col suo succedersi ordinato di giorni, mesi e
ore l'eternit immutabile delle idee, dall'altro lato, tuttavia, dovremmo fare i conti, all'interno della
96

H. HAPP, Hyle. Studien zum aristotelischen Materie-Begriff, Berlino-New York 1971, p. 107.

stessa vicenda mitica, con un movimento, quello del ricettacolo cosmico, che essendo presente
prima del mondo e del tempo, sarebbe senza tempo. Taylor 97 non lascia spazio a possibili
interpretazioni letterarie della racconto: la contraddizione , a suo dire, insanabile. Nessun uomo
assennato, arriva a dire lo studioso, potrebbe cercare di risolvere una simile aporia, e restituire
fedelt e veridicit all'immagine letterale del mito. Vlastos98 si oppone, sostenendo che Aristotele, il
quale per ovvie ragioni pu essere considerato uomo saggio, la pens esattamente al contrario di
Taylor. nota, infatti, la diatriba, interna all'Accademia, tra lo stesso Aristotele da una parte, e
Speusippo e Senocrate dall'altra. Mentre quest'ultimi davano del mito interpretazione allegorica
( ), Aristotele ne forniva una esegesi squisitamente letterale99. In un passo del suo
De Anima egli utilizzava, difatti, a proposito del mito del Timeo, il verbo (il che
importante, se si ricorda come il verbo venisse spesso enfaticamente contrapposto a )!
Come si poneva allora lo stagirita nei riguardi del rapporto tempo/materia precosmica? La risposta
si trova nella tradizione del pensiero filosofico greco, che connetteva ed associava sempre il Tempo
al movimento circolare. Ecco le deduzioni aristoteliche presentate nella Fisica, e riproposte da
Vlastos: a) Il Tempo il numero del movimento (Phys. 223 A 33); b) c' solo un Tempo (Phys. 223
B 2-12); c) allora il Tempo deve essere misurato da un determinato movimento (Phys. 223 B 1218); d) questo movimento deve essere quello il cui numero maggiormente conoscibile, ossia il
moto circolare uniforme (Phys. 223 B 18-21). In tal modo, si verrebbero a creare le seguenti
implicazioni: se si eliminasse il moto circolare uniforme, secondo l'analisi aristotelica, non ci
sarebbe possibilit di misura del tempo. Senza possibilit di misura del tempo, il tempo stesso
verrebbe a mancare. Il tempo nasce con il movimento circolare uniforme, che contraddistingue il
moto del cosmo. solo quando giunge all'essere il movimento regolare dei corpi celesti, che
sorgerebbe il tempo. Ma Il movimento della Diade non certamente circolare uniforme, bens
caotico e totalmente irregolare, come visto in precedenza. In questo modo, cadrebbe la
contraddizione espressa dal Taylor. Lo stesso Gaiser muove in una direzione simile, quando
97
98
99

A. E. TAYLOR, A Commentary on Plato's Timaeus, Oxford 1928, p. 69.


G. VLASTOS, The Disorderly Motion in the Timaios, <<The Classical Quarterly>>, 33 (1939), p. 75.
Ibidem, p. 73.

sottolinea: Per quanto ci possa sembrare paradossale l'ammissione da parte di


Platone di uno stato che precede la generazione del tempo, essa presenta,
tuttavia, una connessione con la teoria fisica moderna, secondo la quale spazio
e tempo non sono infiniti, ma sono nati insieme con la materia 100. I problemi,
tuttavia, non finiscono qui. Altri due studiosi, Cornford101 e Morrow102, non poterono accettare l'idea
del movimento disordinato della , perch questo sarebbe andato contro i dettami del Fedro
(245 C 9) e delle Leggi (896 B 1), dialoghi che considerano e presentano non la materia, bens
l'anima come fonte ed origine di tutti i movimenti. La loro soluzione consistette nel concepire il
movimento disordinato di cui parla il mito come un prodotto originato dalla parte irrazionale
dell'Anima del Mondo. Il mito, nella parte relativa alla descrizione del principio materiale, non
avrebbe dunque presentato il mondo come esso fu alle origini, bens come potrebbe essere se la
parte irrazionale dell'Anima predominasse sulle cose, a scapito di quella razionale. Anche in questo
caso, dunque, si giunge ad una visione allegorica, e non letterale, della vicenda mitica. Questa
interpretazione, per, avrebbe un grande svantaggio: nel momento stesso in cui si accostano le
concezioni platoniche sull'Anima presentate nel Timeo, con quelle proposte nelle Leggi e nel
Fedro (in quanto si concepirebbe l'Anima come fonte ed origine del moto), si creerebbe una
discrasia molto forte tra questa stessa immagine della parte irrazionale creatrice di Caos nel Timeo e
la figura della presentata in altri punti delle medesime leggi (889 C; 892 B-C). Se infatti
vero che questo dialogo concepisce, come il Fedro, l'anima come fonte di movimento, per
altrettanto innegabile che il movimento da essa impresso, primario rispetto a quello secondario delle
cause prettamente materiali, si distingue da quello dovuto alla materia perch teleologico (diretto ad
un fine), mentre il moto materiale totalmente disordinato e meccanico, non teleologico (come
mostratoci nello stesso Timeo). Dunque, vedere nella parte irrazionale dell'Anima la fonte dei
movimenti caotici sarebbe una contraddizione in termini. Come dice Clegg 103: an irrational
100
101
102

103

K. GAISER, La metafisica della storia.., p. 146.


F. M. CORNFORD, Plato's Cosmology, Londra 1937, pp. 175-177.
G. R. MORROW, Necessity and Persuasion in Plato's Timaeus, <<The Philosophical Review>>, 59 (1950), pp.
147-163.
J. S. CLEGG, Plato's Vision of Chaos, <<The Classical Quarterly>>, 26 (1976), p. 53.

purpose is a purpose still. Inoltre, l'analogia, proposta da Cornford, della parte irrazionale
dell'Anima del mondo con quella dell'anima infantile presentata nel Timeo (43 A-44 B), non
pertinente: nel Timeo non si dice infatti che l'anima infantile causa dei movimenti disordinati, ma
che movimenti disordinati causano disordine e disarmonia nell'anima giovane. L'anima, nel passo
proposto, non causa, ma subisce gli influssi caotici ed irrazionali. Clegg 104, critico di questa visione,
propone un'alternativa forse ancora peggiore, secondo la quale a causare il caos planetario sarebbe
una anima cosmica malvagia, opposta all'anima razionale del mondo. In questo modo, come
sottolinea Mohr, ricadremmo per nel problema del dualismo cosmico, negato da Platone nel passo,
gi menzionato, di Politico 270 A. Il paradigma ermeneutico esoterico, che necessita di una visione
letterale del mito, pu avvalersi delle riflessioni di un'altra linea di pensiero sul problema della
materia del mondo, linea di pensiero costituita, tra le altre, dalle analisi di Mohr e, ancor prima, di
Vlastos. Ma di essa parleremo analizzando il quadro cosmico introdotto nel mito del Politico.

1.7 Il quadro cosmico che emerge dal Timeo.


Ricapitoliamo, un ultima volta, il quadro che emergerebbe dal Timeo, secondo l'interpretazione
esoterica: la , proiezione sensibile della Diade, la causa materiale del mondo; L'Uno la
causa formale; l'intelligenza demiurgica, che si rende indispensabile per la sintesi Limite-Illimite
nel mondo sensibile (stante lo spessore materiale del ricettacolo), interviene come causa efficiente.
Egli ordina la realt sensibile, ispirandosi all'attivit formatrice per antonomasia, quella dell'Uno
principio, appunto, produttore di forma. Per compiere questa operazione, egli ricorre all'ausilio dei
numeri e delle forme geometriche, enti posti a mezzo tra piano noetico e quello sensibile. La stessa
intelligenza, per rendere migliore il nostro mondo, lo dot di un'Anima, essa stessa costituita da una
mescolanza tra piano sensibile e piano intelligibile, e dotata di una struttura geometricadimensionale. Il Padre del mondo dot il nostro pianeta di un movimento circolare, facendolo
ruotare allo stesso modo, nello stesso luogo ed in se medesimo. Anche il tempo ciclico, calcolato
sulla base del movimento astrale, rappresenta la proiezione nell'universo fisico dell'eternit
104

J. S. CLEGG, Ibidem, pp. 52-61.

immobile delle idee, e costituirebbe una sintesi, appunto, tra tale immobilit ed il tempo proprio
della spazialit fisica del mondo, la . In effetti, stante la descrizione del Timeo, si pu
identificare il tempo della materia informe terrestre come un tempo rettilineo, nel quale non
possiamo identificare un Prima e un dopo, possibili, come visto, solo nella sfera del tempo
ciclico105. Questo perch, come nello spazio fisico precosmico ogni elemento indefinibile,
inconoscibile, indifferenziato, cos il tempo non pu che essere omogeneo, piatto, indifferenziato.
Come niente poteva essere identificabile e pensabile, cos il prima non poteva essere distinto dal
dopo: una successione temporale non aveva ragione di esistere. Tra l' eterno delle idee e la
temporalit indefinita e rettilinea della Diade sensibile, si pone l'era e il sar del mondo fisico. Tra
due differenti forme di eternit, si pone la successione temporale del tempo cosmico. Dove non c'
temporalit, non pu esserci storia. Non esiste una storia delle idee, non pu esistere una storia della
, ma esiste una storia del mondo. Dice, infatti, Rupert C. Lodge che: From the point of view
of the Absolute, any sort of progress would be meaningless. Progress is an Uberwundener
Standpunkt for which there is no further need. In fact, progress belongs only to the lower realm of
becoming, not to the higher realm of being 106. Ancora una volta, chiara l'importanza della struttura
bipolare dei principi. Solo dall'incontro e dalla metessi tra essi pu nascere il tempo, inteso come
successione temporale. Il Timeo affronta l'analisi di questo equilibrio da un punto di vista cosmico,
fornendoci un quadro sostanzialmente ottimistico. Il mondo la pi bella creazione, dotato di vita
autonoma, del tutto . Il Timeo, insomma, vede il mondo come un composto stabile, il
quale inizia una vita divina ed eterna di cui si fa garante il Demiurgo. Tuttavia, questa struttura
ontologica non stabile perch, come espresso nel Timeo, la materia sensibile ha caratteri che non
possono essere totalmente armonizzati, ed anche perch, come detto nel Politico, il Demiurgo non
sovrintende sempre a tale equilibrio, in quanto sottoposto, esso stesso, ad una legge a lui superiore,
come vedremo. Da questi due presupposti, da un dio obbediente e da una Materia disobbediente, si
105

106

Cfr. l'analisi del tempo rettilineo della Materialit Sensibile in R.PORCHEDDU, La concezione platonica
della storia tra decadenza e rinnovamento, Sassari 1986, pp. 4750 e 59-61
RUPERT C. LODGE, Plato and Progress, << The Philosophical Review >>, Vol. 55, No. 6
(Nov.,1946)p. 651

struttura la visione storica del filosofo e le varie fasi del mondo. In fondo, la visione d'insieme dei
due dialoghi simile, perch anche il dio del politico presieder ai diversi cicli del cosmo (pur con
diversa intensit e partecipazione) ripristinando, alla fine, l'equilibrio originario. Lo stesso rapporto
viene presentato sotto due ottiche divergenti. Nel Timeo, la visione statica, nel Politico
dinamica. La prima una visione ontologica, la seconda una visione storica. Possiamo quindi
passare, dopo queste avvertenze e precisazioni, all'osservazione della storia del cosmo (e, per
, dell'uomo e di tutti gli esseri viventi) cos come questa viene presentata da Platone nel
lungo ed affascinante mito del Politico.

1.9 Premesse metodologiche.


arrivato ora il momento di concentrare la nostra attenzione sulla terza ed ultima parte del nostro
lavoro. Fino ad ora abbiamo affrontato la questione delle Dottrine non scrittesotto un'ottica
generale. Abbiamo cercato di mettere in luce la portata, sotto certi aspetti rivoluzionaria, del nuovo
paradigma ermeneutico in rapporto agli sviluppi tradizionali della critica platonica. Inoltre, abbiamo
provato ad evidenziare quali nuove acquisizioni, teoretiche e metafisiche, possano essere introdotte
dal Platonbild di Tubinga. Un'operazione come questa, che da un punto di vista scientifico
perfettamente legittima, rischia per di essere limitata. Gli studiosi di Tubinga mi pare siano molto
chiari su questo punto: Se dunque non si pu dubitare dell'esistenza di una teoria
dei principi di Platone non scritta, con ci non si ancora risolta- ma soltanto si
posta in modo nuovo- la questione principale dell'interpretazione di Platone,
cio la questione dell'unit della filosofia platonica. Questo problema si pone
ora nei termini del rapporto tra opera scritta e dottrina non scritta. [...] Non ci si
pu limitare agli scritti; ma sarebbe anche un errore fatale se qualcuno
credesse di potersi limitare, per comprendere Platone, alla teoria dei principi
non scritta e trascurare le opere letterarie 107. In effetti, la corrente esoterica non mira
affatto, come gi detto, a sminuire le opere letterarie di Platone. Al contrario, proprio grazie alle
107

K. GAISER, Platone come scrittore filosofico.., p. 48.

acquisizioni ricavate dalle fonti indirette che, a parere dei tubinghesi, i dialoghi possono rivestirsi di
nuova luce e arricchirsi di nuove sfumature. Questo perch intercorre tra i dialoghi letterari di
Platone e la sua teoria dei principi orale un nesso indissolubile. Da una parte i dialoghi alludono
frequentemente ai principi. Dall'altra, per gli esoterici, Platone avrebbe concepito i suoi dialoghi
sulla base della conoscenza dei principi. Questi non sarebbero stati messi per iscritto in forma
compiuta e sistematica, ma solo per il tramite di richiami e velate allusioni. chiaro, allora, che, se
i non esoterici si basano esclusivamente su quanto da Platone era stato messo per iscritto, e se gli
esoterici sostengono che alla comprensione dello scritto possa giovare lo studio delle fonti indirette,
proprio il dialogo filosofico scritto a diventare il banco di prova principale per le opposte correnti
interpretative. Un'ultima premessa deve essere considerata, secondo il mio parere, in questo
contesto. Da un punto di vista strettamente epistemologico, il testo che analizzeremo espresso in
forma mitica. Questo perch la storia del cosmo, in quanto facente parte di una sfera, quella fisicasensibile, che riguarda il divenire ed il corrompersi, non permette una conoscenza vera e propria.
Dunque la rappresentazione mitica dei processi e dei fenomeni storici
corrisponde all'incompletezza dell'essere che propria di questa sfera nei
confronti della sfera delle Idee, la quale risulta la sola che rende possibile la
conoscenza sicura108. Possiamo dunque provare ad immaginare le difficolt che, secondo
l'esegesi esoterica, dovettero incontrare i discepoli platonici nel tentativo di giungere alla scoperta
dei sommi principi. Essi dovevano infatti muoversi in un duplice campo di incompletezza: quella
dello scritto nei confronti del piano dell'oralit, e quello del mito (e in generale della sfera sensibile)
nei confronti del piano dell'intelligibile. Ma la ricerca non doveva, per questo, essere sminuita o
tenuta in secondo piano: anche nella sfera della storia sussiste un nesso strutturale
che determina intrinsecamente il rapporto tra idee e fenomeni. Infatti, i Principi
fondamentali che si possono conoscere con la massima chiarezza nella sfera
delle Idee, agiscono altres nell'ambito della sfera subordinata dell'accadimento
storico, e, perci, la conoscenza filosofica dei Principi risulta determinante
108

K. GAISER, La metafisica della storia.., p. 50.

anche per ci che concerne la forma e il contenuto della rappresentazione


mitica.109

2.0 Mito e ricerca.


Il grande mito cosmologico del Politico, nasce da un problema che non cosmologico, bens
politico. Lo Straniero di Elea e Socrate il giovane, interlocutori principali del dialogo, muovono alla
ricerca del vero uomo di stato. Come evidenziato da Giorgini110, fin dalle prime battute del dialogo,
viene affermato con chiarezza che la politica un'arte, una . In tal modo, sottolineando come
la politica sia la scienza probabilmente pi importante e pi difficile da acquisire, Platone si pone in
contrasto con quella visione democratica, presentata da Protagora nel dialogo omonimo 111 , secondo
la quale tutti gli esseri umani, indistintamente, posseggono le qualit necessarie a divenire buoni
uomini politici: l'arte politica non per tutti, ma per pochissimi specialisti. Una volta definita la
politica come scienza inizia il lunghissimo processo di divisione. Vengono, anzitutto, distinte le
scienze che non hanno alcun rapporto con le azioni, come l'aritmetica, da quelle che, come la
tecnica delle costruzioni, uniscono scienza e prassi, producendo oggetti prima non esistenti. La
politica, viene detto nel corso del dialogo, una scienza teorica, in quanto non finalizzata alla
realizzazione o creazione di realt prima non sussistenti (258 D 4-259 D 1). Per effetto di numerose
altre divisioni, delle quali non possiamo occuparci diffusamente in questo contesto, l'arte politica
viene ulteriormente specificata come 1) arte teorica direttiva (259 D 9-260 C 5); 2) arte di dare
ordini in senso proprio (260 C 6-261 A 1); 3) arte di dare ordini a creature viventi (261 B 4-D 1); 4)
arte dell'allevamento in comune (261 D 3-D 9). La via lunga della divisione giunge, in seguito, a
specificare l'arte dell'allevamento come 5) arte dell'allevamento all'asciutto (264 B 11-E 4); 6) di
animali terrestri (264 E 6-10), 7) privi di corna (264 E 12-265 D 4); 8) che si riproducono senza
mescolanza (265 D 9-E 9). La via breve del procedimento, ripartendo dagli animali terrestri,
considera la politica come arte di guidare 7) bipedi (266 E 4-5); 8) privi di penne (265 E 5-11). La
109
110
111

K. GAISER, La metafisica della storia.., p. 50.


G. GIORGINI, Politico, Milano 2009, p. 35.
Cfr Prot., 320 D-323 C.

conclusione la medesima: la politica l'arte di guidare l'allevamento degli uomini. Il


procedimento diairetico, tortuoso e complesso, portato avanti fino a questo punto dallo Straniero di
Elea e dal giovane Socrate, arrivato ad un risultato che non soddisfa l'Eleate. Con la prima parte
della diairesi, si giunti alla definizione di politico come pastore. Ma la politica solo una delle
numerose forme di pastorizia e si occupa di un gregge particolare:quello umano. Bisogna allora
cogliere la differenza specifica tra tutti i pastori ed i re. Vi sono, infatti, altri tecnici, che potrebbero
rivendicare il ruolo di guide del genere umano, come i contadini, i mercanti, i medici. Essi
potrebbero tranquillamente sostenere di occuparsi dell'allevamento non solo degli uomini, ma anche
degli stessi governanti (267 E 7- 268 A 3). La concezione del politico come un pastore non
dunque adeguata, e necessita di una correzione. Per far s che il giovane Socrate possa comprendere
ci, lo straniero introduce la narrazione del mito (268 D 7). Come si pu vedere, la vicenda mitica
non viene presentata in un momento di rilassamento, di pausa dal procedimento filosoficodialettico: al contrario, il mito stesso funge da ausilio per il procedimento filosofico. Come
osservato da Mauro Tulli: lo scarto puntuale, se la non si risolve nel
mito, il mito sul piano della , non si risolve nella 112. In effetti, ci
che ha sviato molti studiosi113 da una seria interpretazione del mito del Politico, sono proprio le
parole dello Straniero, il quale definisce il mito come , un gioco. Ci ha portato a ritenere la
cosmologia del Politico come racconto puramente fantastico, totalmente privo di rilevanza
filosofica. Ma questa interpretazione sembrerebbe non accordarsi con quanto si verifica nel testo.
Se, ad esempio, prendiamo in considerazione gli elementi lessicali, possiamo dire che per quanto
concerne i due miti-oggetto della nostra analisi, quelli del Timeo e del Politico, sia molto
semplice notare come i termini maggiormente attinenti alla sfera gnoseologica della
verosimiglianza (si vedano espressioni come , , ) siano
predominanti rispetti a quelli pi strettamente connessi, invece, alla sfera narrativo-espositiva sic et
simpliciter (, )114. Ma il Politico offre, da questo punto di vista, un quadro ancora pi
112
113
114

M. TULLI, La storia impossibile nel <<Politico>>.., p. 5.


Cfr Supra, note 4, 5, 6.

Attestazioni del termine in Tim., sono a 29 B 3-5; C 2; C 8; D 2; 30 B 7; 34 C 3-4; 44 D 1; 48 C 1;

chiaro. Platone, attraverso la figura dello straniero, riutilizza e rifunzionalizza tre vicende mitiche
diffuse e conosciute tra i Greci: la vicenda di Atreo e Tieste (268 A 8-11), la signoria di Crono (269
A 9-10), la vicenda dei (269 B 2-4), i nati dalla terra. Ma al filosofo non interessa narrare
queste vicende mitiche in quanto tali, ma solo per i riferimenti cosmologico-metafisici, e in un
secondo tempo politici, in essi contenuti. Questo fenomeno emerge in maniera evidente, io penso,
soprattutto in relazione alla vicenda mitica degli Atridi. Lo straniero di Elea si appresta a narrare la
storia (o per meglio dire un aspetto della storia), ma viene subito fermato da Socrate il giovane (268
E 14-15), che di quella stessa storia conosce gli aspetti pi strettamente favolistici, legati alla
vicenda del vello d' oro. Il giovane, che ha da poco superato l' et dei giochi,
(268 E 5), ed quindi avvezzo all'ascolto dei miti tanto quanto lo oggi un
bambino all'ascolto delle fiabe, identifica immediatamente la vicenda che lo Straniero si accinge a
raccontare con la vicenda, probabilmente da lui tante volte udita, del vello d'oro, e domanda allo
Straniero se anche questa volta verr a lui presentato tale accadimento. Secca e perentoria la
risposta dell'Eleate: (269 A 1). Lo Straniero vuole trovare un valore pi alto del mito,
percorrere altre strade, giungere all'origine degli avvenimenti. Per poter far questo arriva a
intrecciare, in aggiunta al mito suddetto, la storia di Crono e quella degli uomini nati dalla terra, al
fine di scoprire un , una causa comune. I miti, nel loro diffondersi, hanno progressivamente ed
inesorabilmente perduto il loro comune carattere eziologico, e sono giunti, infine, ad essere narrati
senza alcuna connessione tra l'uno e l'altro, '
(269 B 7-8). Il procedimento chiaramente demitizzante. Lo straniero libera i fatti dalle
incrostazioni fiabesche, che certo possono allietare ma non sono utili al fine della ricerca, e giunge
al nucleo e all'essenza delle vicende che vengono narrate. In questo modo, per dirla con J. Adam,
Plato meant something more than a pretty story when he wrote this 115. L'
delle tre vicende viene ravvisato dallo Straniero nei rivolgimenti cosmici, nei cicli del mondo. Ma

115

etc.. Per il Pol., compare a 270 B 1; a 270 B 13. Per una analisi pi approfondita
di questi elementi si veda G. VLASTOS, The Disorderly Motion.., pp. 72-73.
J. ADAM, The Mith in Plato Politicus, << The Classical Review >>, 10 (1891), p. 446.

non un mito la ricerca sul principio dei cicli 116. Platone abbandona subito il codice del
mito; con (269 D 2), (269 D 3), Platone non racconta, ma ricerca. La
si volge alla , ma questa volge alla . L'indagine esoterica parte da queste premesse,
che non sono esoteriche, in quanto unicamente condotte sul testo. Molto suggestiva risulta essere
inoltre, se ci poniamo nell'ottica dell'esegesi esoterica, l'ambiguit di cui verrebbe a rivestirsi il
termine . Certo, il mito non un gioco, e come tale non viene concepito neppure da Gaiser,
Migliori, Reale. Per il mito, secondo l'interpretazione esoterica, pu comunque essere considerato
come un gioco infantile, perch viene ad inserirsi all'interno di un dialogo scritto, drasticamente ed
inesorabilmente inferiore rispetto al discorso orale accademico. Il discepolo platonico avrebbe
dovuto/potuto essere l'unico a capire che, nel momento stesso in cui il termine greco non poteva
essere preso sul serio in relazione al mito (che doveva essere inteso seriamente), avrebbe per
dovuto essere, al contempo, seriamente e letteralmente considerato in relazione al rapporto oralitscrittura. La ricerca del mito si muove su due piani: quello cosmologico e quello antropologico. Il
secondo si comprende solo in relazione al primo. Il primo si comprende solo in relazione al Timeo.

2.0 Il quadro cosmico che emerge dal Politico.


Il procedimento dello straniero dunque chiaro: si parte da tre miti, che non vengono narrati ma
fungono da background per la ricerca aitiologica. L' ravvisato nei cicli del mondo. La
sezione cosmologica ha inizio a 269 C. Noi analizzeremo questa parte concentrandoci
prevalentemente sull'interpretazione esoterica, e concependo dunque il mito in maniera letterale (in
modo consequenziale con quanto fatto in relazione al Timeo, e senza dimenticare, al contempo,
che una visione letterale non unanimamente condivisa n per il Timeo, n, conseguentemente,
per il Politico, come dir in seguito). Lo Straniero, iniziando la propria ricerca, afferma:

. .
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116

M. TULLI, La storia impossibile nel <<Politico>>.., p. 7.

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' .
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. ,
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,
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, ' , '
,
, ' , ' , ,

117.
STRA. Ascolta. Questo nostro tutto talora il dio stesso che lo guida accompagnandolo nel cammino e lo
aiuta a ruotare, talora invece lo lascia libero; quando i periodi di tempo a lui appropriati hanno ormai
raggiunto la misura stabilita, esso allora spontaneamente gira di nuovo attorno in direzione contraria, dal
momento che un essere vivente e ha ricevuto la prudenza da chi lo ha congegnato dal principio. E questo
procedere con moto opposto per tale motivo gli necessariamente connaturato.
SOCR. GIO. Per quale motivo, dunque?
STRA. L'essere sempre nelle medesime relazioni e allo stesso modo e l'essere sempre identico si addice
solamente alle realt pi divine di tutte, mentre la natura del corpo non di quest'ordine. Ci che noi
abbiamo chiamato cielo e cosmo stato fatto partecipe da chi lo ha generato di molte qualit divine, tuttavia
ha comunanza anche con il corpo; per questo gli impossibile essere completamente esente da mutamento,
anche se, quanto pi gli possibile, si muove nello stesso luogo e nello stesso modo con un unico
117

Pol., 269 C 4-270 A 8.

movimento. Per questo ha ricevuto in sorte di ritornare indietro in moto circolare, perch questo il
cambiamento pi piccolo del suo movimento primitivo. Tuttavia, il volgere sempre se stesso da s non
possibile quasi a nessuno, tranne che a colui che guida tutti gli enti che a loro volta sono in movimento; a lui
per non concesso muovere ora in un modo ora invece in senso contrario. Per questo insieme di ragioni
non si deve affermare n che il cosmo ruota sempre se stesso da s n, d'altra parte, che sia sempre fatto
ruotare nella sua interezza da un dio con due rotazioni contrarie, n, ancora, che lo facciano ruotare due dei
con intenzioni tra loro contrarie ma, come stato appena detto e unica possibilit rimasta, occorre affermare
che esso talora guidato da una causa divina diversa da lui che lo accompagna nel cammino, per cui
riacquista vita e riceve dal suo artefice una rinnovata immortalit, talora invece, quando viene lasciato libero,
esso va da s per causa propria, lasciato libero al momento opportuno cos che pu marciare con moto
opposto per molte migliaia di rotazioni in quanto, essendo grandissimo e perfettamente bilanciato, procede
ruotando su di un piede piccolissimo.

[...]
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,
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. ' ,
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118.

Quando infatti giunse a compimento il tempo di tutte queste cose ed era necessario che avvenisse il
mutamento [...] allora dunque il pilota dell'universo, abbandonando per cos dire la barra del timone, si ritir
nel proprio posto di osservazione, e cos di nuovo il destino e un desiderio innato fecero rivolgere indietro
l'universo [...]. Il cosmo, quindi, rivolgendosi indietro ed entrando in collisione in quanto spinto dagli impulsi
contrari del movimento iniziale e di quello finale, provoc in se stesso un grande sommovimento, causando
cos un'altra strage di animali di ogni specie. In seguito, trascorso il lasso di tempo necessario, quando ormai
cessavano i tumulti e gli sconvolgimenti, pacificati i sommovimenti e riportando l'ordine, l'universo ritorn
al suo corso abituale, avendo personalmente cura e dominio delle cose al proprio interno nonch di se stesso
e ricordando per quanto possibile l'insegnamento del proprio artefice e padre. Ma, mentre all'inizio eseguiva
il proprio compito con notevole esattezza, alla fine invece procedeva in maniera alquanto approssimativa: di
ci era causa la parte corporea della sua struttura composita, la condizione congenita determinata dalla sua
antica natura di un tempo, che era partecipe di molto disordine prima di pervenire all'ordine attuale. Tutte le
cose belle gli vengono infatti da chi lo ha ordinato, mentre dalla sua condizione precedente gli derivano tutte
le cose dolorose ed ingiuste che sorgono in cielo, che egli trasmette agli esseri viventi. Cos, quando allevava
in se stesso gli esseri viventi con l'aiuto del proprio pilota, produceva piccoli mali e di poco conto e grandi
beni. Separandosi da lui, invece, succede sempre che quando il distacco appena avvenuto egli conduce tutto
nel migliore dei modi; ma con il passare del tempo sorge in lui in misura maggiore l'oblio e lo domina la
condizione di antica disarmonia, che allo scadere del tempo degenera producendo beni di poco conto ai quali
mescola una grande quantit dei loro contrari, fino a rischiare di distruggere se stesso e le cose dentro di s.
Per questo motivo allora il dio che gi un tempo lo aveva ordinato, vedendolo in difficolt e preoccupandosi
che, sopraffatto dalla tempesta e disgregato dal tumulto, non affondi nel mare senza lim iti della
dissomiglianza, ritornando a sedersi al timone dell'universo, dopo aver raddrizzato le cose che nel ciclo
precedente in cui era abbandonato a se stesso si erano ammalate e dissolte, riporta l'ordine nel cosmo e
118

Pol., 272 D 6- E 4.

rimettendolo sul retto cammino lo rende immortale e insenescente.

Analizzando il testo, possiamo arguire l'esistenza di un vero e proprio ciclo cosmico, suddiviso in

fasi. Discuteremo successivamente sul numero effettivo di questi periodi del mondo, problema sul
quale si aperto un importante dibattito tra gli studiosi. Ci limiteremo, per ora, a prendere in
considerazione l'ipotesi tradizionale (sia perch risulta essere quella maggiormente condivisa, sia
anche perch l'ipotesi dei tre cicli, come avremo modo di vedere successivamente, cade in
numerose ed insormontabili aporie testuali). Seguendo l'interpretazione tradizionale del mito,
esisterebbero due stadi dell'esistenza del cosmo: in uno l'universo viene guidato direttamente dal
dio, nell'altro esso viene lasciato libero e si muove in senso contrario. Ma, come gi detto in
precedenza, una ricerca non un postulato. Lo straniero inizia la sua analisi, basandosi su un dato di
fatto: il conservare sempre i medesimi rapporti e le medesime condizioni, l'essere sempre identico,
proprio unicamente delle realt divine somme, ma la natura del corpo non appartiene a quest'ordine.
Il cosmo stato s fatto partecipe, da chi lo ha generato, di molte qualit divine, ma esso ha anche
un corpo, per cui gli impossibile essere del tutto esente dal mutamento (). Tuttavia, per
quanto possibile, si muove nello stesso luogo e nello stesso modo con un unico movimento. Il suo
movimento circolare, visto che questo rappresenta il mutamento pi piccolo del suo movimento
primitivo.

2.1 Il problema del moto.


Visto e considerato che il mondo deve essere dotato di movimento, stante la sua struttura corporea
e materiale, il successivo problema che Platone, nella figura dello Straniero, deve affrontare ,
necessariamente, quello riguardante la causa del movimento. Anche in questa analisi, le
osservazioni muovono su basi razionali: Il cosmo non pu muovere se stesso da s, in quanto ci
non possibile quasi a nessuno, se non a colui che guida tutti gli enti che a loro volta sono in
movimento. Non plausibile neppure pensare che a muovere il cosmo sia un Dio con due rotazioni

contrarie (come sottolineato da Robinson119, Dio non pu determinare due rotazioni aventi senso
contrario, in quanto, come detto nel Timeo120, gli Dei celesti possiedono moto uniforme nello
stesso luogo, poich ogni Dio pensa pensa sempre le stesse cose riguardo alle stesse cose) , n che a
muovere il pianeta siano due Dei aventi intenzioni tra loro contrarie (269 E 7-270 A 2). Resta, come
unica soluzione, la possibilit che il mondo venga guidato dapprima dal Dio, che lo accompagna nel
suo cammino, mentre in seguito esso va da s, lasciato libero al momento opportuno (270 A 2-8).
Sebbene lo Straniero si premuri di eliminare alcune ipotesi errate sulla causa produttrici del moto
cosmico, anche la ricostruzione da lui prospettata divenne oggetto di differenti interpretazioni tra gli
studiosi e i critici, in particolare per quanto concerne l'individuazione della causa efficiente del
movimento. Anche tra gli esoterici mi pare si possa trovare una divergenza di opinioni in relazione
a questo punto. Se infatti, come avremo occasione di vedere meglio in seguito, tutti gli esoterici
appaiono uniformi nel leggere la componente materiale e caotica di cui parla il mito come un
riferimento alla natura amorfa, alla Diade sensibile che dominava la terra alle sue origini, e di cui ci
parla il Timeo, opponendosi ad una visione simbolista che vedrebbe nella stessa componente
materiale una produzione dell'anima, una realt avente natura psichica quindi, non altrettanto essi
paiono concordare sul fatto che sia proprio la materia sensibile, gli elementi materiali a determinare
il moto del mondo. A sostenere questa tesi stato, in particolare Richard Mohr 121. Dopo aver
condotto una rigorosa analisi testuale sul Timeo ed il Politico, egli ipotizz che a muovere il
mondo fosse, appunto, la materia. La funzione del Dio e dell'Anima, sui quali molto si sofferma il
mito, sarebbe stata quella di armonizzare quanto pi possibile il moto disordinato della materia,
imponendo ad esso ordine per mezzo di un moto circolare. In seguito, l'anima del mondo, privata
del sostegno divino, ricordando per quanto possibile gli insegnamenti del divino artefice,
cercherebbe di mantenere equilibrati gli influssi crescenti del moto materiale, facendo ruotare il
mondo in circolo e cambiando solo la direzione del movimento circolare, realizzando, in tal modo,

119

120
121

T. M. ROBINSON, Demiurge and World Soul in Plato's Politicus, <<The American Journal of Philology>>, 88
(1967), pp. 57-66.
40 A-B.
R. MOHR, The disorderly motion in Plato's Statesman,<< Phoenix>>, 35 (1981), pp. 199-215.

il cambiamento pi piccolo del movimento iniziale, sotto guida divina, del pianeta. Platone, in
questo modo, distinguerebbe il movimento caotico della materia del mondo dalla causa che rende,
per quanto possibile, ordinato ed equilibrato il moto materiale, ossia l'anima del mondo. Ad una
visione simile mi pare propenda anche Reale quando afferma che del tutto fuori strada chi
neghi la credibilit di questa connessione della Chora col movimento,
sostenendo che il movimento impresso dall'anima. Infatti, l'anima non
produce in assoluto il movimento, ma lo de-termina, lo ordina e quindi lo
razionalizza122. Diversa l'interpretazione fornita da Robinson123: il movimento del mondo
descritto nel mito non sarebbe causato dalla materia, ma dall'anima. Il mito del Politico
presenterebbe, incorporate, la cosmologia del Timeo, e la concezione del Fedro come
. Nel Timeo l'anima del mondo appare come un , piuttosto che come
principio di movimento, . A generare il movimento nel Timeo, non sarebbe l'anima,
ma piuttosto il Demiurgo e le divinit minori. Nel Fedro124, Platone avrebbe poi concepito l'anima
come ci che muove sempre se stessa da s, fonte, a sua volta, di tutti gli altri movimenti.
Robinson ritiene che nel mito del rivolgimento cosmico del Politico tutti gli elementi si combinino
perfettamente: se l'anima, come detto nel Fedro, principio di movimento, e se, come detto nel
Timeo125, ci che essa muove si muove in circolo (Dio attribuisce al mondo un moto circolare, in
opposizione al moto rettilineo dell'), ne consegue che lo stesso movimento dell'anima sia da
intendersi come circolare. Nel mito del Politico Platone presenterebbe una vera e propria gerarchia
di perfezione delle anime. Assumendo come modello di perfezione l'assoluta immobilit delle idee,
prive di mutamento, potremmo trovare nel mito l'immagine di un'anima (quella del Dio) che,
essendo puro e , possiede la pi nobile forma di mutamento: il moto circolare in un senso,
di cui Platone parla, nel Politico, a 269 E 9126, passo in cui si ritiene impossibile, per il dio,

122
123

124
125
126

G. REALE, Pe una nuova interpretazione di Platone.., p.548, n. 62.


T. M. ROBINSON, Demiurge and World Soul in Plato's Politicus, <<The American Journal of Philology>>, 88
(1967), pp. 57-66.
Phaedr., 245 C 9.
Tim., 34 A 4-5, 34 B 1-5.
Pol., 269 E 9, ' .

muovere il mondo in due direzioni opposte. L'anima del mondo non, pu, al contrario, svolgere un
moto circolare nello stesso senso, come il dio, a causa della forte influenza che in essa esercita la
componente materiale, . A causa di questa sua imperfezione, determinata dalla
componente materiale del mondo, essa non pu che compier una second best activity, cio una
rotazione al contrario (). Questa deviazione rispetto al corso fornito al mondo dal
Demiurgo, dovuta alle influenze del corporeo che, come un virus, va ad infettare l'organismo
vivente ed animato della terra. Migliori127 condivide l'idea che a muover il mondo sia l'anima del
mondo stesso. A suo dire, se si fornisce, come fa Mohr, un'interpretazione dei movimenti del cosmo
nella chiave di un unico moto fisico e meccanico, si perderebbe la differenza tra il movimento
meccanico, che necessariamente compete alle realt fisiche in quanto divengono, e il movimento
proprio degli esseri viventi, dotati di anima. Il quadro che emerge dal mito sarebbe invece, a suo
avviso, il seguente: Dio interviene su un cosmo che si muove, come si muovono tutti i viventi dotati
di anima, e aiuta l'ordine a prevalere contribuendo ad un movimento ordinatore; quando i tempi
sono compiuti e la divinit abbandona il mondo, il cosmo continua a muoversi sotto il controllo
dell'anima, che cerca consapevolmente di differire il meno possibile dal moto precedente (per cui il
mondo non pu muoversi che in senso opposto). Anche Gaiser 128 scorge nell'anima del mondo la
causa efficiente del moto: secondo il libro decimo delle Leggi129 e secondo il Fedro130, la realt a
cui compete la capacit di muovere se medesima l'anima. Perci, se nel Politico ulteriormente si
dice che ci che si muove sempre da s dovrebbe causare sempre il medesimo movimento, questo
avrebbe un preciso rapporto con ci che espresso nelle Leggi, ossia che proprio l'anima del
mondo a produrre il movimento rotatorio regolare, quando segue il Nous, vale a dire la ragione,
conformemente alla sua natura. Gaiser scorge nel Dio del mito del Politico, esattamente come in
quello del Timeo, la forza del mondo delle idee e dunque, in ultima analisi, dell'Uno come causa
divina di ogni strutturazione. Arriva per a distinguere, in via congetturale, il dio conservatore del

127
128
129
130

M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica.., p. 329, n. 70.


K. GAISER, La metafisica della storia in Platone.., pp. 49-70.
Leg., X, 895 E-896 B.
Phaedr., 245 C-246 A.

Politico dal Demiurgo produttore del Timeo, considerandolo come il Nous dell'anima del mondo
che produce l'automovimento dell'anima del cosmo come movimento circolare ordinato. Se il Nous
viene a mancare, acquistano prevalenza gli influssi che provengono dal corporeo. Questo
esattamente quanto si verifica nella seconda fase del mondo, quella del cosmo abbandonato a se
stesso. Nell'anima cosmica, rileva Gaiser, accanto al Nous si trova il desiderio passionale legato al
corporeo e la tendenza alla dimenticanza (). Per Gaiser dunque, in una fase l'anima del mondo
segue la ragione, ed il mondo, posto sotto il controllo divino del Nous, ordinato ed armonico,
nell'altra, invece, gli influssi del corporeo influenzano l'anima cosmica, che perde progressivamente
la propria funzione direttiva abbandonando il mondo131 al crescente disordine. La tensione
dell'anima tra ed si spiega in conseguenza della collocazione intermedia di essa tra
Idea e fenomeno corporeo, tra unit e molteplicit indeterminata. Lo stesso Gaiser sembra
distinguere il movimento circolare, proprio del Nous, e quello rettilineo, monodromo, disordinato. Il
mito sembrerebbe dunque contrapporre all'attuale svolgimento storico non reversibile, che in s
irrazionale, il movimento ordinato circolare del tempo sotto guida divina. Platone, in questo modo,
unificherebbe in modo efficace il processo lineare irreversibile e quello circolare, introducendo una
concezione di tipo spiraliforme. Si ha pertanto una evoluzione della storia del cosmo
e degli uomini in cui il rettilineo si combina col circolare della spirale, e che
sintetizza,

pertanto,

il

ripetersi

dell'<<identico>>

mediato

con

il

<<differente>>132. Questo ritmo alterno del divenire cosmico rappresenterebbe la tensione tra
l'uno e l'altro principio, tra il mondo ideale e l'. Secondo la Isnardi-Parente133, non sarebbe
tuttavia possibile parlare, come fa invece Gaiser, di uno sviluppo progressivo in forma rettilinea per
quel che concerne la fase di autonomia del mondo. Margherita Isnardi-Parente cita, a tal proposito,
Skemp il quale, a suo dire, sembr rispondere preventivamente al Gaiser, nel momento in cui
131

132

133

La ricostruzione di Gaiser non deve essere confusa con quella di Cornford e Morrow. Per il tubinghese la
componente irrazionale dell'anima non causa ma subisce gli influssi del corporeo. Questo, inoltre, ha in Gaiser
valenza ontologica e non mitico-immaginifica; la sua origine deriva dal principio dell'Indeterminato, dell' .
G. REALE, Platone. Alla ricerca della sapienza segreta, Milano 2008, p. 287. Di una concezione spiraliforme
dei processi storici parla gi K. GAISER, La metafisica della storia.., p. 62.
E. ZELLER-R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Firenze 1974, parte II, v. III/2, p.
231-232, a cura di M. ISNARDI PARENTE.

afferm che quella del mondo nella fase del disordine pur sempre una rotazione, per quanto
imperfetta. Lo Zeller sostenne, appunto,

l'impossibilit di identificare del tutto la rotazione

retrograda di cui parla il Politico e l'assoluto disordine; il fatto che la rotazione si conservi, bench
in direzione opposta, significa che la forza della persuasione sulla necessit non mai venuta meno.
Del vero e proprio moto dell', del moto rettilineo del , il Politico non parla, se non
come di possibilit non raggiunta. Una tale possibilit non contemplata, del resto, neppure da
Gaiser134, n poteva esserlo, considerato che il testo molto chiaro sull'impossibilit che il mondo
approdi al disordine che lo dominava totalmente nella sua fase originaria. A me pare che Gaiser non
perda mai di vista il fatto che il moto del pianeta, anche nella sua fase autocratica, sia di tipo
circolare (bench avente direzione inversa). Gaiser introduce il movimento rettilineo, per poter dar
ragione del fatto che, nel ciclo di Zeus, si possono scorgere tracce di un'evoluzione, di uno sviluppo
irreversibile che porta l'uomo ad un incremento del proprio sapere, e il cosmo a un progredire della
corruzione e del disordine135. Ma ci non impedisce di pensare che questo processo irreversibile alla
fine, autosuperandosi, non sbocchi in un processo ciclico generale. Secondo lo studioso, anzi,
Platone unificherebbe in modo efficace il processo lineare irreversibile e quello circolare
introducendo, come abbiamo visto in precedenza, una concezione di tipo spiraliforme. Impossibile
dunque pensare che il movimento disordinato della materia assuma nel cosmo lo stesso movimento
che abbiamo visto contraddistinguerlo prima dell'intervento del Demiurgo. Possiamo ipotizzare che,
mentre prima della formazione del cosmo i movimenti della Diade manifestavano appieno la loro
componente di disarmonia e sregolatezza, assumendo un moto totalmente caotico, ora invece, una
volta che il cosmo stato creato e il mondo stato dotato di un'anima, questa stessa componente di
irrazionalit possa essere attenuata dall'azione ordinatrice dell'anima stessa. In questo modo si
concilierebbe il fatto che il moto retrogrado del mondo tenda a tornare allo stato originario di caos
materiale con il fatto che, al contempo, il mondo descritto da Platone sia pur sempre un cosmo
dotato di anima che, per quanto pi possibile, ricordando gli insegnamenti del Demiurgo, tenda a
134

135

K. GAISER, La metafisica della storia.., p. 54, <<D'altro canto difficilmente pensabile che, durante l'attuale
periodo di tempo, il Nous dell'anima del mondo si sia separato per intero dall'anima stessa del mondo>>.
Cfr, a questo proposito, K. GAISER, La metafisica della storia.., cap. V, pp. 112-127.

deviare il meno possibile dalla direzione originaria, mutando semplicemente la direzione del
proprio movimento circolare. Questo, del resto, non impedisce certo di pensare che il mondo, mano
a mano che nell'anima predomina la dimenticanza, rischi di precipitare nuovamente nel disordine
originario136 di cui parla il Timeo (leggendo il mito in chiave letteraria, ovviamente), nell'.
Se il dio non intervenisse nuovamente a ripristinare l'equilibrio, il mondo certo approderebbe
nuovamente alla situazione di caos originario (alla Diade, se si seguono le <<Dottrine non
scritte>>). Gli esoterici scorgono infatti un richiamo al principio del disordine nell'espressione
testuale (273 D 6-7) nel quale il mondo rischia di
precipitare. Questo mare infinito della dissomiglianza non costituirebbe altro che una bella ed
affascinante metafora per indicare il Principio antitetico all'Uno. chiaro inoltre che, se tutto ci
che si forma nel mondo e nel cosmo necessita dell'azione cooperante e sinergica dei due principi,
laddove uno dei due venga totalmente meno e lasci il predominio incontrastato all'altro, come
rischia di avvenire nella fase autarchica del ciclo cosmico, allora il mondo non pu che andare
incontro alla sua distruzione, alla sua 137 (273 D 3). Ma il mondo, che pure presenta
alternanza continua di periodiche , non cade nella sua distruzione totale. Il dio (sia esso
inteso come Nous dell'anima cosmica, alla maniera di Gaiser, o come vera e propria realt divina,
alla maniera di Reale e Migliori) interviene per salvare il cosmo, ritornando a sedersi al timone
dell'universo (273 D 4-E 4). Questo sembrerebbe confermare quanto abbiamo detto in precedenza
nel capitolo dedicato al dualismo platonico: il quadro cosmico che Platone descrive e presenta al
lettore nel mito del Politico non quello che sembra emergere dai frammenti empedoclei. La storia
della terra non si basa su un predominio alternato dei due Principi, ma su un'alternanza e un
periodico scambio di due differenti epoche cosmiche. Di un'epoca, quella di Crono, caratterizzata da
uno stato armonico ed un'altra, quella di Zeus, dove emerge una progressiva differenziazione e
tensione tra i Principi originari138.
136
137

138

Il testo parla di (273 C 6-7) che influenza progressivamente il mondo.


L'uso dell'intensivo implica una distruzione totale e assoluta del cosmo. Questo distingue la dalle
che colpiscono il mondo, ma non lo distruggono totalmente. Esse ,anzi, sono alla base di nuovi cicli cosmici.
K. GAISER, La metafisica della storia.., p. 59, scorge tale alternanza, pi che nel cosmo, nell'anima del mondo:
<<Nel corso di una delle epoche del mondo, l'opera del Demiurgo, ossia la costituzione dell'anima del mondo
partendo dai principi opposti, rischia di venire annullata; nel corso dell'altra epoca del mondo, invece, la coesione

2.2 Perch Dio abbandona il mondo?


Lo straniero di Elea, dopo aver scartato la possibilit che il mondo possa muoversi in circolo da s,
che sia fatto ruotare dal dio con due rotazioni contrarie, e che a muoverlo siano due dei tra loro
opposti, ammette come unica plausibile possibilit l'ipotesi da lui precedentemente espressa, ossia
che in una fase il mondo venga guidato dal dio, mentre nell'altra venga abbandonato a se stesso
(269 E 7-270 A 8). Come possiamo desumere dalla lettura del testo, lo Straniero sottolinea e rimarca
la presenza di una componente di necessit, di che si impone al dio. Quello che lo Straniero
sembra non esplicitare, nel testo, in cosa consista questa componente di necessit e perch essa si
imponga alla divinit. Molti studiosi si sono concentrati su questo punto, richiamandosi alla
tradizione greca di norme, leggi, regole non imposte da Dio ma a lui superiori ed indipendenti. La
Isnardi-Parente139 sottolinea, ad esempio, che la concezione dell'onnipotente libert di
Dio del tutto assente da Platone [...]. Bisogna quindi sgombrarsi la mente
preliminarmente[...] dai moderni concetti di necessit e libert. Bortolotti140 si
chiede se la necessit si imponga a Dio, o in qualche modo dipenda dalla stessa divinit. T.M.
Robinson141 allinea questa concezione divina a quella di Omero e dei suoi dei olimpi, sottomessi ad
, , .Per gli esoterici, queste osservazioni e parallelismi non possono che
essere, per quanto interessanti, inevitabilmente incompleti. Essi infatti, pur con delle differenze in
alcuni punti delle loro ricostruzioni, cercano di comprendere il rapporto Dio e necessit sulla base di
quelli che considerano essere i fondamenti della filosofia platonica: per Reale e Migliori, il Dio non
il Bene, ma un artefice che agisce in funzione del Bene. Prendendo a modello il Principio
produttore di forma, il Demiurgo inizia a plasmare ed armonizzare la realt fisica. Ma la sua azione
non pu durare in eterno; il mondo per quanto perfettibile, non pu mai diventare perfetto. Nel

139

140

141

viene ristabilita mediante il governo di Dio>>. Per M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica.., p. 328,
n.66, in questo modo si confonderebbero l'anima del mondo e il cosmo.
M. ISNARDI PARENTE, E. ZELLER-R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Firenze
1974, vol. III, 1, p. 236.
A. BORTOLOTTI, La religione nel pensiero di Platone, vol. II, Dalla Repubblica agli ultimi scritti, Firenze 1991,
pp. 155-156.
T. M. ROBINSON, Demiurge and World Soul in Plato's Politicus, <<The American Journal of Philology>>, 88
(1967), p. 58.

momento in cui si raggiunto il massimo di ordine possibile, l'azione divina compiuta e il Dio
deve allontanarsi. Riemergono qui pienamente le componenti fondamentali delle Dottrine non
scritte. L'azione sinergica dei due Principi, necessaria alla formazione della realt, la necessit
polare che si impone al Dio, ed anche, come vedremo, il concetto di Giusta Misura che regola il
processo divino. Per lo stesso Migliori142, se si segue l'esegesi di Gaiser, che come gi detto
identifica il Demiurgo col Principio dell'Unit, si andrebbe incontro a delle difficolt, perch il
comportamento descritto nel mito sembra contraddire la natura buona di Dio e implicare una sorta
di indebolimento della forza formatrice del Principio unitario. In realt penso che lo schema
precedente possa adattarsi bene anche alla tesi di Gaiser; la componente della necessit si
imporrebbe, in questo caso, direttamente al Principio dell'Unit. L'indebolimento della forza
formatrice del principio unitario sarebbe giustificata, credo, dalla medesima componente della
, rappresentata dalla giusta misura (cui Dio deve attenersi), su cui basa le sue osservazioni lo
stesso Migliori. Anche l'obiezione che, in questo modo, verrebbe contraddetta la natura buona di
Dio, penso possa essere rovesciata; L'Uno inizia ad armonizzare la realt; in seguito, dopo che il
cosmo ha raggiunto la giusta misura dell'equilibrio, abbandona il mondo, perch la sua opera si
compiuta, ha armonizzato quanto pi possibile una realt che, giova ripeterlo, a causa della sua forte
componente materiale non potr mai essere totalmente ordinata, e si ritira nel suo posto di
osservazione (272 E 5). Il fatto che il mondo rischi di cadere nella dissomiglianza, non pu
certamente essere imputato al Dio, ma agli influssi del corporeo. Anzi, proprio grazie alla
provvida natura divina, che mai ha abbandonato il cosmo, che il mondo non pu dissolversi nel
Caos.

2.3 La storia degli uomini nel mito del Politico.


Il mito del Politico non si limita a presentare uno grandioso scenario cosmico. Per riprendere le
parole di Gaiser possiamo dire che il significato del mito sta, non da ultimo, nella

142

M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica.., p. 327, n. 58.

connessione del processo cosmico con la storia umana 143. Ci che il tutto subisce,
deve necessariamente ripercuotersi anche nelle sue parti. Lo straniero sottolinea, infatti, che gli
uomini e tutti gli esseri viventi imitavano fedelmente e seguivano strettamente ci che avveniva
nell'universo (274 A). I due moti implicano una trasformazione radicale del movimento cosmico, il
che si traduce in altrettanto radicali trasformazioni dei fattori sottostanti. Da queste premesse, che
Socrate considera verosimili, emerge come conseguenza che se il movimento d la misura del
tempo, sempre connesso al ciclo delle stagioni e al moto dei cieli, se si inverte il movimento, il
tempo scorre all'indietro. La condizione degli uomini che vivono nel periodo detto di Crono ,
proprio per questo motivo, caratterizzata da un ciclo esistenziale opposto al nostro, al ciclo di Zeus.
Gli uomini, in quel periodo della storia cosmica, nascono vecchi e canuti, ma si consumano nel
dolce cammino verso una infantile, a ritroso144. Ogni animale (compreso,
ovviamente, l'uomo) diviene, col passare del tempo, sempre pi giovane, tornando allo stato di
neonato nell'anima e nel corpo, fino a scomparire del tutto. Anche i cadaveri dei morti di morte
violenta subiscono il medesimo destino e, in pochi giorni, si annichiliscono (270 D 6-271 A 1).
Sembra inoltre evidente, prosegue lo Straniero, che anche il processo generativo era, in quel tempo,
diverso dal nostro. Gli esseri viventi non si generavano gli uni dagli altri, ma spuntavano
direttamente dalla terra (271 A 5). Del resto, ci pare essere perfettamente coerente con quanto detto
in precedenza: se i vecchi tornano allo stato di fanciullo, anche i morti, che giacciono nella terra,
devono ricostituirsi in quel luogo e l rinascere, con una inversione del processo generativo. In quel
tempo, come Dio governava il movimento circolare del mondo, allo stesso modo tutte le parti
dell'universo risultavano essere sotto il governo di altri dei, zona per zona. I demoni divini avevano
diviso gli animali secondo razze e greggi, come fanno i pastori, e ciascun demone forniva al suo
branco il necessario per sopravvivere. Non vi erano bestie selvagge, n guerre o contese. Gli uomini
godevano di una condizione di beatitudine: potevano contare su frutti abbondanti che nascevano
spontaneamente; vivevano all'aperto, perch le stagioni erano temperate, ed avevano morbidi
143
144

K. GAISER, La metafisica della storia.., p. 63.


M. TULLI, Et di Crono e ricerca sulla natura nel Politico di Platone, <<Scritti Classici e Orientali>>, 40 (1990),
p. 97.

giacigli fatti di erba che la terra faceva crescere (271 D). Ma il regno di Crono non pu durare in
eterno: quando era necessario che si verificasse il mutamento e il Dio abbandonasse il timone del
mondo, il cosmo inizi la rotazione contraria. Come al cosmo era stato imposto di essere sovrano
assoluto del proprio cammino, cos anche gli uomini furono costretti a badare a se stessi.(274 A 48). L'epoca di Zeus l'epoca dell'autonomia del genere umano. La nostra generazione un riflesso
di questa indipendenza. Privati (temporaneamente) del sostegno e dell'appoggio divino, abbandonati
ad un mondo divenuto selvaggio e feroce e privi del nutrimento spontaneo, gli uomini si trovavano
in grande difficolt. A quel punto intervennero gli dei, che fornirono agli uomini le arti necessarie
per poter sopravvivere (274 C 5-D 2). Il contrasto tra la condizione umana nei due cicli pare essere
talmente forte, che stupisce il fatto che lo Straniero ponga un quesito sulla felicit (272 B 3-4). In
realt ci pu essere ben compreso, se si considera quello che Platone considera essere il criterio
della . Essa non si basa sull'abbondanza di cibo e bevande, ma sulla attivit filosofica 145
(272 C 1). Attivit filosofica che pare per essere esclusa dal ciclo di Crono. Nell'et di Crono
mancano i presupposti necessari per la ricerca filosofica. Manca la prospettiva dell'impegno, della
fatica, dell'esercizio. Quella stessa componente del che accompagna l'ascesi della nel
Simposio (209 E-215 C) e nel Fedro (246 A-250 B), che conduce il discepolo nella
Repubblica (521 B-541 B) al governo dello stato e al sapere, che guida, nella VII lettera (340
B-341 A), la ricerca, non presente in un'epoca di agio. La generazione degli uomini direttamente
dalla terra determina la mancanza dell', della tensione erotica, altra importante componente
della filosofia. Cos come possono essere considerati inesistenti la memoria e il ricordo, in un'et
nella quale il corpo e l'anima progressivamente ringiovaniscono. Per i esclusa la memoria
(271 E-272A). M. Tulli146 mette in evidenza anche la sfumatura negativa del verbo
che emerge, per l'et di Crono, in relazione al cibo e alle bevande (272 C 6). Lo stesso
verbo viene utilizzato da Platone per esprimere la sua personale condanna nei confronti di Siracusa
nella VII lettera (326 B-D), citt che vive nell'agio e lontano dal sapere. Lo stesso Tulli suggerisce
145

146

Su questa connessione tra e si veda anche Ch., 173 D-175 A; Euthyd., 278 E-282 D; Gorg.,
470 C-479 A; Phaedr., 276 C-277 A.
M. TULLI, Et di Crono e ricerca sulla natura.., p. 103.

che, quando l'uomo vive a diretto contatto con la natura provvida e benigna, la ricerca pu arrestarsi
alla natura stessa, e gli uomini rischiano di perdere il contatto coi propri simili. Al rapporto
dell'uomo con altri uomini si sostituirebbe il rapporto degli uomini con gli animali 147. Si perderebbe,
in questo modo, la prospettiva della seconda navigazione, della . Tutto ci porta a
concludere che, bench la soluzione prospettata dall Stranier sia quella di una agnostica
sospensione del giudizio, data l'assenza di un in grado di fornirci testimonianza
valida (272 D 3-4) su come gli uomini di quel tempo conducessero la loro vita, tutti gli elementi
spingono a considerare l'et di Crono come non filosofica 148. Possiamo dire, citando Stanley Rosen,
che la funzione di ringiovanimento dell'epoca contronormale inseparabile da
una temporanea sospensione della nostra umanit; questo un periodo di
oblio e silenzio149.

2.4 La teoria dei tre cicli del cosmo.


La formulazione sopra presentata, che ricostruisce la cosmologia platonica sulla base di due cicli,
stata, tuttavia, fortemente criticata da alcuni importanti studiosi, che proposero di leggere il modello
come scandito in tre fasi150. Secondo l'interpretazione di Luc Brisson, uno dei pi accesi sostenitori
di questa esegesi, la divisione della storia cosmica in due stadi andrebbe incontro ad insormontabili
aporie. Lo studioso parte dalla premessa, che abbiamo visto non essere sostenuta dagli esoterici, che
il ciclo di Zeus coincida con un'epoca di totale abbandono del cosmo da parte del Dio. In questo
modo non si potrebbe capire, a suo dire, per quale motivo un'epoca senza Dio possa essere chiamata
ciclo di Zeus, n come sia possibile l'intervento degli Dei che donano agli uomini le loro arti.
147
148

149
150

M. TULLI, Ibidem, pp. 103-104; 107-108.


M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica, p. 330, interpreta invece seriamente il riferimento dello
Straniero alla mancanza del valido testimone, desumendone che la felicit sia una possibilit che l'uomo pu
raggiungere, in modo apparentemente identico, in entrambe le fasi. Personalmente trovo pi convincente, per i
motivi esposti nel testo, concepire l'et di Crono come totalmente non filosofica. Cercher di mettere in luce
successivamente un'altra motivazione, per la quale non trovo molto plausibile la supposizione di Migliori.
S. ROSEN, Plato's Statesman: the web of politics, New Haven-Londra 1995, p. 61.
La tesi dei tre cicli stata sostenuta da A. LOVEJOY e G. BOAS, Primitivism and Related Ideas in Antiquity,
Baltimora 1935, p. 258; L. BRISSON, Le meme et l'Autre dans la structure ontologique du Timee de Platon, Parigi
1974, pp. 478-496; A. M. DILLENS, De la philosophie au mythe. A propos des lambeux de lgends rassembls
dans le Politique de Platon, Saint-Louis 1985, pp. 207-225; L. BRISSON, Interpretation du mythe du Politique, in
AA. VV., Reading the Statesman, Sankt Augustin 1995, pp. 349-363.

Inoltre l'epoca di Zeus, che dovrebbe essere appunto senza Dio, grazie alla presenza in essa delle
arti e della filosofia, assenti nella precedente fase cosmica, sembrerebbe avere maggiore valore di
quella di Crono. Brisson, in aggiunta a tutto ci, sottolinea come il processo generativo dell'et di
Crono sia, in realt, identico a quello dell'et di Zeus. Nell'et di Crono, si dice che le anime cadano
nella terra come semi (272 E 3). Il critico ne trae, come conseguenza, il fatto che le anime debbano
seguire, proprio come le piante, il normale processo di invecchiamento e morte. La soluzione da lui
prospettata per risolvere queste contraddizioni consiste nel supporre che, in realt, anche l'epoca di
Zeus sia da considerare come posta sotto l'egida divina. Le fasi del mondo non sarebbero due, ma
tre: l'et di Crono (271 C 3- 272 D 6), nella quale Dio e demoni si occupano di ogni singolo aspetto
del cosmo; il tempo del cosmo abbandonato a se stesso (272 D 6-273 E 4), nel quale l'universo
perde progressivamente ed inesorabilmente il proprio ordine ruotando in direzione contraria, e in
cui il ciclo delle nascite invertito; ed infine il tempo di Zeus (273 E 4-274 E 1), il nostro, in cui
Dio sovrintende alla rivoluzione dei cieli, mentre i demoni non tornano ad occuparsi dei singoli
aspetti. Come ho avuto modo di accennare precedentemente, questa interpretazione dei tre cicli
cosmici, non ha per convinto la maggioranza degli studiosi, che ha preferito continuare a vedere
una successione cosmica scandita in due fasi. Effettivamente, la teoria delle tre fasi del mondo pare
andare incontro ad evidenti contraddizioni con quanto presentato nel testo, oltre a complicarlo
sensibilmente. In primo luogo, il modello visibilmente binario sin dall'inizio, quando lo straniero
presenta due e due sole fasi151. A due fasi sembra fare riferimento anche Socrate, quando domanda
allo Straniero in quale dei due cicli di rivoluzioni si svolge il tipo di vita cronia (271 C). In
particolare, a 272 B lo Straniero narra a Socrate la vita nell'epoca sotto la guida di Crono e ricorda
al giovane interlocutore che dell'altra vita, sotto Zeus, egli ha esperienza diretta, nel caso in cui
voglia giudicare quale delle due epoche del mondo fosse da considerarsi pi felice. Anche per quel
che concerne il differente processo generativo tra le diverse fasi della terra opportuno notare che,
mentre per Brisson possibile separare i due processi, di invecchiamento e di nascita, in quanto la
descrizione del processo di rimpicciolimento (270 D-271 A), sarebbe staccata da quella che descrive
151

Pol., 270 B

la generazione dalla terra (271 A-C), tra le due affermazioni comunque presente la domanda di
Socrate che chiede quale fosse la generazione degli esseri a quei tempi, il che sembra unificare
perfettamente la trattazione. Non sembrano esserci, insomma, le componenti necessarie per andare
oltre quello che il testo pare esporci in prima istanza, col rischio di complicarlo notevolmente. Del
resto pu essere considerata discutibile la stessa premessa da cui parte la ricostruzione di Brisson: Il
testo non sembra testimoniare in maniera chiara che il mondo sotto l'epoca di Zeus (secondo
l'interpretazione tradizionale) sia abbandonato dal Dio. Certamente la sua presenza non forte come
nel periodo precedente, ma egli interviene nel momento di massimo disordine del cosmo, per
riportarlo sulla retta via (273 E). La stessa presenza dei doni degli Dei (le arti), lungi dall'entrare
in contraddizione con un'epoca che si crede essere senza Dio, pu assurgere a testimonianza del
fatto che il Dio, nel momento in cui ci abbandona, non solo si pone in osservazione, ma interviene
direttamente per garantire lo sviluppo delle attivit umane. In nessun modo, dunque, la divinit pare
essere totalmente assente nel ciclo di autonomia del mondo.

2.5 INTERPRETAZIONE NON LETTERALE DEL MITO DEL POLITICO.


Un altro grande problema si pone di fronte a chi voglia interpretare il mito del Politico. Le due fasi
del cosmo sono da intendersi in senso letterale, come effettivamente succedentisi in ordine
temporale, oppure l'intera grande costruzione cosmologica del mito ha la funzione di rappresentare,
in maniera immaginifica, i fattori costitutivi dell'universo? Quest'ultima interpretazione venne
proposta, gi nel mondo antico, da alcuni filosofi Neoplatonici 152. Il procedimento molto chiaro:
se si crede, come fece ad esempio, Proclo, che la materia pre-cosmica di cui parla il Timeo non sia
da intendersi in senso letterale, ma come metafora atta a rappresentare la componente sensibile e
materiale di un cosmo sempre posto sotto il controllo del Nous, allora non si pu che credere, se si
vuole essere coerenti, che anche il ciclo di Zeus, nel quale predominano gli influssi del corporeo,
rappresenti la struttura materiale dell'universo, mentre il ciclo di Crono rappresenterebbe la
152

Cfr. Procl., In Tim., III, 273 e Simp., In Phys., 1122, 3. Per una analisi delle testimonianze Neoplatoniche e della
visione simbolistica del mito si veda J. DILLON, The Neoplatonic Exegesis of the Statesman Myth, in AA. VV.,
Reading the Statesman.., pp. 364-374.

componente intelligibile. Ad esistere concretamente sarebbe invece un mondo caratterizzato da una


di Ragione e Necessit, di noetico e materiale. In questo modo, si vedrebbe nel mito del
Politico il tentativo, da parte di Platone, di descrivere come separati nel tempo fattori che sono, in
realt, coesistenti. Una simile visione del mito venne ripresa da una buona parte della critica
moderna. Gia Stallbaum153 nel 1857, vedeva simboleggiati, nelle due fasi alterne di ordine e
disordine, i due mondi dell'intelligibile e del sensibile, cari alla filosofia di Platone. Lo stesso
contrasto razionalit-irrazionalit (rappresentata anche nel Timeo, per mezzo della metafora dei
cerchi dell'Identico e del Diverso) venne visto anche da Campbell 154, Fraccaroli155, Dis156,
Kerschensteiner157, Cherniss158. Questa opposizione tra razionale ed irrazionale stata temperata da
coloro che, come Cornford159, Skemp160, Loenen161, vedono nell' platonica non un irrazionale
assoluto, o una pura realt fisica, ma un'anima inferiore o un elemento psichico irrazionale.
Cornford e Morrow sostennero che a causare il moto retrogrado del mondo fosse una parte
irrazionale dell'anima del mondo. Come ho gi avuto modo di dire, questi studiosi interpretarono il
mito del Timeo in maniera non letterale. Esattamente come, nel Timeo, il moto disordinato e
caotico originario non era da intendersi in maniera letterale, come effettivamente e concretamente
esistente cio, bens come descrizione di come potrebbe essere il mondo, se l'anima del mondo,
lungi dal seguire la ragione, fosse guidata dalla sua componente di irrazionalit, cos, al tempo
stesso, i due moti del Politico rappresenterebbero, in maniera immaginifica, le due componenti
dell'anima. L'anima che segue il Nous, la ragione, e l'anima che dimentica e, mossa della
, rischia di causare la distruzione stessa del mondo, evitata da un provvido riprevalere della
ragione. Altri critici, come Clegg, videro invece, nei due stadi del mondo, la contrapposizione tra
un'anima buona e un'anima malvagia del cosmo. In pratica il conflitto tra Nous e Anoia, che in
153

G. STALLBAUM, Platonis opera omnia, vol. 9 (1), Gotha 1841, p. 117.


L. CAMPBELL, The Sophistes and Politicus of Plato, Oxford 1867, p. 38.
155
G. FRACCAROLI, Platone: il Sofista e l'Uomo Politico, Firenze 1934, p. 81.
156
A. DIES, Le Politique, dans Platon, Oeuvres compltes, Parigi 1935, p. 30.
157
J. KERSCHENSTEINER, Platon und der Orient, Stoccarda 1945, pp. 103 ss.
158
H. CHERNISS, The sources of Evil according to Plato, Proceedings of the American Philosophical Society, 98
(1954), pp. 23-30.
159
F. M. CORNFORD, Plato's cosmology. The Timaeus of Plato, Londra 1937, pp. 208-209.
160
J. B. SKEMP, Statesman, Londra 1952, p. 90.
161
J. H. M. M. LOENEN, De Nous in het System van Plato's Philosophie, Amsterdam 1951.
154

Cornford e Morrow veniva interiorizzato all'interno di un'unica anima, quella del cosmo, qui viene
rappresentato da due differenti realt psichiche. In questo modo, il movimento caotico e disordinato
di cui parlano il Timeo ed il Politico, verrebbe generato da un'anima malvagia. Abbiamo gi
discusso in precedenza, parlando di dualismo platonico, sul perch questa tesi sia da rigettare.
Richard Mohr162, che invece propone una analisi letterale del mito, oppone all'esegesi simbolistica
sopra citata una potenziale contraddizione con quanto presentato nel testo del Politico. A suo dire,
gli studiosi che, come Harold Cherniss 163, sostengono che nel Politico il disordine
precosmico e il moto retrogrado rappresentano, in forma mitica, i fattori
costitutivi dell'attuale mondo fenomenico isolati per esigenze di descrizione,
unificano in maniera errata il disordine pre-cosmico di cui parla il mito, con l'alternarsi dei cicli. Se,
per gli studiosi che preferiscono leggere la vicenda mitica in forma non letterale, i due differenti
cicli cosmici rappresentano i fattori sensibile ed intelligibile del mondo, per quale motivo lo
Straniero dovrebbe fare accenno, a 273 B 4-6, C 7, D 1, alla situazione di caos che dominava il
mondo prima dell'intervento del Dio? Se l'analisi delle componenti della realt viene realizzata per
mezzo dell'alternarsi dei cicli, questa descrizione appare comunque essere indipendente dalla
descrizione del disordine pre-cosmico e dall'iniziale atto creativo. Considerare anche questi accenni
allo status originario del mondo in forma non letterale, rappresenterebbe una ridondanza eccessiva,
per non dire estrema. Egli ritiene, di conseguenza, che il mito del Politico non solo sia da
intendersi in maniera letterale, ma possa fornire anche un importante testimonianza per valutare in
maniera letterale e non simbolica l'altro grande mito cosmico del Timeo. Per quel che riguarda gli
esoterici, mentre Kraemer164 si ricollegava all'interpretazione simbolista del mito (ovviamente
considerando come fattori del mondo l'Uno e la Diade), Gaiser 165 e Migliori166 hanno proposto, nei
loro lavori, una visione letterale. Migliori ha parlato espressamente, a proposito dell'interpretazione
Neoplatonica-simbolista del mito, di equivoco. Per poter sostenere che il tempo di Crono e quello
162
163
164
165
166

R. MOHR, The Formation of the Cosmos in the Statesman Myth, <<Phoenix>>, 32 (1978), pp. 250-252.
H. CHERNISS, The sources of Evil.., n. 21.
H. J. KRAEMER, Aret bei Platon.., p. 221.
K. GAISER, La metafisica della storia.., p. 49.
M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica.., p. 328.

di Zeus rappresentino la realt intelligibile e quella sensibile del mondo, bisognerebbe arrivare a
dimostrare sia che la fase di Crono, in quanto rappresentante la perfezione immutabile del mondo
noetico, sia perfetta e priva di limiti sia che quella di Zeus, rappresentante la componente materialesensibile, sia al contrario caratterizzata dai limiti e dalle imperfezioni proprie dell' materiale.
Il racconto mostra, al contrario, che anche all'interno dei singoli momenti, presi sincronicamente e
non solo diacronicamente, la dialettica dei Principi d luogo ad una realt sempre mista. Il mondo
misto nel momento di massimo ordine realizzato dalla divinit, come sembrerebbe dimostrare la
presenza di piccoli mali presenti anche in quel tempo, dei quali lo Straniero parla a 273 C 4. La
stessa questione riguardante la felicit degli uomini proverebbe che il mondo non ha realizzato
compiutamente il Bene, la cui affermazione renderebbe assurda la stessa domanda 167. Questo mondo
non mai l'ordine o il bene, ma pu essere solo pi o meno buono, pi o meno ordinato, anche nel
punto pi elevato del suo progredire. Le stesse considerazioni mi pare possono svolte in relazione
all'epoca di Zeus. Esattamente come nell'epoca di Crono sono prodotti s grandi beni, ma anche
piccoli mali, cos, in quella di Zeus, il mondo ha s una grande quantit di piccoli mali, ma pu
contare anche su dei beni, bench di poco conto (273 D 1-2). L'intervento benevolo del Dio
impedisce inoltre al mondo di affondare nel mare infinito della dissomiglianza, prevenendo il
ritorno del Caos. Il processo diacronico e la descrizione sincronica, come rilevato da Migliori 168,
non sono dunque in contraddizione, ma si richiamano reciprocamente, in quanto manifestano la
medesima struttura originaria.

2.5 Le due metretiche e il rapporto con la protologia.


Come detto precedentemente, il mito del Politico viene introdotto dallo Straniero per scoprire e
mettere in evidenza l'errore a cui egli e il giovane Socrate erano giunti a conclusione del
167

168

M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica.., p. 330, sostiene che anche nell'et di Crono l'uomo possa
raggiungere la filosofia e dunque la felicit. A me pare, tuttavia, che questa considerazione possa correre il rischio di
contraddire, a livello antropologico, quella componente di realt mista, che contraddistingue il mondo in tutte e due
le fasi e sulla quale proprio Migliori insiste. Se l'uomo, oltre a godere di tutti i privilegi descritti per l'et di Crono,
potesse essere, in quello stesso periodo, anche felice, difficilmente si potrebbe vedere in cosa consistano, per esso, i
piccoli mali, che pure sono detti essere presenti anche in quel tempo.
M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica.., p.329.

procedimento diairetico svolto precedentemente. Dopo l'esposizione del mito, l'errore risulta essere
chiaro: mentre i due interlocutori cercavano la figura del politico, secondo il ciclo attuale, la
risposta ha avuto, come oggetto, colui che nell'altro ciclo il pastore del genere umano e che ,
quindi, un dio invece che un essere mortale. La correzione presentata dallo Straniero consiste nel
mutare il nome all'attivit del politico, definendola come un avere cura piuttosto che come un
allevare. Se si fosse usata la definizione di avere cura delle greggi, nessuno avrebbe potuto
obiettare che una simile tecnica non esista per gli uomini, o che molti altri potrebbero meritare il
titolo meglio del re. Invece, nessun'altra tecnica pu affermare,pi di quella regia, di avere cura del
complesso della comunit umana. Ma anche questa definizione pare non essere sufficiente.
necessario infatti dividere in due la tecnica umana dell'avere cura, distinguendo l'attivit del tiranno,
che impone con la forza la sua cura, da quella del politico propriamente detto, che, senza
imposizioni, assiste animali bipedi che volontariamente accettano. Giunti a questo punto, Socrate si
illude che sia stata raggiunta la determinazione dell'uomo politico. Ma per lo Straniero la questione
non pu aver ancora trovato il proprio compimento. Poich sono molti coloro che contendono al re
la cura dello stato, occorre separare tutti costoro in modo da cogliere il politico nella sua unicit. Per
poter giungere a questo fine, si rende necessario l'utilizzo di un modello, di un paradigma. Quale
paradigma di un'attivit identica a quella politica, lo Straniero sceglie quello della tessitura. Qui il
procedimento diairetico trova la sua acm, raggiungendo un grado di complessit davvero molto
elevato. Al termine della lunga diairesi, la tessitura viene definita come l'arte di intrecciare la trama
e l'ordito, al fine di realizzare un tessuto. A questo punto lo Straniero stesso si domanda per quale
motivo non si sia giunti subito alla definizione , senza girare attorno ad essa con tante diverse
definizioni. Bench Socrate appaia convinto che nulla sia stato detto inutilmente, L'Eleate teme che
qualcun'altro possa pensarla diversamente. Contro eventualit del genere, necessario dunque
esaminare in generale l'eccesso e il difetto, per poter lodare o condannare con un criterio razionale i
discorsi pi lunghi o pi brevi del necessario. necessario, per compiere una tale operazione,
ricollegarsi alla tecnica della metretica, della misura, che concerne questi problemi. A questo punto,

lo Straniero, utilizzando nuovamente lo strumento della diairesi, distingue una metretica basata sul
rapporto reciproco di grandezza e piccolezza da un'altra che implica la misurazione del maggiore e
minore, del pi e del meno in rapporto al giusto mezzo, secondo quella misura che necessaria per
la generazione delle cose, e che fa s che ci siano il buono e cattivo. La prima una metretica di tipo
quantitativo, la seconda di tipo assiologico-ontologico. Mentre la prima concerne la determinazione
della relativa grandezza degli enti (un uomo pi alto di un altro), la seconda pone i due estremi in
rapporto con la giusta misura (esiste un canone di uomo ideale con il quale confrontare i due uomini
in questione) e permette di formulare giudizi di tipo assiologico: ci che segue il canone del giusto
mezzo sar buono, mentre ci che rifugge il giusto mezzo, avvicinandosi a uno dei due estremi, non
potr che essere considerato in maniera negativa. Tutte le arti, in quanto mirano a realizzare cose
buone e belle, si fondano e si basano sul secondo tipo di metretica, quella che, appunto, media tra i
due estremi (284 A-E). Ogni arte si fonda, infatti, sull'esistenza di uno standard di correttezza
assoluto, individuato dal giusto mezzo, (ci che misurato, che ha conseguito la giusta
misura). Poich, proprio all'inizio della discussione, gl interlocutori erano giunti a definire l'arte
come una tecnica, una scienza, evidente che anch'essa debba seguire il secondo tipo di metretica,
avendo dunque a che fare con due estremi, che debbono essere armonizzati seguendo il criterio
della giusta misura. In ogni tecnica avremmo dunque a che fare con due estremi, indeterminati e
non misurati, che debbono essere rapportati tra loro, seguendo il criterio della misura, per poter
divenire determinati e misurati. Per gli esoterici, chiaro il riferimento all'impianto protologico
generale della filosofia platonica. Come abbiamo visto nei primi capitoli, dedicati all'analisi delle
<<Dottrine non scritte>>, il principio dell'Unit esercita sul principio opposto del disordine un
processo di delimitazione del troppo e troppo poco, maggiore e minore, pi o meno, realizzando una
sorta di unit nella molteplicit. In tal modo, l'Uno rende armonico ci che prima era disarmonico,
equilibrato quello che prima squilibrato. L'Uno veniva inteso, dunque come misura esattissima.
Come giustamente ravvisato da Migliori, nel Politico troviamo esplicito riferimento al misurato, al
. Si sottolinea che che esso buono, e che ci che non misurato cattivo. Il giusto

mezzo, cui mirano le arti, coincide con il conveniente ( ), con l'opportuno ( ), col
dovere ( ). Per quel che concerne la misura ( ), invece, lo Straniero ne parla solo nel
momento in cui espone la necessit di salvare la misura per le realizzazioni tecniche (284 B 1) che
operano in rapporto al misurato. A 284 D 1, poi, lo Straniero dice a Socrate che un giorno avranno
modo di affrontare la questione della Esattezza in s, (284 D 1-2). I sostenitori delle
<<Dottrine non scritte>> hanno scorto in questa frase un'allusione proprio all'Uno come principio e
misura esattissima, ordinatore dell'intera realt 169. Si pu pensare che il rimando faccia riferimento
al dialogo Filosofo mai scritto, nel quale Platone avrebbe dovuto trattare della Misura in quanto
tale, considerato che il Principio la suprema ed esattissima misura, , per cos dire,
una sovra-misura o meta-misura che sta ancora al di sopra dei numeri
matematici170. Se si accetta questa ipotesi, si pu arrivare a comprendere per quale motivo,
secondo Reale171 e Migliori, il dialogo Filosofo non venne mai scritto da Platone. Se infatti il
filosofo avesse dovuto trattare della misura in s, dell'Uno, dei sommi principi, avrebbe
contraddetto, una volta posto per iscritto, il principio basilare della impostazione paidetica della
filosofia platonica: l'impossibilit, o meglio l'inadeguatezza, per lo scritto di trattare i Principi Primi
della realt: solo questa risulta essere una ragione sufficiente a spiegare perch
Platone abbia impostato un'intera trilogia in funzione di un tema, che poi, dopo
aver detto, senza alcuna particolare ragione, che non bisogna mai desistere da
una indagine prima di essere giunti alla fine (257 C), non sviluppa172.

2.6 Il ruolo del politico.


Giunti alla conclusione che la politica debba essere considerata una vera e propria tecnica, e che
essa, come tutte le tecniche, debba ricercare il giusto mezzo tra due estremi, Socrate e lo Straniero

169

170
171
172

H. J. KRAEMER, Dialettica e definizione del Bene in Platone. Interpretazione e commentario storico-filosofico di


<<Repubblica>> VII, 534 b 3-d 2, Milano 1992, p. 59; G. REALE, Per una nuova interpretazione di Platone.., p.
415; M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica.., p. 344.
H. J. KRAEMER, Dialettica e definizione del Bene in Platone.., p. 59.
G. REALE, Per una nuova interpretazione di Platone.., p. 384.
M. MIGLIORI, Arte politica e metretica assiologica., p. 371.

giungono, alla fine della loro conversazione, a considerare in cosa concretamente consista l'attivit
del politico. A 305 E 2-6, la politica viene definita come la scienza che si prende cura di tutte le
leggi e gli affari della citt, tessendo insieme tutte le cose nella maniera corretta. Quali sono dunque
gli estremi che il politico, il vero re, deve armonizzare, per la fortuna della citt?. Per arrivare a
comprenderli, dobbiamo prima sottolineare il fortissimo processo di selezione, a cui il politico
sottopone i propri cittadini. L'uomo di stato, afferma lo Straniero, non metter mai assieme
volontariamente una citt composta di esseri viventi sia di buona che di cattiva qualit. del tutto
evidente, al contrario, che i tracotanti, gli ingiusti e, soprattutto, gli atei non possano entrare a far
parte della comunit politica, ma anzi debbano essere puniti con la morte o l'esilio con (308
E 4-309 A 3). Anche coloro che vivono nell'ignoranza e nella degradazione, pur entrando a far parte
della comunit, avranno il ruolo di schiavi. L'azione del politico verr svolta direttamente solo nei
confronti dei cittadini che avranno mostrato una predisposizione, rafforzata dalla , nei
confronti della virt. Le due virt che il re dovr tessere assieme per armonizzare il complesso
civico sono quelle del coraggio () e della pacatezza (). Sembra poco plausibile
che il coraggio e la pacatezza, in quanto virt, possano essere considerate come estremi,
indeterminati e negativi, sui quali deve operare la forza formatrice ed unificante del politico. In
realt, Platone espliciter in maniera molto chiara come queste due virt differenti possano, se non
sottoposte a controllo e moderate, trasformarsi in veri e propri vizi, compromettendo seriamente
l'assetto e la costituzione della citt. Le persone che sono particolarmente inclini alla moderazione
sono disposte a vivere una vita sempre tranquilla, in pace con le altre citt straniere. Ma in questo
modo non si accorgono di essere totalmente inadatti alla guerra, restando completamente alla merc
di chi li voglia attaccare. In pochi anni, con il loro carattere calmo e pacifico, condurranno la citt e
tutti i suoi abitanti alla schiavit (307 E 1-308 A 2). All'estremo opposto giungono gli uomini dotati
di coraggio, se non vengono moderati. Incitando sempre le proprie citt verso le guerre e i conflitti,
a causa del loro carattere aggressivo, impulsivo ed animoso, essi hanno finito col guidarle alle
rovina (308 A 4-9). Proprio per evitare questi eccessi deleteri, interviene l'azione del vero politico.

Egli il tessitore che deve intrecciare assieme l'ordito (i coraggiosi) e un filo grosso e molle da
trama (i pacati), per realizzare il giusto mezzo (309 A 8-B 7). Esso non da intendersi in senso
statico, come una mescolanza realizzata attraverso l'unificazione delle virt. La semplice
mediazione tra le due virt potrebbe infatti determinare il blocco di entrambe. Queste devono
invece essere presenti a pieno titolo entrambe, in modo che i cittadini possano essere, a seconda del
, coraggiosi o pacati. Grazie alla conoscenza del , l'uomo politico pu essere distinto
(ed essere ritenuto superiore) dai retori, dagli strateghi, dai legislatori (303 D-305 E). La retorica,
l'arte militare, l'attivit politica possono essere considerate solo concause della vera tecnica
politica. La retorica, ad esempio, una tecnica finalizzata alla convinzione della folla, ma il
decidere in quali casi sia conveniente persuadere e in quali, al contrario, sia meglio rimanere
inattivi, compito che spetta solo al vero politico (304 C 4-E 2). L'arte miliare si occupa,
specificamente, di tutto quel che concerne la guerra e le diverse attivit belliche. Ma solo il
politico che, ancora una volta grazie alla conoscenza dell'opportuno, del misurato, del conveniente,
decide se si debba fare la guerra o condurre trattative ed alleanze (304 E 3-305 A 3). La stessa
politica, infine, stabilisce le leggi e le disposizioni alle quali i giudici debbono scrupolosamente
attenersi, aggiungendo di proprio solo la virt di non lasciarsi ridurre a valutare in modo contrario
all'ordinamento del legislatore. La vera arte regia, dunque, non agisce direttamente, ma comanda su
quelle che hanno la capacit di agire, perch conosce quando, all'interno della realt statale, sia il
momento opportuno per compiere, o non portare a compimento, grandi opere ed imprese. Platone,
attraverso la figura dello Straniero, non si limita per a mostrare quali siano le differenze tra l'uomo
di stato ed i possessori di altre tecniche. Nel Politico viene descritta anche la formazione della citt
felice, ad opera dell'azione del politico stesso. Egli dovr anzitutto legare assieme con un nodo
divino quella parte delle loro anime che eterna (309 C 1-3). Tale legame divino, che opera sulla
parte eterna dell'anima (la ragione) consiste nella corretta opinione riguardo alle cose di maggior
valore (il bello, il giusto, il bene). Infondendo nelle anime dei suoi cittadini la giusta opinione sui
valori pi importanti (compreso, evidentemente, quello della Misura), le anime dei coraggiosi

diverranno mansuete, desiderando partecipare delle cose giuste, mentre quelle pacate diverranno
realmente assennate e sagge. Questa persuasione render pi agevole il secondo legame che dovr
essere installato tra i cittadini: quello coniugale tra coraggiosi e mansueti (310 B 2-5). Le cariche
istituzionali delle citt dovranno essere affidate a coloro che presenteranno mescolanza di ambedue
i caratteri (310 E 5-311 A 2). La definizione finale della viene presentata a 311 B 7C 6:


, ,
[' ] '
, , '

Diciamo, quindi, che questo il compimento del tessuto, correttamente intrecciato, dell'azione politica: quando l'arte
regia, mettendo insieme il carattere degli uomini coraggiosi e di quelli assennati e conducendoli a una vita comune
attraverso concordia ed amicizia, portando a compimento il pi eccelso e sontuoso di tutti i tessuti, e avvolgendo tutti
gli altri, schiavi e liberi, presenti nella citt, li tiene uniti in questo intreccio e governa e sovrintende senza tralasciare
assolutamente nulla di quanto si addice ad una citt felice.

Per gli esoterici, dunque, il mito del Politico non mostra semplicemente ci che il re non potr mai
essere, vale a dire il pastore divino, ma offrirebbe una anticipazione, a livello ontologico e
teologico, di quella che dovr essere l'azione del politico stesso. Il mito presenta un Dio che
armonizza una realt informe e caotica fino a che non sia stata raggiunta la giusta misura; come
miste sono le due differenti fasi del cosmo, come mista la struttura dell'anima, altrettanto deve
essere la societ perfetta guidata dal vero reggente politico. L' uomo, nella fase in cui posto sotto
il controllo forte e diretto del Dio, vive in un'et prospera ma non pu essere felice, perch non
giunto all'acquisizione della filosofia. E non giunto all'acquisizione della filosofia, perch non ne
sentiva la necessit. In un periodo nel quale l'uomo risultava essere in possesso di tutto ci che era
necessario alla vita, era in pace con tutti ed aveva un naturale contatto col Dio e col Divino, non

aveva bisogno di conoscerlo filosoficamente. Ciononostante, Platone non vede in quel tempo
un'epoca d'oro. Gli uomini erano, in quel tempo, infantili e senza conoscenza. Nella nostra epoca,
invece, in quanto segnata da un crescente prevalere del disordine, l'uomo ha la necessit, in quanto
non pu pi fruire del rapporto diretto col Dio, di recuperare il rapporto con lui mediante la
filosofia. E proprio mediante la filosofia, l'uomo pu ricongiungersi con Dio con
una sorta di <<anamnesi>>, e ritrovatolo, deve cercare di imitarlo, in quanto
Dio la <<misura di tutte le cose>> 173. L'Uno principio e misura dei Numeri ideali,
delle Idee e, a vari livelli, di tutto il resto. proprio a questa capacit di realizzare l'unit nella
molteplicit, che deve guardare il politico nel realizzare il tessuto della societ, mescolando gli
estremi e annodandoli con vincoli, in rapporto al bene e al bello, cercando di realizzare, nel corpo
della societ, il principio della <<giusta misura>>. Come giustamente rilevato da Gaiser, poich il
sapere filosofico, con la dottrina dei Principi, riesce a pervenire alla conoscenza del fondamento
divino dell'essere, mediante tale sapere pu sembrare che si possa giungere vicino al dominio
divino, preparando potenzialmente la condizione per la realizzazione di quell'ordine. D'altra parte,
questo incremento supremo del sapere umano viene a coincidere con una fase del mondo, dove
predominano nettamente gli influssi del corporeo e la degenerazione del mondo. Questa situazione
sembra essere confermata dal fatto che, in un'epoca di crescente disordine e degrado, non affatto
agevole incontrare e riconoscere il vero uomo politico (come dimostra l'esempio di Socrate).
Proprio a causa della difficolt di trovare un vero statista, necessario, per gli uomini, affidarsi
all'osservazione delle leggi, qualora non venga trovata una persona dotata della conoscenza dei
Principi sommi. Ma ci non fa certo dimenticare allo Straniero che una costituzione basata
sull'osservanza delle leggi, solo un second best. La differenza tra le forme di governo
<<ordinarie>> e quella in cui governa l'uomo politico dotato di scienza grande quanto la distanza
che separa Dio e gli uomini. Il vero uomo politico un <<timoniere>> che si ispira
all'opera del <<timoniere dell'universo>>, ossia la divinit 174. Naturalmente, non
173
174

G. REALE, Platone. Alla ricerca della sapienza.., p. 286.


G. GIORGINI, Politico, Milano 2009, p. 339, n. 295.

c' nessun uomo che possa, anche solo lontanamente, fare quello pu realizzare Dio (sia esso inteso
come Nous, come Principio di forma o come entit intermedia tra mondo noetico o mondo
sensibile) nella formazione della realt. Questo non implica, tuttavia, che l'uomo non debba, nel
momento in cui si trova ad essere artefice del proprio destino, imitare, quanto pi gli possibile,
l'azione di Dio, realizzando l'Unit nella molteplicit. La condizione umana (nell'et di Zeus)
dipinta con toni crepuscolari: abbandonati da Dio, posti di fronte a una natura
inospitale, lasciati alle nostre risorse, governare ed essere governati risulta
d'impaccio alla nostra conservazione. La politica un surrogato dell'azione di
controllo divina in un mondo che va alla rovescia, per un'umanit che nasce nel
dolore

e progredisce

decadenza175.

175

G. GIORGINI, Politico.., p. 34.

verso

la

vecchiaia, cui

connaturata

l'idea

di

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