You are on page 1of 19

Anatomia di una ripetizione

Parte 5a – Il sistema nervoso.


Ok, ci siamo. Abbiamo analizzato un po' il funzionamento del motore e sappiamo come far muovere
la macchina. Ma chi controlla questo motore
Parleremo pertanto di Sistema Nervoso, alcuni accenni (spero corretti...) di quello che è l'organo
più complesso e importante di tutto il nostro corpo, che fra i suoi meandri contiene la nostra co-
scienza e la nostra memoria, i nostri desideri, le nostre speranze. Ma... non vi preoccupate: non è
mia intenzione spiegarvi chi siete, da dove venite e dove andate. Parleremo di cose molto stupide al
confronto: cosa accade quando facciamo una ripetizione lenta oppure veloce o, se volete, se “è me-
glio” fare le ripetizioni lente o veloci.
Mi spiace anche per la lunghezza di questi pezzi, ma in palestra noi stiamo utilizzando una macchi-
na complicatissima: il nostro corpo. Certo, è possibile guidare una macchina senza sapere quasi
nulla del suo funzionamento, e c'erano alcuni miei amici che a 12 anni facevano dei posteggi in sa-
lita che io oggi nelle stesse situazioni cercherei un posteggio in piano a pagamento.
Però questa strategia funziona quasi sempre. Il “quasi” molte volte è la differenza fra sapersi alle-
nare molto bene e tirare fuori il meglio dalle proprie potenzialità.
Ho suddiviso questo pezzo in due parti: in questa prima parte cercherò di descrivere quello che io
ho capito del sistema nervoso. E' la parte pallosa. Potete saltarla ma è giusto che ci sia. Nella se-
conda parte sfrutteremo queste conoscenze per capire come mai la pausa al petto nella panca la
renda più difficile e altre cosette ganze che vi piaceranno.
Ah... Per quello che mi riguarda, la mia risposta alle domande fondamentali è semplicissima: io
sono Paolino, è una vita che faccio pesi, e voglio scrivere un libro sui pesi. Ehi, voi chi siete? Per-
chè avete il camice bianco? No, fermi.... cosa mi volete iniettare?
Il sistema nervoso – la trattazione più scarsa che abbiate mai letto
Lo starter
Nel precedente articolo abbiamo parlato
dello starter che innesca la contrazione
muscolare tramite una “scossettina” e-
lettrica. Abbiamo detto che lo starter è
chiamato motoneurone, una particolare
cellula nervosa che in generale si chia-
ma neurone.
I neuroni sono i costituenti del sistema
nervoso, le unità minime di elaborazio-
ne delle informazioni, la cui struttura è
rappresentata nel disegno precedente.
Ogni neurone ha un nucleo attorniato da
delle ramificazioni dette dendriti che
servono ad aumentare la superficie della
1
testa neurale. Dal nucleo parte una lunga protuberanza filiforme detta assone che nella parte finale
si ramifica.
A seconda delle informazioni provenienti da altri neuroni o dai vari “sensori” posti nel nostro corpo,
il nucleo emette un impulso elettrico che viaggia sull'assone che si propaga fino a tutte le termina-
zioni del neurone stesso.
L'impulso elettrico è dovuto a reazioni chimiche iniziate nel nucleo del neurone che si propagano
velocissime lungo l'assone, ed è possibile misurare questa tensione che viene chiamata potenziale
d'azione.

Una terminazione di un neurone “tocca” la testa di un'altro neurone. Il punto di contatto è detto si-
napsi, che rappresenta la giunzione fra due neuroni. Il neurone il cui assone tocca l'altro si dice pre-
sinaptico, la terminazione ha una specie di punta arrotondata che si innesta in una parte complemen-
tare del neurone successivo detto postsinaptico.
Le reazioni elettrochimiche che avvengono nella sinapsi hanno il compito di far propagare l'impulso
elettrico al neurone successivo: il potenziale d'azione innesca sulla giunzione il rilascio di sostanze
chimiche dal neurone presinaptico, che vengono recepite dal neurone postsinaptico.

2
Queste sostanze chimiche sono dette neurotrasmettitori (alcuni hanno nomi famosissimi quali ace-
tilcolina o dopamina) e provocano sul neurone ricevente la nascita di una nuova corrente elettro-
chimica, facendo propagare l'impulso.
I passaggi elettrico, poi chimico e nuovamente elettrico hanno la funzione di impedire che stimoli
viaggino al contrario, dal neurone post a quello pre: i recettori dei neurotrasmettitori sono presenti
solo nel neurone post, pertanto il passaggio del neurotrasmettitore è possibile solo in un verso. La
Natura, come sempre, è ingegnosa!
Interconnessioni

Si capisce come il giochino di connettere neuroni possa creare strutture incredibilmente complesse
dato che un neurone può connettersi a molti neuroni (anche centinaia) e può ricevere gli assoni di
molti altri (anche in questo caso, centinaia).
Considerate che abbiamo miliardi e miliardi di neuroni, immaginatevi il grado di connessioni pre-
senti nel nostro cervello. La capacità di trasporto e propagazione dei potenziali d'azione di questo
network è incommensurabile, altro che la rete di Google, i sistemi elaborativi dei militari o SkyNet.
Fire in the hole!
Possiamo assimilare un neurone all'unità di calcolo elementare del
sistema nervoso, un nanocomputer. Il paragone è tutt'altro che az-
zardato e infatti reti che simulano i neuroni e le loro interconnes-
sioni sono state sfruttate con successo nel riconoscimento dei ca-
ratteri, dei volti, e in applicazioni inaspettate con risultati incredi-
bilmente soddisfacenti.
Possiamo immaginare i potenziali d'azione come dei bit, degli “u-
no”.
Ah... mi raccomando, “uno” al plurale non fa “uni”: “tanti uno in
sequenza” e non “tanti uni in sequenza”. Come informatico, mi
inc(beep) molto quando sento “uni”, un po' come “acceLLerazio-
ne” con due “L”. Per come la penso io, chi non conosce la sintassi

3
delle parole che usa, o peggio non conosce il significato delle sigle che usa, non ha le idee chiare ri-
guardo quello che sta dicendo. C'è gente che scrive “streccing” invece di “stretching”, “bicipidi” in-
vece di “bicipiti” o non sa che DOMS è l'abbreviazione inglese di “delayed onset muscular sore-
ness” o non sa nemmeno cosa significhi in italiano. Ok ok... ho divagato. Dicevamo...
Un neurone produce il suo “uno” elaborando gli “uno” in ingresso. Se la somma di questi “uno” è
oltre una soglia prestabilita detta soglia di attivazione, cablata all'interno nel nucleo, il nostro neu-
rone produrrà il suo prezioso “uno” in uscita.

Nel caso a sinistra un neurone presinaptico invia il suo impulso “uno” che viene recepito dal nucleo
ed elaborato, la curva rossa. L'elaborazione è così la propagazione dell'impulso all'interno del neu-
rone stesso. Questo singolo impulso non è sufficiente a creare una tensione interna superiore a quel-
la di soglia, e non viene prodotto nessun impulso in uscita.
Nel caso a destra, invece, due neuroni inviano il loro “uno” e questi è come se si sommassero all'in-
terno del neurone: la soglia viene superata e... fire! un impulso viene sparato sull'assone. L'impulso
si propagherà velocissimo perciò a tutte le terminazioni verso altri neuroni, con un meccanismo
complesso che gli permette di non essere attenuato, né di tornare indietro.
La somma degli impulsi di neuroni presinaptici diversi è detta somma spaziale.

4
In questo caso la produzione dell'impulso avviene per somma temporale: a sinistra un neurone invia
impulsi troppo distanziati fra di se per ottenere un superamento della soglia del nucleo del neurone
“bersaglio”, mentre a destra gli impulsi sono sufficientemente ravvicinati da permettere la genera-
zione di un impulso in uscita.
Il neurone in ingresso ottiene che il neurone in uscita sputi il suo “uno” variando la frequenza dei
suoi impulsi, che viene detta firing rate. E' in questo modo che i neuroni riescono a comunicare che
un messaggio è più o meno intenso. Il “forte/tanto” e il “piano/poco” sono comunicati tramite la
modulazione della frequenza degli impulsi: tanti impulsi indicano un forte segnale, pochi impulsi un
debole segnale.
Ad esempio, i recettori del dolore (terminazioni nervose che inviano al cervello informazioni sullo
stato dei tessuti) comunicano un dolore elevato con una scarica di impulsi a raffica, mentre un mo-
toneurone incrementa l'intensità di contrazione sparando impulsi sempre più ravvicinati fra loro alle
fibre che innerva.
Non potendo variare l'altezza degli impulsi, il neurone varia il loro numero. Ma come fa un neurone
a aumentare il firing rate?

5
Ecco una situazione un po' più complesa: un neurone invia due impulsi ravvicinati, un'altro un solo
impulso, un altro ancora due impulsi distanziati. Questi impulsi si propagano all'interno del nucleo
generando una tensione che permane per un tempo relativamente lungo oltre la soglia, perciò le rea-
zioni che generano gli impulsi in uscita permangono per più tempo, permettendo l'invio di impulsi
sull'assone ravvicinati fra loro.
Così facendo la frequenza di uscita del neurone risulta proporzionale al “peso” dei suoi ingressi, e i
neuroni riescono a comunicare, grazie agli impulsi più o meno ravvicinati, messaggi complessi.
Sintetizzando
i neuroni sono entità elaborative che processano centinaia di dati provenienti da altri neuroni. L'ela-
borazione è in se estremamente semplice: impulsi in uscita più o meno ravvicinati fra loro in fun-
zione di quelli in ingresso, ma il risultato finale si propaga ad altre centinaia di neuroni. Questo per
un singolo neurone.
Elaborazioni singolarmente semplici ma interconnessioni incredibili fra gli elementi elaborativi cre-
ano la moltitudine di comportamenti complessi che noi chiamiamo “essere umano”.

6
Questo per me è affascinante: dove è il confine per cui si passa da cellule e elettricità a quello che
chiamiamo “pensiero cosciente”?
Perchè l'amore, il dolore, il piacere o la tristessa sono dovute a... connessioni di neuroni che singo-
larmente non hanno intelligenza o provano sensazioni! Vabbè... dài... proseguiamo altrimenti mi
viene da piangere.
La centralina

L'interconnessione dei vari neuroni ha una sua logica e una sua struttura, non è che tutti si collegano
a tutti gli altri o le connessioni siano casuali. Nel caso dei motoneuroni, grossolanamente vi è una
suddivisione su due livelli, come nello schema sopra riportato.
Il primo livello è direttamente nel cervello e per quello che ci interessa potremmo dire che è il con-
trollo cosciente del movimento. Da qui partono i segnali dovuti alla nostra volontà di effettuare u-
n'azione con il nostro corpo.
Chiaramente, questa regola è solo approssimativa, perchè noi respiriamo senza un controllo (per
fortuna) cosciente della contrazione dei muscoli respiratori. Però, dài... passatemela: i neuroni di
primo livello inviano i segnali per effettuare i movimenti.
Il midollo spinale è la sede dei neuroni di secondo livello, i motoneuroni veri e propri, quelli che
fanno contrarre i muscoli. Una rappresentazione più dettagliata è la seguente

7
Ai lati del midollo spinale, protetto dalla colonna vertebrale, escono dei nervi, cioè degli affascia-
menti di assoni neurali. I nervi, dal diametro fino a quello di un dito, si insinuano fra i muscoli fino
al muscolo destinatario, e penetrano in esso solitamente nel punto mediano.
E' interessante notare come le teste dei neuroni si trovino dentro il midollo spinale e gli assoni siano
estremamente lunghi: gli assoni che innervano i muscoli plantari hanno una lunghezza dell'ordine
del metro!
Ogni motoneurone innerva un certo numero di fibre muscolari e l'insieme fibre-neurone prende il
nome di unità motoria, come detto nell'articolo precedente.
Motoneuroni delle fibre rosse:
 innervano poche fibre
 bassa soglia di attivazione
 firing rate basso
Motoneuroni delle fibre bianche
 innervano molte fibre
 alta soglia di attivazione
 firing rate alto
Questo permette di capire perchè le fibre rosse si attivano prima: a parità di segnali d'ingresso i mo-
toneuroni generano i loro impulsi contrattili con una soglia più bassa rispetto a quelli delle fibre
bianche, i cui motoneuroni necessitano di molta attività elettrica in ingresso per dare impulsi in u-
scita.

8
Però l'attivazione di un motoneurone “bianco” permette di far contrarre molte più fibre, le quali so-
no anche molto più forti singolarmente rispetto al caso analogo ma a fibre rosse.
Nel midollo spinale non sono presenti solamente motoneuroni, ma è cablata un'intera rete di rileva-
zione e elaborazione dei dati, composta da interneuroni, cioè dei neuroni che hanno funzionalità di
mediatori fra più stimoli per pilotare correttamente i motoneuroni

Un interneurone riceve segnali elettrici da una serie di “sensori” posti in vari punti del corpo uma-
no, come nelle articolazioni, nei tendini, nella pelle.
Questi sensori sono degli organelli che hanno la capacità di trasformare grandezze meccaniche (una
tensione, una velocità, una pressione) in una corrente elettrica proporzionale alla grandezza di par-
tenza. Sono definibili come trasduttori, cioè convertitori di un tipo di segnale in un'altro.

9
Il nostro interneurone riceve queste informazioni dai sensori del muscolo che innerva ma anche da
quelli degli altri muscoli.
Altri input sono i segnali dagli altri interneuroni del midollo spinale e quelli provenienti dalle vie
discendenti, cioè dai neuroni del primo livello.
I due livelli permettono una notevole flessibilità ed efficienza e il midollo spinale è capace di gene-
rare movimenti volontari come movimenti riflessi. Immaginiamo che siamo a piedi nudi e pestiamo
un oggetto appuntito. La nostra reazione è immediata e il piede viene in qualche maniera allontana-
to dal pericolo: i recettori del dolore inviano i segnali agli interneuroni del midollo e questi attivano
i motoneuroni per far contrarre i muscoli della gamba.
Non c'è bisogno di passare per il primo livello, con un conseguente percorso elettrico più lungo e
una minor velocità di attuazione della risposta, né c'è bisogno di interessare la “coscienza” per que-
sto tipo di movimento.
Poi, se siamo masochisti, possiamo anche decidere di premere il nostro piede sopra i cocci di una
bottiglia, e le vie discendenti trasporteranno il segnale relativo alla nostra volontà di farci male fino
agli interneuroni da attivare: il segnale di “premere” dato dal cervello sarà più forte di quello dei va-
ri recettori del dolore e noi premeremo il piede piuttosto che sollevarlo.
E' interessante notare che il nostro cervello, per quanto sia il più potente elaboratore presente sul
mercato, non ha la possibilità di fare CTRL-ALT-CANC e cambiare utente perchè quello attivo è
idiota, ed è possibile perciò schiacciare una bottiglia rotta per puro gusto masochistico.
I propriocettori
Con il termine propriocettore si intende una particolare terminazione nervosa che invia delle infor-
mazioni di ritorno al sistema nervoso sullo stato dei movimenti che l'organismo sta compiendo. E'
grazie a queste strutture che il sistema nervoso può operare un controllo fine dei movimenti.
Esempio: un oggetto fragile vi sfugge di mano, vi muovete rapidamente e lo afferrate, bloccandolo.
Il movimento che fate è dato dalla somma di tantissime informazioni e non solo dall'atto volontario
di afferrare l'oggetto. Nell'attimo che stringete la mano le informazioni visive vengono integrate con
quelle pressorie e tattili, in modo che le dita si stringano velocemente ma non stritolino l'oggetto
quando questo è stato preso. Voi volontariamente stringete la mano, ma la rete interneurale si occu-
pa di rilassare i muscoli che stringono e di attivare gli antagonisti per tirare indietro le dita quanto
basta per generare una stretta adatta al tipo di oggetto.
Altro esempio: prendete un manubrio leggero e fate dei curl veloci, ad un certo punto bloccate il
movimento in modo che l'avambraccio sia parallelo al terreno. Nel momento in cui bloccate l'avam-
braccio non oscilla, ma si ferma e basta. Il vostro sistema nervoso ha attivato il tricipite in modo da
bloccare la salita, non solamente ha rilassato il bicipite. Se avesse fatto solo quello il movimento
non si sarebbe bloccato ma l'avambraccio avrebbe continuato a salire per quanto dolcemente, dato
che state facendo un curl veloce.
Tutto questo è questo è possibile grazie alla presenza di sensori che forniscono informazioni sullo
stato dei movimenti e da una rete intermedia (il secondo livello) che integra tutte queste informa-
zioni insieme agli impulsi volontari che voi inviate.
Analizzeremo i due più importanti propriocettori, i fusi neuromuscolari e gli organi del Golgi, poi-
ché hanno un impatto diretto su quello che facciamo in palestra.

10
Consideriamo una rappresentazione supersemplificata di un arto superiore, composta da braccio,
avambraccio e due muscoli fra loro antagonisti, bicipite e tricipite. Il termine antagonista indica che
i due muscoli svolgono funzioni opposte e quando uno si contrae l'altro deve decontrarsi, altrimenti
il movimento dell'avambraccio risulterebbe impossibile.
I fusi neuromuscolari

All'interno dei muscoli sono presenti delle particolari strutture organiche chiamate fusi neuromusco-
lari. In pratica alcune fibre muscolari sono avvolte con delle terminazioni nervose che si propagano
verso i motoneuroni e gli interneuroni del midollo spinale.
Queste terminazioni sono dette afferenti indicando con questo termine il trasporto del segnale dagli
organi periferici al sistema nervoso, al contrario di quelle efferenti che trasportano il segnale dal si-
stema nervoso agli organi bersaglio.

11
La struttura di un fuso neuromuscolare è raffinata e intrigante: si tratta di un sensore che registra sia
l'entità dell'allungamento muscolare, sia la velocità con cui questo allungamento avviene. La rap-
presentazione nel disegno non rende giustizia a questo piccolo capolavoro di ingegneria genetica, in
quanto all'interno della capsula le fibre intrafusali e le relative terminazioni sensoriali sono di tipo-
logie diverse per i due compiti che devono svolgere.
Il meccanismo in linea di principio è questo: le fibre si “stirano” in funzione dell'allungamento del
muscolo e deformano le spire delle terminazioni sensitive. Le terminazioni convertono questo sti-
ramento meccanico in un segnale elettrico proporzionale e lo inviano verso il midollo.

Questo disegnino ipersemplificato rappresenta i due muscoli antagonisti e i motoneuroni che li in-
nervano. Ho indicato solo un fuso neuromuscolare sul bicipite, ma spero che sia chiaro che:
 la situazione è simmetrica per l'altro muscolo
 più importante: un muscolo è innervato da migliaia di motoneuroni e invia informazioni di
12
ritorno grazie a migliaia di fusi neuromuscolari. Lo so che siete intelligenti e questo è
offensivo per voi, ma... non si sa mai.
I motoneuroni sono detti alfa perchè vi sono tre tipi di neuroni, alfa, beta, gamma. La suddivisione
del perchè di questi nomi non ci interessa.
Vorrei solo far notare che gli scienziati certe volte sono ultra-iper-conservatori. Le lettere sono sem-
pre alfa, beta, gamma, delta, le grandezze incognite si indicano sempre con x, y o, se si parla di an-
goli, con theta. Mai che le incognite si indichino con U per Ugo o G per Gino. Comunque, mai più
monotoni dei militari con i loro bravo, tango, charlie. Si, si, lo so... continuo.
Notate il piccolo neuroncino indicato con I: si tratta di un interneurone detto inibitorio, che ha cioè
l'effetto di inibire gli impulsi di un neurone, inviando dei segnali chimici sulla sua sinapsi che po-
tremmo paragonare a dei “meno uno”. In questo modo la somma di tutti gli “uno” in ingresso ad un
neurone diventa algebrica, e l'interneurone inibitorio può cancellare l'”uno” di un altro interneurone,
impedendo che il motoneurone produca il suo impulso in uscita.
Il meccanismo di funzionamento descritto dallo schema è il seguente: immaginiamo... che so, che vi
lancino dall'alto un sacchetto pieno di cemento (tecnicamente detto dalle mie parti ballino, dal peso
standard di 25Kg), voi volontariamente contrarrete i vostri bicipiti che saranno comunque sottoposti
ad uno stiramento rapido ed improvviso.
I fusi neuromuscolari inviano una raffica di impulsi di ritorno per segnalare questa situazione, e
questi impulsi arrivano in ingresso ai motoneuroni che innervano le fibre dei bicipiti, sommandosi
agli impulsi inviati dal vostro cervello. Il segnale dei fusi intensifica l'input sui motoneuroni, per-
mettendo un segnale d'uscita a più alta frequenza d'impulso. In pratica, i motoneuroni invieranno ai
muscoli uno stimolo più forte a contrarsi, potenziando la generazione volontaria della forza.
Avete ottenuto un riflesso da stiramento (o se volete essere very cool, stretch reflex), detto anche ri-
flesso miotatico.
I fusi innervano anche gli interneuroni inibitori dei muscoli antagonisti, pertanto l'effetto sarà una
decontrazione degli antagonisti in modo da impedire una situazione in cui i bicipiti non possano la-
vorare bene.
Notate come anche gli interneuroni siano sotto il controllo del sistema nervoso centrale, in modo da
poter creare comportamenti modulati e complessi.
Il riflesso miotatico è un meccanismo protettivo dei muscoli in quanto sotto sforzo una condizione
di stiramento, magari veloce, è interpretata come l'impossibilità a frenare un carico o un movimen-
to, cioè una potenziale situazione dipericolo. Perciò la reazione è l'incremento della contrazione dei
muscoli coinvolti, un potenziamento del segnale volontario in modo da essere più forti per soprav-
vivere al pericolo incombente, che sia una bilanciere che scende al petto o la lavatrice che stiamo
traslocando per le scale e che ci sta comprimendo le spalle.
Il riflesso da stiramento permette di spiegare perchè gli esercizi in cui vi è una contrazione eccentri-
ca prima di quella concentrica siano più performanti di quelli dove l'eccentrica non c'è: lo stiramen-
to dato dall'eccentrica potenzia la generazione di forza nella concentrica nel momento in cui vi è
l'inversione del movimento.
Provate questi esperimenti:
 confrontate l'esecuzione della panca in versione canonica eccentrica-concentrica con quella
in cui fate una pausa al petto di 2-3 secondi, e poi con quella in cui partite direttamente dal
petto (fatevi aiutare da due vostri amici a posizionare il bilanciere): le difficoltà sono
crescenti, perchè state via via eliminando l'effetto del riflesso da stiramento.

13
 un classico: accosciatevi, fate una pausa, poi saltate verso l'alto e registrate l'altezza a cui
arrivate toccando con una mano un riferimento. Poi ripetete accosciandovi e saltando senza
effettuare la pausa: salterete di più, perchè l'accosciata ha generato il riflesso da stiramento
 la seconda trazione alla sbarra viene meglio della prima, e non perchè rimbalzate o altro, ma
perchè la prima ripetizione, in partenza, è un movimento concentrico, mentre la seconda
ripetizione è eccentrica-concentrica.

In realtà i fusi neuromuscolari, come indicato nel disegno, hanno anche dei neuroni che li innerva-
no, detti neuroni gamma. La Natura ha creato un sensore che si adatta a tutte le esigenze: il neurone
gamma invia degli impulsi che fanno contrarre le fibre intrafusali, “indurendole” o “ammorbidendo-
le” e permettendo il potenziamento o l'inibizione del segnale di ritorno. Il neurone gamma è a sua
volta pilotato dai motoneuroni e dal sistema nervoso centrale.

14
Così facendo si possono adattare i livelli di segnale a tutte le esigenze possibili: se sto facendo mo-
vimenti intensi è inutile che i fusi neuromuscolari rilevino continuamente situazioni di pericolo ine-
sistenti perchè i muscoli sono sottoposti a tensione, mentre se sto effettuando movimenti fini è bene
rilevare le più piccole variazioni di velocità. Un sistema sensoriale talmente flessibile da essere per-
fetto!
Infine, è interessante notare come la Natura sia efficiente: l'introduzione di un neurone di tipo inibi-
torio permette di ottenere comportamenti differenti a partire dal solito segnale informativo. I fusi
neuromuscolari inviano sempre lo stesso tipo di informazione, e l'elaborazione varia in funzione del
neurone di destinazione.
Se così non fosse, dovrei avere due segnali differenti in uscita dal fuso: uno eccitatorio verso i mo-
toneuroni dello stesso muscolo e uno inibitorio verso i motoneuroni del muscolo antagonista. Due
segnali, un raddoppio delle connessioni verso il midollo, cioè più “fili” in giro per l'organismo con
tutto quello che comporta, mentre così ho un segnale solo e due differenti tipi di processori elabora-
tivi.
Gli organi del Golgi

Gli organi del Golgi sono un altro tipo di propriocettore, posti al confine fra tendini e muscoli. Le
terminazioni nervose sono intrecciate fra le fibre di collagene dei tendini.
Questi sensori registrano variazioni della forza dovute alla contrazione muscolare, e forniscono in-
formazioni complementari rispetto ai fusi, che registrano gli allungamenti. Questo diverso compor-
tamento è dovuto proprio all'essere cablati nei tendini: in fase di stiramento un tendine è sempre più
“duro” del corrispondente muscolo a cui è attaccato, perciò è il muscolo che “cede” piuttosto che il
tendine, mentre in fase di contrazione il muscolo e il tendine esibiscono le stesse caratteristiche di
“durezza”, e le fibre di collagene si stirano in proporzione alla contrazione del muscolo stesso.
Questo stiramento, deformando le terminazioni nervose dell'organello, genera un segnale elettrico
proporzionale all'entità della deformazione delle fibre di collagene e perciò proporzionale alla forza
di contrazione. Le terminazioni afferenti propagano l'informazione verso il midollo spinale.

15
In questo caso l'organo del Golgi va a pilotare un neurone inibitorio che agisce sul muscolo che
contiene l'organo stesso. Questo significa che al crescere della tensione rilevata aumenta l'inibizione
sul motoneurone del muscolo stesso: l'organo del Golgi ha una funzione protettiva impedendo al
muscolo di contrarsi in maniera pericolosa.
L'allenamento permette sia di innalzare la soglia di attivazione degli organi del Golgi, sia una inibi-
zione degli interneuroni che deprimono i motoneuroni. Questo è uno dei motivi per cui si ha un mi-
glioramento della forza a parità di massa corporea: una miglior efficienza nello sfruttare quello che
si ha a disposizione
Le cellule di Renshaw

16
Le cellule di Renshaw sono un particolare tipo di interneurone che a noi interessa per i nostri alle-
namenti. E' un interneurone di tipo inibitorio che va ad agire, facendo riferimento allo schema ripor-
tato qua sopra, sia sui motoneuroni del muscolo che si contrae, sia sugli interneuroni inibitori del
muscolo antagonista, in una struttura a retroazione particolarmente incasinata.
Le cellule di Renshaw sono responsabili di quella che si chiama inibizione ricorrente o autoinibi-
zione:
 immaginatevi il motoneurone alfa a destra che aumenta la sua frequenza di scarica, per far
contrarre maggiormente il bicipite.
 Il motoneurone è connesso alla cellula di Renshaw che invia un segnale inibitorio
proporzionale e contrario verso il motoneurone stesso, facendo diminuire la sua frequenza di
scarica
 Il motoneurone così facendo viene limitato, inibito, ma essendo lui stesso che pilota la
cellula di Renshaw, possiamo parlare di autoinibizione.

17
 Contemporaneamente la cellula inibisce l'interneurone inibitorio dell'antagonista che perciò
effettua peggio la sua azione. Il motoneurone alfa dell'antagonista può perciò funzionare
meglio, e la contrazione dell'antagonista risulta essere più forte.
Considerate che la cellula di Renshaw del disegno innerva anche altri motoneuroni del bicipite, co-
me altre cellule di Renshaw che non ho riportato innervano il motoneurone del disegno: vi è la pre-
senza di una rete che auto-limita la contrazione muscolare e più i motoneuroni vogliono far contrar-
re i muscoli, più le cellule di Renshaw impediscono questo!
Ohibò... ma questa è follia! Come si dice dalle mie parti, è “farsi la frusta per il proprio culo”! Per-
chè mai la Natura vorrebbe sprecare tempo per autolimitarsi!
La rete di autoinibizione o di de-sincronizzazione ha funzioni protettive ed evita che le contrazioni
muscolari avvengano ad intensità troppo elevata o che le fibre contraendosi contemporaneamente
portino alla generazione di uno stress meccanico eccessivo.
E' un meccanismo di controllo molto efficiente, perchè la modulazione della contrazione globale
non è affidata ai singoli motoneuroni, che dovrebbero così essere più complessi, ma ad una rete a
parte che però sfrutta sempre i soliti elementi semplici.
Questo principio è sempre vantaggioso perchè è più facile tirare più fili fra elementi semplici che
rendere complessi i singoli elementi stessi.
Le cellule di Renshaw sono sotto il controllo del cervello, e di tutti gli altri interneuroni, risultando
così adattabili e flessibili alle varie situazioni.
L'allenamento fa si che la de-sincronizzazione sia meno forte. Poiché all'esterno notiamo una mi-
glior sincronizzazione fra le fibre muscolari, parliamo di aumento di sincronizzazione ma in realtà
dovremmo parlare di inibizione della de-sincronizzazione.

A noi queste celluline interessano per i motivi espressi nel disegno qua sopra, dove riporto l'anda-
mento della generazione della forza nel tempo per un ipotetico esercizio in due condizioni di sin-
cronizzazione, di cui una migliore dell'altra.
Una miglior sincronizzazione della contrazione delle fibre muscolari porta a
18
 a parità di tempo ta una maggior produzione di forza (da Ta a Tb)
 a parità di forza (tensione) Tb un minor tempo per produrla (da tb a ta)
La sincronizzazione è allenabile ed è una delle caratteristiche che distingue un atleta principiante da
uno intermedio-avanzato. Una buona sincronizzazione non porta ad un aumento della forza massi-
male, ma della velocità con cui questa forza viene generata, ed è una caratteristica fondamentale per
ottenere movimenti rapidi ed impulsivi, come vedremo nel prossimo articolo

19

You might also like