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Universit degli Studi di Camerino_Scuola di Architettura e Design_Ascoli Piceno

Dottorato di ricerca in Architecture, Environment and Design


Curriculum Knowledge and Design of Urban Landscape
XXIV Ciclo

Piero Orlandi
L'esperienza della citt.
Il paesaggio urbano come sguardo fotografico

Tutor: Prof. Pippo Ciorra

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A Pippo Ciorra devo l'amichevole sostegno e la paziente indicazione della rotta.
Desidero ringraziare in particolar modo Giovanna Calvenzi e Sara Marini per i loro consigli, determinanti
per orientare questo lavoro.
Ringrazio anche Dede Auregli, Gabriele Basilico, Paolo Barbaro, Edgarda Battaglia, Valeria Cicala, Andrea
Emiliani, Francesca Fabiani, Vittorio Ferorelli, Laura Gasparini, William Guerrieri, Guido Guidi, Giovanni
Hanninen, Rhodri Jones, Carles Lllop, Monica Manfrini, Sara Marini, Nino Migliori, Nicola Orlandi, Mario
Piccinini, Mili Romano, Angela Rosati, Cristina Tartari, Roberta Valtorta, Riccardo Vlahov, Giovanni Zaf-
fagnini, Andrea Zanelli e il Collegio dei docenti della Facolt di Architettura di Ascoli Piceno, per le conver-
sazioni, i suggerimenti e l'aiuto.
Premessa
Urbanistica e fotografia sono entrambe un prodotto del
diciannovesimo secolo, quando la citt, assorbendo popolazione
proveniente dalle campagne e destinata allindustria, vive una
fase di crescita travolgente. Per questo nasce lurbanistica
moderna, intesa come insieme di regole e di pratiche progettuali,
di saperi tecnici e poteri amministrativi che si pongono lobiettivo
di governare la citt e il suo sviluppo, e stabiliscono cos, oltre
al suo funzionamento, anche la sua forma e la sua immagine.
La fotografia in quegli stessi anni inizia a costituire un insieme
di sguardi rivolto al paesaggio, e in particolare a quello urbano,
dandone una rappresentazione che sia descrizione oggettiva
che interpretazione soggettiva.
Poich convivono da un secolo e mezzo, e a causa della
comune relazione con la citt, le due discipline hanno
avuto spesso a che fare. Il rapporto, come tutti i rapporti,
bidirezionale, e capita a volte che sia stata lurbanistica a
chiedere laiuto della fotografia, e che questa lo abbia fatto
restituendole informazioni visive che hanno influenzato le
pratiche di pianificazione e progettazione. Lurbanistica ha da
sempre bisogno di conoscere il territorio su cui deve operare, e
per questo la fotografia essenziale. Non infrequente il caso
di incarichi assegnati a fotografi da parte di urbanisti, assessori,
progettisti, per effettuare ricognizioni visive su temi o fenomeni
specifici di un certo territorio.
Altre volte successo che la fotografia ha preso dal dibattito
sulla citt le questioni pi calde e ha cercato di analizzarle con
il proprio metodo, con i propri strumenti, il proprio linguaggio,
anche senza porsi lobiettivo di restituire alla fonte la propria
interpretazione, ma lasciandola a disposizione di ognuno,
divulgandola attraverso canali settoriali e generali: libri, riviste,
mostre, pubblicit, tv, cinema, siti web. In questo modo il flusso
relazionale si allunga, e passa per lopinione pubblica prima di
ritornare ai centri di esercizio delle decisioni urbanistiche, ma
linterpretazione visiva pu uscirne rafforzata, perch validata
dalladesione di molti, pi partecipata e dunque pi autorevole
ed ascoltata.
C poi un terzo modo con cui avviene lo scambio tra le
due discipline, quando un autore fotografo, spinto dalle
proprie ricerche, dalla propria sensibilit per il nuovo, per il
cambiamento, produce personali visioni della realt e dei
fenomeni che la attraversano, ancora ignoti ai pi ma gi attivi, e
forieri, in tempi pi o meno brevi, di modificazioni anche rilevanti
dellassetto dei luoghi. Lassorbimento di queste visioni pi
lento, perch si tratta di una scoperta, e come ogni scoperta
deve essere avvertita, metabolizzata, deve affrontare processi
di rigetto, scontrarsi con abitudini, convinzioni antiche, tradizioni
interpretative dure da sconfiggere: la fotografia prende allora
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per mano lurbanistica, e la conduce sui sentieri gi esplorati
autonomamente.
La realt, come sempre, mostra questi casi in un intrico di
mescolanze tra luno e laltro, di percorsi rimasti incompleti, di
intenzioni non realizzate; tuttavia, lo scopo di questo studio
di cercare con la maggior chiarezza possibile quanto ricorrano
i diversi casi enunciati, esaminando il periodo dagli anni 1970
ad oggi. Intorno al 1970 cambiano molte cose nelle citt
inizia una fase di espansione che conduce in pochi decenni
alla diffusione urbana sul territorio; cambia molto anche il ruolo
della fotografia, che lascia il campo del reportage ed entra in
quello pi concettuale tipico delle pratiche artistiche; cambia,
soprattutto, la percezione comune della realt, influenzata dal
pensiero debole postmoderno e pi incline a sostituire i grandi
principi, le interpretazioni ideologiche, con unosservazione pi
analitica, a volte anche frammentaria, che perfino dal punto di
vista linguistico ha delle innegabili attinenze con il fotogramma,
inteso come riduzione e compressione del reale in una sola
immagine.
Comincia in quegli anni una fase tuttora presente e attiva in
cui la fotografia, pi e meglio di ogni altra pratica artistica e di
ogni altro discorso teorico, sembra in grado di influenzare la
percezione della realt urbana, di descriverne problemi e destini,
rischi ed urgenze. Sempre pi frequenti sono le raffigurazioni
fotografiche di paesaggi urbani, dove lo sviluppo metropolitano
rappresentato in tutto il suo lievitare irrefrenabile.
Nei capitoli che seguono vogliamo seguire le vicende della
fotografia italiana di questi ultimi quarantanni relazionandole
alle interpretazioni diffuse di citt, alle pratiche artistiche, alle
teorie e alle politiche urbane che nel frattempo si sviluppano.
Il paesaggio urbano c, esiste, sotto i nostri occhi, ma non
sempre sappiamo come leggerlo. La fotografia ci ha aiutato
molto in questi ultimi quarantanni, lo ha fatto pi di ogni altra
disciplina. E stata in grado di comunicare qualcosa di definitivo,
di risolutivo? Ha creato una nuova percezione, e dunque una
nuova idea del paesaggio urbano, o si limitata a leggerlo
secondo gli occhi dei pi e a restituirlo al mittente cos come
questo lo voleva vedere? Prima degli anni 70 sembra che siano
stati gli architetti e gli urbanisti a spingere i fotografi a rispondere
a questo genere di domande, mentre oggi pare che sia la
fotografia a invitare lurbanistica a riflettere su se stessa in modo
pi preciso e documentato, chiedendo e spesso ottenendo per
s un ruolo pi collaborativo e meno subalterno che in passato.
Ma opportuno dare alla fotografia incarichi precisi, o meglio
lasciare che sia essa a raccogliere autonomamente i propri temi
di indagine?
Ci domandiamo se esiste - distinta dalla fotografia di architettura,
e da quella di paesaggio - una fotografia di urbanistica, e cio un
modo di fare uso della fotografia come ricognizione degli ambiti
urbani o extraurbani interessati da progetti di riqualificazione e di
miglioramento. Ricognizione ha qui il senso di una descrizione

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che non si limiti a registrare lo stato fisico dei luoghi, ma aspiri
a definirne lidentit. Un concetto che si potrebbe prendere
come riferimento molto prossimo quello di site-specific in uso
nellarte pubblica, che definisce un progetto artistico in grado
di interagire pienamente con il luogo e con le stratificazioni di
senso attribuitegli dagli abitanti e dagli utilizzatori. Le immagini
scattate per questi obiettivi dovrebbero dunque contribuire a
fornire un punto di vista e una riflessione utile per chi deve
progettare lassetto dei luoghi.
Con la parola progetto intendiamo uno spettro molto largo di
significati tecnici, dalla pianificazione territoriale al progetto
urbano, e perfino al progetto di architettura. Comunque sia e a
qualunque scala operi, il progetto resta il requisito essenziale
di questo tipo di fotografia, nel senso che al progetto che
essa tende. Per questo la fotografia di architettura classica
non rientra in questa nostra accezione, in quanto registra le
forme e lo spazio di unopera architettonica gi realizzata. Le
sue pur notevoli capacit di indagine si collocano allinterno
del campo critico, non di quello progettuale: il progetto come
percorso ideativo e come realizzazione concreta di un disegno
gi avvenuto, la fotografia ne certifica gli esiti. La fotografia
urbanistica al contrario fotografia per il progetto di architettura,
precede larchitettura, indaga le preesistenze, siano esse fisiche,
sociali, paesaggistiche.
Chi come noi si chiede quanto sia concreta la possibilit di
connettere la fotografia al progetto di trasformazione fisica del
territorio, deve per forza di cose vedere come ha operato almeno
in questi ultimi anni la committenza pubblica. Ci sono resoconti
molto precisi [Valtorta, 2008], leggendo i quali cerchiamo risposta
alla domanda se la committenza pubblica garantisce la qualit
della ricerca fotografica, e soprattutto quanto poi ne fa uso,
incanalandola verso gli uffici di piano, o nelle sale dei consigli
comunali. Contribuendo insomma al progetto di miglioramento
del territorio, come si definiva forse fideisticamente oltre
ventanni fa ci che stava sia in cima che in fondo al processo di
pianificazione, ci che insomma si invocava nei presupposti e si
presentava nelle conclusioni dei piani urbanistici [Secchi, 1984].
Roland Barthes sosteneva che la veggenza del fotografo non
consiste tanto nel vedere quanto nel trovarsi l. Questa la
sua abilit, il succo della sua professione, della sua arte. Se
la fotografia decreta notevole ci che fotografa dice ancora
Barthes allora il paesaggio urbano diventato notevole
anche perch stato fotografato. E dunque, cosa ci comunica
questa nuova materia? Perch di una nuova materia deve
trattarsi, non solo un linguaggio, uno stile o una voga, ma si
fonde con i processi urbanistici e li condiziona, dopo essere
transitata nella sensibilit della popolazione, orientandola.
Occorre per ricordare sempre il semiologo francese a
farlo - che nella foto certamente si vede tutto quel che c da
vedere, ma la foto non sa dire ci che d a vedere [Barthes, 1980].
Bisogna interpretarla, dunque; aiutarla a parlare. Ne consegue

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che qualsiasi cosa se ne dice, di quella foto, siamo noi che la
diciamo, non la foto. Questa osservazione tende a favorire una
co-operazione tra fotografo ed esperti di altre discipline, come
, nel nostro caso, lurbanista. Ma con quali risultati? Si pu
documentare con certezza qualche caso in cui la fotografia ha
convinto un decisore a demolire, costruire, modificare, come
conseguenza dellaver visto quella foto, come presa datto del
suo messaggio?

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1. LA CITTA DEI FOTOGRAFI

1. Prendere nota dei luoghi, non dei fatti.


In una fotografia molto nota si vede una strada fiancheggiata
da portici monumentali, nel cuore del centro storico di una citt
italiana, ed subito evidente che si tratta di Bologna. La ripresa
fatta allaltezza dellincrocio con una via secondaria, anchessa
porticata. Limmagine molto contrastata, le ombre si alternano
alle luci in modo netto, come in un disegno a chiaroscuro. Si capisce
bene lintento del fotografo di mostrare la qualit urbanistica e
architettonica del luogo, e di sottolineare che conservarlo un
debito necessario verso la sua bellezza. Parliamo di una delle
migliaia di immagini che scatt Paolo Monti nel 1969 a Bologna,
come indagine visiva finalizzata alla redazione del piano di
conservazione del centro storico.
Guardiamo unaltra immagine. Sullo sfondo di una catena di
montagne si vede in primo piano un insieme di rottami di varia
natura: ferro, pietra, mattoni, plastica, legno. Il paesaggio duro,
scabroso, senza vegetazione. Qua e l sorgono muri, gi qualche
tetto, piccole case in costruzione. Non c gente, il luogo che si
impone allo sguardo, impoverito e reso sciatto dal lavoro umano.
Siamo a Park City, nello Utah, nel 1978, il fotografo lamericano
Lewis Baltz. Anche in questo caso evidentissimo quello che
vuole comunicarci lautore dello scatto: laggressione umana alla
natura incontaminata produce rimpianto per la sua perdita, ma
anche attesa per lo sviluppo ignoto di quel germe di bellezza che
pu scaturirne.
Sono due esempi molto distanti, ma entrambi esprimono la volont
di usare la ripresa fotografica non solo come semplice registrazione
della realt, ma come riflessione sugli sviluppi futuri dei luoghi,
pensando insomma al progetto da realizzare sul corpo della citt.

1. Paolo Monti, Bologna, via Zamboni,


1969
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Nel primo caso, la conservazione del patrimonio culturale e storico;
nellaltro, la realizzazione di un nuovo insediamento in unarea
vergine. Sono tutti e due esempi dellattenzione progressivamente
crescente che dagli anni Settanta del secolo scorso la fotografia
ha portato verso il paesaggio urbano.
Nonostante ci, la capacit che pu avere un fotografo di
perlustrare un luogo e di porgli delle domande come e quando
si formato, perch diventato cos non riconosciuta da
tutti. Eppure sono molte anche le risposte che il fotografo in
grado di dare, se questo davvero il suo obiettivo, se non vuole
limitarsi a constatare, ma mosso dalla spinta di conoscere e
interpretare. Il suo compito ovviamente non di improvvisare o
di inventare cose che non sa. Sarebbe per fuori luogo che non
provasse a raccontare e a mettere in evidenza ci che sa, ci
che gli stato raccontato, quello che del luogo ha imparato a
conoscere durante il lavoro preparatorio alle riprese, che deve
essere lento, stratificato e organizzato con laiuto di molte persone
e molti saperi. Per questo lo sguardo del fotografo penetrante,
indagatore, e se c una disciplina che pi di altre pu cercare di
mettere a frutto questo prezioso carattere quella del progetto di
trasformazione e miglioramento della citt contemporanea.
Si potrebbe pensare che il limite congenito della fotografia di
fermarsi alla constatazione della realt, di rimanere al di qua
del confine del progetto, della trasformazione, del futuro. La
fotografia avrebbe un solo tempo, il presente e ridotto a quel
preciso momento mentre le sono vietati sia il rapporto con il
passato che a maggior ragione quello con il futuro. Tuttavia, se lo
sguardo fotografico perspicace e se il fotografo agisce in sintonia
con altri specialisti, le cose possono in realt cambiare. Se ad
esempio lurbanista interviene e fa uso della fotografia in modo
propedeutico al progetto; e ancora di pi, se lurbanista interagisce
con il fotografo nella fase di studio dei luoghi e di preparazione
dello scatto, allora la fotografia pu assumere un senso ulteriore,
che sia ricostruzione del passato che svelamento del futuro,
indicazione di potenzialit. Un caso anche pi evidente quando
la fotografia mostra i cantieri, cio i luoghi in trasformazione. Allora
fotografa il progetto, appunto. Ed possibile allora rendersi conto
di come le metropoli potrebbero diventare, perch la foto avviene
nel momento in cui la trasformazione sta producendosi.

2. Lewis Baltz, dalla serie Park City,


1978-79
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Cesare Zavattini, commentando il lavoro che il fotografo americano
Paul Strand esegu a Luzzara nei primi anni Cinquanta, diceva che
il suo occhio era in grado di prendere le due dimensioni, lessere
e il farsi. Lidea del farsi ci sembra coincidere con il percorso che
si sviluppa attraverso il progetto, qualunque progetto dei luoghi.
E dunque sarebbe, questa, unammissione implicita che un
fotografo pu avventurarsi a suggerire un dopo, a indicarlo nella
sua fotografia.
Secondo Anthony Vidler, il critico americano autore di un
celebre libro sul perturbante in architettura, esistono delle verit 3. Paul Strand, Luzzara, 1953
architettoniche assodate che bene mettere in discussione e
verificare costantemente. Questo ha fatto, nel corso del Novecento,
il modernismo, e lo fece con laiuto del cinema e della fotografia
[Vidler, 2006]. Questultima dunque pu, anche oggi, prendere
un compito che ha gi avuto storicamente, di analisi critica del
paesaggio urbano e dellarchitettura del Novecento. La fotografia
dotata di una notevole capacit critica. E deve usarla al meglio
delle sue potenzialit, anche in funzione di de-mistificazione o
almeno di svelamento. Ed infatti essa ha costruito, soprattutto
nellultimo quarto del Novecento e fino ad oggi, uninterpretazione
collettiva delle citt, con propri percorsi di ricerca originali ed
autonomi che hanno contribuito in modo determinante alla
definizione di unidea di paesaggio urbano e, attraverso questa,
alla formazione di strategie progettuali e dunque di interventi che
hanno concretamente modificato la forma delle citt.
Ma quando si cominciato a parlare di paesaggio urbano? In
altre parole: quando si iniziato a credere che la citt una forma
particolare di paesaggio, che esiste un paesaggio urbano in
termini suoi propri e distinti da quello classico, naturale, o rurale?
La storia dellarte ci ha consegnato molte vedute urbane, dove
per prevale laspetto contemplativo dei caratteri monumentali
delle citt maggiori. Le origini della nozione di paesaggio urbano
vanno per cercate piuttosto nella disciplina urbanistica, che ha
per oggetto la forma della citt e il suo disegno. Troviamo allora il
concetto di impatto visivo della citt in Townscape, un libro del 1961
dellurbanista inglese Gordon Cullen. Lautore mette in evidenza
la particolare forza espressiva propria di piazze, slarghi, strade,
sottolineando che essa stessa un ingrediente del progetto che
li concerne. Per spiegarla usa delle fotografie, rafforzandone
linterpretazione con lo schizzo a mano libera. E questo particolare
rivela che la fiducia nellautonomia interpretativa dellimmagine
fotografica in fondo ancora limitata.
Un ventennio pi tardi, con la campagna fotografica governativa
francese della DATAR della met degli anni Ottanta, si
stabiliscono i caratteri della ricerca fotografica contemporanea
sulle trasformazioni territoriali, ivi comprese quelle urbane.
Questo colossale sforzo di descrizione del paesaggio francese
contemporaneo partiva dal principio per cui nella rappresentazione
dei luoghi la fotografia un modo di trascrizione di una sensazione,
non di riproduzione di un fatto [Latarjet, 2010]. Tra le sensazioni pu
esserci anche lidea, la prefigurazione di un futuro dei luoghi, e
dunque un principio di progetto di trasformazione degli stessi.
Il progetto in fin dei conti un sentimento, significa pre-sentire
ci che i luoghi potranno essere, come potranno diventare. Se si
ammette che esista questa facolt della fotografia, allora si pu
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ammettere anche che tra le facolt ci sia quella di indicare una via
del progetto, rilevando potenzialit, punti di forza, di resistenza o
di malleabilit. Mai come oggi i valori classici del paesaggio sono
diventati caduchi e non sono stati rimpiazzati. Siamo in un periodo
di ricerca, e la fotografia tra le arti quella che pi insistentemente,
negli ultimi decenni, ha indagato lambito di questa ricerca.
Il nuovo sguardo che si forma in quegli anni assegna una decisa
preferenza alla fotografia che mostra quel che c, non quel che
avviene. Accettare questo punto di vista come fa ad esempio
Gabriele Basilico significa ovviamente scegliere una collocazione
alternativa a pratiche fotografiche diverse. Esiste, beninteso, e
Basilico non lo sminuisce, il foto-giornalismo, la tradizione dei
fotoreporter, la ricerca dello scatto che coglie il momento decisivo
di un avvenimento. Ma il superamento di o anche soltanto la
presa di distanza da questa pratica conduce a una fotografia
pi riflessiva e interpretativa della realt dei luoghi, anzich degli
eventi. E lo sguardo lento e riflessivo sulle cose, sulle ragioni
del loro esistere che costituisce il centro del lavoro fotografico.
Il fissarsi dellobiettivo su fenomeni, come quello dello sviluppo
urbano, che dagli anni Settanta ad oggi prendono un rilievo
epocale e mondiale, costruisce un nuovo genere, il paesaggio
urbano.
Il nostro paese, concluso il periodo della ricostruzione e poi
del boom economico, vive anchesso la crisi post-moderna dei
grandi modelli ideali, politici, religiosi, narrativi. La citt della
frammentazione spaziale e psicologica riflette il tramonto delle
grandi ideologie totalizzanti, rigide visioni del mondo che lasciano
il posto allurgente necessit di integrare le culture e le componenti
sociali.
Limmagine urbana registra puntualmente gli effetti indotti dalla
massificazione e poi dalla globalizzazione degli stili di vita, dalle
grandi migrazioni e dai conflitti culturali e religiosi, dalla crescita
delle tecnologie informatiche con la conseguente indifferenza
della localizzazione di molte attivit, dal declino dellindustria
manifatturiera e dallenorme facilit negli spostamenti della
popolazione per lavoro e per turismo.
La fotografia, con la sua capacit di riflessione e di forte
coinvolgimento emozionale, porta allattenzione collettiva gli effetti
di processi spesso ancora in corso e di difficile interpretazione, e
va cos a riempire lo spazio che altre modalit di indagine hanno
lasciato vuoto: per fare un esempio, larte figurativa, storica
interprete di mille vedute urbane, segue in quegli anni percorsi
di tipo aniconico e performativo che non sempre riflettono con
precisione e immediatezza la realt metropolitana delle citt
maggiori. Tanto che alcuni temi divenuti poi centrali nel dibattito
sulla citt - come la scadente qualit delle periferie, la crisi di
significati dello spazio pubblico e dei luoghi della comunit, la
convivenza difficile e spesso impossibile tra forme della tradizione
locale e innovazione architettonica sembra siano stati indicati e
dunque in larga misura introdotti nel dibattito dalla fotografia, e solo
in seguito sottoposti allagenda delle pubbliche amministrazioni e
alla riflessione degli studiosi. Sono stati i fotografi a costringere gli
architetti a confrontarsi di nuovo con il paesaggio, e in particolare
con il paesaggio urbano; cosa che da tempo ormai avevano
smesso di fare, confinati in una dimensione teorica e lontana dalla
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realt, e assumendone al pi una rappresentazione idealizzata
[Nicolin, 2006].
La situazione italiana presenta peculiarit dovute ai caratteri dello
spazio storico-geografico: cento piccole citt, molto integrate
nellambiente rurale, e uno sviluppo metropolitano che confligge
con la ricca sedimentazione culturale del territorio. Sono, questi,
caratteri molto evidenti nel caso dellEmilia-Romagna: i centri
urbani, in origine di piccole dimensioni, si sono via via saldati nella
citt lineare della via Emilia - la vera metropoli del nord sub-padano
- e nella urbanizzazione continua della citt adriatica. Qui hanno 4. Luigi Ghirri, Scandiano, 1985, dalla
operato alcuni importanti fotografi di paesaggio italiani, chiamati serie Paesaggio italiano, 1980-92
da amministrazioni pubbliche a documentare aspetti del territorio
regionale. Il caso pi noto quello di Paolo Monti, che tra la fine
degli anni Sessanta e la met dei Settanta ha contribuito in modo
estensivo a indagini urbanistiche e campagne di rilevamento dei
beni culturali e dei centri storici, fissando unimmagine dellazione
conservativa ancor oggi viva al punto da condizionare la ricerca
visiva in questo settore.
Lopera di Luigi Ghirri si sviluppa in modo autonomo e personale,
spesso al di fuori di specifiche committenze pubbliche, e dalla
met degli anni Ottanta sembra indicare percorsi di ricerca
complementari se non addirittura antitetici rispetto allimmagine
che gli enti territoriali emiliano-romagnoli hanno voluto nel
frattempo dare di s e delle ragioni del proprio operare. Oggi
ci pare che piuttosto che quello ufficiale - sia stato lo sguardo
libero di Ghirri il vero sguardo produttivo di senso, capace di
costruire una ricerca visiva appropriata sul fenomeno urbano, e di
restituirne frammenti di interpretazione e comprensione.
Le strade indicate da Ghirri e da Monti sembrano seguire traiettorie
prossime ma parallele: nel primo caso si tratta di un pensiero 5. Guido Guidi, Zona industriale di
debole, ironico, perfino interrogativo e perennemente inconcluso, Pievesestina
nellaltro di uno sguardo carico di assiomi che cercano nella
fotografia una dimostrazione visiva definitiva e incontrovertibile.
Sono due stili che segnano i percorsi anche di altri autori. Gabriele
Basilico opera nel solco di Paolo Monti, contribuendo a costruire
un paesaggio urbano monumentale e malinconico, fortemente
connotato da temi postmoderni come la dismissione industriale, e
avvicinando in ununica infinita descrizione tutte le citt del mondo,
fino a creare una sorta di supercitt analoga e ubiqua. Altri sono i
percorsi seguiti da chi individua nella mostra dei New Topographics
americani del 1975 il proprio modello di riferimento, tra tutti Guido
Guidi, e con lui i fotografi che operano per lassociazione Linea
di Confine di Rubiera, impegnati in una ricerca minuziosa e
ostinata del banale che affligge la quotidianit della scena urbana
contemporanea. Quasi sempre i fotografi agiscono in coppia con
studiosi, storici ed urbanisti che influenzano in modo pi o meno
determinante la loro visione: Andrea Emiliani e Pierluigi Cervellati
nel caso di Monti, Vittorio Savi e Aldo Rossi per Ghirri, Stefano
Boeri per Basilico, Bernardo Secchi per il gruppo di autori di Linea
di Confine.
Lo sguardo fotografico sulla citt interagisce in vario modo con
gli orientamenti e le scelte dellurbanistica. Ci si pu domandare
se possibile mettere a sistema questa ricchezza di sguardi
complementari alle discipline del cosiddetto governo del
territorio, rendendoli disponibili per il progetto urbano in maniera
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pi continua ed efficace ed evitando il pi possibile che il loro
discorso critico si insterilisca in posizioni radicali e contrapposte:
usando da una parte la fotografia come denuncia della perdita di
una forma urbis classica, per invocare il ritorno alla citt bella pre-
moderna; dallaltra accettando lesistente e rifiutando di fatto ogni
speranza progettuale.
Lutilizzo sempre pi frequente della pratica fotografica nei
laboratori di urbanistica partecipata, il proliferare di gruppi e
associazioni attive in questo campo fanno credere che la ripresa
di collaborazione e dialogo tra fotografi e urbanisti - che negli anni
Settanta sembr una positiva innovazione portata dal dialogo
interdisciplinare - possa condurre a una specifica modalit
narrativa per il paesaggio urbano italiano, precisandone unidea
originale ed autonoma.
Nelloscillazione a volte impercettibile, ma continua tra
osservazione e trascrizione della realt e interpretazione dei
luoghi, si nasconde un conflitto tra etiche fotografiche diverse. Se
losservazione pura aggiunge profondit alla riflessione, ha per
il limite di trascurare gli aspetti sociali, storici, di isolare i luoghi in
un tempo sospeso, strappato via dal tempo reale, dallevoluzione
continua. In questo senso, leccesso di constatazione pu essere
un limite per il progetto, pu togliere alla fotografia le potenzialit
progettuali che, come si detto, essa pu avere. Un certo
spirito voyeuristico il rischio incombente verso cui la fotografia
di paesaggio pu essere spinta, e questo rischio pu essere
ingigantito dalla perdita della fiducia nel progetto che caratterizza
questi ultimi decenni, gli anni post-moderni.
Rem Koohlaas ha definito gli anni Sessanta come lultimo
periodo di fiducia nellarchitettura. Oggi siamo come paralizzati
dallenorme peso che ci scaricano sulle spalle le sfide contro
lurbanizzazione, linquinamento ambientale, il traffico. Come
trasformare positivamente lo sprawl della citt diffusa uno dei
grandi problemi rimasti per ora senza risposta [Gregotti, 2011].
Viviamo in una societ e in un tempo incapaci di progettare il
futuro, e in questo senso un eccesso di consapevolezza del
reale pu essere un limite, e lapproccio documentaristico che
ha caratterizzato in senso positivo la fotografia, quando cera da
recuperare un rapporto profondo con la realt, pu oggi diventare
un handicap, quando al contrario c da recuperare la perduta
capacit di formarsi un ideale [Marini, 2011].
Se la vicinanza prima, e lappartenenza poi, della fotografia
allarte concettuale le ha consentito per i quarantanni dai Settanta
a oggi di diventare linterprete pi incisiva delle trasformazioni
fisiche e sociali del nostro ambiente di vita, oggi leccesso di
concettualizzazione pu diventare un ostacolo ad esprimere ipotesi
conclusive di questa continua riflessione. Anche la fotografia
e quella urbana in particolare, visto il ruolo sempre crescente
delle grandi citt, in senso demografico, economico, sociale - ha
oggi di fronte a s il compito di accentuare la sua capacit di
prefigurazione progettuale, a maggior ragione in un momento in
cui il progetto viene sempre pi rappresentato attraverso immagini
fotografiche e sempre meno tramite il disegno.
Per almeno un decennio i paesaggi metropolitani, pur mostrandosi
in pi occasioni come uno svilimento delle risorse estetiche,
naturali, sociali, architettoniche, hanno reclamato il loro diritto
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a esser paesaggi in virt del fatto che sono ambienti di vita dei
cittadini, con ci rispondendo ai requisiti della Convenzione
Europea del paesaggio del 2000. Oggi, le tematiche identitarie,
la necessit di riconoscere i percorsi diversificati delle microstorie
delle diverse comunit, lautoaffermazione di s che ormai uno
dei tratti caratteristici della nostra societ sono tutti fattori che
spingono a dare peso alla piccola dimensione e alla partecipazione,
come caratteri salienti e imprescindibili del progetto urbano
contemporaneo. Sono questi gli orizzonti attuali che anche la
fotografia sta contribuendo a esplorare: una crescente ostilit
verso la bigness che stata per decenni la connotazione
principale della metropoli e il suo fattore di successo comunicativo
-, la centralit dellindividuo e del cittadino nelle scelte, la comunit
che torna a proclamarsi interprete della propria evoluzione, il ruolo
crescente che la politica deve assumere, o meglio ri-assumere,
nelle scelte della pianificazione urbanistica [Palermo, 2010].

2. Prima della fotografia, e nel frattempo.


Nella seconda met dellOttocento, la fotografia diventa pietra di
paragone per la pittura. Considerata strumento di registrazione
fedele del dato reale, diventa riferimento per le sperimentazioni
antiaccademiche. Nel Dizionario dei luoghi comuni di Gustave
Flaubert (1874-80), alla voce Fotografia scritto: Detronizzer
la pittura. Oggi sappiamo che non stato cos, ma era difficile
rendersene conto pochi decenni dopo linvenzione che pareva
destinata a rivoluzionare il modo di rappresentare la realt.
La fotografia non si sostituita alla pittura perch non ambiva
farlo, diventata unarte di per s, con regole e obiettivi propri,
e una sua estetica autonoma. Ma lentrata della fotografia nel
mondo dellarte recente, avvenuta non molto prima degli anni
Settanta del secolo passato. Prima, poteva essere considerata un
supporto per larte. Uno strumento al servizio della pittura, come
lo stato per varie discipline scientifiche, e per larcheologia,
per lo studio dei monumenti, e via via per il giornalismo, per la 6. Jan Vermeer, Veduta di Delft, 1660
documentazione delle scene dei crimini e per la determinazione
della verit processuale, per la pubblicit commerciale, per la
promozione del turismo, ecc. A lungo la fotografia ha vissuto un
ruolo ancillare, subalterno; stata solo un documento freddo e
poco espressivo. Basta ascoltare Marcel Proust, quando scrive
di certe fotografie di una persona, guardando le quali ci par di
ricordarla meno bene di quando ci accontentiamo di pensarla
[Barthes, 1980].
Lapporto della fotografia alla descrizione del paesaggio urbano
7. Antonio Canal, detto Canaletto,
contemporaneo costituisce lultimo capitolo di una lunga storia Canal Grande da Ca Balbi verso Rialto,
che attraversa larte figurativa dei secoli precedenti. La citt 1720-23
si affaccia alla storia dellarte dapprima come sfondo nelle
pitture rinascimentali, prende poi un ruolo di primo piano nelle
icnoscenografie cinque e seicentesche, parenti strette delle
odierne vedute da elicottero. La veduta urbana pi celebre e
apprezzata soprattutto quella della pittura olandese, Vermeer
su tutti; nel Settecento sono celebri Canaletto e Bellotto, mentre
Piranesi innesta la divagazione fantastica nel corpo della visione
architettonica. 8. Bernardo Bellotto, La Hofkirche di
NellOttocento il fenomeno prende dimensioni gigantesche. Le Dresda con il Castello e il Ponte di
Augusto (Dresda dalla riva sinistra
citt riempiono le tele di Van Gogh, tanto che i suoi dipinti sono dellElba), 1748 ca
13
lespressione pi evidente del disagio psichico indotto dalla vita
urbana. Gauguin, in modo analogo, si rese interprete di un rifiuto
della modernit che addirittura lo spinse alla fuga in Oceania. Sul
campo opposto stanno Pissarro, cantore dei boulevards di quella
Parigi che stata chiamata la capitale del XIX secolo, e Monet,
con la sua Gare Saint-Lazare, celeberrimo inno alla ferrovia e al
suo ingresso in citt. Essi si servono della fotografia per la loro
pittura, e leffetto evidente nella scelta dei soggetti e del punto
di vista da cui descriverli, nel taglio della composizione e in una
certa resa della profondit di campo, dichiaratamente fotografica. 9.Claude Monet, Gare Saint-Lazare,
1877
Lesplosione del genere urbano con lImpressionismo si deve
in larga misura a una rivoluzione tecnologica: quando i colori in
tubetto consentono di dipingere senza difficolt en plein air; la citt
diventa un soggetto da rappresentare in tutte le sue componenti
fisiche e sociali, piazze e folla, mezzi di trasporto e mercati. Di qui
in avanti il dialogo tra pittura e fotografia si infittisce, si arricchisce
di scambi e contrasti, in una incessante corsa a superarsi. Pissarro
dipinge raccontando la citt come bellezza inquietante, Atget e
Marville usano lobiettivo per scrutare Parigi con unattenzione
erotica, come se il suo fosse il corpo di una donna. La citt ha
le forme dei sobborghi, delle cattedrali, dei bassifondi, si mostra 10. Eugene Atget, Il Pantheon, 1925
nei porti e nei mercati, abitata da mendicanti, prostitute, operai
tra i pi celebri, quelli che costruiscono i grattacieli di New York
stando appesi lass nellintrico delle travi di ferro.
Boccioni e Delaunay registrano i caratteri della citt esplosa del
Novecento, sforzandosi di arrivare a captarne i suoni, gli odori, il
frastuono. Alla Torre Eiffel parigina fa da contrappunto simbolico
della vitalit urbana newyorkese il Ponte di Brooklyn, dipinto in
varie serie da Joseph Stella. Sul fronte dei fotografi stanno le
immagini dellEmpire State Building di Lewis Hine e di Alfred
Stieglitz. Tra i molti altri, Edward Hopper e Mario Sironi, Otto Dix
e Max Beckmann, El Lissitskij, De Chirico e Mondrian dipingono 11. Edward Hopper, La citt, 1927
immagini di paesaggi urbani. La lista ovviamente interminabile.
Quando per, alla met del secolo ventesimo, inizia il predominio
dellInformale, la pittura comincia a tacere, e la fotografia prende
quota, rimpiazzandola progressivamente.
Con la scena urbana la fotografia intrattiene fin dallinizio un
rapporto molto stretto. E figlia dello sviluppo della tecnologia e
dellindustria, e dunque non pu che sentirsi sorella della citt
nata in quegli stessi anni per effetto della rivoluzione industriale.
La prima fotografia di Nicephore Niepce rappresenta un
paesaggio urbano visto dalla finestra. Siamo nel 1827. Questa
relazione matura in seguito attraverso capostipiti come Daguerre,
Fox Talbot, Bayard ed altri mitici pionieri, e infine con il lavoro di
Eugene Atget, che allinizio del secolo Ventesimo costruisce una
minuziosa immagine di Parigi, il campo di studi privilegiato nei
primi lustri della tecnica fotografica.
La fotografia ambisce subito a sostituirsi alle arti figurative
nel raccontare la citt. Esaurito il movimento impressionista
- e archiviate, pi tardi, le narrazioni potenti dei cubisti e dei
costruttivisti - la fotografia e il cinema, nuove arti industriali e a
grande diffusione, prendono progressivamente il sopravvento
sulla pittura nei primi due terzi del Novecento. Il paesaggio urbano
prende forma come crudo racconto delle problematiche sociali
indotte dalla dimensione urbana crescente e dalla concentrazione
14
12. Walker Evans, Truck and Sign,
1928-30

di una grande massa di popolazione in aree sovraffollate. Weegee


negli Stati Uniti, Cartier Bresson in Francia divulgano immagini
fotogeniche della citt babelica, piene di carica emozionale e cos
realistiche da essere comprensibili per tutti.
Gli scritti degli anni Trenta di Walter Benjamin possono essere
visti come le didascalie pi adatte alle fotografie contemporanee
di autori come August Sander e Albert Renger-Patzsch. In modo
del tutto analogo, i mille tipi umani di Brassai costituiscono il
commento visivo delle nascenti discipline antropologiche e
sociali. Una delle grandi madri della fotografia contemporanea
di paesaggio, la Farm Security Administration americana il
survey promosso da Roosevelt negli anni Trenta sulla condizione
rurale - si rivolge pi alla campagna che alla citt, ma uscendo
da quella esperienza Walker Evans comincia anche a fotografare
la citt come un corpo compatto, finito, riconoscibile, dotato di
confini, per quanto allargati. Le architetture configurano gli spazi
urbani, pieni e privi di orizzonte; quelli rurali, al contrario, sono
rarefatti, larghi, distesi. C una opposizione visiva tra le due
scene, una contrapposizione chiara e netta che non pu lasciare
dubbi e alimenta certezze sulla forma del mondo in cui viviamo.
Loggettivit una prerogativa che la fotografia vuole per s,
come dimostrano le contemporanee fotografie del dipartimento di
polizia di Los Angeles che catalogano i cold cases dellepoca con
scientifica brutalit.
Negli anni Settanta del Novecento si crea una tendenza che deriva
da queste esperienze americane della fotografia documentaria
degli anni 30 e cerca una aderenza al reale, ma al tempo stesso si
avvicina al concettualismo e alla performance, generi tipici dellarte
di quegli anni; e ancora, si connette alle esperienze del Bauhaus,
nella sua tensione a sperimentare nuovi linguaggi; e infine prende
qualche spunto da urbanisti americani come Kevin Lynch e Jane
Jacobs e inglesi come Gordon Cullen, e dalla loro originale ricerca
sugli effetti percettivi della costruzione e dellarredo dello spazio
abitato e di quello pubblico. Linsieme di tutte queste cose genera
una nuova sapienza della fotografia nel rappresentare la scena
urbana, un ruolo che pi progettuale rispetto al vedutismo
classico, se si intende per progetto unidea che connette passato,
presente e futuro. Questo segna un nuovo genere di paesaggio
urbano fotografico, e d il via a una produzione ingente di
immagini, in grado di orientare e condizionare la visione comune
13. Albert Renger-Patzsch, Terreni a
molto pi di quanto non sia avvenuto nei decenni precedenti. Bochum, 1929
15
Negli anni Settanta del Novecento ha preso forma unattitudine
allo sguardo in larga misura diversa da prima, che ha prodotto
un corpus fotografico caratteristico, ispirato da molte domande
nuove, alla ricerca di spiegazioni di fenomeni inediti, che la citt
registrava proprio in quegli anni di crisi e di trasformazione. E
questo il momento nel quale avviene il superamento del reportage
classico fondato sul momento decisivo bressoniano, e la fotografia
scavalcata da altri media perde la sua funzione narrativa e diventa
strumento di lavoro per gli artisti, spesso in chiave concettuale;
dopo quegli anni, che costituiscono limmediata premessa per il
suo decollo, vengono gli anni Ottanta e Novanta, nei quali la
fotografia consolida la sua posizione e approda alla sua fase di
massima espansione [Valtorta, 2005].

3. Sfiducia postmoderna.
Allinizio degli anni Settanta, la citt diventa la scena pi idonea 14. Los Angeles Police Department,
Scene of the Crime 197, 1944
per rappresentare la crisi della post-modernit [Harvey, 1993]. Si
fa sempre pi frequente il caso di fotografi che, spinti da puro
intento di ricerca, iniziano a sperimentare la capacit di indagine
del mezzo fotografico, facendo uso delle proprie risorse di cultura
e sensibilit. Tralasciano laspetto sociale della citt, espresso
in modo ormai definitivo nelle visioni classiche dei pionieri o nei
resoconti che grazie al foto-giornalismo invadono le case di tutti,
e cominciano a occuparsi di quello paesaggistico, con lobiettivo
di trovarne il grado zero, scevro di luoghi comuni e di troppo facile
riconoscibilit, pronti a utilizzare linguaggi aspri, non fotogenici, e
per questo non facilmente ricevibili dalluniversalit del pubblico.
15. Holger Trulzsch, dalla serie della
Ponendosi, in altre parole, al di fuori della convenzionalit della DATAR, 1984
comunicazione pi estensiva, sia televisiva che pubblicitaria che
turistica.
Il paesaggio delle citt non per questi autori un fatto estetico,
ma il tramite attraverso il quale si occupano di indagare la
condizione delluomo. Lambiente urbano il luogo che pi di
ogni altro riflette la specificit del mondo contemporaneo, le sue
profonde modificazioni culturali, economiche, sociali. Mostrare la
scena in cui lumanit si muove con sempre maggiore frequenza,
dove aspira vivere, da cui attratta, un modo molto preciso
per farne un ritratto valido almeno per tutto il mondo occidentale.
Come in precedenza, il soggetto rimane larchitettura, la strada,
la complessit densa e stratificata degli spazi, cambia per il
modo con cui si intende parlarne: la concettualizzazione della
fotografia, che avviene in quegli anni sulla spinta dei movimenti
artistici, sposta lattenzione dagli oggetti rappresentati al loro
significato, alluso che ne fanno le persone, al valore simbolico
che gli attribuiscono.
Tuttavia, per la sensibilit comune, il paesaggio rimane ancora
oggi un concetto che ha poco a che fare con la citt. Avvicinare
luno allaltra quasi un ossimoro, perch il paesaggio resta
composto di coste, monti, campagne, fiumi, alberi fino alla
met del Novecento e oltre. In Italia, i Fratelli Alinari raccolgono
singoli frammenti monumentali e compongono un collage che
non rappresenta lo spazio delle citt, ma ne isola le eccellenze.
Dallultimo quarto dellOttocento inizia il successo della cartolina
illustrata, grande strumento di condivisione del paesaggio, ben pi
popolare delle vedute pittoriche. Con la prima guerra mondiale si
16
registra la comparsa nazionale del paesaggio alpino; essenziale
per stabilire un rapporto poi mai pi tramontato tra paesaggio e
nostalgia la funzione di memoria del paese di origine che la
cartolina svolge con il fenomeno dellemigrazione, dalla met
dellOttocento in avanti.
Le pubblicazioni del Touring Club Italiano ad esempio Le vie
dItalia, rivista di geografia, viaggi e fotografia edita dal TCI dal
1917 al 1968, e dunque decisiva nellorientare limmaginario
collettivo del paesaggio nella parte centrale del secolo scorso
trasmettono una impostazione per molti versi ancora elitaria e in
larga misura radicata nel pittoresco, per cui la citt resta a lungo,
per definizione, lanti-paesaggio. La veduta urbana tollerata se
ed in quanto esprime la storia millenaria delle cento citt italiane,
ne descrive le peculiarit tradizionali, ne rafforza il ruolo di origine
della storia nel mondo, di culla della civilt.
Tra i libri fotografici dedicati alla citt sono rimasti celebri Paris
de nuit di Brassai del 1932, A night in London, cruda visione
dellinglese Bill Brandt del 1938, e ancora del 1938, Changing
New York di Berenice Abbott. La street photography nasce in
quegli anni, facendo convivere reportage e documentazione,
grande interprete ne Arthur Fellig detto Weegee, che ritrae il
lato oscuro e violento delle metropoli.
Nel 1935 laustriaca Lisette Model pubblica sulla rivista Regards
fotografie scattate a Nizza sulla Promenade des Anglais, che
ritraggono persone, spesso anziani, con il proposito di descrivere
i luoghi in modo indiretto, attraverso i loro fruitori. Lamericano
Philip Lorca di Corcia, la francese Lise Sarfati, lirlandese
Hannah Starkey, pur di diverse generazioni e con diversi
approcci continuano nel solco della street photography, cos
come continua e anzi ha preso recentemente molto spazio la
ritrattistica intesa come luogo privilegiato di lettura della societ
attraverso la rappresentazione delle persone. Pi recentemente
nata lattenzione verso le pratiche amatoriali familiari [Skrein, 2004],
secondo una visione etnografica e antropologica. Le fotografie
di famiglia vengono esposte e studiate in s come testimoni del

16. Paola De Pietri, dalla serie Madri


oggi, 2007
17
tempo e utilizzate anche da autori tra tutti Wolfgang Tillmans,
primo fotografo nel 2000 a vincere il britannico Turner Prize che
usano nel loro lavoro fotografie trovate. Prende cos importanza
larchivio, come interazione tra storia, passato, soggettivit non
autoriale e la pratica professionale. Secondo alcuni studiosi, questo
dimostrerebbe un calo di fiducia della fotografia in se stessa, o
meglio dellautore-fotografo in se stesso, e dunque aprirebbe un
interrogativo fondato sul modo come i fotografi possono ancora
essere in grado di rappresentare se non linterezza del mondo,
almeno una valida interpretazione per quanto soggettiva - di
una buona parte della realt.
Indagando il paesaggio urbano, la fotografia prende a riflettere su
se stessa, i suoi limiti, le sue potenzialit, il suo stesso linguaggio.
In ambito italiano, questo molto evidente in un autore innovativo
e sperimentale come Luigi Ghirri, che perlustrando la citt indaga
anche sulle sequenze delle fotografie, sulla modularit delle
inquadrature. Una mostra fotografica che si tiene a Ferrara nel
1979, Iconicitt, curata appunto da Ghirri, rappresenta molto bene
questo nuovo atteggiamento della fotografia.
Allinizio degli anni Ottanta, anche i curatori della celebre campagna
fotografica francese della DATAR si rendono conto che larte si sta
allontanando dal mondo visibile per lidi concettuali, performance
e accadimenti vari, mentre la fotografia resta lunico sguardo
interessato al mondo visibile, e per questo incaricano fotografi
di diversa provenienza nazionale di verificare i cambiamenti
del paesaggio come riflesso dei cambiamenti sociali. Non per
documentare, e nemmeno per narrare, ma per riflettere, questo
il nuovo ruolo della fotografia. Uno dei fotografi invitati, Gabriele
Basilico, usa lespressione lesperienza dei luoghi, come se
parlasse di fare un incontro con i luoghi, e sembra che si tratti di
una cosa che le altre arti non possono pi fare.
Nel 1987 hanno luogo due mostre molto importanti per la
diffusione di queste nuove pratiche fotografiche. A Venezia si tiene
Dialectical Landscapes. Nuovo paesaggio americano, a cura
di Paolo Costantini; a Milano, Paysages Photographies, con
immagini del paesaggio della Francia contemporanea prodotte

17. Fratelli Alinari, Duomo e Battistero di


Parma, fine secolo XIX
18
dalla Mission photographique de la Datar tra il 1984 e il 1985.
Gli anni Settanta sono un momento di grande fiducia nella
fotografia di paesaggio, e questo si vede bene, si percepisce
la felicit della disciplina, il suo attraversare un momento di
certezze, di evoluzione, di speranza, di futuro. Il fotografo
convinto che con la sua concettualizzazione del mondo si possano
attingere livelli espressivi e insieme di razionalit comunicativa.
Linterdisciplinarit, un credo di quegli anni, ammette la fotografia
nel consesso delle altre materie o degli altri mestieri, con la
sociologia, lurbanistica, lantropologia, e perfino la politica.
Oggi le cose sono molto cambiate. Oggi la multiplicitt che
abitiamo pu sembrare disarmante, oltre che perturbante. E come
se affrontandola affrontando il compito di descriverla, studiarla,
riprogettarla per migliorarla ci rendessimo conto che forse non
riusciremo a farcela. Il risultato che ci consegnano i fotografi
sono indagini di struggente bellezza, ma che molto difficilmente
possono darci indicazioni, nel groviglio di contraddizioni che esse
registrano. La crescente complessit del mondo, soprattutto
dellambiente urbano, sconcerta, disorienta. Un fotografo
giovane e gi esperto come Francesco Jodice ricorre anche al
film, oltre a fotografare. Molti autori hanno sentito la fotografia
come insufficiente ad affrontare la realt, e fanno uso anche di
interviste, narrazioni di scrittori, raccolta di materiali di diverso
genere e provenienza.
C un indizio, fra i tanti, che pu rivelare il disagio: il ricorso
crescente al punto di ripresa dallalto, pi elevato della statura
umana. Sembra una resa: la confessione che non si riesce pi a
replicare con la stessa efficacia ci che a suo tempo faceva con
lobiettivo il fotografo-cittadino Paolo Monti, che semplicemente si
aggirava come un passante fra i tanti lungo le vie delle citt. Se
mi muovo al livello del terreno, non ce la far mai a cogliere la
cresciuta e crescente complessit delle cose urbane, sembrano
dire Olivo Barbieri e Alessandra Chemollo, Giampiero Vitali e
Paola De Pietri, tutti autori che hanno usato punti di vista al di
sopra della strada. Paola De Pietri, per un lavoro paesaggistico,
si porta su una mongolfiera a circa 40 metri di altezza, perch
cercava un punto di vista che fosse a met strada tra quello
offerto dalla mappa e quello del visitatore. Unaltezza che ha
definito molto umana, e che ha scelto per fare in modo che la
distanza fosse solo fonte di chiarezza e non di separazione [Linea
di Confine, 1997].
Laltro indizio il ricorso alla immagine in movimento come
mezzo integrativo della visione statica della fotografia. Voci,
interviste, volti per rappresentare la molteplicit e per far fronte
alla complessit. Latteggiamento fiducioso di un tempo sparito.
E sparito il tempo in cui il fotografo se la sentiva di affrontare
la citt senza particolari problemi. Con gli anni duemila come
se i fotografi si dichiarassero incapaci, o almeno meno capaci
di prima. Francesco Jodice fa progetti che dichiarano nella loro
stessa struttura il bisogno della presenza di qualcun altro, quasi
del suo aiuto: come quando segue i movimenti delle persone, o per
meglio dire le insegue, le pedina, come se solo attraverso il loro
muoversi negli spazi urbani questi ultimi prendessero significato
e senso. Molti giovani fotografi prevedono la partecipazione di
persone qualunque come co-autori, desiderano far fotografare
19
anche gli altri. Chiedono agli abitanti le loro vecchie fotografie,
come se solo la vita vera, ripresa senza regia alcuna, potesse
farci giungere unemozione.
Gli anni Settanta ci hanno mostrato una felicit del fotografare che
si spinta fino agli anni Ottanta, e poi regredita come una bassa
marea e ha lasciato i fotografi soli con la loro azione incessante,
raffreddandone lo sguardo. Ma proviamo a ricostruire la storia di
questi quarantanni cruciali.

4. Paesaggio come senso dei luoghi.
Lo sviluppo del concetto di paesaggio urbano fotografico passa
per tre fasi successive e distinte. Con la nascita della fotografia
(secondo molti autori, il 1839) e fino al primo ventennio del
secolo successivo, resta saldo il punto di vista del positivismo
ottocentesco: la fotografia non tanto il fotografo che ci
mostra la citt, nel senso che radicata la convinzione nella
oggettivit assoluta del mezzo fotografico. Non si pu parlare di
sguardo, proprio perch sembra quasi che dietro lobiettivo non
ci sia una persona, e che la macchina operi praticamente da
sola, in modo meccanico. La convinzione nelloggettivit prende
origine dal confronto impari tra il processo fotografico, basato
sullottica e la chimica - dunque scientifico, e ritenuto proprio
per questo non dubitabile - e la creativit del pittore, interprete
assolutamente soggettivo (e tanto pi evidentemente soggettivo
nel periodo dellImpressionismo). Per questo tutti pensano che la
fotografia ritrae senzaltro la citt cos come essa . Da questa
prassi fotografica discendono ad esempio le immagini dei fratelli
Alinari, e infatti esse non vengono mai divulgate con il nome del
fotografo, ma della sola ditta produttrice.
Una seconda fase quella che copre i primi due terzi del secolo
ventesimo, e che agli inizi si sovrappone, almeno in parte, con
prassi tipiche della prima fase. Il fotografo come autore comincia
qui a prendere importanza, e si dedica infatti con personale e
intensa partecipazione a trovare i testimoni viventi della vita urbana
e delle sue tipicit, soprattutto delle sofferenze e delle difficolt
che le sono proprie. La citt viene identificata con la societ che
essa sta producendo, il fotografo esce allo scoperto e si chiama
Marville, Atget, Sanders, Weegee, Cartier Bresson. Ecco che
allora prende piede un paesaggio urbano meno monumentale
e statico, pi permeato della soggettivit dellinterprete. Ma la
macchina fotografica resta tuttavia un confine ben netto tra chi
guarda e chi guardato, da una parte c loggetto la citt, e
perfino i suoi abitanti sono oggetti da osservare e riprodurre e
dallaltra il soggetto che inquadra la scena, sceglie lattimo, ha il
privilegio e la capacit di esserci, nel posto giusto al momento
giusto. Ora questo soggetto c, ed un artista (prima che lui
ci fosse come tale, cera larte fotografica), e limmagine che
produce un documento della realt che lui ha saputo cogliere,
lui e non altri.
Intorno agli anni Settanta del Novecento, e ancora pi diffusamente
dagli anni Ottanta, sembra che non sia pi il fotografo a raccontare
la citt, ma questultima a raccontarci di s e di noi attraverso il
fotografo. Che resta certamente autore, anzi prende sempre pi
risalto come tale. Ma in un certo senso subisce linflusso di ci
che decide di fotografare. Le persone escono di scena, la scena
20
urbana resta vuota - ma proprio per questo anche pi carica di
presenze, perch non essendoci nessuno ci sono tutti, tutti sono
presenti nelle tracce che lasciano, nei segni della loro vita, del
loro uso. Si inverte il rapporto tra soggetto ed oggetto, il fotografo
diventa portatore di uno sguardo oggettivo, e la citt fotografata
diventa il soggetto parlante.
Questa fase ha contato molto nella nostra percezione collettiva
del paesaggio urbano, nel trasformare i nostri gusti e le nostre
opinioni in merito. Resta lungamente attiva - lo ancora - ed
quella che vogliamo descrivere nelle pagine seguenti. Prendendo
il punto di vista della citt, che il soggetto parlante, pi che
del fotografo-artista. E dunque parlando molto e soprattutto
dellurbanistica come disciplina che studia e progetta le citt,
oltre che della fotografia. Cercando di vedere come tra le due
materie si sia intrecciato un rapporto molto stretto in questi ultimi
quarantanni, mentre prima era pi distaccato e la fotografia
frequentava pi spesso altre discipline, come la sociologia o
lantropologia. Un rapporto quello tra urbanistica e fotografia
che com naturale si concretizza nel rapporto tra urbanisti e
fotografi, che spesso molto fertile ma che ci nonostante a volte
non mantiene le molte promesse e precipita per lunghi periodi in
una reciproca indifferenza che alla fine impoverisce il progetto e
per conseguenza la qualit degli spazi urbani realizzati.
Con gli anni Settanta nasce una fotografia di paesaggio urbano
che non ha il solo scopo di rappresentare, ma anche di fornire
interpretazioni. Limmagine non deve essere passivamente
guardata, chiede invece lattenzione e il coinvolgimento
dellosservatore. Attraverso limmagine si possono interrogare
gli ambiti e gli spazi, essa sfoglia gli strati di senso delle cose
[Bodei, 2011]. Il fotografo agisce spesso dopo essersi documentato
a fondo su ci che fotografa, il suo non un lavoro intuitivo, ma
di ricerca. La ricerca visiva dei fotografi infatti confrontabile con
altre ricerche sia di tipo fisico-quantitativo (rilievi e cartografia di
vario genere, dati statistici, ecc.) sia qualitativo (indagini storiche
e sociali, interviste, ecc.) che di norma sono svolte prima della
progettazione, e contribuisce a definire lassetto dei luoghi, in
modo non neutrale ma gi implicato con il progetto. Ogni tecnica
di misurazione-interpretazione, non escluse quelle ritenute pi

18. Philip Lorca di Corcia, New York,


1998
21
scientifiche, come ad esempio la statistica, in grado di schierarsi
dalla parte di ci che deve essere dimostrato, e cos a maggior
ragione fa la fotografia, tanto vero che a pi riprese si insistito
su quanto sia apparente e fittizia la sua vicinanza con la realt
[Smargiassi, 2009].
Mostrare o non mostrare qualcosa una scelta sempre possibile,
e la cosa - presente o assente - assume per questo significati
precisi. Selezionare, escludere, includere sono indubbiamente
pratiche progettuali questo molto percepibile nel caso di Paolo
Monti, che spesso nelle sue immagini dei centri storici esclude i
brani della citt moderna, che non gli interessa. E analogamente
sono strumenti del progetto il ripetere, il ribadire, ad esempio con
le sequenze di oggetti, di forme; mettere in primo piano o sullo
sfondo; usare la luce in modo enfatico o deprimente; sfuocare,
contrastare poco o molto cosa che d ovviamente risalto e
valore diversi alle architetture, agli oggetti. E ancora: ammettere le
persone o escluderle. Fotografare le persone come se il fotografo
non fosse visto, o al contrario lasciare che le persone si mettano
in posa e guardino il fotografo, dichiarino che sanno che sono
personaggi e non (solo) soggetti sociali. Si pu percepire anche il
grado di vicinanza o distacco del fotografo rispetto ai luoghi, alle
cose, alle persone, lo si capisce molto bene dal tipo di fotografia,
se rubata o a posa lunga, se presa da un luogo elevato, evidente,
o da un luogo riparato e nascosto.
Tutto questo la dice lunga sul significato che il fotografo d a ci
che raffigura: quanto affetto e quanta condivisione si percepiscono
dallimmagine, o al contrario quanto disagio, che tipo di distanza.
Anche questi sono ingredienti che la disciplina urbanistica e il
progetto urbano possono utilizzare, perch esprimono lattuale
stato dei luoghi, la considerazione sociale, politica, estetica di cui
godono presso la popolazione. Attraverso la fotografia i luoghi
ci possono dire quanto essi sono assorbiti dalle coscienze, dai
cittadini, e dunque dalla citt stessa nel proprio corpo. E poi c
sempre il gesto pi radicale, a dimostrare quanto sia poco neutrale
limmagine fotografica: decidere di non mostrare qualcosa,
relegare una immagine possibile nel mondo di quelle mai nate
significa escludere i significati di cui essa potrebbe essere
portatrice allinterno della lunga prassi del progetto, nel senso
polisemico e poli-procedurale che vogliamo qui considerare. Che
comprende tanti momenti in successione o in compresenza: il
momento in cui una questione sul territorio viene sentita come
un problema da risolvere o una risorsa da valorizzare (da parte
di qualcuno, o dalla collettivit); la riflessione che ne consegue,
nelle sue varie tappe e modalit disciplinari e professionali;
la discussione, la definizione di scelte e strategie; lapproccio
progettuale vero e proprio, inteso come messa in campo delle
tecniche di progetto; le fasi partecipative, quelle approvative,
lapertura dei cantieri, la realizzazione, il collaudo, la presa di
possesso da parte dei fruitori, la gestione effettiva, e via via anche
lo sfruttamento, il deperimento, la distruzione ovvero il recupero-
ristrutturazione-trasformazione. In tutte queste fasi la fotografia
pu essere chiamata a monitorare, e il suo monitoraggio influenza
le scelte e dalle scelte influenzato, in un bottom-down continuo.
Ogni fotografia di paesaggio urbano la documentazione di un
momento di questi processi da parte di un operatore certamente
22
non inconsapevole e comunque orientato in modo preciso.
C poi il significato che losservatore attribuisce a ci che
raffigurato. La stessa immagine pu essere interpretata come
denuncia di qualcosa di sbagliato o accettazione pura e semplice
dello stato delle cose. La fotografia di paesaggio urbano pu
esser vista ad esempio dalla parte dei fotografi e dalla parte degli
urbanisti, non necessariamente i due punti di vista coincidono.
Vista dalla parte degli urbanisti, assume forza, rilievo e importanza
la fotografia che contiene uno sguardo progettuale. Non
19. Armando Salas Portugal, Cuadra
necessariamente la cosa ha la stessa importanza per i fotografi, San Cristobl, Los Clubes, 1966-68 (Luis
che spesso hanno invece accentuato la componente concettuale Barragan)
priva di progettualit e piena invece di constatazione, di riflessione
sullo stato di fatto. E evidente che le due cose sono diversissime,
perfino contrastanti, quasi opposte. O almeno possono sembrarlo.

5. Urbanistica contro architettura.


Una domanda ricorre frequente, leggendo la letteratura sulla
fotografia, visitando le mostre e i musei, sfogliando le riviste,
partecipando ai convegni e alle giornate di studio. La fotografia di
architettura e quella di urbanistica sono cose diverse? Coincidono?
E una domanda che si basa su considerazioni svolte fin dagli
inizi degli anni Settanta [Zannier 1969]. Ci si accorge gi allora che 20. Julius Shulman, Kaufmann House,
la fotografia di architettura spesso congelata in un omaggio 1947 (Richard Neutra)
rituale allarchitetto, invece di cercare una propria autonomia
interpretativa. Esercitare la critica naturalmente possibile sia
con gli scritti che con la ricerca visiva, questa e quelli hanno gli
stessi diritti e le stesse potenzialit. Ma lo sguardo fotografico
deve essere autonomo e documentato, puntare a qualcosa di pi
che non alla semplice rappresentazione dellidentit delloggetto
architettonico. Questo pu essere forse sufficiente nel caso
di vaste campagne di censimento che riguardano un grande
numero di edifici, ma non per raccontare una singola opera e i
suoi caratteri.
Se la fotografia di paesaggio gode oggi di molto prestigio e 21. Guido Guidi, Gipsoteca canoviana a
Possagno, 1996 (Carlo Scarpa)
popolarit, non altrettanto si pu dire delle discipline che si
occupano di studiare e governare il territorio. Quasi sempre la
costruzione di un edificio viene vista come alterazione del luogo
preesistente. E in effetti lo . Ma il giudizio che oggi si tende a
dare generalmente di segno negativo. Se c oggi un rapporto in
crisi, sembra infatti proprio quello tra architettura e paesaggio, dal
momento che ogni nuova costruzione viene in genere considerata
come male assorbita da qualsiasi contesto ambientale.
Anni fa, diciamo negli anni Settanta e Ottanta, si sarebbe detto
che le relazioni logorate erano tra architettura e urbanistica.
Il piano urbanistico non stato in grado di armonizzare le due
discipline. Luniversit nemmeno, e dunque gli architetti neppure,
non esistendo un mestiere che comprende le due differenti attivit
progettuali, se non per effetto di percorsi seguiti individualmente
dai singoli professionisti nella propria carriera. Men che meno gli
enti territoriali: le Regioni hanno programmi scoordinati (casa,
infrastrutture, paesaggio, territorio) e il piano territoriale di livello
regionale quasi sempre solo un palinsesto macroeconomico. I
concorsi di architettura avrebbero potuto servire a qualcosa, per
connettere le due visioni disciplinari; ma se ne fanno pochi e quelli
che si fanno non si attuano che raramente. E cos, uno dei legami
23
possibili tra le due discipline in dichiarata crisi relazionale proprio
la fotografia, intesa nelle sue accezioni pi ricche, e dunque nel
pieno delle sue molte potenzialit: di documentazione storico-
critica, di ricerca visiva, e perfino di indagine pre-progettuale.
La fotografia classica di architettura resta un po ai margini di
questi ragionamenti, se si intende parlare di quel tipo di immagini
prodotto per le riviste di settore e per le pubblicazioni monografiche
sul lavoro degli architetti. Di solito questo un modo di fotografare
22. Paolo Rosselli, Usera Library
che si concentra sul singolo edificio, spesso sui suoi dettagli, e (Abalos-Herreros), Madrid 2004
che dunque non si pone lobiettivo di relazionare larchitettura al
proprio contesto urbano. La relazione in questo caso soprattutto
tra fotografo e architetto.
Lamericano Robert Adams parla di trasparenza stilistica,
definendo cos lobiettivo di questo tipo di fotografia di architettura,
come se il fotografo non dovesse mostrare di esserci, le persone
nemmeno, ma solo larchitettura, come qualche cosa di astratto,
una composizione un po misteriosa di luce, ombra, piani, colori,
volumi. Se una buona fotografia di paesaggio costituita di una
combinazione sapiente di tre fattori - geografia, autobiografia,
metafora [Adams, 1995] -, viene da dire che la fotografia di
architettura tradizionalmente intesa quella delle riviste, salvo
poche eccezioni mescola male gli ingredienti: c solo metafora,
poca autobiografia, pochissima geografia. Adams riconosce che
la bellezza , almeno in parte, sempre legata al soggetto. E
unammissione molto onesta e pericolosa per un fotografo.
Bisogna vedere quanto misura quella parte, perch se grande,
si riduce di molto labilit da riconoscere allautore.
Le coppie costituite da architetti e fotografi interpreti delle loro
opere sono molte e numerose: Le Corbusier e Lucien Herv
(fotografo anche di Aalto e Tange), Richard Neutra e Julius
Shulman (fotografo anche di Schindler e Eames), Luis Barragan
e Armando Salas Portugal, Gi Ponti e Giorgio Casali; pi vicini
a noi, Luigi Ghirri e Aldo Rossi, o Guido Guidi e Carlo Scarpa.
Di queste foto si pu dire, tuttal pi, che mostrano come in casi
eccellenti la stessa architettura da sola possa diventare paesaggio,
per la propria forza espressiva e le proprie qualit compositive.
Ma la ricerca di relazioni tra larchitettura e il suo intorno urbano o
territoriale non lo scopo principale delle inquadrature.
Paolo Costantini, storico e critico della fotografia prematuramente
scomparso, sosteneva che esistono la fotografia e larchitettura,
non la fotografia di architettura; e Mimmo Jodice, uno dei pi
importanti fotografi italiani, dice che la fotografia di architettura
appartiene al fotografo, mentre larchitettura appartiene
allarchitetto. In entrambe queste affermazioni vagamente
lapalissiane ben presente la delimitazione di campi diversi e
separati, il cui dialogo si attua occasionalmente, grazie a quel
fotografo, o a quella fotografia.
In un certo senso la fotografia si pone di fronte allarchitettura in
modo tautologico, sembra voler solo ribadire: ribadire il disegno,
ridisegnando a chiaroscuro un prospetto o una prospettiva, anche
di interni. Essendo per tradizione privilegiato il bianco e nero, a
maggior ragione si notano il disegno, le linee, la forma, lastrazione.
Questo tipo di fotografia sembra voler fornire unicamente
lidentit dellarchitettura, certifica il lavoro dellarchitetto, ma non
lo inserisce nel sociale, nel vissuto, spesso nemmeno nella citt.
24
Tra fotografia e architettura nato fin dalle origini un rapporto molto
pi semplice e piano di quello tra fotografia e arte. In primo luogo,
il fotografo-architetto un abbinamento pi precoce (e frequente)
di quello fotografo-artista, e poi larchitettura esente da quella
forma di gelosia che c stata sin dalla met dellOttocento tra
pittura e fotografia. Anzi, sembra esistere una collaborazione
quasi servile della fotografia allarchitettura, nel celebrarne i fasti
sulle riviste con immagini estetizzanti e prive di rapporti con la
realt quotidiana (niente oggetti in disordine come quelli che
si vedono quotidianamente nelle case o nei luoghi frequentati,
nessun utente, nessun particolare che possa richiamare rumori,
odori, disagi fruitivi di qualsiasi natura, come puntualmente
avviene nellesperienza urbana reale); cos come a volte la
stessa architettura sembra voler ricercare preventivamente la
fotogenicit, facendone in modo vezzoso un requisito del progetto.
Gabriele Basilico e Giorgio Casali sono i principali autori delle
fotografie su Domus; Luigi Ghirri, Giovanni Chiaramonte e
Paolo Rosselli come autori della rivista Lotus diretta da Pierluigi
Nicolin. Italo Zannier ha definito il committente della fotografia di
architettura come narcisista, e questa una critica senza mezzi
termini alle finalit della foto di architettura, alla sua capacit
critica e alla sua utilit ermeneutica.
Tra gli urbanisti italiani, Italo Insolera fu tra i primi a relazionare
luso della fotografia alla critica architettonica. In questo
modo limmagine fotografica non soltanto rappresentazione
delloggetto costruito, ma anche interpretazione, e soprattutto
modo di contestualizzare larchitettura allambiente e al fruitore,
superando quei limiti che il disegno non pu superare [Insolera,
1956]. Al contrario, Bruno Zevi [Zevi, 1951] considerava che la
fotografia fosse inadatta non soltanto a rendere percepibile
la tridimensionalit architettonica, ma soprattutto la spazialit
volumetrica dellarchitettura, che invece il cinema poteva rendere
al meglio, con la sua capacit di rendere il movimento e il punto di
vista dellutilizzatore. E indubbio, tuttavia, che grazie ai grandi
fotografi di architettura, come Julius Shulman o Lucien Herv,
che le opere di grandi maestri come Neutra e Le Corbusier sono
state rese note al pubblico, che in larga misura le ha conosciute
soltanto per il tramite delle immagini fotografiche.
Kenneth Frampton [Frampton, 1982] sottolinea il ruolo cruciale
svolto dal fotografo Nigel Henderson nel formare la sensibilit e
dunque anche nellorientare il lavoro degli architetti Alison e Peter
Smithson. Le sue immagini delle strade londinesi, della realt
fisica e sociale dellEast End e della comunit di Bethnal Green
contribuirono, secondo Frampton, alla formazione dei concetti
come quello di identit su cui gli Smithson fondarono molto del
loro lavoro a partire dagli anni Cinquanta.

6. La fotografia uno strumento, non la soluzione.


Semplificando al massimo, ci sono due modi per trattare di
fotografia: considerandola come arte o come pratica sociale [Marra,
2001]. Questo lavoro prende in esame soprattutto la fotografia nei
suoi rapporti con larte e larchitettura, perch intende metterne
in luce le capacit interpretative, mentre la seconda accezione
mette laccento sul piano dellutilit: la fotografia utile per la notizia
giornalistica, per il messaggio pubblicitario, per la memoria e
25
la solennizzazione degli eventi di famiglia. Questultima una
fotografia che tende ad esaurirsi in s, nel motivo per cui
stata prodotta, non ambisce a provocare riflessioni, conoscenze
teoriche, n tanto meno ha effetti creativi, progettuali conseguenti
ai concetti che fa scaturire.
La stessa fotografia professionale degli architetti e degli urbanisti,
che infatti pu stare in questa secondo modo dintendere la
fotografia, risponde quasi sempre a precisi motivi di utilit:
censimenti e descrizioni di oggetti, edifici, luoghi, elenchi
e confronto di casi, memorizzazioni, appunti, misurazioni
speditive. Molti dei testi che parlano delluso della fotografia nella
progettazione architettonica e urbanistica ne danno una lettura
riduttiva di questo tipo, una lettura strumentale, fino a considerarla
nel suo ruolo di documento visivo per attivit specialistiche come
il restauro degli edifici [Fanelli, 2009].
La prassi fotografica costituita da un piano tecnico-materiale
nella fotografia analogica, la carta, i pigmenti, ecc.; in quella
digitale, tutta la fase della post-produzione - e da un un
piano descrittivo, costruito attraverso la scelta del punto di
osservazione, linquadratura, la scelta del momento dello scatto,
ecc. Diversamente dalla pittura, dove il pittore costruisce una
immagine sul quadro bianco, il fotografo sceglie una immagine
dalla realt [Shore, 2009]. Questo non significa che quel che si
vede nella fotografia sia la realt in quanto tale. E naturalmente
uninterpretazione della realt, visto che la soggettivit del
fotografo si esprime appunto e in modo determinante nella
scelta del punto di vista da cui raffigurarla. Per giunta, non
affatto detto che il fotografo si accorga di tutto ci che compare
potremmo dire che esiste? - nella sua inquadratura, dato che
alcuni particolari e alcuni significati possono prescindere dalla
sua volont. La lettura che ne fa il fruitore ha una importanza
determinante: il piano mentale di noi osservatori, che vediamo e
ci emozioniamo-riflettiamo su ci che vediamo, pu aggiungere
significati. Una foto pu vivere di combinazioni diverse di questi
piani, ad esempio pu avere un profondo piano descrittivo
e un limitato piano mentale, o al contrario predeterminare al
minimo limpressione dellosservatore, che libero di allargarla
sconfinatamente.
In questo studio si considera la fotografia non in senso documentario
o puramente descrittivo del paesaggio, ma soprattutto nella sua
funzione interpretativa, cercando anzi di sottolinearne al massimo
lefficacia e gli effetti possibili sul pubblico e sul sistema di persone
e soggetti in cui maturano le decisioni progettuali sulla citt.
La funzione documentativa della fotografia particolarmente
legata alle immagini fotografiche esistenti negli archivi, siano
essi pubblici o privati, e in questo secondo caso sia aziendali
che familiari. Si tratta spesso di immagini prodotte con finalit
diverse da quelle con cui vengono successivamente interpretate
e utilizzate al momento in cui vengono riscoperte e sottratte al
loro silenzio. Da documento che erano, esse diventano senzaltro
strumento di indagine sul reale, e in questo caso molto evidente
che il piano mentale di chi osserva talmente predominante da
sopraffare e cancellare quello descrittivo che ha guidato allorigine
lo scatto.
Il rapporto tra la fotografia e i mutamenti del territorio avvenuti
26
nel passaggio dalla fase industriale a quella postindustriale sono
stati spesso indagati attraverso esempi di committenza pubblica,
considerata nella sua funzione di motore per la progettualit dei
fotografi e la trasformazione dei linguaggi. Le istituzioni pubbliche
che hanno affidato incarichi di survey fotografico per ragioni
legate alla necessit di conoscenza di determinati fenomeni sul
territorio, hanno dato risalto alla possibile natura documentaria
della fotografia, richiedendo ai fotografi un documento visivo
in grado di misurare, pi che di rappresentare o interpretare. I
fenomeni oggetto di queste campagne venivano registrati, come
se il mezzo fotografico consistesse soltanto in una operazione
tecnica, priva di ogni soggettivit. Difficilmente queste fotografie,
anche se viste nella loro consistenza finale pi tipica, quella della
serie, del mucchio, possono dare ispirazioni di tipo progettuale,
ideativo, salvo per quanto attiene alle questioni quantitative,
numeriche che esse per natura possono benissimo riportare.
Linteresse crescente dellurbanistica per la descrizione
percepibile anche nella legislazione promulgata nellultimo
decennio da Regioni come lEmilia-Romagna, la Toscana, la
Liguria. Viene codificata lindispensabilit del quadro conoscitivo
come condizione di partenza per il piano urbanistico, a qualsiasi
livello territoriale, comunale come provinciale e regionale. E un
fatto importante, che si sia data importanza alle fonti visive. E
importante che si riconosca che a le fonti influenzano gli sviluppi
del ragionamento, se cambiano le fonti cambia lapproccio,
e dunque cambia per conseguenza il progetto. La fotografia
documenta le forme del territorio.
Zannier puntualizza bene entro quali limiti si pu parlare di
fotografia documentaria. Documento termine non certo inteso
nel suo valore limitativo; documentare significa aderire alla realt,
attraverso la verit dei propri sentimenti e di una intuizione visiva
suggerita dalla esteriorit dei fatti. Un documento presume
sempre uninterpretazione; anzi esso sar tanto pi valido e
genuino e credibile, quanto pi sar il frutto di una intelligente
e sensibile interpretazione. Documentare non significa quindi
riprodurre, ma semmai rappresentare, con stimoli culturali
necessariamente soggettivi e potenzialmente espressivi [Zannier,
1969]. Ci nonostante, quando siano prodotte sulla base di richieste
orientate alla pura catalogazione, molte foto di architettura si
riducono ad essere delle fototessera, come lo il ritratto del
portatore della carta didentit: si tratta in questo caso di una
riduzione della fotografia a una funzione puramente artigianale,
priva di ogni problematica culturale.
In molti casi, soprattutto dagli anni Settanta ad oggi, i fotografi
si sono comportati come autori, alla stregua di ogni altro
artista, proponendo con le loro opere delle rappresentazioni del
paesaggio, dove la soggettivit connessa alla propria cultura
e alla propria ideologia ha uno spazio pressoch assoluto. In
questo caso la fotografia pu entrare come le altre arti nella
determinazione del sentimento collettivo dei luoghi, realizzando
immagini di alto valore simbolico. La funzione rappresentativa
tende tuttavia a presentare la realt dei luoghi in modo deformato,
attraverso codici retorici di tipo drammatico o sublime, caricando
certe componenti e certi aspetti e cancellandone o mettendone in
ombra altri, in una modalit di tipo teatrale. 23. Lewis Baltz, Tract House, # 4, 1971

27
Il tipo di approccio che sembra pi produttivo per istituire relazioni
tra la fotografia e le discipline del territorio quello di tipo
interpretativo. Secondo questo stile, il fotografo prima di scattare
si dota di strumenti conoscitivi sui luoghi, effettua sopralluoghi,
dialoga con esperti delle altre discipline, possibilmente torna pi
volte e in momenti diversi ad accostarsi agli oggetti da riprendere.
La metafora che si lega meglio a questo modo di procedere
quella dello sguardo lento [Basilico, 2007] e il prodotto di questo modo
di operare quello pi efficace e produttivo non solo per le finalit
di conoscenza degli oggetti e dei luoghi, ma anche per lo sviluppo
delle riflessioni di tipo progettuale e trasformativo, poich molto
spesso le fotografie cos realizzate restituiscono allosservatore
la dose di informazioni rielaborate che hanno preparato e
preceduto lo scatto.
Quanto al lavoro dei fotografi sul paesaggio, lamericano Lewis
Baltz sostiene che essi, osservando la realt producono
figure e traducono il mondo in immagini attraverso un codice di
rappresentazione. Lavorano dunque alla rifondazione estetica
di un paesaggio esteticamente povero, sconnesso, incoerente
[Valtorta, 2005]. Questo passo contiene in nuce il concetto di
fotografia progettuale cui sopra si accennato. Baltz aggiunge
anche la nozione di futuro come attinente allo sguardo fotografico
(ponendosi agli antipodi del pensiero di Barthes), e naturalmente
il futuro lelemento primario di ogni prassi progettuale. Scrive
infatti che i fotografi raccontano, con buon anticipo, una storia
futura, individuando paesaggi-limite, oggi emblematici presagi di
una crisi estrema del volto del mondo, domani forse immagini
quotidiane. In questo caso, i fotografi pi che documentatori della
realt sono visionari, inventori di nuove finzioni.
Se dunque nella pratica architettonica contemporanea, cos come
nel campo dellanalisi urbana, il mezzo fotografico in genere
relegato al rilievo del luogo, alla sua funzione utilitaria e prosaica,
sembra invece interessante portare uno sguardo pi approfondito
sulla possibilit di fondare - o almeno promuovere - una pratica
che consiste nel trascrivere in una immagine bidimensionale la
percezione fisica che si pu avere di uno spazio. Non privo di
implicazioni fondare una pratica di progetto sulla registrazione e
la fabbricazione di una realt attraverso un insieme di immagini
fotografiche. Il modo come limmagine fotografica pu costituire
la sorgente di una dinamica della fiction o di un principio di
composizione merita considerazione, ed appunto in questo
campo che ci si vuole addentrare.
Prima di farlo, ci sembra utile ricordare quali siano stati, nel
Novecento, i sentimenti pi comuni nella percezione della citt,
linsieme di valori simbolici con cui la fotografia urbana si
confrontata.

28
2. IDEE DI CITTA DEL NOVECENTO

1. Limmagine della citt contemporanea.


Le citt sono insediamenti umani estesi e fortemente popolati,
ma soprattutto caratterizzati da unalta densit di popolazione.
Nella cultura europea una delle loro caratteristiche principali la
continuit dellinsediamento in quel sito, e dunque la presenza di
un centro, per lo pi storico. Di norma vi si concentra la maggior
parte delle attivit umane, praticamente tutte ad esclusione
dellagricoltura: abitazioni, industria, turismo, commercio,
educazione, politica, cultura. Sono il luogo di sviluppo delle idee e
dei conflitti, dellincontro e dello scontro.
Negli ultimi decenni, anche grazie a committenze pubbliche, le
relazioni tra fotografia e architettura, paesaggio, urbanistica si
sono intensificate. Ma come si valuta e si riconosce la qualit
intrinseca delle immagini fotografiche in relazione alla cultura
urbana e al suo sviluppo? Dal momento che la nostra cultura
sempre pi audiovisuale, si pu sostenere che esiste uninfluenza
della fotografia sullurbanistica, cos come per esempio la
cultura cinematografica e la comunicazione hanno influenzato
larchitettura?
La descrizione visiva del fenomeno urbano una costante che
attraversa larte di tutti i secoli, ma certamente il mezzo fotografico,
per la sua larga diffusione e riproducibilit tra gli interpreti pi
incisivi dei caratteri delle citt. Nelle fotografie non ci sono molte
cose: per esempio non vediamo i confini amministrativi, non
leggiamo il numero degli abitanti n i loro orientamenti politici, ma
in compenso - se parliamo di fotografie dautore, ma a volte anche
nella inconsapevole precisione degli scatti anonimi o qualunque
- sono presenti molte cose che non si possono trovare nei testi,
nei grafici e nei disegni tecnici. In primo luogo la percezione del
paesaggio, inteso come configurazione di spazi e volumi, ma
anche come relazioni tra questi e le persone; in nuce, si possono
cogliere anche delle indicazioni per il progetto urbano, per esempio
attraverso la osservazione ravvicinata di pratiche spontanee che
sono indizi di una domanda di trasformazione. Ma pi in generale
il germe del progetto pu essere percepibile quando la fotografia
in grado di cogliere quel sentimento del futuro, della potenzialit
del futuro, dello schiudersi costante di momenti nuovi e inattesi,
che forse il sentimento pi tipico della citt.
Quando si occupa di paesaggio urbano, la fotografia porta il
proprio cospicuo contributo a formare una coscienza collettiva
della citt, fornendo gli elementi visivi che dovranno combinarsi
con le altre percezioni, odori, rumori, sensazioni di vario tipo,
quelli che il geografo Eugenio Turri definiva gli iconemi della citt
contemporanea, congegni della nostra rappresentazione logica
e funzionale del paesaggio [Turri, 2001]. Naturalmente essi sono
in larga misura contenuti nel messaggio visivo consegnatoci
dagli autori dellopera (fotografia, nel caso che qui esaminiamo,
ma ovviamente anche pittura, disegno, cinema, ecc.), ma
almeno altrettanto dipendono dalla cultura e dalla sensibilit
29
dellosservatore.
La percezione della citt come si formata negli ultimi quattro
decenni si basa su iconemi che provengono anche da molto
lontano e si radicano nella cultura soprattutto europea. Lidea di
citt-Babele tra le pi antiche ma anche tra le pi persistenti e
contemporanee: quando, nel testo della Bibbia, spunta un nome
di citt, esso vi risveglia in generale delle connotazioni malefiche:
Sodoma, Gomorra, Ninive, Gerusalemme lInfedele. Simbolizzata,
nei profeti, da Babele/Babilonia, la citt si contrappone a ci che
fu il paradiso [Zumthor, 1998].
Secondo Maupassant, la torre Eiffel che stava in quella fine del
secolo diciannovesimo diventando il simbolo di Parigi e dellintera
Francia si accostava proprio alla Torre di Babele, in un giudizio
fortemente critico. Era come se gli altri monumenti di Parigi fossero
umiliati dalla costruzione di quel mostro di ferro. Maupassant fu
smentito dallenorme e crescente successo delledificio, ed
noto che per non vederlo egli fosse costretto a frequentarlo molto
spesso, pranzando al ristorante nella torre.
Il carattere primario della citt lo troviamo in tutte le epoche nel
suo limite, sia quando esso espresso nei confini - a loro volta
definiti dalle mura - , sia quando coma accade oggi lamentiamo
la sua perdita. Avere un centro riconoscibile e metaforicamente
assimilabile al cuore, laltro elemento di tipicit della citt
europea. Il modello della megalopoli americana, New York, fa a
pezzi questa concezione. Si perde per sempre la capacit figurale
[Assunto, 1983] degli elementi della forma urbis classica. Come
accade invece in modo ben evidente nella piazza del Campo di
Siena, la cui planimetria raffigura il mantello della Misericordia,
protettivo per tutta la comunit. Lo stesso significato simbolico ha
linsieme delle ruskiniane pietre di Venezia, con le forme di volta
in volta aggraziate o stravaganti che secondo il teorico inglese
esse assumono nelle principali architetture urbane.
Leon Battista Alberti lodava la variet tipica della scena urbana
come il fondamento dellarmonia, secondo il detto latino varietas
delectat. Su questo fondamento si basa lestetica rinascimentale
della citt come opera darte, concetto ripreso in modi diversi ma

24. Olivo Barbieri, Italia in miniatura, 1998

30
affini da Cartesio, Bacone, Leibnitz, con i valori di geometria,
tecnica e grazia. Al contrario, la variet, per gran parte della
sensibilit contemporanea, si lega a idee di conflitto, instabilit,
non pi di integrazione e piacevolezza. Il funzionalismo, secondo
alcuni teorici della citt bella [Cervellati, 2000; Romano, 2008] colpevole
di questo distacco tra forma e funzione, che nemmeno le rinnovate
letture iconiche nella seconda parte del Novecento (di Lynch e
Cullen, ad esempio) hanno saputo ricomporre adeguatamente.
Tanto vero che Jane Jacobs, nel suo celeberrimo Vita e morte
delle grandi citt, la cui prima edizione del 1961, certific la 25. Luigi Ghirri, Fidenza, 1985
morte della citt come opera darte di derivazione rinascimentale.
Non diversamente, in un suo celebre libro del 1965, Il feticcio
urbano, Alexander Mitscherlich si faceva tardo interprete del
tramonto della citt moderna e delle sue concezioni, parlando
di una citt inabitabile istigatrice di discordia (come recita il
sottotitolo). Lagglomerazione, la moltitudine che la protagonista
de La ribellione delle masse del filosofo spagnolo Ortega y Gasset,
abita la megalopoli meccanizzata, standardizzata, completamente
disumanizzata descritta da Lewis Mumford nei capitoli finali del
suo La citt nella storia (ledizione italiana del 1964). Insomma,
il meccanismo della citt moderna ha distrutto lanima della citt 26. Luigi Ghirri, Parma, 1984
antica, secondo le rispettive definizioni di Le Corbusier e di Rilke
che Assunto riprende accentuando un po forzatamente i significati
oppositivi di concetti nati autonomamente luno dallaltro.

2. Endell e la bellezza della metropoli.


Eppure ricco, sin dagli inizi del secolo XX, il filone di valorizzazione
della metropoli e della sua bellezza, nei disegni di Antonio SantElia
e di Eugene Henard, nei film di Fritz Lang, negli scritti di alcuni
filosofi. Tra questi, August Endell (1871-1925), architetto e teorico
tedesco, noto soprattutto come autore dellatelier fotografico
Elvira, realizzato a Monaco nel 1898 e successivamente andato
distrutto. Ledificio stato il manifesto delle teorie dellautore, uno
dei pi noti architetti dello Jugendstil, che deve molta della sua
fama allacuto disprezzo che Adolf Hitler gli portava.
Nel 1908 Endell scrisse un libro, Bellezza della metropoli, che
esalta il paesaggio urbano contemporaneo come immagine della
vita nel presente, contrapposta alle fughe idealistiche verso il
passato. Endell sostiene che lamore appassionato per la propria
epoca e la propria terra lunico fondamento di ogni Kultur,
poich quanto pi luomo vive il suo tempo e partecipa in modo
totale e convinto alle attivit del suo paese, tanto maggiore sar
il suo sentimento della patria. Su questa idea di fondo costruisce
unepopea della vita nella collettivit urbana, considerata bella
proprio perch viene equiparata essa stessa a un essere che
lavora. Unestetica del lavoro che nobilita lo spazio fisico entro
il quale il lavoro si svolge. La posizione di Endell non consiste
nel giustificare ad ogni costo e contro ogni evidenza anche i
difetti della vita urbana. Egli arriva a riconoscere che la metropoli
raccoglie in un orrido caos, a disprezzo di ogni buon sentimento,
una squallida ricerca del piacere, un fretta nevrotica, e che si
pu disprezzare la bruttezza della citt, i suoi rumori, la sua
sporcizia, le sue buie case, la sua aria pesante e malsana [Endell,
1908]. Queste parole ci mostrano in fondo come le argomentazioni
odierne degli anti-urbanisti siano princpi ribaditi quasi identici
31
da quasi un secolo, e dunque non sono teorie particolarmente
innovative. Ma non questo il carattere pi sorprendente delle
argomentazioni di Endell, quanto ci che ne fa seguire: Si pu
certo ritenere un traguardo degno di sforzo cancellare le citt
dalla faccia della terra. Ma esse ora esistono e devono esistere,
a meno che non si voglia distruggere tutta la nostra economia.
Centinaia di migliaia di persone devono vivere nelle citt, e invece
che inculcare loro una malsana e disperata nostalgia, sarebbe pi
saggio insegnare ad osservare realmente le citt, per attingervi
pi forza e pi gioia che sia possibile.
Ci che caratterizza e rende originale e molto attuale - il punto
di vista di Endell e lo differenzia dalle molte critiche allambiente
urbano di origine engelsiana e marxista (giunte di fatto quasi
indenni fino ai nostri giorni, nelle interpretazioni della sinistra
radicale), proprio questo invito ad agire sulla comunicazione
dei valori positivi che pure esistono nella citt contemporanea,
facendone un antidoto alla lamentazione sterile e piagnona, e
come spinta verso una visione positiva, di miglioramento.
Questa educazione alla percezione, di tipo provocatorio ma
originale, attraversa tutto il secolo, transitando una ventina di anni
dopo nel sentimento delle immagini di citt che Walter Benjamin
descrive negli anni dal 1925 al 1930. E di qui viene fino a noi,
mantenendo intatto il desiderio di ricerca, di curiosit che anima
tuttora chi crede nella forza creativa e antagonista di valori come
linstabilit, la dissonanza, la frammentariet. E una modalit
percettiva dei caratteri urbani che raggiunge fotografi come Luigi
Ghirri, in modo diretto e attraverso la conoscenza che Ghirri
ha della fotografia del Novecento. La fotografia naturalmente
portata a raccogliere il testimone della sfida endelliana, proprio
perch tutto ci che sta dentro una fotografia assume un valore
estetico, viene sacralizzato, idoneo a fare da commento visivo
alla convinzione espressa da Benjamin che ogni citt bella.
Proprio in quanto esiste, e solo per questo.
Se prendiamo le immagini di citt descritte da Benjamin, troviamo
molti elementi che restano validi anche pi di ottanta anni dopo,
nonostante le enormi trasformazioni tecniche e sociali. La stazione
come luogo dove la citt inizia ad offrirsi, le insegne luminose...
ma soprattutto i cento confini e la loro mutevolezza, le variabili
relazioni tra centro e periferia, che ancora oggi si sentono, si
vivono e non si comprendono quasi affatto. I bambini e i ragazzi
da osservare come modo per introdursi in una citt, i mendicanti,
e ovviamente i luoghi principali, i musei e il giardino zoologico, i
monumenti, i mercati, ma anche i colori e i rumori, e ancor di pi
quel sentimento cos tipico di Benjamin, il sentimento del futuro,
della potenzialit del futuro, dello schiudersi costante di momenti
nuovi e inattesi, che forse il sentimento pi tipico della citt
[Benjamin, 2007].

3. Catastrofe o fiducia.
C qualcosa per che nel corso di alcuni decenni capovolge
radicalmente questi sentimenti affettuosi e ottimistici nei confronti
della citt. La catastrofe bellica spinge a una frettolosa e impulsiva
ricostruzione, che porta in s tracce evidenti di questa affezione.
Ma le cose stanno cambiando, come spiega lo storico inglese
Arnold Joseph Toynbee nel suo Cities on the move [Toynbee, 1972],
32
la cui edizione originale, del 1970, esce proprio negli anni cruciali
del passaggio alla post-modernit.
Il movimento che cita Toynbee nel titolo del libro sarebbe secondo
lautore la caratteristica con cui le citt nel dopoguerra cominciano
a occupare il territorio (una specie di prefigurazione precoce dello
sprawl urbano di cui tanto si parlato negli anni successivi).
Questo muoversi delle citt sarebbe apparso impensabile alla
fine del Settecento, nellet pre-industriale. Toynbee lo considera
come una sorta di ripresa del nomadismo, tre o quattromila
anni dopo le orde dei pastori in marcia descritte nel vecchio
Testamento e distrutte dalle popolazioni sedentarie. Una ripresa
che caratterizza le citt dallOttocento in poi, nello sbigottimento
dei suoi abitanti, increduli al vedere la citt mettersi in marcia
come lo shakespeariano bosco di Dunsinane, e sconfinare
oltre le proprie mura di cinta. Le citt diventano mobili, anche
se ci sembra ancor pi paradossale perch avviene grazie al
proliferare di quelli che da sempre vengono chiamati al contrario
beni immobili. Avvenimenti epocali che Toynbee gi allora
riconosce come frutto dello sviluppo scientifico delle tecnologie
mediche e agricole. Lumanit si consegna alla citt-mondo
perch lesplosione demografica conseguente alla maggiore
speranza di vita per le migliori condizioni alimentari e sanitarie
una questione inarrestabile e necessaria, a dispetto di tutte le
conseguenze che pu causare sul piano del consumo di risorse
vitali: non possibile regredire a forme di vita precedenti alla
meccanizzazione della societ se non a prezzo di un genocidio,
perch il sistema economico arcaico non potrebbe mantenere
che una piccolissima porzione di esseri umani.
Logicamente questa posizione appare oggi largamente superata
dalle teorie ecologiche e dai protocolli ambientali e per la
biodiversit, nonch da considerazioni ovvie sul disequilibrio
geografico e sociale dello sviluppo portato dagli eccessi deregolativi
delle societ consumiste e liberiste. E per interessante notare la
stretta connessione tra benessere e sviluppo inteso in termini di
consumo di suolo, che un fattore di scala mondiale e di portata
storica, spesso minimizzato o ignorato da interpretazioni anche

27. Vittore Fossati, Cattolica, 2003


33
28. Luigi Ghirri, dalla serie Paesaggio, immagine e realt, 1981

34
recenti di tipo radicalmente ambientalista o conservatore.
Manhattan diventa la capitale del ventesimo secolo, come Parigi
lo stata del diciannovesimo. Se Walter Benjamin stato il
cantore di Parigi, il teorico del manhattanismo ovviamente Rem
Koolhaas, che nel suo Delirious New York indica nella iperdensit
lo splendore e la miseria della condizione metropolitana, e nella
cultura della congestione lideologia urbana che ne deriva.
Con una intuizione da storico, Koolhaas ha capito che Manhattan
stata dal 1890 al 1940 il luogo di unoperazione che merita
di essere definita davanguardia, ma che doveva trovar modo
di compiersi per tuttaltra via rispetto a quelle aperte dalle
avanguardie europee: a cominciare dal fatto che questopera
non implicava n lesistenza di unavanguardia consapevole e
organizzata n la pubblicazione di alcun manifesto collettivo
[Damisch, 1998]. Era la citt stessa che, semplicemente crescendo,
si imponeva allimmaginario collettivo di un intero secolo e
di tutto il mondo, cristallizzando lidea di modernit nelle sue
forme. Selvagge, sublimi ed atroci, secondo le parole che us
nel 1935 un Le Corbusier sconcertato e forse perfino irritato di
non trovare conferma, in questa citt, del suo dogma secondo
cui non poteva esistere una nuova architettura senza una nuova
urbanistica: ecco che nel reticolo rigido disegnato da Olmsted, qui
trasferito senza modificare affatto gli schemi tardo antichi, si era
sviluppata la titanica mineralogia del grattacielo. Congestione,
bigness, labirinto, cancellazione della natura: i caratteri salienti del
paesaggio urbano moderno tra cui anche un tocco di narcisismo,
il narcisismo della citt che osserva le sue forme riflettendosi nelle
pareti a specchio dei suoi grattacieli - provengono da Manhattan
e si trasferiscono oggi senza grandi variazioni nelle megacitt
asiatiche ed africane.
Secondo il filosofo tedesco Georg Simmel (1858-1918),
lanonimato della metropoli un mezzo per liberare lo spirito, e
questa una tipicit della tradizione culturale europea, mentre
al contrario quella americana che si sviluppa negli anni sessanta
considera la citt grande come un cancro che attacca addirittura
la struttura sociale. Mumford, gi nel 1938, con la prima edizione
di Culture of Cities, parla di inferno, veleno, gigantismo informe.
Come alternativa al disagio delle metropoli, viene indicata la citt
policentrica, propugnata in modi diversi da Frank Lloyd Wright,
Ebenezer Howard, Patrick Geddes.
Sono teorie che arrivano fino ai giorni nostri, e calano direttamente
dentro i piani territoriali regionali, come ad esempio quello
dellEmilia-Romagna della met degli anni Ottanta che propugna
la citt policentrica della via Emilia. Anche per questa via
istituzionale, la citt policentrica diventa un soggetto privilegiato
della fotografia, che ne svela appunto i caratteri variati e in sostanza
infiniti: case isolate, centri storici, sobborghi e periferie amorfe,
new towns, villaggi sperduti nella campagna sono facce diverse
che compongono un oggetto disperso dai confini indefinibili e
soprattutto privo ancora di una iconografia, che i fotografi iniziano
a formare e che viene poi interpretata in modi anche opposti
dalla cultura urbanistica: come modello originale e per certi versi
virtuoso di citt-regione in grado di lasciar libero da eccessiva
densit il territorio rurale, o al contrario come informe prodotto di
un sistema di pianificazione debole e privo di regole rigide.
35
La linea di pensiero che approda oggi alla citt bella e ordinata
ha radici che vanno indietro almeno trecento anni: la metafora
cartesiana contenuta nel Discorso sul metodo, indica la citt
come immagine della chiarezza del pensiero, e soprattutto
degli effetti virtuosi del pensare di testa propria : le costruzioni
pensate e compiute da uno stesso architetto sono di solito
pi belle e ordinate di quelle che provengono da successivi
riadattamenti di costruzioni precedenti. Le vecchie citt ingrandite
progressivamente presentano un aspetto peggiore di quelle che 29. Louis Gauffier (1762-1801),
un bravo ingegnere ha ordinato a suo piacimento in una pianura. Paesaggio di tetti, Montpellier, Muse
Fabre
Ma a fianco del rigore e della chiarezza cartesiani convivono
nellimmaginario occidentale anche ben altre sensibilit, come
quella dellincompiutezza, un altro paradigma che sopravvissuto
fino alla modernit derivando dal mito della torre di Babele [Zumthor,
1998]. Babele di cui Manhattan non altro che la versione
orizzontale un crogiolo di lingue, la quintessenza della
confusione, una citt mai finita, incompiuta ma mai interrotta.
Il racconto babelico conosce solo personaggi collettivi, senza
nomi propri, e dunque appare meno insistente e drammatico, ma
30. Edward Hopper, Tetti, 1926
forse proprio per questo pi persistente e ossessivo, e radicato
nellimmaginario.

4. Dalla dispersione alla sparizione.


Alcuni studi avanzano interpretazioni che prefigurano scenari
futuri in quanto ragionevoli concatenazioni con il passato pi o
meno recente. Formulano delle idee di citt, anche verificandole
con il lessico politico-amministrativo usato nei programmi elettorali
dei sindaci e nei progetti preliminari dei piani strategici.
Lidea di citt-padrona [Fratini, 2000] si basa su concetti come la
grande quantit, la grande dimensione, la concentrazione del
potere economico, reso evidente anche visivamente dallo skyline,
costellato di emergenze in altezza, luna a superare laltra. E
chiaro che questa idea si concretizzata nel secondo Novecento
soprattutto in New York. La citt padrona contrappone il centro
(city) alla periferia (banlieue). E la versione moderna della Babele
antica, la sua scenografia tipica la dimensione monumentale,
la citt globale perennemente affannata dalla congestione
del traffico, una massa captante con un carattere fortemente
monocentrico.
Ma gli anni del Novecento sono stati attraversati anche dallidea
della citt della tecnologia, non solo nel senso della macchina ma
delle macchine (gli ascensori, ad esempio), il luogo-simbolo del
progresso che avanza e si esprime con le plug-in city degli anni
60, le citt semoventi di tanta architettura radicale, la citt-ponte
che Arata Isozaki disegn negli anni 60. La citt tecnologica
una machine habiter, un sistema intelligente che tutto sa e tutto
padroneggia, e prende corpo soprattutto nelle citt asiatiche e
mediorientali.
C poi la citt degli individualismi, una metafora di pietra e
cemento della frammentazione esistenziale contemporanea,
altrimenti detta citt diffusa, leffetto pi tipico della cultura
automobilistica che consente gli spostamenti quotidiani e
favorisce il sorgere di sterminate edificazioni monofamiliari, alla
ricerca di prezzi dei terreni pi bassi e convenienti. Il sociologo e
urbanista americano Melvin Webber studi questa conurbazione
36
estesa, definendola urban realm gi negli anni 60, descrivendo
il consumo di suolo e i relativi problemi ecologici e riferendosi
alla citt di Los Angeles. Anche Gottmann mise Los Angeles nel
novero delle sue megalopoli, la cui capostipite fu la conurbazione
del nord-est degli Stati Uniti, osservata gi a met degli anni 50,
e seguita poi da quella dei grandi laghi intorno a Detroit e da
quella giapponese Osaka-Tokyo-Kobe.
Questi scenari urbani, osservati con spirito critico, se non
decisamente negativo, trovano anche modelli di segno opposto,
pi amichevoli, ad esempio la citt dei cittadini, gi descritta nel
1975 da Roberto Guiducci e antesignana di molte delle nozioni
attualmente tornate al centro del dibattito sulle citt, come la
partecipazione, la sostenibilit, e perfino la sobriet. E la citt
dei cittadini, basata su concetti come lidentit locale, la misura
duomo, la citt da abitare, un modello che forse resta pi spesso
tale di quanto non si concretizzi, ma che indubbiamente si pone
oggi sempre pi spesso come obiettivo delle azioni di governo
urbano.
La negazione di qualunque idea di citt sembra essere il concetto
di tracce di citt, connesso alla diffusione urbana nel territorio
rurale, un concetto che come vedremo affascina molto i fotografi
post-moderni. E che deve essere relazionato con linsorgere della
tematica dellarea metropolitana, estraneo alla cultura italiana fino
alla tardiva definizione operata con la legge del 1990. Restano
infatti a lungo molto rari i riflessi metropolitani negli scritti dei
geografi, salvo limportante ma isolato caso di Lucio Gambi nella
Storia dItalia einaudiana.
E molto recente la convinzione di partire dalla volont di non
osservare i recenti fenomeni di trasformazione del territorio come
una non-citt, una non-cosa, ma piuttosto unaltra cosa, una citt
altra [Munarin-Tosi, 2001]. Si potrebbe parlare di territori abitati,
regioni entro le quali da lungo tempo si danno fenomeni insediativi
non riconducibili allimmagine tradizionale della citt (almeno cos
come questa si andata depositando nellimmaginario collettivo).
Larea metropolitana a sua volta una precisazione del termine

31. Michele Buda, Milano Marittima,


Grattacielo, 2005

37
metropoli, esteso appunto sul territorio; mentre la metropoli
conserva il carattere tradizionale di citt, larea metropolitana
costituisce un insieme spaziale dove lantica distinzione tra
citt e campagna, con le relative differenze sociali, culturali e
paesaggistiche, si scioglie in una diffusione urbana omogenea.
La diffusa difficolt a cogliere e comprendere unitariamente la
citt ha portato ormai gi da oltre un decennio a un diffuso
ricorso alle discipline di confine, non racchiuse nei propri ambiti
tecnici ma pi libere di spaziare, per esempio gli scrittori, ritenuti
capaci di sintesi pre-scientifiche e, occorre aggiungere, i fotografi
[Amendola, 1997]. Questo ha spostato per ovvia conseguenza la
descrizione dalla struttura urbana, il cui studio per lappunto
dominio delle materie della citt come lurbanistica, la geografia,
la sociologia, lantropologia, alla esperienza urbana, obiettivo
per il cui raggiungimento scrittori, fotografi, registi ed artisti sono
sicuramente pi attrezzati. Altra conseguenza indubbiamente la
minore capacit di descrivere lambiente urbano in modo unitario,
e invece la frammentazione in interpretazioni frammentarie,
episodiche, come sono le percezioni e le emozioni soggettive.
Anche le mitologie urbane si sono nel frattempo adeguate. Lideale
riferimento antico della citt frammentaria la villa Adriana di
Tivoli, un insieme di architetture difformi e giustapposte in una
sintesi affascinante ma anche mai ripetibile nello stesso modo. La
citt fondata su logiche di centralit spaziali, simboliche e culturali
cede il passo alla citt-collage o alla citt-bricolage. E lavvento
di quella che con una categoria desunta dallepistemologia del
pensiero debole potrebbe chiamarsi citt debole.
Qual dunque la nuova citt che esce dalle trasformazioni
post-moderne, e quali fenomeni ne caratterizzano lo spazio?
Se prendiamo il punto di vista degli architetti, la citt lo spazio
negoziale tra il progetto architettonico e la societ [Ciorra-DAnnuntiis,
2000], e un modo per descriverne i caratteri quello di osservare
i pi significativi progetti che vengono proposti per migliorarle.
Per cogliere le situazioni di maggiore ricchezza e complessit
per opportuno guardare ai progetti che propongono una via
di sovrapposizione e non di sostituzione dei tessuti costruiti, che
stratificano su questi ultimi le loro proposte, come se fossero
lamine poste una sopra laltra in successione.
Questo consente di tenere in debito conto il rapporto con
lordinario che per forza di cose la citt contemporanea ha
instaurato e che deve continuare ad instaurare in modi sempre
pi vari e creativi. Progettando la citt ideale occorre fare i conti
con quella reale, prelevando da essa anche gli impulsi che essa
invia, non tutti negativi per definizione. Tra questi il parassitismo
architettonico, il riuso spontaneo, lautoproduzione ai diversi livelli
di scala, dalloggetto duso, alla casa, e appunto agli spazi di
uso pubblico, che sono proprio per le loro carenze conclamate
luoghi dove la creativit si scatena nel riuso spontaneo, fino ai
limiti dellabusivismo, e a volte superandolo [Marini, 2008; Zanfi, 2008;
Pario Perra, 2010]. Sono tutti temi che la fotografia perfettamente in
grado di indagare e che ha indagato di frequente e con successo.
Non va dimenticato ovviamente il rapporto con la storia,
certamente fondativo nel caso della citt italiana ed europea,
e ricordato fin da Ernesto Nathan Rogers come uno dei due
riferimenti principali dellarchitettura, insieme alla societ. Sono
38
notissime le osservazioni sviluppate da Aldo Rossi sul ruolo del
monumento nelle citt [Rossi, 1966] e le riflessioni di Anthony Vidler
sulluncanny il perturbante - e la nuova monumentalit che ne
deriva, un nuovo sublime contemporaneo che si fonda su concetti
opposti ai canoni dellarmonia e della continuit che hanno retto
la forma urbis per secoli e secoli [Vidler, 2006].

5. Varianti del gusto e nuovi valori.


Linforme urbano di oggi si esprime secondo tre caratteri
principali, la dissoluzione, la mescolanza, lomogeneizzazione,
che hanno sostituito quelli tipici della citt storica, larticolazione,
la complessit, la stratificazione. Questo uno degli esiti della
sensibilit contemporanea, frammentata e priva di grandi ideologie
unificanti.
Anche il pittoresco ha una declinazione non pi riferita a caratteri
romantici e ottocenteschi, ma aggiornata: ...qualcosa di vivace
e colorito, piacevolmente disordinato e irregolare, ma piuttosto
un atteggiamento che ci porta ad accettare come valori positivi
ci che fino a ieri consideravamo come aspetti negativi della citt
contemporanea. Leterogeneit, lirregolarit, linsolito, lintrico, la
variet, la disarmonia, laccostamento incongruo di pezzi diversi, il
frammento, la dispersione, lindeterminatezza, la materia grezza,
i valori tattili, diventano qualit del pittoresco [Zardini, 1996].
La ormai pressoch esclusiva urbanit del paesaggio un
fenomeno recente, ma registrato da tutti gli osservatori: Che si
ragioni in termini di citt diffusa, di megalopoli padana, di rete
policentrica, di sistemi urbani o di sistema metropolitano, la
chiave di lettura dei processi di trasformazione dei paesaggi del
Nord Italia sembra passare attraverso la progressiva estensione
della dimensione urbana e della sua impronta culturale [Societ
Geografica Italiana, 2010].
Questa pervasivit dellimpronta urbana deve per essere
interpretata allinterno di uno schema meno dicotomico di quello
classico e ormai desueto citt-campagna, ed evolvere invece
in direzione di una possibile trasformazione dei modelli urbani
da parte dei modelli rurali. Una coevoluzione fra i due mondi,
provocata dalla spinta delle teorie dello sviluppo sostenibile e dalla
loro applicazione nel campo del verde urbano, dellagricoltura
urbana, e dalla diffusione di progetti innovativi e prototipici come
quello newyorkese della Greenway. Questa tendenza, che
sta generando un nuovo paesaggio urbano fatto di hinterland
urbanizzato e di core metropolitano verde, pu gi contare su
32. John Davies, Westgate, dalla serie
una sua propria immagine fotografica? The British Landscape, 1979-2005
C un interessante concetto, espresso nelle pagine del Rapporto
2010 della SGI, quello della territorializzazione del paesaggio,
che deriva dalla fine della distinzione tra ambiti paesaggistici
deccellenza, monumenti, vedute straordinarie, ecc. e dallaltro,
ambiti privi di interesse. Il successo crescente del concetto Tutto
paesaggio diffonde il paesaggio su tutto il territorio, e ne fa
un bene di importanza non assoluta, ma espressa in relazione
ai gusti, ai bisogni, alla storia e alla memoria degli abitanti. Da
tempo il paesaggio non pi ci che visto da uno sguardo
esterno, prima upper-class, poi grand-touristico, infine mass-
turistico. Oggi il paesaggio ci che ognuno vede, e soprattutto
ci che labitante vede del suo proprio ambiente vissuto. 33. Thomas Struth, Il Duomo di Milano

39
Possiamo prendere come paradigma della rappresentazione visiva
della citt contemporanea alcune foto scattate da Rem Koolhaas
a Singapore e ad Atlanta, una sequenza di un anonimo, plumbeo
paesaggio urbano [Mastrigli, 2006], attraversato con lauto e posto a
commento visivo del suo concetto di citt generica. Scala mobile,
aria condizionata e cartongesso sono gli elementi costitutivi dello
spazio-spazzatura, e lo shopping non pi soltanto frenesia di
consumare, ma una autentica essenza della vita urbana; un
carattere che dalle citt asiatiche si ormai diffuso ovunque, cos 34. Robert Frank, Canal Street - New
come laspirazione alla bigness, che nasce gi nei tardi anni Venti Orleans, 1958
con la fascinazione ispirata a Le Corbusier dal concetto russo di
bolshoi grande applicato allarchitettura in un senso di qualit.
Nella fotografia del Ventesimo secolo la citt appare densamente
popolata e animata di lavoro, industria, e attivit di ogni giorno.
Strand e Weston raffiguravano questa frenesia, che per ora
comune alla maggior parte del mondo. Al contrario, oggi la
rappresentazione della citt vuota e calma. Il banale della citt
rappresentato cos da fotografi come i canadesi Jeff Wall e Greg
Girard, da Thomas Struth, e da molti altri. Questa inversione di
significato nella rappresentazione della scena urbana forse il 35. Olivo Barbieri, New Delhi, 1999

segnale pi evidente che ci ha lanciato la fotografia nel momento di


passaggio dal moderno al post-moderno: la citt-macchina una
metafora sorpassata, a cui possiamo ormai guardare con divertito
disincanto. Le problematiche della citt contemporanea maturano
ed esplodono nel silenzio, dagli atti terroristici alle tensioni sociali
ed etniche, dallinquinamento ambientale allo spreco energetico.
La frenesia ha lasciato il campo alla calma, una calma minacciosa
e difficilmente interpretabile.

40
3. ESPERIMENTI E DESCRIZIONI PRECOCI

1. Guardare la citt.
I molti esempi storici di committenza fotografica pubblica sulla vita
urbana sono ricordati in sintesi da Giovanna Calvenzi [Sismicity 2010,
pp. 28-30]. Iniziando da Jacob Riis, un fotografo di origine danese
trasferitosi nel 1870 negli Stati Uniti. Riis indaga le condizioni di
vita spaventose nelle quali vivevano a New York gli immigrati
che arrivavano dallEuropa, scatta fotografie e le mostra nelle
sue conferenze pubbliche, poi realizza il libro How the Other Half
Lives: Studies Among the Tenements of New York, del 1890.
Con il suo impegno persuade Theodore Roosevelt, allepoca
alto funzionario della polizia cittadina, a promuovere un vasto
programma di riammodernamento, risanando o demolendo gli
edifici e creando delle aree verdi. Questo un esempio tra i pi
perfetti di quanto si deve intendere quando si parla di un uso
progettuale della fotografia documentaria.
Un altro autore americano, Lewis Hine, ci fornisce un modello
altrettanto celebre. Tra fine Ottocento e inizio del Novecento,
Hine fotografa il lavoro dei bambini nelle miniere, nelle fabbriche,
per le strade, allepoca consentito. Lo fa con occhio da sociologo
riformista, e usa le sue foto in conferenze pubbliche che provocano
una reazione tale da ottenere una legge che proibisce il lavoro
minorile.
Un episodio recente il lavoro di Joel Sternfeld, che si rivelato
essere un esempio di straordinaria efficacia di comunicazione
dell progetto della High Line di New York [Sternfeld, 2009], anche
grazie alla gi acquisita notoriet internazionale dellautore. Le
foto documentavano una realt urbana che si voleva modificare,
e anche in questo caso dunque la fotografia ha contribuito alla
positiva evoluzione di un contesto urbano dequalificato.
In confronto allimportanza di questi lavori ormai classici, bisogna
riconoscere che c poca abitudine da parte degli enti pubblici
del nostro paese a premettere una indagine fotografica ai progetti
di rilevanza urbana e territoriale. Si potrebbe credere che deriva
da poca convinzione nellutilit di questo modo di procedere.
Uno scetticismo che sembra ben espresso nelle parole di chi
afferma che nella fotografia per lurbanistica c pi fotografia che
urbanistica [Smargiassi, 2007], e che insomma per trovare fotografie
che abbiano condizionato una scelta urbanistica bisogna faticare
un bel po. Scrive Smargiassi, in modo anche provocatorio: Vorrei
essere smentito, ma credo che nessuna delle immagini contenute
in questo volume abbia davvero posto le premesse, o suggerito,
o modificato, le scelte di chi ha il potere di decidere sugli assetti
del territorio.
Per contrastare una interpretazione cos riduttiva occorre trovare
i casi a favore di quella contraria, cercando soprattutto in alcune
regioni del nord Italia, Lombardia, Emilia-Romagna (ne parleremo
diffusamente pi avanti), Veneto, perch nel dopoguerra da qui
che ha preso avvio lopera di fotografi e di organismi pubblici e privati 36, 37, 38. Gordon Cullen, Townscape,
dediti alla osservazione del paesaggio anche in termini critici e 1961

41
interpretativi. Tra i casi di maggiore rilievo una campagna voluta
dalla Provincia di Milano, lArchivio dello Spazio, che per dieci
anni ha coinvolto un gruppo di cinquantotto fotografi che hanno
documentato tutti i paesi della provincia: un lavoro straordinario,
creativo, non solo di documentazione, che ha prodotto un
archivio (oggi conservato al Museo di Fotografia Contemporanea
di Cinisello Balsamo), di oltre settemilaquattrocento fotografie.
Unimportante opera di rilevamento. Cinquantotto fotografi
hanno sottolineato realt positive e incongruenze del paesaggio
lombardo, ma difficile dire se e quanto poi gli amministratori
pubblici hanno tenuto conto di queste suggestioni e di questi
suggerimenti, e la domanda di Smargiassi resta intatta, e forse
anche rafforzata.
Eppure, la fotografia possiede certamente in s una capacit di
sintesi simbolica molto alta, che sembra proprio ci che serve per
definire i caratteri della citt. Questa il risultato della costruzione
fisica dello spazio urbano come insieme di luoghi in cui vivono gli
abitanti, luoghi che cambiano di continuo e per questo si caricano
di nuovi significati. Daltra parte la citt anche il riflesso della
cultura degli abitanti, e dunque delle loro aspettative, dei loro
miti collettivi, dei loro stili di vita. La citt pietrifica dei sogni, delle
idee. Il modo con cui ognuno di noi si mette in relazione con lo
spazio in cui vive deve molto allimmagine mentale che ci siamo
formati di esso. Lo spazio urbano sia fisico che esistenziale,
le due dimensioni sono interdipendenti e in continua relazione.
La citt mentale evolve insieme con la trasformazione della citt
fisica, in modi difficilmente preventivabili, ma di cui necessario
tener conto, perch ogni individuo, dopo le grandi trasformazioni
urbanistiche, ha comunque bisogno di ritrovare un equilibrio, di
riconoscere una continuit di senso che gli permetta di percepire
e conoscere la nuova citt senza esserne disorientato.
Uno dei caratteri del post-moderno in campo architettonico
stato infatti la riscoperta del senso, e questo ha coinciso con
un progressivo allontanamento dal funzionalismo: negli ultimi
trentanni molte teorie dellurbanistica hanno posto al centro
dellattenzione lutilizzatore: lo hanno fatto Aldo Rossi, Manfredo
Tafuri, Vittorio Gregotti, Bernardo Secchi.
A partire dagli anni Settanta lurbanistica moderna rimessa
in discussione. Emergono nuove rappresentazioni della citt,

39. Paolo Monti, Monteacuto Ragazza,


1969
42
in particolare nel campo delle scienze sociali, pi sensibili agli
spazi e ai riti della vita ordinaria. Negli ambienti professionali si
sviluppa unurbanistica ispirata da scelte culturali, non soltanto
tecniche. Le lotte urbane di quegli anni, e lemergere in senso
pi allargato di una nuova cultura delle citt sono i pi diretti
generatori della nascita di concetti come lo spazio pubblico,
definizione coniata ex-novo negli anni 80. E da allora che le
pubbliche amministrazioni iniziano a mettere al centro della loro
azione questo nuovo concetto, che non soltanto una categoria
di lettura, ma di azione, un paradigma dellurbanizzazione degli
spazi; almeno a livello teorico, mentre spesso le realizzazioni
restano molto distanti dalle enunciazioni di principio. Strade
e piazze sono portate al centro del progetto urbano; i piani di
conservazione, che nascono in quegli anni, partono proprio dal
paesaggio urbano nel suo complesso, e non pi solo dai singoli
monumenti. Spesso vengono pensati settori di viabilit protetta
dal traffico automobilistico, per creare nuovamente le condizioni
di un uso sociale dello spazio pubblico.
Esempi celebri sono stati la pedonalizzazione del Marais a Parigi,
in seguito la messa in valore delle ramblas a Barcellona, con effetti
molto importanti anche nellincremento del turismo metropolitano,
mentre un rischio sempre presente quello della museificazione
dei quartieri turistici. Questi temi diventano via via sempre pi
centrali nel lavoro dei fotografi di paesaggio urbano, che in
quegli anni prende a diversificarsi in varie accezioni, pi vicine
alle riflessioni disciplinari dellurbanistica, uscendo dai canoni un
po rigidi della raffigurazione della citt per vedute, ancora molto
legata alla tradizione pittorica classica.

2. Townscape, tra fotografia e disegno.


Limpatto visivo della citt, che Gordon Cullen per primo descrive
nel suo libro del 1961, fa un uso largo e originale di analisi
fotografiche direttamente finalizzate al progetto urbanistico.
Il modo con cui Cullen intende la fotografia per ancora di
stampo positivista e ottocentesco: lautore non esiste, o se esiste
lurbanista, non il fotografo (e dunque non esiste lautore-
fotografo). Cullen studia limpatto visivo della citt, cercando di
elencarne gli elementi caratteristici, a partire da una definizione
lapalissiana: Se mi venisse chiesto di definire il termine
townscape direi che un edificio opera di architettura ma due
edifici sono townscape, cio paesaggio urbano. Il suo obiettivo
di comprendere il fenomeno urbano, ma soprattutto di stabilire i
principi di unarte interpretativa che sia presupposto del progetto
urbanistico, ricorrendo a un linguaggio continuamente fluttuante
tra descrizione e enunciazione di requisiti di progetto, riflessione
personale e categorizzazione teorica [Di Biagi, 2009].
Cullen convinto che quasi interamente attraverso la vista che
si percepisce lambiente. La scena urbana resa memorabile da
un insieme di drammatici eventi visuali che costituiscono la sua
ricchezza: Quando si gira langolo la citt comincia a rivelarsi,
non al primo colpo docchio, ma a poco a poco. Nel libro vengono
elencate queste visioni seriali, registrate con fotografie e schizzi
presi in citt inglesi e francesi, grandi e piccole, mostrando
le sequenze, le geometrie, i punti focali, le enclaves, i tagli, i 40. Berenice Abbott, Broadway, El
at Columbus Avenue and Broadway,
livelli, i reticolati, i particolari, le deviazioni, gli arretramenti e le 1935-39 ca
43
anticipazioni, e varie altre cose, in un elenco eterogeneo che
ha comunque il merito di essere un catalogo visivo sistematico
degli elementi costitutivi dello spazio urbano fatto attraverso
la fotografia. E un uso molto creativo e comunicativo della
fotografia, uno strumento di conoscenza e di riflessione utile per
il progetto, anche se la fotografia qui intesa non certo in modo
autoriale, ma subalterno ai bisogni dellurbanista. Se il progetto
un processo che si articola in tre fasi, parte dalla conoscenza,
passa dal pensiero e si conclude in una decisione, le fotografie
di cui fa uso Cullen coprono la prima e gran parte della seconda
fase del processo progettuale.
Questo il motivo sostanziale per cui questo testo sembra
essere ancora attuale - in un clima di rinnovato interesse per
la dimensione sensoriale del fare urbanistica, posta in antitesi
41. Peter Cook e Colin Fournier,
alleccesso normativo-regolativo tipico di altre stagioni pur Kunsthouse Graz, 2000-2003
essendo evidenti i rischi di elementarizzazione e riduzionismo
a cui lautore sottopone il paesaggio urbano, ed essendo datata
di mezzo secolo limmagine che ne viene data. Il townscape di
Cullen era forse poco contemporaneo gi ai suoi tempi, e un po
understated: molti erano i riferimenti tratti dalla citt storica e dalle
sue regole formative, pochi anche quando venivano esaminate
questioni londinesi, quasi sempre riferite a spazi di piccole
dimensioni e in ambiti urbani marginali i casi di rango davvero
metropolitano.

3. Geografi italiani.
A pochi anni di distanza da Cullen (1975), in Italia, due geografi,
Giorgio Bergami e Tonino Bettanini, ripartono pi o meno da quel
punto per estendere il procedimento dalla citt al territorio nel
suo complesso. Operano in un modo che visto oggi ci sembra
un po meccanicistico, secondo lo stile duro e funzionalista degli
anni Settanta, basandosi come al solito sullinterdisciplinariet,
e con una oscillazione continua nella scelta di campo. Viene da
chiedersi, leggendo, se si sta parlando di fotografia o di geografia
[Bergami e Bettanini, 1975]. Di fatto il libro parla molto di tecnica della
fotografia, in modo manualistico. E di capacit di vedere in
senso fotografico (questo il titolo del secondo capitolo), per poi
proporre un metodo di lettura del territorio (oggi diremmo sguardo
sul paesaggio) molto didascalico, simile al lavoro che Paolo Monti
stava svolgendo proprio allora per la Soprintendenza bolognese
alle Gallerie sullAppennino. Prova ne sia che sono riprodotte
alcune di quelle immagini, scattate durante il censimento dei beni
culturali della valle del Santerno, indicandole come esempi da
seguire.
Il volume propone un modo di inventariare un territorio organizzato
per capitoli: natura, insediamenti e a architetture inseriti nel
territorio, agricoltura, industrializzazione (da notare il termine,
ancora legato a definire un fenomeno che in corso in quegli
anni), flora e fauna, luomo. C un paragrafo sulla foto aerea, uno
sul territorio nei rotocalchi (le belle immagini), nelle riviste e nei libri
di fotografia, nelle pubblicazioni scientifiche. C un riferimento,
oltre che al lavoro bolognese, a quello toscano di Documentiamo
Firenze e la Toscana, una inchiesta per immagini patrocinata in
quegli anni dallAssessorato alla Cultura del Comune di Firenze.
Un capitolo, il quarto, dedicato alla citt. E abbastanza inusuale
44
in quegli anni documentare non solo il centro storico e i beni
culturali, ma anche la struttura fisico-organizzativa e sociale della
citt. Anche se poi il libro propone una visione ancora fondata
sulla crisi del rapporto citt-campagna portata dalla rivoluzione
industriale, fortemente connotata dalla critica alla degradazione
dellambiente e alla crescente domanda di beni rari come laria,
lacqua, il verde, in una concezione della citt come luogo che
tutto fagocita, crea il bisogno di un fine-settimana, di un turismo
di massa alla ricerca di ci che la citt stessa va distruggendo. 42. Bernd e Hilla Becher, Eight Views,
Retto da questa visione un po ingenua e acerba, citando modelli Haupstrasse 3, Birken, Germany, 1971

derivati dalla cultura politica del tempo (la controinformazione), il


libro continua poi a dare indicazioni per inventariare, e qui diventa
davvero identico agli scritti di Monti, che poi passeranno negli
anni via via in tutti i piani e le analisi dei centri e degli insediamenti
storici: la pianta della citt (veduta aerea o panoramica), il
centro storico, la vita pubblica, il tempo libero, le comunicazioni,
la produzione, ecc., poi di nuovo la citt nei rotocalchi, nelle
riviste e nei libri di fotografia, nei libri di testo, nelle pubblicazioni
scientifiche. Un capitolo dedicato al quartiere, con una
esemplificazione fotografica sui quartieri popolari di Genova che
contiene le immagini di una mostra del 1969, realizzata come
esperimento di socializzazione della conoscenza dellassetto
urbano della citt. In generale, la ricerca fortemente debitrice
a una cultura antropologica ed etnografica, e contiene infatti
indicazioni operative molto pragmatiche (che oggi ci sembrano
ingenue nella loro ruvida spregiudicatezza): E bene abituarsi
il pi possibile a scattare istantaneamente foto, anche se con
il rischio di farle leggermente mosse o sfuocate. E preferibile
una foto leggermente imperfetta, ma precisa, nel significato, ad
unimmagine perfetta tecnicamente, ma vuota.

4. Approcci sociologici.
I contatti stretti che in quegli anni la fotografia istituisce con
lurbanistica, la geografia, la sociologia e le scienze sociali trovano
conferma nellinteresse per il mezzo fotografico di un famoso
sociologo come Franco Ferrarotti, che in quegli stessi anni
pubblica un testo con proprie fotografie disciplinari, fatte a partire
dal 1968 in Brasile e poi in Unione Sovietica, Stati Uniti, Svizzera,
America Latina, Ungheria e Mezzogiorno dItalia [Ferrarotti, 1974].
Lautore osserva che i manuali di fotografia insegnano come
fotografare, ma non perch. Si dice sorpreso dello scarso uso della
fotografia nelle scienze sociali salvo letnografia, letnologia e
lantropologia culturale dove per essa usata per documentare
e far conoscere il diverso, il lontano, il primitivo, e dunque non
tanto per aiutare una riflessione, che un passo successivo, pi
raffinato e consapevole. Perch dunque, questo estraniamento
tra fotografia e sociologia? Forse il sociologo, ultimo venuto nel
mondo pur vacillante dellaccademia, si condanna ad essere pi
accademico degli altri e si vieta quelle frivolezze che volentieri si
perdonerebbero, come momenti di piacevole umanizzante relax
agli accademici pi stagionati.
Tra i rari esempi delluso della fotografia nelle scienze sociali,
lautore ricorda il libro Street life in London del 1877, di John
Thomson e Adolphe Smith, con 36 fotografie di poveri londinesi,
dove le immagini finalmente non mostrano strani usi e costumi
45
di popoli primitivi, ma i problemi e le anomalie di casa nostra.
Ferrarotti che osserva che fotografare la povert difficile
perch difficile fotografare la mancanza di oggetti, il vuoto, la
penuria - pone questa indagine a capostipite di libri famosissimi
come Let us Now Praise Famous Men, di James Agee. Mentre
Jacob A.Riis, che nel 1870 sbarca a New York dalla Danimarca,
la premessa necessaria del lavoro successivo di Lewis W.Hine,
Walker Evans, Dorothea Lange, Berenice Abbott e vari altri. Agee
sembra credere che lobiettivo fotografico batte locchio umano,
che vede meno rapidamente e meno fedelmente dellobiettivo,
ed naturalmente, inevitabilmente selettivo. Agee racconta la
povert, vista da una certa distanza. La questione della distanza
decisiva, nella fotografia di paesaggio: se sei vicino, e quanto,
o lontano, e quanto, fino alla lontananza siderale della fotografia
aerea. La conoscenza esige crudelt e qualche profanazione,
dice Ferrarotti parafrasando Agee. Il libro ricorda poi la Farm
Security Administration americana, e la sua particolarit di
far viaggiare il fotografo con uno scrittore (Evans e Margareth
Bourke-White, per esempio), o con un economista (Dorothea
Lange e Paul Taylor), secondo principii di multidisciplinariet. C
poi una notevole osservazione sull infantile (faustiano?) tentativo
di una presa eterna sul reale (allattimo che fugge: <Fermati. Sei
bello>) che si associa spesso a un modo ingordo, sprovveduto e
irriflessivo di fotografare, tipico del dilettante.

5. Il pop e il primato dellimmagine.


Non c dubbio che a facilitare la relazione tra architettura e
fotografia, tra citt e fotografia sia stata dagli anni 50 in avanti
la pop-art. Il pop in architettura, i cui maggiori ispiratori sono
stati Alison e Peter Smithson e Reyner Banham, sottolineava i
caratteri low-cost e massificati dellarchitettura, il suo essere sexy
e glamour, giovane e velocemente transeunte. La fotografia,
per la sua facile riproducibilit, la sua diffusione di massa, la
sua (presunta) facilit di comprensione, era lo strumento pi
adatto a diffondere la cultura pop nella raffigurazione della citt e
dellarchitettura. La forma architettonica non pi soltanto ci che
consegue alla funzione, come voleva il funzionalismo ante-guerra,
ma costituisce unimmagine, e questa in larga misura la novit
portata, insieme, dalla cultura pop e dalla fotografia, in modo
coincidente. Molti edifici contemporanei sono diventati soprattutto
- se non quasi esclusivamente - icone e segni, simboli per attrarre
le masse non attraverso un programma di funzionamento e di
contenuti, ma attraverso sensazioni. Ci provoca nel pubblico
unesperienza spaziale completamente differente rispetto al
passato [Konrad, 2008].
C un grande rilievo delle immagini nella cultura pop, e in
particolare nellarchitettura pop, e per questo la fotografia uscita
ingigantita dalla diffusione di questa cultura negli ultimi decenni,
e dalla preponderante considerazione iconica dellarchitettura. La
semiotica degli spazi, architettonici e urbani, oggi pone al centro
del significato licona, loggetto architettonico solitario e scultoreo,
che funziona come unattrazione di massa. Licona ovviamente ha
molto a che fare con luso delledificio come marchio, come brand
di imprese, societ, companies. La produzione di immagini molto
incentivata da questa preponderanza della dimensione iconica 43. Ugo Mulas, Dormitorio pubblico, 1973

46
dellarchitettura e del paesaggio urbano, e a sua volta la rinforza,
la propaga incessantemente, generando figure memorabili del
nostro ambiente sociale. Larchitettura iconica capace, in questo
senso, di produrre molteplici identit per le masse.
Da questo punto di vista, la Torre Eiffel il prototipo. Oggi altre
architetture super-iconiche sono il Museo Guggenheim di NYC e
quello di Bilbao, e la pi recente Elbphilarmonie di Herzog & De
Meuron ad Amburgo. Questi edifici spesso hanno dei soprannomi,
a dimostrare la loro popolarit: la Schwangere Auster, lostrica
incinta, la Congress Hall di Berlino, il Friendly Alien, lamichevole
alieno, la Kunsthaus di Graz di Peter Cook & Colin Fournier, il
Birds Nest, il nido duccello, lo stadio olimpico di Pechino di
H&DM, The Cloud, la nuvola, il Padiglione Expo a Yverdon-les-
Bains di Diller & Scofidio.
Tutti questi edifici hanno provocato milioni di fotografie, e sono
stati promossi da fotografie. Il nesso tra la fotografia e lo sviluppo
dellarchitettura (e della citt) pop evidente, ed questo uno 44. Mario Giacomelli, Marche, 1978
dei fattori per cui citt e fotografia nel secondo dopoguerra hanno
avviato una relazione cos promettente e di successo.

6.Riflessi (sbiaditi) della citt.


Lavvicinamento dei processi concettuali di arte e architettura un
carattere della citt contemporanea, dove larte pubblica esercita
una funzione critica molto precisa ed efficace, forse proprio perch
riscatta con una vivacit antagonistica la sua forzata esclusione
dai processi di pianificazione, a cui da sempre la condanna la
cultura urbanistica pubblica. Come parte dellarte pubblica la
fotografia entra cos a discutere della citt contemporanea.
Ma perch poi la fotografia cos capace? Perch, soprattutto,
ne cos capace la fotografia dautore, proprio quando i nostri
tempi ci forniscono tanti strumenti capaci di commentare i
paesaggi urbani, come i videoclip, le simulazioni dei videogiochi,
le telecamere a circuito chiuso sparse negli ipermercati e in tutta
la citt? Per la sua fissit. Francesco Jodice, uno dei pi attivi e
affermati fotografi italiani della generazione di mezzo, sostiene
che la fissit delle fotografie ci costringe a un confronto, mentre
le storie proiettate scivolano via dallo schermo e dalla nostra
memoria. C nella fotografia una insistenza che nessun altro
mezzo capace di perseguire.
Dopo una lunga fase in cui la fotografia era rimasta al di fuori della
considerazione di pratica artistica, gli anni Settanta segnano un
cambiamento decisivo di prospettiva. In Italia questo processo si
nota pienamente alla fine del decennio. Il 1979 stato un anno
importante per la crescita della fotografia italiana. La mostra
Venezia 79. La fotografia fu una grande kermesse di 22 workshop
e 20 mostre in prestigiose sedi, dal Museo Correr alle sale della
Biennale, dedicate a fornire un panorama completo della storia
della fotografia, dallOttocento al contemporaneo. Il 1979 fu anche
lanno del primo convegno, svoltosi a Modena, sulla fotografia
come bene culturale. E in quello stesso anno Franco Vaccari
pubblic Fotografia e inconscio tecnologico, presso Punto e
virgola, la casa editrice fondata da Luigi Ghirri.
Il libro di Vaccari tra quelli che contribuirono a far superare il
concetto esistenzialistico del momento decisivo di derivazione
bressoniana, radicatosi cos a fondo nella cultura fotografica del
47
dopoguerra, secondo il quale il fotografo padroneggia in modo del
tutto logico la macchina, piegandola alla sua visione e lasciandole
il semplice ruolo di strumento meccanico. Il fotografo colui che si
trova nel punto giusto al momento giusto, questa la sua abilit,
se non la sua arte. Vaccari espropria in larga misura il fotografo
di questo carattere quasi miracolistico, e lo pone su un piano di
consapevole incertezza, di misurata casualit, di libert vigilata.
Vaccari aveva presentato la prima mostra di Ghirri a Modena,
nel 1971. Artista di primo piano egli stesso, Vaccari considera
merito del concettualismo lo sdoganamento della fotografia come
arte. Sottolinea per un effetto paradosso, in quanto leccesso di
mitizzazione della figura del fotografo che si creato con il tempo
totalmente in contrasto con il credo concettuale. La fotografia
sostiene Vaccari - un segno, sia che lautore ne sia cosciente,
sia che no. Pi un autore presente, e meno ci che prodotto
una fotografia. In una fotografia, pi che in una pittura dove
lautore autore in un senso pieno, totale i significati appaiono e
scompaiono in continuazione: la fotografia contiene e rappresenta
anche cose che allautore sfuggivano, mentre scattava. Queste
cose possono restare invisibili, o meglio prive di senso a lungo,
prima che qualcuno le riconosca e le interpreti. In questo modo,
le fotografie conservano molto a lungo una grande quantit di
senso.
La fotografia documentaria in questo senso un po uninvenzione
priva di reale significato: essa non proviene dal fotografo, ma
deriva dalluso che se ne fa, se luso documentario, allora la
foto documentaria [Lugon, 2008]. Al tempo stesso la fotografia
un segno instabile, ha bisogno di una didascalia, di un testo per
essere orientata, per prendere un significato. E poi non bisogna
dimenticare limportanza della distanza di ci che fotografato,
dallobiettivo. Autori come Marc Aug hanno parlato di una estetica
della distanza; in questo senso, ogni distanza ha una sua estetica,
fino al caso di certa fotografia che si allontana visibilmente dalla
realt, proprio perch resta distante da ci che fotografa. Gi le
avanguardie storiche avevano messo in evidenza la relativit e
lambiguit del rapporto con il reale, aprendo la via a una crisi

45. Nino Migliori, Muro


48
irreversibile della rappresentazione, che paradossalmente,
anzich provocare una crisi anche della fotografia, la spinge invece
ad entrare definitivamente nella cultura contemporanea. Negli anni
Sessanta-Settanta, proprio quando si supera il reportage classico
alla Cartier-Bresson, la fotografia diventa strumento di lavoro per
gli artisti, spesso in chiave concettuale. Dopo quegli anni, che
costituiscono limmediata premessa per il suo decollo, vengono
gli anni Ottanta e Novanta, nei quali la fotografia consolida la sua
posizione e giunge alla fase di massima espansione.
Nel 1973 si tiene a Torino una mostra importante, Combattimento
per unimmagine. Fotografi e pittori, per mettere in luce luso
sempre pi generalizzato da parte degli artisti della fotografia
per le loro ricerche e il loro lavoro. La mostra torinese costituisce
in Italia il momento fondativo della ricerca dei rapporti tra arte
e fotografia [Guadagnini-Maggia, 1998]. Gli anni fra il 1968 e il 1973
sono quelli in cui nasce il fenomeno dellutilizzo della fotografia
allinterno delle ricerche artistiche, un periodo in cui ancora si
mescolano figure di artisti che usano la fotografia con figure
di fotografi puri: Paolini, Penone, Pisani, Pistoletto e molti altri
artisti espongono sempre pi frequentemente le proprie opere
fotografiche accanto alle fotografie dei Becher, di Mulas, Cresci,
Vaccari, Friedlander. Del resto, molti fotografi orientano il proprio
lavoro secondo una forte componente concettuale che proviene
dalle ricerche artistiche contemporanee, come il caso di Mario
Cresci, e negli anni successivi di Ghirri e Guidi. Questi ultimi
iniziano il loro lavori in quegli anni, come altri importanti autori
come Basilico e Gioli, che esordiscono proprio nel 1973.
Laffermarsi della fotografia nella ricerca artistica si deve
soprattutto alla necessit di documentare eventi destinati alla
scomparsa, come le performance. Il fenomeno dei rapporti tra arte
e fotografia sembra dunque nascere pi dalla parte degli artisti
che dei fotografi, ma una delle ragioni pu essere appunto che
molti dei fotografi-autori di quella generazione stava nascendo
in quegli anni solo Franco Fontana e Mimmo Jodice sono gi
affermati -, e dunque solo successivamente inizia a ingrossare la
schiera dei fotografi che diventano artisti.
Nella seconda met degli anni Settanta e fino alla met degli
Ottanta il 1984 segna una data storica della fotografia italiana,
il Viaggio in Italia di Ghirri questa mescolanza anche un po
ambigua di arte e fotografia si allenta un poco, lasciando emergere
da un lato la figura di Luigi Ontani, determinante nel trasformare
la fotografia di documentazione in opera darte, e dallaltro
consolidando lemergere della generazione di fotografi autori,
affiancati da critici come Quintavalle e scrittori come Celati, fino
a provocare una coesistenza, un parallelismo di arte e fotografia,
una situazione che accetta di guardare insieme i fotografi e gli
artisti, senza pi i sensi di colpa o gli steccati del passato.
Le relazioni divenute pi strette tra arte e fotografia diventano
determinanti, soprattutto nel disegnare una traiettoria di incontro
che incrocer presto la descrizione del paesaggio urbano. Negli
anni Sessanta-Settanta la fotografia dilaga nel campo dellarte
tout-court, e negli anni Ottanta diventa pienamente arte della
contemporaneit, raccogliendo i frutti della semina avvenuta
con larte pop e concettuale. La tendenza nata con gli anni
concettuali, di negare loggetto-quadro e sottolineare limportanza
49
dellidea, chiama fortemente in causa la fotografia, come
linguaggio pi capace per natura di evidenziare lidea, lintuizione,
listante, lo sguardo. Dunque alla fotografia viene assegnato
progressivamente il compito di rendere visibile linvisibile qualit
del concetto e dellidea [Miraglia, 2001], oltre che di documentare le
performance della body art e gli eventi naturali (lontani e impervi)
della land art.

7. Arte e/o fotografia.


Lesplosione e la massificazione delluso della fotografia si deve,
negli anni del secondo dopoguerra, al grande sviluppo delle
tecnologie soprattutto del colore e al progressivo abbassarsi
del prezzo degli apparecchi fotografici, che diventano disponibili
per molti pi utenti di qualche decennio prima. Luso della
fotografia risponde anche alla necessit di promuovere i prodotti di
consumo, e quindi un effetto del miracolo economico; fotografia,
rclame sui rotocalchi e sui quotidiani, advertising stradale e pi
tardi la televisione si integrano in questo sforzo.
Gli anni Settanta vedono la crisi del fotogiornalismo e la nascita di
un grande interesse per la fotografia pubblicitaria e commerciale.
In Italia si d alla fotografia un sempre maggiore valore intellettuale,
la fotografia entra nellarte attraverso larte povera, la pop art, la
land art. La struttura dellimmagine e la percezione delle cose
divengono pi importanti del soggetto rappresentato. Prima Mario
Giacomelli, uno dei pi grandi fotografi italiani di paesaggio, pi
tardi Gabriele Basilico e Guido Guidi si impegnano in un quello
che stato detto un questionnement du paysage [Conzmius, 2009].
Paolo Monti tra i primi, con i suoi chimigrammi, a cercare zone
di confine tra i due mondi negli anni 50 e 60, e a ben pensarci
si pu inserire il suo lavoro e quello di Luigi Veronesi e di Nino
Migliori nellinformale. Anche le celebri verifiche di Ugo Mulas
non sono propriamente un lavoro artistico, ma la ricerca linguistica
di un fotografo che frequenta anche il mondo dellarte. Vaccari
il fotografo che maggiormente si affaccia allarte, espone in
Biennale 1972, con la sua performance-installazione Lascia su
queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio.
Negli anni 70-80 la fotografia di paesaggio (urbano) stato
lunico strumento di relazione tra il mondo dellarte e quello
dellarchitettura e dellurbanistica; il primo ospitava molto
frequentemente riflessioni e pratiche connesse alla vita urbana
contemporanea, ma difficilmente riusciva a trasmetterle agli
architetti e agli amministratori, chiusi in discussioni sul sociale,
il politico, leconomico e facile preda di luoghi comuni, ripetizioni,
ossessioni, assolutamente privi di sguardo. Prova ne sia la
frequenza di piani ciechi, privi di rappresentazioni della realt
su cui si andava ad intervenire. Anche piani celebri come quello
paesistico dellEmilia-Romagna rester, ancora alla met degli
anni Ottanta, privo di immagini che non fossero cartografico-
zenitali; in questo modo la realt in cambiamento sfuggiva alla
rappresentazione e infine alla comprensione. Gli urbanisti non
riflettevano sul paesaggio, ma unicamente sulle regole, sui servizi,
sulle quantit, sui temi sociali come il lavoro e la casa, sulle
discipline pi recenti, come la conservazione dei beni culturali.
Ma restavano disattenti alla qualit estetica del territorio, perch
non si dotavano degli strumenti adeguati.
50
Il grande cambiamento avvenuto verso la fine degli anni
Sessanta nelle pratiche artistiche sta soprattutto nel passaggio
dalla rappresentazione alla registrazione della realt [Barilli, 2006].
E un tema, come abbiamo visto, perfettamente connesso con la
fotografia e il suo stile, e dunque naturale che ne derivi un uso
sempre pi largo del mezzo fotografico, come quello che appunto
pu registrare il reale, senza darne interpretazioni, o almeno
lasciando questa impressione.
Il combattimento per unimmagine nato con la mostra torinese del
1973 dura per tutti gli anni Settanta. E una gara dove la fotografia
recita secondo alcuni il ruolo di chi vuol decretare la morte dellarte,
che ancora e sempre rappresentata dalla pittura. Tanto che nel
bel mezzo di questa sfida nasce appunto liperrealismo, come
reazione della pittura che non vuole farsi da parte ma segue per
pedissequamente le fattispecie fotografiche.
Per quanto si riferisce al tema paesaggio urbano determinante
che la pop art abbia posto in primo piano la riflessione sul valore
delle immagini nella societ massificata e consumista, usando
per questo la parola popular, fin l intesa nel suo senso rurale,
preindustriale e romantico e che con luso dellabbreviazione viene
invece indirizzata verso il significato urbano e industrializzato.
Dunque, anche la spinta delle tendenze innovative dellarte va verso
la citt anzich verso la campagna e il paesaggio extraurbano,
che progressivamente assume sempre meno rilevanza
semantica. Dalla pop art si arriva in breve alliperrealismo, che si
fonda ovviamente sul vasto ricorso alla tecnica fotografica. E al
minimalismo, con la sua predilezione per la semplicit esecutiva, e
il gusto di minimizzare lespressione individuale e la piacevolezza
immediata. Tutti caratteri che riconosciamo facilmente nellopera
di Luigi Ghirri.
Sol LeWitt il primo artista che fa uso programmatico del
termine concettuale, che influenzer molte pratiche fotografiche
successive. Lopera diviene importante come concetto, come
idea, come progetto, non tanto come esecuzione o come prodotto
autentico. Dunque si smitizza il culto dellautore e dellopera,
valorizzando il messaggio. Diventa centrale il tema della traccia
(che molti fotografi citano, tuttora, come fonte di ispirazione del
loro lavoro). Siamo al culmine della smaterializzazione dellarte.
La fotografia soprattutto se non si calca troppo il suo valore
tecnico, ma quello di riflessione, di punto di vista, di sguardo
pu avere molto a che fare con questo modo di intendere larte,
visto che la sua materialit pari a zero o quasi nel momento
della produzione (lo scatto), mentre la materialit sta soprattutto
nella riproduzione (la stampa).
Oltre allarte concettuale, unaltra tendenza che ha fortemente a
che fare con la fotografia di paesaggio e di architettura la land
art, tra i cui protagonisti sono i coniugi Becher, maestri di Gabriele
Basilico, che ... dagli anni sessanta hanno iniziato a viaggiare
in cerca di caseggiati, fattorie, ma soprattutto strutture industriali
in disuso al solo scopo di fotografarle; ne risultano immagini
biomorfiche e quasi commoventi, che parlano del riassorbimento
nella natura dei prodotti che luomo ritiene inutilizzabili e della
tendenza contemporanea allabbandono e allo spreco delle cose
[Vettese, 1996].
Uno storico dellarte molto attento da decenni alla fotografia
51
Arturo Carlo Quintavalle, fondatore del Centro Studi e Archivio
della Comunicazione di Parma. Il suo volume Muri di carta, del
1993, porta la dedica Per Luigi Ghirri, mio amico. Si tratta del
catalogo della omonima mostra tenutasi al Padiglione Italia della
Biennale dal 13 giugno al 10 ottobre 1993, che ha avuto grande
peso nel sancire definitivamente lentrata dei fotografi nel novero
degli artisti. Il volume raccoglie interviste con i fotografi e testi
su Nino Migliori e Luigi Ghirri. Il tutto, scrive Quintavalle, vuol
essere un contributo alla ricerca su una fotografia intesa non come
arte, poesia, ma come critico momento di analisi, di riflessione sul
mondo. Le fotografie del volume sono tutte conservate presso il
CSAC dellUniversit di Parma. I fotografi sono 20, da Man Ray
a Walker Evans, e tra gli italiani Migliori, Ghirri, Basilico, Mimmo
Jodice, Giacomelli, Olivo Barbieri, Giovanni Chiaramonte, Mario
Cresci, Paolo Rosselli, Guido Guidi, Francesco Radino e altri.

52
4. LA CITTA DEGLI ARCHITETTI

1. La fotografia tra urbanistica e architettura.


Da dove guardiamo? la prima domanda che bisogna farsi
nellosservare il reale. La nostra posizione il principio della
conoscenza. Questo vale ovviamente anche per il punto di vista
sulla citt. C quello dal cielo, dove la dimensione della figura
umana scompare. E una visione geografica, geologica. Ma la
citt non ha nulla della immutabilit della natura, occorre invece
conoscere le sue mutazioni, che da lontano sono poco percepibili.
La vista a volo duccello unutile via di mezzo tra sguardo
zenitale e percezione da terra; nel Cinque-Seicento le citt
venivano rappresentate in questo modo, con le icnoscenografie,
capaci al tempo stesso di precisione topografica e descrizione
architettonica.
Albert Einstein diceva che le traiettorie esistono solo in relazione
a un corpo di riferimento. Trasponendo questa affermazione nel
campo fotografico, sarebbe a dire che il soggetto da fotografare
il corpo di riferimento che pretende il giusto spostamento sul
percorso giusto per trovare il punto giusto da cui fotografare.
Analogo concetto quello espresso dal filosofo spagnolo Ortega
y Gasset, secondo il quale la prospettiva una delle componenti
determinanti della realt; una realt che vista da qualsiasi punto
resta sempre identica un concetto assurdo [Espuche, 1994]. E
dunque il punto di vista, la prospettiva da cui guardiamo il mondo
determinante almeno quanto i caratteri di ci che vogliamo
fotografare, anzi il punto di vista si fonde con le caratteristiche
delloggetto fotografato, in altre parole il contesto parte
delloggetto.
Il contesto dellarchitettura, per, non solo quello fisico, ma anche
quello disciplinare, normativo, che ne condiziona e ne orienta la
produzione. La citt costruita attraverso i regolamenti e i vincoli.
Se il contesto urbano, oltre che un insieme di oggetti fisici anche
un complesso di norme, di idee e di visioni progettuali, allora per
verificare il potere di interlocuzione che la fotografia pu avere
con le pratiche urbanistiche pu essere utile passare in rassegna
alcune delle teorie sulla citt moderna formulate da teorici, storici
e progettisti italiani del dopoguerra.
Per fare un esempio tra i molti possibili: il progetto urbano, pratica
teorizzata intorno agli anni Novanta come modo per uscire dal
campo ristretto dellurbanistica pura e per promuovere concreti
strumenti di trasformazione delle citt italiane, stato ed ancora
un ottimo campo di analisi per la fotografia. La sua dimensione
pi di una architettura e meno di una citt consente di
superare i limiti della fotografia di architettura sguardo tendente
al convenzionale, analisi post-factum e al tempo stesso di
ancorare lo sguardo fotografico a situazioni e ad ambiti precisi, l
dove si sta per sviluppare un progetto di rilievo sociale e non solo
privato come quasi sempre il caso di una singola architettura.
Per giunta lapertura di cantieri di vaste dimensioni e lunga durata
consente alla fotografia di documentare lo sviluppo del progetto,
53
implicitamente entrando pi da vicino e pi direttamente in un
ruolo progettuale.
Il progetto urbano stato ritenuto un mezzo per unire buona
architettura con buona urbanistica, senza troppi squilibri a favore
delluna o dellaltra. Anche quando il nome non era ancora stato
coniato, il progetto urbano esisteva gi nei fatti, se appunto si
tratta di un progetto capace di coniugare discipline diverse ma
vicine, ivi comprese la tutela dei beni culturali e la capacit di
creare nuovi paesaggi, nella citt e nei suoi immediati dintorni. Il
progetto urbano, parlando degli anni a noi vicini, torna a nascere -
o torna ad essere molto presente - quando la grande crescita delle
citt ormai alle spalle e bisogna confrontarsi con il riuso delle
aree urbane dismesse o degradate, cio con la crescita dentro la
citt, non al di fuori di essa. Se vero che il progetto urbano non
soltanto una architettura grande, per difficile negare che esso
si realizza soprattutto attraverso architetture, ed dunque una
occasione di fare architettura. E di confrontarsi con larchitettura
esistente. Non a caso tornare ad occuparsi di citt costruita pi che
di costruzione di appendici di citt ha fatto s che siano riemersi
i temi della costruzione moderna in centro storico e sia rinata la
questione della coesistenza di nuovo ed antico. Questo uno dei
meriti del progetto urbano, inteso come progetto di riqualificazione
dellesistente, promosso dagli strumenti urbanistici operativi dei
primi anni Novanta: i programmi integrati (nati nel 92), di recupero
urbano (1993) e di riqualificazione urbana (introdotti da un decreto
ministeriale del 1994).
Molto stato scritto su ci che caratterizza e definisce il progetto
urbano. La scala, ovviamente, intermedia tra quella architettonica
e quella urbanistica. Ma anche i tempi diversi del processo
attuativo. Laffermarsi della pratica del progetto urbano avrebbe
accompagnato il passaggio dal piano immobile, regolatore a
quello strategico e strutturale, che cerca di confrontarsi con le
opportunit del progetto, con la verifica della sua fattibilit, con
le sue istanze estetiche e sociali. Si tratterebbe di guardare il
progetto dalla parte del piano anzich come pi sepsso si
fatto il piano dalla parte del progetto.
Nel dopoguerra, dopo lentrata in vigore della legge urbanistica
nazionale del 42 si aperta una stagione dellurbanistica che
aveva assegnato allarchitettura un ruolo un po secondario,
conseguente, subordinato. Ma negli anni Ottanta lo sprawl
urbano ha reso evidente se non il fallimento, almeno le carenze
del piano; lurbanistica si come resa conto che con gli anni
aveva perso la sua connotazione di progetto, rintanandosi nella
sua versione minore, di regola, di prescrizione, ma che ci non
ostante non controllava il territorio come aveva creduto, e si
speranzosamente riavvicinata allarchitettura, chiedendole aiuto
e collaborazione. Cos larchitettura negli ultimi anni ha preso
a significare molte pi cose di prima, anche paesaggio, anche
ambiente, anche citt. Come in tutti i processi umani, una continua
oscillazione non genera equilibrio, ma transita solo per un tempo
molto breve per il punto di equilibrio, e a volte quei momenti
di passaggio possono essere unici nei loro effetti, producendo
tracce permanenti e memorabili nelle citt. Questo purtroppo non
accaduto in Italia, almeno non nella seconda met del secolo
scorso, che non ci ha lasciato davvero prodotti memorabili, nel
54
campo dellarchitettura. In questi ultimi anni, poi, lago della
bilancia si forse sbilanciato troppo verso unarchitettura solo
estetizzante, clamorosa, glamour, virtuale, di facciata, senza
alcun riferimento al contesto. Questo il rischio congenito della
(cattiva o scadente) architettura, cos come il rischio della (cattiva
o scadente) urbanistica la bidimensionalit, come sosteneva
Bruno Zevi, e cio la sua capacit di disegnare solo il terreno, non
lo spazio urbano.
Alcuni dei principali architetti e teorici italiani degli ultimi decenni
hanno lasciato contributi importanti su questioni fondative del
progetto urbano. Se ne pu cercare qualche esempio, per vederne
i rimandi alla cultura fotografica. Concetti come spazio urbano,
fenomeno urbano, monumento, parti di citt, temi collettivi
ricorrono nei loro libri, e passano sulla scrivania dei progettisti
spesso attraverso interpretazioni fotografiche dautore.

2. Bruno Zevi e lurbatettura.


Zevi coni il termine di urbatettura per definire lunit delle due
discipline e riconoscere i casi eccellenti. Si riferiva inizialmente
alle opere dellarchitetto americano di origine polacca Jan Lubicz-
Nycz, secondo il quale lurbanistica moderna ha prodotto due idee
con cui ha continuamente, e senza successo, cercato di rispondere
alle crescenti domande imposte dal processo di urbanizzazione.
Esse sono la citt-giardino, scaduta a sinonimo di espansione
periferica; e la Ville Radieuse, che propugn luso razionale di
edifici alti, la viabilit a pi livelli, le sistemazioni paesaggistiche,
ma in effetti stata utilizzata per realizzare enormi ed inumani
blocchi residenziali.
Secondo Zevi, la zonizzazione e la mentalit segregazionista
hanno continuato a lungo a separare la vita in compartimenti stagni:
zone industriali, zone residenziali, comunicazioni e trasporti, zone
ricreative. E necessario liberarsi da questa concezione di unit
isolate, pensare strutture organiche, con pluralit di funzioni,
atte a formare gusci-contenitori di umanit. La molteplicit delle
funzioni urbane non deve pi essere affrontata col metodo di una
meccanica aggregazione, e pu trovare una sintesi nell, intesa
come la possibilit, insita nel progetto architettonico, di realizzare
parti di citt, attraverso proposte mega-strutturali di contenitori
polifunzionali integrati che formano il tessuto urbano stesso.
Allorigine di questo pensiero stanno le proposte utopiche dei
giapponesi, di Archigram, di Yona Friedman, che sono pressoch
coeve, ma nel suo caso gli studi si spingono a verificare la
concreta fattibilit strutturale, economica e sociale degli interventi.
Zevi utilizza il neologismo di Nycz in due sue opere, Il linguaggio
moderno dellarchitettura (1973) e Storia dellarchitettura moderna
(nella revisione operata a distanza di un quarto di secolo dalla
prima uscita, e cio nel 1975). Con ci dunque fa proprio il termine
urbatettura e lo introduce nel dibattito italiano, precisandone il
significato come superamento dei difetti delle due discipline: da
un lato il disegno a due sole dimensioni dellurbanistica, dallaltro
il progetto architettonico che non dialoga con lintorno. Per inciso,
da questi principi consegue che il disegno tridimensionale fa il
pregio dellurbanistica, e questa posizione serve a rivalutare lo
schizzo, che non solo un abbozzo dellarchitettura, ma anche
55
del progetto urbanistico, come insegnava con la sua pratica di
urbanista-artista Luigi Piccinato.
Per Zevi il termine urbanistica ambiguo e polivalente; riguarda
infatti tre aspetti: programmazione economica territoriale,
configurazione regolamentata degli abitati, costruzione spaziale
concreta della citt. Anche larchitettura pu essere suddivisa
in tre momenti: concezione economico-sociale delledificio,
distribuzione funzionale degli ambienti, realizzazione effettiva.
Per entrambe le discipline, i primi due aspetti attengono alla
progettazione, ma solo il terzo, quello concreto, lelemento
che occorre saper vedere. La distinzione fra urbanistica-spazio
esterno e architettura-spazio interno uno schema utile, ma per
cogliere il carattere di uno slargo, un vicolo, un quartiere valgono
gli stessi metodi critici atti a definire le sale, le gallerie, i portici, la
corte di un palazzo. E operazione analoga, secondo Zevi, saper
vedere lo spazio architettonico e quello urbanistico, perch la
realt stereometrica di un edificio dipende dai punti di vista esterni,
cio dalla conformazione dello spazio urbano in cui simmerge; e,
viceversa, questo spazio qualificato tridimensionalmente dagli
edifici che lo contornano ed elettrizzano. A rigore, non esistono
n architettura n urbanistica, ma soltanto urbatettura. Malgrado
il salto di scala, la sostanza del discorso non muta..
Zevi si chiede se lo spazio urbano configura gli edifici o ne viene
configurato, e si risponde che dipende dai casi. Due esempi
contrapposti sono rappresentati da piazza Farnese a Roma, in
cui il prepotente aggetto del cornicione michelangiolesco blocca
il prisma spaziale e conferisce significato allinsieme, e da piazza
del Campo a Siena, il cui valore sta invece proprio nellinvaso,
in quanto la cortina edilizia che la cinge neutra e opaca, e
la torre del Mangia, che non certo neutra e opaca, si rivolge
per non alla piazza ma alla citt intera. La circostanza che lo
spazio urbano sia generalmente scoperto non lo sono peraltro
i bazar orientali, n le gallerie e i portici; case pensili ed archi
valicano le strade di Perugia e di Siena non lo differenzia
dalle cavit architettoniche: implica soltanto che la linea di cielo,
segnata dai fastigi degli edifici, acquista enorme rilievo ().
Questo concetto evidentemente molto importante per le sue
implicazioni fotografiche: la citt precisamente quello spazio
in cui la linea di cielo definita dallo skyline, essendo di solito
impossibile percepire dallinterno delle aree urbane lorizzonte,
che invece il tratto percettivo che distingue gli spazi extraurbani,
e per tradizione la veduta paesaggistica classica.
Zevi stato certamente tra i teorici dellarchitettura quello che pi
frequentemente ha fatto uso della fotografia. Molti dei concetti
espressi pi sopra erano corroborati, nelle sue pubblicazioni, da
immagini fotografiche. Che per restavano in una certa misura
subalterne alla visione dello storico, venivano cio usate in una
modalit confermativa, e mai dichiarando il debito allautore,
molto spesso ignoto. A volte i suoi libri sono illustrati con foto di
allievi dei corsi dello IUAV o della Facolt di Architettura romana,
o ancora con immagini degli archivi storici, come Villani, Alinari,
Brogi, Anderson.
Uno dei momenti pi ricchi di conseguenze nella carriera di Zevi
storico e critico stata certamente la realizzazione della mostra
ferrarese Identit di Biagio Rossetti, che apr nel giugno del 1956
56
nel ridotto del Teatro Comunale di Ferrara, una mostra realizzata
attraverso immagini fotografiche, che gener il libro su Biagio
Rossetti e pi tardi il Saper vedere lurbanistica. Zevi fa un uso
non autoriale e tutto sommato subalterno della fotografia, ma,
visti i tempi, lo si pu considerare un pioniere dellattitudine a
spiegare grazie allimmagine fotografica - questioni spaziali, di
rango urbanistico e non soltanto architettonico.
La rivista Larchitettura. Cronache e storia, che diresse per una
vita fino a una reciproca identificazione, ovviamente costruita
in larga misura con fotografie. Alcuni numeri sono segnalabili,
sia perch contengono testi teorici su lrapporto tra fotografia e
architettura, sia per modalit duso peculiari della fotografia nella
interpretazione dellarchitettura e della citt [Galli 2003].
In LA n. 16, febbraio 1957, Italo Insolera pubblica un testo,
Fotografia e architettura, tratto da Ferrania nn.8 e 9, agosto-
settembre 1956. Insolera sostiene che non impossibile
fotografare larchitettura, come spesso si dice, quanto che
impossibile documentarla con la fotografia, perch la fotografia
ce ne d unimmagine bidimensionale e statica, mentre unopera
architettonica estremamente mutabile con lo spostarsi di chi
la osserva. Per questo, il lavoro di collegamento mentale tra le
diverse immagini presuppone una conoscenza precedente alle
fotografie, per poter dare luogo a una associazione fra le immagini,
a una sequenza significativa, e soprattutto conforme al vero. In
altre parole, la soggettivit di chi guarda ed elabora con la sua
esperienza le fotografie, mettendole in una sequenza sensata,
decisiva quanto lo quella dellautore delle immagini, e questo
alla fine conduce a una modificazione del senso dellarchitettura,
dellopera dellarchitetto, che pu perfino dar luogo a equivoci
interpretativi. Quella del lettore delle immagini una terza lettura,
dopo quella dellarchitetto e del fotografo.
Insolera parla di documentazione figurativa per definire quella
che in grado di fornire la fotografia (ma anche il cinema, che
non fa che aggiungere movimento, e con questo connessioni
delle immagini che compongono la sequenza, ma fornendo
in questo modo il punto di vista soggettivo del regista), e cio
conoscenza solo della figura, della forma. Per dare una compiuta
descrizione del fabbricato e mettere cos in luce le molteplici e
fondamentali relazioni che lo legano alla vita, per fare un vero
discorso critico, legando cos la storia delledificio con la storia
delluomo e della societ, la fotografia pu fare comunque di
pi del disegno, superarne i limiti congeniti, quando ad esempio
fotografa le persone, luso che esse fanno delledificio, quando
fotografa il cantiere, le vicende che hanno portato alla creazione
di quellarchitettura.
Questo proprio quanto era avvenuto nella stessa rivista, con
un bellissimo servizio fotografico nel numero 13 del novembre
1956 sul Centro sociale cooperativo Grandi e Bertacchi a
Milano (a cura dellarchitetto Franco Marescotti). Insieme con
le foto delledificio realizzato, ci sono fotografie dei volti degli
operai che lhanno costruito, dei soci della cooperativa, degli
incontri nelle sale riunioni, insomma della gente e degli eventi
del processo costruttivo. C un bel testo di Emilio Tadini, che
spiega. Il progettista, nel suo testo di presentazione, dice che
vuole raccontare quattro anni di lavoro. Che consapevole di non
57
46. Pagina interna di Larchitettura.
Cronache e storia, n. 13 / 1956

aver fatto niente di speciale dal punto di vista architettonico, ma


rivendica la qualit del percorso, dal punto di vista sociale, politico
e culturale. Nasce cos, dopo un lungo processo partecipativo,
il centro sociale, da osteria con il pergolato e il campo di bocce,
come era prima, uno dei tanti luoghi cos nella periferia milanese
di quegli anni.
Alcuni numeri di LA sono monografici, e dedicati al lavoro di un
singolo architetto, indagato soprattutto attraverso la fotografia. Fra
questi, il n. 82 dellagosto 1962, dedicato a Bear Run, la Casa sulla
cascata di Frank Lloyd Wright, e il n. 262-63, agosto-settembre
1977, dedicato a una rilettura delle opere brunelleschiane in
chiave moderna.
Lopera dellarchitetto americano illustrata con immagini di un
fotografo non professionista, Paul Mayen, che ne d una lettura
in progressivo avvicinamento, riferita anzitutto allambiente, al
terreno, agli alberi, alle rocce, allacqua, e perfino alle diverse
58
stagioni. Poi si dilunga sui dettagli esterni, prima di passare
alle foto di interni. In questo caso, Zevi affianca le fotografie al
proprio editoriale e al saggio conclusivo di Edgar Kaufmann Jr.
dal titolo Venticinque anni nella Casa sulla Cascata, mentre nel
caso del numero sullopera di Brunelleschi sembra appropriarsi
in modo molto pi diretto della regia del percorso fotografico.
Una promenade sensuosa e concettuale, la definisce, affidata
all obiettivo sagace del fotografo Pino Abbrescia e di Pupa
Bucci Casari, Fabio Santinelli, Eugenio Monti. La ricerca visiva
si propone non solo una documentazione puntigliosa, ma precisi
intenti critici. E volta a una rivisitazione dellopera del grande
architetto, con occhi snebbiati dai dogmi rinascimentali, per
reagire contro ogni tentativo di ascriverlo al filone classicista, con
una operazione analoga a quella in atto da parte degli architetti
post-modern, per dilapidare leredit di Wright, Le Corbusier,
Mendelsohn, De Stijl, Scharoun, Aalto.
In appendice, Zevi fornisce con la consueta perizia, una chiave
delle immagini appena viste dal lettore, riconoscendo tra esse le
immagini-indice - ad esempio, la porta dangolo nella Sacrestia
Vecchia, o un contrafforte della lanterna della cupola di Santa
Maria del Fiore - oppure indicando come le fotografie riconoscono
le fabbriche brunelleschiane: come reticolo di appropriazione
urbana, o ancora sottolineando temi connessi a singoli elementi
architettonici, come la cupola, la lanterna, il rapporto tra interno/
esterno, o questioni di linguaggio come concavit-convessit, o
le analisi sulla luce come elemento generatore della spazialit
architettonica. E questo appunto lelenco di tematismi che
evidentemente Zevi ha fornito ai fotografi, incaricandoli di
verificarlo con le proprie immagini. Da questo punto di vista, questo
un lavoro di survey fotografico paragonabile ai migliori esempi
di campagne fotografiche realizzate per indagare un fenomeno,
sia esso urbanistico, economico, sociale, ecc. Lunica differenza
che si tratta in questo caso di un rilevamento architettonico.

3. Aldo Rossi e limmagine padana.


Sviluppando le proprie riflessioni sul rapporto tra singoli edifici e
spazi della citt (ma conducendole a conclusioni piuttosto diverse
da quelle di Zevi), Aldo Rossi, nel suo Larchitettura della citt
(1966), si chiede dove comincia lindividualit di un fatto urbano;
se nella sua forma, nella sua funzione, nella sua memoria o in
qualcosaltro ancora. Conclude che si identifica con lavvenimento.
E cos ad esempio per il santuario, dove si fanno i primi passi
verso il sublime. Tutti sono consapevoli dellavvenimento,
esso si ripete e si fa concrezione, diventa elemento di citt. Non
basta la forma (dimensione, bellezza, particolare riconoscibilit,
grande capacit comunicativa, fascinazione, appeal, facile
memorizzazione, ecc.); la funzione potenzialit, ma da sola non
sufficiente a creare lavvenimento, che deve esserci, e ripetersi,
e diventare necessario, atteso, simbolicamente ed eticamente
rilevante. E anche non basta la memoria, se col tempo si estinto
tutto il resto, se essa solo rievocazione mentale di un passato
morto, che non accade pi. Queste riflessioni dovrebbero essere
stimolate in profondit, per dare luogo a un piano urbanistico
fondato.
Ma possibile prefigurare lavvenimento? E possibile imporlo,
59
con la semplice destinazione di unarea, con la sola localizzazione
di un edificio, o individuando un comparto di intervento, un ambito
di riqualificazione? Sembra arduo, se vero che la citt nella
sua storia. Come diceva Cattaneo, Rossi dellidea che il
valore dei fatti urbani viene loro assegnato dal fatto che sono un
immenso deposito di fatiche. La citt unopera di architettura
o ingegneria che cresce nel tempo. E dunque pu darsi il caso di
una aggiunta al tempo nostro, attuale. Ma con quali regole, a quali
condizioni? Rossi risponde che ancora valido linsegnamento
empirico di Camillo Sitte, che raccomanda il lato artistico del
progetto urbano, sia esso una piazza, una strada o un edificio,
perch artisticamente importante soltanto ci che pu essere
abbracciato con lo sguardo, ci che pu essere visto.
Quanto alle scale dei luoghi, se ne riconoscono tre, quella della
strada, con le costruzioni e gli spazi non costruiti; quella del
quartiere, costituito da isolati con caratteristiche comuni; quella
della citt intera. Noi possiamo domandarci a quale di queste
scale si situa il progetto urbano, ma la risposta non facile: alla
seconda, se vero che si parla di scala intermedia. Alla prima
solo se il luogo o larchitettura hanno molta forza, allultima solo
se lurbanistica ne ha poca, cio se la dimensione urbana
limitata, e dunque incapace di soverchiare il singolo intervento,
pur se esteso allintorno.
Come noto, Luigi Ghirri stato un precoce e originale interprete
delle architetture di Aldo Rossi, e con larchitetto milanese,
tramite la figura di Vittorio Savi, ha intrattenuto un rapporto
di stima e di collaborazione pi che amichevole. Per giunta,
hanno scritto pagine reciproche, cio luno sul lavoro dellaltro.
Tuttavia le teorie di Rossi non sono mai state oggetto di un lavoro
fotografico specifico di Ghirri o di altri, ponendo la citt al centro
di una indagine volta a commentare visivamente la concezione
rossiana. Sarebbe stato un compito indubbiamente ciclopico,
ma il contributo che ne avremmo avuto dal punto di vista della
diffusione di una percezione urbana acuta e problematica ci lascia
il senso di una mancanza grave.

47. Luigi Ghirri, Quartiere Gallaratese


(Aldo Rossi)

60
C poi da sottolineare che Rossi insiste in pi parti del suo
lavoro teorico sul concetto di monumento, che stato di fatto
rimosso dalla cultura urbanistica italiana degli ultimi quarantanni
e che invece per natura ha forti connessioni con i caratteri alla
base del progetto urbano. La rimozione del monumento nella
nostra cultura urbanistica quanto gi notava Vittorio Savi
[Savi, 1976], e la riconosce come effetto della stigmatizzazione
dellarchitettura classicista del fascismo. Ma, secondo Savi,
lesempio del Gallaratese, dove ledificio di Rossi sta accanto a
quello di Aymonino, dimostra che il monumentale pu prodursi
sia con lordinamento assiale di Rossi che con la pi aggressiva
manipolazione delle componenti formali, la trascuratezza e
linvenzione variata di Aymonino.
Dunque il monumentalismo non questione di linguaggio, ma
di tono; e non peculiarit del totalitarismo, come vuole il luogo
comune con cui si stabilita una bizzarra equazione tra architettura
democratica e architettura articolata. [] Prescindendo dal livello
linguistico, nel suo libro Rossi chiarisce nei monumenti un congegno
principale e una forma sintetica dellespansione urbana, che oggi
parlando di progetto urbano siamo forse chiamati a riconsiderare.
Rossi scrive che i monumenti sono le persistenze, nella citt, come
anche lo sono i tracciati e i segni del piano. Per questi elementi
permanenti sono di due tipi, sia patologici che propulsori. Qual
la distinzione tra i due? Il carattere permanente e non patologico
e dunque propulsore del Palazzo della Ragione a Padova sta
nel fatto che ancora usato, e pur essendo pacifico per tutti che
si tratta di unopera darte, esso al piano terreno funziona come
un mercato al dettaglio, e questo prova della sua vitalit. E
abbastanza chiaro cos invece una permanenza patologica, e
Rossi lo spiega senza mezzi termini: le conservazioni cosiddette
ambientali stanno ai valori della citt nel tempo come il corpo
imbalsamato di un santo sta alla immagine della sua personalit
storica.
Il valore dei monumenti dunque propulsivo e benefico per
lo sviluppo della citt: il processo dinamico della citt tende
pi allevoluzione che alla conservazione e nellevoluzione i
monumenti si conservano e rappresentano dei fatti propulsori
dello sviluppo stesso. E questo un fatto verificabile, lo si voglia
o no. Se ne pu dedurre che un obiettivo del progetto urbano
pu essere la monumentalit, intesa in questo senso positivo, o
si deve continuare a credere alla contrariet di sapore zeviano
al monumento come inaccettabile retorica?
Queste domande trovano frequenti risposte nel modo di
fotografare la citt che vedremo nei capitoli successivi, da parte di
Paolo Monti e Gabriele Basilico soprattutto, dove le componenti
monumentali e la ricerca degli avvenimenti urbani concretizzati in
luoghi simbolici cercano di continuo un equilibrio che ovviamente
ogni autore trova in posizioni diverse tra loro.

4. Carlo Aymonino.
Anche Carlo Aymonino studia larchitettura come fenomeno
urbano. Nel senso che larchitettura elemento costitutivo della
citt, ma non coincide con essa. Nel suo libro Il significato delle
citt Aymonino esamina i caratteri della citt moderna (XVIII-XX
secolo) e prova a relazionarli a specifici interventi architettonici, in
61
particolare cerca di vedere se i nuovi processi di caratterizzazione
indotti dalle architetture hanno significativamente variato la
struttura urbana precedente. Utilizza per questo alcune analisi
specifiche, per esempio riflette sulla diade monumento-intorno,
e si interroga se questa, oltre a essere un parametro di giudizio
sul passato possa essere ancora una indicazione operativa per
il presente; si chiede se possibile considerare la citt come un
prodotto architettonico; si chiede se esista una crisi della tipologia,
intesa come elemento ordinatore e semplificatore dei fatti urbani;
e infine se la citt pu essere costruita per parti formalmente
compiute, se cio larchitettura possa avere non solo una finalit
esemplificativa o dimostrativa, ma risolutiva.
Mentre Aldo Rossi identifica in sostanza larchitettura con le
emergenze, Aymonino considera il rapporto tra monumento
e intorno come il risultato di un processo storico, non una
categoria valida in s e dunque utilizzabile come indicazione
operativa. Anzi, esso entra in crisi con lo sviluppo delle forze
produttive moderne, crisi che peraltro va vista in una prospettiva
positiva, di apertura di nuove potenzialit. Aymonino si chiede
in che misura larchitettura moderna una componente della
citt contemporanea e si risponde che ci accade solo nel caso
di Brasilia, e in minore misura con Chandigarh e Dacca. Se
prendiamo una guida dellarchitettura moderna di Berlino, Vienna,
Parigi, Milano non troviamo che interventi puntiformi, anche le
Siedlungen di Francoforte e Berlino o gli Hofe di Vienna non
riescono ad essere parti di citt formalmente compiute.
Le caratteristiche che accomunano alcuni famosi esempi di
architettura moderna (tra cui la Cit de rfuge di Le Corbusier,
il Sanatorio di Duiker a Hilversum, il progetto per uffici di El
Lissitzky e Mart Stam) a detta di Aymonino sono principalmente
due: che la loro costituzione formale si pone in contrasto con
la citt esistente quale struttura che ignora o non permette il
manifestarsi di quella architettonica; e che al loro interno si
manifesta una assoluta indipendenza delle parti, come rottura e
alternativa del rigido e gerarchico sistema compositivo barocco;
un processo riconosciuto come principale contenuto della
architettura dellilluminismo e pienamente congruente con let
dellindividualismo novecentesco.
In definitiva, Aymonino conclude che lanalisi urbana una
materia che entrava proprio in quegli anni nel novero degli
insegnamenti universitari non fornisce gli strumenti per
lintervento architettonico: non c un nesso diretto di causalit, e
se vi fosse si cadrebbe diritti nella imbalsamazione accademica
dellarchitettura, come dimostrano ampiamente i progetti di
Muratori e della sua scuola [Aymonino, 1975]. Lanalisi urbana
per uno dei pochi strumenti che possano dare un contenuto
logico alla progettazione, assicurandone in tal modo i caratteri
di trasmissibilit e continuit dellesperienza. (In altra parte del
suo ragionamento lautore rivendica anche il ruolo simbolico e
formale di alcune celeberrime parti incomplete della citt, si
pensi al Prato della Valle a Padova). Lanalisi delle strutture
urbane interviene nella progettazione l dove si deve assegnare
un ruolo alle strutture stesse []: quale parte delle citt antica
mantengo e perch (restaurandola o trasformandola); che ruolo
assegno ai monumenti (confermando il precedente o mutandolo
62
completamente); quali permanenze trasferisco nel nuovo assetto
e quali abolisco ecc., sono tutte operazioni di progettazione. La
citt per parti formalmente compiute comunque un problema
che pu essere affrontato soltanto in presenza di due rare
condizioni: la propriet unica del suolo, pubblica o privata
che sia, e una dimensione dellinsieme che corrisponda alle
necessit da risolvere, dando loro forma concreta nella quantit
e nella qualit edificata. E per concludere: la definizione di
parte resta quindi un problema aperto: essa pu essere ununica
architettura, quanto un sistema che imposti la struttura dinsieme,
cui aggiungere liberamente le varie parti (come sostituzione del
rapporto <strada corridoio case che vi prospettano>) o ancora
un settore urbano individuabile e definibile in s (corrispondente
alle <aggiunte> storiche della citt tradizionale. In tutti i casi il
carattere necessario (e non ancora sufficiente) perch una parte
si costituisca in quanto tale rispetto allinsieme, che essa sia
formalmente compiuta, quindi architettonicamente riconoscibile;
e tale riconoscibilit data dal giudizio (analisi + intervento) che
si d sullinsieme.
Non c dubbio che tra i fotografi italiani che pi compiutamente
e proficuamente hanno lavorato sui temi della citt antica e della
sua conformazione, sui suoi processi di crescita e di integrazione/
opposizione con la citt moderna Paolo Monti. Il suo rilevamento
dei centri storici soprattutto il primo, quello bolognese pu
essere considerato il diario visivo dellintuizione di un progetto
urbano ante-litteram, il piano del centro storico di Bologna. Se
ne parler in seguito. Ci che sembra utile sottolineare in questo
momento, la forza delle interpretazioni di Aymonino sulla citt
storica, e lindubbio travaso che tramite il suo lavoro si avuto nella
cultura disciplinare italiana, e di qui nel lavoro contemporaneo di
fotografi come Monti sulla citt storica.

5. Quaroni e le scale.
Nel suo Progettare un edificio (1977), Quaroni si pone il problema
delle scale di progettazione e osserva che il processo progettuale
attraversa momenti razionali e momenti irrazionali, ma questi
ultimi sono crescenti quanto pi ci si avvicina alla piccola scala.
Infatti la programmazione nazionale e la panificazione territoriale
e in larga misura anche quella urbana vede una forte prevalenza
dei contenuti sugli aspetti formali, e per questo si muove in un
maggiore ambito di razionalit e di scientificit, rispetto alla
irrazionalit-artisticit della scala architettonica. E dunque non
ci sono dialoghi tra le diverse scale? Quaroni sembra rispondere
solo nei termini della necessit di un dialogo tra gli specialisti delle
diverse scale, convinto che il bagaglio degli studi, latteggiamento
culturale e linsieme delle tecniche di analisi e progettazione,
e perfino gli artifici e i segreti del mestieri creino differenze,
distanze e addirittura incompatibilit ideologico-comportamentali.
La soluzione starebbe nella progettazione interdisciplinare,
piuttosto che nellesistenza di una figura in grado di controllare
ogni processo, dallaeroporto al cucchiaio.
Quanto alla forma urbis e al modo con cui una citt media si
trasforma ed evolve in una citt grande, Quaroni cita alcune
modalit di crescita senza chiarire il ruolo dellarchitettura. In
primo luogo ricorda la legge della persistenza del piano formulata
63
nel 1926 da Pierre Lavedan: il rinnovamento di una citt tende a
realizzarsi se non vi sono cambiamenti notevoli delle idee sulla
citt colla sostituzione, via via, dei singoli edifici con edifici nuovi
che quindi rioccupano esattamente il posto lasciato dalledificio
pi antico, mantenendo intatto, o quasi, il tessuto stradale. Inoltre,
i metodi elencati da Quaroni sono gli sventramenti, le addizioni
esterne, sia laterali (Ferrara, Modena, Berlino fredericiana) che
per fasce successive sempre pi esterne (Firenze, Colonia, Roma
dopo il 1870) o per nuclei pi esterni ancora (le new towns inglesi),
ed infine le ristrutturazioni di quartieri, intendendo precisa il
re design, ovvero la riprogettazione dellintero tessuto, cio non
solo i tipi edilizi ma le destinazioni e la viabilit.
Possiamo rintracciare in queste osservazioni molti temi tipici del
lavoro di diversi fotografi contemporanei, occupati a rappresentare
le stratificazioni della crescita urbana, ossia la crescita della citt su
se stessa, ma anche laumento delle dimensioni orizzontali della
citt, il modo in cui si forma il tessuto urbano, dal germogliare dei
tracciati e della occupazione del suolo al consolidarsi della trama
viaria e del riempimento dei lotti attraverso tipi edilizi diversi.

6. Politiche urbane pubbliche, un breve excursus.


I quattro casi di stretta relazione tra urbanistica e fotografia che
presentiamo nei capitoli seguenti si riferiscono ad autori (Monti,
Ghirri, Basilico, i nuovi topografi) che riflettono nel loro lavoro
e in una certa misura anticipano le questioni che la cultura
urbanistica contemporanea approfondisce a livello teorico ed
affronta poi anche a livello operativo. Lo scambio di informazioni
e riflessioni continuo e bidirezionale, e dunque risulta difficile
stabilire il senso di provenienza. Quel che interessa sottolineare
come la fotografia giochi un ruolo determinante in questo scambio,
lo abbia fatto negli decenni passati e possa continuare a farlo in
modo anche pi preciso e frequente in una prospettiva futura.
Lo scambio tra fotografia e urbanistica transita in verit attraverso
un terzo elemento, la percezione urbana collettiva, che la fotografia
contribuisce a creare e che a sua volta determina gli orientamenti
dellurbanistica. La fotografia, in quanto strumento che produce
informazione, concorre in misura non piccola allopera di
ricodificazione, ridimensionamento, riplasmatura e controllo dello
spazio nei suoi patrimoni ambientali [Gambi, 1978]. Concorre cio,
secondo il suo specifico apporto - quello visivo alle mutazioni
di significato del territorio in rapporto alla citt e alla diffusione di
tale significato tradotto in immagine. [] Limmagine delle citt
si offre pertanto come il risultato di un processo di interazione
tra lesperienza del soggetto percipiente nella quale entrano
anche i fattori del vissuto e il dato oggettivo rappresentato dalla
presenza storica della citt. La fotografia si inserisce come un
elemento di mediazione in questo processo di transazione tra
linterno (il soggettivo) e lesterno (loggettivo). Perch questa
transazione sia possibile occorre che limmagine propria del
soggetto linterno venga socializzata, divenga insomma
immagine pubblica. E nello stesso tempo che il dato oggettivo
offerto dalla realt si mostri il pi vicino possibile allimmagine
soggettiva [IBC, 1980]. In questo modo la fotografia partecipa alla
costruzione di un inconscio ottico collettivo. La modificazione del
contesto urbano passa prima di tutto attraverso la modificazione
64
dei vari soggetti che interagiscono per quel fine: decisori politici,
progettisti, cittadini, realizzatori, ecc. La fotografia favorisce la
diffusione e il consumo del linguaggio che lurbanistica produce.
Per questo motivo ci sembra utile rammentare in sintesi, qui di
seguito, i temi pi importanti nel dibattito, nella pratica e nella
legislazione urbanistica dai primi anni Settanta in poi, con lintento
di mettere in evidenza quanto il lavoro dei fotografi di cui si parler
attiva uno scambio continuo con questo settore, traendone
ispirazione e a sua volta restituendo interpretazioni.
Agli inizi degli anni Sessanta, il contenimento dellespansione
urbana gi una necessit avvertita. Nel 1967 il ministro socialista
Giacomo Mancini riesce a fare approvare dal parlamento la
legge-ponte, il cui obiettivo principale era ladozione di forti
limiti volumetrici alla edificazione nei comuni sprovvisti di piani
regolatori. Per non trovarsi a dover ridurre drasticamente lattivit
edilizia, i Comuni dovevano avviare le procedure necessarie per
lapprovazione degli strumenti urbanistici fino ad allora sempre
rimandati. Lo spirito della norma sta come evidente nellidea
dimostratasi poi in larga misura eccessivamente fiduciosa
nelle virt della pianificazione urbanistica di poter contenere
lo sviluppo urbano grazie allesistenza di regole di sviluppo
condivise. La legge non ebbe per efficacia pari alle attese, sia
per i limiti insiti gi al proprio interno, che per gli ostacoli creati
via via dallindustria delle costruzioni e dallo stesso Consiglio di
Stato, ma soprattutto per lintrinseca debolezza dei principi che
la sostenevano, basati sulla concezione tipicamente italiana di
unurbanistica vista non come una visione strategica della citt e
del territorio ma come limitazione allattivit edilizia, una riduzione
che al tempo stesso autolimitazione e mortificazione della
disciplina.
Nel 1968, il decreto ministeriale che fissa i limiti minimi inderogabili
dei cosiddetti standard urbanistici verde pubblico, scuole
dellobbligo, parcheggi, attrezzature di interesse comune culturali,
religiose, sociali introduce anchesso innovazioni rilevanti, ma
contribuisce a mantenere la legislazione e la concreta attuazione
dellurbanistica in una dimensione quantitativa che non pu
affatto incidere sulla gi avvertita e negli anni sempre pi evidente
necessit di migliorare la qualit del costruito, in termini sia estetici
che funzionali e strutturali.
Il problema della casa, il movimento sindacale e la protesta del
68 conducono nel 71 alla approvazione della legge 865, che
riorganizza in modo radicale il settore delledilizia economica
e popolare, sulla spinta delle lotte per la casa di quegli anni.
Ancora una volta per lapprovazione di nuove norme si scontra
con immediate reazioni contrarie: questa volta della propriet
immobiliare, che provoca successive sentenze della Corte
Costituzionale volte a rendere inefficaci o difficilmente praticabili
dai Comuni le nuove norme sulla espropriazione dei terreni,
prevedendo indennizzi altissimi e vanificando il tentativo della
legge 865 di separare il diritto di propriet dei suoli da quello di
edificazione, concezione invece profondamente radicata nella
cultura del nostro paese, e che fu affrontata e, di nuovo, solo
parzialmente risolta - nel 1977 con la legge Bucalossi.
A fine anni Settanta poi interviene un importante provvedimento,
la legge 457 del 1978 che istituisce il piano decennale per la
65
casa e introduce nuovi strumenti attuativi per il recupero edilizio, i
piani di recupero del patrimonio edilizio esistente. Si tratta di una
estensione allintero tessuto edilizio delle concezioni del recupero
finora limitate alle parti pi pregiate della citt, i centri storici, la
cui politica di valorizzazione e restauro inizia in Italia gi a fine
anni Sessanta, quando nel 1969 viene adottata la variante al
piano regolatore bolognese per il centro storico. Nel 1972 viene
presentato il progetto del Piano per lEdilizia Economica e Popolare
nel centro storico, che prevedeva lesproprio degli edifici di cinque
comparti, utilizzando la legge 865 del 1971 appena approvata
Lannuncio di questo progetto crea aspettative ma anche reazioni
contrarie. Tanto che pian piano le previsioni si ammorbidiscono
di molto, anche a seguito delle proteste dei piccoli proprietari, e
solo nel 1975 si sottoscrivono alcune (poche) convenzioni con
cui attuare privatamente il piano, restando prevalente lattuazione
pubblica, con cospicui finanziamenti della Gescal, il fondo
costituito con il prelievo sugli stipendi dei lavoratori.
Nel 1975 viene istituito il Ministero per i Beni Culturali, per iniziativa
del senatore Giovanni Spadolini, che sar il primo responsabile
del dicastero. In quel settore uno dei momenti di maggior fervore
politico-amministrativo deriva dalla approvazione della Legge 431
nel 1985, la cosiddetta legge Galasso, che obbliga le regione a
dotarsi di piani paesistici, elencando comunque aree di tutela
paesaggistica connesse ai fenomeni geografici e naturalistici pi
importanti sul territorio, come coste, rispetto dei fiumi e dei laghi,
ecc.
Nel frattempo per, e negli stessi anni, continuano anche tendenze
contrarie, come la legge 47 del 1985, la Nicolazzi sul condono, e
nel 1982 la istituzione del silenzio-assenso come procedura di
autorizzazione edilizia, con conseguenze inevitabilmente negative
sullespansione delle citt, sia in termini quantitativi che qualitativi.
Come bilanciamento politico, interviene nel 1986 la istituzione del
Ministero dellAmbiente, mentre nel 1990 esce la legge 142, che
prevede listituzione delle aree metropolitane. Il provvedimento
sembra quanto mai opportuno per governare con strumenti pi
idonei le conurbazioni del nostro paese, ma rimane poi di fatto
inattuato, soprattutto per i problemi connessi alla inevitabile
soppressione o riduzione del territorio delle relative province.
Negli anni 90 inizia poi la fase della cosiddetta urbanistica
contrattata, che alcuni vedono come una inopportuna riscoperta
dellarchitettura contro lurbanistica. Il rapporto spesso conflittuale
tra le due discipline storia vecchia in Italia, dove lurbanistica
anzich connotarsi come stato nei principali paesi europei
nordici e di cultura anglosassone - come un insieme di regole
derivanti dalla necessit di governare processi sociali, demografici,
economici, sconta un vizio di origine che ha visto lurbanistica
condizionata dal forte legame con la cultura architettonica [] si
cos guardato alla fase finale di un processo di trasformazione,
quello degli aspetti formali, pi che a governare la complessit delle
cause della trasformazione stessa. Nella concezione dominante,
se larchitettura era la disciplina del come, lurbanistica era
quella del dove costruire; unurbanistica, quindi, ancella
dellarchitettura [Scattoni, 2004].
La legge 179 del 1992 istituisce i programmi integrati di intervento,
lo strumento con il quale si presume di poter migliorare la qualit dei
66
quartieri di edilizia popolare, producendo una maggiore variet di
funzioni, di tipologie edilizie, di operatori degli interventi. Nel 1993
la legge 493 introduce i programmi di recupero urbano, e nel 1994
un decreto ministeriale per la prima volta in Italia fa riferimento al
necessario recupero delle aree industriali dismesse, lanciando i
programmi di riqualificazione urbana. Molti strumenti urbanistici
innovativi, basati sullurbanistica concertata o contrattata, che
in Lombardia e in Piemonte ha gi dato luogo a deregulation e
polemiche su realizzazioni di grande entit come il Lingotto e
la Bicocca. Nel 1996 seguono i contratti di quartiere, nel 1998 i
programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del
territorio (PRUSST). Le periferie sono sempre pi al centro delle
politiche urbanistiche.
Nel 2000 viene approvata la Convenzione europea del paesaggio,
istituita la DARC, la direzione del Ministero per i Beni Culturali
che per la prima volta prende a occuparsi di architettura ed arte
contemporanee, nello stesso anno il XXIII congresso dellINU a
Napoli dedicato al progetto della citt contemporanea, e quello
successivo del 2003 a Milano, a Citt e regioni metropolitane in
Europa.

7. Casi di stretta relazione tra urbanistica e fotografia.


Come si visto, tra lurbanistica e il progetto autoriale in fotografia
si crea con gli anni un interstizio dove si forma una nuova materia,
il paesaggio urbano. Lurbanistica produce regole, procedure
approvative, idee di sviluppo territoriale e urbano, e conseguenti
atti di governo, previsioni edilizie, demografiche, infrastrutturali,
volendo anche un progetto di societ (nelle sue versioni pi
utopiche e irrealizzate), o almeno un progetto di nuova forma
urbis.
Di solito questo avviene con lausilio di materiali fotografici di
studio, rilievi speditivi, puramente conoscitivo-quantitativi. Sono
questi i materiali che confluiscono nelle decisioni e nelle scelte
dei piani urbanistici. Daltra parte esiste il lavoro di fotografi-
autori, spesso frutto di proprie istanze, di una propria sensibilit,
svincolati da esigenze di programmazione pubblica, ma influenti
nellorientare lo sguardo collettivo.
C chi sostiene probabilmente non a torto che lo sguardo
dautore tanto pi innovativo e carico di scoperte quanto pi
lasciato libero di esercitarsi al riparo di domande pressanti, senza
dover diventare verifica di qualcosa, di una tesi per esempio. Cos
i ritratti di fabbriche di Basilico nascono in libert, e in libert anche
le ricerche di Luigi Ghirri. Tuttavia, sia esso libero totalmente o
parzialmente, lo sguardo dautore ha portato negli anni mattoni su
mattoni alla costruzione del paesaggio urbano.
Ci si potrebbe chiedere se ha contribuito di pi Monti o Ghirri a
fissare limmagine collettiva dellEmilia-Romagna. E un quesito
che ammette molte risposte, e dunque non ne produce davvero
nessuna. Apparentemente Monti ha avuto pi effetto progettuale e
pubblico. Ma stato cos perch dietro Monti cera una macchina
organizzativa potentissima. Al confronto, Ghirri ha prodotto effetti
con la sola forza della sua evidenza, della sua lapalissiana verit.
E un po anche come se Ghirri avesse smontato di giorno ci
che Monti montava di notte. Con una metafora un po facile li
si potrebbe definire amici-nemici acerrimi, come Peppone e Don
67
Camillo, e come questi contribuiscono in fondo a evidenziare lati
diversi ma essenziali del paesaggio regionale.
Monti lultimo grande fotografo interprete della modernit,
il suo un racconto epico che ancora non smette di essere
raccontato, la citt era quella delle politiche della conservazione,
lavvenimento urbanistico era il piano del centro storico, il progetto
era il rilievo che le sue fotografie componevano incessantemente,
la forza della sua immagine condiziona a tuttoggi lidea di citt
che Bologna esprime.
Ghirri ci appare come sguardo libero, ironico, demitizzante, che
si allarga sul mondo padano a macchia dolio, come in quegli
anni la citt iniziava ad allargarsi. Lavvenimento urbanistico non
in questo caso leffetto di un piano, di una politica virtuosa e
della sua programmazione efficace, invece lo sprawl, la fine
della divisione tra citt e campagna dopo secoli di lunga durata,
insomma gli effetti visibili della civilt dei consumi di massa.
Basilico registra un po in tutto il mondo e anche in Italia la nascita
della megacitt-ipercitt e lanalogia delle sue forme, la ripetizione
dei suoi modelli. Nel suo sguardo, il moderno entra in scena ed
equivale allantico, larcheologia dellindustria si pone a fianco
di altri temi urbani concernenti la citt antica, e lavvenimento
urbanistico la formazione delle aree dismesse, la nascita della
riqualificazione urbana, i programmi integrati di intervento per il
recupero dei quartieri popolari.
Guidi e i new topographics italiani sono gli autori che sanciscono
che la globalizzazione compiuta anche da noi. Compaiono i nuovi
abitanti, la citt inizia a diventare un mosaico di culture e di diritti.
Crisi economica e crisi della politica decretano la scomparsa dei
grandi progetti, il diritto ad auto-organizzarsi produce la fine del
paesaggio inteso come eccezionalit, e il diffondersi di un tono
qualunque che pervade ogni cosa.
I quattro casi che si esaminano in successione nei capitoli
seguenti evidenziano anche un progressivo spostamento
da un primo momento in cui con Monti, in particolare la
fotografia a svolgere un ruolo subalterno, di servizio, nei confronti
dellurbanistica come complessivo sistema tecnico, politico e
decisionale; e una fase pi recente, in cui al contrario sembra che
sia lurbanistica a cercare di interpretare i segnali che la fotografia
autonomamente e autorevolmente impone allattenzione e
allagenda delle pubbliche amministrazioni. Se Monti eseguiva
di fatto un programma definito dalla pubblica amministrazione
bolognese, Basilico e Guidi disegnano in larga misura gli orizzonti
di sensibilit relativi alle periferie e al paesaggio ordinario delle
nostre citt.

68
5. PAOLO MONTI E IL PROGETTO POLITICO DEL
TERRITORIO

1. Premessa: una regione ad alto tasso fotografico.


La storia della fotografia in Emilia-Romagna tra il 1970 e il 1981
ci aiuta a leggere e a spiegare lascesa e la caduta della Regione
modello e della sua progettualit. Tra il 1970 anno della mostra
Bologna centro storico e il 1981 anno della mostra Paesaggio,
immagine e realt, di cui parleremo pi diffusamente nel prossimo
capitolo, a proposito di Luigi Ghirri - inizia a svanire la capacit
di interpretare le dinamiche territoriali da parte delle pubbliche
amministrazioni e della classe politica locale. Si esaurita la spinta
propulsiva ideale della ricostruzione, la societ rurale ormai
scomparsa, iniziata lurbanizzazione massiccia e si affermano i
fenomeni di massa, con il turismo costiero, la realizzazione delle
autostrade, ecc. Le radici della crisi del modello politico emiliano
che oggi sbocciata in tutta la sua drammatica evidenza
cominciano invisibilmente a formarsi gi nel massimo momento
di splendore del capoluogo, quando il boom del decennio
precedente ha gi orientato le scelte di crescita urbanistica con
lo sviluppo a nord e il piano di Kenzo Tange. La nascita della
cultura della conservazione avviene anche grazie a un blocco
ideologico e culturale molto esteso, trasversale e maggioritario,
che salda poteri locali, universit, imprenditoria in una solidariet
intransigente e impenetrabile.
LEmilia-Romagna deve al lavoro che Paolo Monti ha svolto qui
tra fine anni Sessanta e met anni Settanta una gran parte della
propria immagine, quella con cui conosciuta dentro e fuori i
propri confini. Prima, molto prima allincirca tra gli ultimi ventanni
dellOttocento e i primi venti del Novecento - c naturalmente la
serie delle inquadrature dei fratelli Alinari che pi di tutte le altre ci
viene alla mente come fosse una ossessione da cui non possiamo
liberarci [Nicoli, 1992], e ci sono i vari fondi fotografici storici, di
Brogi e Anderson, Poppi e Romagnoli, custoditi nelle principali
fototeche della regione, dalla Panizzi di Reggio Emilia, al Centro
Studi e Archivio della Comunicazione dellUniversit di Parma,
alle Collezioni darte della Cassa di Risparmio in Bologna, oggi
confluite nel patrimonio della Fondazione Cassa di Risparmio.
E poi ci sono alcuni affreschi memorabili, come quelli di Paul
Scheuermeier, Enrico Pasquali, Paul Strand e Cesare Zavattini. Ma
innegabile che limmagine del paesaggio urbano della Regione
costruita da Monti proprio in quegli anni di transito dalla modernit
alla postmodernit ci colpisce proprio in quanto sembra essere
lultima delle grandi imprese che hanno visto una solida alleanza
della politica con la cultura e lurbanistica; quando era ancora
possibile affermare le cose in modo cos chiaro e perentorio, e
trovare al tempo stesso tanti osservatori - o forse per meglio dire
ascoltatori - cos affascinati e convinti del messaggio portato dalle
fotografie.
L Emilia-Romagna da sempre una regione dove la fotografia
attecchisce con particolare vigore. Alcune rassegne mirate, come
69
la mostra del 1997 alla Galleria civica di Modena curata da Walter
Guadagnini, hanno messo in evidenza che alcune citt emiliane
Reggio Emilia e Modena in particolare e unarea romagnola
che ha il suo epicentro a Cesena vedono gi negli anni Settanta
una concentrazione assai notevole di fotografi, spesso autoctoni,
favoriti anche da una altrettanto notevole attivit istituzionale che,
in tempi diversi, ha certo contribuito a creare lhumus necessario
alla nascita e allo sviluppo duna koin artistica in grado di
prolungarsi nel tempo. Quattro autori vengono individuati come
lantefatto: Franco Fontana, Franco Vaccari, Guido Guidi e Luigi
Ghirri. A cui altri ne conseguono tra i quali Giovanni Zaffagnini,
Olivo Barbieri, Paola De Pietri, William Guerrieri, Corrado Fanti,
Luciano Leonotti, Riccardo Vlahov.
Tra le ragioni che vengono portate per spiegare questa
concentrazione fotografica, vi lesistenza di due centri
propulsori: la reggiana Biblioteca Panizzi detentrice dellarchivio
Ghirri - e la modenese Galleria Civica; ma anche la costituzione
a Bologna del DAMS - Dipartimento Arti Musica e Spettacolo -
presso il quale dai primi anni Settanta insegnavano tra gli altri
Italo Zannier, Paolo Monti, Gianni Celati; e la creazione a Parma
per opera di Arturo Carlo Quintavalle del CSAC Centro Studi
e Archivio della Comunicazione - oltre alla qualit dei docenti e
degli insegnamenti di fotografia nelle due Accademie di Bologna
e Ravenna [Guadagnini, 1997].
A questo elenco gi ricco necessario aggiungere lopera
di Andrea Emiliani presso la Soprintendenza alle Gallerie di
Bologna, con la realizzazione delle precocissime Campagne di
rilevamento delle aree appenniniche: a Emiliani si deve anche
laver portato a Bologna e in Emilia-Romagna Paolo Monti, e il
progetto dellIstituto regionale per i Beni Culturali, che negli anni
successivi eserciter un azione di largo respiro nelluso della
fotografia per il censimento dei beni culturali e soprattutto per
lidentificazione dei paesaggi storici della regione.
Questo fervore di idee e questa ricchezza di protagonisti si
moltiplica anno dopo anno, con la creazione di case editrici
precisamente orientate alla fotografia come Punto e virgola di
Ghirri, con la pubblicazione di libri fondamentali come Fotografia
e inconscio tecnologico di Franco Vaccari (1979), con alcune
imprese di Vittorio Savi, come la sua partecipazione alla mostra
bolognese del 1981, Paesaggio immagine e realt, fortemente
connotata dal ruolo delle fotografie di Ghirri su alcuni centri della
pianura padana, e ancora con il sodalizio tra Ghirri e Savi nel
documentare il cimitero di San Cataldo di Aldo Rossi per la rivista
Lotus nel 1983.
Tutto questo culmina come una sorta di celebrazione di
livello nazionale nella mostra veneziana del 1989 per il 150
anniversario della nascita della fotografia [Costantini-Zannier, 1989],
curata da Paolo Costantini al Museo Fortuny e dedicata in larga
misura al lavoro di Guido Guidi e Luigi Ghirri. Paolo Costantini
uno dei giovani critici emergenti di quegli anni, insieme con
Roberta Valtorta, critici come osserva Italo Zannier, che di fatto
il loro maestro - finalmente formatisi sullo specifico della fotografia
e non ad essa avvicinatisi come storici dellarte [Zannier, 1994].
Valtorta oggi dirige il Museo della Fotografia Contemporanea di
Cinisello Balsamo, lunico museo di fotografia esistente in Italia;
70
Costantini scompare prematuramente, dopo aver contribuito a far
nascere, con Guidi, William Guerrieri altro fotografo emiliano
e lurbanista Bernardo Secchi il centro Linea di Confine per la
Fotografia Contemporanea di Rubiera, attivo da ventanni nella
perlustrazione fotografica del territorio regionale e non solo.
Due giovani ricercatori della Facolt di Architettura di Cesena,
aperta nel 1999, Stefania Rossl e Massimo Sordi, e una attiva
direttrice, Paola Sobrero, animano dalla fine degli anni Novanta
il Festival della fotografia di Savignano sul Rubicone, un piccolo
centro pedecollinare del circondario riminese. Soprattutto negli
ultimi anni il Festival si occupato di temi legati al territorio: la
quindicesima edizione, quella del 2006, titolata Il viaggio. Azione,
esplorazione, conoscenza ha ospitato mostre personali di autori
come Olivo Barbieri, Francesco Radino e Gianni Berengo
Gardin. Nel 2007 (Singolare plurale. Identit e percezioni) viene
ospitata una rassegna del celeberrimo lavoro di Robert Frank,
Les Amricains, la cui prima edizione risale al 1955, e laltrettanto
celebrata Vietnam Inc. di Philip Jones Griffiths (1971).

2. Prime avvisaglie di unepopea. C una data che


segna un momento importante per la fotografia di architettura.
E il 1953, giunge in Italia il fotografo americano George Everard
Kidder Smith, e comincia un grande lavoro sulledilizia della
ricostruzione che poi divent il libro Italy Buildings. Il lavoro di
Kidder Smith fatto da un architetto che anche storico e anche
fotografo, ed un particolare tipo di fotografia di architettura. In
senso stretto non lo neppure, perch non riguarda come di
solito accade - un singolo edificio, ma un tema (ma potrebbe essere
anche un periodo, o una zona geografica o culturale); insomma,
una ricerca visiva con un forte spirito critico ed ermeneutico.
Un catalogo, in unepoca in cui la catalogazione degli edifici non
era ancora divenuta una prassi scientifica, codificata da regole
messe a punto dai piani di conservazione e tutela, come avverr
un decennio dopo.
Per questo, il lavoro di Kidder Smith richiama alla mente le estese
campagne di rilevamento urbanistico e culturale che furono
inventate in Emilia-Romagna nei tardi anni sessanta, facendo uso

49. Paul Scheuermeier, Comacchio, 1923



71
dellobiettivo di Paolo Monti. E delle sue gambe, verrebbe da dire,
visto che il fotografo novarese il migliore esempio del rapporto
intimo tra la fotografia di paesaggio e il camminare a piedi,
instancabilmente, facendo uso di quella particolare misura della
velocit che consente di entrare, uscire, avvicinarsi, allontanarsi,
procedere oltre e tornare indietro, ingredienti fondamentali per la
buona riuscita del rilievo urbano, o per meglio dire di quello stradale.
La citt edificio per edificio, isolato per isolato, percorrendo strada
per strada.
Proprio in quello stesso anno 1953, Paolo Monti lascia il suo
lavoro di direttore del Consorzio Agrario Provinciale di Venezia,
si trasferisce a Milano e abbraccia la professione fotografica.
Durante la settimana Monti fotografava ci che gli chiedevano 49. Luciano Leonotti, Porta Lame,
Bologna, 1993
di fare, ma la domenica usciva armato della sua Leica e girava
per le periferie. Rest un autore esistenziale; il fotografo del
tempo, si direbbe del tempo domenicale e pomeridiano della citt.
Non si trasform nel fotografo dello spazio dellarchitettura. Non
lo divent mai [] il che non imped che fosse onorato come il
maggiore fotografo italiano di architettura [Savi, Reggio].
Monti sosteneva che le forme pi antiche di fotografia sono
state certamente larchitettura e il ritratto, e poi la natura morta
e il paesaggio [Valtorta, 2008(2)], e amava citare una frase di Paul
Valry: La vrit est un moyen; il nest pas le seul. E un mezzo,
non il solo; ma tanto vale usarlo. Le sue foto sono vere perch si
impongono come tali, perch nessuno le ha mai smentite. Anche
se con il passare degli anni levidenza dei fatti che ha descritto ci
appare radicata in modo molto pi profondo nella realt territoriale
dellAppennino bolognese di quanto non sia per il monumentale
lavoro sui centri storici, ideologicamente orientato almeno tanto
quanto scientificamente condotto.
Monti considerato un fotografo di architettura perch nel suo
archivio sono conservate foto di opere dei BBPR, di Anselmi, Albini,
De Carlo, Moretti, Quaroni, Gardella, Figini e Pollini, Magistretti,
Nervi, Pagano, Pancaldi, Ponti, Samon, Scarpa, Sottsass,
Vigan e altri ancora dei principali architetti del Novecento italiano.
Ma soprattutto notissimo in Emilia-Romagna per gli imponenti
rilevamenti dei centri storici, migliaia di immagini dedicate al
paesaggio urbano, decisive per la formazione dei piani urbanistici
di conservazione.
La vicenda che si svolge nellEmilia-Romagna inserita nel
contesto nazionale e internazionale, anche se mantiene suoi
propri caratteri di specificit. Sono molti gli studiosi che in questa
regione dialogano con la fotografia e con i fotografi dal loro
specifico campo disciplinare, con arricchimenti reciproci: storici
dellarte, architetti, geografi, urbanisti. Sembra per che ognuno
si appropri delle immagini del territorio regionale per farne un
proprio uso specialistico e alla fine parziale, ideologicamente
orientato e dunque non pienamente efficace nellinterpretare le
trasformazioni che a partire proprio da quegli anni e fino ad oggi
hanno radicalmente mutato il volto della regione.
Questa regione esemplifica bene i modi della transizione tra il
paesaggio urbano moderno e quello contemporaneo. Il lavoro
che vi svolge Paolo Monti una grande narrazione caratteristica
dellepilogo del moderno, ne ha la dimensione, la forza e in un
certo senso la rigidit. Quella che vi si vede la citt moderna, nel
72
senso di non ancora contemporanea, una citt priva di periferia
e di espansione, e dunque anche di completezza. Si sente bene
dietro al fotografo la presenza della politica e delle sue scelte, gi
prese e da render note attraverso una idonea propaganda visiva.
Questo rilievo del centro storico, volto alla formazione del piano
di conservazione, rilievo, appunto, ma insieme anche progetto,
perch il progetto nulla deve modificare dellesistente. Il vantaggio
offerto da questo modo di procedere sta nellestrema chiarezza
degli obiettivi operativi, ma il suo prezzo sta nel ritardo che dora
innanzi si accumula nel comprendere levoluzione sociale della
citt e nelladeguare la struttura urbana.

3. Monti, Emiliani, la nuova cultura delle citt.


La cultura urbanistica degli anni Settanta conosce una specificit
bolognese ed emiliana che esce perfino dai confini nazionali:
la pratica della conservazione del centro storico, che per i
decenni successivi ha costituito lobiettivo primario del governo
del territorio nella regione, transitando con poche variazioni nella
prima legge urbanistica dellEmilia-Romagna (1978), nei piani
regionali - territoriale e paesistico - e di qui nelle articolazioni di
scala provinciale e comunale. Questo stato, agli esordi dellente
regionale, lapproccio alla qualit urbana e territoriale.
Paolo Monti fu chiamato alla met degli anni Sessanta dalleditore
Livio Garzanti a commentare visivamente la sua Storia della
letteratura italiana. Andrea Emiliani ne era tra i curatori editoriali, e
cos il legame professionale e umano tra il giovane storico dellarte
e il gi maturo fotografo ebbe inizio. Emiliani in quegli stessi anni
avviava, essendo Soprintendente alle Gallerie Cesare Gnudi, la
prima campagna di rilevamento dei beni culturali dellAppennino
bolognese (1969), secondo un progetto di censimento molto
attento ai legami con il territorio. Loccasione serviva per rifondare
la metodologia con cui compilare gli elenchi e descrivere i
beni, facendo entrare nel campo di interesse temi e oggetti fin
l trascurati, come la viabilit storica o la cultura materiale, e
leggendo tutto il territorio come un museo, o contenitore di beni
culturali, e favorendo in questo modo una tutela democraticamente
estesa anche ai centri minori, piuttosto che che finalizzata alla
spoliazione degli oggetti darte per sradicarli e custodirli in musei
lontani.
Questi principi, che di fatto fondavano una nuova disciplina che
per lappunto fu elevata al rango di un ministero a s stante e
scorporato da quello della Pubblica Istruzione, quello per i beni
culturali, voluto nel 1974 da Giovanni Spadolini provocava
naturalmente una radicale moltiplicazione delluso del mezzo
fotografico, proprio per documentare lesistenza degli oggetti
darte, le loro strette relazioni con i contenitori architettonici, e
particolarmente per certificarne la presenza, quasi come una
foto segnaletica o identitaria. Si stava transitando dal concetto
di monumento a quello di patrimonio culturale, allargando
gli oggetti della tutela e ponendosi dunque urgentemente la
necessit di riconoscerli, e poi di mostrarli, e di raccoglierli in
schede catalografiche. Per tutte queste funzioni la fotografia era
assolutamente necessaria, e Monti ebbe dalla Soprintendenza
alle Gallerie e dalla Provincia di Bologna questo incarico, esteso
alle valli appenniniche del Reno e del Santerno, tra il 1969 e
73
il 1971. Un modello di lavoro che poi negli anni sarebbe stato
portato avanti dai suoi continuatori; nel nascente Istituto regionale
per i Beni Culturali (costruito su un progetto di Emiliani, che
infatti metteva a frutto le esperienze condotte con le campagne
di rilevamento) oper negli anni successivi e per un trentennio
Riccardo Vlahov, il cui lavoro era di quando in quando integrato
da altri fotografi esterni, tra cui Guglielmo Rossi, Corrado Fanti,
Augusto Viggiano.
Le campagne di rilevamento dellAppennino bolognese
lasciarono posto a prosecuzioni decentrate, avendo appunto
disegnato un metodo e dunque un modello replicabile. Ci sono
tuttavia differenze evidenti nel ruolo della fotografia di Monti se
confrontiamo questa esperienza con quella quasi contemporanea
in parte coincidente, poi subito successiva - per la rilevazione
dei centri storici. Trattandosi dello stesso autore, degli stessi anni,
di luoghi e committenti cos prossimi tutte amministrazioni
pubbliche locali, e per giunta con forti omologie politico-
ideologiche - non senza significato rilevarlo, perch la riflessione
che si pu sviluppare concerne limportanza del modo con cui le
committenze pubbliche si propongono di interagire con lazione di
documentazione.
Le campagne di rilevamento un termine dal forte sapore militare
che in effetti descrive loccupazione del territorio montano da
parte delle ragioni della cultura e della storia si fondano su
una interdisciplinariet che assegna alla fotografia lo status di
strumento di ricerca visiva, a cui viene riconosciuta una dignit
del tutto analoga alle ricerche tipiche delle altre materie, la
storia dellarte soprattutto, ma anche la storia, la geografia, la
geologia, la botanica, larcheologia, lantropologia. Monti, che
di l in poi diventa lautore del primo esemplare di paesaggio
urbano coniato direttamente da una amministrazione comunale
in Italia, percorre le strade appenniniche con una autonomia
decisionale perfettamente integrata con quelle altrui, e restituisce
una fotografia documentaria non particolarmente innovativa, ma
carica del sapore della scoperta; un lavoro sul campo che ricorda
esempi storici notissimi, come la Farm Security Administration
americana, la ricognizione sul mondo rurale americano (circa
270.000 fotografie) voluta da Roosevelt e condotta negli anni 1937-
43 da trenta fotografi alcuni dei quali notissimi, come Dorothea
Lange e Walker Evans - che giustamente Andrea Emiliani cita tra
i riferimenti culturali e metodologici.
Evans spiegava in una lettera del febbraio 1934 di cosa deve
occuparsi la survey photography della FSA, e cita lurban taste,
lo street smell [Jeffrey, 2008]. Cose difficili da definire se non le si
dimostra con levidenza e la capacit di convinzione che hanno
i grandi artisti, attraverso la loro opera. Seguendo lesempio del
maestro americano, Monti fotografa borghi appenninici e oratori,
portici e strade, e non si pu dire che non sia evidente il sapore
di quelle borgate, che non si sentano gli odori delle stalle, dei
campi, perfino delle chiese. La descrizione dellAppennino
oggettiva, misurata, non retorica, e non poco, trattandosi di
territori interessati da una pesante crisi demografica, economica
e sociale.
Gi pochi mesi dopo, nellagosto del 1969, con la perlustrazione
visiva del centro storico bolognese che confluir poi nella mostra
74
dellanno successivo, si assiste per a un uso diverso del racconto
fotografico. Un uso che produce una manipolazione della realt
bolognese, descrivendola in modo pi ideologico che veritiero.
Anzitutto, la chiusura del centro al traffico automobilistico, se
poteva ritenersi necessaria per consentire una precisa lettura
dello spazio urbano e delle facciate degli edifici, produceva per
una alterazione della sua immagine quotidiana e concreta, a cui
Monti aggiungeva con lassenza di persone, e quindi con la
cancellazione della realt sociale, delluso degli spazi un carattere
di atemporalit, molto funzionale al messaggio che la fotografia
voleva veicolare: che quella scena urbana era lammirevole frutto
dellarte e della storia, che era giusto desiderarne il mantenimento
o il ripristino laddove fosse stata distrutta o modificata e che
trasformarla in qualunque modo sarebbe stato peggiorativo.
Oltre alle automobili venivano allontanati i cartelli stradali e ogni
possibile inquinamento visivo; la citt compariva, nelle foto di
Monti, come una scenografia teatrale, e lastrazione tipica del
bianco e nero, spesso molto contrastato e con forti effetti grafici,
dava ancora di pi un tono di sospensione e di rinvio a un periodo
indefinito della storia, altrettanto indefinito di quei caratteri originari
delle architetture a cui il concetto di ripristino una delle novit
concettuali del piano di conservazione rimandava, invocando
una reductio a un pristinum di epoca imprecisata e imprecisabile,
in quanto probabilmente mai esistita, ma soprattutto immaginata.
Le foto di Monti erano molto diverse dalla realt urbana di quegli
anni: a parte la corrispondenza al reale degli aspetti architettonici,
cera invece una inversione di senso delle immagini rispetto
alluso sociale dei luoghi: lassenza di traffico automobilistico e di
persone le raffreddava dislocandole in uno spazio-tempo astratto.
Stessa considerazione vale per la costante e inderogabile scelta
di tagliar fuori la rappresentazione della citt contemporanea in
centro storico. Nelle sue inquadrature Monti rimuove molti elementi
della storia edilizia e urbanistica anche recentissima, come gli
aspetti della ricostruzione post-bellica in centro storico. Non solo,
ma la citt novecentesca ignorata in tutti i suoi aspetti: dalle
periferie storiche - comprendendovi quelle pubbliche dellIstituto
Case Popolari o semipubbliche della cooperazione indivisa di
abitazione - alle realizzazioni anche di grande qualit dellINA-
Casa e dei piani di zona o dei Piani per lEdilizia Economica e
Popolare, ai grandi interventi infrastrutturali come la tangenziale,
gli assi attrezzati di entrata in citt, alle attrezzature pubbliche
come le scuole per linfanzia, gli impianti sportivi. E se la ragione
pi evidente sta nel fatto che molte di queste cose non sono
in centro storico e dunque sono escluse per definizione dalla
commissione ricevuta, c da dire per che da un lato invece il
centro antico contiene esempi di architettura recente anche di
qualit, e soprattutto che il paesaggio urbano cos disegnato
per definizione parziale e limitato, a meno di non voler sostenere
come tuttora fanno alcuni radicali sostenitori della citt storica,
che ne confermano i limiti alle mura medievali - che lunica citt
quella storica, il resto non conta. Le fotografie che Monti dedica
allarchitettura del Novecento sono davvero poche: qualche
immagine alledilizia pubblica del Ventennio a Forl, ancora meno
le presenze del secondo Novecento, talmente rare da apparire
memorabili nei pochi casi in cui ci succede.
75
4. Esportazione di un modello.
La rilevazione dei centri storici compiuta da Monti produce un
effetto persistente, quasi una eco di vasta diffusione, e in un breve
volgere di anni, fino al 1975, sar infatti replicata praticamente
identica in quasi tutti i centri storici delle citt politicamente
omologhe dellEmilia e della Romagna. Laffinit ideologica dei
committenti agisce come unarma capace di agire con una forza
comunicativa e costrittiva in grado di condizionare i comportamenti
di un gran numero di progettisti, il pensiero di masse di studiosi e
studenti, e perfino di cittadini. Londa tanto lunga da risentirne 51. Paolo Monti, Modena, 1973
ancor oggi, se consideriamo quanto abbia attecchito presso la
cittadinanza la rimozione del moderno in centro storico che del
lavoro di Monti era un presupposto necessario. Non un fatto
strano, se pensiamo che le immagini che Monti ha prodotto
sono oltre diciassettemila. Quasi tredicimila sono quelle relative
al territorio regionale e ai centri storici urbani minori e maggiori,
quattromila circa quelle inerenti il solo centro storico bolognese.
Nellaprile del 1968 e dunque prima del rilevamento di Bologna
- fu prodotto un primo piccolo nucleo di immagini relative a
Brisighella, Faenza, Ravenna, Bagnacavallo, Cesena, Rimini,
52. Paolo Monti, Rimini, 1972
Lugo, Santarcangelo di Romagna, insomma le province romagnole.
Nel giugno ancora Cesena e lappennino cesenate, oltre a una
prima ricognizione di quello bolognese, soprattutto in comune di
Porretta Terme, che costitu il materiale della prima campagna
di rilevamento promossa dalla Soprintendenza alle Gallerie, poi
utilizzato in una mostra a Porretta. Nellottobre dello stesso anno,
Faenza, Comacchio e ancora Porretta e dintorni. Nellaprile del
1969 unaltra parte dellAppennino bolognese (Grizzana, Vergato,
Camugnano), nel giugno lindagine fotografica sulla strada di
crinale fra le valli del Reno e del Setta. Nellottobre Lugo, nellaprile
del 1970 ancora lAppennino bolognese, poi in giugno i comuni
di Monzuno, Vergato, Lizzano in Belvedere, Gaggio Montano, in
agosto Marzabotto, in ottobre circa quattrocento immagini di Pieve
di Cento. Nel marzo 1971 altre immagini di Pieve di Cento, di
Bentivoglio e di Castelmaggiore (dunque, la pianura bolognese),
nel giugno la vastissima produzione relativa allAppennino
imolese (comuni di Castel del Rio e Casalfiumanese), quella
sullAppennino forlivese nel settembre, e le immagini di Terra del
Sole in agosto, contemporaneamente allintero centro storico di
Forl, ancora nel settembre alcune zone dellhinterland bolognese
(Corticella). Nel marzo del 1972 inizia il rilevamento del centro
storico di Cesena, che dura sei mesi, fino allagosto inoltrato.
Intanto, nello stesso anno, i rilevamenti di Santarcangelo di
Romagna, San Giovanni in Persiceto e Medicina. Nel 1973 ancora
Medicina e, in agosto, chiuso al traffico come in tutti gli altri centri
storici maggiori, il centro storico di Modena. Nel 1974 lindagine
sul territorio ferrarese: Bosco della Mesola, Valli di Comacchio,
Cento, Pomposa, il Po. In marzo-aprile Cervia e ancora immagini
su Brisighella e Cesena. Nel luglio 1975 altre immagini su San
Giovanni in Persiceto e, in agosto, il centro storico di Ferrara.
Lintensit, la densit di questo programma d conto del metodo di
lavoro di Monti: lo spessore quantitativo del materiale funzione
diretta degli intendimenti teorici che giustificavano lopportunit
della esecuzione delle campagne di rilevamento. Tre infatti
76
sono gli obiettivi principali, ognuno di per s impegnativo. Una
revisione culturale del problema dei beni storico-artistici (quali e
quanti), una revisione amministrativa degli enti e degli organismi
territoriali preposti alla tutela (il Ministero non era ancora stato
creato da Giovanni Spadolini, e lo fu nel 1974), e una revisione
dunque del metodo stesso della gestione. Tutti e tre gli obiettivi
sono evidentemente connessi al decentramento regionale di
alcuni settori, tra cui lurbanistica, ma anche allora si sperava i
beni storico-artistici. In primo luogo cera una concezione globale
53. Luigi Ghirri, Modena, 1972
della conservazione che aveva un naturale bisogno del mezzo
fotografico: lattenzione sempre pi insistentemente rivolta alla
cultura materiale come riconoscimento della preminenza della
storia delle cose in un paese tradizionalmente irretito dalla storia
delle idee; e il conseguente spostamento da una erudizione
verticale, per settori, a un concetto orizzontale, per strati,
dellindagine sul patrimonio storico; laccantonamento di pregiudizi
accademici, come la distinzione tra arti maggiori e minori e la storia
dellarte intesa come storia di biografie e di eventi straordinari; la
convinzione che il patrimonio artistico e storico consente e anzi
richiede un uso sociale, e, insieme, la messa in crisi del museo
come camera del tesoro.
Limportanza dellindagine fotografica di Monti indiscutibile per
le successive elaborazioni dei piani di conservazione edilizia
ed urbanistica; da essa conseguono in pratica anche i concreti
restauri eseguiti. Ma, come si diceva, ancora pi decisiva
nellorientare il pensiero dei bolognesi cittadini e amministratori
pubblici in direzione di una ideologia conservativa ridondante,
peraltro perfettamente in linea con la tradizione della citt, prima
carducciana, poi seguace delle teorie neo-medievaleggianti di
Rubbiani e Bacchelli.
Se la citt comunicata in relazione di causa-effetto con quella
progettata e poi realizzata, le foto di Monti resistono ancora oggi
come principale iconografia bolognese ed emiliana. Ci tanto
pi evidente considerando che Bologna al di fuori di queste
immagini non ha altre rappresentazioni fotografiche estensive
e di pari rango per tutta la seconda met del secolo scorso, se
si eccettua la campagna fotografica fatta eseguire nel 1955 dal
cardinale Lercaro nella periferia, tre anni dopo linizio del suo
episcopato bolognese. La scomparsa di queste immagini ci priva
di un documento storico eccezionale, esempio di un precocissimo
interesse per la periferia urbana e premessa indispensabile per
una operazione sociale, urbanistica e architettonica di portata
europea, la costruzione di oltre quaranta chiese nella nuova
periferia della citt. La rimozione di molte delle azioni del
cardinale conseguita alla sua clamorosa destituzione nel 1968 ha
posto in ombra anche questa sua ciclopica opera pastorale, ed
sicuramente tra le ragioni principali della eclissi dellarchitettura
contemporanea a Bologna che avviene in pratica alla met degli
anni Sessanta, forse addirittura prima dellazione di promozione
della nuova cultura conservativa [Gi. e Gl. Gresleri, 2010].
Lercaro il 23 giugno 1955 effettu per lintera giornata un
sopralluogo nella periferia bolognese, alla ricerca delle migliori
localizzazioni per i progetti delle chiese di periferia. La giornata
resta documentata da alcune immagini conservate nellarchivio
Villani, oggi confluito in quello Alinari, che costituirono il nucleo
77
della mostra sulle nuove chiese, allestita nello stesso anno. In
parallelo con lazione di comunicazione, il cardinale istitu un
Ufficio Nuove Chiese articolato in quattro sezioni pastorale,
economica, tecnica e di propaganda e affid la struttura tecnica
alla direzione dellarchitetto Giorgio Trebbi, pi tardi ispiratore e
fondatore del Centro studi sullabitare OIKOS. Si avvi cos una
stagione di costruzione di chiese, 44 per lesattezza, che raccolse
a Bologna architetti di livello nazionale ad esempio, Vaccaro e
internazionale, come Alvar Aalto e Le Corbusier.

5. Persistenza del piano.


Il piano del centro storico di Bologna il primo della regione, e
a lungo il modello per quelli delle altre citt, non solo emiliane
- divenne operativo nel 1969, essendo assessore allurbanistica
Armando Sarti, su progetto di Romano Carrieri, Giancarlo Mattioli,
Vieri Parenti e Roberto Scannavini, con la collaborazione di
Felicia Bottino e Luigi Mari. Nel 1970 fu pubblicato in un volume,
54, 55. Paolo Monti, Modena, 1973
dalla celeberrima copertina rossa, curato da Pier Luigi Cervellati,
Andrea Emiliani, Renzo Renzi e Roberto Scannavini.
Il piano si ispira a teorie discusse nel famoso convegno di
Gubbio del settembre 1960. Anzitutto, lestensione della tutela
architettonica dal singolo edificio al tessuto urbano nel suo
complesso, alle strade, agli spazi verdi, ai vuoti derivanti dalle
demolizioni belliche. E poi, altro celebre carattere del piano
bolognese, la forte valenza sociale: lidea di voler mantenere gli
abitanti, anche quelli pi svantaggiati dal punto di vista reddituale,
nelle proprie case, opponendosi alla riqualificazione edilizia intesa
come valorizzazione immobiliare e sostituzione sociale. Celebre
fu lidea di prevedere un piano PEEP, di edilizia economica e
popolare, nel centro storico, anzich nelle tradizionali aree di
estrema periferia urbana; forse pi celebre come obiettivo che
come risultati, sia in termini di metri quadri che di concezione del
risanamento.
E non era affatto secondaria anche lidea gi ben sviluppata
nel piano, di destinare ex conventi e collegi a sedi universitarie.
Anche se forse questa scelta ha prodotto anche problemi di
congestione che si sono manifestati nel breve volgere di un
decennio, traumaticamente evidenziati dalle rivolte studentesche
del 77. La previsione di destinazioni universitarie nel centro ha
implicitamente impedito rendendoli inopportunamente alternativi
- la realizzazione di campus universitari esterni alla citt antica. C
un marcato tratto ideologico nelle pagine del libro rosso, ed anzi
cos forte e insistito che sopravvissuto indenne fino ad oggi. Vi
scritto che nel nostro paese, interessato da un incalzante sviluppo
metropolitano (colpevole, questultimo, dellaccentuarsi degli
squilibri tra nord e sud e anche tra diverse aree allinterno di questa
regione), ...la ricerca, gli studi e le indicazioni metodologiche
tendono tutte ad una analisi della forma, alla riesumazione di
concetti relativi alla architettura intesa come arte pura fine a se
stessa che risolve ogni intervento e riscatta qualsiasi situazione
nellespressione artistica [ ], si dice che lurbanistica fallita
[] perch il compito dellarchitetto quello di fare dellarte, di
risolvere in chiave poetica la drammatica situazione urbana del
nostro paese. [Comune di Bologna, 1970] C dunque gi, espresso
78
in modo molto chiaro, il dissidio tra urbanistica ed architettura che
rimasto vivo fino ad oggi e che ha impedito in gran parte la
modernizzazione delle citt emiliane. Il primato dellurbanistica ha
portato a un atteggiamento difensivo contro ci che si opponeva
e si oppone alla conservazione, con conseguenze evidenti sulla
situazione attuale.
In un contesto di questo tipo Paolo Monti realizz una specie di
ritratto dal vivo del centro storico di Bologna, centinaia di splendidi
scatti a mano libera, in un bianco e nero contrastatissimo e in
piccolo formato, lormai desueto 35 mm. Un amorevole ritratto, che
fece poi a tanti altri centri storici: Cesena, Modena, Rimini, ecc.
Di queste fotografie Pier Luigi Cervellati, in quegli anni assessore
comunale, disse che non sono soltanto il rilievo dellesistente,
ma anche il progetto. Una specie di progetto invisibile. Quello
che c destinato a sopravvivere per legge, dora innanzi. La
conservazione del centro storico con il piano di Bologna diventa
infatti una regola in tutta la regione, poi in Italia e anche in Europa.
La Regione Emilia-Romagna preleva cos com la normativa
del piano bolognese e ne fa larticolo 36 della legge regionale 47
del 1978, la prima legge urbanistica regionale. Passano cos per
legge a tutti gli altri casi urbani, piccoli, medi e grandi, le norme per
la classificazione degli edifici e per definire gli interventi ammessi:
restauro scientifico, restauro e risanamento conservativo,
ristrutturazione edilizia.
Anche la legge 457 nazionale, approvata nello stesso anno della
47 regionale, contiene pi o meno le stesse parole. Purtroppo
c anche il ripristino tipologico, una metodica dintervento che
non altro che un falso storico, in una linea di continuit - non
proprio diretta ma nemmeno inconsapevole con gli esempi
di mezzo secolo prima di Alfonso Rubbiani. Se si demolisce un
edificio incongruo con il contesto e si dispone di documenti pi o
meno credibili sul suo stato precedente (senza mai chiarire per
a quale epoca riferirsi, luna o laltra vanno bene, purch diverse
dallodiato Novecento), lo si rifaccia comera (forse). Per fortuna
gli esempi di ripristino tipologico sono pochi, e isolati in alcuni dei
primi comparti di attuazione, compresi quelli destinati al PEEP, ma
il fatto che il ripristino tipologico possibile, previsto, ha dignit
di pratica progettuale, e qui vanno forse rintracciate le origini
dellostracismo allarchitettura contemporanea che compare qua
e l un po in tutto il libro rosso sul centro storico.
Si insinua sempre di pi nella coscienza dei cittadini una concezione
per cui la citt vera quella dentro le mura, perch quella fuori
unappendice malata di cui non c quasi bisogno di occuparsi.
Tanto che nel 1983 lIstituto Beni Culturali celebra ancora le citt
storiche, con un famoso convegno, La salvaguardia delle citt
storiche in Europa e nellarea mediterranea, patrocinato dal
Parlamento Europeo, e con una mostra fotografica di successo,
I confini perduti. E il titolo spiega molto bene di cosa si parla. Di
confini, ancora e sempre. Dentro i quali c il paradiso, fuori dai
quali linferno del brutto. Pier Luigi Cervellati coordina un gruppo
di valenti ricercatori che dettano definitivamente il processo con
cui si forma un piano di conservazione del centro storico. Si forma
liconoteca dellIBC, che da allora, e oggi ancora, fornisce agli
urbanisti e ai progettisti i materiali di base per le loro indagini e i
loro progetti. 56, 57. Paolo Monti, Bologna, 1969

79
Il concetto da comunicare espresso senza mezzi termini da
Cervellati nei suoi scritti di quegli anni: che il rilievo equivalente
al progetto. E Monti produce migliaia di fotografie che significano
proprio questo. Cervellati paragona le foto di Monti agli schizzi di
Le Corbusier: Non mi sembra azzardato affermare che nelle foto
di Monti (quelle di architettura e di urbanistica) ci sia la stessa
capacit interpretativa dello spazio e lanaloga volont conoscitiva
che riscontriamo negli schizzi di Le Corbusier. In entrambi i casi, i
disegni o le foto, documentano, rilevano, confrontano e indagano
una precisa realt e contemporaneamente suggeriscono soluzioni
progettuali o, quanto meno, appropriate letture volumetriche
e spaziali [] Ci fanno capire, le foto di Monti, quali interventi
sono ammissibili per non alterare (o al contrario, per modificare) il
luogo che ha fotografato. Pi avanti Cervellati indica altri modi di
utilizzo delle fotografie in chiave progettuale: le foto confrontate
con gli interventi successivi consentono di misurare gli errori
compiuti. Consentono di valutare la <precariet> del restauro o la
<violenza> della sostituzione [Cervellati, 1993].
Ovunque, nelle citt emiliane e romagnole, limmagine urbana
di Monti diffusa, in mostre, libri, convegni, progetti e piani
urbanistici di conservazione che diventano un caso e un modello
di livello addirittura mondiale. E un pezzo della famosa isola rossa
e del suo successo planetario, un principio apodittico e nemico
di ogni discussione contraria. Vengono elaborate teorie precise
sulla convenienza anche economica, oltre che sociale e politica e
storico-urbanistica, del recupero rispetto alla nuova costruzione.
Ogni volta che se ne parla, sui giornali, nelle riviste, alle tesi
della conservazione sono associate le foto di Monti. Questo
orientamento diventa prevalente e anzi totale nelle universit,
nelle pubbliche amministrazioni, si fondano enti come lIstituto
regionale per i beni culturali, che subito diventano i conservatori
dei materiali di Monti, pian piano si creano le facolt universitarie
di conservazione dei beni culturali, i corsi di laurea, gli specialisti
del restauro scientifico, le fiere e i saloni dedicati come quello
del Restauro di Ferrara - , le strutture ministeriali. Le foto di
Monti sono il commento visivo di questa escalation culturale e
soprattutto politico-culturale.

60. Nunzio Battaglia, Le Gocce, Bologna,


2004
80
6. GHIRRI E LA DISPERSIONE URBANA

1. Ritratti mai visti di citt padane.


Luigi Ghirri, diplomato geometra, comincia a fotografare nei primi
anni Settanta, dandosi come regola di vedere con chiarezza
[Costantini, 1996]. Assume a compito della propria ricerca la necessit
di non lasciare che nulla venga perduto, e utilizza in modo inedito
e perspicace la frammentariet tipica del mezzo fotografico
per dare risalto ai frammenti della vita sociale e del paesaggio
umano, dedicandosi, al contrario di Monti - interprete della storia
e del suo impegnativo peso sulla societ odierna - al fuggevole,
al volatile, a ci che pu sfuggire o restare nellombra, cose che
tuttavia spesso possono condizionare in modo anche rilevante i
sentimenti e le azioni delle persone.
Il metodo del rilevamento dei centri storici che si diffuso in quel
periodo condiziona molto la rappresentazione della scena urbana;
ma soprattutto, i valori che reggono il modello operativo messo a
punto da Monti e Cervellati in pratica non ammettono alternative
credibili. Perch la sensibilit comune si come coagulata
intorno ala sfida di conservare la citt esistente e con essa la
propria memoria e la propria identit. La lotta al consumismo
e alla omologazione condotta da intellettuali come Pasolini e
Sciascia trova in urbanistica la propria espressione nella difesa
del tessuto edilizio e sociale delle citt storiche, contro lo sviluppo
della rendita fondiaria tipico dellespansione urbana. Che viene
vista come una metastasi del corpo cittadino, e come tale non
rappresentabile.
Leccezionalit dello sguardo fotografico di Ghirri sta in larga misura
proprio nel modo con cui lautore concede alla propria curiosit di
rovistare tra gli indizi di una rimozione colossale delle evidenze
del territorio padano, che allepoca pare esclusivamente virtuosa,
ma che negli anni produrr molti danni di mancata presa datto
e di contromisure efficaci. E questo pu avvenire il larga misura
proprio perch lo sguardo di Ghirri libero, non condizionato dalle
attese e dalle necessit di un committente, dalle sue pretese di
ottenere risposte utili alla dimostrazione di strategie gi decise,
come stato il caso di Monti.
Il primo catalogo monografico di Ghirri esce nel 1979, per iniziativa
dellUniversit di Parma. Il curatore, Arturo Carlo Quintavalle,
indica alcuni autori pi giovani (di cinque anni il primo, di
undici il secondo) che si muovono in sintonia con il fotografo di
Scandiano, Giovanni Chiaramonte e Olivo Barbieri. I due infatti,
insieme con Salbitani, Cresci, Guidi, Castella, costituiscono un
cenacolo di amici aperto anche alle frequentazioni di scrittori
Gianni Celati soprattutto da cui derivano esperienze comuni
come la fondazione da parte di Ghirri e Chiaramonte della
casa editrice Punto e virgola o il progetto della mostra Viaggio
in Italia, cinque anni pi tardi.
Il catalogo della mostra del 1979 [Universit di Parma, 1979] contiene
il percorso del fotografo dalle foto del periodo iniziale (fino al 60. Luigi Ghirri, Carpi, 1973, dalla serie
1970), alla serie Kodachrome del 1970-78, al cui interno sono gi ITALIAAILATI

81
contenute immagini di paesaggio urbano connotate da uno stile
radicalmente innovativo: non compaiono i monumenti principali,
i paesaggi eccellenti, niente di simile alla tradizione iconografica
divulgata dalle pubblicazioni del Touring Club Italiano; la citt
raccontata attraverso elementi considerati generalmente secondari
e anzi da sottovalutare - che risultano per ormai determinanti
e prevalenti nel panorama quotidiano contemporaneo, come le
immagini pubblicitarie, le vetrine dei negozi, le insegne stradali.
La serie Colazione sullerba (1972-74) presenta alcuni paesaggi
naturali che potremmo definire kitsch. Ghirri per sembra
rifiutare di descrivere le cose come di cattivo gusto, perch
un atteggiamento troppo elitario; si limita invece a registrare
fenomeni, in quanto ormai talmente diffusi che risulta impossibile
ignorarli. Anche Catalogo (1970-79) prosegue in questa direzione.
La citt descritta per elenchi visivi di rivestimenti, avvolgibili,
infissi, serrande. Km. 0,250 (1973) un altro elenco di questo
tipo, e rileva i duecentocinquanta metri lineari del muro di confine
dellautodromo di Modena. E il rovesciamento dellestetica di
Monti, che al contrario componeva le sue inquadrature scartando
accuratamente lintrusione dei segni contemporanei, isolando
invece esclusivamente le testimonianze della forma urbis storica.
Tutto il lavoro di Ghirri si connota per limpronta concettuale sin
dai suoi primi scatti - soprattutto per effetto dellincontro nel 1969
con lartista Franco Guerzoni - e per la forte carica ironica. E
facile rintracciare il primo carattere nelle serie Atlante del 1973,
viaggio mentale in tutti i luoghi del mondo attraverso i segni delle
carte geografiche, dove si possono trovare scatti che sembrano
opere di Schifano o Mondrian. Della seconda ispirazione sono
testimonianze evidenti i lavori Il paese dei balocchi (1971-
79), dedicata ai Luna Park, chiamati baracconi, con parola del
linguaggio popolare, e ancor pi quelli di In scala (1977-78), che
inaugura le rappresentazioni del paesaggio urbano attraverso
Italia in miniatura di Rimini, poi riprese da molti altri fotografi negli
anni successivi. C in questi scatti tutto il lato pinocchiesco di
Ghirri, come lha definito lamico Celati, e anche linvenzione di
fotografare le cose a cui nessuno bada, che gli riconoscono i
critici pi attenti sin dallesordio nella piccola ma ormai famosa
mostra allHotel Canalgrande di Modena nel 1972.
Ghirri rivela inequivocabilmente che la comunicazione urbana si
trasferita senza che quasi ci si accorgesse di quando iniziato
il fenomeno; ma chiaro che la diffusione della cultura pop ha
avuto un peso determinante - dalla percezione delle architetture
e degli impianti urbanistici a quella dei cartelli, delle scritte, delle
insegne e dei manifesti, che hanno preso il sopravvento sul
tessuto urbano di cui ancora ci parlava Monti pochissimi anni
prima. Lattenzione al modo come si compongono forme e colori
di piastrelle e mosaici nelle facciate degli edifici pi ordinari svela
un parallelo visivo con le composizioni astratte di Mondrian:
lavvicinamento di casi qualunque a modelli artistici di eccellenza
ribalta provocatoriamente le abitudini percettive dellosservatore
della citt contemporanea.
Mettere al centro dellinquadratura un vaso di fiori su un balcone
per Ghirri non significa fotografare un dettaglio, un particolare,
ma indicare quel vaso come forma simbolica della cultura che
ha prodotto quella casa, quella parte di citt. E il criterio preso da
82
una figura retorica classica, la sineddoche, per cui la parte viene
presa a indicare e riassumere il tutto, con un effetto di pungente
straniamento: la prima percezione di rigetto, di incomprensione,
anche di fastidio, ma alla lunga il senso nascosto lavora in
profondit e crea una percezione nuova, pi raffinata e persistente,
come la scoperta gioiosa di una verit celata e svelata solo a chi
percorre lesperienza fino in fondo.
Costantini parla con acutezza di sguardo liberato dallintenzione
di convincere, di affermare [Costantini-Zannier, 1989], e inteso invece
come forma privilegiata dellinterrogazione. Se il linguaggio scelto
svela i riferimenti americani, molte sono le originali differenze, da
attribuire oltre che alla diversit dellapproccio culturale, anche
alle dimensioni dello spazio, e alla scelta del paesaggio delle
periferie, degli spazi marginali, dei giardini. Dai maestri doltre
oceano viene comunque la convinzione che la fotografia una
pratica soggettiva che costituisce un mezzo per scrutare dentro
se stessi prima che nella complessit figurativa del mondo. E
forse proprio per questo lindividuo-fotografo pu mostrare tutto
laffetto che prova per i suoi soggetti, Costantini parla addirittura
di tenerezza.
Se la fotografia un modo di vedere piuttosto che una tecnica,
allora sempre esistita, anche prima di essere inventata.
Questo ci che pensa Ghirri, togliendo importanza a ogni aura
scientifico-specialistica, e radicalizzando gli aspetti filosofici,
fino ad arrivare a dire [Cesena, 1987] che sono proprio gli angoli
pi consueti e canonici, che abbiamo sempre sotto gli occhi e
abbiamo sempre visto, quelli che svelano allimprovviso novit e
aspetti imprevisti. E che nel fotografarli lui aspira a un linguaggio
mediano tra leccessiva imparzialit e quella specie di editing
visivo strettamente personale che utilizzano i fotografi-artisti.
Vuole sfuggire alle due categorie incomunicabili e inconciliabili
della conoscenza e della poetica, vuole stare in equilibrio tra i due
estremi.
Qualcuno ha parlato di lui come di un fotografo rinascimentale
- la definizione di Michele Smargiassi - intendendo mettere
in luce il suo essere polivalente, trasversale: appassionato di
musica (Bob Dylan, Bach, Beethoven, Ry Cooder, e molti altri), di
architettura, di poesia, di cinema (Michelangelo Antonioni, Werner
Herzog), di pittura (Giorgio Morandi, Giorgio De Chirico). E
questo atteggiamento che gli consent di trasformare due ricerche
territoriali come il Viaggio in Italia del 1984 e le Esplorazioni sulla via
Emilia del 1986 in veri e propri progetti di comunicazione globale,
riuscendo nellimpresa non facile di coordinare, lui fotografo, un
insieme di fotografi. Lintento era quello di raccontare un popolo,
come avevano fatto i fotografi della frontiera americana, e in questo
obiettivo si raccoglieva poi lambizione di Ghirri organizzatore di
cultura pi che fotografo.
Viaggio in Italia ha luogo a Bari nel 1984. Laspirazione del curatore
a produrre un grande catalogo dei paesaggi italiani contemporanei
pone questo evento in linea con le figure dei maestri storici come
Canaletto, Bellotto e Guardi in pittura, Anderson e Alinari in
fotografia. Ghirri prende ispirazione dal vedutismo veneziano, oltre
che dalla metafisica e dal surrealismo, aggiungendoci poi del suo,
com ovvio che sia per un grande artista [Nappi, 2000]. Il catalogo
contiene uno scritto di Gianni Celati: Verso la foce. Reportage
83
per un amico fotografo. Qui si parla davvero di paesaggio, senza
aggettivazioni, nel senso pi largo e trasversale possibile. Le
foto di paesaggio urbano non sono molte: Lugo e Pegognaga di
Olivo Barbieri (ma paesaggio storico), Cesena di Battistella, la
stazione di Livorno di Chiaramonte, Casale Monferrato di Mario
Tinelli, Napoli di Mimmo Jodice.
E lo stesso Ghirri in altra occasione a ricordarci come, appena
nata, la fotografia abbia inteso coltivare un rapporto privilegiato
con la scena urbana, visto che la Veduta dalla finestra a Le Gras
di Niepce (1827) inquadra un angolo di edificato di un piccolo
paese dei Vosgi. Ghirri parla dello sterminato numero di immagini
urbane che sono state prodotte di l in avanti, e della impossibilit
di rintracciare un filo da seguire per farne un riepilogo che non sia
parziale o forse anche arbitrario. Lo definisce il riassunto di un
genere, con una espressione da cui trapela forse anche pi che
sfiducia, quasi disprezzo [Gasparini-Ghirri].
Ci nonostante, lui stesso comporr negli anni successivi vari
atlanti di citt mondiali, proponendoli nel quadro di contributi
collettivi di spessore anche rilevante. Come ad esempio nel 1987,
quando partecipa alla XVII Triennale di Milano e al catalogo,
con un testo dal titolo Un cancello sul fiume, illustrato con
varie foto tra cui uno splendido notturno di Luzzara 1985 con
le case tutte azzurre, oltre a varie del cimitero aldorossiano e
del campo di Fossoli. E un testo dedicato alla malinconia, che
come dice Zavattini originaria del Po. Ghirri scrive che non gli
dispiacerebbe abitare nei pressi di Luzzara, e lamico appena
tornato dallAfrica - di cui parla senza nominarlo, e che per
sappiamo essere Celati - inorridisce e esprime il suo disaccordo
(questo lindizio che rivela Celati: parla delle villette geometrili
senza davvero amarle, e in questo meno concettuale di Ghirri
e pi debitore della cultura dominante). Secondo Ghirri i caratteri
della bassa sono proprio la malinconia e limprecisione data dalla
foschia. Il centro di tutto questo mondo padano il cancello nella
piazza di Pomponesco, sul Po. De Chirico, dice Ghirri, usa questa
stessa malinconia come se fosse una materia, come fosse un
colore per le sue tele. Per quella stessa esposizione milanese,
larchitetto Vittorio Valori Perduti - un personaggio immaginario
in cui si cela Vittorio Savi -, nato nella seconda guerra mondiale,
laureato architetto al Politecnico di Milano e dedito alla ricerca di
rimedi architettonico-urbanistici alle citt e alle campagne parte
per un viaggio-avventura da Roma-EUR a Milano. Savi e Ghirri si
impegnano dunque per la stessa mostra e per lo stesso catalogo
a disegnare itinerari e atlanti, ancora una volta, instancabilmente.
E un punto comune della loro ricerca, qualcosa che li avvicina
e li caratterizza entrambi come sperimentatori e indagatori
delle analogie e delle differenze espresse qua e l nei giardini
del villaggio globale dalla multiforme relazione tra architettura e
natura.
Con il titolo Un atlante fotografico sulla metropoli Ghirri fece per
quel catalogo una sua proposta di lettura della geografia urbana
mondiale nel volume Oltre le citt, le metropoli. I ventidue fotografi
che scelse sono Ogle Winston Link, Walker Evans, Andr Kertsz,
Robert Doisneau, William Klein, Robert Frank, Lee Friedlander,
Diane Arbus, George Tice, Art Sinsabaugh, Nicholas Nixon, Joel
Meyerowitz, William Eggleston, Stephen Shore, William Clift,
84
Joel Sternfeld, Ugo Mulas, Klaus Kinold, Giovanni Chiaramonte,
Andrea Cavazzuti, Fulvio Ventura e lui stesso: un tedesco, un
francese, cinque italiani e quindici americani (due nati allestero
Ungheria e Svizzera - ma vissuti negli Usa). Le fotografie datano
dal 1929 al 1988. I luoghi sono in larghissima misura gli Stati Uniti,
e inoltre Parigi, Tokyo, Milano, Caracas, Hong Kong e Atene.
Quattro anni pi tardi, Ghirri ripete la scelta di luoghi e fotografi
nellAtlante metropolitano, un quaderno di Lotus che raccoglie
alcuni dei principali contributi gi pubblicati nei cataloghi della
XVII Triennale Le citt del mondo e il futuro delle metropoli, le cui
pagine assommavano a circa 700, a detta dello stesso Nicolin
una galassia gutemberghiana che a modo suo riproduceva la 62. Luigi Ghirri, dalla serie Touring Club
Italiano, 1986
dispersione metropolitana [Nicolin, 1991]. Ghirri aggiorna latlante,
limitandosi questa volta a soli autori contemporanei e retringendo
decisamente il campo: conferma le scelte di Cavazzuti,
Chiaramonte, Kinold e Meyerowitz, raccoglie foto di Daniele De
Lonti, Joan Fontcuberta, Filippo Partesotti, perfino una foto di Wim
Wenders, ma questa volta soprattutto un gran numero di foto sue.
Le citt sono Atene, Caracas. St. Louis, Leningrado, Chicago,
Zurigo, Houston, Berlino, Roma,Boston, New York, Londra, Parigi,
Hong Kong, Barcellona, Lubiana e ovviamente Modena. Difficile
riconoscere un filo conduttore che non sia esclusivamente una
interpretazione soggettiva, a dire bene autoriale.

2. Elenchi infiniti e incessanti di cose intime.


Lidea di un atlante per raffigurare il proprio mondo unossessione
tipicamente ghirriana, ricorre nei titoli delle sue serie fotografiche
e anche negli scritti o nei lavori editoriali come quello per il
catalogo della XVII Triennale. Con una metafora musicale che
dimostra una volta di pi un riferimento preciso e continuo della
sua cultura, Ghirri ci parla del sentire a strati come modo del nostro
sentire comune, costituito di conoscenze, attenzioni, stimoli,
sentimenti, ricordi, amnesie e novit, informazioni, richiami, echi,
e tutto questo si mescola nel vedere, nel fotografare, addirittura in
una singola fotografia. E dunque limpresa di rintracciare quel filo
in questo sbalorditivo numero di cose unutopia, ogni atlante
soggettivo e circoscritto. In un suo testo Ghirri riporta una
citazione tratta dallo scrittore portoghese Fernando Pessoa sul
vestito di una ragazza seduta in un tram: un viaggio lunghissimo
che parte dalla filanda dove il tessuto stato prodotto, entra nelle
vite degli operai una ad una, tanto che alla fine lintero consorzio
umano davanti agli occhi di chi vede (e pensa, e scrive). E il
vestito solo un dettaglio di una sola immagine di un solo attimo
nella vita di una sola persona in un solo luogo del mondo...
Sono molti gli scrittori oltre agli architetti, come vedremo poi -
che hanno influenzato il lavoro di Ghirri, e tra questi il francese
Georges Perec. Nel suo Approcci di cosa?, che introduce un
libro pubblicato per la prima volta nel febbraio del 1973, egli
scrive che ci che ci parla sempre lo straordinario. Dietro un
avvenimento deve esserci uno scandalo o un pericolo, ci interessa
solo lo spettacolare. Cos, i giornali parlano di tutto, tranne che
del giornaliero, e per questo ci annoiano. Dobbiamo parlare
invece di cose comuni, di quelle che ci toccano davvero, perch
parlano di noi, di come siamo. Si tratta di fondare finalmente la
nostra propria antropologia, di occuparci non pi dellesotico, ma
85
dellendotico [Perec, 1994].
In quel libro sottile (non solo per il formato), Perec fornisce degli
elenchi, parlando della rue Vilin, la strada della sua infanzia,
facendo un inventario di ci che ha ingerito nel 1974, e cos
via. Sono indicazioni utili, oltre che per gli scrittori, anche per un
fotografo che voglia davvero raccontare i luoghi che attraversa:
Descrivete la vostra strada. Descrivetene unaltra. Fate il
confronto. Fate linventario delle vostre tasche, della vostra
borsa. Interrogatevi sulla provenienza, luso e il divenire di ogni
oggetto che ne estraete. Esaminate i vostri cucchiaini. Cosa c
sotto la carta da parati? Quanti gesti occorrono per comporre un
numero telefonico? Perch? Perch non si trovano le sigarette
in drogheria? Perch no? Poco mimporta che queste domande
siano frammentarie, appena indicative di un metodo, al massimo
di un progetto. Molto mimporta, invece, che sembrino triviali
e futili: precisamente questo che le rende altrettanto, se non
addirittura pi essenziali, di tante altre attraverso le quali abbiamo
tentato invano di afferrare la nostra verit.
Possiamo facilmente confrontare questi elenchi pazienti con
alcuni soggetti delle fotografie di Ghirri: cucchiaini, carta da parati,
fotografie ri-fotografate...
Nelle sue Lezioni americane, uscite postume nel 1988, Italo
Calvino fa frequenti riferimenti a Georges Perec, soprattutto in
riferimento a uno dei valori da conservare nel prossimo millennio,
quello della molteplicit. Certamente Ghirri stato influenzato da
questi concetti, anche attraverso lamico Gianni Celati, sodale
di Calvino ed egli stesso scrittore della pianura emiliana e del
Po. Lidea del mondo come garbuglio, groviglio o gomitolo, di
rappresentarlo senza attenuarne affatto linestricabile complessit,
o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi pi
eterogenei che concorrono a determinare ogni evento [Calvino,
1988] viene da Carlo Emilio Gadda. E da Gadda provengono altre
poetiche contemporanee, ad esempio il romanzo come opera
perennemente incompiuta, come rovina di progetti ambiziosi e
quasi inattuabili. Da Gadda transita per Calvino e forse giunge a
Ghirri lenciclopedismo inteso come relazioni infinite tra le cose,
passate e presenti, possibili e reali, ma delle quali tutte occorre
tener conto, dare la genealogia, la provenienza.
Calvino, nel comporre gli ingredienti della qualit del molteplice,
sua primaria necessit psicologica, prende da Marcel Proust
limmagine della rete che collega ogni cosa, il senso della
dilatazione del mondo fino a diventare inafferrabile, e la
conoscenza come sofferenza derivante da questa inafferrabilit.
Anche la leggerezza e lesattezza, altri due dei valori calviniani per
il terzo millennio sembrano essere facilmente accomunabili alla
sensibilit di Ghirri, che dunque sembra essere davvero lautore
che pi di tutti in Italia ha effettuato il transito dellimmagine
fotografica dal moderno al contemporaneo. La precisione di
Ghirri e lesattezza di Calvino hanno forse la stessa origine: Il
mio disagio per la perdita di forma che constato nella vita, dice
Calvino. E la battaglia che Perec combatte con il linguaggio per
farlo diventare il linguaggio delle cose, che parte dalle cose e torna
a noi carico di tutto lumano che abbiamo investito nelle cose;
cos come lidea che la profondit va nascosta alla superficie
(tratta dallo scrittore Hugo von Hofmannsthal) e che ci che
86
nascosto non ci interessa (dal filosofo Ludwig Wittgenstein) sono
certamente concetti di Calvino ma anche di Ghirri, come le sue
fotografie e se non fossero sufficienti da sole, anche i temi delle
sue fotografie - ci svelano con molta evidenza.

3. Una mostra memorabile.


E proprio prendendo in mano e consultando il catalogo del 1979
che Vittorio Savi architetto e critico di felici intuizioni, con il
quale nascer unamicizia ricca di stima reciproca - pensa a Ghirri 62. Luigi Ghirri, Modena, Cimitero di San
come autore di alcune fotografie padane per accompagnare Cataldo (Aldo Rossi)
una sezione da lui curata della mostra bolognese Paesaggio,
immagine e realt, che apre alla Galleria darte moderna del
capoluogo emiliano nel 1981. Savi ha raccontato spesso la
genesi di quel lavoro, che segna indubbiamente un momento
decisivo nella visibilit di Ghirri, anche per i contrasti che si
accendono immediatamente tra interpretazioni antitetiche dei
valori del territorio e del suo stato attuale. Se considerate dal
punto di vista del fotografo e nella concatenazione del suo lavoro,
le fotografie per la mostra bolognese non fanno che confermarne
la ricerca, gi avviata da tempo, delle espressioni del paesaggio
italiano rimosse dalliconografia tradizionale, ispirata a modelli di
esasperato estetismo storico-artistico. Lintuizione di Savi sta nel
mettere questo tipo di immagini a fianco di brevi studi storici sulle
piccole citt padane che pretenderebbero immagini pi conformi
ai contenuti testuali: nei saggi contenuti nel volume ogni autore
descrive i caratteri urbani delle diverse citt padane, ma, al
momento giusto, restio a considerare le aree nelle quali si
consumato il conflitto citt/campagna [Paesaggio, 1981]. Questo
invece proprio ci che Savi ha chiesto a Ghirri di testimoniare, ed
questa loriginalit dellapproccio. E un racconto di strabiliante
anticonformismo, se confrontato con la produzione coeva di
documenti visivi da parte della Regione, in quanto ente che si sta
costituendo e sta cercando di darsi una immagine propria, ma lo
fa con linguaggi e idee molto connesse con la tradizione. Infatti,
mentre la maggioranza dei lavori anche fotografici sul territorio
extraurbano resta allinterno della visione rurale contenuta nelle
opere di Emilio Sereni o di Lucio Gambi - che presiede in quegli
anni il neo-nato Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della
Regione -, Ghirri offre per quella mostra una lettura del contado
che in realt racconta della citt. Citt che si potrebbe presumere
assente da piccole provincie come quelle emiliane e dagli
insediamenti minori sparsi nel territorio extraurbano, ma in realt
inizia proprio in quegli anni a riverberare la sua immagine - anche
se in modo distorto e a volte parodistico - perfino nei piccoli centri
della pianura. E un racconto visivo dello sprawl, avvolto in una
specie di velo dincanto, una meraviglia persistente e continua
che proviene a Ghirri direttamente dal suo stile e dalle motivazioni
teoriche del suo sguardo.
Paesaggio, immagine e realt un titolo molto pertinente, e
fotografa bene la distanza tra il territorio dove la gente vive
fatto della citt lineare della via Emilia, ormai pienamente in via di
formazione, di quella della costa, anchessa gi da tempo delineata,
e delle conurbazioni minori e lidea ancora molto vedutistica e
nostalgica che radicata nei pi, soprattutto nella gran parte delle
amministrazioni locali, da quella regionale a quelle provinciali e
87
comunali. Lo sguardo di Ghirri non ha nulla che vedere con quello
maestoso e retorico di Monti, uno schiaffo in piena faccia a
storici dellarte e cultori della conservazione. Ha appreso la lezione
dei New topographics americani, Stephen Shore, Lewis Baltz,
Robert Adams, i fotografi che nel 1975 hanno partecipato alla
mostra sottotitolata Man Altered Landscape. Quelle di Ghirri sono
immagini che non descrivono le ragioni storiche di un territorio,
non danno conto del persistere immutabile di una vie des formes
regionale, ma scovano a casa nostra le tracce della nascente
globalizzazione dei modelli e dei modi di vita. Comincia qui la
fine del pittoresco, nella cultura dominante della pianificazione
urbana e paesaggistica, anche se sar un processo di lunga
durata e ancora in corso, vista la forza del pensiero scientifico
sui beni culturali, che nel corso degli anni si profondamente
amalgamata con i piani e i programmi delle amministrazioni locali
e con lopinione del corpo elettorale che le sostiene.
Per paradosso, questa visione cos urbana del territorio rurale
resa da un abitante della campagna come Ghirri sempre
stato, nato a Scandiano e poi residente a Roncocesi. Come che
sia, questa lettura la trasposizione per immagini delle indagini
che in quegli anni gi iniziavano a descrivere la diffusione della
citt e la trasformazione del territorio rurale, progressivamente
assimilato a quello urbano, attraverso la disseminazione di modelli
abitativi, infrastrutture, e pi in generale di stili di vita. Mentre gli
studi urbani pi avvertiti percepiscono la trasformazione in atto,
i documenti di pianificazione territoriale della Regione e la loro
applicazione alle scale locali contengono ancora riferimenti al
dualismo citt-campagna di derivazione marxista, assunto come
obiettivo per una crescita ordinata e razionale degli insediamenti
e per la conservazione dei valori paesaggistici del territorio
extraurbano. La realt ben diversamente orientata, e produce
effetti gi percepibili a un occhio attento e sensibile come quello
del fotografo di Scandiano.
In occasione della mostra bolognese del 1981, Lucio Gambi
che ne il curatore - in pratica costretto da Vittorio Savi a
confrontarsi con le fotografie di Ghirri. Gambi accetta obtorto collo
e solo dopo molta insistenza di pubblicare nel catalogo queste
immagini. Le foto mostrano binari, vecchi cinema e stazioni di
provincia, automobili, feste di paese, e soprattutto dettagli, una
quantit di dettagli che spezzano la rotondit e la levigatezza dei
paesaggi di cui composta la regione ufficiale. Entra cos, da
uno spiraglio della porta che il fotografo socchiude abilmente, la
nuova luce riflessa dalla pianura, che finora era stata appiattita
sui fogli cartografici e rappresentata solo nelle sue emergenze
storiche. Ed davvero stridente il contrasto che si crea da subito
con larmamentario di derivazione guerresca di cui sta dotandosi
su impulso di Gambi lIBC regionale (carte dellIstituto Geografico
Militare su cui condurre il rilevamento del patrimonio storico, foto
aeree prese durante la guerra dalla Royal Air Force britannica).

4. Il geometra Ghirri e alcuni architetti.


Il rapporto di Ghirri con la rivista di architettura Lotus International
inizia con il numero 38 del 1983, per iniziativa di Vittorio Savi, che
lo presenta a Pierluigi Nicolin, Alberto Ferlenga e Luca Ortelli,
membri del comitato di redazione. Il suo primo lavoro dedicato
88
al cimitero modenese di San Cataldo, progettato da Rossi con
Gianni Braghieri per il concorso del 1971 e costruito tra il 1978 e il
1983, e dunque appena ultimato. Ghirri dichiara che lo stimolo che
gli viene dallarchitettura di Rossi di far combaciare loggettivit
con la soggettivit. Tuttavia non crede che per lui si tratti di un
lavoro di tipo nuovo. E convinto infatti che aver fotografato il
paesaggio, come ha fatto negli anni precedenti, significhi aver
fotografato larchitettura: Quello che ho fatto tra il 1970 e il
1975 fotografando i margini delle citt antiche, le periferie, o
prevalentemente quei paesi senza dignit storica o geografica,
stata una sorta di ricomposizione di album di famiglia del mio e
del nostro esterno [Ghirri, 1997].
63. Foto di Ghirri in una pagina del
Savi racconta estesamente il suo rapporto con Ghirri, che definisce catalogo Paesaggio, immagine e realt,
una persona sorpresa e financo perplessa della cecit altrui [Savi, 1981
In prospettiva]. E Savi che insiste presso Aldo Rossi, che in un primo
momento non convinto della scelta del fotografo. Si ripete cos
due anni dopo la stessa vicenda che gi era avvenuta due anni
prima, alla mostra bolognese della GAM, quando in quel caso i
dissapori per la scelta di Ghirri come fotografo padano erano stati
con Lucio Gambi. Queste frequenti battaglie per promuovere e
difendere le immagini del fotografo di Roncocesi danno ragione
alle affermazioni di Savi, per cui stato lui a creare Ghirri fotografo
di architettura.
Il confronto con il linguaggio e soprattutto con le poetiche di
Rossi rafforza Ghirri in questa direzione di considerare i ricordi
come luoghi, e i luoghi come oggetti, immagini, testi letterari,
mescolando un po tutto. Ed Savi che lo induce a guardare le
immagini di architettura classiche come stereotipi da cui partire
per poi distanziarsi. E difficile districare Savi da Rossi e da Ghirri.
Sono come fatti luno per laltro, luno della pasta dellaltro, e le
influenze delluno sullaltro sono misteriose e penetranti.
Per Ghirri la fotografia non invenzione come nella pittura,
dove si pu creare una immagine che non esiste in realt, ma
inventio nel senso latino, cio scoperta, rinvenimento a seguito di
una ricerca, di una attenzione particolare, dopo la quale gli oggetti
da inquadrare che gi erano l, ma non visti, non riconosciuti,
cominciano a essere noti, conosciuti, evidenti [Cavanna, 1999]. Ghirri
affascinato dallo sguardo duplice che si produce osservando una
fotografia, che sia sguardo sulla fotografia presente, qui ed ora
- che sulla realt assente, qui ed ora che la fotografia raffigura.
Scrive: Fotografare diventa allora coscienza di trovarsi sulla
linea di confine tra conosciuto e ignoto, che trasforma il guardare
nellintravedere [Ghirri, 1997]. Da queste parole prender vita,
negli anni 90 Linea di Confine per la fotografia contemporanea,
lassociazione fotografica di Rubiera che sui temi del paesaggio
fonder gran parte dei propri obiettivi programmatici.
Nel raffigurare larchitettura, Ghirri gioca frequentemente
a provocare lintreccio del doppio sguardo del fotografo e
dellosservatore della fotografia, sguardi diversi e autonomi fino
a un attimo prima di diventare sovrapposti, coincidenti, nella
visione di quella porzione di realt che il fotografo ha fissato in
quella inquadratura che ora losservatore guarda. Questi doppi
sguardi sono certamente gli elementi di fascinazione, di cattura
che la fotografia pratica su ognuno di noi. Ghirri fa uso di tecniche
64. Luigi Ghirri, Scuola di Fagnano Olona
che diventano subito invenzioni artistiche e poetiche, quando ad (Aldo Rossi)
89
esempio usa la luce non per svelare ma al contrario per velare
o addirittura per celare, nel buio, nellombra, che lequivalente
fotografico del silenzio. Adopera la luce (la sua assenza) per
cancellare, anzich per rivelare.
Le foto di architettura consentono in massimo grado di
sperimentare le capacit grafiche della luce. Ma cosa sono poi le
foto di architettura? Non certo sufficiente che larchitettura sia il
soggetto della ripresa perch ci che viene prodotto sia fotografia
di architettura. Ghirri ad esempio riuscito a fotografare i siti 65. Luigi Ghirri, dalla serie Paesaggio,
immagine e realt
(architettonici, paesaggistici, archeologici) con i frequentatori e i
turisti, riuscendo a trasformare questi ultimi da soggetto sociologico
in vero e proprio elemento attivo della fenomenologia di percezione
dei siti, e questo molto evidente anche nelle foto che produsse
per i due volumi del Touring Club Italiano dedicati allEmilia-
Romagna. E parlando di questa serie di immagini ghirriane
che Savi mette in luce la sua grande capacit nel fotografare
il monumentale, un monumentale molto annacquato, poco
grande stile nietzschiano, un po anche domestico, sentimentale.
Qui infatti i luoghi del turismo culturale sono rappresentati in
un modo assolutamente anticonvenzionale, spesso pieni di
persone in movimento: immagini mosse, gente ripresa di spalle,
senza nessuna accondiscendenza alla iconografia classica del
monumento messo in posa e privo di presenza umana.

66. Luigi Ghirri, Bologna, 1985, dalla


serie Esplorazioni sulla via Emilia

90
7. LA SUPERCITTA DI BASILICO

1. Tra i Becher e Savinio.


Gabriele Basilico (Milano, 1944) pi giovane di un anno di Ghirri.
Architetto, inizia a fotografare negli anni 70, e il suo primo lavoro
di successo del 1979, un ritratto della sua citt natale eseguito
attraverso le fabbriche, ispirandosi alle fotografie di Bernd ed Hilla
Becher. Da quelliniziale attenzione al paesaggio urbano e alla
architettura industriale, Gabriele Basilico non ha pi cambiato
tema, e ha dedicato oltre trentanni di impegno costante alle citt
di tutto il mondo, da Los Angeles a Mosca, alla Cina, al Medio
Oriente. La sua opera, monumentale e sistematica, malinconica
nei toni come malinconica la fine dellera industriale, si ricollega,
in fondo, alla grande tradizione italiana degli Alinari. [] Basilico
il grande cantore del nostro mondo devastato dallo sviluppo
economico, nello sforzo di abbracciarlo tutto, secondo una visione
antitetica a quella di Ghirri, ironica e frammentata [Valtorta, 2005].
E facile riconoscere gli antecedenti delle immagini di Gabriele
Basilico nel Novecento italiano e in particolare nella cultura
artistica e architettonica milanese. Su tutti vi sono Mario Sironi
e Giovanni Muzio. In comune con il pittore c la tendenza
al monumentalismo, il rigore metafisico, lattinenza dei temi,
soprattutto quello delle periferie e dellindustria; con larchitetto
ha in comune la milanesit, espressa in un grigiore malinconico
pieno di ascendenze classiche, che d origine a una speciale
maestosit silenziosa.
Basilico sembra ricordare a tutti che, ci piaccia o no, la periferia
il prodotto pi significativo dei processi di urbanizzazione
del ventesimo secolo. Lurbanistica militante, insegnata nelle
universit, promossa dallINU e amministrata in molti enti locali
governati soprattutto dalle sinistre ha sempre guardato con ostilit
la produzione edilizia della seconda parte del Novecento, che si
concentrata a ridosso dei margini della edificazione storica,
dando corpo a una citt di scadente qualit formale, spesso priva
o sotto-dotata di servizi pubblici e di connessioni infrastrutturali,
marginale sia in senso fisico-geografico che sociale. Tuttavia,
come si iniziato a sostenere solo negli anni a cavallo del nuovo
millennio, quella citt novecentesca era ed quella in cui si
concentra la maggioranza della popolazione, e dunque quella
a cui necessario concedere pi attenzione di quanta non sia
stata data nel ventennio precedente, tutto preso dallo sviluppo
delle pratiche della conservazione dei centri storici, dellambiente
rurale e del paesaggio tradizionale e interessato allo sviluppo
edilizio abitativo e industriale solo in termini quantitativi.
Lattenzione che il fotografo milanese porta alle periferie,
alla produzione edilizia del Novecento, sembra a tutta prima
confermare una delle critiche ricorrenti e pi convenzionali
portate allespansione urbana: quella della sua indistinzione
formale e indifferenza geografica: ovunque nel mondo le periferie
del dopoguerra sono identiche. Basilico rende molto bene

91
67. Mario Sironi, Paesaggio urbano
(Fabbrica)

questo concetto, ne anzi il divulgatore, attraverso le forme di


una supercitt composta dalle immagini di tutte le citt che ha
fotografato, accostate le une alle altre.
Il lavoro di Basilico tutto dedicato allevidenziare la struttura
portante della citt: linsieme di oggetti fisici prevalentemente
architetture, o per meglio dire edifici comuni, quasi mai di
particolare pregio o interesse in s -, delle dimensioni reali e dei
pesi visivi degli oggetti, delle relazioni tra gli oggetti posti sui diversi
piani dellimmagine. Questo modo di studiare la struttura urbana
lo stesso, sia che Basilico fotografi Berlino, Valencia o Istanbul,
tant vero che le foto si assomigliano, e per conseguenza Milano
finisce per assomigliare a Berlino, a Valencia e ad Istanbul.
Leffetto che si genera quello di accomunare i luoghi in ununica
visione, non di distinguerli per specificit o caratteri propri.
Questo avviene non solo per le raffigurazioni urbane ma anche
per le singole architetture: antico e moderno, popolare e nobile
si mescolano luno con laltro, tutto buono, Basilico definisce
questo suo modo di descrivere le citt una sorta di bulimia. Come
per Benjamin, ogni citt bella. Ne deriva un senso di accettazione
dellesistente che non diverso da quello che trasmettono le
fotografie di Monti, e che ha avuto certamente effetti determinanti
sulla percezione collettiva delle citt, avvicinando alla gente il
corpo della citt moderna, reso attraente, non minaccioso, a volte
malinconico perch ritratto nella sua versione un po sfiorita, come
se gli anni migliori fossero passati.
Fino a Milano ritratti di fabbriche Basilico soprattutto un
talentuoso allievo dei Becher, poi con lesperienza della DATAR
inizia a occuparsi degli spazi aperti come spazi di relazione tra
le cose. Nellurbanistica italiana questa attenzione si affermata
anche grazie a Basilico.
Questa supercitt evidentemente un concetto, e in quanto
92
tale prescinde dalla possibilit reale di vedere effettivamente un
paesaggio di questo tipo. Quel che conta non nemmeno vedere
insieme le foto delle citt, ma ricordarle insieme, e cio avere
dentro la somma di tutte. Come poi nella realt: non le vedremo
mai insieme, queste citt, ma agiscono in noi insieme, ricordandoci
che il mondo in cui viviamo urbano, ovunque, che non possiamo
pi isolarci in una natura incontaminata. C un destino che si
maturato per noi, nel XX secolo, che ci concerne tutti e che
non dobbiamo rifiutare come molte teorie ambientaliste e anti-
68. Gabriele Basilico, Instambul (da
urbane continuano a pretendere. Scattered City, 2005)
Avvicinando le fotografie di Basilico a quelle di Monti risultano
forti analogie espressive, che rendono simile anche il messaggio
comunicato: ci che si vede da amare, da rispettare, da
conservare. Non ci sono nei due autori incitamenti alla
trasformazione, anche se il ricevimento di questi due messaggi
nella cultura urbanistica ha prodotto effetti per lungo tempo
opposti: Monti paladino della conservazione, Basilico sollecitatore
di un interesse anche operativo per le periferie, le aree industriali
dismesse, in sostanza per i caratteri della citt moderna.
Dopo trenta e pi anni di schieramenti opposti su questi due
versanti operativi, oggi il concetto di paesaggio urbano sembra
contenere finalmente entrambe le posizioni, e la cultura urbanistica
le ha registrate sin dallapprovazione nel 2000 della Convenzione
europea del Paesaggio, un documento dove si leggono
affermazioni che ribaltano in modo deciso alcune convinzioni
radicate sul primato dei paesaggi eccezionali. Per la prima volta
viene riconosciuto in un documento ufficiale il ruolo del paesaggio
urbano, considerato elemento importante della qualit di vita delle
popolazioni, anche nelle zone della vita quotidiana, e alla stessa
stregua di ogni altro tipo di paesaggio, anche qualitativamente
pi importante. Questo consegue alla dichiarazione che sono le
popolazioni a stabilire le gerarchie di valori dei propri paesaggi,
anche in relazione alla affezione che esprimono nei loro confronti.
La descrizione da parte di Basilico di una supercitt i cui
caratteri unificanti consistono nellessere priva di eccellenze, non
particolarmente riconoscibile per caratteri tipologici e tradizionali,
generalmente moderna e contemporanea, fa del fotografo
milanese il creatore di una nuova estetica urbana collettiva, molto
simile agli obiettivi dei documenti europei volti alla valorizzazione
paesaggistica.
Il tratto che avvicina Basilico alla modernit, e fa della sua una
visione urbana moderna pi che contemporanea, proprio questa
tendenza al generale, e al tempo stesso questo rifiuto verso il
particolare. E ancora, quella di Basilico, una grande narrazione,
come lo stata quella di Paolo Monti, un racconto capace di grandi
sintesi e di significati percepibili. Al contrario, sembra che i caratteri
del post-moderno conducano tutti a ununica riflessione, che cio
non esiste un significato unico al di l e al di fuori della percezione
continua e inevitabile della frammentariet dellessere, del vivere,
dei luoghi. Generale moderno, particolare contemporaneo.
Gli elementi urbani, anche quelli pi banali e deboli, anche quelli
apparentemente poco importanti, posso contribuire a definire
il carattere e lidentit di un luogo. Ci avviene soprattutto
attraverso il confronto di quegli stessi elementi, riscontrati in
situazioni diverse. Confrontando per esempio Berlino, Milano e
93
Valencia Basilico vuole misurare le affinit, ma soprattutto punta
a ricostruire un modello di citt immaginaria. E chiaro che fare
questo non pu non costituire un punto di contatto con il processo
di pianificazione urbanistica, che aspira proprio a definire un
modello di citt futura, migliore di quella presente.
Questo continuo mescolare ha a che fare con i sentimenti, lo
stesso Basilico a dirlo. Mentre il piano (urbanistico) ha preteso di
dettare proprie visioni urbane senza fare riferimento ail sentimenti
69. Gabriele Basilico, Piacenza, 2001,
delle persone, e dunque rinunciando a qualcosa di essenziale, dalla serie LR19/98
le immagini della supercitt che Basilico descrive cercano i
significati universali della forma urbis moderna. Per certi aspetti le
sue fotografie esprimono un senso positivo della globalizzazione,
intesa come apertura oltre i confini di ogni possibile segregazione
o separazione. Una aspirazione ad agire come fa il polline in
natura, e questa precisamente la metafora che usa lautore.

2. Come gestire il territorio con laiuto dei fotografi.


Un organismo governativo francese, la DATAR (Dlgation
lamenagement du territoire et laction rgionale) promosse, tra
il 1984 e il 1985, una imponente azione di verifica del paesaggio,
soprattutto di quello rurale e naturale, ma anche urbano - la
banlieue parigina - e a quello industriale interessato dai processi
di dismissione e riconversione.
La DATAR intendeva richiamarsi alle due grandi esperienze di
committenza pubblica, la francese Mission Heliographique del
1851 e la Farm Security Administration rooseveltiana degli anni
Trenta del Novecento. Le pubblicazioni che raccolsero le foto (i libri
saranno due, il primo del 1985, nella piccola versione in brossura
14,5x15,5 cm., il secondo nella grande edizione cartonata in tela
nera, di formato 28x28 quadruplo dellaltro, realizzata nel 1989,
entrambe dalleditore Hazan) non vennero intese come cataloghi,
ma come carnet provvisori di un lavoro sempre in corso, cos
come si proclamava la mostra parigina al Palais de Tokyo che si
apr il 4 dicembre del 1985.
La Mission dedicata a citt e periferie, montagne e litorale,
fabbriche, case rurali e uffici, spazi industriali e rurali. La
mescolanza di generi alti e bassi, contemporanei e tradizionali
segna gi di per s una distanza siderale dalla visione che del
problema si aveva in quegli anni in Italia, se si pensa che nello
stesso 1985 da noi fu promulgata la meritoria e da tempo attesa
legge Galasso, che obbliga le regioni a dotarsi di piani paesistici.
Il provvedimento tuttavia esprime punti di vista che rispetto a
quelli francesi sono decisamente meno incentrati sullattualit:
elenca gli elementi del paesaggio da tutelare, enumerando monti
e ghiacciai, fiumi, coste e usi civici, e sostanzialmente resta
saldamente ancorato a una visione colta, figlia dei testi classici di
Emilio Sereni e Lucio Gambi sui paesaggi agrari, inconsapevole
del (o forse pi probabilmente ostile al) lavoro che anche da
noi stanno svolgendo in quegli anni fotografi come Luigi Ghirri,
che proprio nel 1984 progetta e realizza il suo Viaggio in Italia
raccogliendo intorno a s amici e colleghi tra cui Basilico.
Nel lavoro della DATAR si mette laccento sulla trasformazione,
mentre al contrario in Italia nei documenti ufficiali sulla tutela
del paesaggio sottolineata di continuo la necessit di una
continuit, di una stabilit, di una tradizione. Gi allora i francesi
94
ci dicono come i paesaggi tradizionali siano divenuti indescrivibili
(campi chiusi, campi aperti, insediamenti accentrati e dispersi,
tutto reso irriconoscibile dalle funzioni umane che si espandono
sul territorio). La rappresentazione del paesaggio, continuano
i francesi, deve essere creata, non registrata. E la circolazione
del modello predisposto dalla DATAR sar riuscita se produrr
analoghe iniziative regionali decentrate, di approfondimento e
verifica in loco. In realt, la prima reazione degli organizzatori fu di
moderata insoddisfazione: in quelle immagini il territorio restava
piuttosto muto nei riguardi dellemergere delle trasformazioni pi
rilevanti: gli effetti della comunicazione elettronica, le infrastrutture,
lurbanizzazione. Ma la DATAR viene ancora oggi ricordata come
un episodio eccezionale perch riesce a restituire una variegata e
complessa immagine del territorio contemporaneo, interrogandosi
con seriet sul confine incerto che divide un atto di identificazione,
di carattere puramente denotativo, da un processo intenzionale di
attribuzione di valori, con le responsabilit e le conseguenze che
ne derivano. [Infussi, 1986 e 2007].
Franois Hers e Bernard Latarjet sono i coordinatori-animatori del
progetto. Mettono in chiaro che lamministrazione che incarica
i fotografi non ha una diretta vocazione culturale, e dunque
non si tratta di un sostegno alla creazione artistica, ma di una
ricerca finalizzata. Hers e Latarjet firmano un testo che si intitola
Lexperience du paysage. Gabriele Basilico user spesso dora
innanzi la parola esperienza, spesso creando una sorta di duetto
con Roberta Valtorta, amica carissima e apprezzata, insostituibile
sponda di una collaborazione pi che ventennale. Lidea sottesa
a questi termini e alluso che ne fanno gli autori che il paesaggio
non solo una realt visiva che si registra, ma la rappresentazione
che una cultura ne fa. Hers e Latarjet constatano che la fotografia
europea degli anni in cui scrivono si sviluppa secondo due poli
antagonisti: il reportage da un lato, e dallaltra parte una tendenza
pi concettuale che, fondata sulle acquisizioni della pittura
moderna, utilizza la realt come pretesto pi che come oggetto.
Europei e americani si pongono in modo molto diverso di fronte alle
trasformazioni del paesaggio. Questultimo ha sostanzialmente
subito le medesime metamorfosi industriali e urbane. Ma mentre
gli americani guardano con allarmata apprensione la distruzione
dei suoli vergini (la verginit del territorio per loro un valore
mitologico, connesso allidea della frontiera come esplorazione,
conquista, emancipazione atavica), gli europei vedono nel
cambiamento la sparizione delle testimonianze di una cultura
millenaria; le foto degli europei mostrano con evidenza questo
sentimento della storia come dramma, questa necessit di
lavorare ogni giorno per opporsi alla lenta sparizione della nostra
memoria.
Molto sottilmente, nel saggio che accompagna le fotografie della
DATAR, Jean Franois Chevrier sostiene che proprio perch la
fotografia sfuggita allanatema scagliato nel Novecento dagli
artisti moderni contro la bellezza, solo alla fotografia possibile
riuscire a rappresentare la bellezza del paesaggio. E in questo
modo pu riqualificare se non il paesaggio stesso almeno
lidea di paesaggio.
Augustin Berque (nel testo Les mille naissances du paysage)
scrive che i francesi vogliono sapere le novit del loro paesaggio
95
dopo i trenta gloriosi (anni) della crescita. Vogliono sapere quel
che successo, non solo perch cambiato il paesaggio, ma
anche il modo con cui lo si guarda, cambiato il senso comune.
E non sarebbe questa una novit, vista la congenita relativit
del paesaggio, che sempre relazionato alla percezione degli
individui, non un oggetto a s stante. In questo senso i ventotto
sguardi dei ventotto fotografi altro non sono che prove, e Berque
le esamina tutte, una per una.
Sur le litoral de la Manche et de la mer du Nord - questo il
titolo del lavoro di Basilico - secondo Berque una riflessione
sulla naturalit/innaturalit della citt. Le vacanze, di cui Basilico
mostra i luoghi dopo che si sono spopolati e i vacanzieri sono
tornati in citt, sono per gli uomini linterruzione del lavoro e il
ritorno agli elementi: terra, acqua, vegetale. Ma non esistono
pi luoghi di vacanze privi di segni urbani: i parcheggi, i caff,
il casino, i parchi acquatici, le piscine, sono tutti gli elementi
innaturali. Per contro, mai come in quegli anni, una Parigi piena
e ricchissima di parchi viene considerata come lanti-natura per
eccellenza. Il mondo non esiste se non dotato di senso attraverso
delle pratiche, che lo fondano in relazione al nostro immaginario.
E limmaginario non ha evidentemente alcuna relazione con
la realt. Paradossalmente proprio la fotografia il lavoro di
un fotografo, il suo occhio che anzich mostrarci la realt ci
mostra quel che noi crediamo di vedervi. I simboli che la rendono
percepibile e dotata di significato.
Della celebre foto di Basilico di Boulogne-sur-Mer, leconomista
Jean-Paul de Gaudemar scrive che mescola lhard e il soft del
territorio e ne fa un condensato brutale di contraddizioni e di
complementariet della gestione del territorio: strategia industriale
pesante o attrezzatura turistica? La foto, con la spiaggia in primo
piano e sullo sfondo gli impianti siderurgici, d la misura di queste
domande, le rende palpabili, realistiche. Tutta la complessit della
pianificazione territoriale sta in quella immagine. Al funzionalismo
del periodo precedente un luogo, una funzione risponde
allimprovviso una diversificazione volontaria che va al di l della
protezione contro il rischio [] la sfida quella dellarmonia nel

70. Gabriele Basilico, Ault, 1985, dalla


serie della DATAR
96
matrimonio dei contrari, quella dellalleanza della fabbrica con la
spiaggia, del lavoro e del loisir, dellhard e del soft, del mobile e
dellimmobile, del flusso e dello stock, delluomo e della macchina,
del lavoro e del capitale, della terra, del mare e del cielo. Il tempo
della fragilit della specializzazione non ha resistito alla crisi. Il
pianificatore deve sostituirgli le virt della polivalenza. Deve
inventare il territorio flessibile. [DATAR 1985, pag. 56].

3. E anche: tra Groddeck e Mulas.


Molto spesso, parlando del suo lavoro, Basilico cita il Libro dellEs
di Groddeck, un testo (1923) dalla cui lettura dice di essere stato
portato a capire cose determinanti. La prima edizione italiana del
1966, per Adelphi, sono gli anni in cui Basilico studia architettura
e non ha ancora iniziato il suo mestiere di fotografo. Dunque,
gli anni formativi, gli anni in cui il suo interesse non nella
rappresentazione del reale urbano, ma nellidea di trasformarlo,
toccarlo con mano, non solo guardarlo. La ricerca della strada
che porti con la maggiore possibile facilit a questo toccare
segna molto spesso il personale percorso di architetti che si
trasformano in fotografi, com il caso di Basilico. Non sono pochi 71, 72. Gabriele Basilico, Modena, 2011
quegli architetti-fotografi che affermano di avere abbandonato
lidea della pratica professionale di progettista perch che gli
architetti, immersi nelle pastoie burocratiche delle autorizzazioni,
dei pareri, delle norme edilizie, perdono di vista il rapporto con la
realt fisica, oggettuale in cui si muove il loro lavoro, mentre al
contrario un fotografo vi si immerge in modo diretto, prolungato,
potremmo perfino dire voluttuoso.
Questa la considerazione che deve aver fatto Basilico, alcuni
anni dopo la laurea in architettura. E il libro di Groddeck, letto
forse qualche anno prima, lo ha accompagnato nel suo percorso
di formazione. Cercare in quel testo i nessi con le immagini
urbane del milanese un esercizio di qualche interesse. Troviamo
concetti che ci paiono utili. Per esempio: il fatto che amore e odio
coesistono sempre. Che la paura esprime un desiderio. Entrambe
affermazioni che possono significare che la celebrazione cos
ripetuta e incessante del corpo delle citt del mondo si lega, nello
sguardo del fotografo milanese, con un disagio, con il permanere
di quella paura della grande metropoli che ha segnato il suo
comparire tra fine Ottocento e linizio del Ventesimo secolo.
La capacit affettiva che ogni uomo porta con s, secondo lo
psicanalista tedesco, contiene in misura variabile e casuale
sentimenti di repulsione e di attrazione, rivolti in modo altrettanto
imponderabile verso di s o verso il mondo esterno. Non di
rado laffetto si trasforma in odio, quando la delusione agisce
nellinquinare loriginario sentimento positivo. Altrettanto spesso
loggetto non pi amato viene sostituito con lidea di quelloggetto,
che si pu mantenere scevra di delusione e pienamente
rispondente alle nostre aspettative. In questa oscillazione tra
ideale e reale, tra amore e odio si colloca il lavoro incessante di
Basilico, e la sua produzione di immagini che appunto possono
leggersi come lidealizzazione della citt ecco una spiegazione
dellassenza delle persone che la abitano, che in un certo senso
sono tutti avversari erotici dellautore nel possedere la sua citt,
almeno con lo sguardo. Una idealizzazione, la sua, che a volte
pu velarsi di sentimenti di malinconia, nostalgia, tipici delle estasi
97
amorose ricondotte di colpo alla percezione di una realt priva
dellamato. Ancora: non vero che il dolore costituisca ostacolo
al piacere; in realt esso una condizione perch il piacere esista
e tutto ci che esiste naturale, anche se a Lei sembra contrario
alle regole, e perfino se sembra andar contro alle cosiddette leggi
della natura [Groddeck, 1966]. Questultima affermazione coincide
con un altro aspetto evidente della poetica di Basilico, la volont
di non eliminare dalle sue inquadrature ci che potrebbe apparire
almeno perturbante se non innaturale, visto che trattandosi di
citt la natura non pu essere intesa nel suo senso proprio, ma
piuttosto come comune modello percettivo.
Tra le peculiarit dello stile di Basilico c la assenza della figura
umana. In tutti i sensi: sia come misura, senso, uso dello spazio,
sia come specifica analisi sociale, dei comportamenti, dei caratteri
delle persone. Basilico cita sempre in proposito Groddeck, il libro
dellEs, e linfluenza che ha avuto questa lettura sul suo modo
di percepire ed intendere la citt in estrema sintesi: le cose
parlano di pi, se non ci sono le persone, le tracce contano in
modo determinante. Lassenza delle persone rende i luoghi
silenziosi e parlanti solo per la loro fisicit, che Basilico indaga
con una composizione elegante e lentamente studiata, fortemente
prospettica, spesso frontale; le sue sono immagini stereometriche,
dove ci che ha importanza sono i volumi, i caratteri architettonici,
mentre i riferimenti sociali sono accettati solo in quanto compatibili
con la composizione, siano essi arredi, pubblicit, automobili.
Bisogna per anche riconoscere che lassenza delle persone non
una peculiarit del solo Basilico, ma di molti fotografi. Come
si visto, anche Monti non riprendeva quasi mai persone nei
suoi scatti, e, prima di Monti, nemmeno gli Alinari. In generale, la
tradizione della fotografia di architettura si sviluppata sin dalle
origini con questo preciso carattere ,anche se nellOttocento e a
lungo anche in seguito le persone scomparivano dallinquadratura
anche per ragioni legate alle lunghe esposizioni della pellicola,
e dunque si trattava di una ragione puramente tecnica piuttosto
che espressiva. Ma al giorno doggi, cancellare la figura umana
quando si fotografa larchitettura e un modo per dare una lettura

73. Gabriele Basilico, Boulogne-sur-mer,


dalla serie della DATAR, 1985
98
dei volumi pi incisiva e pi connessa alla fase di ideazione, al
progetto. Al disegno del progetto, soprattutto, e in questo senso
una visione astratta e distante dalla realt, che vuole riportare
larchitettura realizzata al processo creativo, mentale, piuttosto
che avvicinarla alla fase fruitiva.
Se apriamo una rivista di architettura, di qualsiasi paese, per
documentarci su quanto stato costruito in qualsiasi paese, ci imbattiamo
nella rappresentazione di una serie di edifici che sono stati fotografati e
pubblicati senza gente. Leditore, larchitetto e il fotografo sembrano
ossessionati da una inesistente e permanente preoccupazione: eliminare
dalla scena gli uomini, come se fossero germi capaci di contaminare
levento che si sta illustrando [...]. Qualche volta si arriva a dire chi il
cliente e quali erano le sue esigenze economiche, tecniche o estetiche;
ma quasi mai si dice come il destinatario usa o potr usare ledificio
che gli stato destinato []. Il giudizio sullopera sempre del tutto
indipendente dal giudizio sulluso che se ne fa. Lopera considerata
buona, mediocre o cattiva in rapporto ad altri valori, che generalmente
sono valori figurativi [De Carlo, 1973]. Un tempo non era cos: la
pittura rappresentava anche la gente insieme con gli edifici. E
dire che il movimento moderno si caratterizzato proprio per un
richiamo forte al rapporto tra forma e funzione, cio tra architettura
e uso dellarchitettura.
La cultura progettuale italiana stata spesso accusata di essere
sbilanciata verso lideazione, trascurando la realizzazione-
gestione, e soffrendo di un idealismo che ha forse a che fare
con la persistenza delle antichit classiche, che ci consegnano
quotidianamente allo sguardo architetture prive di funzione, di
uso, di gente. La fotografia dellarchitettura, spesso anche delle
citt, quando ci consegna testimonianze visive che cancellano la
figura umana come se fosse un disturbo per la visione delle forme
architettoniche, vuole riavvicinarsi al momento della ideazione
progettuale, quando si forma il disegno. Non a caso Basilico
spesso sostiene che le sue fotografie sono legate al progetto,
sono dei progetti, e in questo non fa solo riferimento al suo essere
architetto, ma al suo volere essere architetto mentre fotografa.
Le immagini fotografiche di paesaggi urbani privi di persone ci
spingono ad addentrarci in un discorso complesso, che attiene
allimportanza dellassenza in fotografia. Cio a quanto pesa ci
che non si vede. A volte pesa pi di quanto non conti ci che
si vede. C un pensiero molto preciso di Ugo Mulas, in un suo
libro del 1973, una data che precede gli esordi di Basilico come
fotografo: La mia idea non quella di un libro, ma di un archivio,
un archivio fotografico della citt di Milano [] Quello che vorrei
fare fotografare tutto questo senza la gente; perch quello che ci
colpisce di pi quando entriamo in un luogo, il fatto che esso sia
frequentato, la gente. Invece vorrei che di gente non ce ne fosse,
che fosse protagonista una certa struttura portante che chiamiamo
citt, una struttura inarticolata, che porta una folla anonima, che
si ricambia ogni giorno, che ogni giorno passa, che ogni giorno
destinata a passare. [] credo ci sia un modo di fotografare
la catapecchia dove una donna vive con i suoi bambini senza
metterci dentro n la donna n i bambini, e arrivare comunque a
unimmagine eloquente della loro condizione, unimmagine che
obiettiva e al tempo stesso evocativa di quella gente assente
dalla fotografia [Mulas, 1973].
99
4. Si pu fare urbanistica con le fotografie.
Basilico sostiene che Ritratti di fabbrica, il suo libro del 1981,
un progetto di architettura. Che non un lavoro sulle grandi
fabbriche che a Milano, diversamente da Torino, non sono il
carattere preminente dellindustria ma un lavoro sulla periferia
dove ci sono le fabbriche, e dunque alla fine dei conti un lavoro
sulla citt, su Milano.
Sul fatto che fino a pochi anni fa la sua fotografia stata
esclusivamente in bianco e nero, osserva che il colore sta al 74. Gabriele Basilico, Viale Isonzo, dalla
serie Milano ritratti di fabbriche, 1978-80
documento come il bianco e nero sta alla forma. (Si potrebbe anche
aggiungere una riflessione sulla differenza tra pittura e disegno,
maggiore realismo delluna e maggiore ricerca della struttura nel
secondo. Riguardo a questo, Basilico dice che per lui la fotografia
ha sostituito il disegno, per il quale non era abbastanza portato, nel
suo desiderio di descrivere). Recentemente ha iniziato a usare un
colore decolorato, necessario per dare un po pi di informazioni
sullambiente. Ma senza esagerare. E il caso dei lavori recenti su
Mosca e Istanbul.
Il suo approccio alla citt si basa in egual misura sulla precisione
come sulla casualit: prima di iniziare a fotografare pianifica
percorsi e zone da visitare, si documenta su ci che deve visitare,
va sui luoghi anche per riconoscere cose di cui ha gi qualche
conoscenza. Tuttavia, strada facendo, le cose prendono anche
pieghe impreviste, si consente di diventare un flaneur, ritenendo
che questo approccio sia fertile.
Tra le influenze fotografiche sul suo stile, indica New industrial
parks near Irvine di Lewis Baltz (1974), che lo suggestion per
il suo modo di fotografare gli edifici per fronti, con un linguaggio
glaciale e distaccato. Cita anche linglese Bill Brandt (1904-
1983), e tra gli esponenti della generazione successiva alla sua,
riconosce che Thomas Struth (1954) molto vicino al suo lavoro.
Tra gli urbanisti di oggi, Basilico apprezza Stefano Boeri e i
concetti che ha espresso sullimportanza dello spazio vuoto nella
significazione della citt. La ricerca del vuoto una costante del suo
lavoro fotografico, tanto che il momento in cui cerca di percepire
prima - e di rendere in fotografia poi - questa idea del vuoto
assomiglia anche questa una sua metafora - al momento in
cui in teatro si spengono le luci e si aspetta che entrino gli attori.
E un paragone che rende evidente la predilezione di Basilico per
la scena, la scena urbana: la scena, prima che entrino gli attori,
vuota, ma si sa che si riempir. In questo senso tra assenza
e presenza c una vicinanza temporale, una prossimit che
rassicura. Non si tratta di una assenza da day after, del timore
che non ci sia pi nessuno. Ma di una forma di bellezza. Anche
se, per Basilico, la bellezza non nei luoghi, dentro di noi, e dal
nostro interno si condensa nel nostro sguardo, passa attraverso
il nostro sguardo e da l si spande sui luoghi. Siamo noi che la
conferiamo ai luoghi. E per dare bellezza ai luoghi occorre usare
equilibrio e rispetto, essi servono per scoprire una dimensione
guardabile.
Questa lentezza necessaria dello sguardo deriva senza dubbio
dalla accumulazione di conoscenze che dentro di noi e che
alcuni fotografi pi di altri usano per costruire il paesaggio e dargli
senso. Basilico non certamente un fotoreporter, se il carattere
essenziale del fotoreporter di non aggiungere nulla di suo ai fatti.
100
Basilico aggiunge tutto quel che sa, che ha visto, e che pertanto
rivede e riconosce ogni volta che fotografa. Laccumulazione
della sua cultura costituisce il suo sguardo, ed per questo che
in lui agiscono Sironi e Muzio, Hopper e De Chirico, Benjamin e
Groddeck, Baltz e molti altri ancora.
Pensando al lavoro di Basilico, tra gli urbanisti viene in mente
ancora Giancarlo De Carlo, che scrive: Credo molto nella
capacit evocativa e stimolante dellimmagine architettonica. Se
si rappresenta come un luogo potrebbe essere, gi come se il
luogo fosse quello che potrebbe essere. Della rappresentazione
la gente si appropria con prontezza e mentalmente comincia
ad esperirla, a modificarla, a contraddirla, ad arricchirla. Se
limmagine architettonica offerta dal progetto, oltre a possedere
valore intrinseco, e coerente col programma contenuto in un piano
anzi, pi esattamente, se gli complementare nel senso che
in questa coerenza ritrova la sua stessa necessit si perviene
allo sviluppo di una qualit che si diffonde alle varie scale. I
progetti sono eventi straordinari che sollecitano lattuazione di
un programma. Perci i loro punti di applicazione vanno scelti
accuratamente tenendo conto non solo degli operatori addetti alla
loro realizzazione ma anche degli individui e dei gruppi sociali che
raccolgono e sono influenzati dalle loro immagini. Scelti nel quadro
generale che il programma, i progetti debbono saper colpire
i punti pi sensibili dellorganismo con il quale ci si confronta.
Successivamente il quadro deve poter raccogliere i loro effetti;
non necessariamente quelli che derivano dalla loro realizzazione
perch a volte quelli scatenati dalle loro immagini sono anche pi
importanti [De Carlo, 1992].
Di conseguenza, il rapporto tra le diverse scale di progettazione
un continuo feed-back: il piano deve poter risentire delle
azioni che esso stesso produce e deve poter per conseguenza
modificare la sua struttura. Non si pu distinguere in un piano
quello che modificabile da quello che immodificabile, perch
tutto deve essere considerato in movimento perpetuo, compresi
gli obiettivi. De Carlo usa la metafora del percorso di una nave,
che apparentemente segue una rotta predefinita, ma quando il
viaggiatore osserva il timoniere si accorge dei continui piccoli
movimenti che trasmette al timone. La sostanza del piano
identica: deve essere continuamente messa a punto dai progetti:
i progetti sono gli aggiustamenti accostamenti e discostamenti
che si compiono in modo tentativo, per seguire i moti dellago
della bussola.
Nel dialogo con il progetto sta certamente una aspirazione e al
tempo stesso anche un limite della fotografia. Se il progetto, come
afferma De Carlo, pu e deve essere anche stimolo, obiettivo
comune, fattore di coesione sociale, una fotografia che ritragga i
luoghi con lintento di mostrarne i punti o i fattori di modificabilit,
di sottolinearne le potenzialit, uno strumento dalle mille risorse
etiche, politiche, culturali. La supercitt di Basilico si pu leggere
come palinsesto di tutti i progetti urbani, quelli eseguiti e quelli
mancati, scena del conflitto tra la spinta al cambiamento e la
resistenza dellinerzia. Ma rappresentare questa scena, celebrarla,
un modo per renderla attraente e meritevole di attenzione.

101
75. Gabriele Basilico, Modena, 2011

102
8. NUOVI TOPOGRAFI ITALIANI

1. Guido Guidi.
Nel 1978-79 Lewis Baltz, uno dei nuovi topografi americani,
fotograf la rapida costruzione di un complesso sciistico e per
seconde case a est di Salt Lake City, nelle montagne Wasatch,
Utah. Il suo scopo era di registrare le varie fasi di costruzione di
Park City. Quando inizi il suo lavoro, il paesaggio era caotico,
devastato da decenni di negligenza, cosparso di frammenti di vetro,
ferro, legno, cavi residui degli scarti di miniere abbandonate
anni prima e con scarsissima vegetazione. Sembrava la scena
di un cataclisma. Nei due anni e mezzo in cui Baltz esegu le sue
foto, la terra desolata (un esplicito riferimento al poema di Eliot)
fu coperta da case e strutture commerciali, ma per ironia della
sorte queste accrebbero il senso di desolazione. In quelle foto c
una continua tensione tra ci che la fotografia descrive e ci che
rivela.
Lo stesso stile si trova nel lavoro di Guido Guidi, forse anche con
una ulteriore accentuazione di tono. In Guidi evidente la volont
di fotografare il brutto, lo sciatto, il banale, con uno stile altrettanto
inestetico e casuale, senza composizione apparente (in realt
Guidi usa il grande formato sia per la qualit dellimmagine che
per la lentezza della esecuzione e per la grandezza dellimmagine
sul vetro smerigliato, che gli consentono di pensare a lungo
linquadratura), allopposto della veduta classica, per provocare
disagio e irritazione: cose rotte, relitti, oggetti desueti. Accozzaglie,
presentate come in una enumerazione caotica. Non si pu dire
che questa sia una foto di denuncia, perch non ne ha il tono. E
una foto complice, anche indulgente, perch si avvicina alloggetto
assumendo la sua stessa personalit, come se dovesse farsi
accettare. C una specie di biasimo dellutile, del funzionale,
una visione allopposto di quella di Monti. La sua una sensibilit
minimalista, di sapore orientale. Quando fotografo un sasso, io
divento quel sasso, dice con i suoi studenti.
Ma questo stile non incita al laissez-faire, piuttosto a una ridefinizione
low-profile del progetto di citt possibile, un progetto che faccia i
conti con ci che oggi caratterizza il laboratorio urbano (calo delle
risorse pubbliche, sfiducia verso la politica, conflittualit sociale
causata dai grandi interventi di trasformazione, frammentazione
eccessiva dei centri decisionali, difficolt nei rapporti tra enti sovra
e sottordinati, ecc.). Nella fotografia understated di Guidi e di Linea
di Confine c un tendere a forme pi attuali del progetto: piccolo,
interstiziale, low-cost, legato alle pratiche auto-organizzate,
lontano dalla cultura delle archistar e contro le imposizioni dei
modelli di consumo degli oggetti e del territorio.
Guidi molto coinvolto nellarte concettuale, come lo fu Ghirri, ma
pi di Ghirri, che a un certo punto prese una strada decisamente
fotografica. Guidi, come Franco Vaccari, forse pi spostato
sul versante teorico che su quello della produzione fotografica.
Quando parla del suo lavoro, nelle conferenze, mostra raramente 76. Guido Guidi, dalla serie Paesaggi
le sue fotografie, e se lo fa, lo fa con molta parsimonia, diluendo ordinari delle Marche, 2009-10

103
un distillato di immagini in un ragionamento esteso. Si vede in
questo la sua personalit di insegnante di fotografia, sia all Istituto
Universitario di Architettura di Venezia che allAccademia di Belle
Arti di Ravenna. Guidi ha infatti molti allievi, che seguono in modo
piuttosto caratteristico le sue indicazioni.
Tra la pratica del nominare-indicare e quella del rappresentare-
descrivere, che Guidi vede come molto diverse, quella che gli
pi confacente la prima. In senso fotografico, Guidi nomina le
cose, se ne tiene quasi distante, allopposto dellatteggiamento 77. Paul Klee, Strassen Kreuzung, 1911
di Basilico. Dichiara apertamente che le sue fotografie sono brutte,
desidera che lo siano, perch questo significa che ha ottenuto il suo
scopo, indicando le cose, senza aggiungere commenti, lasciando
aperto il discorso, mentre di solito losservatore desidera essere
orientato. Viene in mente una distinzione fatta da Philip Jones
Griffiths, grande fotoreporter gallese della guerra del Vietnam,
che con sarcasmo sosteneva che esistono foto che raccontano
ci che avrebbe altrimenti bisogno di mille parole, e altre foto
che hanno invece bisogno di mille parole a commento. Guidi fa
queste ultime, con consapevolezza, quasi con provocazione, ma
certamente applicandosi a farle con costanza, intensit, coerenza.
La stessa cosa dice Guidi se messa in rapporto con il contesto
cambia radicalmente. Questa una delle riflessioni pi importanti
della sua poetica. Guidi tende a de-contestualizzare, proprio per
farci percepire la natura delle cose che fotografa, prima che esse
si snaturino entrando in contatto con tutto il resto. Accetta tutto ci
che fa, in modo orientale. Fa tesoro del caso, dellincompiutezza,
e lo fa con acuta autoironia: fotografando, dichiara, c sempre
qualcosa da aggiungere, non ho mai concluso. Mia mamma
diceva che sono inconcludente.
Anche i ripensamenti fanno parte del lavoro o pi in generale,
dellesperienza di vita. Anche le occasioni perse fanno parte
del lavoro fotografico, costituiscono un patrimonio interiore che
orienter la propria percezione quando si daranno di nuovo quelle
condizioni: Solo dopo aver chiuso la finestra mi accorgo della
bellezza del paesaggio. Questo atteggiamento lopposto della

78. Guido Guidi, Castelmaggiore, 2003,


dalla serie Paesaggi dissonanti
104
poetica bressoniana dellistante decisivo, dellidea che la capacit
del fotografo sia tutta nellesserci, essere nel posto giusto al
momento giusto.
Nello stesso volume [Cesena, 1987], nel suo testo su Guidi, Valtorta
parla di lui come capace con il suo lavoro di fare affiorare la
pensosit di un sentimento orientale dello spazio, sentito non
come caos e subbuglio di realt compresenti , ma come equilibrio
di pochi elementi essenziali.
Guidi sembra in verit lautore meno adatto ad incarnare concetti
di progettualit fotografica. Anzich porsi strategie particolari,
sembra fotografare armato del suo solo stupore. Lo stupore
sembra il sintomo dellimpotenza dellocchio, il fotografo che si
abbandona al mezzo, sperando che esso stesso lo aiuti a capire. 79. Guido Guidi, Cattolica, Centro
E una anticipazione/sovrapposizione con le ricerche di Vaccari storico, 2003, dalla serie Paesaggi
dissonanti
sullinconscio tecnologico.
La vicinanza alla topografia tanto evidente da diventare
esibita. Disegna luoghi in modo incessante, come se i significati
pi generali fossero irraggiungibili, inattingibili. Guidi parla di
geografie personali, e dice: un geografo trova importanti le
strade, le citt, i fiumi, un fotografo pu trovare importante quel
certo capanno. E tautologia pura che diventa strumento di lavoro.
Per la necessit di fredda determinazione cita i fotografi guerra
come modelli, e in particolare Roger Fenton. Come riferimenti
per il modo di raccontare, Flaubert e Joyce. Tra i richiami agli
artisti del Novecento bisogna citare Paul Klee. Guidi usa la stessa
precisione calligrafica, con linteresse rivolto a trovare un segno,
un dettaglio su cui costruire lintera composizione, come una tela
di ragno, un lavoro che parte da un punto che viene messo al
centro e si espande minuziosamente, alla ricerca di un senso,
ma continua anche oltre, anche quando il senso sembra lontano.
E un processo retto da da unetica, da una fede assoluta, ma
certe volte sembra addirittura che volga al cinismo, come se ogni
mezzo fosse buono per raggiungere lo scopo, che quello di
creare.
Guidi perfettamente al corrente del fatto che il mondo c, esiste
anche a prescindere dal fotografo e dai suoi affanni nel catturarlo:
I miei allievi dicono: <Ho fatto una porta, ho fatto una casa>. In
verit noi fotografi non facciamo proprio nulla. Detesta la fotografia
in bolla, frontale, prospettica, insomma ogni retorica connessa
alla tradizione, fino al punto di rinnegarsi, con la consueta ironia
perfino caustica: Ho fotografato degli edifici frontali, da giovane,
perch volevo prendere la realt di petto. E invece bisogna
usare un basso, bassissimo profilo: Cicerone diceva che per
difendere in giudizio un ladro non devi parlare aulico. Devi usare
il suo linguaggio, per essere convincente su di lui. Il fotografo
deve spersonalizzarsi, nascondere la sua identit, lasciar parlare
sommessamente ci che entra nelle sue inquadrature.
La bellezza dellordinario, che sta alla base di gran parte delle
tesi contenute nella Convenzione Europea del Paesaggio del
2000, e che proviene anche dal lascito ghirriano, il messaggio
pi convinto di Guidi, anche quando fotografa architettura, come
nel caso dellautore pi studiato, Carlo Scarpa. Lo stile non
straordinario nemmeno in questo caso, eppure certamente
straordinario il successo che il suo lavoro su Scarpa ha avuto a
livello internazionale, diventando nel 2010 una importante mostra
105
al CCA di Montreal. Guidi va preso come esempio di una idea
molto recente di paesaggio: quella secondo la quale non pi
necessario occuparsi e preservare dei soli ambienti eccezionali,
ma accettare al contrario che ogni comunit locale possa ritenere
che il complesso delle sue tradizioni e della sua storia, e il loro
concreto materializzarsi in strutture fisiche composte di natura e
cultura, di segni antropici e geografici, debbano essere considerati
paesaggi da conservare a prescindere dalla posizione occupata
in una ipotetica gerarchia qualitativa.

2. Deserti urbani. Da tempo partecipe di un gruppo


di intellettuali che fa capo a Gianni Celati e pi recentemente ad
Ermanno Cavazzoni Giovanni Zaffagnini, a lungo orientato alla
ricerca antropologica. Zaffagnini da un trentennio fautore di una
radicale interdisciplinariet, maturata dalle frequentazioni di Guido
Guidi e di Luigi Ghirri. Sensibile anchegli al concettualismo, ma
filtrato da una vena di pragmatismo che mostra forti radicamenti
nella cultura contadina, da cui proviene e che ha molto fotografato.
Giovanni Zaffagnini dice di preferire la fotografia reticente, quella
che lascia spazio alla interpretazione; se no, la fotografia diventa
cronaca, e non gli interessa. C in questo atteggiamento la solita
volont di molti fotografi, dagli anni Settanta in avanti, di sconfessare
una lunga e gloriosa tradizione professionale, uscendone
frettolosamente e forse anche in modo un po indisponente e
ideologico, come se farlo significasse automaticamente entrare
nel mondo dellarte e goderne i privilegi e lautorit. Tracce, dove
la figura umana non c, sguardo lento, non istantanee, e dunque
anche le immagini devono essere guardate lentamente. Pi che
per dei pwp vanno bene per dei libri, dove restano eternamente,
o quasi. Nelle foto patinate la presenza dellautore ingombrante.
Lui invece ama le foto sporche, le fotografie che sembrano scattate
a caso. Fotografare come svelare il proprio paesaggio interiore,
cos lo definiva Pessoa.
Zaffagnini autore di alcuni perspicaci prelievi fotografici della
realt urbana, tra cui Jo Lido, una indagine sullo stato di rovina
in cui versa un parco per divertimenti sulla costa adriatica
che viene preso a occasione di una sfida a un tab: lestetica

80. Giovanni Zaffagnini, Gruppo


di Camposonaldo di Santa Sofia,
5-6 gennaio 1989

106
del degrado. Nella percezione, non sempre giustificata, delle
periferie e della costa come aree degradate, le immagini hanno
un ruolo determinante. Una fotografia pi analitica e distaccata
pu favorire una estetica del degrado che non porti a una censura
preconcetta che nasconda anche il salvabile. Il degrado come
punto di partenza per uno sguardo rinnovato e costruttivo, esente
da intenti consolatori o di facile denuncia, che riconosca forme
e spazi utili a fornire nuovi spunti per correggere e migliorare
lesistente e a orientare la progettazione futura.
Zaffagnini da tempo va in cerca di queste zone archeologiche
moderne, dove i rottami si trasformano in reperti. Le fotografie
scattate di sera (come quelle della serie Jo lido), quando il buio
comincia a cancellare i colori, rispondono a una scelta che non
tecnica, ma poetica. Non pi giorno ma non ancora notte,
un momento di precariet. Robert Walser parla del bello che
nellassenza di bellezza. C in questi presupposti una eco
ancora non spenta delle parole di Endell per unattenzione non
convenzionale al paesaggio, filtrata attraverso gli insegnamenti
dati fin dalla met degli anni Sessanta da sociologi come Michel
de Certeau, artisti come Andy Warhol, architetti come Robert
Venturi, che hanno riscoperto il quotidiano e apprezzato le forme
surrettizie che prende nella citt la creativit dispersa.
In questo contesto si sviluppata anche larte pubblica, come
strumento per far crescere la partecipazione e sconfiggere il gap
tra tecnica e cittadinanza. E una pratica che ha in origine forti
connessioni con lurban design americano degli anni Sessanta,
una forma di dialogo con gli abitanti dei quartieri in cui hanno
luogo interventi complessi di riqualificazione che alterano equilibri
psicologici sedimentati da anni, senso di appartenenza, memorie
personali e familiari. Si tratta di solito di eventi performativi
organizzati da artisti non interessati a lasciare opere definitive
e stabili nei luoghi come fontane o sculture spesso destinate
peraltro a personaggi, idee od eventi distanti dal quotidiano ed
espressione di poteri ormai desueti - ma invece apportatori di una
sorta di energia esistenziale e comunicativa in grado di interagire
con i valori espressi dal luogo e di aggiungere senso ai progetti di
trasformazione in corso.
Spesso la fotografia si fatta protagonista degli interventi di
arte pubblica, ponendosi in una condizione di cerniera tra la
registrazione dellesistente e il progetto di trasformazione,
assumendosi sia luna che laltra veste, rappresentando entrambi
o evidenziando la distanza tra luna e laltro, i percorsi per
raggiungere luno partendo dallaltro. La fotografia come arte
pubblica un mezzo per consentire di evidenziare al massimo
grado le capacit maieutiche proprie del mezzo fotografico,
in quanto lartista/fotografo di arte pubblica spesso si spoglia
dellaura autoriale e si mette al servizio dei conflitti interpretativi
che sorgono tra diversi utilizzatori degli spazi o tra questi e gli
attori delle trasformazioni.
In questa prospettiva si muove la ricerca a partire dal terzo
capitolo, con lobiettivo di delineare alcuni percorsi innovativi
con cui la fotografia di paesaggio urbano pu aggiornare i propri
linguaggi, abbandonare leccesso di autorialit e riconquistare
spazi di relazione con i luoghi e le persone.
Lequilibrio del giudizio sembra essere il carattere preminente
107
del lavoro di Zaffagnini, e pare che derivi dalla miscela quanto
mai adeguata di astensione e coinvolgimento, di radicamento e
di emancipazione, insomma di provenienza locale e riflessione
globale. Non per nulla Zaffagnini ha frequentato discipline
sommamente implicate con la tradizione, come pu esserlo
letno-antropologia, cavallo di battaglia di ricerche territoriali
fondative, e insieme si immerso in pratiche di ricognizione dei
paesaggi contemporanei a fianco di autori considerati allorigine
dellinnovazione interpretativa dello spirito dei luoghi come Ghirri
e Celati. Dei vecchi sguardi ha lautorevolezza e la saggezza,
dei nuovi ha una specie di giovinezza persistente, che sta nella
versatilit intellettuale. Questo contrasto e questa integrazione di
opposti lo rende molto perspicace, intuitivo e razionale insieme.
La frequentazione con Ghirri, Celati, Cavazzoni lo avvicina al pi
attivo centro di ricerca sul paesaggio padano da un ventennio e
oltre. Dunque un americano padano, come ce ne sono tanti, da
Ligabue a Tondelli, ma anche un romagnolo, che dunque dal Po
si allontana e punta alla riviera e alla via Emilia, misurandosi con
le sabbie mobili del compromesso tra sviluppo e sradicamento.
Il suo riferimento teorico pi insistito Robert Adams, il libro-cult
Il bello in fotografia. Ne ha fatto un manifesto sempre presente e
citato.
Fin dagli anni Settanta Zaffagnini inizia la sua collaborazione con
Giuseppe Bellosi per documentare la sopravvivenza della cultura
folklorica tradizionale in anni attraversati da cambiamenti sociali
molto forti. 81, 82. Giovanni Zaffagnini, dalla serie
Questa attenzione alle persistenze qualcosa di molto diverso Jo Lido, requiem per un non luogo, 2009
dal fotografare relitti, oggi pratica molto in voga. Zaffagnini mostra
il cuore dello scontro tra persistenza e svanimento, ma mentre
negli edifici e nei paesaggi naturali/antropizzati c una staticit
silenziosa e irrimediabile, nel caso delle pasquelle c molto
movimento, espressivit.
Il primo lavoro importante come co-curatore del volume
Traversate nel deserto, che esce nel 1986 e coinvolge un gruppo
di artisti tra cui sono anche Luigi Ghirri e Gianni Celati. E un
dialogo a pi voci che prende spunto da una mareggiata che ha
investito li litorale adriatico e lo ha fatto tornare deserto, almeno
a paragone dellartificializzazione esasperata a cui stato
condannato. Il deserto da questo punto di vista il silenzio da
attraversare per poter ancora parlare con gli altri [Celati, 2011]. Una
pratica salutare, che pu convincerci di verit dimenticate, come
lassurdit della pretesa di addomesticare il pianeta, di esserne
padroni; e che pu metterci (di nuovo) a confronto con la necessit
di pensare, immaginare, riflettere che insita nellattraversare lo
spazio vuoto, lo spazio che va risimbolizzato, riempito di nuovi (e
pi congrui) valori. E un percorso, quello dellattraversamento del
deserto, che rende ognuno un individuo, degno di s e padrone
della propria ricerca esistenziale, capace di rendersi conto del
mondo che lo accoglie, contro ogni esperienza tratta dagli esperti.
Il libro contiene fotografie di Olivo Barbieri, Luigi Ghirri, Klaus
Kinold e altri. Nessuna di Zaffagnini, e la cosa positivamente
da segnalare, per essere di esemplare correttezza. Dio morto,
le grandi finalit svaniscono, ma tutti se ne fottono, ecco lallegra
novit [Lipovetsky, 1986]. Le foto rendono percepibile questo deserto,
e pi che attraverso le immagini alla Atget prive di persone della
108
metropoli londinese di Paul David Barkshire, pi che attraverso gli
interni di Vittore Fossati al contrario, pieni di gente per assenza
fisica ma presenza imponente di tracce pi che per le nebbiose
campagne di Carlo Gajani o per gli scatti carichi di malinconica
attesa di Luigi Ghirri, sono i dintorni di Cesena di Guido Guidi a
rendere nel modo pi agghiacciante la campagna desertificata
dello sprawl, del suburbio. Si vede chiarissimo il ritratto penoso
del paesaggio frutto del disinvestimento della sfera pubblica
e delle istituzioni, evidente solo lindividualismo narcisista
di una societ quella post-moderna, anzi ipermoderna, che
si liberata delle regole, dei vincoli (la liberazione sessuale,
leducazione permissiva, liperconsumo, la competitivit basata
su relazioni mediatiche) e vive di schermi, dal cinema alla tv, dal
pc al telefonino ai videogiochi, una iperrealt che ha sostituito
quella vera, che nel frattempo si svuotata di senso, di relazioni,
di bellezza, di giustizia.
Ma Zaffagnini non scade nel moralismo, n con questo libro
n con le sue ricerche successive, sempre tenute in equilibrio
rispetto alla volont di non denunciare nulla. Non indifferenti, ma
nemmeno troppo sdegnati - lo sdegno pu sfiorire nel silenzio,
mentre la lucidit critica resta tale a lungo, persistente e acida.
Da Tabucchi poi viene la convinzione che sentiamo i luoghi
attraverso la nostra storia personale e il nostro stato danimo, e
dunque questo almeno altrettanto importante delle peculiarit
caratteristiche dei luoghi. La storia di Zaffagnini, dai primi Settanta
alla fine degli Ottanta, legata alla etno-antropologia, e questo
orienta la sua percezione (sono parole sue) di una urbanistica
bastarda, inquinata o arricchita a seconda delle convinzioni da
una visione pi riflessiva e analitica, meno tecnica e arida. Quello
che in fondo Zaffagnini fa, togliere il pi possibile le cose dalle
sue immagini, anzich riempirle di cose e significati, ispirandosi
alla leggerezza delle Lezioni americane di Calvino. Non ci si pone
lobiettivo di rappresentare la verit, ma di essere credibili, per
poi basare su questa credibilit la propria capacit di dialogo con
il fruitore delle foto. La credibilit dellimmagine rafforzata dalle
imperfezioni, perch la sensazione che essa sia stata fatta di
fretta ci convince che lautore non ha avuto il tempo di inquinare
la scena con le proprie contraffazioni. Bisogna per nascondere
non escludere la perizia. Si potrebbe affermare che il massimo
di semplicit lo si ottiene attraverso il massimo dellelaborazione.
Ancora riferendosi a Calvino, Zaffagnini dice che le cose a volerle
spiegare troppo alla fine si sciupano, e pensa che limmagine
debba essere unopera aperta che metta in difficolt coloro che
vivono di certezze.
Baltz sosteneva che ci sono almeno tre ragioni (tre mancanze)
per la libert di visione degli americani dei fotografi americani
di fronte al paesaggio: la mancanza di legami con la mitologia
classica e con il suo perdurante simbolismo; la mancanza di una
storia feudale che definisca da secoli le gerarchie sociali e le
relative visioni del mondo; la mancanza di una chiesa in grado di
imporre una propria allegoria religiosa. La libert che ne consegue
produce una accentuazione di ci che fotografato, privandolo
di valori preventivi e prefissati. La accentuazione d origine a
questo senso di sublime della terra, che ogni fotografo esprime
in modi personali. In un certo senso il paesaggio a servire ai
109
fotografi, anzich il contrario, serve a loro per progettare la
propria personalit. Tuttavia, la ripetizione di questo modo di fare
a oltranza produce una reazione negli anni Sessanta alleccesso
di soggettivismo, e succede che di l in avanti invece di sentirsi
ognuno un osservatore isolato tutti si sentono parte della stessa
societ che fotografa, quasi avessero una missione sociale,
di rappresentare in modo neutrale quel che si vede, lobiettivo
essendo questo: la rappresentazione fedele della realt inietta in
chi vede uno scetticismo che il mezzo per raggiungere livelli pi
profondi. Questa la teoria di Baltz.
Zaffagnini, oltre a produrre le foto, indica spesso anche i propri
debiti culturali. Uno di questi quello con Walker Evans, di cui
ricorda condividendolo - lamore per alcuni oggetti e il desiderio
di possederli, fotografandoli. Evans espose nel 1971, insieme
alle fotografie, la sua collezione di cartelli e segnali, formata negli
anni, trattenendo con s appunto gli oggetti fotografati. E un
gesto che lo apparenta allarte pop, di cui Evans stesso parlava
sottolineando lanalogia tra il rubare e il prendere una fotografia, il
che equivale a un furto simbolico, al reclamare per s loggetto o la
composizione, reclamando al tempo stesso di essere stato il primo
ad averlo visto. La bellezza dei comuni utensili (questo il titolo
di un articolo che Evans scrisse nel 1955 per la rivista Fortune)
una sensibilit che Zaffagnini deriva dal maestro americano, e
che spesso evidente nelle sue immagini. Sullassonanza dei
fotografi con i ladri si espresso in modo analogo anche Brassai:
Noi fotografi siamo una genia di bricconi, di guardoni e di ladri
[Brassai, 2007].
Altro autore di riferimento per Zaffagnini Susan Sontag.
Della scrittrice americana cita lopinione per cui la fotografia
, innanzitutto, un modo di vedere, piuttosto che latto di farlo.
Questa affermazione carica di valore la perlustrazione, il
muoversi, tutta la fase di preparazione dello scatto. Rebecca
Solnit dice che camminare la sintassi ordinatrice del pensiero,
delle emozioni e degli incontri [Solnit, 2005]. Non c dubbio che
una delle operazioni congenite della fotografia sia il camminare,
difficilmente un fotografo pu avvicinarsi alloggetto da fotografare
senza camminare. Allo spostamento a piedi connaturata la
ricerca del punto di vista, dellaltezza giusta, del rapporto tra primo
piano e sfondo, allincidenza della luce sulloggetto da riprendere,
ma ancora prima di ci camminando si trova, e si sceglie tra
oggetti simili o seriali. Camminando, come afferma la Solnit,
selezioniamo anche le nostre emozioni, lasciamo sedimentare le
une sulle altre, le une nelle altre, troviamo la temperatura giusta
delle percezioni, insomma percepiamo il sapore e lodore giusto
di ci che vediamo, come cercava di fare Walker Evans. E proprio
questa sottolineatura del valore del modo di vedere connesso
alla fotografia che dovrebbe farne un metodo di indagine molto
ricercato dalle amministrazioni che si occupano di pianificare il
territorio. E un modo di vedere moderno, per frammenti, senza
grandi coerenze di racconto, antitetico alle ideologie, ai principi
unificatori che oltre ad essere facilmente ingannevoli e demagogici
si rivelano con landar del tempo una falsificazione della realt,
o comunque una sua semplificazione inadatta a fondarvi un
pensiero costruttivo e duraturo. La fotografia pu dirci: esiste
anche questo. E quello. E quellaltro. (E tutto umano) [Sontag,
110
2004].
Viviamo in un paesaggio provvisorio, dunque. E questo infatti
il titolo (In un paesaggio provvisorio) che diede un altro degli
autori di riferimento di Zaffagnini, Lewis Baltz, a un suo articolo
su LUnit del 23 agosto del 1989. Baltz parla della fotografia
topografica americana e riconosce in essa la manifestazione di
unideologia figurativa di accettazione radicale, la ricerca buona
e onesta di una fotografia al grado zero. Se consideriamo quanto
sono vicini forse quasi sinonimi i termini accettazione e il
constatazione usato da Vittorio Gregotti [Gregotti, 2011], possiamo
dunque trovare nel persistere della filosofia visiva dei nuovi
topografi americani il versante di immagine del progetto impoverito
di cui parla larchitetto.
Zaffagnini introduce un concetto interessante, per il discorso
sul progetto: una fotografia analitica e distaccata pu favorire
una estetica del degrado che spinga a vedere il degrado non
come un punto di arrivo - malinconico e conclusivo ma invece
come un punto di partenza per una riconciliazione con il territorio
attraverso uno sguardo rinnovato e costruttivo; riconoscere forme
e spazi dove trovare spunti per correggere e migliorare lesistente
e orientare la progettazione futura. E qualcosa che si pu mettere
in relazione con le tesi espresse da Arturo Lanzani: lo scenario
paesaggistico dellItalia in declino, del paese senza manutenzione,
privo di risorse per lo sviluppo ma anche per il mantenimento del
proprio livello anche estetico, uno scenario pessimista ma su cui
pu anche innestarsi un progetto meno stereotipato di quello che
alligna nella cura del paesaggio da cartolina [Lanzani, 2003].

111
83. Nunzio Battaglia, Bologna, 2005, dalla serie Quale e Quanta

112
9. VISIONI PER UNA NUOVA STRATEGIA
METROPOLITANA

1. Spinte esaurite e nuove sfide.


Il nuovo modo di fotografare il paesaggio promosso da alcuni
autori, Ghirri, Guidi, Barbieri e altri, ha conferito una sorta di
dignit di esser rappresentati anche a luoghi, a edifici, a cose
e persone che non comparivano, di regola, nelle fotografie di
paesaggio. Questa visione, finalmente consapevole anche di molti
soggetti fino allora trascurati i paesaggi ordinari, per usare una
definizione onnicomprensiva responsabile della diffusione di
un sentimento recente del paesaggio, descritto e utilizzato dalla
Convenzione Europea sul paesaggio del 2000, che in definitiva
riconosce la necessit di un progetto di miglioramento, non solo
di una tutela delle eccellenze, e dunque promuove la conoscenza
dello stato dei luoghi, a prescindere dalla loro conclamata qualit.
La forza espressiva-descrittiva-comunicativa della fotografia con
gli anni molto cambiata, si fatta meno generalista ed enfatica
ed diventata pi minimalista e capace di dire qualcosa quasi
solo sul qui e ora. Poi, si sa, cambiato il paesaggio. E pi
brutto e ordinario, tutto uguale ovunque, e questi suoi caratteri
rendono difficile trovare gli spunti per progettare relazionandosi a
peculiarit ormai inesistenti, o quasi. Una volta venti o trentanni
fa - fotografare il bel paesaggio voleva dire soprattutto dare il
supporto visivo al progetto di conservazione. Ma oggi che non
pi solo conservativo e ritagliato sulle eccellenze, oggi cos
il progetto di paesaggio? E sufficiente registrare, come ha fatto
di recente la Regione Marche, quali e quanti e dove sono i
paesaggi ordinari, e riflettere su quale progetto di miglioramento
necessario? La riqualificazione di tutti? O forse, al contrario,
laccettazione consapevole di tutti?
Oltre a essere cambiato il paesaggio, e forse anche a causa di
questo, negli ultimi ventanni cambiata radicalmente la cultura
tecnica propria delle discipline del territorio. La conservazione ha
un po allentato i suoi controlli, ma non i suoi principi; nel frattempo
si diffuso un paesaggismo ambientalista, radicale e vincolista,
mentre probabilmente sfiorito fino a scomparire quello di
origine letteraria e storico-artistica. Lonnipotenza dellurbanistica
classica o almeno, la sua convinzione di esserlo - ha mostrato
la corda, lasciando il campo quasi del tutto al fitto chiacchiericcio
della partecipazione diffusa. E poi calata molto la forza delle
amministrazioni pubbliche e della politica. Questultima non sa pi
bene cosa volere, e dunque cosa chiedere. Ai tempi ormai lontani
del suo censimento fotografico del centro storico bolognese,
Paolo Monti aveva ricevuto un incarico preciso e inequivocabile,
da parte del Comune di Bologna. Una committenza forte, che
gli chiedeva: mostriamo il centro storico com, anzi, come era,
per render vivo il desiderio di conservarlo. Oggi, al contrario, i
progetti fotografici ricevono, dalle amministrazioni pubbliche che li
promuovono, indicazioni piuttosto vaghe, e la fotografia lasciata
in sostanza libera di restituire una propria visione dei luoghi.
113
Infine, e soprattutto, sono cambiati i fotografi. Sono diventati
artisti, immersi nel mercato dellarte e attenti alle richieste delle
loro gallerie, pi che al desiderio del vicesindaco o degli assessori
alla cultura o allurbanistica. Ed cambiata la fotografia: tutti
fotografano, e il digitale ha reso tutto subito controllabile e
innumerevolmente replicabile, e photoshop tutto alterabile.
In mezzo a tutta questa instabilit, ha ancora senso parlare di
progettualit fotografica? Molti fotografi del dopo-Ghirri fanno
fotografie sciatte, disordinate, understated, proprio perch vogliono
parlare di un paesaggio che ha le stesse caratteristiche. Spesso il 84. Michele Buda, Via Emilia, 2005
pubblico non specialista definisce queste foto brutte. Confonde
ci che raffigurato con il linguaggio usato per la figurazione. Ma
vero anche che la fotografia vuole farsi brutta, nel senso che non
si cura - programmaticamente, ideologicamente, retoricamente
di rispondere alle classiche regole della composizione, e si fa cos
strumento di un anticlassicismo altrettanto manierista.
Luso della foto digitale e soprattutto di tutte le modificazioni oggi
possibili in fase di post-produzione assolutamente appropriato,
quasi consustanziale alla citt e allarchitettura contemporanee,
che sono altrettanto instabili e velocemente mutevoli [Rosselli, 2009].
Dunque c un nesso diretto e forte tra il fotografo - il suo modo di
fotografare, che produce la fotografia che noi vediamo - e ci che
viene osservato, visto, infine selezionato per lo scatto, e dunque
rappresentato. C una complessa rete di relazioni, di attrazioni,
di decisioni pi o meno consapevoli. Oltre ad esserci un inconscio
tecnologico, una quota di imponderabile autodeterminazione della
stessa macchina fotografica, come ci ha raccontato un notevole
libro di uno dei primi fotografi-artisti [Vaccari, 1979].
La convinzione pi diffusa porta a credere che le committenze
hanno pi o meno esaurito la loro spinta ermeneutica, e che
la vera forza delle fotografie sta nellesistere gi, negli archivi,
come semi o talee che stanno crescendo in una serra. Il limite
di questi materiali sta forse in quella peculiarit che per altri
versi la loro ricchezza e il loro esclusivo privilegio: che cio,
inevitabilmente, per natura, esse ci trascinano a guardarle per
essere testimonianza, per essere lo strumento documentario del
tempo che fu. Il noema stato di cui parlava Barthes, indicandolo
come tipico della fotografia: le foto darchivio, indispensabili per
gli obiettivi di ricerca storica, sociale, antropologica, scientifica,
ci possono portare, nel campo delle discipline del territorio, a un
progetto storicistico, che naturalmente non il solo possibile.
Queste domande sembrano ancor pi pertinenti e necessarie
oggi che in passato, in quanto alla sostanziale stabilit delle
forme fisiche e sociali del territorio che ci ha accompagnato
fino al dopoguerra che potevano essere rilevate in modo
sufficientemente esaustivo attraverso pratiche tradizionali di tipo
quantitativo e catastale si passati nel corso degli ultimi decenni,
e particolarmente degli ultimi anni, a una velocit di trasformazione
elevatissima. Il mondo liquido pretende per essere captato, e
analizzato in presa diretta metodiche altrettanto mobili, basate
sullosservazione, sullo sguardo, pi che sulla freddezza dei
numeri.
La fotografia lasciata libera di parlare il proprio linguaggio (e
di rappresentare il punto di vista dellautore) e viene per cos
dire esibita in giudizio insieme ad altre testimonianze dei fatti e
114
della realt. Questa modalit di solito si estrinseca in pratiche di
tipo laboratoriale, dove urbanisti, artisti, fotografi co-operano nel
porre a confronto punti di vista anche molto diversi, nellintento
di fornire una interpretazione meno unilaterale e pi densa di
significati. Questo approccio stato finora meno utilizzato dalle
committenze fotografiche di area urbanistica (tra i pochi casi
importanti, la ricerca Atlante Italiano 007. Rischio paesaggio,
realizzato dalla Direzione per larchitettura contemporanea del
Mibac), ma presumibilmente sar pi frequente dora innanzi,
nellintento di avvicinarsi di pi alla espressione delle identit
locali attraverso procedure di ascolto mirate, che possono essere
attivate appunto attraverso i workshop di fotografia.
Spectacular City. Photographing the Future una mostra che
si tenne al Netherlands Architecture Institute di Rotterdam nel
2005. Si pu fotografare il futuro? Ovviamente no, a meno che
con la post-produzione digitale non si trasformi il presente in
futuro, immaginandolo. In verit, il titolo della mostra non voleva
significare questo, ma piuttosto mettere in evidenza linteresse di
molti artisti per la grande citt, la grande metropoli, la megalopoli,
come spazi che prefigurano il mondo futuro e ce lo fanno
intravedere. Possiamo intravedere il futuro attraverso il racconto
che certi fotografi ci fanno (Bas Princen, per esempio), di come
il moderno anche recente diventato rovina, abbandono,
scenario in cui si sta preparando lavvento di qualcosa di altro,
un futuro che lartista cerca di immaginare. Che forse addirittura
vede, attraverso il suo pensiero, il suo progetto.
Per alcuni decenni si guardato alla citt come scenario dove
cercare lidentit, il genius loci, trovandolo spesso a due passi
da casa: cos faceva Ghirri, cos fa Guidi, cos ha fatto lo stesso
Basilico con i suoi celebri ritratti di fabbriche milanesi. Ora i fotografi
pi spesso si allontanano, viaggiano in Estremo Oriente, nel Sud
America, si alzano come fa Barbieri con il suo elicottero, come
per paragonare le sue visioni a Googlearth. O almeno ci fanno
pensare, e molto intensamente, che il mondo contemporaneo ha
smesso laspetto che per alcuni decenni ha mantenuto, e si sta
preparando ad assumere tutto un altro aspetto: quello del futuro,
di quello che noi crediamo possa essere il futuro.
La fotografia di paesaggio non naturale, ma antropizzato, ha avuto

85. Fabio Mantovani, Ex Manifattura


Tabacchi, Bologna, 2011
115
un grande sviluppo negli ultimi trentanni; preso atto che la crescita
industriale aveva spezzato la continuit storica del paesaggio e
il legame con la natura si era perduto, i fotografi hanno cercato
di immaginare la forma del nuovo paesaggio determinato dalle
indelebili trasformazioni provocate dalla presenza dellindustria. E
sceglievano naturalmente la citt, anche ossessivamente e anche
ripetitivamente, per misurare il grande processo di sviluppo che
era avvenuto.
Gi dagli anni Novanta si cominciato a pensare che non
avesse pi significato ricercare una identit dei luoghi, ma che
fosse molto pi interessante e, soprattutto, possibile, istituire una
relazione dinamica con i luoghi, fondata su tentativi di creare un
dialogo. E stata la fotografia, con la sua insistenza, a trasformare
molte parti di citt disperse, tradite, spezzate, in scenari credibili,
in premesse per paesaggi futuri. Proprio perch la fotografia
certamente registra, ma soprattutto immagina. Immagina le citt
contemporanee, che forse pi che citt sono un sistema, carico
di flussi, modulazioni, convergenze, superfici di comunicazione e
di spettacolo.
Forse non tuttora chiaro quali sono i caratteri essenziali del
concetto di contemporaneit, ma invece molto evidente il suo
effetto principale, cio lo stato di preoccupata incertezza in cui
viviamo, ancora pi percepibile da quelli di noi che abitano in citt.
La citt, evolvendo da moderna a contemporanea, ha smarrito
quella aspirazione allordine e alla giustizia, alla razionalit e alla
uguaglianza che la connotava fin dal Rinascimento. La complessit
e la velocit dei processi, la molteplicit degli attori e dei decisori,
la necessit di coordinare le varie autonomie amministrative sono
alcune delle cause. Queste analisi sono comuni a quasi tutti gli
studiosi dei fenomeni urbani. Sono invece, com ovvio, molto
diverse le idee su come rispondere. Alcuni propongono il ritorno
alla citt bella, quella derivata da modelli storici, nelle forme, negli
equilibri, nelletica, nelle regole. Altri mediano e si accontentano
di una citt almeno coerente. In grado di tessere rapporti credibili,
tra le parti, tra linnovazione e la tradizione, tra le culture. Tra le
mille contraddizioni sociali in cui la citt vive.
Alvaro Siza scrive: Mi commosse lidea di una citt rinnovata,
non sappiamo quale, che sarebbe sorta dalla periferia, dalle
bidonvilles, dalle favelas, pi che dalla memoria o dalla presenza
dei centri storici [Siza, 1999]. Un progetto, dunque, che fa dellanalisi
della riflessione su ci che definiamo brutto, uno dei suoi stimoli
fondamentali.
Guardando la metropoli contemporanea e in particolare il mondo
delle periferie, Rem Koolhaas non si accontenta di vedervi
un dizionario di errori da riparare, ma ne rileva la terrificante
bellezza e su questa base elabora il proprio metodo di intervento:
la congestione sarebbe il concetto paradigmatico della cultura
del ventesimo secolo, a cominciare da Baudelaire, il primo poeta
moderno che spost losservazione dalla campagna alla citt,
maestro del Rimbaud delle Illuminazioni, che il poema della
citt.
Quel che davvero sembra paradossale il fatto che questa citt,
che cresce caotica, casuale e contingente, questo immenso
patchwork, anzich richiamare la cos celebrata globalizzazione
parrebbe il trionfo del localistico, dello specifico, del qui ed ora.
116
Fragilit, evanescenza, virtualit avvicinano larchitettura alle arti
visive: come queste, quella assai pi che in passato oggetto di
una evoluzione veloce, di un cambiamento di significato nel tempo
e nello spazio a ritmi sempre pi accelerati. Al tempo stesso, le
arti si avvicinano alla scena urbana, facendone il proprio campo
di indagine, il contesto di ambientazione. Il progetto architettonico
assume per conseguenza un maggiore understatement,
rinunciando ad obiettivi troppo ambiziosi e totalizzanti. Si fa avanti
un estetica dell antigrazioso urbano, fondata sulla constatazione
che lo scarto, il residuale, il banale anzich essere stato accettato,
indagato e utilizzato come strumento per il progetto della citt,
stato isolato, negato, trattato come un difetto, con vergogna,
insomma rimosso dai progettisti, dagli amministratori.
La citt periferica anche la citt dove vive la gente, dove vive
la larga maggioranza degli abitanti. E la citt che pi di quella
storica irrigidita dai valori monumentali e culturali - consente
la sperimentazione tipologica, tecnologica, i modelli partecipativi.
Le opinioni che si condensano nelle immagini degli artisti-fotografi
contano ormai come e pi di quelle di storici, storici dellarte,
architetti, filosofi, geografi, antropologi, sociologi. Sembra che
i fotografi abbiano raggiunto una credibilit anche pi salda e
autorevole, e in sintesi i loro messaggi recenti sono consistiti in
una tesi ripetuta a pi voci: che il luogo could-be-anywhere non
solo non da criticare, ma da accettare, perch quel paesaggio
siamo noi. Noi che volevamo lauto e la seconda casa come tutti
gli altri, che viviamo nelle citt e siamo ormai ben pi che la met
della popolazione.
Lossessiva insistenza con cui i fotografi da tempo indagano il
paesaggio nelle sue forme deteriori e caotiche, spesso fonte di
fastidio, ma questo vuoto, questo senso di provvisoriet, talvolta
di bruttezza, questo stato irrisolto delle cose non solo rispecchiano
con efficacia e onest la nostra effettiva condizione, ma segnalano
forse gli spazi simbolici di un potenziale nuovo paesaggio che per
ora non sappiamo dire [Valtorta, 2005].
Rappresentando senza commenti lintensit e spesso la
drammaticit dei fenomeni sociali di cui le citt del mondo sono lo
scenario, la fotografia pu attirare la nostra attenzione e suscitare
nelle coscienze domande, anche se non pu suggerire risposte;
rispecchiando valori e contraddizioni della societ odierna, il
paesaggio urbano pu aiutarci a conoscere le dimensioni delle
urgenze in cui viviamo, a formarci opinioni, e formandoci le
opinioni, a correggere pratiche. Larte contemporanea intrattiene
un rapporto stretto con il pensiero politico e sociale, anzi
con la crisi della politica, delle istituzioni, dei luoghi tradizionali
di coesione sociale, degli strumenti di comunicazione il
laboratorio per eccellenza di questo pensiero. Per questo oggi
la rappresentazione della citt ha un successo cos evidente
e per questo i fotografi continuano ad essere protagonisti di
primo piano di questa azione, che dal cuore dei problemi parte
e ad esso ritorna, dopo aver cercato altrove di arricchirsi con la
moltiplicazione del proprio singolo sguardo.
In tutto questo, va sottolineato il ruolo fondamentale degli Urban
Center, come luoghi dove la fotografia si unita allurbanistica,
non solo sui muri e negli scatti, ma nel dibattito, nellosservare,
recepire i suggerimenti dei fotografi, criticarli, rielaborarli. La spinta
117
che hanno dato gli Urban Center dal primo e pi celebrato,
quello di Torino, in funzione ormai da circa un decennio si unisce
allazione svolta da organismi ministeriali - come la ormai celebre
DARC, la Direzione per lArte e lArchitettura contemporanee del
Ministero per i Beni Culturali che stata alle origini del progetto che
ha portato oggi al Maxxi, il Museo romano dellarte del XXI secolo
- nellazione di avvicinamento delle politiche culturali a quelle
urbanistiche, dove il ruolo dellimmagine ricopre le due funzioni,
di ricerca-documentazione e di comunicazione-promozione.
Alcuni fotografi europei sono da tempo impegnati in direzioni come
86. Bas Princen, Shopping Mall Parking
quelle indicate, basti pensare tra i tanti allolandese Bas Princen, Lot, Dubai 2009
e allartista e fotografa catalana Montserrat Soto e a molti giovani
fotografi attivi nellarea barcellonese, da due decenni laboratorio
privilegiato di queste pratiche. Alcuni caratteri comuni possibile
riconoscerli, pur nella diversit degli approcci, e certamente tra
questi limportanza crescente data al corpo umano, al ritratto,
alla definizione delle identit delle persone come stile dominante
della rappresentazione della citt multietnica. Questo avvertibile
anche osservando alcuni casi italiani recenti, che pongono
laccento su temi di rilevanza politico-sociale connessi alla citt,
tornando a proporre dopo decenni una fotografia di servizio, di
indagine critica della realt, fatta da posizioni molto coinvolte dal
punto di vista della informazione politica, in un caso rifiutando
addirittura la soggettivit autoriale per scegliere al contrario la
fisionomia di collettivo.

2. Citt desolate di cui siamo responsabili.


Architetto e designer formatosi tra Eindhoven e Rotterdam, Bas
Princen fa parte di una generazione di artisti particolarmente
centrati sul tema della rappresentazione dellarchitettura. Princen
si colloca nel solco dei New Topographics americani, e anche
per questa sua qualit stato invitato da Linea di Confine per la
fotografia contemporanea di Rubiera a documentare il cantiere
della linea veloce Bologna-Milano nel 2008 (Galleria naturale il
titolo del lavoro). Tuttavia capace di unire al rigore a volte un po
freddo della fotografia documentaria una dose non trascurabile
di ironia surrealista, ben percepibile nelle sue vedute urbane.
Nella serie Refuge, Princen mostra cinque citt del medio oriente
- Beirut, Amman, Il Cairo, Istanbul, Dubai - e compone una citt
immaginaria dotata per di tutti i caratteri che ognuna ha di per
s: una citt senza centro, popolata da oggetti architettonici
implausibili, attraversati o lambiti da flussi migratori di scala
continentale.
Nel suo ultimo progetto, Reservoir (in mostra nel 2011 alla Casa
dellArchitettura di Roma), tutto il materiale urbano mostrato
(cantieri, case, pezzi e frammenti di costruzioni e strade, rocce e
geologie, cave, grotte, strutture edilizie, scale e scalinate, ruderi)
non sembra nemmeno pi in grado di raccontare dei luoghi
in un senso documentario. Pare invece che la ricerca visiva
produca simboli, icone, metafore di qualcosa, di una condizione
esistenziale, di una transitoriet cronica. Lautore alterna linguaggi
diversi, a volte inquadra larchitettura come farebbe un fotografo
di architettura, a volte ritrae il paesaggio come un vedutista
faceva con la pittura nel Settecento. Questa oscillazione continua
dimostra come il modo di guardare e di rappresentare poco
118
influisca nel descrivere oggetti cos espressivi, che sono di per s i
monumenti del contemporaneo, nel loro squallore, nella loro mole
inquietante, esistono senza essere scoperti da nessuno, senza
essere raffigurati da nessuno, la loro esistenza enormemente
pi significativa della loro visibilit.
Nella presentazione del libro, Stefano Graziani che anche lui
un fotografo fa uso di una citazione di Ghirri da Atlante, secondo
la quale, in questa epoca in cui tutto stato gi scoperto, la nostra 87. Montserrat Soto, Doom City, 2005
sola possibilit di scoprire la scoperta gi fatta. Ad esempio, per
Princen, quella di Lewis Baltz, o dellartista John Baldessari. Del
primo, Princen ripete linsistenza nel mostrare la desolazione che
luomo infligge al paesaggio; del secondo apprezza la preminenza
data alla fotografia nel suo visual looping, il rimando continuo
dalluna allaltra delle tecniche figurative.
Princen utilizza un punto di ripresa che definisce come la media
distanza, e sostiene che non stata molto usata nella fotografia
recente di architettura, che preferisce i punti di vista estremi,
con linquadratura centrata sulloggetto architettonico oppure sul
paesaggio urbano. Mentre - a suo dire - esattamente nella media
distanza che la figura umana diventa un elemento interessante:
non il soggetto principale e dunque non pu essere mostrato
come tale, ma le sue relazioni con lambiente circostante riescono
a definirlo in modo preciso e originale, e aggiungono allo stesso
tempo un ulteriore piano di lettura al paesaggio o allarchitettura. 88. Montserrat Soto, Perdidos

Anche Montserrat Soto mette larchitettura al centro del suo lavoro,


ma secondo un concetto molto allargato: non le interessa ledificio
come composizione, ma il fatto che esso produca relazioni e
interazioni con il contesto sociale e ambientale. Per Soto infatti ,
larchitettura ci che la circonda, dove passa, dove vive, ci che
la accompagna. E un concetto che ripete con le sue opere sin
dalla prima mostra del 1990, Devenir intuido. Lhabitat ci che
scegli, quello che crei intorno a te per sviluppare te stesso, tutto
ci di cui parli. Lhabitat te stesso, la tua stessa struttura.
E anche una idea di architettura, se si intende non solo il disegno
del costruito, ma anche il sentimento dei luoghi; se lambiente
environment inteso come modo di essere, di stare, di sentirsi; se
il luogo dove per ognuno avvengono le grandi cose.
Tracking Madrid il suo lavoro pi legato al paesaggio urbano
e alla memoria. E un inseguimento della citt, una carrellata sui
paesaggi urbani, Che si possono percepire in modo ancor pi
coinvolto stando sul confine tra dentro e fuori, tra natura e cultura.
La zona che Soto preferisce quella che segna il limite tra outside
e inside, da cui puoi guardare dentro ma senza penetrare.
Infatti gli elementi pi forti della sua poetica sono le porte e le
finestre. Puertas traseras raccoglie vedute da porte e finestre,
sguardi da balaustre, da finestrini di traghetti, da archi di portici.
Il linguaggio della porta il suo modo di parlare a se stessa e
allosservatore delle sue fotografie - stando di fronte al paesaggio
inquadrato, incorniciato, e anche di parlare di quel particolare
momento e modo - in cui la citt si percepisce proprio mentre si
decide di affrontarla, di entrarvi dentro.
Secondo Soto, il grande successo del paesaggio in fotografia, la
sua fotogenicit, lamore che gli hanno riversato addosso i fotografi
deriva certamente dal fatto che il paesaggio pi che nelloggetto
119
nello sguardo, pi che nella oggettivit nella soggettivit, e questo
ovviamente stimola lappetito fotografico. Sta nel modo con cui il
soggetto si mette a esplorare il mondo visibile, pi che nel mondo
stesso.
Lesplorazione richiama i primi esempi della fotografi di paesaggio,
i lavori di documentazione del territorio connessi a spedizioni
scientifiche, geologiche, militari. Ad esempio, la campagna
fotografica eseguita negli anni 70 dellOttocento da Timothy O
Sullivan e William Henry Jackson negli Stati Uniti, per conto del
governo americano, che port poi alla creazione del parco di
Yellowstone nel 1872; e cos avvenne anche nel 1940, con il lavori
di Ansel Adams sulla Sierra Nevada. Questi sono esempi molto
precisi di una filiazione diretta di azioni progettuali e amministrative
dalla esecuzione di riprese fotografiche, e Montserrat Soto dichiara
esplicitamente il suo debito prima ancora di affetto e fascinazione
che di discendenza culturale.
La riproducibilit immediata e la facile replicabilit in grande numero
delle immagini ha prodotto anche grandi effetti sulla diffusione
delle informazioni, un aspetto di non poco conto e molto utile
alla messa a punto di strategie politico-amministrative. Dal punto
di vista delle discipline territoriali per la fotografia unarma a
doppio taglio, poich contribuisce anche alla moltiplicazione della
conoscenza, dei visitatori, dei fruitori, e dunque costituisce un
problema per le azioni conservative, in quanto genera un aumento
della pressione antropica sui luoghi. Questo molto evidente
con il turismo, del quale naturalmente la fotografia stata la
generatrice pi efficace e inarrestabile. Cos come il turismo ha a
sua volta generato fotografia, nel senso di una richiesta continua
di informazione attraverso immagini stereotipate e accattivanti.
Uno dei modi pi sottili ma anche ricorrenti di rappresentare
il paesaggio urbano quello che possiamo definire per
complementariet, cio la sua rappresentazione attraverso
la rappresentazione dellopposto, il paesaggio che una volta si
chiamava rurale e che oggi forse in modo pi pertinente si chiama
extra-urbano, in quanto la predominanza della urbanit pretende
di definire tutto il resto in termini di sua assenza. Se gi Ghirri
stato uno dei maestri italiani di questa pratica, Montserrat Soto
ha realizzato molte opere secondo questa poetica. Ad esempio
Hivernaderos (2002) mostra campi di Almera e Fuerteventura
dove le coltivazioni tradizionali sono sostituite da costruzioni di
plastica paragonabili alla struttura urbana di strade ed edifici.
Al contrario, nella serie Huellas (2004) predominano scenari
verdi che nascondono rovine di industrie, una sorta di ritorno
della campagna in citt in termini meno positivi di quanto non
prevedano le teorie dellagricoltura urbana. Molto spesso il lavoro
di Soto, come di molti altri artisti contemporanei, prevede la
fruizione di queste immagini anzich attraverso i libri fotografici
o le mostre tradizionali, attraverso installazioni che pongono
il visitatore allinterno di spazi spesso bui circondati da scenari
fotografici (vere e proprie messe in scena) del tipo dei panorama,
con fotografie di grande formato giustapposte che mimano la
realt viva dei luoghi. Come certe immagini degli anni 60 di
Robert Smithson, non si tratta di fotografie di denuncia, ma al
contrario - di constatazione. Non sono immagini malinconiche, ma
certamente creano instabilit, irritabilit, forse anche disagio. Ci
120
mettono di fronte alle responsabilit connesse alla modificazione
paesaggistica, agli effetti di lunga distanza della urbanizzazione,
e ponendo lo spettatore al centro del panorama ne esigono il
coinvolgimento, la corresponsabilizzazione, in modo anche crudo.

3. Carrers e paesaggio metropolitano.


Barcellona una citt al centro dellattenzione mondiale da
quasi un ventennio, per la rapidit con cui riuscita a risollevarsi
dallemarginazione in cui come e pi del resto della Spagna si 89. Adri Goula, dalla serie Carrers
Metropolitan i places centrals, 2010
era trovata nel periodo franchista. Il caso notissimo: a partire dal
1980 quando la prima elezione democratica del dopo-Franco
porta allinsediamento di una giunta a maggioranza socialista
guidata da Narcis Serra la citt inizia a cambiare aspetto, grazie
anche alla nomina dellarchitetto Oriol Bohigas quale assessore
allurbanistica [Ingrosso, 2011]. E a Barcellona che leterno conflitto
tra i santificatori del piano urbanistico generale e i discepoli
dellarchitettura come arte in grado di trasformare da sola l intero
contesto urbano trova una mediazione concreta e non puramente
teorica nel progetto urbano.
Una invenzione non solo verbale (la parola progetto fa parte del
vocabolario dei termini architettonici, laggettivo, invece, di quelli
usati dai pianificatori): Bohigas, con la forza dei fatti, ovvero delle
molte realizzazioni, dimostra che una scala territoriale come
quella rappresentata dalle dimensioni di un quartiere idonea a
far incontrare le esigenze di un disegno coerente e omogeneo per
una serie abbastanza estesa di isolati, con gli effetti di riverbero
sullorganizzazione e il funzionamento del tessuto cittadino
adiacente alle realizzazioni di architettura di qualit. Di norma, il
protagonista del progetto urbano lo spazio pubblico, sia esso
aperto che edificato, purch il cittadino vi si riconosca e possa
comprendere immediatamente luso da farne e la disponibilit
dello stesso per i propri bisogni.
La citt intesa da Bohigas come una somma di frammenti,
ciascuno dei quali ha una data coesione fisica e sociale [Bohigas
2002, p. 71 e segg.], e i progetti urbani devono venir utilizzati come
base per la partecipazione cittadina e per la collaborazione di
diversi professionisti. E cos che nascono profonde ed inedite
riflessioni sullalternativa tra espansione e ricostruzione, sulla
necessit di superare il falso dualismo tra centro e periferia,
e dunque sulla possibilit di ottenere una citt pi densa e
compatta, riqualificando spazi dismessi, vuoti, o degradati, anche
ricorrendo a forme contemporanee, utilizzando la metaforica
procedura della metastasi, un metodo induttivo che parte dal
contesto fisico e per progressive aggiunte si perfeziona nel
progetto. La citt, si cominci a dire, si costruisce su se stessa,
aggiungendo, sottraendo, stratificando, in una citt gi di per se
stratificata e molto compatta (cento chilometri quadrati che non
possono aumentare a causa dei limiti fisici imposti dal mare, dalla
collina del Tibidabo e dai due fiumi Bess e Llobregat). Nascono
in serie interventi di architettura minimale (come la chiam Ignasi
de Sol-Morales) su pasei e piazze, frutto della collaborazione
di professionalit diverse, architetti, urbanisti e scultori, tra cui
Richard Serra ed Eduardo Chilida. Questo fervore di opere ancor
pi stimolato, com ovvio, dalla assegnazione a Barcellona delle
Olimpiadi del 1992: arrivano i grandi nomi, come Norman Foster,
121
Arata Isozaki, Frank Gehry, Alvaro Siza, e poi Richard Meier,
Herzog & de Meuron, Jean Nouvel, Richard Rogers. Di solito
larrivo delle archistar fa terra bruciata delle giovani generazioni
locali; al contrario, lesperienza di Barcellona smentisce questa
teoria. Architetti come Viaplana e Pinon, Miralles, Bonel, Mateo,
relativamente giovani e sconosciuti, sono emersi dallesperienza
della riqualificazione urbana come protagonisti dellarchitettura
europea, forse grazie alla forte carica di impulsi liberatori esistente
nella citt catalana, dal primitivismo di Joan Mir allessenzialismo
del padiglione tedesco di Mies van der Rohe.
I caratteri dellesperienza barcellonese, che si prolunga nel
tempo e tuttora, dopo trentanni, mantiene in larga misura intatta
la sua forza, portano con s la necessit della fotografia: molta
architettura, in spazi storici, paesaggistici, in un contesto ricco
di turismo, con alta partecipazione. Molta necessit di dialogo
tra fotografia e progetto. La citt, inoltre, possiede una cultura
fotografica di primordine: da Brangul a Catal Roca, passando
via via per Humberto Rivas, Manolo Laguillo, Jordi Bernad, fino ai
giovani, molto coinvolti nellanalisi urbana attraverso la fotografia.
Tra questi giovani autori, alcuni hanno lavorato con Carles Llop,
architetto e docente dell Universit Politecnica di Catalogna,
nel realizzare una mostra, Carrers Metropolitans, che anche
uno studio e un progetto. Lo studio riguarda la viabilit urbana
e il modo in cui storicamente le nostre citt prendono forma,
attraverso lo spazio pubblico. Dal pi piccolo insediamento alle
citt pi grandi il primo elemento dordine la strada, che risulta
dalla distanza spontanea o progettata tra gli edifici. In una realt
urbana metropolitana come quella di Barcellona necessario
trovare spazi di relazione della vita sociale, e la strada quello
pi immediato e consolidato.
Il municipio di Barcellona, le citt dellArco Metropolitano,
larea metropolitana e la sua Regione Urbana hanno realizzato
cos Carrers metropolitans, che raccoglie gli spazi emergenti
della costellazione territoriale suddetta. E anche una iniziativa
programmatica per creare le condizioni di un progetto concertato,
suddividendo tra le diverse istituzioni pubbliche le competenze
della trasformazione in termini di abitabilit e accessibilit. E un

90. Pere Bascones, dalla serie Carrers


Metropolitan i places centrals, 2010

122
documento strategico destinato alla governabilit del territorio.
Allorigine delliniziativa una mostra fotografica a fianco di
un seminario, un libro, una strategia in sviluppo attraverso la
cooperazione di studi privati, universit, istituzioni. Lesposizione
stata itinerante in varie citt mondiali: Parigi, Shanghai, fino a Rio
de Janeiro. E insieme una riflessione sui problemi e le opportunit
dello spazio della strada contemporanea e la diffusione della
conoscenza della grande trasformazione dello spazio urbano della
citt, portato a termine negli anni della democrazia a Barcellona.
La riflessione sulla strada come scenario attivo e struttura efficace
per la vita contemporanea, comprendendo anche lo sviluppo di
nuove tecnologie applicate allo spazio urbano.
Nella strada circoliamo, viviamo, lavoriamo, la strada al tempo

stesso il miglior luogo di relazione ma anche di conflitto. In tutte le


citt del mondo le domande sono le stesse: di chi la strada? A cosa
serve? Chi vigila, chi decide? Come possiamo rendere compatibili
tutte le velocit, i modi di trasporto, le necessit degli abitanti che
passano e di quelli che vi lavorano, come i commercianti? Come
realizzare strade leggibili, fluide, di facile uso? Fino a che punto
la pubblicit, i negozi, la libert despressione e larte possono
trovare il loro spazio? Tutte queste funzioni possono essere pi
o meno compatibili tra di loro, e creare conflitti di tipo diverso.
La crescita delle citt, sia in altezza che in superficie acutizzano
questi problemi duso. Per risolvere questi problemi lurbanistica
moderna ha teso a creare gerarchie e a specializzare usi,
separando mobilit e attivit. A volte queste scelte sono state
criticate come portatrici di separazione. Esistono altre esperienze,
di paesi che invece hanno puntato sul potenziale di urbanit che

91, 92. Andrs Flajszer, dalla serie
deriva dalla mescolanza di funzioni e classi sociali. Questi sono i Carrers Metropolitan i places centrals,
2010
temi dellesposizione, e la fotografia in questo caso come si vede
deve essere capace di porre domande e in un certo senso anche
di suggerire percorsi per le risposte. Un video di grande formato
mostra un mondo di strade in movimento; cinquanta progetti di
architettura inventano le strade, ne immaginano un uso diverso,
ne migliorano le capacit di relazione; una sezione della mostra
dedicata a indagare come la telefonia mobile, la pubblicit
interattiva e i videogiochi modifichino il nostro immaginario sulla
strada.
La stessa variet di denominazione della strada a Barcellona
indicativa della diversit duso e di approccio: carrer, avinguda,
passeig, carretera, cam, pas, via, travessia, carrer major, gran via,
cam del mig, carretera alta, passeig maritim, rambla, diagonal,
travessera, ecc. La strada pu essere osservata dal punto di vista
dei bisogni sociali primari: la nettezza, il parcheggio, la sicurezza
dei bambini, i trasporti pubblici, gli animali, laccessibilit, larte, la
vita 24 ore su 24... [Llop 2011].

4. Il collettivo fuori_vista e Sismicity.


Il collettivo di fotografi fuori_vista composto da tre fotografi
senior - Isabella Balena, Alessandra Chemollo, Fulvio Orsenigo
coadiuvati da alcuni giovani, e produce e cura progetti fotografici
complessi per favorire, attraverso unadeguata comunicazione,
la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali. Tra questi,
uno dei pi recenti e significativi la mostra Sismicity, che
raccoglie un progetto fotografico sulle conseguenze del sisma
123
che ha colpito LAquila e il suo territorio, sviluppato nel corso di
un anno e incentrato su ci che il terremoto ha messo in luce: il
nesso profondo tra il costruire e labitare, il sistema di relazioni tra
identit individuale e collettiva, su cui si fonda il senso condiviso
di bene comune.
Due diverse esperienze fotografiche sono riunite nel lavoro:
immagini di approfondimento dellimpatto del sisma sulla citt
e i suoi abitanti si affiancano a scatti dedicati alla registrazione
esaustiva del centro storico de LAquila secondo criteri omogenei
e preordinati: luogo, identit, bene comune sono le
problematiche affrontate.
La grande attenzione mediatica spesso superficiale e deviante
dalla verit dei problemi non sminuisce e anzi rafforza lutilit di
un progetto di comunicazione come questo, composito, innovativo
nella metodologia della ricerca, in cui lautorialit del fotografo
diventa condivisione delle competenze finalizzata ad un progetto
comune. Sismicity una mostra itinerante intorno alla quale si
sviluppano iniziative di volta in volta diverse che coinvolgono
istituzioni, cittadini ed esperti in una riflessione comune e condivisa
sul futuro della citt.
Il collettivo fuori_vista lesempio di una fotografia innovativa
nel suo rapporto con i temi dellurbanistica. Fin dalla sua nascita,
una delle qualit pi intense della fotografia la capacit di
testimoniare e di informare. Da allora si discusso spesso della
veridicit o meno del mezzo fotografico, limpegno dei fotografi per
una evoluzione della societ in una prospettiva di miglioramento
documentabile in una serie di episodi tratti dalla storia della
fotografia, a cui idealmente il collettivo veneziano non pu non
fare riferimento.
Di fatto, gli interrogativi che fotografi e fotografia si pongono
oggi sono in sostanza ancora gli stessi: quali sono le funzioni
ma anche le possibilit della fotografia che si pone come
obiettivo documentare e informare? Tutti siamo consapevoli
della limitatezza delle possibilit di incidere che ha la fotografia
quando non pu raggiungere dei sistemi di divulgazione ampi e
contemporaneamente sappiamo tutti che il potenziale informativo
della fotografia non pu competere con la velocit e la capillarit
della rete o dei sistemi televisivi. Nonostante questo, la fotografia
ha per sua natura genetica alcune caratteristiche che in questa
fase di confusione e di cambiamenti la rendono assolutamente
preziosa e fuori_vista ce ne offre una possibile testimonianza: la
fotografia ci consente il ripensamento, ci consente il confronto, ci
regala i tempi della meditazione e della riflessione, ma soprattutto
ci costringe a una presa di coscienza [Calvenzi, 2010].
Il fenomeno mediatico che ha caratterizzato linformazione sul
terremoto de LAquila e lesperienza di fuori_vista sono in qualche
modo sintomatici. Tutti abbiamo vissuto il bombardamento visivo
su quanto accaduto, su quello che stato fatto e su quello
che non stato fatto, fino ad arrivare a una sorta di indigestione
che ha rischiato di portarci al rifiuto, perch provocata da una
comunicazione per immagini che puntava sullaccumulo e
sul sensazionalismo e che probabilmente mirava anche al
condizionamento dellopinione pubblica. fuori_vista ha affrontato
il problema con un progetto totalmente opposto, rifacendosi
allesperienza di episodi della storia della fotografia. Da un
124
lato il riferimento a Paolo Monti e al lavoro realizzato per la
documentazione dei beni architettonici e ambientali dellEmilia
Romagna; dallaltro, lo stile quello definito documentario,
teorizzato gi negli anni Trenta da Walker Evans e praticato da
tutto il gruppo di fotografi che aveva lavorato per il progetto di
documentazione delle zone rurali degli Stati Uniti per la Farm
Security Administration.
Lesperienza di Sismicity ha i numeri per entrare nella storia
della fotografia recente. Sono immagini che emozionano e allo
stesso tempo sono la testimonianza di un momento storico e un
punto di partenza. Lelemento che trasforma questa esperienza
fotografica in qualche cosa di ancora pi importante risiede nel
progetto di comunicazione che fuori_vista ha saputo costruire
attorno al proprio lavoro, ovvero nellidea di lavorare insieme e
in modo sistematico e anonimo, di raccogliere e verificare i dati,
di organizzare dei laboratori, di indire incontri pubblici con esperti
in diverse discipline, di mettere a confronto esperienze italiane
93, 94. fuori_vista, Sismicity. LAquila
e straniere, di coinvolgere infine le istituzioni e il pubblico in 2010
unoperazione di rilettura e di analisi che trova nella fotografia la
capacit di essere forza motrice del progetto.

5. Milano Downtown.
Il dibattito sulle politiche urbanistiche e sugli strumenti di governo
della citt sembra spesso prescindere dai contesti materiali e la
vita concreta dei luoghi sembra uscire dal campo di osservazione.
Allo stesso modo in cui larchitettura fotografa gli edifici purificati
dalle presenze umane, quando si discute di politiche urbanistiche
il riferimento a quantit, successioni di piani, dispositivi, reti di
attori, senza produrre connessioni con gli esiti materiali e visibili.
La politica, ma forse anche larchitettura e la pianificazione,
sembrano aver perso il gusto di un riscontro sulle cose.
I luoghi per resistono nel tempo e sono testimonianza dello stato
delle cose, di ci che gli strumenti di governo producono, quasi
come reperti e <corpi del reato>. E qui che abbiamo voluto posare
lo sguardo per tornare a discutere criticamente e pragmaticamente
delle trasformazioni urbane a Milano e del futuro della citt. E lo
stesso Hanninen che racconta cos il suo lavoro [Bricocoli-Savoldi,
2010]. Soltanto sedici fotografie di piccolo formato insieme con
queste brevi parole - gli bastano per descrivere sinteticamente
la situazione di cinque diverse aree milanesi. Il suo lavoro
laconico, anti-retorico, preciso, e il fatto che rifugga in modo cos
palese dallabbondanza ne fa un lavoro esemplare, perfettamente
idoneo a dare il senso di quella quiete visiva dellambiente urbano
che copre come una coltre contraddizioni anche gravi.
C senza dubbio una relazione tra lambiente squallido degli
insediamenti periferici e la disattenzione che viene riservata al
progetto che li concerne. Percorrendoli, ci si rende conto che
la qualit urbanistica e architettonica talmente bassa da non
riuscire ad attrarre lattenzione del visitatore. Basterebbe solo
questo a spiegare la necessit della fotografia. Bisogna fotografare
i quartieri periferici per permettere che esista una loro relazione
con lesterno, per evitare che restino isolati e chiusi in se stessi,
come gi lo sono per evidenti limiti di tipo funzionale: strade e
accessi difficoltosi, mancanza di spazi pubblici attrattivi, senso di
insicurezza sociale che li pervade e che costituisce a volte una
125
cattiva fama in tutta la citt.
Attenzione e visibilit, sono i presupposti per ogni cambiamento
positivo. C anche da tener conto di due ostacoli sempre
in agguato: la riluttanza a guardare e lincapacit di vedere,
sentimenti o incapacit di sentire che condizionano in modo
pesante la percezione della citt.
Il lavoro di Hanninen su Milano riguarda casi diversi. Santa Giulia
una operazione immobiliare che va considerata come un caso
esemplare delle trasformazioni urbane milanesi a cavallo tra XX
e XXI secolo, un grande progetto con esiti fallimentari nonostante
95. Angela Rosati, Ex Manifattura
le lusinghiere attenzioni avute nella fase di lancio. Gratosoglio Tabacchi, Bologna, 2011
e Pompeo Leoni sono due quartieri diversi, luno un progetto
pubblico degli anni 60, laltro un programma negoziato tra gli
attori pubblici e privati di trentanni dopo. Prendere atto dei limiti
di entrambe queste realizzazioni pu voler dire indicare. nuove
sia per migliorare il migliorabile l dove si intervenuti, sia per
indicare alternative utili per le nuove esperienze. Sarpi e via
Padova sono invece ambienti cittadini densi, che sono stati al
centro delle cronache per motivi di ordine pubblico. In questi casi,
oltre che obiettivi di miglioramento del progetto di riqualificazione
relativo allinsediamento, la riflessione sul campo evidenzia la
necessit di verificare le politiche per la citt nel loro insieme.
Dunque allesame sono sia le grandi trasformazioni urbane, che
i quartieri da riqualificare, che ambienti insediativi in transizione
e crisi, e in tutti i casi lo sguardo fotografico ha come obiettivo la
citt, non larchitettura.
Lurbanista riflette su ci che vede e fa le sue considerazioni:
se evidente la crisi della polis che non limitata ai confini
dellurbs, ma, come scrisse Hannah Arendt, la polis sar dove
voi andrete - intesa come comunit insediata che esprime
identit e coesione; anche la civitas federazione di soggetti che
si propone di sperimentare forme di convivenza in difficolt,
anche se esprime senzaltro una vitalit e una attualit maggiori.
C dunque una crisi di urbanit. Proprio quando la popolazione
mondiale diventata da qualche anno soprattutto urbana, come
ci hanno ricordato mille statistiche. E gli spazi che costruiscono la
citt non possono essere pi quelli del passato, salvo creare dei
simulacri come sono le citt belle invocate da certi autori (da Leon
Krier ai pi recenti revivalisti delle citt-giardino e di una forma
colta di neomedievalismo).
Gli strumenti di lavoro non possono certo essere ancora gli ambiti
omogenei o le zone urbane della teoria urbanistica di fine anni 60.
Ragionando in questo modo sarebbe ancora possibile sognare
modelli utopici, come quello di cui parlava Colin Rowe, una citt
ideale che unisce i vantaggi di un centro storico plurifunzionale
e ricco di heritage come quello europeo, con quartieri suburbani
ben disegnati e spaziosi come quelli dellamerican way of life.
Unutopia mai realizzata, e tanto meno realizzabile oggi, in
unepoca di crisi di risorse, dove mediamente la percentuale di chi
pu scegliere labitazione in una qualsiasi citt di quel decimo
dei residenti che possiede il 40% dei redditi complessivi. Oggi
forse pi che di utopie opportuno ragionare di rischi concreti,
come quello di avere una citt con un centro simile alle downtown
americane e una periferia come quelle metropolitane europee,
qualcosa di simile alla citt infinita di Koolhaas.
126
Una politica riformista modesta ma responsabile la ricetta
suggerita da questo tipo di approcci visivi, orientati alla ricerca
di una via percorribile per il miglioramento: qualcosa di simile
ai concetti di understatement e di sobriet che la fotografia
urbanistica di questi anni dovrebbe contribuire a diffondere, per
aiutare un ragionevole progetto di recupero urbano.

6. Il ritorno degli abitanti.


William Guerrieri da anni il coordinatore delle diverse attivit 96. Giovanni Hanninen, Quartiere Librino
a Catania, 2011
portate avanti da Linea di Confine di Rubiera. Oltre a questo
ruolo molto importante di curatore e promotore culturale, svolge
anche lattivit di fotografo. Instant Report un suo progetto di
documentazione della partecipazione pubblica che si sviluppata
intorno ad alcune questioni urbane di grande rilievo per le due
citt di Modena e Bologna.
Il lavoro di Guerrieri sulle Fonderie riunite di Modena si svolto
tra il 2007 e il 2008. Il complesso di edifici dismessi una delle pi
significative testimonianze industriali della citt. Larea fu teatro
di un tragico scontro tra operai in sciopero e polizia, che culmin
nelluccisione di sei operai il 9 gennaio 1950. Quando il Comune,
circa dieci anni fa, consider la possibilit di inserire anche le ex
Fonderie nel programma di riqualificazione urbana comprendente
lintero quadrante nord della citt, nacque un intenso dibattito su
come riutilizzare gli edifici. Fu organizzata una discussione con
la comunit per definire un piano condiviso per lo sviluppo del
sito, con il contributo dei cittadini, di associazioni e delle istituzioni
coinvolte. Le ex Fonderie furono oggetto nel 2001 di una
campagna fotografica promossa dalla Regione Emilia-Romagna
e condotta da Gabriele Basilico, che document con oltre 700
immagini le aree in corso di trasformazione in cinquanta comuni
della Regione [Basilico, 2001].
Il lavoro su via del Pratello a Bologna del 2008-2009. Nella strada
del centro storico bolognese, che una sorta di piccolo quartiere
dalle origini popolari, lapertura di varie attivit commerciali
promossa tra laltro da finanziamenti pubblici ha visto la
proliferazione di bar, ristornati, osterie, pub, birrerie, taverne,
spesso con spazi attrezzati allesterno (i cosiddetti dehors).
Lapertura notturna fino ad ore molto avanzate ha causato seri
problemi per i residenti, che hanno organizzato comitati per la
difesa della quiete pubblica. Gi da alcuni anni lambiente urbano
si caratterizzato per un progressivo degrado. Camminando per
la via del Pratello si subito sorpresi dalla quantit di scritte sui
muri, graffiti, manifesti, avvisi di varia natura, al di fuori degli spazi
predisposti. Lamministrazione comunale ha aperto una serie di
consultazioni con il quartiere, la popolazione, le associazioni dei
commercianti e le molte associazioni culturali operanti nella zona.
Le prime riunioni avvennero nel 2007, vennero sospese a fine
2008 in seguito ad alcuni provvedimenti del Sindaco sugli orari
di chiusura degli esercizi pubblici che provocarono la reazione
dei gestori, con vasta eco sulla stampa. Come mantenere vivo
lo spirito del Pratello e salvaguardare il sonno degli abitanti?
La domanda stata posta nel corso di pratiche di Open Space
Technology, una procedura di ascolto partecipativo organizzata
per gestire i conflitti e trovare soluzioni il pi possibile condivise.
Nello stesso periodo 2008-2009 Guerrieri documenta la formazione
127
97. William Guerrieri, Fonderie riunite
di Modena, 2007-08, dalla serie Instant
Report

di una attenzione collettiva verso le trasformazioni urbanistiche in


corso nel quartiere Navile, sempre a Bologna. Vasti complessi
industriali (Casaralta, Sasib, Cevolani, ex Manifattura Tabacchi),
aree militari (la caserma Sani) vengono coinvolte in un progetto
che prevede la realizzazione di uffici, negozi, abitazioni, servizi
culturali e ricreativi. Dovranno essere costruiti parcheggi, strade,
piste pedonali e ciclabili, riutilizzando per questo scopo anche
il percorso delle vecchie linee del trame della ferrovia. Larea
da tempo quella che raccoglie le iniziative pi importanti per
lo sviluppo e la riqualificazione della citt: nel quartiere stato
realizzato il nuovo complesso di uffici comunali, e nellex mercato
ortofrutticolo in corso di realizzazione un grande quartiere
residenziale. Anche in questo caso le fotografie di Guerrieri
danno testimonianza di sopralluoghi e incontri che sono stati
promossi dal Comune. In un certo senso, forse con una forma di
estrema ma benefica tautologia, si pu dire che queste fotografie
corrispondono al massimo grado allo sforzo di rappresentare il
futuro, di rappresentare il progetto, visto che raffigurano momenti
in cui esso si forma, in cui la discussione pubblica produce
elementi di riflessione che dovranno poi diventare elementi del
progetto di trasformazione e riuso. Tra questi spunti per il progetto
stanno ad esempio le decisioni sul grado di cancellazione fisica
delle preesistente, che spesso ci che sta maggiormente a
cuore agli abitanti, residenti, ex lavoratori che partecipano alla
discussione. Ovviamente un altro contenuto dei confronti pubblici
la destinazione delle aree, la maggiore o minore dotazione
di servizi verde, parcheggi, piste ciclopedonali, servizi per la
cultura, ecc; e la quantit di edificazione, la sua densit, perfino
le sue forme.
Da questo punto di vista, cos come la fotografia autoriale
classica di paesaggio, anche la documentazione dei processi
di formazione del consenso nelle grandi trasformazione urbane
pu essere considerata un survey, una verifica, un contributo
sostanziale al processo di progettazione/pianificazione, e dunque
alla formazione del paesaggio urbano del futuro prossimo.

128
7. Hinterland bolognese.
Nel 2009 la Provincia di Bologna ha dato incarico al fotografo
gallese ma da tempo residente in Italia - Rhodri Jones di
realizzare unindagine sul territorio di alcuni comuni della bassa
bolognese. Jones abita gi da alcuni anni in un comune della
stessa zona, e tuttavia la sua origine geografica gli impedisce
di porsi nei confronti di quei luoghi con sentimenti di nostalgia.
Anche la sua carriera professionale, spesa in larga misura tra
lAsia e il Sudamerica come fotoreporter, lo spinge a uno sguardo 98. Guy Tillim, Pincio, 2009
oggettivo e al tempo stesso curioso, anche se non nostalgico.
Succede di frequente a questo tipo di autori: stranieri, magari dei
paesi del terzo mondo, gi fotoreporter e successivamente decisi
a entrare nel novero degli autori-artisti, dedicandosi dunque ai
tipi di fotografia pi autoriali, come indubbiamente il caso della
fotografia di paesaggio in questi ultimi dieci-quindici anni. Tra i
molti altri esempi che si possono fare viene il mente il caso del
sudafricano Guy Tillim, gi attivo con Reuters e France Presse tra
gli anni 80 e i 90, e nel 2009 auotre di una mostra, Roma, Citt di
mezzo, capace di offrire una interpretazione non troppo turistica
della citt eterna in cui sembra a volte di trovare una sensibilit
trasognata e quasi ghirriana.
Il punto di partenza di Rhodri Jones nel lavoro sullhinterland
bolognese basato sul confronto con le situazioni dei brownfield
sites gallesi, originati dalla chiusura delle miniere di ferro e
carbone nelle valleys. La trasformazione edilizia e sociale, in
questo caso, porta a costituire comunit con identit del tutto
nuove, senza radici n storia, in modo analogo a ci che succede
altrove; ma si tratta di azioni pianificate con il preciso scopo di
recuperare zone degradate o dismesse, e dunque gli obiettivi
sono chiari ed evidenti, oltre che necessari. Meno immediato
alla sua comprensione il caso bolognese, dove campagne anche
ricche ed industrializzate vengono sacrificate a una forza esterna
ed autonoma, lespansione della citt, che sembra quasi una
invasione che tutto fagocita.
Si creano delle piccole satellite towns unicamente residenziali,
prive di spazi pubblici, che sono sostituiti dai multiplex, dagli
ipermercati e dalle case bingo. E il paesaggio della sprawltown
[Ingersoll, 2004], sul quale lecito interrogarsi, chiedendosi ad
esempio cosa sopravviver negli anni, come sar assorbito dalle
parti pi nobili del territorio bolognese, se sar in grado di generare
nostalgia come altri paesaggi hanno fatto e fanno da sempre.
E una riflessione apparentemente paradossale, ma in verit un
modo anche questo per riflettere sulla qualit dei luoghi. Lopinione
comune rigetta questo tipo di insediamento definendolo brutto, ma
al tempo stesso lo chiede, ci abita, vi si adatta. La contraddizione
evidente. Chi critica lo fa adducendo che non c paragone
tra questi paesaggi e quelli della tradizione rurale, ormai ridotti
in poche isole di sopravvivenza, soprattutto in montagna. Ma
confonde la verit dei fatti, ipotizzando che in un vago passato gli
abitanti costruissero consapevolmente un paesaggio bello, mentre
questo non mai accaduto. Ognuno ha sempre costruito ci che
serviva, casa e stalla un tempo come oggi casa e capannone,
non si mai data unepoca votata a realizzare un bel paesaggio,
il paesaggio ci che risulta dal complesso delle attivit umane
orientate a fini di utilit personale e sociale, non di bellezza. Uno
129
dei meriti del lavoro di Jones esattamente questo, di suggerire
che ci che le sue foto mostrano non avviene nonostante noi: il
paesaggio siamo noi.
Jones anche nelle sue foto del mondo in cui tutti viviamo non
smette di ricordarsi quel che stato: un fotografo reporter di zone
calde, e non smette di ricordare di essere stato allievo di un mostro
sacro del fotoreportage come Philip Jones Griffith, poi presidente
dellagenzia Magnum, gallese anche lui, che divideva il lavoro dei
fotografi tra quelli che producevano foto che raccontano quello 99. Rhodri Jones, Cart and Skyscrapers,
Shanghai
che ci vorrebbero mille parole e foto che hanno bisogno di mille
parole per essere spiegate. Il pragmatismo un po guascone,
sfrontato che proprio della persona si legge anche nei prodotti
della sua seconda vita stanziale e riflessiva, come sottolineatura
della grossolanit, della pesantezza di questo mondo: cos come
gli era possibile con una certa trasparenza di sguardo registrare
le pesanti contraddizioni e le violenze dei terzi mondi, oggi con
pesante nitidezza, larghezza, coloritura, diagonalit fotografa
levanescenza del paesaggio liquido.
Il lavoro sullhinterland bolognese si interroga sulle relazioni
tra il paesaggio e lidentit degli abitanti. E scontanto prendere
coscienza del fatto che le trasformazioni paesaggistiche e
ambientali si accompagnano a quelle identitarie. Il fatto che
anche se accettiamo che lidentit di ognuno di noi sia in continua
trasformazione, non ci piace registrare i cambiamenti dellambiente
in cui viviamo. Vorremmo che lambiente fosse stabile. Possiamo
sopportare lidea che il nostro paesaggio interiore cambi secondo
logiche sue, di fatto indipendenti dalle nostre forze di contrasto
o interazione, ma ci irrita moltissimo trovarci in posti che non
riconosciamo. Vogliamo che almeno il paesaggio esteriore,
quello che scegliamo per ambientarci, per adattarci al mondo
con il minor sforzo possibile, sia accogliente, risponda al nostro
bisogno di sentirci stabili, di sentire la continuit, i legami col
passato. Superiamo lo shock della nostra identit interiore che si
sfarina, consolandoci con la nostalgia del passato e sforzandoci
di perpetuarne le forme.
Queste fotografie della bassa bolognese ci mostrano luoghi
irriconoscibili rispetto a come erano non molti anni fa. Jones
lavora sul concetto di nostalgia, scompigliando le cose con ironica
intelligenza. Non avendo conosciuto questi luoghi quando erano
molto diversi, non prova nostalgia per la loro trasformazione, e si
chiede se anche fra dieci o ventanni si potr provarla pensando
a come erano, cio come sono oggi. Questo possibile sentimento
futuro ha il suo germe in queste architetture dechirichiane, in queste
metafore di supermercati, in questi eufemismi di fabbriche? Fra
trentanni, quando la sua chiesa sar sostituita da unaltra, nuova
e pi moderna, il vecchio - ora giovane - abitante si opporr, lotter
invano e pianger sulla sua scomparsa, evocandone le forme, le
opportune geometrie, la sapienza costruttiva, il suo radicamento
nel territorio?
Queste fotografie sembrano suggerirci che il paesaggio esiste a
prescindere dalla nostra memoria e perfino da noi che vogliamo
farne il nostro paesaggio. Che esso si forma non certo per noi,
ma nemmeno contro di noi: banalmente, si forma nonostante
noi. Nessuna comunit agisce per costruire un paesaggio, ma
per costruire uneconomia, una collettivit, una convivenza. Il
130
paesaggio semplicemente ci che ne consegue. E sempre
stato cos, anche quando i nostri antenati avevano il controllo delle
forme del costruito, stabili da secoli, e delle forme delle campagne,
anchesse immutabili. Quando tutto era stabile e riconoscibile,
per, il paesaggio non esisteva: esisteva il territorio, lo spazio
da usare, ma il paesaggio non veniva percepito. Quando poi
sono scomparsi i contadini e i muratori, i boscaioli e i cacciatori,
quando comparso luomo massificato e uguale, allora arrivato
il paesaggio, con il suo ingrediente principale, la nostalgia.
Queste cose, i luoghi, le costruzioni che vediamo nelle fotografie di
Jones, diventeranno i beni culturali del futuro? Sar emozionante
arrivarci e riconoscerle, commovente allontanarsi e lasciarle?
Sar vietato demolirle o trasformarle? E possibile che mescolando
cose un po banali, scontate, prosaiche, o addirittura brutte,
sguaiate, piccolo borghesi e un po trash, con questi ingredienti
possa in tempi lenti realizzarsi una ricetta gustosa? Perch poi
lenti? Se laccelerazione tipica della societ odierna continuer
anche solo con progressione aritmetica, potrebbero bastare una
decina danni perch noi ci innamoriamo di questo ambiente di
ibridi innaturali, dove case rurali ristrutturati troneggiano nel vuoto
dei campi dellagricoltura intensiva e meccanizzata, privi ormai
di aie, stalle, pollai, porcili, pozzi, recinzioni, fossi, cavedagne.
Saranno dunque beni culturali le tracce umane che Jones cerca e
raffigura con le sue fotografie, o le nuove composizioni di elementi
antichi - torri, portici, orologi in facciata, tetti spioventi e mattoncini
di cotto - con elementi nuovi come portoncini di garage, piscine,
condizionatori, palestre, antenne paraboliche, grandi vetrate
panoramiche?
Nelle foto che comparivano cinquantanni fa su Tuttitalia o sulle
pubblicazioni del Touring cerano i vecchi contadini fotografati
da Enrico Pasquali e Antonio Migliori, e qualche florida massaia
di Antonio Masotti. Foto in bianco e nero, abiti neri e grigi, lana
grossa, feltro, cuoio, tavolacci di legno in stanze di mattoni
rosicchiati dal tempo o di intonaci scrostati. Nebbie fotogeniche
creavano ambienti misteriosi, ricchi di storia dei Comuni e delle
Signorie locali. Cera una miseria appena riscattata che si sente
ancora e si vede ancora, cera una solidariet, una collettivit,
una comunit. Dietro a queste immagini anzi: dentro c
ovviamente Bacchelli, che verso nord-ovest diventa Guareschi
e a sud-est Tombari; ci sono galline che becchettano, fiumi che
scorrono e boschi che stormiscono, c sudore, odore di stalla,
biciclette, comunisti e democristiani, il progresso che sta per
arrivare. I beni culturali sono castelli e rocche, chiese e pievi e
oratori, centri storici con i portici e le vecchie osterie sotto i portici,
case rurali con i fienili settecenteschi, il pozzo nellaia, i filari con
le viti maritate.
Jones non ci mostra praticamente niente di tutto questo, perch
di questo non esiste quasi pi niente. Oggi non ci sono pi la
campagna e la citt, c solo la citt che ha urbanizzato la
campagna, e quel che resta della campagna diventata unaltra
cosa da quello che era prima, una specie di lago di terra o derba.
Certi luoghi sembrano finti: tutti nuovi, con i colori omogenei
e i margini netti come gli oggetti di plastica. Le cose sono ben
separate; la ghiaia ghiaia, il prato prato, il muro tinteggiato di
100, 101. Rhodri Jones, Hinterland
fresco e cos pure la persiana. La nuova chiesa ha gli spigoli non bolognese, 2010
131
ancora consumati dal tempo, e vien da credere che consumati
non li avr mai. Non perch il materiale resistente ma perch
nessuno mai riparer nulla di ci che si rompe, nessuno sa farlo.
Non esistono artigiani (men che meno contadini e nemmeno,
ovvio, operai, non parliamo di pescatori, cacciatori, tagliaboschi)
ma autotrasportatori che recapitano dai megastores oggetti nuovi
che sostituiscono i vecchi lavatrici e lavastoviglie, televisioni e
condizionatori. Ci sono imprese che costruiscono nuove chiese o
nuove case al posto delle vecchie. 102. Alessandra Chemollo, Reggio
Viene da chiedersi se i beni culturali che domani le schiere di Emilia, 2005, dalla serie Quale e Quanta
turisti andranno a visitare in queste pianure sono le palestre, i
capannoni, le case a schiera che oggi guardiamo con sufficienza.
Se tra cinquantanni, i funzionari di qualche istituto per i beni
culturali faranno il censimento dei garage o delle rotonde stradali,
e gli architetti delle soprintendenze impediranno severamente di
modificare il tracciato di qualsiasi lottizzazione, in quanto tipico
esempio della societ dellinizio del terzo millennio, di cui si sentir
certamente la mancanza, perduta sotto le numerose, successive
e velocissime stratificazioni. Se ci saranno ancora, se saranno
sopravvissuti, andranno vincolati anche i secolari ulivi che furono
qui trasportati allinizio del terzo millennio, gi vecchi e gloriosi, in
queste terre di pianura, provenienti dalle originarie patrie toscane,
umbre o marchigiane. Aeroporti e piscine, stazioni del servizio
ferroviario metropolitano e mega-cartelloni pubblicitari saranno
testimoni malinconici ma orgogliosi di un passato un po mitico,
quando la gente di qua iniziava il proprio percorso di integrazione
razziale, di creazione della societ multietnica. Una societ di
massa ormai matura, dove ogni uguale alla fine della sua giornata
lavorativa si toglie luniforme di lavoro camice o tuta che sia
e si mette quella del tempo libero, corre a correre o a nuotare
o a volare, poi raduna la famiglia in pizzeria o nella multisala
cinematografica pi vicina.

132
10. CONCLUSIONI

Molti discorsi sul paesaggio urbano e rurale sono oggi gravati


da una forma di idealismo nostalgico, secondo cui i relitti delle forme
della costruzione ed organizzazione del territorio che ci provengono
dal passato sono lespressione della capacit dei nostri antenati di
103. Tim Davis, dalla serie The New
costruire un bel paesaggio. In verit, se prendiamo in mano dei classici Antiquity, 2009
come ad esempio la Storia del paesaggio agrario italiano di Emilio
Sereni [Sereni, 1961], non troviamo affatto enunciazioni questo genere:
nessun soggetto in nessuna epoca ha mai operato sul territorio ha
costruito, ha coltivato, si insediato con lintenzione di costruire
un bel paesaggio, ma semplicemente con lintenzione di sfruttare il
territorio per i suoi fini: abitare, coltivare, produrre, difendersi, spostarsi,
ecc. Nei secoli sono state attivate procedure per controllare lentit e
la qualit delle trasformazioni, pi o meno efficaci anche in ragione
della forza con cui le trasformazioni di imponevano, forza economica,
militare, sociale. NellOttocento stata inventata lurbanistica, proprio
per porre limiti e condizioni allinurbamento indotto dalla rivoluzione
industriale, e per consentire alle classi subalterne condizioni di vita
alloggi, soprattutto idonee o almeno decorose. Ma questi sviluppi non
cambiano la sostanza: luomo ha sempre trasformato il territorio per
i suoi bisogni, mai per realizzare qualcosa di bello. Si pu convenire
che i metodi costruttivi, rimasti per secoli sostanzialmente simili e
riconoscibili, hanno consentito fino alla fine dellOttocento di mantenere
una certa continuit di forme, soprattutto nel territorio rurale, e in minor
misura nella citt. Ma queste tecniche tradizionali non erano scelte
consapevolmente, bens erano a disposizione; non erano preferite
ad altre pi invasive, erano le uniche che era possibile utilizzare.
Linvenzione di materiali da costruzione come il ferro e il cemento
armato, la crescente industrializzazione edilizia, la necessit di produrre
a minor costo per un maggior numero di persone, questo che ha reso
uniformi i paesaggi e ne ha abbassato la qualit.
Il paesaggio non una forma estranea e indipendente dalla sensibilit
dellosservatore. Esistono certamente i paesaggi in un senso oggettivo
conglomerati di natura, storia, cultura che hanno valori documentabili,
evidenti, percepiti dalla collettivit. Ma non c dubbio che il paesaggio
pi intensamente percepito quando diviene una forma di vita
spirituale (come si esprimeva Thomas Mann, riferendosi alla sua

104. Claudio Sabatino, dalla serie


Indagini sul Po, 2008
133
amata Lubecca). In questa definizione c lintreccio di grande storia e
di storia familiare o addirittura individuale; e soprattutto, c la cultura
dellindividuo che guarda, ricorda, rievoca, fa del paesaggio una scena
di vicende affettivamente coinvolgenti, e strappa il paesaggio dalla sua
pura versione pietrificata, o vegetale, o atmosferica.
Questi argomenti hanno a che fare con la fotografia in modo preciso e
continuo. Si potrebbe quasi dire che la fotografia un potente, formidabile
strumento di smascheramento di luoghi comuni paesaggistici, e
al contrario, di penetrazione del paesaggio come forma spirituale.
Il principio di realt - la sua percezione, la sua accettazione, la sua
affermazione sullideologia stato indotto e facilitato dalla fotografia
di ricerca e documentazione, quella americana degli anni Trenta e
francese della DATAR. Leffetto di secchezza e semplicit che pu avere
una fotografia priva di abbellimenti, di inquadrature selettive, di punti di
vista pittoreschi, di accorgimenti fotogenici, pu essere paragonato alla
sconcertante limpidezza con cui Brahms inizia la sua quarta sinfonia, in
polemica con la lentezza costruita delle sinfonie di Behetoven. Senza
preamboli, senza sotterfugi: laccettazione del paesaggio cos com,
a cui certa fotografia documentaristica o concettuale ci induce, uno
strumento molto utile per contrastare descrizioni volte allindietro, al
passato, orientate a riprodurre il paesaggio storico-tradizionale. Al
contrario, possibile trarre spunti dalla fotografia di paesaggio urbano
pi compromessa e brutale, per costruire consapevolmente i processi
di rigenerazione e riciclaggio.
Tenendo presenti questi concetti, ci siamo chiesti nelle pagine
precedenti qual il compito oggi della fotografia, di quella fotografia
documentaria o sociale che si preoccupa di informare. Di pi,
quale sarebbe la specificit della fotografia di fronte allo strapotere
della moda, della tv, del cinema, del giornalismo. Uno spazio da
occupare, dopo decenni di un concettualismo che ha fornito molte
interpretazioni ma che forse non ha dato altrettante risposte,
sembra essere quello dellinformazione e addirittura della
contro-informazione - necessaria nel periodo della partecipazione;
di indirizzarsi verso progetti fotografici complessi destinati a
migliorare la partecipazione con unadeguata comunicazione dei
processi decisionali che interessano il territorio [Sismicity, 2010].
Sembrano concetti antichi, e in effetti lo sono, provengono dalla

105. Giovanni Hanninen, Milano, 2011


134
stagione degli anni Settanta, ed un recupero possibile di ci
che di quegli anni non molto, forse non stato bruciato nel
grande incendio degli anni di piombo.
Se guardiamo a quegli anni, vediamo un primo periodo in cui la
fotografia di paesaggio si occupata esclusivamente dellantico,
dei centri storici, escludendo il moderno: Paolo Monti non coglieva
il moderno perch non voleva nemmeno provarci. Col passare
degli anni, una generazione di nuovi artisti (Ghirri, nato nel 1943,
Basilico nel 1944, Guidi nel 1941) comincia ad occuparsi quasi
esclusivamente del moderno, per reazione. Oggi il nuovo punto
di vista dovrebbe essere di tornare verso lantico partendo per
dal moderno, cio inglobare la riflessione sullantico nella nostra
consapevolezza della irrinunciabilit del moderno. In questo modo
dovrebbe risultare possibile dare una versione pi mirata e sicura
del paesaggio italiano contemporaneo, che non rifiuti la storia ma
non ne sia schiacciato, che non rifiuti la attualit, ma non finga di
essere altrove, dove non : in Asia, in Africa, in America, come
succede a certa fotografia convenzionalmente ripetitiva di modelli
internazionali.
Questo concetto ritorna negli studi pi recenti sulla fotografia
documentaria: la fotografia deve essere una fonte di informazioni
e sapere di tipo quasi scientifico, permettere semplicemente di
archiviare il presente per lavvenire, o invece cercare, descrivendo
la realt del mondo sociale, di trasformare le opinioni e le azioni
del presente? [Lugon, 2008] E ovviamente una domanda retorica.
La citt futura annunciata dalla fotografia contemporanea un
equilibrio instabile di contrasti etnici e culturali, dove ogni soggetto
titolare di propri diritti, e quasi per conseguenza ogni oggetto
degno di conservazione, e nessuno di esecrazione; il paesaggio
tutto e anche il suo contrario, e cos forse non pi nulla, un
concetto scomparso in mille diverse interpretazioni e sensibilit, e
la fotografia di paesaggio urbano dunque testimone dellultima
versione del concetto di paesaggio. Questa complessit nuova
esige probabilmente nuovi strumenti di lettura, che superino non
tanto i maestri, ma i loro epigoni, che occupano gran parte della
scena senza ereditare dai predecessori la forza interpretativa.
Le citt italiane non sono paragonabili a quelle mondiali salvo
la conurbazione milanese e dunque pleonastico oltre
che fuorviante - fotografarle come New York. La necessit di
salvare il salvabile del nostro patrimonio culturale e identitario
non un obiettivo superato, e bisogna vedere quale fotografia
pu servire a questo fine senza essere la ripetizione di quella
ormai standardizzata sul modello del Touring Club Italiano, troppo
ingentilita e destinata a un pubblico di turisti. Lurbanistica diventa
partecipata, e dunque bisogna che la fotografia faccia anche da
occhio per la popolazione comune, che chiede sguardi pi svelti e
pragmatici, vuole una fotografia non di denuncia ma nemmeno di
acquiescenza, vuole una foto di pronta comprensione che indichi
la trasformabilit dei luoghi, ne descriva gli utilizzatori.
Tra leccesso di enfasi degli autori/artisti e ormai inevitabile
ripetitivit del concettualismo-minimalismo, quale pu essere la
terza via? Una via pi partecipata e precisa, ma non chiusa allarte,
per poter comunque prendere dallarte la sua capacit di suscitare
emozioni; che si allontani dalla logica del mercato dellarte per
raggiungere un pubblico pi vasto, e affronti la necessit di
135
misurarsi con lunderstatement necessario per poter affrontare
la crisi economica e la contingenza epocale delle questioni
ambientali. Che accetti il tema della sobriet, gi cos diffuso nella
letteratura urbanistica, e non solo. Alcuni temi che sono emersi in
questi anni, come quello delle rovine del contemporaneo o delle
shrinking cities - le citt in post-sviluppo, in decrescita, in crisi
economica e demografica - attengono quasi per definizione alla
sobriet, perch trattano del meno, del non pi, e si interrogano
su quale sar il futuro per vaste aree del pianeta.
Da qualche tempo si ascoltano opinioni che invocano un cambio
di passo nella ricerca fotografica applicata al paesaggio urbano.
In parte provengono dal settore stesso della critica fotografica,
altre volte si tratta di indicazioni che provengono dal versante
degli urbanisti e degli architetti, e diventano per un invito anche
per i fotografi.
Alcuni critici hanno parlato a volte con sufficienza, a volte con vera
irritazione delleccessiva proliferazione di epigoni dei nuovi topografi
americani. E uno stile che a distanza di quasi quarantanni dagli
episodi fondativi, transitato da noi in un numero imprecisato di
repliche, perdendo sempre pi incisivit e ovviamente originalit.
Ci sarebbe stata una sorta di confuso americanismo [Mormorio,
2000] come causa dellomologazione in cui caduta una schiera
di fotografi affascinati dai New topographics, un concettualismo
senza lucidit da cui si sono salvati, a parte Giacomelli e lo
stesso Ghirri, in pochi: tra questi, Francesco Radino, Mimmo
Jodice, Giovanni Chiaramonte, fotografi che hanno saputo far
convivere il senso della modernit con quello della tradizione. C
il senso di una necessit nuova, la ricerca di una via italiana al
paesaggio urbano, capace di registrare sia le costanti del mondo
globale che le peculiarit locali, con cui giusto e sensato fare i
conti. Soprattutto quando si tratta di un valore anche economico
di non poco conto e di non poca importanza per la ripresa del
paese, come ad esempio lo stato dei nostri beni culturali e la
necessit di trovare una equilibrata politica di conservazione.
Basata su decenni di verifiche, orientata a un sapiente equilibrio
tra tradizione e contemporaneit.
Le nuove frontiere dellurbanistica del terzo millennio - la
partecipazione, le mappature emotive, la questione ecologica
nelle sue varie declinazioni, il rischio di scomparsa del welfare
implicano una ripresa delle ragioni etiche del progetto, una
necessaria mediazione rispetto alle sue dimensioni, per renderlo
fattibile e affrontabile. Ridimensionamento da un lato e urgenza
sociale dallaltro sono tensioni uguali e contrarie da cui possono
emergere conflitti, e lequilibrio ragionato della rappresentazione
dei fattori e degli attori della scena urbana costituisce una sfida
eccitante per i giovani autori, gi evidente e percepibile nei loro
lavori.
Il cambio di passo che oggi necessario sta soprattutto nello
smettere di constatare (constatare la crescita, limmagine della
contemporaneit, la presenza dei nuovi abitanti e la relazione con
le identit locali), e tornare a progettare. Proprio nel momento
in cui la fotografia diventa progetto in un modo pi estetico-
rappresentativo che davvero progettuale (abbondano i rendering
su base fotografica, non pi la fotografia di ricerca), si pone davvero
la necessit di un progetto. Il rilievo dellesistente sempre stato
136
necessario, e deve tornare ad esserlo con una fotografia di nuovo
capace di mettersi docilmente al servizio di concrete esigenze
di misurazione, spiegazione, mediazione, usando un linguaggio
accessibile, uscendo dalle secche del concettualismo pi radicale.
Superare la continua contraddizione tra conservazione
e trasformazione un problema concreto del progetto
contemporaneo che la fotografia pu facilitare in pi modi. La
fotografia adatta a questo, perch pu affiancare le cose, le
affianca di fatto. Laffiancamento la scintilla che consente la
vicinanza tra le due diversit e la loro fusione, il loro equilibrio.
Lequilibrio tra conservazione e trasformazione lunica via di
salvezza tra lo storicismo che impedisce la contemporaneit e il
modernismo arrogante che strappa le radici.
E dunque: equilibrio tra locale e globale. Tornare al piccolo
e poco costoso. Partecipare le scelte. Fondare il progetto
sullecologia. Tornare alla politica e alla rappresentazione sociale,
anche attraverso la fotografia che mostra (non che denuncia,
semplicemente che mostra certi temi, e li sottolinea, li rende
evidenti). Ridare una immagine vera e autonoma, non frutto di
copiatura, del paesaggio urbano italiano. La fotografia progettuale
influenza e viene influenzata da questi temi. Interviene nella
loro formulazione, li definisce, li trasforma aggiungendo punti
di vista e conoscenza visiva (contro i piani e i progetti ciechi,
privi di immagine). E inoltre li diffonde, e diffondendoli partecipa
al dibattito, ne viene influenzata. Subisce (giustamente) le loro
urgenze, lanimosit con cui vengono discussi e vissuti. E dunque
pu e deve credere ancora in se stessa e nel proprio compito.

137
106. Riccardo Vlahov, dalla serie Ferrovie dellEmilia - Romagna, 2011

138
BIBLIOGRAFIA

Adams Robert
1995 La bellezza in fotografia, Bollati Boringhieri, Torino.

Al limite
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16, 19, 20, 22, 23, 32, 33, 34, 35, 40, 41, 42, 44, 45, 47, 67, 77, 86, 87, 88, 98, 103 da web; 3 Strand in
bibliografia; 5, 21, 76 Archivio Guido Guidi, Cesena; 11, 30 Kranzfelder in bibliografia; 13 Lugon in bibliografia;
15, 68, 70, 73 Mission in bibliografia; 17 Archivio Alinari, Firenze; 18, Instant city in bibliografia; 4, 25, 26,
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Milano; 97 Archivio William Guerrieri, Rubiera; 99, 100, 101 Archivio Rhodri Jones, Bologna; 106 Archivio
Riccardo Vlahov, Bologna.

Abstract

Piero Orlandi
The experience of the town.
Urban landscape as photographic glance

Town planning and photography were both born in the Nineteenth Century, when cities, absorbing
population from the countryside, to be employed in industry, were becoming bigger and bigger. Town
planning, as a branch of learning, comes into being just for this reason, and states a set of rules
and procedures, technical knowledge and administrative powers, whose aim is that of managing the
town and its development, and also to define its shape and image. In the same years, photography
started portraying the landscape, mainly the urban one, giving of it a representation that is both an
objective description and a subjective interpretation.
As the two disciplines have coexisted for over a century and half, and because of their common
relation with the town, they both have a lot to do one with the other. The relationship, as always, is
bidirectional, and it sometimes happens that town planning asks photography for help, and that this
one gives back visual information that have influenced the planning practices. Town planning needs
to know its territory, and for that purpose photography is a necessity. Quite often, town authorities
give photographers the task of carrying out visual reports on topics and phenomena in a certain
area.
Other times it has happened that photography takes from the discussion on the town some hot
questions, and tries to analyze them its own way, using its own tools and language, even without
giving its own interpretation back to the source, but on the contrary making it accessible to anyone,
through both sectorial and general channels: books, magazines, exhibitions, tv, cinema, websites.
This way, the relational flow becomes longer, and goes through the public opinion before coming
back to the centers where the planners decisions are taken; the visual interpretation is strengthened
though by the agreement of a lot of people, becoming more shared, and more effective.
There is also a third way of the exchange between the two disciplines. When a photographer,
following his own researches, moved by the feeling for the new and for the change of the town,
produces a personal vision of reality and its phenomena which are perhaps still unknown to the
majority of people, but already active and bearers of the oncoming transformations in the structure
of the places.
153
In this case, the absorption of such visions is slower, as they are a true discovery. Every discovery
needs in fact to be felt and metabolized, moreover it needs to face rejections, old habits, beliefs and
traditions which are hard to defeat: then, photography leads town planning along unexplored paths.
Reality, as always, shows a mix of these cases, therefore the aim of this study is to investigate a very
short period, the years between 1970 and today.
Round about the 1970 many things changed in cities: a period of huge growth started, so that in
few decades a wide diffusion of population took place in the country side. The role of photography
changes too: the reportage is ending, while is starting conceptualism, taken from visual arts; but
above all, the common perception of reality is changing, influenced by the weak thought of post-
modernity, and inclined to a more analytical observation, instead of ideological interpretations.
In these years begins a phase in which photography, more than other disciplines and sciences,
seems to be able to orient the perception of urban reality, to describe its problems and destiny, risks
and the emergencies. Photographic representation of urban landscape becomes more and more
frequent, and metropolitan growth is showed as an uncontrollable rising.
We want, particularly, to follow the history of Italian photography in the last four decades, linking it to
the most popular interpretations of the idea of towns, to the artistic trends, and to the urban theories
and policies. Urban landscape is here, under our eyes, but often we dont know how to look at it.
Photography helped us a lot in these last years, more than other disciplines. We wonder if it has
been able to communicate something conclusive, if it has created a new perception and a new idea
of urban landscape or if, otherwise, it has adopted the common view, showing people what they
want to see.
Before the Seventies, architects and urban planners urged photographers into this kind of questions;
on the contrary, today, photography seems to ask urban planning for a better precision in documenting
its own field. So is it better to give specific tasks to photography or instead to leave it free to search
what to investigate?
We wonder if photography of urban planning exists, differently from the photography of architecture
and landscape; if it is possible to use photography as a predictive investigation on areas where the
plans of redevelopment and enhancement are carried out. Can this investigation be really more than
a simple recording of the condition of the places, or instead is it able to define their identity? The
closer concept we can state is the site-specifc one, used by public art, to define a performance or
an installation carried out with the interaction of artists, inhabitants and stakeholders. The pictures
taken for this purpose could shape a point of view useful for the planner.
By the word plan, we mean a wide technical range: territorial planning, urban rehabilitation, and
so on. We are not talking of traditional photography of architecture, as it depicts the shape and the
space of a single building, already planned and realized. We are in this case in the critical field, not
in the planning one. On the contrary, we are looking for a photography which comes before the
architecture, not after.
We will investigate some cases of public customers in Italy in the last four decades, and in
particular we will analyze the work of some Italian artists: Paolo Monti who worked in the years
1968-75 photographing the most important old towns of Emilia-Romagna Luigi Ghirri the first
photographer who certified urban sprawl in Italy Gabriele Basilico perhaps the best know Italian
landscape-photographer abroad. We will talk also about some Italian followers of the American
new topographics the authors of the celebrated exhibition in 1975 in Rochester very related to
conceptualism.
To come to an end, we will observe through the work of young authors in Italy and abroad such as:
Bas Princen, Montserrat Soto, Giovanni Hanninen, Rhodri Jones and others a slow but meaningful
changing of style, leaving simple statement of facts and coming back to a stronger engagement.
Therefore, political, environmental and social engagement seems to become the new aim of todays
urban landscape photography.

154
INDICE

Premessa
1. La citt dei fotografi
Prendere nota dei luoghi, non dei fatti
Prima della fotografia, e nel frattempo
Sfiducia postmoderna
Paesaggio come senso dei luoghi
Urbanistica contro architettura
La fotografia uno strumento, non la soluzione
2. Idee di citt del Novecento
Limmagine della citt contemporanea
Endell e la bellezza della metropoli
Catastrofe o fiducia
Dalla dispersione alla sparizione
Varianti del gusto e nuovi valori
3. Esperimenti e descrizioni precoci
Guardare la citt
Townscape, fra fotografia e disegno
Geografi italiani
Approcci sociologici
Il pop e il primato dellimmagine
Riflessi (sbiaditi) della citt
Arte e/o fotografia
4. La citt degli architetti
La fotografia tra urbanistica e architettura
Bruno Zevi e lurbatettura
Aldo Rossi e limmagine padana
Carlo Aymonino
Quaroni e le scale
Politiche urbane pubbliche, un breve excursus
Casi di stretta relazione tra urbanistica e fotografia
5. Paolo Monti e il progetto politico del territorio
Premessa: una regione ad alto tasso fotografico
Prime avvisaglie di unepopea
Monti, Emiliani, la nuova cultura delle citt
Esportazione di un modello
Persistenza del piano
Effetti collaterali di lunga durata
6. Ghirri e la dispersione urbana
Ritratti mai visti di citt padane
Elenchi infiniti e incessanti di cose intime
Una mostra memorabile
Il geometra Ghirri e alcuni architetti
7. La supercitt di Gabriele Basilico
Tra i Becher e Savinio
Come gestire il territorio con laiuto dei fotografi
E anche: tra Groddeck e Mulas
Si pu fare urbanistica con le fotografie
8. Nuovi topografi italiani
Guido Guidi
Deserti urbani

155
9. Visioni per una nuova strategia metropolitana
Spinte esaurite e nuove sfide
Citt desolate di cui siamo responsabili
Carrers e paesaggio metropolitano
Il collettivo fuori_vista e Sismicity
Milano Downtown
Il ritorno degli abitanti
Hinterland bolognese
10. Conclusioni
Bibliografia
Referenze fotografiche
Abstract

156
157

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