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Piero Orlandi
L'esperienza della citt.
Il paesaggio urbano come sguardo fotografico
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A Pippo Ciorra devo l'amichevole sostegno e la paziente indicazione della rotta.
Desidero ringraziare in particolar modo Giovanna Calvenzi e Sara Marini per i loro consigli, determinanti
per orientare questo lavoro.
Ringrazio anche Dede Auregli, Gabriele Basilico, Paolo Barbaro, Edgarda Battaglia, Valeria Cicala, Andrea
Emiliani, Francesca Fabiani, Vittorio Ferorelli, Laura Gasparini, William Guerrieri, Guido Guidi, Giovanni
Hanninen, Rhodri Jones, Carles Lllop, Monica Manfrini, Sara Marini, Nino Migliori, Nicola Orlandi, Mario
Piccinini, Mili Romano, Angela Rosati, Cristina Tartari, Roberta Valtorta, Riccardo Vlahov, Giovanni Zaf-
fagnini, Andrea Zanelli e il Collegio dei docenti della Facolt di Architettura di Ascoli Piceno, per le conver-
sazioni, i suggerimenti e l'aiuto.
Premessa
Urbanistica e fotografia sono entrambe un prodotto del
diciannovesimo secolo, quando la citt, assorbendo popolazione
proveniente dalle campagne e destinata allindustria, vive una
fase di crescita travolgente. Per questo nasce lurbanistica
moderna, intesa come insieme di regole e di pratiche progettuali,
di saperi tecnici e poteri amministrativi che si pongono lobiettivo
di governare la citt e il suo sviluppo, e stabiliscono cos, oltre
al suo funzionamento, anche la sua forma e la sua immagine.
La fotografia in quegli stessi anni inizia a costituire un insieme
di sguardi rivolto al paesaggio, e in particolare a quello urbano,
dandone una rappresentazione che sia descrizione oggettiva
che interpretazione soggettiva.
Poich convivono da un secolo e mezzo, e a causa della
comune relazione con la citt, le due discipline hanno
avuto spesso a che fare. Il rapporto, come tutti i rapporti,
bidirezionale, e capita a volte che sia stata lurbanistica a
chiedere laiuto della fotografia, e che questa lo abbia fatto
restituendole informazioni visive che hanno influenzato le
pratiche di pianificazione e progettazione. Lurbanistica ha da
sempre bisogno di conoscere il territorio su cui deve operare, e
per questo la fotografia essenziale. Non infrequente il caso
di incarichi assegnati a fotografi da parte di urbanisti, assessori,
progettisti, per effettuare ricognizioni visive su temi o fenomeni
specifici di un certo territorio.
Altre volte successo che la fotografia ha preso dal dibattito
sulla citt le questioni pi calde e ha cercato di analizzarle con
il proprio metodo, con i propri strumenti, il proprio linguaggio,
anche senza porsi lobiettivo di restituire alla fonte la propria
interpretazione, ma lasciandola a disposizione di ognuno,
divulgandola attraverso canali settoriali e generali: libri, riviste,
mostre, pubblicit, tv, cinema, siti web. In questo modo il flusso
relazionale si allunga, e passa per lopinione pubblica prima di
ritornare ai centri di esercizio delle decisioni urbanistiche, ma
linterpretazione visiva pu uscirne rafforzata, perch validata
dalladesione di molti, pi partecipata e dunque pi autorevole
ed ascoltata.
C poi un terzo modo con cui avviene lo scambio tra le
due discipline, quando un autore fotografo, spinto dalle
proprie ricerche, dalla propria sensibilit per il nuovo, per il
cambiamento, produce personali visioni della realt e dei
fenomeni che la attraversano, ancora ignoti ai pi ma gi attivi, e
forieri, in tempi pi o meno brevi, di modificazioni anche rilevanti
dellassetto dei luoghi. Lassorbimento di queste visioni pi
lento, perch si tratta di una scoperta, e come ogni scoperta
deve essere avvertita, metabolizzata, deve affrontare processi
di rigetto, scontrarsi con abitudini, convinzioni antiche, tradizioni
interpretative dure da sconfiggere: la fotografia prende allora
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per mano lurbanistica, e la conduce sui sentieri gi esplorati
autonomamente.
La realt, come sempre, mostra questi casi in un intrico di
mescolanze tra luno e laltro, di percorsi rimasti incompleti, di
intenzioni non realizzate; tuttavia, lo scopo di questo studio
di cercare con la maggior chiarezza possibile quanto ricorrano
i diversi casi enunciati, esaminando il periodo dagli anni 1970
ad oggi. Intorno al 1970 cambiano molte cose nelle citt
inizia una fase di espansione che conduce in pochi decenni
alla diffusione urbana sul territorio; cambia molto anche il ruolo
della fotografia, che lascia il campo del reportage ed entra in
quello pi concettuale tipico delle pratiche artistiche; cambia,
soprattutto, la percezione comune della realt, influenzata dal
pensiero debole postmoderno e pi incline a sostituire i grandi
principi, le interpretazioni ideologiche, con unosservazione pi
analitica, a volte anche frammentaria, che perfino dal punto di
vista linguistico ha delle innegabili attinenze con il fotogramma,
inteso come riduzione e compressione del reale in una sola
immagine.
Comincia in quegli anni una fase tuttora presente e attiva in
cui la fotografia, pi e meglio di ogni altra pratica artistica e di
ogni altro discorso teorico, sembra in grado di influenzare la
percezione della realt urbana, di descriverne problemi e destini,
rischi ed urgenze. Sempre pi frequenti sono le raffigurazioni
fotografiche di paesaggi urbani, dove lo sviluppo metropolitano
rappresentato in tutto il suo lievitare irrefrenabile.
Nei capitoli che seguono vogliamo seguire le vicende della
fotografia italiana di questi ultimi quarantanni relazionandole
alle interpretazioni diffuse di citt, alle pratiche artistiche, alle
teorie e alle politiche urbane che nel frattempo si sviluppano.
Il paesaggio urbano c, esiste, sotto i nostri occhi, ma non
sempre sappiamo come leggerlo. La fotografia ci ha aiutato
molto in questi ultimi quarantanni, lo ha fatto pi di ogni altra
disciplina. E stata in grado di comunicare qualcosa di definitivo,
di risolutivo? Ha creato una nuova percezione, e dunque una
nuova idea del paesaggio urbano, o si limitata a leggerlo
secondo gli occhi dei pi e a restituirlo al mittente cos come
questo lo voleva vedere? Prima degli anni 70 sembra che siano
stati gli architetti e gli urbanisti a spingere i fotografi a rispondere
a questo genere di domande, mentre oggi pare che sia la
fotografia a invitare lurbanistica a riflettere su se stessa in modo
pi preciso e documentato, chiedendo e spesso ottenendo per
s un ruolo pi collaborativo e meno subalterno che in passato.
Ma opportuno dare alla fotografia incarichi precisi, o meglio
lasciare che sia essa a raccogliere autonomamente i propri temi
di indagine?
Ci domandiamo se esiste - distinta dalla fotografia di architettura,
e da quella di paesaggio - una fotografia di urbanistica, e cio un
modo di fare uso della fotografia come ricognizione degli ambiti
urbani o extraurbani interessati da progetti di riqualificazione e di
miglioramento. Ricognizione ha qui il senso di una descrizione
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che non si limiti a registrare lo stato fisico dei luoghi, ma aspiri
a definirne lidentit. Un concetto che si potrebbe prendere
come riferimento molto prossimo quello di site-specific in uso
nellarte pubblica, che definisce un progetto artistico in grado
di interagire pienamente con il luogo e con le stratificazioni di
senso attribuitegli dagli abitanti e dagli utilizzatori. Le immagini
scattate per questi obiettivi dovrebbero dunque contribuire a
fornire un punto di vista e una riflessione utile per chi deve
progettare lassetto dei luoghi.
Con la parola progetto intendiamo uno spettro molto largo di
significati tecnici, dalla pianificazione territoriale al progetto
urbano, e perfino al progetto di architettura. Comunque sia e a
qualunque scala operi, il progetto resta il requisito essenziale
di questo tipo di fotografia, nel senso che al progetto che
essa tende. Per questo la fotografia di architettura classica
non rientra in questa nostra accezione, in quanto registra le
forme e lo spazio di unopera architettonica gi realizzata. Le
sue pur notevoli capacit di indagine si collocano allinterno
del campo critico, non di quello progettuale: il progetto come
percorso ideativo e come realizzazione concreta di un disegno
gi avvenuto, la fotografia ne certifica gli esiti. La fotografia
urbanistica al contrario fotografia per il progetto di architettura,
precede larchitettura, indaga le preesistenze, siano esse fisiche,
sociali, paesaggistiche.
Chi come noi si chiede quanto sia concreta la possibilit di
connettere la fotografia al progetto di trasformazione fisica del
territorio, deve per forza di cose vedere come ha operato almeno
in questi ultimi anni la committenza pubblica. Ci sono resoconti
molto precisi [Valtorta, 2008], leggendo i quali cerchiamo risposta
alla domanda se la committenza pubblica garantisce la qualit
della ricerca fotografica, e soprattutto quanto poi ne fa uso,
incanalandola verso gli uffici di piano, o nelle sale dei consigli
comunali. Contribuendo insomma al progetto di miglioramento
del territorio, come si definiva forse fideisticamente oltre
ventanni fa ci che stava sia in cima che in fondo al processo di
pianificazione, ci che insomma si invocava nei presupposti e si
presentava nelle conclusioni dei piani urbanistici [Secchi, 1984].
Roland Barthes sosteneva che la veggenza del fotografo non
consiste tanto nel vedere quanto nel trovarsi l. Questa la
sua abilit, il succo della sua professione, della sua arte. Se
la fotografia decreta notevole ci che fotografa dice ancora
Barthes allora il paesaggio urbano diventato notevole
anche perch stato fotografato. E dunque, cosa ci comunica
questa nuova materia? Perch di una nuova materia deve
trattarsi, non solo un linguaggio, uno stile o una voga, ma si
fonde con i processi urbanistici e li condiziona, dopo essere
transitata nella sensibilit della popolazione, orientandola.
Occorre per ricordare sempre il semiologo francese a
farlo - che nella foto certamente si vede tutto quel che c da
vedere, ma la foto non sa dire ci che d a vedere [Barthes, 1980].
Bisogna interpretarla, dunque; aiutarla a parlare. Ne consegue
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che qualsiasi cosa se ne dice, di quella foto, siamo noi che la
diciamo, non la foto. Questa osservazione tende a favorire una
co-operazione tra fotografo ed esperti di altre discipline, come
, nel nostro caso, lurbanista. Ma con quali risultati? Si pu
documentare con certezza qualche caso in cui la fotografia ha
convinto un decisore a demolire, costruire, modificare, come
conseguenza dellaver visto quella foto, come presa datto del
suo messaggio?
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1. LA CITTA DEI FOTOGRAFI
3. Sfiducia postmoderna.
Allinizio degli anni Settanta, la citt diventa la scena pi idonea 14. Los Angeles Police Department,
Scene of the Crime 197, 1944
per rappresentare la crisi della post-modernit [Harvey, 1993]. Si
fa sempre pi frequente il caso di fotografi che, spinti da puro
intento di ricerca, iniziano a sperimentare la capacit di indagine
del mezzo fotografico, facendo uso delle proprie risorse di cultura
e sensibilit. Tralasciano laspetto sociale della citt, espresso
in modo ormai definitivo nelle visioni classiche dei pionieri o nei
resoconti che grazie al foto-giornalismo invadono le case di tutti,
e cominciano a occuparsi di quello paesaggistico, con lobiettivo
di trovarne il grado zero, scevro di luoghi comuni e di troppo facile
riconoscibilit, pronti a utilizzare linguaggi aspri, non fotogenici, e
per questo non facilmente ricevibili dalluniversalit del pubblico.
15. Holger Trulzsch, dalla serie della
Ponendosi, in altre parole, al di fuori della convenzionalit della DATAR, 1984
comunicazione pi estensiva, sia televisiva che pubblicitaria che
turistica.
Il paesaggio delle citt non per questi autori un fatto estetico,
ma il tramite attraverso il quale si occupano di indagare la
condizione delluomo. Lambiente urbano il luogo che pi di
ogni altro riflette la specificit del mondo contemporaneo, le sue
profonde modificazioni culturali, economiche, sociali. Mostrare la
scena in cui lumanit si muove con sempre maggiore frequenza,
dove aspira vivere, da cui attratta, un modo molto preciso
per farne un ritratto valido almeno per tutto il mondo occidentale.
Come in precedenza, il soggetto rimane larchitettura, la strada,
la complessit densa e stratificata degli spazi, cambia per il
modo con cui si intende parlarne: la concettualizzazione della
fotografia, che avviene in quegli anni sulla spinta dei movimenti
artistici, sposta lattenzione dagli oggetti rappresentati al loro
significato, alluso che ne fanno le persone, al valore simbolico
che gli attribuiscono.
Tuttavia, per la sensibilit comune, il paesaggio rimane ancora
oggi un concetto che ha poco a che fare con la citt. Avvicinare
luno allaltra quasi un ossimoro, perch il paesaggio resta
composto di coste, monti, campagne, fiumi, alberi fino alla
met del Novecento e oltre. In Italia, i Fratelli Alinari raccolgono
singoli frammenti monumentali e compongono un collage che
non rappresenta lo spazio delle citt, ma ne isola le eccellenze.
Dallultimo quarto dellOttocento inizia il successo della cartolina
illustrata, grande strumento di condivisione del paesaggio, ben pi
popolare delle vedute pittoriche. Con la prima guerra mondiale si
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registra la comparsa nazionale del paesaggio alpino; essenziale
per stabilire un rapporto poi mai pi tramontato tra paesaggio e
nostalgia la funzione di memoria del paese di origine che la
cartolina svolge con il fenomeno dellemigrazione, dalla met
dellOttocento in avanti.
Le pubblicazioni del Touring Club Italiano ad esempio Le vie
dItalia, rivista di geografia, viaggi e fotografia edita dal TCI dal
1917 al 1968, e dunque decisiva nellorientare limmaginario
collettivo del paesaggio nella parte centrale del secolo scorso
trasmettono una impostazione per molti versi ancora elitaria e in
larga misura radicata nel pittoresco, per cui la citt resta a lungo,
per definizione, lanti-paesaggio. La veduta urbana tollerata se
ed in quanto esprime la storia millenaria delle cento citt italiane,
ne descrive le peculiarit tradizionali, ne rafforza il ruolo di origine
della storia nel mondo, di culla della civilt.
Tra i libri fotografici dedicati alla citt sono rimasti celebri Paris
de nuit di Brassai del 1932, A night in London, cruda visione
dellinglese Bill Brandt del 1938, e ancora del 1938, Changing
New York di Berenice Abbott. La street photography nasce in
quegli anni, facendo convivere reportage e documentazione,
grande interprete ne Arthur Fellig detto Weegee, che ritrae il
lato oscuro e violento delle metropoli.
Nel 1935 laustriaca Lisette Model pubblica sulla rivista Regards
fotografie scattate a Nizza sulla Promenade des Anglais, che
ritraggono persone, spesso anziani, con il proposito di descrivere
i luoghi in modo indiretto, attraverso i loro fruitori. Lamericano
Philip Lorca di Corcia, la francese Lise Sarfati, lirlandese
Hannah Starkey, pur di diverse generazioni e con diversi
approcci continuano nel solco della street photography, cos
come continua e anzi ha preso recentemente molto spazio la
ritrattistica intesa come luogo privilegiato di lettura della societ
attraverso la rappresentazione delle persone. Pi recentemente
nata lattenzione verso le pratiche amatoriali familiari [Skrein, 2004],
secondo una visione etnografica e antropologica. Le fotografie
di famiglia vengono esposte e studiate in s come testimoni del
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Il tipo di approccio che sembra pi produttivo per istituire relazioni
tra la fotografia e le discipline del territorio quello di tipo
interpretativo. Secondo questo stile, il fotografo prima di scattare
si dota di strumenti conoscitivi sui luoghi, effettua sopralluoghi,
dialoga con esperti delle altre discipline, possibilmente torna pi
volte e in momenti diversi ad accostarsi agli oggetti da riprendere.
La metafora che si lega meglio a questo modo di procedere
quella dello sguardo lento [Basilico, 2007] e il prodotto di questo modo
di operare quello pi efficace e produttivo non solo per le finalit
di conoscenza degli oggetti e dei luoghi, ma anche per lo sviluppo
delle riflessioni di tipo progettuale e trasformativo, poich molto
spesso le fotografie cos realizzate restituiscono allosservatore
la dose di informazioni rielaborate che hanno preparato e
preceduto lo scatto.
Quanto al lavoro dei fotografi sul paesaggio, lamericano Lewis
Baltz sostiene che essi, osservando la realt producono
figure e traducono il mondo in immagini attraverso un codice di
rappresentazione. Lavorano dunque alla rifondazione estetica
di un paesaggio esteticamente povero, sconnesso, incoerente
[Valtorta, 2005]. Questo passo contiene in nuce il concetto di
fotografia progettuale cui sopra si accennato. Baltz aggiunge
anche la nozione di futuro come attinente allo sguardo fotografico
(ponendosi agli antipodi del pensiero di Barthes), e naturalmente
il futuro lelemento primario di ogni prassi progettuale. Scrive
infatti che i fotografi raccontano, con buon anticipo, una storia
futura, individuando paesaggi-limite, oggi emblematici presagi di
una crisi estrema del volto del mondo, domani forse immagini
quotidiane. In questo caso, i fotografi pi che documentatori della
realt sono visionari, inventori di nuove finzioni.
Se dunque nella pratica architettonica contemporanea, cos come
nel campo dellanalisi urbana, il mezzo fotografico in genere
relegato al rilievo del luogo, alla sua funzione utilitaria e prosaica,
sembra invece interessante portare uno sguardo pi approfondito
sulla possibilit di fondare - o almeno promuovere - una pratica
che consiste nel trascrivere in una immagine bidimensionale la
percezione fisica che si pu avere di uno spazio. Non privo di
implicazioni fondare una pratica di progetto sulla registrazione e
la fabbricazione di una realt attraverso un insieme di immagini
fotografiche. Il modo come limmagine fotografica pu costituire
la sorgente di una dinamica della fiction o di un principio di
composizione merita considerazione, ed appunto in questo
campo che ci si vuole addentrare.
Prima di farlo, ci sembra utile ricordare quali siano stati, nel
Novecento, i sentimenti pi comuni nella percezione della citt,
linsieme di valori simbolici con cui la fotografia urbana si
confrontata.
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2. IDEE DI CITTA DEL NOVECENTO
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affini da Cartesio, Bacone, Leibnitz, con i valori di geometria,
tecnica e grazia. Al contrario, la variet, per gran parte della
sensibilit contemporanea, si lega a idee di conflitto, instabilit,
non pi di integrazione e piacevolezza. Il funzionalismo, secondo
alcuni teorici della citt bella [Cervellati, 2000; Romano, 2008] colpevole
di questo distacco tra forma e funzione, che nemmeno le rinnovate
letture iconiche nella seconda parte del Novecento (di Lynch e
Cullen, ad esempio) hanno saputo ricomporre adeguatamente.
Tanto vero che Jane Jacobs, nel suo celeberrimo Vita e morte
delle grandi citt, la cui prima edizione del 1961, certific la 25. Luigi Ghirri, Fidenza, 1985
morte della citt come opera darte di derivazione rinascimentale.
Non diversamente, in un suo celebre libro del 1965, Il feticcio
urbano, Alexander Mitscherlich si faceva tardo interprete del
tramonto della citt moderna e delle sue concezioni, parlando
di una citt inabitabile istigatrice di discordia (come recita il
sottotitolo). Lagglomerazione, la moltitudine che la protagonista
de La ribellione delle masse del filosofo spagnolo Ortega y Gasset,
abita la megalopoli meccanizzata, standardizzata, completamente
disumanizzata descritta da Lewis Mumford nei capitoli finali del
suo La citt nella storia (ledizione italiana del 1964). Insomma,
il meccanismo della citt moderna ha distrutto lanima della citt 26. Luigi Ghirri, Parma, 1984
antica, secondo le rispettive definizioni di Le Corbusier e di Rilke
che Assunto riprende accentuando un po forzatamente i significati
oppositivi di concetti nati autonomamente luno dallaltro.
3. Catastrofe o fiducia.
C qualcosa per che nel corso di alcuni decenni capovolge
radicalmente questi sentimenti affettuosi e ottimistici nei confronti
della citt. La catastrofe bellica spinge a una frettolosa e impulsiva
ricostruzione, che porta in s tracce evidenti di questa affezione.
Ma le cose stanno cambiando, come spiega lo storico inglese
Arnold Joseph Toynbee nel suo Cities on the move [Toynbee, 1972],
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la cui edizione originale, del 1970, esce proprio negli anni cruciali
del passaggio alla post-modernit.
Il movimento che cita Toynbee nel titolo del libro sarebbe secondo
lautore la caratteristica con cui le citt nel dopoguerra cominciano
a occupare il territorio (una specie di prefigurazione precoce dello
sprawl urbano di cui tanto si parlato negli anni successivi).
Questo muoversi delle citt sarebbe apparso impensabile alla
fine del Settecento, nellet pre-industriale. Toynbee lo considera
come una sorta di ripresa del nomadismo, tre o quattromila
anni dopo le orde dei pastori in marcia descritte nel vecchio
Testamento e distrutte dalle popolazioni sedentarie. Una ripresa
che caratterizza le citt dallOttocento in poi, nello sbigottimento
dei suoi abitanti, increduli al vedere la citt mettersi in marcia
come lo shakespeariano bosco di Dunsinane, e sconfinare
oltre le proprie mura di cinta. Le citt diventano mobili, anche
se ci sembra ancor pi paradossale perch avviene grazie al
proliferare di quelli che da sempre vengono chiamati al contrario
beni immobili. Avvenimenti epocali che Toynbee gi allora
riconosce come frutto dello sviluppo scientifico delle tecnologie
mediche e agricole. Lumanit si consegna alla citt-mondo
perch lesplosione demografica conseguente alla maggiore
speranza di vita per le migliori condizioni alimentari e sanitarie
una questione inarrestabile e necessaria, a dispetto di tutte le
conseguenze che pu causare sul piano del consumo di risorse
vitali: non possibile regredire a forme di vita precedenti alla
meccanizzazione della societ se non a prezzo di un genocidio,
perch il sistema economico arcaico non potrebbe mantenere
che una piccolissima porzione di esseri umani.
Logicamente questa posizione appare oggi largamente superata
dalle teorie ecologiche e dai protocolli ambientali e per la
biodiversit, nonch da considerazioni ovvie sul disequilibrio
geografico e sociale dello sviluppo portato dagli eccessi deregolativi
delle societ consumiste e liberiste. E per interessante notare la
stretta connessione tra benessere e sviluppo inteso in termini di
consumo di suolo, che un fattore di scala mondiale e di portata
storica, spesso minimizzato o ignorato da interpretazioni anche
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recenti di tipo radicalmente ambientalista o conservatore.
Manhattan diventa la capitale del ventesimo secolo, come Parigi
lo stata del diciannovesimo. Se Walter Benjamin stato il
cantore di Parigi, il teorico del manhattanismo ovviamente Rem
Koolhaas, che nel suo Delirious New York indica nella iperdensit
lo splendore e la miseria della condizione metropolitana, e nella
cultura della congestione lideologia urbana che ne deriva.
Con una intuizione da storico, Koolhaas ha capito che Manhattan
stata dal 1890 al 1940 il luogo di unoperazione che merita
di essere definita davanguardia, ma che doveva trovar modo
di compiersi per tuttaltra via rispetto a quelle aperte dalle
avanguardie europee: a cominciare dal fatto che questopera
non implicava n lesistenza di unavanguardia consapevole e
organizzata n la pubblicazione di alcun manifesto collettivo
[Damisch, 1998]. Era la citt stessa che, semplicemente crescendo,
si imponeva allimmaginario collettivo di un intero secolo e
di tutto il mondo, cristallizzando lidea di modernit nelle sue
forme. Selvagge, sublimi ed atroci, secondo le parole che us
nel 1935 un Le Corbusier sconcertato e forse perfino irritato di
non trovare conferma, in questa citt, del suo dogma secondo
cui non poteva esistere una nuova architettura senza una nuova
urbanistica: ecco che nel reticolo rigido disegnato da Olmsted, qui
trasferito senza modificare affatto gli schemi tardo antichi, si era
sviluppata la titanica mineralogia del grattacielo. Congestione,
bigness, labirinto, cancellazione della natura: i caratteri salienti del
paesaggio urbano moderno tra cui anche un tocco di narcisismo,
il narcisismo della citt che osserva le sue forme riflettendosi nelle
pareti a specchio dei suoi grattacieli - provengono da Manhattan
e si trasferiscono oggi senza grandi variazioni nelle megacitt
asiatiche ed africane.
Secondo il filosofo tedesco Georg Simmel (1858-1918),
lanonimato della metropoli un mezzo per liberare lo spirito, e
questa una tipicit della tradizione culturale europea, mentre
al contrario quella americana che si sviluppa negli anni sessanta
considera la citt grande come un cancro che attacca addirittura
la struttura sociale. Mumford, gi nel 1938, con la prima edizione
di Culture of Cities, parla di inferno, veleno, gigantismo informe.
Come alternativa al disagio delle metropoli, viene indicata la citt
policentrica, propugnata in modi diversi da Frank Lloyd Wright,
Ebenezer Howard, Patrick Geddes.
Sono teorie che arrivano fino ai giorni nostri, e calano direttamente
dentro i piani territoriali regionali, come ad esempio quello
dellEmilia-Romagna della met degli anni Ottanta che propugna
la citt policentrica della via Emilia. Anche per questa via
istituzionale, la citt policentrica diventa un soggetto privilegiato
della fotografia, che ne svela appunto i caratteri variati e in sostanza
infiniti: case isolate, centri storici, sobborghi e periferie amorfe,
new towns, villaggi sperduti nella campagna sono facce diverse
che compongono un oggetto disperso dai confini indefinibili e
soprattutto privo ancora di una iconografia, che i fotografi iniziano
a formare e che viene poi interpretata in modi anche opposti
dalla cultura urbanistica: come modello originale e per certi versi
virtuoso di citt-regione in grado di lasciar libero da eccessiva
densit il territorio rurale, o al contrario come informe prodotto di
un sistema di pianificazione debole e privo di regole rigide.
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La linea di pensiero che approda oggi alla citt bella e ordinata
ha radici che vanno indietro almeno trecento anni: la metafora
cartesiana contenuta nel Discorso sul metodo, indica la citt
come immagine della chiarezza del pensiero, e soprattutto
degli effetti virtuosi del pensare di testa propria : le costruzioni
pensate e compiute da uno stesso architetto sono di solito
pi belle e ordinate di quelle che provengono da successivi
riadattamenti di costruzioni precedenti. Le vecchie citt ingrandite
progressivamente presentano un aspetto peggiore di quelle che 29. Louis Gauffier (1762-1801),
un bravo ingegnere ha ordinato a suo piacimento in una pianura. Paesaggio di tetti, Montpellier, Muse
Fabre
Ma a fianco del rigore e della chiarezza cartesiani convivono
nellimmaginario occidentale anche ben altre sensibilit, come
quella dellincompiutezza, un altro paradigma che sopravvissuto
fino alla modernit derivando dal mito della torre di Babele [Zumthor,
1998]. Babele di cui Manhattan non altro che la versione
orizzontale un crogiolo di lingue, la quintessenza della
confusione, una citt mai finita, incompiuta ma mai interrotta.
Il racconto babelico conosce solo personaggi collettivi, senza
nomi propri, e dunque appare meno insistente e drammatico, ma
30. Edward Hopper, Tetti, 1926
forse proprio per questo pi persistente e ossessivo, e radicato
nellimmaginario.
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metropoli, esteso appunto sul territorio; mentre la metropoli
conserva il carattere tradizionale di citt, larea metropolitana
costituisce un insieme spaziale dove lantica distinzione tra
citt e campagna, con le relative differenze sociali, culturali e
paesaggistiche, si scioglie in una diffusione urbana omogenea.
La diffusa difficolt a cogliere e comprendere unitariamente la
citt ha portato ormai gi da oltre un decennio a un diffuso
ricorso alle discipline di confine, non racchiuse nei propri ambiti
tecnici ma pi libere di spaziare, per esempio gli scrittori, ritenuti
capaci di sintesi pre-scientifiche e, occorre aggiungere, i fotografi
[Amendola, 1997]. Questo ha spostato per ovvia conseguenza la
descrizione dalla struttura urbana, il cui studio per lappunto
dominio delle materie della citt come lurbanistica, la geografia,
la sociologia, lantropologia, alla esperienza urbana, obiettivo
per il cui raggiungimento scrittori, fotografi, registi ed artisti sono
sicuramente pi attrezzati. Altra conseguenza indubbiamente la
minore capacit di descrivere lambiente urbano in modo unitario,
e invece la frammentazione in interpretazioni frammentarie,
episodiche, come sono le percezioni e le emozioni soggettive.
Anche le mitologie urbane si sono nel frattempo adeguate. Lideale
riferimento antico della citt frammentaria la villa Adriana di
Tivoli, un insieme di architetture difformi e giustapposte in una
sintesi affascinante ma anche mai ripetibile nello stesso modo. La
citt fondata su logiche di centralit spaziali, simboliche e culturali
cede il passo alla citt-collage o alla citt-bricolage. E lavvento
di quella che con una categoria desunta dallepistemologia del
pensiero debole potrebbe chiamarsi citt debole.
Qual dunque la nuova citt che esce dalle trasformazioni
post-moderne, e quali fenomeni ne caratterizzano lo spazio?
Se prendiamo il punto di vista degli architetti, la citt lo spazio
negoziale tra il progetto architettonico e la societ [Ciorra-DAnnuntiis,
2000], e un modo per descriverne i caratteri quello di osservare
i pi significativi progetti che vengono proposti per migliorarle.
Per cogliere le situazioni di maggiore ricchezza e complessit
per opportuno guardare ai progetti che propongono una via
di sovrapposizione e non di sostituzione dei tessuti costruiti, che
stratificano su questi ultimi le loro proposte, come se fossero
lamine poste una sopra laltra in successione.
Questo consente di tenere in debito conto il rapporto con
lordinario che per forza di cose la citt contemporanea ha
instaurato e che deve continuare ad instaurare in modi sempre
pi vari e creativi. Progettando la citt ideale occorre fare i conti
con quella reale, prelevando da essa anche gli impulsi che essa
invia, non tutti negativi per definizione. Tra questi il parassitismo
architettonico, il riuso spontaneo, lautoproduzione ai diversi livelli
di scala, dalloggetto duso, alla casa, e appunto agli spazi di
uso pubblico, che sono proprio per le loro carenze conclamate
luoghi dove la creativit si scatena nel riuso spontaneo, fino ai
limiti dellabusivismo, e a volte superandolo [Marini, 2008; Zanfi, 2008;
Pario Perra, 2010]. Sono tutti temi che la fotografia perfettamente in
grado di indagare e che ha indagato di frequente e con successo.
Non va dimenticato ovviamente il rapporto con la storia,
certamente fondativo nel caso della citt italiana ed europea,
e ricordato fin da Ernesto Nathan Rogers come uno dei due
riferimenti principali dellarchitettura, insieme alla societ. Sono
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notissime le osservazioni sviluppate da Aldo Rossi sul ruolo del
monumento nelle citt [Rossi, 1966] e le riflessioni di Anthony Vidler
sulluncanny il perturbante - e la nuova monumentalit che ne
deriva, un nuovo sublime contemporaneo che si fonda su concetti
opposti ai canoni dellarmonia e della continuit che hanno retto
la forma urbis per secoli e secoli [Vidler, 2006].
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Possiamo prendere come paradigma della rappresentazione visiva
della citt contemporanea alcune foto scattate da Rem Koolhaas
a Singapore e ad Atlanta, una sequenza di un anonimo, plumbeo
paesaggio urbano [Mastrigli, 2006], attraversato con lauto e posto a
commento visivo del suo concetto di citt generica. Scala mobile,
aria condizionata e cartongesso sono gli elementi costitutivi dello
spazio-spazzatura, e lo shopping non pi soltanto frenesia di
consumare, ma una autentica essenza della vita urbana; un
carattere che dalle citt asiatiche si ormai diffuso ovunque, cos 34. Robert Frank, Canal Street - New
come laspirazione alla bigness, che nasce gi nei tardi anni Venti Orleans, 1958
con la fascinazione ispirata a Le Corbusier dal concetto russo di
bolshoi grande applicato allarchitettura in un senso di qualit.
Nella fotografia del Ventesimo secolo la citt appare densamente
popolata e animata di lavoro, industria, e attivit di ogni giorno.
Strand e Weston raffiguravano questa frenesia, che per ora
comune alla maggior parte del mondo. Al contrario, oggi la
rappresentazione della citt vuota e calma. Il banale della citt
rappresentato cos da fotografi come i canadesi Jeff Wall e Greg
Girard, da Thomas Struth, e da molti altri. Questa inversione di
significato nella rappresentazione della scena urbana forse il 35. Olivo Barbieri, New Delhi, 1999
40
3. ESPERIMENTI E DESCRIZIONI PRECOCI
1. Guardare la citt.
I molti esempi storici di committenza fotografica pubblica sulla vita
urbana sono ricordati in sintesi da Giovanna Calvenzi [Sismicity 2010,
pp. 28-30]. Iniziando da Jacob Riis, un fotografo di origine danese
trasferitosi nel 1870 negli Stati Uniti. Riis indaga le condizioni di
vita spaventose nelle quali vivevano a New York gli immigrati
che arrivavano dallEuropa, scatta fotografie e le mostra nelle
sue conferenze pubbliche, poi realizza il libro How the Other Half
Lives: Studies Among the Tenements of New York, del 1890.
Con il suo impegno persuade Theodore Roosevelt, allepoca
alto funzionario della polizia cittadina, a promuovere un vasto
programma di riammodernamento, risanando o demolendo gli
edifici e creando delle aree verdi. Questo un esempio tra i pi
perfetti di quanto si deve intendere quando si parla di un uso
progettuale della fotografia documentaria.
Un altro autore americano, Lewis Hine, ci fornisce un modello
altrettanto celebre. Tra fine Ottocento e inizio del Novecento,
Hine fotografa il lavoro dei bambini nelle miniere, nelle fabbriche,
per le strade, allepoca consentito. Lo fa con occhio da sociologo
riformista, e usa le sue foto in conferenze pubbliche che provocano
una reazione tale da ottenere una legge che proibisce il lavoro
minorile.
Un episodio recente il lavoro di Joel Sternfeld, che si rivelato
essere un esempio di straordinaria efficacia di comunicazione
dell progetto della High Line di New York [Sternfeld, 2009], anche
grazie alla gi acquisita notoriet internazionale dellautore. Le
foto documentavano una realt urbana che si voleva modificare,
e anche in questo caso dunque la fotografia ha contribuito alla
positiva evoluzione di un contesto urbano dequalificato.
In confronto allimportanza di questi lavori ormai classici, bisogna
riconoscere che c poca abitudine da parte degli enti pubblici
del nostro paese a premettere una indagine fotografica ai progetti
di rilevanza urbana e territoriale. Si potrebbe credere che deriva
da poca convinzione nellutilit di questo modo di procedere.
Uno scetticismo che sembra ben espresso nelle parole di chi
afferma che nella fotografia per lurbanistica c pi fotografia che
urbanistica [Smargiassi, 2007], e che insomma per trovare fotografie
che abbiano condizionato una scelta urbanistica bisogna faticare
un bel po. Scrive Smargiassi, in modo anche provocatorio: Vorrei
essere smentito, ma credo che nessuna delle immagini contenute
in questo volume abbia davvero posto le premesse, o suggerito,
o modificato, le scelte di chi ha il potere di decidere sugli assetti
del territorio.
Per contrastare una interpretazione cos riduttiva occorre trovare
i casi a favore di quella contraria, cercando soprattutto in alcune
regioni del nord Italia, Lombardia, Emilia-Romagna (ne parleremo
diffusamente pi avanti), Veneto, perch nel dopoguerra da qui
che ha preso avvio lopera di fotografi e di organismi pubblici e privati 36, 37, 38. Gordon Cullen, Townscape,
dediti alla osservazione del paesaggio anche in termini critici e 1961
41
interpretativi. Tra i casi di maggiore rilievo una campagna voluta
dalla Provincia di Milano, lArchivio dello Spazio, che per dieci
anni ha coinvolto un gruppo di cinquantotto fotografi che hanno
documentato tutti i paesi della provincia: un lavoro straordinario,
creativo, non solo di documentazione, che ha prodotto un
archivio (oggi conservato al Museo di Fotografia Contemporanea
di Cinisello Balsamo), di oltre settemilaquattrocento fotografie.
Unimportante opera di rilevamento. Cinquantotto fotografi
hanno sottolineato realt positive e incongruenze del paesaggio
lombardo, ma difficile dire se e quanto poi gli amministratori
pubblici hanno tenuto conto di queste suggestioni e di questi
suggerimenti, e la domanda di Smargiassi resta intatta, e forse
anche rafforzata.
Eppure, la fotografia possiede certamente in s una capacit di
sintesi simbolica molto alta, che sembra proprio ci che serve per
definire i caratteri della citt. Questa il risultato della costruzione
fisica dello spazio urbano come insieme di luoghi in cui vivono gli
abitanti, luoghi che cambiano di continuo e per questo si caricano
di nuovi significati. Daltra parte la citt anche il riflesso della
cultura degli abitanti, e dunque delle loro aspettative, dei loro
miti collettivi, dei loro stili di vita. La citt pietrifica dei sogni, delle
idee. Il modo con cui ognuno di noi si mette in relazione con lo
spazio in cui vive deve molto allimmagine mentale che ci siamo
formati di esso. Lo spazio urbano sia fisico che esistenziale,
le due dimensioni sono interdipendenti e in continua relazione.
La citt mentale evolve insieme con la trasformazione della citt
fisica, in modi difficilmente preventivabili, ma di cui necessario
tener conto, perch ogni individuo, dopo le grandi trasformazioni
urbanistiche, ha comunque bisogno di ritrovare un equilibrio, di
riconoscere una continuit di senso che gli permetta di percepire
e conoscere la nuova citt senza esserne disorientato.
Uno dei caratteri del post-moderno in campo architettonico
stato infatti la riscoperta del senso, e questo ha coinciso con
un progressivo allontanamento dal funzionalismo: negli ultimi
trentanni molte teorie dellurbanistica hanno posto al centro
dellattenzione lutilizzatore: lo hanno fatto Aldo Rossi, Manfredo
Tafuri, Vittorio Gregotti, Bernardo Secchi.
A partire dagli anni Settanta lurbanistica moderna rimessa
in discussione. Emergono nuove rappresentazioni della citt,
3. Geografi italiani.
A pochi anni di distanza da Cullen (1975), in Italia, due geografi,
Giorgio Bergami e Tonino Bettanini, ripartono pi o meno da quel
punto per estendere il procedimento dalla citt al territorio nel
suo complesso. Operano in un modo che visto oggi ci sembra
un po meccanicistico, secondo lo stile duro e funzionalista degli
anni Settanta, basandosi come al solito sullinterdisciplinariet,
e con una oscillazione continua nella scelta di campo. Viene da
chiedersi, leggendo, se si sta parlando di fotografia o di geografia
[Bergami e Bettanini, 1975]. Di fatto il libro parla molto di tecnica della
fotografia, in modo manualistico. E di capacit di vedere in
senso fotografico (questo il titolo del secondo capitolo), per poi
proporre un metodo di lettura del territorio (oggi diremmo sguardo
sul paesaggio) molto didascalico, simile al lavoro che Paolo Monti
stava svolgendo proprio allora per la Soprintendenza bolognese
alle Gallerie sullAppennino. Prova ne sia che sono riprodotte
alcune di quelle immagini, scattate durante il censimento dei beni
culturali della valle del Santerno, indicandole come esempi da
seguire.
Il volume propone un modo di inventariare un territorio organizzato
per capitoli: natura, insediamenti e a architetture inseriti nel
territorio, agricoltura, industrializzazione (da notare il termine,
ancora legato a definire un fenomeno che in corso in quegli
anni), flora e fauna, luomo. C un paragrafo sulla foto aerea, uno
sul territorio nei rotocalchi (le belle immagini), nelle riviste e nei libri
di fotografia, nelle pubblicazioni scientifiche. C un riferimento,
oltre che al lavoro bolognese, a quello toscano di Documentiamo
Firenze e la Toscana, una inchiesta per immagini patrocinata in
quegli anni dallAssessorato alla Cultura del Comune di Firenze.
Un capitolo, il quarto, dedicato alla citt. E abbastanza inusuale
44
in quegli anni documentare non solo il centro storico e i beni
culturali, ma anche la struttura fisico-organizzativa e sociale della
citt. Anche se poi il libro propone una visione ancora fondata
sulla crisi del rapporto citt-campagna portata dalla rivoluzione
industriale, fortemente connotata dalla critica alla degradazione
dellambiente e alla crescente domanda di beni rari come laria,
lacqua, il verde, in una concezione della citt come luogo che
tutto fagocita, crea il bisogno di un fine-settimana, di un turismo
di massa alla ricerca di ci che la citt stessa va distruggendo. 42. Bernd e Hilla Becher, Eight Views,
Retto da questa visione un po ingenua e acerba, citando modelli Haupstrasse 3, Birken, Germany, 1971
4. Approcci sociologici.
I contatti stretti che in quegli anni la fotografia istituisce con
lurbanistica, la geografia, la sociologia e le scienze sociali trovano
conferma nellinteresse per il mezzo fotografico di un famoso
sociologo come Franco Ferrarotti, che in quegli stessi anni
pubblica un testo con proprie fotografie disciplinari, fatte a partire
dal 1968 in Brasile e poi in Unione Sovietica, Stati Uniti, Svizzera,
America Latina, Ungheria e Mezzogiorno dItalia [Ferrarotti, 1974].
Lautore osserva che i manuali di fotografia insegnano come
fotografare, ma non perch. Si dice sorpreso dello scarso uso della
fotografia nelle scienze sociali salvo letnografia, letnologia e
lantropologia culturale dove per essa usata per documentare
e far conoscere il diverso, il lontano, il primitivo, e dunque non
tanto per aiutare una riflessione, che un passo successivo, pi
raffinato e consapevole. Perch dunque, questo estraniamento
tra fotografia e sociologia? Forse il sociologo, ultimo venuto nel
mondo pur vacillante dellaccademia, si condanna ad essere pi
accademico degli altri e si vieta quelle frivolezze che volentieri si
perdonerebbero, come momenti di piacevole umanizzante relax
agli accademici pi stagionati.
Tra i rari esempi delluso della fotografia nelle scienze sociali,
lautore ricorda il libro Street life in London del 1877, di John
Thomson e Adolphe Smith, con 36 fotografie di poveri londinesi,
dove le immagini finalmente non mostrano strani usi e costumi
45
di popoli primitivi, ma i problemi e le anomalie di casa nostra.
Ferrarotti che osserva che fotografare la povert difficile
perch difficile fotografare la mancanza di oggetti, il vuoto, la
penuria - pone questa indagine a capostipite di libri famosissimi
come Let us Now Praise Famous Men, di James Agee. Mentre
Jacob A.Riis, che nel 1870 sbarca a New York dalla Danimarca,
la premessa necessaria del lavoro successivo di Lewis W.Hine,
Walker Evans, Dorothea Lange, Berenice Abbott e vari altri. Agee
sembra credere che lobiettivo fotografico batte locchio umano,
che vede meno rapidamente e meno fedelmente dellobiettivo,
ed naturalmente, inevitabilmente selettivo. Agee racconta la
povert, vista da una certa distanza. La questione della distanza
decisiva, nella fotografia di paesaggio: se sei vicino, e quanto,
o lontano, e quanto, fino alla lontananza siderale della fotografia
aerea. La conoscenza esige crudelt e qualche profanazione,
dice Ferrarotti parafrasando Agee. Il libro ricorda poi la Farm
Security Administration americana, e la sua particolarit di
far viaggiare il fotografo con uno scrittore (Evans e Margareth
Bourke-White, per esempio), o con un economista (Dorothea
Lange e Paul Taylor), secondo principii di multidisciplinariet. C
poi una notevole osservazione sull infantile (faustiano?) tentativo
di una presa eterna sul reale (allattimo che fugge: <Fermati. Sei
bello>) che si associa spesso a un modo ingordo, sprovveduto e
irriflessivo di fotografare, tipico del dilettante.
46
dellarchitettura e del paesaggio urbano, e a sua volta la rinforza,
la propaga incessantemente, generando figure memorabili del
nostro ambiente sociale. Larchitettura iconica capace, in questo
senso, di produrre molteplici identit per le masse.
Da questo punto di vista, la Torre Eiffel il prototipo. Oggi altre
architetture super-iconiche sono il Museo Guggenheim di NYC e
quello di Bilbao, e la pi recente Elbphilarmonie di Herzog & De
Meuron ad Amburgo. Questi edifici spesso hanno dei soprannomi,
a dimostrare la loro popolarit: la Schwangere Auster, lostrica
incinta, la Congress Hall di Berlino, il Friendly Alien, lamichevole
alieno, la Kunsthaus di Graz di Peter Cook & Colin Fournier, il
Birds Nest, il nido duccello, lo stadio olimpico di Pechino di
H&DM, The Cloud, la nuvola, il Padiglione Expo a Yverdon-les-
Bains di Diller & Scofidio.
Tutti questi edifici hanno provocato milioni di fotografie, e sono
stati promossi da fotografie. Il nesso tra la fotografia e lo sviluppo
dellarchitettura (e della citt) pop evidente, ed questo uno 44. Mario Giacomelli, Marche, 1978
dei fattori per cui citt e fotografia nel secondo dopoguerra hanno
avviato una relazione cos promettente e di successo.
52
4. LA CITTA DEGLI ARCHITETTI
60
C poi da sottolineare che Rossi insiste in pi parti del suo
lavoro teorico sul concetto di monumento, che stato di fatto
rimosso dalla cultura urbanistica italiana degli ultimi quarantanni
e che invece per natura ha forti connessioni con i caratteri alla
base del progetto urbano. La rimozione del monumento nella
nostra cultura urbanistica quanto gi notava Vittorio Savi
[Savi, 1976], e la riconosce come effetto della stigmatizzazione
dellarchitettura classicista del fascismo. Ma, secondo Savi,
lesempio del Gallaratese, dove ledificio di Rossi sta accanto a
quello di Aymonino, dimostra che il monumentale pu prodursi
sia con lordinamento assiale di Rossi che con la pi aggressiva
manipolazione delle componenti formali, la trascuratezza e
linvenzione variata di Aymonino.
Dunque il monumentalismo non questione di linguaggio, ma
di tono; e non peculiarit del totalitarismo, come vuole il luogo
comune con cui si stabilita una bizzarra equazione tra architettura
democratica e architettura articolata. [] Prescindendo dal livello
linguistico, nel suo libro Rossi chiarisce nei monumenti un congegno
principale e una forma sintetica dellespansione urbana, che oggi
parlando di progetto urbano siamo forse chiamati a riconsiderare.
Rossi scrive che i monumenti sono le persistenze, nella citt, come
anche lo sono i tracciati e i segni del piano. Per questi elementi
permanenti sono di due tipi, sia patologici che propulsori. Qual
la distinzione tra i due? Il carattere permanente e non patologico
e dunque propulsore del Palazzo della Ragione a Padova sta
nel fatto che ancora usato, e pur essendo pacifico per tutti che
si tratta di unopera darte, esso al piano terreno funziona come
un mercato al dettaglio, e questo prova della sua vitalit. E
abbastanza chiaro cos invece una permanenza patologica, e
Rossi lo spiega senza mezzi termini: le conservazioni cosiddette
ambientali stanno ai valori della citt nel tempo come il corpo
imbalsamato di un santo sta alla immagine della sua personalit
storica.
Il valore dei monumenti dunque propulsivo e benefico per
lo sviluppo della citt: il processo dinamico della citt tende
pi allevoluzione che alla conservazione e nellevoluzione i
monumenti si conservano e rappresentano dei fatti propulsori
dello sviluppo stesso. E questo un fatto verificabile, lo si voglia
o no. Se ne pu dedurre che un obiettivo del progetto urbano
pu essere la monumentalit, intesa in questo senso positivo, o
si deve continuare a credere alla contrariet di sapore zeviano
al monumento come inaccettabile retorica?
Queste domande trovano frequenti risposte nel modo di
fotografare la citt che vedremo nei capitoli successivi, da parte di
Paolo Monti e Gabriele Basilico soprattutto, dove le componenti
monumentali e la ricerca degli avvenimenti urbani concretizzati in
luoghi simbolici cercano di continuo un equilibrio che ovviamente
ogni autore trova in posizioni diverse tra loro.
4. Carlo Aymonino.
Anche Carlo Aymonino studia larchitettura come fenomeno
urbano. Nel senso che larchitettura elemento costitutivo della
citt, ma non coincide con essa. Nel suo libro Il significato delle
citt Aymonino esamina i caratteri della citt moderna (XVIII-XX
secolo) e prova a relazionarli a specifici interventi architettonici, in
61
particolare cerca di vedere se i nuovi processi di caratterizzazione
indotti dalle architetture hanno significativamente variato la
struttura urbana precedente. Utilizza per questo alcune analisi
specifiche, per esempio riflette sulla diade monumento-intorno,
e si interroga se questa, oltre a essere un parametro di giudizio
sul passato possa essere ancora una indicazione operativa per
il presente; si chiede se possibile considerare la citt come un
prodotto architettonico; si chiede se esista una crisi della tipologia,
intesa come elemento ordinatore e semplificatore dei fatti urbani;
e infine se la citt pu essere costruita per parti formalmente
compiute, se cio larchitettura possa avere non solo una finalit
esemplificativa o dimostrativa, ma risolutiva.
Mentre Aldo Rossi identifica in sostanza larchitettura con le
emergenze, Aymonino considera il rapporto tra monumento
e intorno come il risultato di un processo storico, non una
categoria valida in s e dunque utilizzabile come indicazione
operativa. Anzi, esso entra in crisi con lo sviluppo delle forze
produttive moderne, crisi che peraltro va vista in una prospettiva
positiva, di apertura di nuove potenzialit. Aymonino si chiede
in che misura larchitettura moderna una componente della
citt contemporanea e si risponde che ci accade solo nel caso
di Brasilia, e in minore misura con Chandigarh e Dacca. Se
prendiamo una guida dellarchitettura moderna di Berlino, Vienna,
Parigi, Milano non troviamo che interventi puntiformi, anche le
Siedlungen di Francoforte e Berlino o gli Hofe di Vienna non
riescono ad essere parti di citt formalmente compiute.
Le caratteristiche che accomunano alcuni famosi esempi di
architettura moderna (tra cui la Cit de rfuge di Le Corbusier,
il Sanatorio di Duiker a Hilversum, il progetto per uffici di El
Lissitzky e Mart Stam) a detta di Aymonino sono principalmente
due: che la loro costituzione formale si pone in contrasto con
la citt esistente quale struttura che ignora o non permette il
manifestarsi di quella architettonica; e che al loro interno si
manifesta una assoluta indipendenza delle parti, come rottura e
alternativa del rigido e gerarchico sistema compositivo barocco;
un processo riconosciuto come principale contenuto della
architettura dellilluminismo e pienamente congruente con let
dellindividualismo novecentesco.
In definitiva, Aymonino conclude che lanalisi urbana una
materia che entrava proprio in quegli anni nel novero degli
insegnamenti universitari non fornisce gli strumenti per
lintervento architettonico: non c un nesso diretto di causalit, e
se vi fosse si cadrebbe diritti nella imbalsamazione accademica
dellarchitettura, come dimostrano ampiamente i progetti di
Muratori e della sua scuola [Aymonino, 1975]. Lanalisi urbana
per uno dei pochi strumenti che possano dare un contenuto
logico alla progettazione, assicurandone in tal modo i caratteri
di trasmissibilit e continuit dellesperienza. (In altra parte del
suo ragionamento lautore rivendica anche il ruolo simbolico e
formale di alcune celeberrime parti incomplete della citt, si
pensi al Prato della Valle a Padova). Lanalisi delle strutture
urbane interviene nella progettazione l dove si deve assegnare
un ruolo alle strutture stesse []: quale parte delle citt antica
mantengo e perch (restaurandola o trasformandola); che ruolo
assegno ai monumenti (confermando il precedente o mutandolo
62
completamente); quali permanenze trasferisco nel nuovo assetto
e quali abolisco ecc., sono tutte operazioni di progettazione. La
citt per parti formalmente compiute comunque un problema
che pu essere affrontato soltanto in presenza di due rare
condizioni: la propriet unica del suolo, pubblica o privata
che sia, e una dimensione dellinsieme che corrisponda alle
necessit da risolvere, dando loro forma concreta nella quantit
e nella qualit edificata. E per concludere: la definizione di
parte resta quindi un problema aperto: essa pu essere ununica
architettura, quanto un sistema che imposti la struttura dinsieme,
cui aggiungere liberamente le varie parti (come sostituzione del
rapporto <strada corridoio case che vi prospettano>) o ancora
un settore urbano individuabile e definibile in s (corrispondente
alle <aggiunte> storiche della citt tradizionale. In tutti i casi il
carattere necessario (e non ancora sufficiente) perch una parte
si costituisca in quanto tale rispetto allinsieme, che essa sia
formalmente compiuta, quindi architettonicamente riconoscibile;
e tale riconoscibilit data dal giudizio (analisi + intervento) che
si d sullinsieme.
Non c dubbio che tra i fotografi italiani che pi compiutamente
e proficuamente hanno lavorato sui temi della citt antica e della
sua conformazione, sui suoi processi di crescita e di integrazione/
opposizione con la citt moderna Paolo Monti. Il suo rilevamento
dei centri storici soprattutto il primo, quello bolognese pu
essere considerato il diario visivo dellintuizione di un progetto
urbano ante-litteram, il piano del centro storico di Bologna. Se
ne parler in seguito. Ci che sembra utile sottolineare in questo
momento, la forza delle interpretazioni di Aymonino sulla citt
storica, e lindubbio travaso che tramite il suo lavoro si avuto nella
cultura disciplinare italiana, e di qui nel lavoro contemporaneo di
fotografi come Monti sulla citt storica.
5. Quaroni e le scale.
Nel suo Progettare un edificio (1977), Quaroni si pone il problema
delle scale di progettazione e osserva che il processo progettuale
attraversa momenti razionali e momenti irrazionali, ma questi
ultimi sono crescenti quanto pi ci si avvicina alla piccola scala.
Infatti la programmazione nazionale e la panificazione territoriale
e in larga misura anche quella urbana vede una forte prevalenza
dei contenuti sugli aspetti formali, e per questo si muove in un
maggiore ambito di razionalit e di scientificit, rispetto alla
irrazionalit-artisticit della scala architettonica. E dunque non
ci sono dialoghi tra le diverse scale? Quaroni sembra rispondere
solo nei termini della necessit di un dialogo tra gli specialisti delle
diverse scale, convinto che il bagaglio degli studi, latteggiamento
culturale e linsieme delle tecniche di analisi e progettazione,
e perfino gli artifici e i segreti del mestieri creino differenze,
distanze e addirittura incompatibilit ideologico-comportamentali.
La soluzione starebbe nella progettazione interdisciplinare,
piuttosto che nellesistenza di una figura in grado di controllare
ogni processo, dallaeroporto al cucchiaio.
Quanto alla forma urbis e al modo con cui una citt media si
trasforma ed evolve in una citt grande, Quaroni cita alcune
modalit di crescita senza chiarire il ruolo dellarchitettura. In
primo luogo ricorda la legge della persistenza del piano formulata
63
nel 1926 da Pierre Lavedan: il rinnovamento di una citt tende a
realizzarsi se non vi sono cambiamenti notevoli delle idee sulla
citt colla sostituzione, via via, dei singoli edifici con edifici nuovi
che quindi rioccupano esattamente il posto lasciato dalledificio
pi antico, mantenendo intatto, o quasi, il tessuto stradale. Inoltre,
i metodi elencati da Quaroni sono gli sventramenti, le addizioni
esterne, sia laterali (Ferrara, Modena, Berlino fredericiana) che
per fasce successive sempre pi esterne (Firenze, Colonia, Roma
dopo il 1870) o per nuclei pi esterni ancora (le new towns inglesi),
ed infine le ristrutturazioni di quartieri, intendendo precisa il
re design, ovvero la riprogettazione dellintero tessuto, cio non
solo i tipi edilizi ma le destinazioni e la viabilit.
Possiamo rintracciare in queste osservazioni molti temi tipici del
lavoro di diversi fotografi contemporanei, occupati a rappresentare
le stratificazioni della crescita urbana, ossia la crescita della citt su
se stessa, ma anche laumento delle dimensioni orizzontali della
citt, il modo in cui si forma il tessuto urbano, dal germogliare dei
tracciati e della occupazione del suolo al consolidarsi della trama
viaria e del riempimento dei lotti attraverso tipi edilizi diversi.
68
5. PAOLO MONTI E IL PROGETTO POLITICO DEL
TERRITORIO
79
Il concetto da comunicare espresso senza mezzi termini da
Cervellati nei suoi scritti di quegli anni: che il rilievo equivalente
al progetto. E Monti produce migliaia di fotografie che significano
proprio questo. Cervellati paragona le foto di Monti agli schizzi di
Le Corbusier: Non mi sembra azzardato affermare che nelle foto
di Monti (quelle di architettura e di urbanistica) ci sia la stessa
capacit interpretativa dello spazio e lanaloga volont conoscitiva
che riscontriamo negli schizzi di Le Corbusier. In entrambi i casi, i
disegni o le foto, documentano, rilevano, confrontano e indagano
una precisa realt e contemporaneamente suggeriscono soluzioni
progettuali o, quanto meno, appropriate letture volumetriche
e spaziali [] Ci fanno capire, le foto di Monti, quali interventi
sono ammissibili per non alterare (o al contrario, per modificare) il
luogo che ha fotografato. Pi avanti Cervellati indica altri modi di
utilizzo delle fotografie in chiave progettuale: le foto confrontate
con gli interventi successivi consentono di misurare gli errori
compiuti. Consentono di valutare la <precariet> del restauro o la
<violenza> della sostituzione [Cervellati, 1993].
Ovunque, nelle citt emiliane e romagnole, limmagine urbana
di Monti diffusa, in mostre, libri, convegni, progetti e piani
urbanistici di conservazione che diventano un caso e un modello
di livello addirittura mondiale. E un pezzo della famosa isola rossa
e del suo successo planetario, un principio apodittico e nemico
di ogni discussione contraria. Vengono elaborate teorie precise
sulla convenienza anche economica, oltre che sociale e politica e
storico-urbanistica, del recupero rispetto alla nuova costruzione.
Ogni volta che se ne parla, sui giornali, nelle riviste, alle tesi
della conservazione sono associate le foto di Monti. Questo
orientamento diventa prevalente e anzi totale nelle universit,
nelle pubbliche amministrazioni, si fondano enti come lIstituto
regionale per i beni culturali, che subito diventano i conservatori
dei materiali di Monti, pian piano si creano le facolt universitarie
di conservazione dei beni culturali, i corsi di laurea, gli specialisti
del restauro scientifico, le fiere e i saloni dedicati come quello
del Restauro di Ferrara - , le strutture ministeriali. Le foto di
Monti sono il commento visivo di questa escalation culturale e
soprattutto politico-culturale.
81
contenute immagini di paesaggio urbano connotate da uno stile
radicalmente innovativo: non compaiono i monumenti principali,
i paesaggi eccellenti, niente di simile alla tradizione iconografica
divulgata dalle pubblicazioni del Touring Club Italiano; la citt
raccontata attraverso elementi considerati generalmente secondari
e anzi da sottovalutare - che risultano per ormai determinanti
e prevalenti nel panorama quotidiano contemporaneo, come le
immagini pubblicitarie, le vetrine dei negozi, le insegne stradali.
La serie Colazione sullerba (1972-74) presenta alcuni paesaggi
naturali che potremmo definire kitsch. Ghirri per sembra
rifiutare di descrivere le cose come di cattivo gusto, perch
un atteggiamento troppo elitario; si limita invece a registrare
fenomeni, in quanto ormai talmente diffusi che risulta impossibile
ignorarli. Anche Catalogo (1970-79) prosegue in questa direzione.
La citt descritta per elenchi visivi di rivestimenti, avvolgibili,
infissi, serrande. Km. 0,250 (1973) un altro elenco di questo
tipo, e rileva i duecentocinquanta metri lineari del muro di confine
dellautodromo di Modena. E il rovesciamento dellestetica di
Monti, che al contrario componeva le sue inquadrature scartando
accuratamente lintrusione dei segni contemporanei, isolando
invece esclusivamente le testimonianze della forma urbis storica.
Tutto il lavoro di Ghirri si connota per limpronta concettuale sin
dai suoi primi scatti - soprattutto per effetto dellincontro nel 1969
con lartista Franco Guerzoni - e per la forte carica ironica. E
facile rintracciare il primo carattere nelle serie Atlante del 1973,
viaggio mentale in tutti i luoghi del mondo attraverso i segni delle
carte geografiche, dove si possono trovare scatti che sembrano
opere di Schifano o Mondrian. Della seconda ispirazione sono
testimonianze evidenti i lavori Il paese dei balocchi (1971-
79), dedicata ai Luna Park, chiamati baracconi, con parola del
linguaggio popolare, e ancor pi quelli di In scala (1977-78), che
inaugura le rappresentazioni del paesaggio urbano attraverso
Italia in miniatura di Rimini, poi riprese da molti altri fotografi negli
anni successivi. C in questi scatti tutto il lato pinocchiesco di
Ghirri, come lha definito lamico Celati, e anche linvenzione di
fotografare le cose a cui nessuno bada, che gli riconoscono i
critici pi attenti sin dallesordio nella piccola ma ormai famosa
mostra allHotel Canalgrande di Modena nel 1972.
Ghirri rivela inequivocabilmente che la comunicazione urbana si
trasferita senza che quasi ci si accorgesse di quando iniziato
il fenomeno; ma chiaro che la diffusione della cultura pop ha
avuto un peso determinante - dalla percezione delle architetture
e degli impianti urbanistici a quella dei cartelli, delle scritte, delle
insegne e dei manifesti, che hanno preso il sopravvento sul
tessuto urbano di cui ancora ci parlava Monti pochissimi anni
prima. Lattenzione al modo come si compongono forme e colori
di piastrelle e mosaici nelle facciate degli edifici pi ordinari svela
un parallelo visivo con le composizioni astratte di Mondrian:
lavvicinamento di casi qualunque a modelli artistici di eccellenza
ribalta provocatoriamente le abitudini percettive dellosservatore
della citt contemporanea.
Mettere al centro dellinquadratura un vaso di fiori su un balcone
per Ghirri non significa fotografare un dettaglio, un particolare,
ma indicare quel vaso come forma simbolica della cultura che
ha prodotto quella casa, quella parte di citt. E il criterio preso da
82
una figura retorica classica, la sineddoche, per cui la parte viene
presa a indicare e riassumere il tutto, con un effetto di pungente
straniamento: la prima percezione di rigetto, di incomprensione,
anche di fastidio, ma alla lunga il senso nascosto lavora in
profondit e crea una percezione nuova, pi raffinata e persistente,
come la scoperta gioiosa di una verit celata e svelata solo a chi
percorre lesperienza fino in fondo.
Costantini parla con acutezza di sguardo liberato dallintenzione
di convincere, di affermare [Costantini-Zannier, 1989], e inteso invece
come forma privilegiata dellinterrogazione. Se il linguaggio scelto
svela i riferimenti americani, molte sono le originali differenze, da
attribuire oltre che alla diversit dellapproccio culturale, anche
alle dimensioni dello spazio, e alla scelta del paesaggio delle
periferie, degli spazi marginali, dei giardini. Dai maestri doltre
oceano viene comunque la convinzione che la fotografia una
pratica soggettiva che costituisce un mezzo per scrutare dentro
se stessi prima che nella complessit figurativa del mondo. E
forse proprio per questo lindividuo-fotografo pu mostrare tutto
laffetto che prova per i suoi soggetti, Costantini parla addirittura
di tenerezza.
Se la fotografia un modo di vedere piuttosto che una tecnica,
allora sempre esistita, anche prima di essere inventata.
Questo ci che pensa Ghirri, togliendo importanza a ogni aura
scientifico-specialistica, e radicalizzando gli aspetti filosofici,
fino ad arrivare a dire [Cesena, 1987] che sono proprio gli angoli
pi consueti e canonici, che abbiamo sempre sotto gli occhi e
abbiamo sempre visto, quelli che svelano allimprovviso novit e
aspetti imprevisti. E che nel fotografarli lui aspira a un linguaggio
mediano tra leccessiva imparzialit e quella specie di editing
visivo strettamente personale che utilizzano i fotografi-artisti.
Vuole sfuggire alle due categorie incomunicabili e inconciliabili
della conoscenza e della poetica, vuole stare in equilibrio tra i due
estremi.
Qualcuno ha parlato di lui come di un fotografo rinascimentale
- la definizione di Michele Smargiassi - intendendo mettere
in luce il suo essere polivalente, trasversale: appassionato di
musica (Bob Dylan, Bach, Beethoven, Ry Cooder, e molti altri), di
architettura, di poesia, di cinema (Michelangelo Antonioni, Werner
Herzog), di pittura (Giorgio Morandi, Giorgio De Chirico). E
questo atteggiamento che gli consent di trasformare due ricerche
territoriali come il Viaggio in Italia del 1984 e le Esplorazioni sulla via
Emilia del 1986 in veri e propri progetti di comunicazione globale,
riuscendo nellimpresa non facile di coordinare, lui fotografo, un
insieme di fotografi. Lintento era quello di raccontare un popolo,
come avevano fatto i fotografi della frontiera americana, e in questo
obiettivo si raccoglieva poi lambizione di Ghirri organizzatore di
cultura pi che fotografo.
Viaggio in Italia ha luogo a Bari nel 1984. Laspirazione del curatore
a produrre un grande catalogo dei paesaggi italiani contemporanei
pone questo evento in linea con le figure dei maestri storici come
Canaletto, Bellotto e Guardi in pittura, Anderson e Alinari in
fotografia. Ghirri prende ispirazione dal vedutismo veneziano, oltre
che dalla metafisica e dal surrealismo, aggiungendoci poi del suo,
com ovvio che sia per un grande artista [Nappi, 2000]. Il catalogo
contiene uno scritto di Gianni Celati: Verso la foce. Reportage
83
per un amico fotografo. Qui si parla davvero di paesaggio, senza
aggettivazioni, nel senso pi largo e trasversale possibile. Le
foto di paesaggio urbano non sono molte: Lugo e Pegognaga di
Olivo Barbieri (ma paesaggio storico), Cesena di Battistella, la
stazione di Livorno di Chiaramonte, Casale Monferrato di Mario
Tinelli, Napoli di Mimmo Jodice.
E lo stesso Ghirri in altra occasione a ricordarci come, appena
nata, la fotografia abbia inteso coltivare un rapporto privilegiato
con la scena urbana, visto che la Veduta dalla finestra a Le Gras
di Niepce (1827) inquadra un angolo di edificato di un piccolo
paese dei Vosgi. Ghirri parla dello sterminato numero di immagini
urbane che sono state prodotte di l in avanti, e della impossibilit
di rintracciare un filo da seguire per farne un riepilogo che non sia
parziale o forse anche arbitrario. Lo definisce il riassunto di un
genere, con una espressione da cui trapela forse anche pi che
sfiducia, quasi disprezzo [Gasparini-Ghirri].
Ci nonostante, lui stesso comporr negli anni successivi vari
atlanti di citt mondiali, proponendoli nel quadro di contributi
collettivi di spessore anche rilevante. Come ad esempio nel 1987,
quando partecipa alla XVII Triennale di Milano e al catalogo,
con un testo dal titolo Un cancello sul fiume, illustrato con
varie foto tra cui uno splendido notturno di Luzzara 1985 con
le case tutte azzurre, oltre a varie del cimitero aldorossiano e
del campo di Fossoli. E un testo dedicato alla malinconia, che
come dice Zavattini originaria del Po. Ghirri scrive che non gli
dispiacerebbe abitare nei pressi di Luzzara, e lamico appena
tornato dallAfrica - di cui parla senza nominarlo, e che per
sappiamo essere Celati - inorridisce e esprime il suo disaccordo
(questo lindizio che rivela Celati: parla delle villette geometrili
senza davvero amarle, e in questo meno concettuale di Ghirri
e pi debitore della cultura dominante). Secondo Ghirri i caratteri
della bassa sono proprio la malinconia e limprecisione data dalla
foschia. Il centro di tutto questo mondo padano il cancello nella
piazza di Pomponesco, sul Po. De Chirico, dice Ghirri, usa questa
stessa malinconia come se fosse una materia, come fosse un
colore per le sue tele. Per quella stessa esposizione milanese,
larchitetto Vittorio Valori Perduti - un personaggio immaginario
in cui si cela Vittorio Savi -, nato nella seconda guerra mondiale,
laureato architetto al Politecnico di Milano e dedito alla ricerca di
rimedi architettonico-urbanistici alle citt e alle campagne parte
per un viaggio-avventura da Roma-EUR a Milano. Savi e Ghirri si
impegnano dunque per la stessa mostra e per lo stesso catalogo
a disegnare itinerari e atlanti, ancora una volta, instancabilmente.
E un punto comune della loro ricerca, qualcosa che li avvicina
e li caratterizza entrambi come sperimentatori e indagatori
delle analogie e delle differenze espresse qua e l nei giardini
del villaggio globale dalla multiforme relazione tra architettura e
natura.
Con il titolo Un atlante fotografico sulla metropoli Ghirri fece per
quel catalogo una sua proposta di lettura della geografia urbana
mondiale nel volume Oltre le citt, le metropoli. I ventidue fotografi
che scelse sono Ogle Winston Link, Walker Evans, Andr Kertsz,
Robert Doisneau, William Klein, Robert Frank, Lee Friedlander,
Diane Arbus, George Tice, Art Sinsabaugh, Nicholas Nixon, Joel
Meyerowitz, William Eggleston, Stephen Shore, William Clift,
84
Joel Sternfeld, Ugo Mulas, Klaus Kinold, Giovanni Chiaramonte,
Andrea Cavazzuti, Fulvio Ventura e lui stesso: un tedesco, un
francese, cinque italiani e quindici americani (due nati allestero
Ungheria e Svizzera - ma vissuti negli Usa). Le fotografie datano
dal 1929 al 1988. I luoghi sono in larghissima misura gli Stati Uniti,
e inoltre Parigi, Tokyo, Milano, Caracas, Hong Kong e Atene.
Quattro anni pi tardi, Ghirri ripete la scelta di luoghi e fotografi
nellAtlante metropolitano, un quaderno di Lotus che raccoglie
alcuni dei principali contributi gi pubblicati nei cataloghi della
XVII Triennale Le citt del mondo e il futuro delle metropoli, le cui
pagine assommavano a circa 700, a detta dello stesso Nicolin
una galassia gutemberghiana che a modo suo riproduceva la 62. Luigi Ghirri, dalla serie Touring Club
Italiano, 1986
dispersione metropolitana [Nicolin, 1991]. Ghirri aggiorna latlante,
limitandosi questa volta a soli autori contemporanei e retringendo
decisamente il campo: conferma le scelte di Cavazzuti,
Chiaramonte, Kinold e Meyerowitz, raccoglie foto di Daniele De
Lonti, Joan Fontcuberta, Filippo Partesotti, perfino una foto di Wim
Wenders, ma questa volta soprattutto un gran numero di foto sue.
Le citt sono Atene, Caracas. St. Louis, Leningrado, Chicago,
Zurigo, Houston, Berlino, Roma,Boston, New York, Londra, Parigi,
Hong Kong, Barcellona, Lubiana e ovviamente Modena. Difficile
riconoscere un filo conduttore che non sia esclusivamente una
interpretazione soggettiva, a dire bene autoriale.
90
7. LA SUPERCITTA DI BASILICO
91
67. Mario Sironi, Paesaggio urbano
(Fabbrica)
101
75. Gabriele Basilico, Modena, 2011
102
8. NUOVI TOPOGRAFI ITALIANI
1. Guido Guidi.
Nel 1978-79 Lewis Baltz, uno dei nuovi topografi americani,
fotograf la rapida costruzione di un complesso sciistico e per
seconde case a est di Salt Lake City, nelle montagne Wasatch,
Utah. Il suo scopo era di registrare le varie fasi di costruzione di
Park City. Quando inizi il suo lavoro, il paesaggio era caotico,
devastato da decenni di negligenza, cosparso di frammenti di vetro,
ferro, legno, cavi residui degli scarti di miniere abbandonate
anni prima e con scarsissima vegetazione. Sembrava la scena
di un cataclisma. Nei due anni e mezzo in cui Baltz esegu le sue
foto, la terra desolata (un esplicito riferimento al poema di Eliot)
fu coperta da case e strutture commerciali, ma per ironia della
sorte queste accrebbero il senso di desolazione. In quelle foto c
una continua tensione tra ci che la fotografia descrive e ci che
rivela.
Lo stesso stile si trova nel lavoro di Guido Guidi, forse anche con
una ulteriore accentuazione di tono. In Guidi evidente la volont
di fotografare il brutto, lo sciatto, il banale, con uno stile altrettanto
inestetico e casuale, senza composizione apparente (in realt
Guidi usa il grande formato sia per la qualit dellimmagine che
per la lentezza della esecuzione e per la grandezza dellimmagine
sul vetro smerigliato, che gli consentono di pensare a lungo
linquadratura), allopposto della veduta classica, per provocare
disagio e irritazione: cose rotte, relitti, oggetti desueti. Accozzaglie,
presentate come in una enumerazione caotica. Non si pu dire
che questa sia una foto di denuncia, perch non ne ha il tono. E
una foto complice, anche indulgente, perch si avvicina alloggetto
assumendo la sua stessa personalit, come se dovesse farsi
accettare. C una specie di biasimo dellutile, del funzionale,
una visione allopposto di quella di Monti. La sua una sensibilit
minimalista, di sapore orientale. Quando fotografo un sasso, io
divento quel sasso, dice con i suoi studenti.
Ma questo stile non incita al laissez-faire, piuttosto a una ridefinizione
low-profile del progetto di citt possibile, un progetto che faccia i
conti con ci che oggi caratterizza il laboratorio urbano (calo delle
risorse pubbliche, sfiducia verso la politica, conflittualit sociale
causata dai grandi interventi di trasformazione, frammentazione
eccessiva dei centri decisionali, difficolt nei rapporti tra enti sovra
e sottordinati, ecc.). Nella fotografia understated di Guidi e di Linea
di Confine c un tendere a forme pi attuali del progetto: piccolo,
interstiziale, low-cost, legato alle pratiche auto-organizzate,
lontano dalla cultura delle archistar e contro le imposizioni dei
modelli di consumo degli oggetti e del territorio.
Guidi molto coinvolto nellarte concettuale, come lo fu Ghirri, ma
pi di Ghirri, che a un certo punto prese una strada decisamente
fotografica. Guidi, come Franco Vaccari, forse pi spostato
sul versante teorico che su quello della produzione fotografica.
Quando parla del suo lavoro, nelle conferenze, mostra raramente 76. Guido Guidi, dalla serie Paesaggi
le sue fotografie, e se lo fa, lo fa con molta parsimonia, diluendo ordinari delle Marche, 2009-10
103
un distillato di immagini in un ragionamento esteso. Si vede in
questo la sua personalit di insegnante di fotografia, sia all Istituto
Universitario di Architettura di Venezia che allAccademia di Belle
Arti di Ravenna. Guidi ha infatti molti allievi, che seguono in modo
piuttosto caratteristico le sue indicazioni.
Tra la pratica del nominare-indicare e quella del rappresentare-
descrivere, che Guidi vede come molto diverse, quella che gli
pi confacente la prima. In senso fotografico, Guidi nomina le
cose, se ne tiene quasi distante, allopposto dellatteggiamento 77. Paul Klee, Strassen Kreuzung, 1911
di Basilico. Dichiara apertamente che le sue fotografie sono brutte,
desidera che lo siano, perch questo significa che ha ottenuto il suo
scopo, indicando le cose, senza aggiungere commenti, lasciando
aperto il discorso, mentre di solito losservatore desidera essere
orientato. Viene in mente una distinzione fatta da Philip Jones
Griffiths, grande fotoreporter gallese della guerra del Vietnam,
che con sarcasmo sosteneva che esistono foto che raccontano
ci che avrebbe altrimenti bisogno di mille parole, e altre foto
che hanno invece bisogno di mille parole a commento. Guidi fa
queste ultime, con consapevolezza, quasi con provocazione, ma
certamente applicandosi a farle con costanza, intensit, coerenza.
La stessa cosa dice Guidi se messa in rapporto con il contesto
cambia radicalmente. Questa una delle riflessioni pi importanti
della sua poetica. Guidi tende a de-contestualizzare, proprio per
farci percepire la natura delle cose che fotografa, prima che esse
si snaturino entrando in contatto con tutto il resto. Accetta tutto ci
che fa, in modo orientale. Fa tesoro del caso, dellincompiutezza,
e lo fa con acuta autoironia: fotografando, dichiara, c sempre
qualcosa da aggiungere, non ho mai concluso. Mia mamma
diceva che sono inconcludente.
Anche i ripensamenti fanno parte del lavoro o pi in generale,
dellesperienza di vita. Anche le occasioni perse fanno parte
del lavoro fotografico, costituiscono un patrimonio interiore che
orienter la propria percezione quando si daranno di nuovo quelle
condizioni: Solo dopo aver chiuso la finestra mi accorgo della
bellezza del paesaggio. Questo atteggiamento lopposto della
106
del degrado. Nella percezione, non sempre giustificata, delle
periferie e della costa come aree degradate, le immagini hanno
un ruolo determinante. Una fotografia pi analitica e distaccata
pu favorire una estetica del degrado che non porti a una censura
preconcetta che nasconda anche il salvabile. Il degrado come
punto di partenza per uno sguardo rinnovato e costruttivo, esente
da intenti consolatori o di facile denuncia, che riconosca forme
e spazi utili a fornire nuovi spunti per correggere e migliorare
lesistente e a orientare la progettazione futura.
Zaffagnini da tempo va in cerca di queste zone archeologiche
moderne, dove i rottami si trasformano in reperti. Le fotografie
scattate di sera (come quelle della serie Jo lido), quando il buio
comincia a cancellare i colori, rispondono a una scelta che non
tecnica, ma poetica. Non pi giorno ma non ancora notte,
un momento di precariet. Robert Walser parla del bello che
nellassenza di bellezza. C in questi presupposti una eco
ancora non spenta delle parole di Endell per unattenzione non
convenzionale al paesaggio, filtrata attraverso gli insegnamenti
dati fin dalla met degli anni Sessanta da sociologi come Michel
de Certeau, artisti come Andy Warhol, architetti come Robert
Venturi, che hanno riscoperto il quotidiano e apprezzato le forme
surrettizie che prende nella citt la creativit dispersa.
In questo contesto si sviluppata anche larte pubblica, come
strumento per far crescere la partecipazione e sconfiggere il gap
tra tecnica e cittadinanza. E una pratica che ha in origine forti
connessioni con lurban design americano degli anni Sessanta,
una forma di dialogo con gli abitanti dei quartieri in cui hanno
luogo interventi complessi di riqualificazione che alterano equilibri
psicologici sedimentati da anni, senso di appartenenza, memorie
personali e familiari. Si tratta di solito di eventi performativi
organizzati da artisti non interessati a lasciare opere definitive
e stabili nei luoghi come fontane o sculture spesso destinate
peraltro a personaggi, idee od eventi distanti dal quotidiano ed
espressione di poteri ormai desueti - ma invece apportatori di una
sorta di energia esistenziale e comunicativa in grado di interagire
con i valori espressi dal luogo e di aggiungere senso ai progetti di
trasformazione in corso.
Spesso la fotografia si fatta protagonista degli interventi di
arte pubblica, ponendosi in una condizione di cerniera tra la
registrazione dellesistente e il progetto di trasformazione,
assumendosi sia luna che laltra veste, rappresentando entrambi
o evidenziando la distanza tra luna e laltro, i percorsi per
raggiungere luno partendo dallaltro. La fotografia come arte
pubblica un mezzo per consentire di evidenziare al massimo
grado le capacit maieutiche proprie del mezzo fotografico,
in quanto lartista/fotografo di arte pubblica spesso si spoglia
dellaura autoriale e si mette al servizio dei conflitti interpretativi
che sorgono tra diversi utilizzatori degli spazi o tra questi e gli
attori delle trasformazioni.
In questa prospettiva si muove la ricerca a partire dal terzo
capitolo, con lobiettivo di delineare alcuni percorsi innovativi
con cui la fotografia di paesaggio urbano pu aggiornare i propri
linguaggi, abbandonare leccesso di autorialit e riconquistare
spazi di relazione con i luoghi e le persone.
Lequilibrio del giudizio sembra essere il carattere preminente
107
del lavoro di Zaffagnini, e pare che derivi dalla miscela quanto
mai adeguata di astensione e coinvolgimento, di radicamento e
di emancipazione, insomma di provenienza locale e riflessione
globale. Non per nulla Zaffagnini ha frequentato discipline
sommamente implicate con la tradizione, come pu esserlo
letno-antropologia, cavallo di battaglia di ricerche territoriali
fondative, e insieme si immerso in pratiche di ricognizione dei
paesaggi contemporanei a fianco di autori considerati allorigine
dellinnovazione interpretativa dello spirito dei luoghi come Ghirri
e Celati. Dei vecchi sguardi ha lautorevolezza e la saggezza,
dei nuovi ha una specie di giovinezza persistente, che sta nella
versatilit intellettuale. Questo contrasto e questa integrazione di
opposti lo rende molto perspicace, intuitivo e razionale insieme.
La frequentazione con Ghirri, Celati, Cavazzoni lo avvicina al pi
attivo centro di ricerca sul paesaggio padano da un ventennio e
oltre. Dunque un americano padano, come ce ne sono tanti, da
Ligabue a Tondelli, ma anche un romagnolo, che dunque dal Po
si allontana e punta alla riviera e alla via Emilia, misurandosi con
le sabbie mobili del compromesso tra sviluppo e sradicamento.
Il suo riferimento teorico pi insistito Robert Adams, il libro-cult
Il bello in fotografia. Ne ha fatto un manifesto sempre presente e
citato.
Fin dagli anni Settanta Zaffagnini inizia la sua collaborazione con
Giuseppe Bellosi per documentare la sopravvivenza della cultura
folklorica tradizionale in anni attraversati da cambiamenti sociali
molto forti. 81, 82. Giovanni Zaffagnini, dalla serie
Questa attenzione alle persistenze qualcosa di molto diverso Jo Lido, requiem per un non luogo, 2009
dal fotografare relitti, oggi pratica molto in voga. Zaffagnini mostra
il cuore dello scontro tra persistenza e svanimento, ma mentre
negli edifici e nei paesaggi naturali/antropizzati c una staticit
silenziosa e irrimediabile, nel caso delle pasquelle c molto
movimento, espressivit.
Il primo lavoro importante come co-curatore del volume
Traversate nel deserto, che esce nel 1986 e coinvolge un gruppo
di artisti tra cui sono anche Luigi Ghirri e Gianni Celati. E un
dialogo a pi voci che prende spunto da una mareggiata che ha
investito li litorale adriatico e lo ha fatto tornare deserto, almeno
a paragone dellartificializzazione esasperata a cui stato
condannato. Il deserto da questo punto di vista il silenzio da
attraversare per poter ancora parlare con gli altri [Celati, 2011]. Una
pratica salutare, che pu convincerci di verit dimenticate, come
lassurdit della pretesa di addomesticare il pianeta, di esserne
padroni; e che pu metterci (di nuovo) a confronto con la necessit
di pensare, immaginare, riflettere che insita nellattraversare lo
spazio vuoto, lo spazio che va risimbolizzato, riempito di nuovi (e
pi congrui) valori. E un percorso, quello dellattraversamento del
deserto, che rende ognuno un individuo, degno di s e padrone
della propria ricerca esistenziale, capace di rendersi conto del
mondo che lo accoglie, contro ogni esperienza tratta dagli esperti.
Il libro contiene fotografie di Olivo Barbieri, Luigi Ghirri, Klaus
Kinold e altri. Nessuna di Zaffagnini, e la cosa positivamente
da segnalare, per essere di esemplare correttezza. Dio morto,
le grandi finalit svaniscono, ma tutti se ne fottono, ecco lallegra
novit [Lipovetsky, 1986]. Le foto rendono percepibile questo deserto,
e pi che attraverso le immagini alla Atget prive di persone della
108
metropoli londinese di Paul David Barkshire, pi che attraverso gli
interni di Vittore Fossati al contrario, pieni di gente per assenza
fisica ma presenza imponente di tracce pi che per le nebbiose
campagne di Carlo Gajani o per gli scatti carichi di malinconica
attesa di Luigi Ghirri, sono i dintorni di Cesena di Guido Guidi a
rendere nel modo pi agghiacciante la campagna desertificata
dello sprawl, del suburbio. Si vede chiarissimo il ritratto penoso
del paesaggio frutto del disinvestimento della sfera pubblica
e delle istituzioni, evidente solo lindividualismo narcisista
di una societ quella post-moderna, anzi ipermoderna, che
si liberata delle regole, dei vincoli (la liberazione sessuale,
leducazione permissiva, liperconsumo, la competitivit basata
su relazioni mediatiche) e vive di schermi, dal cinema alla tv, dal
pc al telefonino ai videogiochi, una iperrealt che ha sostituito
quella vera, che nel frattempo si svuotata di senso, di relazioni,
di bellezza, di giustizia.
Ma Zaffagnini non scade nel moralismo, n con questo libro
n con le sue ricerche successive, sempre tenute in equilibrio
rispetto alla volont di non denunciare nulla. Non indifferenti, ma
nemmeno troppo sdegnati - lo sdegno pu sfiorire nel silenzio,
mentre la lucidit critica resta tale a lungo, persistente e acida.
Da Tabucchi poi viene la convinzione che sentiamo i luoghi
attraverso la nostra storia personale e il nostro stato danimo, e
dunque questo almeno altrettanto importante delle peculiarit
caratteristiche dei luoghi. La storia di Zaffagnini, dai primi Settanta
alla fine degli Ottanta, legata alla etno-antropologia, e questo
orienta la sua percezione (sono parole sue) di una urbanistica
bastarda, inquinata o arricchita a seconda delle convinzioni da
una visione pi riflessiva e analitica, meno tecnica e arida. Quello
che in fondo Zaffagnini fa, togliere il pi possibile le cose dalle
sue immagini, anzich riempirle di cose e significati, ispirandosi
alla leggerezza delle Lezioni americane di Calvino. Non ci si pone
lobiettivo di rappresentare la verit, ma di essere credibili, per
poi basare su questa credibilit la propria capacit di dialogo con
il fruitore delle foto. La credibilit dellimmagine rafforzata dalle
imperfezioni, perch la sensazione che essa sia stata fatta di
fretta ci convince che lautore non ha avuto il tempo di inquinare
la scena con le proprie contraffazioni. Bisogna per nascondere
non escludere la perizia. Si potrebbe affermare che il massimo
di semplicit lo si ottiene attraverso il massimo dellelaborazione.
Ancora riferendosi a Calvino, Zaffagnini dice che le cose a volerle
spiegare troppo alla fine si sciupano, e pensa che limmagine
debba essere unopera aperta che metta in difficolt coloro che
vivono di certezze.
Baltz sosteneva che ci sono almeno tre ragioni (tre mancanze)
per la libert di visione degli americani dei fotografi americani
di fronte al paesaggio: la mancanza di legami con la mitologia
classica e con il suo perdurante simbolismo; la mancanza di una
storia feudale che definisca da secoli le gerarchie sociali e le
relative visioni del mondo; la mancanza di una chiesa in grado di
imporre una propria allegoria religiosa. La libert che ne consegue
produce una accentuazione di ci che fotografato, privandolo
di valori preventivi e prefissati. La accentuazione d origine a
questo senso di sublime della terra, che ogni fotografo esprime
in modi personali. In un certo senso il paesaggio a servire ai
109
fotografi, anzich il contrario, serve a loro per progettare la
propria personalit. Tuttavia, la ripetizione di questo modo di fare
a oltranza produce una reazione negli anni Sessanta alleccesso
di soggettivismo, e succede che di l in avanti invece di sentirsi
ognuno un osservatore isolato tutti si sentono parte della stessa
societ che fotografa, quasi avessero una missione sociale,
di rappresentare in modo neutrale quel che si vede, lobiettivo
essendo questo: la rappresentazione fedele della realt inietta in
chi vede uno scetticismo che il mezzo per raggiungere livelli pi
profondi. Questa la teoria di Baltz.
Zaffagnini, oltre a produrre le foto, indica spesso anche i propri
debiti culturali. Uno di questi quello con Walker Evans, di cui
ricorda condividendolo - lamore per alcuni oggetti e il desiderio
di possederli, fotografandoli. Evans espose nel 1971, insieme
alle fotografie, la sua collezione di cartelli e segnali, formata negli
anni, trattenendo con s appunto gli oggetti fotografati. E un
gesto che lo apparenta allarte pop, di cui Evans stesso parlava
sottolineando lanalogia tra il rubare e il prendere una fotografia, il
che equivale a un furto simbolico, al reclamare per s loggetto o la
composizione, reclamando al tempo stesso di essere stato il primo
ad averlo visto. La bellezza dei comuni utensili (questo il titolo
di un articolo che Evans scrisse nel 1955 per la rivista Fortune)
una sensibilit che Zaffagnini deriva dal maestro americano, e
che spesso evidente nelle sue immagini. Sullassonanza dei
fotografi con i ladri si espresso in modo analogo anche Brassai:
Noi fotografi siamo una genia di bricconi, di guardoni e di ladri
[Brassai, 2007].
Altro autore di riferimento per Zaffagnini Susan Sontag.
Della scrittrice americana cita lopinione per cui la fotografia
, innanzitutto, un modo di vedere, piuttosto che latto di farlo.
Questa affermazione carica di valore la perlustrazione, il
muoversi, tutta la fase di preparazione dello scatto. Rebecca
Solnit dice che camminare la sintassi ordinatrice del pensiero,
delle emozioni e degli incontri [Solnit, 2005]. Non c dubbio che
una delle operazioni congenite della fotografia sia il camminare,
difficilmente un fotografo pu avvicinarsi alloggetto da fotografare
senza camminare. Allo spostamento a piedi connaturata la
ricerca del punto di vista, dellaltezza giusta, del rapporto tra primo
piano e sfondo, allincidenza della luce sulloggetto da riprendere,
ma ancora prima di ci camminando si trova, e si sceglie tra
oggetti simili o seriali. Camminando, come afferma la Solnit,
selezioniamo anche le nostre emozioni, lasciamo sedimentare le
une sulle altre, le une nelle altre, troviamo la temperatura giusta
delle percezioni, insomma percepiamo il sapore e lodore giusto
di ci che vediamo, come cercava di fare Walker Evans. E proprio
questa sottolineatura del valore del modo di vedere connesso
alla fotografia che dovrebbe farne un metodo di indagine molto
ricercato dalle amministrazioni che si occupano di pianificare il
territorio. E un modo di vedere moderno, per frammenti, senza
grandi coerenze di racconto, antitetico alle ideologie, ai principi
unificatori che oltre ad essere facilmente ingannevoli e demagogici
si rivelano con landar del tempo una falsificazione della realt,
o comunque una sua semplificazione inadatta a fondarvi un
pensiero costruttivo e duraturo. La fotografia pu dirci: esiste
anche questo. E quello. E quellaltro. (E tutto umano) [Sontag,
110
2004].
Viviamo in un paesaggio provvisorio, dunque. E questo infatti
il titolo (In un paesaggio provvisorio) che diede un altro degli
autori di riferimento di Zaffagnini, Lewis Baltz, a un suo articolo
su LUnit del 23 agosto del 1989. Baltz parla della fotografia
topografica americana e riconosce in essa la manifestazione di
unideologia figurativa di accettazione radicale, la ricerca buona
e onesta di una fotografia al grado zero. Se consideriamo quanto
sono vicini forse quasi sinonimi i termini accettazione e il
constatazione usato da Vittorio Gregotti [Gregotti, 2011], possiamo
dunque trovare nel persistere della filosofia visiva dei nuovi
topografi americani il versante di immagine del progetto impoverito
di cui parla larchitetto.
Zaffagnini introduce un concetto interessante, per il discorso
sul progetto: una fotografia analitica e distaccata pu favorire
una estetica del degrado che spinga a vedere il degrado non
come un punto di arrivo - malinconico e conclusivo ma invece
come un punto di partenza per una riconciliazione con il territorio
attraverso uno sguardo rinnovato e costruttivo; riconoscere forme
e spazi dove trovare spunti per correggere e migliorare lesistente
e orientare la progettazione futura. E qualcosa che si pu mettere
in relazione con le tesi espresse da Arturo Lanzani: lo scenario
paesaggistico dellItalia in declino, del paese senza manutenzione,
privo di risorse per lo sviluppo ma anche per il mantenimento del
proprio livello anche estetico, uno scenario pessimista ma su cui
pu anche innestarsi un progetto meno stereotipato di quello che
alligna nella cura del paesaggio da cartolina [Lanzani, 2003].
111
83. Nunzio Battaglia, Bologna, 2005, dalla serie Quale e Quanta
112
9. VISIONI PER UNA NUOVA STRATEGIA
METROPOLITANA
122
documento strategico destinato alla governabilit del territorio.
Allorigine delliniziativa una mostra fotografica a fianco di
un seminario, un libro, una strategia in sviluppo attraverso la
cooperazione di studi privati, universit, istituzioni. Lesposizione
stata itinerante in varie citt mondiali: Parigi, Shanghai, fino a Rio
de Janeiro. E insieme una riflessione sui problemi e le opportunit
dello spazio della strada contemporanea e la diffusione della
conoscenza della grande trasformazione dello spazio urbano della
citt, portato a termine negli anni della democrazia a Barcellona.
La riflessione sulla strada come scenario attivo e struttura efficace
per la vita contemporanea, comprendendo anche lo sviluppo di
nuove tecnologie applicate allo spazio urbano.
Nella strada circoliamo, viviamo, lavoriamo, la strada al tempo
5. Milano Downtown.
Il dibattito sulle politiche urbanistiche e sugli strumenti di governo
della citt sembra spesso prescindere dai contesti materiali e la
vita concreta dei luoghi sembra uscire dal campo di osservazione.
Allo stesso modo in cui larchitettura fotografa gli edifici purificati
dalle presenze umane, quando si discute di politiche urbanistiche
il riferimento a quantit, successioni di piani, dispositivi, reti di
attori, senza produrre connessioni con gli esiti materiali e visibili.
La politica, ma forse anche larchitettura e la pianificazione,
sembrano aver perso il gusto di un riscontro sulle cose.
I luoghi per resistono nel tempo e sono testimonianza dello stato
delle cose, di ci che gli strumenti di governo producono, quasi
come reperti e <corpi del reato>. E qui che abbiamo voluto posare
lo sguardo per tornare a discutere criticamente e pragmaticamente
delle trasformazioni urbane a Milano e del futuro della citt. E lo
stesso Hanninen che racconta cos il suo lavoro [Bricocoli-Savoldi,
2010]. Soltanto sedici fotografie di piccolo formato insieme con
queste brevi parole - gli bastano per descrivere sinteticamente
la situazione di cinque diverse aree milanesi. Il suo lavoro
laconico, anti-retorico, preciso, e il fatto che rifugga in modo cos
palese dallabbondanza ne fa un lavoro esemplare, perfettamente
idoneo a dare il senso di quella quiete visiva dellambiente urbano
che copre come una coltre contraddizioni anche gravi.
C senza dubbio una relazione tra lambiente squallido degli
insediamenti periferici e la disattenzione che viene riservata al
progetto che li concerne. Percorrendoli, ci si rende conto che
la qualit urbanistica e architettonica talmente bassa da non
riuscire ad attrarre lattenzione del visitatore. Basterebbe solo
questo a spiegare la necessit della fotografia. Bisogna fotografare
i quartieri periferici per permettere che esista una loro relazione
con lesterno, per evitare che restino isolati e chiusi in se stessi,
come gi lo sono per evidenti limiti di tipo funzionale: strade e
accessi difficoltosi, mancanza di spazi pubblici attrattivi, senso di
insicurezza sociale che li pervade e che costituisce a volte una
125
cattiva fama in tutta la citt.
Attenzione e visibilit, sono i presupposti per ogni cambiamento
positivo. C anche da tener conto di due ostacoli sempre
in agguato: la riluttanza a guardare e lincapacit di vedere,
sentimenti o incapacit di sentire che condizionano in modo
pesante la percezione della citt.
Il lavoro di Hanninen su Milano riguarda casi diversi. Santa Giulia
una operazione immobiliare che va considerata come un caso
esemplare delle trasformazioni urbane milanesi a cavallo tra XX
e XXI secolo, un grande progetto con esiti fallimentari nonostante
95. Angela Rosati, Ex Manifattura
le lusinghiere attenzioni avute nella fase di lancio. Gratosoglio Tabacchi, Bologna, 2011
e Pompeo Leoni sono due quartieri diversi, luno un progetto
pubblico degli anni 60, laltro un programma negoziato tra gli
attori pubblici e privati di trentanni dopo. Prendere atto dei limiti
di entrambe queste realizzazioni pu voler dire indicare. nuove
sia per migliorare il migliorabile l dove si intervenuti, sia per
indicare alternative utili per le nuove esperienze. Sarpi e via
Padova sono invece ambienti cittadini densi, che sono stati al
centro delle cronache per motivi di ordine pubblico. In questi casi,
oltre che obiettivi di miglioramento del progetto di riqualificazione
relativo allinsediamento, la riflessione sul campo evidenzia la
necessit di verificare le politiche per la citt nel loro insieme.
Dunque allesame sono sia le grandi trasformazioni urbane, che
i quartieri da riqualificare, che ambienti insediativi in transizione
e crisi, e in tutti i casi lo sguardo fotografico ha come obiettivo la
citt, non larchitettura.
Lurbanista riflette su ci che vede e fa le sue considerazioni:
se evidente la crisi della polis che non limitata ai confini
dellurbs, ma, come scrisse Hannah Arendt, la polis sar dove
voi andrete - intesa come comunit insediata che esprime
identit e coesione; anche la civitas federazione di soggetti che
si propone di sperimentare forme di convivenza in difficolt,
anche se esprime senzaltro una vitalit e una attualit maggiori.
C dunque una crisi di urbanit. Proprio quando la popolazione
mondiale diventata da qualche anno soprattutto urbana, come
ci hanno ricordato mille statistiche. E gli spazi che costruiscono la
citt non possono essere pi quelli del passato, salvo creare dei
simulacri come sono le citt belle invocate da certi autori (da Leon
Krier ai pi recenti revivalisti delle citt-giardino e di una forma
colta di neomedievalismo).
Gli strumenti di lavoro non possono certo essere ancora gli ambiti
omogenei o le zone urbane della teoria urbanistica di fine anni 60.
Ragionando in questo modo sarebbe ancora possibile sognare
modelli utopici, come quello di cui parlava Colin Rowe, una citt
ideale che unisce i vantaggi di un centro storico plurifunzionale
e ricco di heritage come quello europeo, con quartieri suburbani
ben disegnati e spaziosi come quelli dellamerican way of life.
Unutopia mai realizzata, e tanto meno realizzabile oggi, in
unepoca di crisi di risorse, dove mediamente la percentuale di chi
pu scegliere labitazione in una qualsiasi citt di quel decimo
dei residenti che possiede il 40% dei redditi complessivi. Oggi
forse pi che di utopie opportuno ragionare di rischi concreti,
come quello di avere una citt con un centro simile alle downtown
americane e una periferia come quelle metropolitane europee,
qualcosa di simile alla citt infinita di Koolhaas.
126
Una politica riformista modesta ma responsabile la ricetta
suggerita da questo tipo di approcci visivi, orientati alla ricerca
di una via percorribile per il miglioramento: qualcosa di simile
ai concetti di understatement e di sobriet che la fotografia
urbanistica di questi anni dovrebbe contribuire a diffondere, per
aiutare un ragionevole progetto di recupero urbano.
128
7. Hinterland bolognese.
Nel 2009 la Provincia di Bologna ha dato incarico al fotografo
gallese ma da tempo residente in Italia - Rhodri Jones di
realizzare unindagine sul territorio di alcuni comuni della bassa
bolognese. Jones abita gi da alcuni anni in un comune della
stessa zona, e tuttavia la sua origine geografica gli impedisce
di porsi nei confronti di quei luoghi con sentimenti di nostalgia.
Anche la sua carriera professionale, spesa in larga misura tra
lAsia e il Sudamerica come fotoreporter, lo spinge a uno sguardo 98. Guy Tillim, Pincio, 2009
oggettivo e al tempo stesso curioso, anche se non nostalgico.
Succede di frequente a questo tipo di autori: stranieri, magari dei
paesi del terzo mondo, gi fotoreporter e successivamente decisi
a entrare nel novero degli autori-artisti, dedicandosi dunque ai
tipi di fotografia pi autoriali, come indubbiamente il caso della
fotografia di paesaggio in questi ultimi dieci-quindici anni. Tra i
molti altri esempi che si possono fare viene il mente il caso del
sudafricano Guy Tillim, gi attivo con Reuters e France Presse tra
gli anni 80 e i 90, e nel 2009 auotre di una mostra, Roma, Citt di
mezzo, capace di offrire una interpretazione non troppo turistica
della citt eterna in cui sembra a volte di trovare una sensibilit
trasognata e quasi ghirriana.
Il punto di partenza di Rhodri Jones nel lavoro sullhinterland
bolognese basato sul confronto con le situazioni dei brownfield
sites gallesi, originati dalla chiusura delle miniere di ferro e
carbone nelle valleys. La trasformazione edilizia e sociale, in
questo caso, porta a costituire comunit con identit del tutto
nuove, senza radici n storia, in modo analogo a ci che succede
altrove; ma si tratta di azioni pianificate con il preciso scopo di
recuperare zone degradate o dismesse, e dunque gli obiettivi
sono chiari ed evidenti, oltre che necessari. Meno immediato
alla sua comprensione il caso bolognese, dove campagne anche
ricche ed industrializzate vengono sacrificate a una forza esterna
ed autonoma, lespansione della citt, che sembra quasi una
invasione che tutto fagocita.
Si creano delle piccole satellite towns unicamente residenziali,
prive di spazi pubblici, che sono sostituiti dai multiplex, dagli
ipermercati e dalle case bingo. E il paesaggio della sprawltown
[Ingersoll, 2004], sul quale lecito interrogarsi, chiedendosi ad
esempio cosa sopravviver negli anni, come sar assorbito dalle
parti pi nobili del territorio bolognese, se sar in grado di generare
nostalgia come altri paesaggi hanno fatto e fanno da sempre.
E una riflessione apparentemente paradossale, ma in verit un
modo anche questo per riflettere sulla qualit dei luoghi. Lopinione
comune rigetta questo tipo di insediamento definendolo brutto, ma
al tempo stesso lo chiede, ci abita, vi si adatta. La contraddizione
evidente. Chi critica lo fa adducendo che non c paragone
tra questi paesaggi e quelli della tradizione rurale, ormai ridotti
in poche isole di sopravvivenza, soprattutto in montagna. Ma
confonde la verit dei fatti, ipotizzando che in un vago passato gli
abitanti costruissero consapevolmente un paesaggio bello, mentre
questo non mai accaduto. Ognuno ha sempre costruito ci che
serviva, casa e stalla un tempo come oggi casa e capannone,
non si mai data unepoca votata a realizzare un bel paesaggio,
il paesaggio ci che risulta dal complesso delle attivit umane
orientate a fini di utilit personale e sociale, non di bellezza. Uno
129
dei meriti del lavoro di Jones esattamente questo, di suggerire
che ci che le sue foto mostrano non avviene nonostante noi: il
paesaggio siamo noi.
Jones anche nelle sue foto del mondo in cui tutti viviamo non
smette di ricordarsi quel che stato: un fotografo reporter di zone
calde, e non smette di ricordare di essere stato allievo di un mostro
sacro del fotoreportage come Philip Jones Griffith, poi presidente
dellagenzia Magnum, gallese anche lui, che divideva il lavoro dei
fotografi tra quelli che producevano foto che raccontano quello 99. Rhodri Jones, Cart and Skyscrapers,
Shanghai
che ci vorrebbero mille parole e foto che hanno bisogno di mille
parole per essere spiegate. Il pragmatismo un po guascone,
sfrontato che proprio della persona si legge anche nei prodotti
della sua seconda vita stanziale e riflessiva, come sottolineatura
della grossolanit, della pesantezza di questo mondo: cos come
gli era possibile con una certa trasparenza di sguardo registrare
le pesanti contraddizioni e le violenze dei terzi mondi, oggi con
pesante nitidezza, larghezza, coloritura, diagonalit fotografa
levanescenza del paesaggio liquido.
Il lavoro sullhinterland bolognese si interroga sulle relazioni
tra il paesaggio e lidentit degli abitanti. E scontanto prendere
coscienza del fatto che le trasformazioni paesaggistiche e
ambientali si accompagnano a quelle identitarie. Il fatto che
anche se accettiamo che lidentit di ognuno di noi sia in continua
trasformazione, non ci piace registrare i cambiamenti dellambiente
in cui viviamo. Vorremmo che lambiente fosse stabile. Possiamo
sopportare lidea che il nostro paesaggio interiore cambi secondo
logiche sue, di fatto indipendenti dalle nostre forze di contrasto
o interazione, ma ci irrita moltissimo trovarci in posti che non
riconosciamo. Vogliamo che almeno il paesaggio esteriore,
quello che scegliamo per ambientarci, per adattarci al mondo
con il minor sforzo possibile, sia accogliente, risponda al nostro
bisogno di sentirci stabili, di sentire la continuit, i legami col
passato. Superiamo lo shock della nostra identit interiore che si
sfarina, consolandoci con la nostalgia del passato e sforzandoci
di perpetuarne le forme.
Queste fotografie della bassa bolognese ci mostrano luoghi
irriconoscibili rispetto a come erano non molti anni fa. Jones
lavora sul concetto di nostalgia, scompigliando le cose con ironica
intelligenza. Non avendo conosciuto questi luoghi quando erano
molto diversi, non prova nostalgia per la loro trasformazione, e si
chiede se anche fra dieci o ventanni si potr provarla pensando
a come erano, cio come sono oggi. Questo possibile sentimento
futuro ha il suo germe in queste architetture dechirichiane, in queste
metafore di supermercati, in questi eufemismi di fabbriche? Fra
trentanni, quando la sua chiesa sar sostituita da unaltra, nuova
e pi moderna, il vecchio - ora giovane - abitante si opporr, lotter
invano e pianger sulla sua scomparsa, evocandone le forme, le
opportune geometrie, la sapienza costruttiva, il suo radicamento
nel territorio?
Queste fotografie sembrano suggerirci che il paesaggio esiste a
prescindere dalla nostra memoria e perfino da noi che vogliamo
farne il nostro paesaggio. Che esso si forma non certo per noi,
ma nemmeno contro di noi: banalmente, si forma nonostante
noi. Nessuna comunit agisce per costruire un paesaggio, ma
per costruire uneconomia, una collettivit, una convivenza. Il
130
paesaggio semplicemente ci che ne consegue. E sempre
stato cos, anche quando i nostri antenati avevano il controllo delle
forme del costruito, stabili da secoli, e delle forme delle campagne,
anchesse immutabili. Quando tutto era stabile e riconoscibile,
per, il paesaggio non esisteva: esisteva il territorio, lo spazio
da usare, ma il paesaggio non veniva percepito. Quando poi
sono scomparsi i contadini e i muratori, i boscaioli e i cacciatori,
quando comparso luomo massificato e uguale, allora arrivato
il paesaggio, con il suo ingrediente principale, la nostalgia.
Queste cose, i luoghi, le costruzioni che vediamo nelle fotografie di
Jones, diventeranno i beni culturali del futuro? Sar emozionante
arrivarci e riconoscerle, commovente allontanarsi e lasciarle?
Sar vietato demolirle o trasformarle? E possibile che mescolando
cose un po banali, scontate, prosaiche, o addirittura brutte,
sguaiate, piccolo borghesi e un po trash, con questi ingredienti
possa in tempi lenti realizzarsi una ricetta gustosa? Perch poi
lenti? Se laccelerazione tipica della societ odierna continuer
anche solo con progressione aritmetica, potrebbero bastare una
decina danni perch noi ci innamoriamo di questo ambiente di
ibridi innaturali, dove case rurali ristrutturati troneggiano nel vuoto
dei campi dellagricoltura intensiva e meccanizzata, privi ormai
di aie, stalle, pollai, porcili, pozzi, recinzioni, fossi, cavedagne.
Saranno dunque beni culturali le tracce umane che Jones cerca e
raffigura con le sue fotografie, o le nuove composizioni di elementi
antichi - torri, portici, orologi in facciata, tetti spioventi e mattoncini
di cotto - con elementi nuovi come portoncini di garage, piscine,
condizionatori, palestre, antenne paraboliche, grandi vetrate
panoramiche?
Nelle foto che comparivano cinquantanni fa su Tuttitalia o sulle
pubblicazioni del Touring cerano i vecchi contadini fotografati
da Enrico Pasquali e Antonio Migliori, e qualche florida massaia
di Antonio Masotti. Foto in bianco e nero, abiti neri e grigi, lana
grossa, feltro, cuoio, tavolacci di legno in stanze di mattoni
rosicchiati dal tempo o di intonaci scrostati. Nebbie fotogeniche
creavano ambienti misteriosi, ricchi di storia dei Comuni e delle
Signorie locali. Cera una miseria appena riscattata che si sente
ancora e si vede ancora, cera una solidariet, una collettivit,
una comunit. Dietro a queste immagini anzi: dentro c
ovviamente Bacchelli, che verso nord-ovest diventa Guareschi
e a sud-est Tombari; ci sono galline che becchettano, fiumi che
scorrono e boschi che stormiscono, c sudore, odore di stalla,
biciclette, comunisti e democristiani, il progresso che sta per
arrivare. I beni culturali sono castelli e rocche, chiese e pievi e
oratori, centri storici con i portici e le vecchie osterie sotto i portici,
case rurali con i fienili settecenteschi, il pozzo nellaia, i filari con
le viti maritate.
Jones non ci mostra praticamente niente di tutto questo, perch
di questo non esiste quasi pi niente. Oggi non ci sono pi la
campagna e la citt, c solo la citt che ha urbanizzato la
campagna, e quel che resta della campagna diventata unaltra
cosa da quello che era prima, una specie di lago di terra o derba.
Certi luoghi sembrano finti: tutti nuovi, con i colori omogenei
e i margini netti come gli oggetti di plastica. Le cose sono ben
separate; la ghiaia ghiaia, il prato prato, il muro tinteggiato di
100, 101. Rhodri Jones, Hinterland
fresco e cos pure la persiana. La nuova chiesa ha gli spigoli non bolognese, 2010
131
ancora consumati dal tempo, e vien da credere che consumati
non li avr mai. Non perch il materiale resistente ma perch
nessuno mai riparer nulla di ci che si rompe, nessuno sa farlo.
Non esistono artigiani (men che meno contadini e nemmeno,
ovvio, operai, non parliamo di pescatori, cacciatori, tagliaboschi)
ma autotrasportatori che recapitano dai megastores oggetti nuovi
che sostituiscono i vecchi lavatrici e lavastoviglie, televisioni e
condizionatori. Ci sono imprese che costruiscono nuove chiese o
nuove case al posto delle vecchie. 102. Alessandra Chemollo, Reggio
Viene da chiedersi se i beni culturali che domani le schiere di Emilia, 2005, dalla serie Quale e Quanta
turisti andranno a visitare in queste pianure sono le palestre, i
capannoni, le case a schiera che oggi guardiamo con sufficienza.
Se tra cinquantanni, i funzionari di qualche istituto per i beni
culturali faranno il censimento dei garage o delle rotonde stradali,
e gli architetti delle soprintendenze impediranno severamente di
modificare il tracciato di qualsiasi lottizzazione, in quanto tipico
esempio della societ dellinizio del terzo millennio, di cui si sentir
certamente la mancanza, perduta sotto le numerose, successive
e velocissime stratificazioni. Se ci saranno ancora, se saranno
sopravvissuti, andranno vincolati anche i secolari ulivi che furono
qui trasportati allinizio del terzo millennio, gi vecchi e gloriosi, in
queste terre di pianura, provenienti dalle originarie patrie toscane,
umbre o marchigiane. Aeroporti e piscine, stazioni del servizio
ferroviario metropolitano e mega-cartelloni pubblicitari saranno
testimoni malinconici ma orgogliosi di un passato un po mitico,
quando la gente di qua iniziava il proprio percorso di integrazione
razziale, di creazione della societ multietnica. Una societ di
massa ormai matura, dove ogni uguale alla fine della sua giornata
lavorativa si toglie luniforme di lavoro camice o tuta che sia
e si mette quella del tempo libero, corre a correre o a nuotare
o a volare, poi raduna la famiglia in pizzeria o nella multisala
cinematografica pi vicina.
132
10. CONCLUSIONI
137
106. Riccardo Vlahov, dalla serie Ferrovie dellEmilia - Romagna, 2011
138
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Milano; 97 Archivio William Guerrieri, Rubiera; 99, 100, 101 Archivio Rhodri Jones, Bologna; 106 Archivio
Riccardo Vlahov, Bologna.
Abstract
Piero Orlandi
The experience of the town.
Urban landscape as photographic glance
Town planning and photography were both born in the Nineteenth Century, when cities, absorbing
population from the countryside, to be employed in industry, were becoming bigger and bigger. Town
planning, as a branch of learning, comes into being just for this reason, and states a set of rules
and procedures, technical knowledge and administrative powers, whose aim is that of managing the
town and its development, and also to define its shape and image. In the same years, photography
started portraying the landscape, mainly the urban one, giving of it a representation that is both an
objective description and a subjective interpretation.
As the two disciplines have coexisted for over a century and half, and because of their common
relation with the town, they both have a lot to do one with the other. The relationship, as always, is
bidirectional, and it sometimes happens that town planning asks photography for help, and that this
one gives back visual information that have influenced the planning practices. Town planning needs
to know its territory, and for that purpose photography is a necessity. Quite often, town authorities
give photographers the task of carrying out visual reports on topics and phenomena in a certain
area.
Other times it has happened that photography takes from the discussion on the town some hot
questions, and tries to analyze them its own way, using its own tools and language, even without
giving its own interpretation back to the source, but on the contrary making it accessible to anyone,
through both sectorial and general channels: books, magazines, exhibitions, tv, cinema, websites.
This way, the relational flow becomes longer, and goes through the public opinion before coming
back to the centers where the planners decisions are taken; the visual interpretation is strengthened
though by the agreement of a lot of people, becoming more shared, and more effective.
There is also a third way of the exchange between the two disciplines. When a photographer,
following his own researches, moved by the feeling for the new and for the change of the town,
produces a personal vision of reality and its phenomena which are perhaps still unknown to the
majority of people, but already active and bearers of the oncoming transformations in the structure
of the places.
153
In this case, the absorption of such visions is slower, as they are a true discovery. Every discovery
needs in fact to be felt and metabolized, moreover it needs to face rejections, old habits, beliefs and
traditions which are hard to defeat: then, photography leads town planning along unexplored paths.
Reality, as always, shows a mix of these cases, therefore the aim of this study is to investigate a very
short period, the years between 1970 and today.
Round about the 1970 many things changed in cities: a period of huge growth started, so that in
few decades a wide diffusion of population took place in the country side. The role of photography
changes too: the reportage is ending, while is starting conceptualism, taken from visual arts; but
above all, the common perception of reality is changing, influenced by the weak thought of post-
modernity, and inclined to a more analytical observation, instead of ideological interpretations.
In these years begins a phase in which photography, more than other disciplines and sciences,
seems to be able to orient the perception of urban reality, to describe its problems and destiny, risks
and the emergencies. Photographic representation of urban landscape becomes more and more
frequent, and metropolitan growth is showed as an uncontrollable rising.
We want, particularly, to follow the history of Italian photography in the last four decades, linking it to
the most popular interpretations of the idea of towns, to the artistic trends, and to the urban theories
and policies. Urban landscape is here, under our eyes, but often we dont know how to look at it.
Photography helped us a lot in these last years, more than other disciplines. We wonder if it has
been able to communicate something conclusive, if it has created a new perception and a new idea
of urban landscape or if, otherwise, it has adopted the common view, showing people what they
want to see.
Before the Seventies, architects and urban planners urged photographers into this kind of questions;
on the contrary, today, photography seems to ask urban planning for a better precision in documenting
its own field. So is it better to give specific tasks to photography or instead to leave it free to search
what to investigate?
We wonder if photography of urban planning exists, differently from the photography of architecture
and landscape; if it is possible to use photography as a predictive investigation on areas where the
plans of redevelopment and enhancement are carried out. Can this investigation be really more than
a simple recording of the condition of the places, or instead is it able to define their identity? The
closer concept we can state is the site-specifc one, used by public art, to define a performance or
an installation carried out with the interaction of artists, inhabitants and stakeholders. The pictures
taken for this purpose could shape a point of view useful for the planner.
By the word plan, we mean a wide technical range: territorial planning, urban rehabilitation, and
so on. We are not talking of traditional photography of architecture, as it depicts the shape and the
space of a single building, already planned and realized. We are in this case in the critical field, not
in the planning one. On the contrary, we are looking for a photography which comes before the
architecture, not after.
We will investigate some cases of public customers in Italy in the last four decades, and in
particular we will analyze the work of some Italian artists: Paolo Monti who worked in the years
1968-75 photographing the most important old towns of Emilia-Romagna Luigi Ghirri the first
photographer who certified urban sprawl in Italy Gabriele Basilico perhaps the best know Italian
landscape-photographer abroad. We will talk also about some Italian followers of the American
new topographics the authors of the celebrated exhibition in 1975 in Rochester very related to
conceptualism.
To come to an end, we will observe through the work of young authors in Italy and abroad such as:
Bas Princen, Montserrat Soto, Giovanni Hanninen, Rhodri Jones and others a slow but meaningful
changing of style, leaving simple statement of facts and coming back to a stronger engagement.
Therefore, political, environmental and social engagement seems to become the new aim of todays
urban landscape photography.
154
INDICE
Premessa
1. La citt dei fotografi
Prendere nota dei luoghi, non dei fatti
Prima della fotografia, e nel frattempo
Sfiducia postmoderna
Paesaggio come senso dei luoghi
Urbanistica contro architettura
La fotografia uno strumento, non la soluzione
2. Idee di citt del Novecento
Limmagine della citt contemporanea
Endell e la bellezza della metropoli
Catastrofe o fiducia
Dalla dispersione alla sparizione
Varianti del gusto e nuovi valori
3. Esperimenti e descrizioni precoci
Guardare la citt
Townscape, fra fotografia e disegno
Geografi italiani
Approcci sociologici
Il pop e il primato dellimmagine
Riflessi (sbiaditi) della citt
Arte e/o fotografia
4. La citt degli architetti
La fotografia tra urbanistica e architettura
Bruno Zevi e lurbatettura
Aldo Rossi e limmagine padana
Carlo Aymonino
Quaroni e le scale
Politiche urbane pubbliche, un breve excursus
Casi di stretta relazione tra urbanistica e fotografia
5. Paolo Monti e il progetto politico del territorio
Premessa: una regione ad alto tasso fotografico
Prime avvisaglie di unepopea
Monti, Emiliani, la nuova cultura delle citt
Esportazione di un modello
Persistenza del piano
Effetti collaterali di lunga durata
6. Ghirri e la dispersione urbana
Ritratti mai visti di citt padane
Elenchi infiniti e incessanti di cose intime
Una mostra memorabile
Il geometra Ghirri e alcuni architetti
7. La supercitt di Gabriele Basilico
Tra i Becher e Savinio
Come gestire il territorio con laiuto dei fotografi
E anche: tra Groddeck e Mulas
Si pu fare urbanistica con le fotografie
8. Nuovi topografi italiani
Guido Guidi
Deserti urbani
155
9. Visioni per una nuova strategia metropolitana
Spinte esaurite e nuove sfide
Citt desolate di cui siamo responsabili
Carrers e paesaggio metropolitano
Il collettivo fuori_vista e Sismicity
Milano Downtown
Il ritorno degli abitanti
Hinterland bolognese
10. Conclusioni
Bibliografia
Referenze fotografiche
Abstract
156
157