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Viaggio nel cuore antico di

Seriate Dove si cerca il modo


di ripartire
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Viaggio nel cuore antico di Seriate


Dove si cerca il modo di ripartire
Rosella Paganessi ­ 31 luglio 2017
Il rumore vibrante delle rotaie sul binario, lo scroscio delle acque del
Serio, una musica per bambini a tutto volume, il cigolio di vecchie
biciclette guidate da ragazzotti lunghi ed esili. È l’inizio di via Decò e
Canetta a Seriate durante un sabato pomeriggio di luglio. Le facciate
nascondono cortiletti o delle stradine, che conducono ad altre
abitazioni. In quella che un tempo era un’aia, ma ora soltanto il
cortile di una cascina divenuta condominio, i bambini giocano:
ognuno ha un colore della pelle diverso, giocano insieme, alternando
parole in italiano (con accento bergamasco) a una lingua che non so
riconoscere.

Raggiungo piazza Bolognini, mi guardo intorno: non colgo quel


degrado di cui tanto si parla. La maggior parte delle facciate è stata
ridipinta, spiccano colori gioiosi, albicocca, arancione, lampone,
giallo… Di sporcizia non ne vedo, salvo qualche mozzicone, che si è
infilato tra una pietruzza e l’altra della pavimentazione, qualche
cartaccia. Certo, non sono un vanto dell’estetica i tubi­paletti cavi che
i cittadini hanno chiuso alla sommità con il nastro adesivo per evitare
che diventino cestini dei rifiuti. Sulla sinistra c’è un bar storico, il
«Bar Piazza Vecchia»: entro e mi accolgono il sorriso e l’allegra
maglia a fiori della signora Giovanna Zambetti, che nel centro storico
lavora e abita: «Non capisco perché la nostra sia vista come un’area
così degradata – mi confida ­. Vent’anni fa era molto peggio ed era
abitata da persone, mi permetta l’espressione, “più ai margini”. Il
problema è che la zona si è svalutata: penso che l’apertura di troppi
esercizi commerciali stranieri abbia abbassato la qualità dell’offerta
e, allo stesso tempo, anche il decoro urbano. Guardi fuori: noi
abbiamo le piante, i vasi, teniamo molto anche all’immagine, mentre i
negozi stranieri non hanno niente per abbellire e, anzi, spesso fuori
c’è sporcizia. E nonostante ci sia un continuo pulire, addirittura tre o
quattro volte a settimana, la sporcizia torna. Qua i vigili passano
soltanto per multare le auto. Il resto non lo vedono».

Fuori dal bar i tavoli sono pieni e la media d’età è over


sessantacinque: giocano a carte, fanno una chiacchierata, leggono il
giornale godendosi un bicchiere di bianco, o semplicemente si siedono
e osservano la piazza. Sono restii a parlare: dopotutto le cose non
vanno così male, spiegano, «io non abito nemmeno qui»; «chieda a
lui, lui sì che abita qui e conosce le cose come stanno», replica un
altro. La persone indicata parla, ma chiede di restare anonima: «Qui
in troppi passano contromano: questa strada è a senso unico. È
pericoloso». Quindi i problemi qui sono anche di viabilità? Silenzio. Il
signore del bar fa una pausa mentre gli altri lo osservano: «C’è la
maleducazione di sporcare per strada. Quello è il vero problema.
Passano a pulire e dopo due ore c’è già sporco, le persone non hanno
rispetto per l’ambiente». Si zittisce; gli altri annuiscono e tornano a
guardare la strada o a giocare a carte. Mi congedo e proseguo. C’è un
sudamericano con una cagnolina maltese: ha i codini col fiocco rosa e,
a giudicare dal pelo e dal taglio, dev’essere da poco stata nel negozio
di toelettatura aperto qualche metro più avanti. Nel frattempo un
uomo, probabilmente marocchino, vestito con un giubbino di pelle che
solo a guardarlo fa caldo, commenta, inalando fumo da un sigaro: «È
proprio bella, vero? È tanto dolce».
Entro in un altro bar: c’è una signora bionda, sorriso amichevole.
Mariana Costea è una bella donna, di origini rumene, ma italiana per
amore: è qui da 23 anni e dal 2011 vive a Seriate. «Prima stavo a
Pradalunga, dove, insieme a mia sorella, gestivo un bar, poi ci siamo
trasferite qui, pensando di proseguire per qualche anno l’attività.
Pensavamo d’aver fatto un affare, con 72mila euro abbiamo
acquistato, ma ora vorremmo vendere e ci darebbero circa 20mila
euro. Nulla». Mariana ne ha viste tante: «Negli ultimi anni la
criminalità è diminuita: tanti immigrati se ne sono andati, la droga
gira molto meno rispetto a prima, ma certi provvedimenti non ci
aiutano. Chiudere alle 22 significa sbatter fuori la gente, i miei
clienti: non dico sia sbagliato del tutto chiudere nei giorni della
settimana, ma almeno il sabato… Per noi che abbiamo il bar è una
grossa perdita». Per risolvere il problema del centro storico esiste
un’unica soluzione: portare gente in queste vie, in questa piazzetta.
Feste, bancarelle, musica, ma non basta. «Nessuno mi ascolterà, però
per me ci vuole poco – suggerisce la barista ­. Ci sono già delle
associazioni qui, come Albatro e i quattro gruppi di “Spasso”. Ci vuole
poco per attirare gente: potrebbero mettere qui un ufficio pubblico. E
se gira gente, magari aprono altri negozi e tutto può ripartire… Ma
forse il problema in realtà interessa poco…». Un ragazzo nel bar, di
origine nordafricana, dice: «”Se non vi va bene, tornate a casa
vostra”, ci dicono in certi uffici comunali se ci rivolgiamo a loro per
qualche problema. Non è il “no” che dà fastidio, è il modo. Possono
dirci la stessa cosa, ma con rispetto. Siamo qui a lavorare, fatichiamo
per guadagnare onestamente». Chiedo alla signora del problema
rifiuti: mi porta nel cortile dietro il locale. Mi racconta della famiglia
che viveva lì: «Sono andati via tre anni fa, ma nessuno ha mai portato
via la spazzatura». Ci sono i segni dei morsi dei ratti. Dall’altra parte
del cortile ci sono un vecchio materasso e uno stendipanni scassato:
«Il materasso è stato per due giorni per strada. Non passavo con
l’auto, quindi l’ho spostato io. Ho avvisato gli addetti alle pulizie, ma
il materasso è ancora lì».

Esco. Fuori dal bar delle piante e un cestino. Appoggiato al muro un


uomo con il cellulare in mano: decido di disturbarlo. Si chiama Ahmed
Bouchane, è in Italia dal 2004 e arriva dal Marocco, dove ancora
risiedono la moglie e sei figli piccoli, mentre i due più grandi sono qui
con lui. «Il problema è che qui c’è tanta gente brutta e non onesta. Io
e altri siamo qui per lavorare e ci diamo da fare. Non siamo qui per
far casino. Per fortuna negli ultimi anni tanti sono andati via, ma la
droga gira, perché la gente dice: “Non trovo lavoro e, se trovo, prendo
poco; se invece vendo la droga, anche in una sola notte magari
guadagno quello che gli altri prendono in un mese”. Ma non è cosa
giusta, non è onesto. Molti marocchini come me sono tornati a casa
perché adesso là c’è lavoro, ci sono le ditte anche italiane che si sono
trasferite, c’è sempre pieno di turisti. Qui io lavoro, ma sono sotto
cooperativa e lo stipendio non è alto». Si avvicina un altro uomo, del
Marocco: ha sentito la conversazione, ha sentito dell’articolo di
giornale, ma non vuole che io dica il suo nome. «Qui gira ancora la
droga e tante donne fanno le prostitute in casa. Lo sanno tutti. Quelle
donne vendono anche droga. Non solo gli immigrati, ma anche tanti
italiani vengono qui, da queste, e comprano droga. Sanno dove
trovarla. Girano anche permessi di soggiorno falsi e documenti falsi.
Carabinieri e Polizia chiudono gli occhi. Non ci credo che non sanno
nulla. Ogni tanto qualcuno viene preso, ma pochi».
SFOGLIA LA GALLERY
Decido di suonare al campanello di una persona che conosco, Lisa
Astolfi, che è la presidente dell’associazione “Seriate: recuperare il
centro storico”. «Il problema fondamentale del centro di Seriate è che
non c’è mai stato un progetto su di esso come parte fondamentale
della città. Nessuno negli anni, e nemmeno nel recente Pgt malgrado
le continue richieste da parte della nostra associazione, ha mai
formulato un’idea di città in cui il centro storico fosse visto come
risorsa, ma è sempre stato considerato un problema isolato da
risolvere». E tutti gli interventi che sono stati fatti negli anni? Sono
solo «tappa buchi», mi dice Lisa. «Vengono attuati per cercare di
arginare a posteriori i gravi problemi di decoro urbano, igiene,
traffico, desertificazione delle attività commerciali, occupazioni
abusive, mercato nero degli affitti, spaccio, prostituzione e sicurezza
da anni denunciati dai residenti e di cui l’associazione ha fornito
proposte operative rimaste inascoltate». Il problema è lo stesso di cui
parlava Mariana: proposte potrebbero esserci, ma i cittadini non
vengono ascoltati. E non sono certo le facciate o i progetti ideali
sull’area a risolvere la questione: quelli sono solo il primo passo di
una serie di interventi necessari («o forse dovrebbero essere solo
l’ultimo degli interventi e dei pensieri», mi corregge Lisa). «È
evidente che queste azioni non stanno risolvendo nulla… Anzi,
posticipano decisioni da prendere secondo un’idea di progetto per la
città che evidentemente non esiste».

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