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DELLA VITA
D I

LUCIO ANNÉO SENECA


\ LIBRI QUATTRO
DI CARLO DE’ ROSMINI
,cun DEL s. .R. I.
ACCADEMICO FIORENTINO

...Lv
`

- ROVERETO
ì PER LUIGI MARcHESANl _
IMP- REG. STAMP
M. DCC--XCV
i

Faret. . . optandum, pare-5,1111” saltem proximas `


Seneca: fieri. Quint. Instit. Orat. Lib. X.
Cap. I.
,7, . . .... - . .. - . q. ..p- -——-w-- —-—

'(111)‘,
ſi .è _c H I: L EG G`E.
l

* `

‘ .E quasi unìversale costume ’di coloro


che mettono a. luce i proprj- libri‘, d’ aver
per mira; due cose; prima’ di fare ogni
sforzo onde il pubblico persuadere. che*
l’ argomento per .essi trattato è uno dc"
più importantlede’ più necessarj alla re—
pubblica letteraria ,- -secondo, di dissimu
lare, o se non possono, di censurare $0
`meramente-3, e di annichilar dirò quasi il
merito dell’ opere di quegli Autori. che
gli han preceduti sullo›²stesso argomento»
onde, dare‘ un’ aria vdi maggior no‘vítà- al—
la propria lor produzione. ,~ ’ `
` ` ’ì‘ 2- ~ r Io
(’ IV )
Io troppo `sicuro che altri difetti an—
cor più massìcci saranno scoperti in quest’
opera mia, mi, guarderò almeno da que—
sti due, che secondo a me pare, diame
tralmente oppostì, sonò a quella sincerltà e
candidezza che il carattere esser dovreb
bono d’ ogni Scrittore.
Dirò dunque che la lettura_dcll’ Opere
di Seneca ha in me ,mosso vaghezza di
scrivcr ;la 'vita di questo grand’ Uomo.
_Per non acclrigermi però ad inutile im—
presa, ho fatto'csatta ricerca di que"
Biografi che m’ han preceduto, c dc’ _qua—
lí. darò breve ragguaglio al mio Leggi—
tore. * ~. ~ .
Lessi prima di, tutte-la Vita di Seneca
scrìtta ſida Giusto..Li`p-;io , .dottissimo , ed
eruditíssimo uomo.) la quale è d‘, ognl.al—
tra. più celebre .. E" cosa nel suo genere‘
piena di merito,' ‘anái perfetta, accendo
l’ idea; ch’ egli s’ era. formata, di taccar,Î`
cioè va dire , sommariamente le: -epochc
principali della vita, del no'stro filosofo ,
e il catalogo dell’ opere sue, senZa punto
entra
ſſ ;(VV
entra-'rc' più cWan‘ti in.v discussionì` c'írís
cerche. Lo SÈGSSO.d‘66 (tir-sì. dello? Scotto}
di Antonio Dell-ioJ del Bruchero-j di; Ni_
cÒÌà.- Antonio , ‘che ' egregiamente .hanno
sdrìtcó dì—‘Seneca,-,_ ma vnon oltrepalçsañdo,
Siccome ,il Lipsio py-_r fece, a m'olt'o dire,
ì due: fogli. ,~. e dal `metodo .non demand-0,
cîzezpiacque a Lui, *di timore,
` . ‘Non'î cdsìsxè da, :dire v‘1,’. ;un ;lt-bra_ di
giusta .molc- d’ anonimo autor :frane-exe',
stam‘pato all’ Aia , (a )- l’ anno *3‘779: ,- e
due` ha questo titolo-i Essai surîlai'Vie de
Seneque -le Philosophe', Sur seſſs>Ecſirítsgfflet
sùr les-Regnes. dè Claìùde et de Heron',
avec desm’otes-,z il”qual' cita”. altra Vita di‘
Seneca 3 d’ altfo‘ frànì‘cese Autore,` tre-an .a
ni, prima impresm-îa "Parigi , ‘da me non
potuta, 'VCdCPB Per “quante/ ricerche* i0 fa—ñ
cessì. , come purñìdſii‘r :debbo il :medesìmo
\ d’= un valtra, Opera .Prima-data. dal Fabri
cio, il cui titóìplè ..yu-esto Il Filosofo`
X
l * 5 Cor
. ..x

( a ) Sì vuole per molti che qUeſc’ Autore fia


il celebre Diderot. '
c VI )
Cortigiano, `o la Vila -di Senecá di Fran—
çesco Salvatore. Roma`1674.
0rd al - primo… Scritto”. Fràncese ?tot-A y
71an , ‘a, grandi stentiìpotei .auc'r. nelle
mani, il :anfibi-o, e per pochi'giflfnflir..l
Puffià- illcssi da, capo. a fondo',fl~›a.zcon
moltospia-ccrez nell’ Autore ammir‘ando c'
grande ingegno, e. :mal` fantasía farvi# '
dissim'aſi, e uno zelo. in favore di` Seneca ,5‘ 5
che 'punto' non cedc'a quèllo dimastratoòſ
da,..Giusto-_~Lipsio.' _ - , › .
- Malgrado di ciò la‘lettura di ſi'questo
lìbr0,\più che mai vin me accrcbbe la ~vo—
‘ glia. di porre ad, eflettq il mio divisaznen
to)` e-di correre ‘a-nbh’iaîqzwst* wrfingo,
ben SicuroJ che la- mia". Vita .di Seneca,
o buona. o cattiva-,'ch’xel-la -sia giudicata,
sarà però nel disegna-p nel metodo affiat—L
m diva-…3a da.. tutte -lÎ altre da .ma vedwññ
te‘ sìn, quì‘,- come potrà conoscer ciascunó
che far, w: voglia’ `il confronto . ( a) Io
x …

( a ) Mentre fi ſtalira imprimendo queí’c’ Opera


mia,-una molto erudita .Vita di Seneca (ſeb
3 bene
Di-..- ñ. —

f i -

('VII‘-) fl
Io mi sono proposto di …consíderarc ñíl .
mio Autore in tutti. i punti di vista-sut~
,to i quali può esser--considerato -un :Lo-'
mo, un uomo-c‘ha fu filosofo e letterato,
fu cortLglano e 'mini‘strq, e ch’ ebbe molte_
amicizie; che dalle maldttz’e ſu *vessa-to,
. dall’ invidia e dalle Per’secuzionì,` fu‘nopñ
` presso, e quindi dall’ aura prosperw della.
7 ‘ fortuna al' Più alto ‘colmo innalzato'3 per
. csser poi' rapidamente condotto agli. orrori
d’ una Morte violenta Le `crudele. In“.ogni
x
luogo* io l’ ho seguitato, .enon monaci”
Corte che nel~ suo gabinetto ,` partecipando
z*- 4‘ q_ , (.-îdef
JL41"“ A’ \| .(A
`ſ"

Prw…"
_bene’çiiupochí fogli ) mi'è venuta alle mani
d’An‘ommo‘ autore‘haliano’, uſcita“il’ì ‘Vin‘e’l ,
gia-.dai tpjrchj di_ Pietfó Bafl’aglia l’ſiannpffius,
e‘ ſtampata unitamçnte( alle Vite ' di Quinto
" Ortenſio ìOratote ,'--Idi Maróo ‘Catou'e , *UU
Servio Sulpizio , che la precedono .x1
ziofi letterati defidereranno forſe m quella,
[ſita maggior lor‘dííre, piîr èhíafezîàz è "mag-Î
gior copia di critica, che è’l’anima,` a .veç
r0 dire, ,di fimüi componimenti. Il diſegno
` v PrÒpoſtofiÎdafl’xAumx-e‘, che non hei-*fabto in
, ogni coſa.` che' ſeguitar quelle-del Lipfip, 1—,
le cui opinioni tutte è pur lígio, è aſſat o
diverſo dal mio. ` ’
'ar

7 (-’ VIII )
_ de’ suoi Studj ,‘ .esaminandone il `metodo,
notomizzando le_ ,opere sue, e chiamando—
le talvolta' ancora-‘a, ñsindicato. H0 `vo—
luto finalmente entrar nel suo cuore, per
leggermi , se mi. fosse. possibile ,` qual »ve
ramen‘te fosse il .sèsttemu’` suo filosofieo‘,
quale la;` sua religione, quali, i suoi pen
sàmenti sull’ anima, umana, e -sulla futu~
:tao-vita. Hb' creduto potere in molte coe
`èe--difenderlo , censurarlo in'moltealtrea'
in 'quel, modo. che .lo scarso mio intendi-ñ@
mento ‘voleva- , ‘sempre però lontano da..
ogni _spiritodyzî'presunzzionL . ,‘ ,
Io-ho proccurato di. fuggire-` in quest’
opera mia quel difetto, nel quale è trop
po facile incorrere chi scri‘ve _la storia
ſ ’dilquailche ’gi-und’ Uo`ma ; *veglie dir lla-

Sove‘rehia, parzialità
souo inſi errore} e parmi,
d’ esserci s"~i0abba~
“riuscitol non

_stanzu i ' ` ’ ' ` ij’


,Nonäimeno ciò non parrebbe a coloro
che-trappolammirutari fossero veli Diane,
`:ZIJIu‘ſiazleju nemico acerbo di Seneca, c
predenZa’
7 'i › ` dessero.
'i 'i‘ a'lle calunnie ,intro
di S’uilio
( Ix ) i
introdotto da Tacitoxnelle immOrtali ‘sue
stori-e.- ` - * i ' . _
Costoro danno a Seneea, di molte orri—
bili -aecuse, alcune delle `quali fondano*
su’ fatti particolari, ed altre , 'e—sono le
più’, e le piu enormi, non provano che.
colla semplice loro asserzione. Dalle pri—
me,b qualora. mix pajono irragionevoli, di?
ſendo, com’_è dovere, il mio Autore ;"alñ_
le'` altre io non rispondo, o perchè tali
srmo che si distruggono da ee ,medesime,
o perchè da persone partono che non meñ_
ritan fede. E che non meritin fede Dio
ne e Suilio, quando cose affermano dagli…
_Autori o più saggi, `o più *vicini non
dette ,.anzi pur contraddette, *veggiamo—
K lo. Dione greco Scrittore nacque all’ in—
cìrca un secolo dopo la morte di,Seneca,
temendo ‘egli, come si conghiettura, cas
sato di *vivere verso gli ultimi anni dell“
Impero di _Alessandro Sévero, sotto il
quale
v fiori..’ (a)
‘Ax ' Imprese ,a scrivere
i sua la

( a ) AlbertÎFabx-Îc. Bibl‘ Graec. Lìb.1V. Cap.


X. pag. 320.` _e ſeg. , , z,…
’ ‘ \
\
,
7 ( X ~)‘
\/
sua 'Storia Romana, come atte-5m egli
stesso, spinto da una .Divinità che gli `
còmparve in's‘ogno, e .gliel comandò. Ub—
`bidì egli óssequioso” in: ‘.sulle prime,--ma
poi venutagli .a noja. ìma sì `vasta e fa—
ticesahimpresa, ne, avea, abbandonato il
pensierìò: `ma di bel nuovo addormentatosi,
di bel nuoìñuo~ gli apparve la. Dea , la' qua-z
le rin’novellatigli i -suoi -comandamenti,
lo assicu’rò che` .il suo' libro trionfarebbe
del tempo -e sa-rebbe immortale ,* ed ecco
che“n'oi-dbbbiamo ad. una ñDÈÎa, la Storia.
di ſſDiòne; {aj-Ma non` si dee credere
che la divinità c‘he il consigliò a scrive-ñ`
~ rc, l’ assistesse pur anca' nell’ esecuzionc
delle Sue' .ſtorie. Perciocchè` in alcuni gi‘u
dicj ‘eh’ ei "forma, più tosto che da una.
Divinità benefica, Par che da un. mali
gno Genio-'foàse ispirato . Egli si mostra.
` ` ' ‘ ‘ - ' ’n'a-mi»
, ‘ , ~ ‘ i . 4. v -.;
( a l) D’ altri ſogni confimiÌi, ‘e ‘d’ altre ’coil—l
fimilí apparizioni parla altre volte Dione,
qnde ſ1 può' .giudicare qual‘fede meriti uno
_Scrittore ai‘ ſuperſtizíoſo e ſ1 credulo. 'Vedi
11 Fabricio al citato luogo.
("XI ) `
nemico degli.` uomini più 'virt‘uoàì ,’ e non
dirò già solamente di Seneca, ma di Se
neoa, 'di Cicerone’,`-di Cassio, di :PomPeo
’c -d’ altri, molti, e‘ciò, o per rivalità-'di
nazione, o per` naturale perversitä di
cuore..ffi,,`ñ*Io non credo punto, :drive
J)
ll’Iichfl-lex Montagna, (a ) alle testimoñ‘
2': -nianze dello sto‘ric‘o Diane, il Quale è?
.n incostante ne’ suoi giudicj , ed ora
chiama _ Seneça uom saviſicsimo, cì-mortal
:5
))
nemicoj de’ vizj di, Nerone, or'a qual
.2)
avaro ‘il'dipinge‘, usurajo, ambizioso,
.v `vile, voluttuoso ed ipocrita. E‘cosafl
a) dunque più ragionevole l’ attener'si- a
2) quanto scri'vono i Romani; storioi a»
x preferenZa de’ Grèci, -e degli stranieri.
a) 0ra`Tacito 'e gli altri parlano' "con' ono—
a)- re ‘della'fflita e .della mor’t’e 'di Seneca ,’
:2 e c'e“loWip‘ingorio’ Qual persona-ggio di‘?
2: molta dottrina, ‘e di molta *virtù '-.~ Ed
.3)
altro esem‘pio io‘ 'addur non voglio a,
3)'
mostrare che Dion-c'ha guasto‘ il Pala
.:.gx . o ’ j j’ to’

( b ) Eſſaiſ. Lib. II. Cap. XXXII.


( x11 )
,, xo, per ciò ‘che s’ aspetta alle cmeîrari,
,, man-e , ,che questo ,ì‘ cioè ,, ch‘Î .egli--ardi~
,, Esce di sostenerej-lazcausa di Giulio C'e-z
3,, ,sare contro Pompeo, e quella di Ania#
A, nio contro di Cicerone. ,, - .tn-fi
--Sepoi si raccogliono tutte le ingiurie
che Diane *vomito contro di Seneca ,- si
scorge _ch’ elle sono .a.v un dipresso-quelle
medesime, che i, nemici del filosofoonda
*vano spcirgendo` mentr’ egli_ ,‘Wwewa, ef
Suilio Singolarmente', o il quale 'che uomo‘
ſous-,or` `vedremo, ‘non essendo -necessario
far parqlci di Sifilino ,- semplice- com
pendiatorn di Diane, ed, erede della., sua
malkdicenza.: o. ,A 3 , .r
Esse'ndo P. Suilip‘ Questor di .Gerſmaniñ
co, -,fu. da Tiberio scacciato d’ Italia le

confinato ‘in un ,Isola.,' per aver tolti de—v


naritd’una sentenza ,- ~il che era- -coníra
rio alle leggi. Tiberio nel condannarlo
giuria che tanto il bene esigeva della Re
pubblica
molti di :soverchio
pure allora- fu. ma
rigore, taaciato
poi fu. per
beñl

need-etto, ( parlo per. bocca di


fl -Tacito
quan- -).- ` -
. ('XIIl )
quando 'S'.uilio' resrituito da Claudio tor
nò potente, *vendendo la `grazia del suo
Sovrano, ma.
fortuna, della quale
non' mai lungamente‘usò con v
con bontà.( a) Per

ciò ch’ `egli ad' istigazione dell‘7 empia


flIessalina, e per' propria malvagità ed
ingordigja di danajo, fece colle sue fal
se accuse morire infinite persone innocen
ti , fra, le quali Giulia, di Druso, Valerio
Asiatico (ai cui bei giardini-'già di Lu—
cullo l’ Imperadrice avea l’ animo ) Lusio
Saturnino, Cornelio Gallo: .insomma egli
era stato ministro di tutte le crudeltà di'
Claudio , delle quali accusato egli pure
a *vicenda sotto Nerone ,' non seppe neñ
garle, ma si scusò coli’ infame pretesto
di. aver dovuto all’ Imperadore ubbidire:
il che pure da Nerone medesimo gli ſu
mostrato esser falso; Siccome però in que
sto processo fattogli egli avea’, Singolar
mente .preso di mira il nostro Seneca,
. COSL

( a ) Tacit. Anna]. Lib.. 1V.


( XIV )‘ -
così è eonghiettzira probabile, che ‘il fi’—
losofo foss'e quegli che accusare il faces
se, onde allontanar dalla Corte un uom
sì perverso e'nocivo. Per altro, non che
‘le' sue calunnie, facesse'ro'. danno a Sene—
Roa, non furono nè pur- allora ascoltate,

e Suilio sebben cadente per gli anni, fu


sbandiio, -e confinato nell’ Isola di Maio
rica: piccola. pena? per ‘verità,- a. tanti
delitti.. (al' . ' ~` ‘ K
Dopo ciò, chi può tener la maraviglia
all’ intendere, che uno. de’ più dotti ed
cruditi uomini‘ del nostro secolo, dopo
rinnovellate contro di Seneca tutte 'le acñ,
eusazioni di Suil-io, ardisca ehiamar co
stui personaggio di somma autorità? Vir
summaz aufloritatis? (b) Tanto è pur
~vero, che lo spiritot di partito, e il de;
siderio‘ di dar un" ariav di verisimiglian—
ñza. ai proprj indovina’menti, fanno deliñ.
rare

(a ) Tacít Anna]. Lib. XIII. " e


. ( b ) Heinneccíus de Philoſophís Semíchriſtiañ
nis. Paragr. XXV. x
,.4
ñ“.
( xv .)
rare e travíare gl”ingegni più chiari.
Io ben lontano dall’ accarezzar troppo le
opinioni e le conghietture che si trove—
ranno sparse in quest’ opera mia, sarò
anzi grato a color che cortesi m’ indiñ
cheranno i miei errori, qualora io siamí
ìngannato, e faranno agli occhi miei la
luce _risplendere di quella Verità che in
tutte le mie ricerche fu il solo mio sco~
po; Ntím fingo? num mentíor? cupío re—
felli. Quid enim laboro, nisi ut veritas
in omni quazstione explicetur? (a)

( a ) Cicer. TuſCUIan. Queſt. Lîb. III. Cap. XX.


ñ-L’*: ,KT-2

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DI LUCIO ANNÉO SEN/RCA


LIBRO PRIMO.
'›

COI-dova antica e nobil Colonia della


Spagna Betica, anzi allor la più illustre
di quella Nazione, fu la Patria di Mar--v
co Annéo Seneca, Padre di Lucio An
néo, (a) di cui imprendo di scríver la
a Vita.

( a ) Il. co. Giovan Franceſco Giuſeppe Ba


gnolo nel ſuo Ragianamento ſulla Gente
. Curzia e ſull' etd di Quinto Curzio lo Stori—
co. Part. zda. p. I *'. , ci vuol provare
coll’ autorità di una Forineſe Iſcrizione ch’
egli produce, che il nome gentilízio di Señ
neca è Annie e non Annéo, il qual ultimo
dice eſſere una corruzion `de’ copiſti : e-ſu
queſto ragiona a lungo. I miei leggitori mi
diſpenſeranno volentieri dal trattenermi d’
avvantaggio ſu queſta poco importante ſc0~
porta, contenti abbaſtanza ch’ io l' abbia 10
1'0 indicata.
2
Vita. Negli andati secoli, in cui l’arte
critica non era ancora a quella perfezio—
'ne condotta in che presentemente si ve—
de, fu fatta del Padre e del Figliuolo
una sola persona ,i e dell’ opere rettoriche
e filosofiche che deìSeneca ci Son rima
ste, un solo Autore: ma le fatiche' di
molti eruditissimi uomini, ed in ispe—
zieltà di Giusto Lipsio, (a) di Andrea
Scotto (b) e di Nicolò Antonio, (c) .di
tanta chiarezza hanno sparso questo pun—
to-di Storia, che sarebbe cosa affatto su
perfiua, il farne più oltre parola.
Marco Annéo nacque in Cordova, ma
in qual anno precisamente egli nascesse,
non possiarn dire. Vivea però ai tempi
di Cicerone, confessando egli stesso, d’ ave—
re non solamente uditi gli Orator più fa—
mosi che aitempi dì Cicerone fiorirono,
ma che avrebbe potuto intender Marco
Tullio medesimo, ove la Confusione e il~
furore delle guerre civili, consigliato non
1’ avessero a vivere in Patria . (d) Cele
~ bri

( a ) Eleétor. Lib. I. Cap. I.


( b `) De Auſtor. & Declam. Rat.
( e ) Biblioth. Hiſpan. Vet. Cap. IV.
( d ) 0mnes autem mag-ni in eloquentía nomi
m's videor audiſſe . Nec Ciceronem quidem tÎtas
m1”
3
bri sono i miracoli ch’ egli ci narra della
sua prodigiosa memoria negli anni suoi
più vigorosi, che gli si diminuì, ma pe
rò non gli si estinse in vecchíezza: come
vedremo. Era capace di recitare due mi—
la‘nomi all’ improvviso, coll’ordin mede
simo con cui gli avea uditi, e di ripete
re dugento e più versi, cominciando dall’
ultimo e finendo col primo. (a) La sua
famiglia, non era di gran nobiltà, e, o
egli fu ascritto all’ Ordine Equestre, o il
Padre suo, come v’è ragione di sospetta—
re da un luogo di Tacito7 ove Lucio An—
néo Seneca s’ introduce 'a parlare della
sua nobiltà quasi nuova (b) .
a 2 Nè
mihi erípuerat, ſed bellorum ciuilíum furor,
qui tune tatum orbem pervagabatur , intra
coloniam mmm me continuit. M. An. Senec.
controv. Lib. I. in Proem. v -
( a ) Ham: ( memoríam .) aliquando in me _flo
ruiſſe, ut non tantum ad ujum ſoffice-rat, ſed
in miramle uſque procede-Mt, non nega.
Nam 69’ duomilía nommum recitata, quo 0r
dine ”ant diñ’a , rcddobam: Ea’ ab his qui
ad audiendum Prwceptorem noſtrum com/me
rant, ſingulos verſus a ſingulis dates. cum
plures quam docenti efflcerentur, ab ultimo 2'”
cipiens, uſque ad primum recitabam. lbid.
( b ) Ego-ze equo/tri Es’ provinciali loco arms,
prouribus civica”: ammmerar 2 [ma: 70bit”
on
4
Nè abbiam certezza tampoco del tem-4
po in cui Marco Seneca venne a Roma:
ma perciocchè egli confessa avere udito
l’Oratore Asinio Pollione e quando costui
era nel fior dell’ età, e quando era già
vecchio: (a) ed As—inio morì secondola
Cronica d’ Eusebio nove anni prima d? Au—
gusto , e in età div '70.: è probabile con—
ghiettura, Secondo che OSServa il celebre
Cav. Tiraboschi, (b) che M. Seneca ac
quetate le guerre civili, venisse a Roma,
ove trattenutosi qualche tempo, potè udi—
re i più illustri Oratori, e Asinio fra gli
altri. Rítornò appresso in Ispagna, ove
presa la Virtuosa Elvia per Moglie, (c)
ebbe

55’ longa decoro preſerentcs, novita: mea cm‘


tuit i? Anna]. Lib. XIV. vedi pur Luc. Señ
nec. Lib. V11. de Benef. Cap. XII. Jufl’.
Lips. Vit. Sen. Cap. 1. Bruch. Hiſt. Crit.
Phil. Tom. ll. p. 54.6.
( a ) Audiw' autem illum ( Afinium Pollio—
nem ) EJ‘ viridem, ED’ poflea iamſmcm, mm
Marcello Eſernino nepote ſuo, qua/ì premine
ret. M. A. Sen. excerpt. Controv. Lib. 1V.
in Proem. . '
( b ) Stor. della Letterat. Ital. Tom. II. Lib.
I. Cap. Ill. pag. m. 120.
( c ) Fu oll'er’vato ch’ ebbero il nome d’ Elf
Via, e la Madre di Seneca, c le Méflre dl
ice
5
ebbe da lei tre figliuoli, ciò sono, Marco
Annéo Novate, Lucio Anne’o Seneca, e
Lucio A`nnéo Mela. Annéo Novato d’ an*
a3 m

Cicerone, onde v’ ebbe chi pensò derivafl'ea


ro dallo ſtípite ſteſſo. A che alludendo il
celebre Cardinale Palavìcíno , parlando di
Cicerone e di Seneca, nel trattato ſuo della
Stile e del Dialogo difi'e: che ammdue eran
ben degni d' eſſer congiunti nel ſangue, /ic
come furono negli fiudi e nella gloria. Cap.
II. paragr. II. `
Sarebbe nondimeno un ſar torto all’ egregía
Madre degli Annéi, ed al figliuolo Lucio
fingolarmente, che ce ne laſciò uno ſplen—
didiſſnno elogio, il non darne quì qualche
idea.
La ſua vita ſu una catena non mai interrotta
di ai, ch’ eſſa per altro ſoſtenne con mi
rabi coſtanza. Nata appena, perdette la Ma—
dte, e fu ſottopoí’ca ad una Matrigna, da
cui, coll’ eſſere ofi'equioſa ed ubbidiente, ot
tenne, non facil coſa , d’ eſſere riguardata
come figliuola . Mentre Rava attendendo,
probabilmente di Spagna ,\ un ſuo Zio, ch’
ella amava con tenerezza, e che uomo era
di gran valore, le fu recata la nuova della
ſua morte, e nel tempo che ancora il pian—
gea, perdette il marito , lontani eſſendo ’i fi
gliuolí,
gere fra che
tantiqualche refrî
diſaſtri. eriomorti
Vgíde le potean or
tre ipo—
ti, e pochi giorni dopo che fpírato era il
figlíuolo di Lucio fra le ſ11e braccia, ſoſte—
nel'
6
ni maggior degli altri è colui, che venne
`poscia riconosciuto sotto il nome di Giu
nio Annéo G-allione , perchè fu'adottato
da Giunio Gallione celebre Rettore. An
néo Gallione fiori molto nell’ eloquenza,
comechè macchiato fosse de’ vizj del seco—
lo, (a) fu Consolo, (b) e quindi dalla
crudeltà di Nerone, fu costretto ad ucci—
dersi. (c) Uomo fu Virtuoso, e fra tutti
i vizi dai quali era immune, odiava sin—
golarmente 1’ adulazione, come il più pe
rico

ner dovette il dolore acerbíſſlmo, di ſentir


mandato in efilio Lucio medeſimo. Amava
con ſomma ſviſceratezza i figliuoli , degli
onor loro godendo, non per proprio inte—
refi'e o ‘ambizione, ma per vanta gio di effi.
Amminiſtrò le molte lor facolta con illiba
tezza , non approfittando delle loro, ma più
toſto profondendo in effi -le proprie ricchez
ze. Fu donna caſta, non leggíera, non va—
na, amica della lettura: ſaggia moglie, ge—
nitrice amoroſa, e madre dl farm' lia eccel—
lente. Con/ol. ad Hei”. Cap. Il. IV. XVI.
( a ) Vedi il Dialo . de Cauſ. Cor. E1023. Nic.
Ant. Bibl. Hiſp. et. Lib. I. Cap. VI. ruch.
- Hií’c. Crit. Phil. Tom. 11'. p. 147. Tirab. lit.
ñ della Lett. Ital. T. II. p. 117.
(b ) Plín. Hifl:. Nat. Lib. XIII. T. II. pag.
Edit. Pariſ. 557. '
( c Cron. Euſeb. Sifil. in Ner. Tacit. Lib.
X . Anna].
'Z
ricoloso fomento dell’ amor proprio , al
quale se troppo ampie spieghi l’ uomo le
vele, a sícuro precipizio conduce. (a)
Annéo Mela fu celebre singolarmente
per essere stato Padre di Lucano, (b) fa
a 4 - moso,

(a ) Sale-bum tibi dice”, Gallíonem fratrem r


meum ( quem nemo uou jam-um amat, etiam
qui amare plus non pote/ì) alia vitia non noſ
ſe, hoc etiam odiffè. E0 quzdem magís haut:
ejus prudeutíam, ED’ in evitando inevitabili
mulo pertiuaciam te ſuſpicere confeſſus, quia
/peraueras poflè apertts auribus recipi, quam
vis blanda difeſe-S‘, quia vera dicebas. Sed eo
mugís Îth‘HeXlt ob/taudum. L. An. Sen. Nat.
Quaeſt. Lib. 1V. Pref`
(b ) Nè dee tanto averfi in pregio Annéo
Mela, per eſſere egli ſtato Padre ’di Luca
no, quanto per li ſuoi meriti perſonali. Il
ſuo genitor Marco Seneca, parla di lui di
tal foggia, da farne concepir grande idea.
Dice che l’ ingegno di lui era maggiore di
quel de’ Fratelli, e in ogni coſa capace di
riuſcir con onore. Erat quidem td” majus
ingenz‘um quam fratribus tuis, omnium bonu
rum artium cupacèffimum. Controv. Lib. 1L
in Praefat.
Ma Mela d’ umor tranquillo e pacifico, niente
ambizioſo e niente ſaccendiere ,lontano dai cla
mori del foro , e dalle dignità, amava l’elo
quenza, ma non uella di Palazzo che all'or
da, e che tefi'uta e il più delle volte di ſ0—
fiſmi
8
moso, ma gonfio Poeta, e più Storico an—
cor che Poeta, il qual morì ad un tempo
e da
fiſmi e di ciance: ma quella dolce eloquen—
za che apre 1’ intelletto, che aguzza l’inge~
gno , che adorna le virtù e le azicni lode—
Voli. I fratelli al contrario erano più am
bizioſi; applicavano al Foro e agli onori,
ne’ quali ſono iù da temerfi le coſe che più
arde‘ntemente 1 ſperano . ( M. A”. Seme.
Lib. I!. Contro”. m Proem. )
Il celebre fiorico Tacito, che vede il più del—
le volte le azioni degli uomini in nero, at
tribuiſce a raffinata ſuperbia la moderazione
di Mela, quaſi egli, comechè ſemplice Cava
liere , voleſſe uguaglíare in potenza gli uo—
mini conſolari medeſimi. Mella quibus Gallia
8’ Seneca parentíbus natus, petitíoue honorum
abflinuerat, per ambitiouem preepo/leram, ut
Eques Romanus couſularibus patentia (equam—
tur. Anna]. Lib. XVI.
Anche il filoſofo Seneca così ſcrive alla Ma—
dre, de’ fratelli parlando, e ammirifi la tene
rezza e la concordia rara che ſcorgeſi aver
legati a vicenda que’ cuor' virtuoſi . Reſpira
fratres meos quibus jàleis , fa: tibi uan eſt
accuſare fortuuam. In utroque habe: quod ex
diverſa oirtute deleiì'et: alter honores induſtria
conſecutus eſt, ( intende Gallione che fu an—
che Conſolo ) alter ſapienter contempſit. Ac
quieſce alteríns filíi díguimte, alterius quiete,
utriuſque pietute. Now' fratrum meorum inti
mos affeiì’us; alter i” hoc dignitatem exvolit
ut tibi ornamento ſit, alter in hoc ſe ad tran
quillam quietumque vitam rece-pit . ut tibi 003-.
cet. Conſolat ad HelV. Cap. XVI.
- 9
e da forte c da infame (a). Mela mori
svenato per ordin tacito di Nerone, il
quale insidiava le-sue molte ricchezze, e
acciocchè egli avesse un pretesto onde far
lo morire, ci fu chi, eccitato forse dall’
Imperatore medesimo, mise ſuora certe
lettere contraffatte del figliuolo Lucano,
dalle quali appariva aver Mela avuta par
te

( a ) Era coſtui entrato nella congiura di Pi—


. ſone contro l’ Imperadore, ſdegnoſo perchè
Nerone per folle invidia avea proibito i ſuoi
verfi. Genus irritabile Val-um. Mello al mar
torio cogli altri, e lufingato dalla ſperanza
del perdono, ebbe la crudeltà di accuſar co
me complice della confgiura Atilla ſua pro
pria Madre: ma niun rutto non colſe da
queſto orribil delitto, e ben gli ítette . Per—
ciocchè Nerone comandò la ſua morte, e ſu
ſvenato . Prima però di morire , mentre avea
perduto buona Harte di ſangue, e gli fi raſ
freddavano le e remità , caldo ancora la men
te , recitò alcuni‘ ſuoi verfi fatti ſopra un
Gladiator moribondo, che com’ egli, ſpirava,
e con queſti verſi in bocca morì. Ecco co—
me può dirſi di lui e d’ un Pagano, che m0
rì ad un tempo e da ſorte e da infame.
Vedi Tacit. Anna]. Lib. XV. , e l’ Autore
chiunque egli ſia della Vita di Lucano , che
in alcune edizioni ſ1 ſtampa ſotto il nome di
Svetonio , di cui però moſtra eſſer parto lo
ſtile uniforme alle altre opere ſue.
IO
te nella pisoniana congiura. (a) Tale ſu
la famiglia di Marco Seneca, cui, allu
denclo forse ai tre figliuoli che la com—
ponevano, disse Marziale,dover nominarsi
tre volte; (b) comechè altri voglia diver—
samente interpretato il detto di quel ce
lebre compositor d’ epigrammi (c) .
Quando ,precisamente Marco Seneca sì
partisse di Spagna, e insieme ‘co’ figliuo
li facesse a Roma ritorno per non più (li—
partirsene , non’abbiamo certezza, ma Giu
sto Lipsio tali conghietture apporta onde
persuaderci che ciò fu I 5. anni all’incir—
ca anzi la morte di Augusto, che stimía—
m0 opportuno all’ opinion sua d’attener—
ci. (ct )
Quan

a ) Tacit. Annal. Lib. XVI.


b ) Et doffi Semme ter numeranda Domus .
( c ) Nic. Ant. Bibl. Hiſp. Vct. Cap. 1V.
( d ) Lucio Seneca dice aver veduto anzi la
morte d' Augulto una fiamma a guiſa di
cometa nel cielo ; ora fimili prodigi non fi
ricordano dai fanciullini, quand’ anche a ca—
ſo fi veggano .‘
l/idz’mus ante divi Augufli exceſſum ſimile pro
digz'um. Quecſt. Nat. Lib. I. Cap. I. Un al
tro paſſo io trovo in Seneca, dal Lipfio non
oſſervato, che prova ancor .più . Dic’ egli
dunque, parlando delle Comete , che non
, ear
II
Quando il Padre con la famiglia si tra—
sportò a Roma, il figliuolo. suo Lucio
Annéo Seneca, di cui da quinci innan—
zi ci occuperemo unicamente, era ancora
bambino, e fu portato durante il viaggio'
in braccio da una materna sua zia, che
l’ ama-va teneramente, e che mostrò per
lui una particolare affezione. (a)
Avea Lucio portato dalla natura una `
complessione si gracile, che appena nato,
a così dire, ammalò gravemente, ed egli
attri—

era da penſare che la cometa che fi era ve—


duta vivente Auguſto, fofi'e quella medeſima
che comparve ai tempi di Claudio . Nel; cſi
quod putemus, eundem eflè ſub Claudio, uem
jub AugVu/ìo vidimus. Quaeſt. Nat. Lib. 1L
Cap. X II. Era dunque Seneca , Vivente
Auguſto, non ſolamente in età da,0ſſervare
ſimili prodigi, ma da diſtinguerne ancora le
differenze . '
Oltre a ciò, ſcrive egli Epiſt. CXVII. che la
ſua adoleſcenza venne a cadere nel Princi
pato di Tiberio , e in quel tempo che ſ1
sbandivano i ſacri riti ſtranieri; il che accad—
de, ſecondo Tacito, l’anno quinto dell’ 1m- _
ero di Tiberio. E la piena adoleſcenza, era
Pecondo il Lipfio all’ età di venti, o venti
due anni.
( a ) Maximum adhuc ſolarium tacueram, ſo
rorem tuam. . . Illius manibus in urbem per
lutus ſum. Conſ. ad HelV. Cap. XVII. *
12 —
attribuisce alle materne e pietose cure di
questa suapzia, l’esser finalmente gua—
rito da una malattia lunga ed ostinata . ( a)
Giunto a Roma, e .crescìuto quindi in
età, attese il nostro Lucio, per aderire
a1

( a ) Illius pio materuoque uutricio per longum


tempus' wger convalui. Ibid.
Queſta valoroſa Donna ſorella d’ Elvía, ſu mo
lie d' un perſonaggio, cui quantunque da
eneca non nominato, con molte probabili
conghictture Giuſto Lipſio dimoſtra eſſere
quel Vetrafio Pollione, di cui Dione lo Sto—
rico parla al cinquanteſimo ſettimo libro . Che
che lia di ciò , ſu il coſtei marito appunto
Prefetto d’ Egitto, nel cui overno, che du—
rò ſedici anni , ſ1 portò e ’a con tanta pru—
denza, con tanta modeſtia , e con tanta riſer—
va, che la invidia più acre, pronta ad of—
fendere ancor gl’ innocenti, non potè però
in lei per conto alcuno eſercitare` il ſuo den—
te. Bcn lunge dalla conſueta oſtentazion fem
minile , non moleſtò mai il marito ſuo per
favori, 0 a proprio o a vanta gio d’ altrui.
Mentre ritorna'va per mare in étalia inſieme
col conſorte, e col nipote Lucio, una fiera
burraſca che tutta ſconvolſe e diſarmò la na—
Ve, perder le fece il marito. A sì fiero ac—
‘ y cidente, nulla badando al proprio pericolo ,
non ſ1 tolſe alle ſauci, dirò così, della mor—
te , infino a tanto che ricuperato non ebbe,
piena di virile fermezza, il corpo eſangne
` dell’ infelice ſuo ſpoſo, onde dargli conde—
~ gna ſepoltura . Coryolat. ad Helu. Cap. XVlſ.
. 15
ai desiderj del Padre , insieme cogli altri
fratelli allo studio dell’ eloquenza, la qua—
le, comechè spenta la Repubblica, Scadu
ta fosse del suo antico splendore , pure
era ancora il mezzo più sicuro e più fa—
cile onde-alle cariche pervenire più lu
minose -.,…Egli ebbe 'in essa il Padre a
Maestro, il quale ſu in quest’occasione
che a' quell’ opera~ s’ accinse che in parte
ancor ci²è. rimasta, ciò è il volume delle
SvusOrie-, che sono un genere d’ Orazio—
ni, nelle quali preso argomento da qual
che pass-o storico 0 finto, alcun s’ intro
duce a deliberar quello che `fare gli si
convenga nelle circostanze presenti, e i
dieci libri delle Controversie, di cui soli
cinque interi sono a noi pervenuti, ove
si `_trattan le cause in quel modo che a
un bisogno si tratterebbon nel foro. Mar—
co Seneca però in questi suoi libri, di
non aver fatto altro protesta, che trascri—
ver le cose che dai più celebri Oratori
de’ suoi tempi, ch’eglì nomina tutti, era—
no state dette intorno ai trattati argomen—
ti, del carattere e letterario e morale
d’ alcuni de’ quali Oratori dà un idea a’
suoi figliuoli , nelle bellissìme Prefazioni
ch’ egli premette a que’ libri*

Quan -
r4 ,
/ ì ' Quando Marco s’ accinse a‘ quest’ Ope—
` ra, era già avanzato negli anni, com’ egli
confessa, e la sua memoria s’ era di mol-.ñ
to infievolita, sì però che, Siccome dimen—`
ticavasi facilmente le cose di fresco inte
se, ` ricorclavasi però quelle. da. lui' udite
in. sua gioventù, come se le avesse ap
prese in quel punto. (a) Con tutto ciò,
il Cav. Tiraboschi, in vista di tanti pas
si, di tanti e sì diversi Autori ,r tutti
d’ uno stile uniforme, seben di .vario ar—
gomento, ha dubitato non forse la me
moria, che sarebbe, stata in lui prodigio
sa' anche in vecchiezza ,. abbia tradito
l’ Autore in sul più. bello della sua im—
presa, cui poi per non. lasciar imperfet—
ta, supplisse, ,all’uso degli storici, col
suo, ponendo in bocca de’ diversi autori
quel tanto, ch’ egli supponeva che' per
avventura avrebbon detto. (b) Io non enq
' ‘ trerò
( a) Nam qaacumqae apud illam aut puer ,
aut juvenís depoſui, quaſi recentia ED’ modo
anolita fine cuniì’atione profert. At ſi qua ille'
intra proximos amzos corn/mſi, fia pei-did” EJ’
amiſit, ut etiam ſi ſzzpius mgerantur, toties
tanquam nova audiam . Itaque ex memoria,
inantum vobís ſatis ſit ſapere/I . Controv.
ib. I. in '13"1‘oem.` ‘ _‘ '
( b ) Stor. della Letterat. Ital. Tom. Il. Lib.
I. Cap. III. p. 121.
r5
'trerò giudice in questo affare, il quale
è altresì estraneo al, mio scopo, ’ma chi
Vuol legger su ciò le difese di Marco Se—
neca, consulti il Saggio Apologatico dell’
Abate Lampillas, (a) e meglio ancora
la celebre opera del Chiarissimo Abate
Andres, dell’ Origine, progressi ,. e Stato
attuale d’ ogm) Letteratura'. (b)
’Insino a tanto che Lucio sì? applicò all'
eloquenza, ebbero felice 'riuscímento le
sue fatiche, e a’ tempi di Quìn-tiliano leg
gevansi le sue oraz'ioni e controversie,
nelle quali oltre alla copia del dire, (c)
nn’ energica evidenza ammii‘avasi nel di—
pinger le cose, come lo stesso Fabio ci
attesta, adducendo in esempío una con—
troversia di lui. (d) Questo studio però
quel

s a ) Tom. I. P. I. pag. 94. ›


\ b ) Tom. III. P. II. p. 34.
(a ) [n his etiam quos ipſi vídímus, copíam
. Seneca’, vires Africuni, maturítatem /Ìfi-i . . .
( reperiamus. ) Inſtit, Orat. Lib. XII. pag.
m. 712?. _ _
(d) t Seneca m controverſia cujus ſumma
efl, quod pat” filium ED’ novercam inducmte
alter-o _filío , in adulterío deprzhenſos, occidit.
Duc, ſequor: accipe hanc ſenilem manum,
ö: quocunque vis imprime. Et panta pofl:
aſpice, ing…: quod diù-non credidii’ci. Ego
‘ Vero
- 16 _
quel non era, a cui più la sua inclinañ`
zione il traesse, che alla filosofia tutta
era rivolta: pure vi si applicò per lun—
go spazio di tempo in ossequio ed ubbí—
dienza del Padre , che al contrario avea'
in disprezzo la filosofia, come quella, che
secondo lui venía usata, più che all’ acqui
sto della veraisapienza, al fomento'de’
vizj. ('a) Il’ che per altro non era difet—
to della filosofia, ma sì bene' di coloro
che vi vportavano un cuor vano e corrotto.
Non dobbiam però darci a credere, c0
me fu opinione d’ alcuni, che Seneca as—
solutamente abborrisse lo studio dell’ elo—
quenza 5 (b) che a bene non si riesce in
cosa
vero' non Video, nox oboritur, 8c craſſa ca
1ng: Hubet hzec figura manz/'e/lius allquz’d.
Non enim narrari res, ſed agi videtur. Lib.
IX. Cap-1]. p. 518.
( u ) Utinum quidem niz‘ornm optimus poter
meus, nimis majorum conſuetudini deditus,
voluifflèt te ſapientum przceptis erudiri potíus,
uam imbuí! non parandum tzbi nunc contra
_Fortmmm eſſet uuxilium , ſed proferendum .
Propter i/ias quae litteris non ad ſupientinm
utuntur. ſed ad luxuriam inflituuntur, minus
:fl indulgere /iudiis puó/li”. .LUC- Ann. Senec.
Conſ. ad. .Helv. Cap. XVI. '
K b ) Giuſto Lipfio nell’ Opera ſua che ha per
titolo Manuduiì'io ad Stoioam Philq/oínáum,
1 .
17
eosa che s’ abbia in avversione: ma oltre
all’ innato 'amore che alla filosofia invincibil
mente il portava, due furono i motivi che
il tolsero all’ operoso esercizio_ del Foro:
b ~ l’ uno

Lib. I. diſſ. 1].. , apporta alcuni pafli del no—


ſtro Seneca, in forza de’ quali provar fi ſtu—
dia che queſto filoſofo diſprezzava e` avea
per inutili le arti liberali. Ma oltre che Se
neca confeſſa a chiare` note, ciò che' non
nega il Lipfio medefimo , che le arti liberali
preparano almeno gli animi a ricevere i pre
cetti della virtù, e per ciò ſe ne iſtruiſcono
i Giovani : e li parlar intende di quell’ arti
liberali, che ian per oggetto il danajo, e
ciò ſ1 raccoglie da quella medeſima epiſtola,
di cui Giuſto Lipfio fi vale ad inſamarle De
liberalibus fludiis quid ſentiam, ſcrive il no—
ſtro Seneca al ſuo amico Lucilio , ſpire deſi
deras. Nullum ſuſpz’cio , uullum m bonis uu
mera, quod ad aes exit. Sono arti mercena—
rie, continua egli, utili anch’eſſe, ove pre
parin l’ ingegno, ma non lo occupino‘inte—
ramente. Mer-:torio artífiria ſunt , hafi’mus
utilia . ſi pratparant ìngetje’um , *1m detinent.
Ep. LXXXVIII. ì
A parlar però ſchiettamente, eli-"enza quello
ſpirito di partito, da cui pare il Lipfio , uo
mo però di dottrina, e d’ erudizione gran—
diſſlma, un pò riſcaldato, dalla lettera ottan
tefima ottava di Lucio rilevati, ch’ egli non
condannava ià l’artiliberali in ſe l’cefi'e, ma
1’ abuſo che e ne faceva. Deride ad geänpio
1 1
18
I’ uno il pericolo che vi corse della Vita ,
l’ altro la debile sua complessione ed 1n—
~ ~fermiccia non atta a resistere ad una V1
ta inquieta, agitata, e ove han tanta par
‘ te
. ’ ML
Didíme Grammatìco , che ſcriſſe quattro mi—
la libri ’a inveſtígare della Patria d’ Omero ,
della vera Madre d’ Enea: ſetAnacreonte ii).
dato foſſe alla luſſuria o all’ ebbrezza: ſe af—
fo foſſe cantoniera: come altri. pure che
groffi volumi ſcrifl'ero ad indà are ſe Ecuba
più giovin foſſe di Elena , ſe en’elope foſſe
veramente caſta o laſciva, ed altre fimili co
ſe, che uand’ ancor ſ1 ſapeſſero , diſimparar
fi dovreb ono; come s’ eſprime il noſtro fi
loſofo . Nelle 'quali vane ricerche, non ſola
mente i Greci ſcrittori perdevano il tempo
loro e la fatica, ma i Latini altresì, come
a dilungo egli dimoſtra ne’ capitoli XIV. , e
XV. del ſuo trattato ſulla Brevitd della vita.
Ecco ciò ch’ egli ſtimava inutile e puerile
nell’arti liberali: del che niuno di ſano giu—
dicio , vorrà dargli torto. Oltre a ciò, per
urti liberali, non dinotava già egli la Gram
matica ſolamente, l’ Eloquenza, e la Poetica :
ma e la Geometria‘, e l’ Aſtronomia. e la
Giuriſprudenza ec. In quell’ epiſtola inſomma
non intendeva Seneca che di condannare-gli
4 abuſi che fi fanno e dell’ arti e delle ſcienze
tu'tte, non eccettuando e non riſparmiando
' ‘nè pure le Filoſofiche ſette, nè tampoco la
ſtoica tanto a lui cara, come potrà vedere
ciaſcuno che voglia leggerla, ſenza troppo
l9 il
te i polrnſioni. E in quanto al primo,
,fatto è curioso. Tutti conosceran senza
ch' io il nomini quell’ Imperador furibon
do, il quale così dell’ umanità era nemi
co, che bramava che tutto il popolo Ro—
mano non avesse che una sola testa, per
fargliela (l’ un colpo solo balz'ar dall’ im—
busto . (a)
Quest’ uomo brutale però', cosa che fa
maraviglia , s’ impacciava di letteratura ,
e de’ letterati uomini era pericoloso riva
le. Maravigliosa COSa, io ripeto, percioc
chè par beneficio delle lettere, il far man
sueti i cuor più feroci; così _non fu però
di Caligola.- Il merito invidiava (le’ tra—
passati, e pensò d’ abolire i Poemi d’ Crue
b 2 `t ' r0 , ’

av—

al Lipſio affidarfi, che riportando i paffi ſtac


cati e dimezzati, volle ſar dire a Seneca e
quel che non_ diſſe, e più di quel ch’ egli
diſſe.` Che anzi ‘altrove conſiglia la ñMadre
ſua di rivolgerſi agli ſtudj liberali, come il
porto in cui tutti ricoverar ſ1 debbono i mi
ſeri, e che ſolo può ſgombrar la triſtezza.
.Itaque illo te 111460,'an omnibus fugiendum
eſt , ad liberalia fludia: illa ſanabum valnus
tuum, illa omnem triſlitiam tibi evellcnt. Conſ.
ad Helv. Ca . XVI. 4
( a ) Senec. Se Ira Cap. XIX. SVet. in Calig.
Cap. XXX. ›
20
ro, di Virgilio, e le Storie di Tito Li—
vio , ch’ egli disprezzava, o di sprezzare
almen s’infingeva. (a)
Dicea del nostro Seneca‘, che il sùo sti—
le era calce senz’ arena detto a ;tutti no
tissimo: ma il fatto quindi provò, che
altramente di lui sentiva da quel che di-e
cea ( comechè il detto suo non -sia da fre
netíco in tutto qual egli era ) perciocchè
trattando Seneca, lui presente, una cau—
sa in Senato, tanto ordine , tanta preci—
sione e tanta eleganza adoperò, che Cali
gola sorpreso da una perfida invidia,die-—
de ordini che il povero Orator fosse uc
ciso, non d’ altro reo che d’ essergli trop—
po piaciuto. E il comando tirannico sa-fl
rebbe stato eseguito, se una femmina con
cui egli avea dimestichezza più che ami—
chevole, non si fosse interposta, mostran
'degli , .ch’ egli potea risparmiar questa
Violenza in vista dell’ estrema magrezza di
Seneca, il quale sarebbe morto in breve
di tisi. (.b)
— E in~

( a ) Svet. in Cal. Cap. XXXIV.


( b ) Dion. Hifi:. Lib: LVIlI. -‘
Ecco dopo il già detto, come interpretar fi
pofi'ono quelle parole della lettera quíarante
una
l

-l .i L , › ` 21./

E in fatti a_ tale egli era‘ condotto


della sua sani’tà che poco si potea pro—
metter di Vita. Era egli passato per la.
trafila di tutte le malattie , e niun 'mor
bo' Per isventura. non era a lui sconosciu
to. (a) Era molestato da una tenue ma
iornaliera febbretta , accompagnata da tos—
se di distíllazione, ch’ egli non curö in
sulle prime , veggendosi nel fior degli an
ni: ma questa malattia trascurata , a ta
_le il condusse di magreiza, '-che parea

b ‘i ch’

fima nona di Seneca, che molto .di che pen


ſare hanno dato e di che dire, agli eruditì
commentatori. Modo muffa: agere capi. mo
do defii nelle. agere modo dejii poſſe . Oſſer
vifi la maniera arguta, epigrammatica , e il ~
tuon dirò cosi , di Sibilla, che a’Seneca tan—
to piacea. Cominciò a trattar le cauſe per
…ubbidíre al Padre; laſciò di volerle trattare
come s’avvide che gli poteano coſtar 1a vi—
ta, .e‘ non potè quindi trattarle, perchè la
— ſua ſanità mal concia, non reggeva ad un
a*
— eſercizio che efige molta fatica e robuſtezza
di temperamento .
~ ( a ) Adeo nullum (nempe gends malae va
letudínis ) mihi ignotum efl. Omnia corporis
aut incomoda aut perícula per me .tranſit-rum.
Ep. LIV.
22 e
ch’ egli stesso, com’ egli si esprime, si
disfacesse e distillasse . (a)
La malattia però che gli dava più noia
e spavento, e che gli era più famiglia
re, era l’asma, i cui accessi duravano
un’ora intera, e che gli davano, com’ egli
dice, un’idea della morte. (b)
In tale stato infelice veggendosi , gli
venne più volte il pensiero d’ uccidersi,
ma nel ritrassero i riguardi ddvuti alla.
vecchiezza del Padre , il quale con quel
coraggio con cui egli era per incontrare
1a morte , tollerar non avrebbe potuto la
privazion del figliuolo. Si risolvette dun
que di vivere, non essendo minor fortez
' za
K

( a ) Vexari te diſiillatíonibus crebris ai: fi*er


culis, quae tanga: diflzllationes EJ’ in conſuetu
diuem adduffas ſequuntur, eo moleſiius mihi
efl, quia expertus. ſum hoc genus t'aletudiuis:
quad inter initia contempfi: poteri” adoleſcen
tia injurias ſerre, è’ ſe adverſus morhos con
tumaciter gere”. Deinde ſuccubui, EF’ eo per
duñî‘ur ſum , ut ipſe diſìillarem. Ep. LXXVlII.
( b ) Uni tamen morbo qua/i affiguatus ſum . .
. . ſatis apte iii-;i [uſplrium pote/ì. Brevi: au
tem value, ED’ prox-ella ſimilis impetus cſi,
_intra horam fare deſiuit . . . nullum, mihi vi
detur male/lim' . . aliud quia'quid eſt, wgra
tare eſt, hoc efl animum agere. Itaque ”tedi
ci liane, meditanan mai-iis comm. Ep. LIV.
. ’ 23
za talvolta, anche secondo le idee del Pa—
- ganesimo, il sopportare la vita, che l’in
~ centrare la morte; il che in certi casìvè
anzi viltà e debolezza. ( a)
Ond’essere però , vivendo, meno inſe
lice, sì diede ad ‘investigar que’ rimedi, ‘
che'. o rintuzzassero le malattíe, o gli fos
ñsero almen tra questeldi `sbllievo e di di
strazione. E uno de’ più valevoli a lui
si ſu lo studio della filosofía, (b) cui
già da gran tempo agognava '
. Siccome cervo sitibondo al fonte
e a cui finalmente tutto si abbandonò.
- Molti filosofi ebbe egli a M‘aestri nella
Sapienza, fra quali primo ricorderern Ata-1
b 4 i lo ’

’ B

( a ) Sa’pe impetum capi abrumpeuda! vitae :


patris me iudulgeutíflîmi ſeneffus retiuuit. Co
gitavi mim non quam fortiter ego mori poſ
ſem, [ed quam ille fartiter deſiderare uan poſ—
ſet. Itaque imperaui mihi ut viuerem: ali
qluando mim E? vivere, fortiter fam-e ejZ .
p. LXXVlII.
( b ) Qua: mihi num: ſueriut ſolutía dicam . .
.ln ”medium cedunt houe/la ſolatiu : ES’ quid
uid animum erexit, etiam ,cat-pori prode/ì .
Studia mihi uojtra ſaluti fueruut. Pltiloſophiie
arceptum ſero quod ſurrexi, quod couualui.
1'111' vitam debeo , EJ’ *nihil illi minus debeo.
Ep. LXXVllJ.
24 ‘
-lo Stoico, uomo di grande eloquenZa, ir!
awtezzax e facondia superiore ad ogni al—
tró di quell’ età, (a) che sapeva assai be—
ne all’ etrusca disciplina mescere la greca
finezza. (b) Alla COStui scuola era il pri
mo Seneca a entrare, 'e l’ ultimo a esci—
re: tanto era l’ ardore 'che ponea nello
studio della filosofía, ,e sì grande il di
letto che ne traeva. ( 0)' ,
Secondo verrà Sozione Alessandrino, il
quale accomodava alla Pittagorica setta che
par ch’ ei seguitasse , gli stoici precetti,
(d) e alla cui scuola fu Seneca sin *da
fanciullo . (e) . z`
\ 'ñ DC

( a ) Attalus Stai-:us . . . magna vir eloquen


titz ex philoſophis, quo; ito/ira a’tas vidit. ion
ge EJ’ ſubtiliffimus EQ’ facundiflimus. ML Ann.
Sen. Svaſ. .`
( b ) Quanto ſimplicior divi/io efl, qua utebatur
Attalus noſíer, egregius vir, qui etruſcorum
diſcipiiuam, grata ~ſubtilitate miſcuerat? Luc.
Ann. Senec. Nat. Quaeſt. Lib. II. Cap. L, -
(c) H12:: nobis pra’cipere Attalnm memini ,
cum Scholam ejus obſìderemns; ED’ primi ve
nirem-us , 85’ nomſſími exiremzis. Luc. Ann.
Sen. Ep. CVlIl.
( d ) Bruch. Hifi. Crit. Philoſ. Tom. II. p. 96.
( c ) Modo apud Sotionem Pliiioſophum pucr ſc
di. EP, XLIX.
²5
Demetrio pure ,. se non maestro , ſu
grande amico e famigliare vdel nostro filo
sofo. Era—di Cinica professione, mano—
mo grande,quand’ anche agli uomini gran
dissimi ~si paragoni. (a) Predicava la p0
Vertà, ma a tutto rigor `la professava egli
stesso , onde non precettor solarnente , ma
testimonio era di verità . (12)_
Era pien di esatta e vera sapienza , di
caratter, fermo e. costante 5 eloquente , e
non di quell’ eloqu‘enza molle e fucata_ `
_propria del secolo Suo , ma dignitosa e
forte, e conforme agli altissimi argomen—
ti ch’ egli trattava. (c)
- - ‘ La’

( a ) ;Egregie enim hoc direi-e Demetrias Cyril"


cus, 'vir mea jadicio magmis , etiam ſi ma—
ximis EOMWM‘BÉM, - ſolet. Senec. de Benef.
Lib. VII. Cap. I.
( b ) Ego certe aliter audio qua- dicit Deme
trias nofler, cum ilium nadam, quanto minus
quam firamentis ìmubanttm ‘è tune enim non
prwceptar veri, ſed teflis efl. Sen. Ep. XX.
( c ) Demetriam . . . uirum exaffa’. licet ”age-_t
ipſe , ſapientia’ , firma’que in quae propoſiti:
conflantiw: eloquentia- vero ejus qua-z res fortiſ
fimas deceat , non continuata’, nec in verba/ol
licitie, ſed ingenti animo prout impetus tuiít
res ſuas proſe uentis . Sen. De Benef. Lib.
VII. Cap. V . `
26
La sua filosoſía era ancora più pratica
che teorica, e soleva egli dire , che ' più
assai giovava l’ avere a mente pochi pre
cetti di saviezza che al caso possano es
sere praticati, che molti averne apparati
che non siano alla mano. (a) `
In somma era egli un uomo che parea _‘
aver la natura prodotto de’ suoi tempi a
mostrare , che nè egli potea esser corrotto
dagli uomini, nè gli uomini esser corret
ti ,da lui; (b) e acciocchè non mancasse
, - all’

( a ) Egregíe enim hoc ditere Demetrius Cym’


cus ſole:: plus prodeſſe, ſi paura pra-:apra ſa
pientitz temas, ſed :lla in promptu tibi è’ i”
uſu ſint, quam ſi multa quidem didiceris. ſed
illa non habeas ad muuum. De Bcnef. Lib.
Vll. CZp. I.
( b ) Pa o ante Demetrium retulí : quem mihi
videtur rerum natura' nofiris tulhſſe tempari
bus ut eſtendere!, nec illum a nobis corrumpi ,Î
nec nas ab illo corrigí poſſe . De Benef. Lib.
VII. Cap. VIII.
Nec nas ab illo corrigi pofle. ho io letto , fic-ñ ì
come altri fcce, cr teſtimonianza di Nico—
lò Antonio Bibi.` iſp. -Vet. Cap. VlI. parag.
LXXXII. , e delLipfio, perchè mi›pare piu
giuſto e più analogo all' idea che Seneca-dar
ci vuol di Demetrio. Del rimanente tutte le
edizioni da me vedute di Seneca , leggono
torripí z ma da queſto corripi ammeſſo anche
. r -da

i"
. 27
all’ età~ sua, nè un grande esempio, nc‘:
un gran rimprovero. (a)
Seneca si dilettava assai della conversa—
zione di Demetrio, e anche ne’ suoi viag
gi lo voleva a compagno, poichè più pro
fitto traea dai discorsi di questo cencioso,
che non da quelli de’ Porporati. (b)
Finalmente per ultimo ricorderem Pa
pirio Fabiano, che il quarto vien collocato
da Seneca nel ruolo degli Scrittori di co—
—“ se

da Giuſto Lîpfio, che qui ſignifica ammonire,


‘o riprendere non n’ eſce ſenſo che mi appa
hi . Il Varchi Trad. de’ Benef. moſtra aver
etto, mc illum a nobis, me nos ab illo cor
rumpi poſſe. ma nè ur queſta interpretazio
ne non mi contenta . Scelga il lettore delle
tre , quella che più gli aggrada.
( a ) Huic non. dubito, qum providmtia è’ ta
lem vitam, ED’ talem dicendi facultutem dede
rit, ue aut exemplum ſeculo ria/ira . aut con
vicium deeſſet._De Benef. Lib. VII. Cap. VIII.
Volendo Caligola regalar una rilevante ſomma
di danaio ,a Demetrio, queſti la ricusò , la—
gnandofi che dalrifiuto di si vil coſa, non
gliene venia lode neſſuna . Se Calígola volea
tentarmi, diceva egli, far il dovea coll' of—.
ferta di tutto l’Impero. De Benef. Lib. VII.
Cap. IX.
( b ) Demetríum ”Prov-um optimum, mecum cir
cumfero, Ea'ieliñ’is canehyliatis. cum illo ſe*
minudo laquor, ilium admirar. Ep. LXlI.
l

28
se filosofiche , dopo Cicerone, Asìnio Pol*
lione, e Livio: che anche questi due ul—
timi aveano scritto libri di filosofia . (a)
Il suo stile era eloquente ed elegante,
anche alla. dilicatezza nauseosa del seco—
lo . (b) ‘
Seneca tutto immerso nello studio della
sapienza, colla scorta di sì ’valenti mae—
stri, non cercò già solamente di coltivare
“lo spiríto, e di far acquisto 'di molta dot
trina che sterile rimanesse ed inutile al
cuore e ai costumi , Siccome l’ oro nello
scri no dell’ avaro; ma con quell’ impeto'
meîesimo con cui si abbandonò alla filo
sofia, sì diede anche a moderar le passio—
[ni, ed a purgare gli affetti. In 'ciò di
grande utilità gli furono Atalo e Sozione.
Quando sentiva Atalo scagliarSÌ contro i
vizj e gli errori del secolo, e la mattez
za delle cose superflue, commendando la
castità, la sobria mensa, la mente incon—
tami

( a ) Epiſt. C. ,
( b ) Si retmtiorem qua-ris ( haben ) Fabia
num diſertum EQ’ elegantem, Oratíonis etiam
ad noſtrum aflidium nitida. Ep. LVIII.
Avea ſcritto apirio un libro delle coſe civili,
che non piacea gran fatto a Lucilio, e che
Senecaegregiamente difende. Vedi Epiſt. C.

ì .
29
taminata non solo dai piaceri `vietati, ma
inutili; Seneca uscía dalla scuola della
povertà innamorato, e si dava ‘tosto a co
reggerela gola, e il Ventre; (a) In som—
ma non solamente tutti i precetti appro—
vava di Atalo, ma gli metteva anche in
pratica. Egli è ben vero altresì ,. che en
trato quindi nel mondo, e datosi al vive—
re cittadinesco, buona parte abbandonò de’
saggi propositi, conservandone nientedime— -
_no alcuni per tutto il tempo della sua
Vita.. f,

- ‘-Con—

( a ) Ego certe, cum Attalum audirem, in oi


tia, in errores, in mala vitae perorantem, ſiz—
pe miſertm ſum -generis hamani. . . . . Cum,
vero comme-ridare pauperiatem twperat , EF’
offendere quam quidquid aſma exeederet, pon
dus eſſet juperoeeuum EF grave ferenti ,* _ſpr
exire e ſchoia pauperi libuit. Cum crepe-rat
oolupiates noſhras traduce-re , laudare caſiam
corpus, ſobriam menſam , puram mentem non
tantum ab illiciiis ooluptatibas, ſed etiam ſu—
pervamis,, libebat circumſcribere gulam ED’ ven
trem. Epiſt. CVHI.
(b) Iride mihi qna’dam permanſere Lucili .
Magno enim in omnia impetu veneram: dem
de ad civitatis vitam reduñ’us, ex bene capii: ,
paura ſervam’.- Ibid. `
Rinunziò quindi per ſempre alle oſtriche, e ai
funghi, che non ſon cibi, ma delizie che
pro
b ›

,\ Confessava però che, Siccome molte lo


devoli costumanze -avea ommesse, in quel
le cose medesime in cui non era astinen—
te, era più moderato di prima; (a) il
che non è piccola lode , da che forse è
più malagevole il moderar certe pas'sioni
Viziose che sonozin noi, che non Io sradi—
carle affatto dall’ animo s comechè questo
sia più lodevol di quello, e se non ne—
., cessario, almen più sia conforme allo spi
’ ' rito dell’ infallibil nostra credenza.
` La scuola di Sezione ,fece innamorar
Seneca di Pittagora, e delle sobrie sue
ì ' costu

provocano a mangiar chi è ſatollo ;\ sbandi


i‘ _ gli unguenti odorofi, tantoin ,uſo a que'
tempi anche prefi'o i men molli, ſapendo del ~
mi lior odore quel corpo che non ne ſa di
neí'uno . Laſciò affatto il vino , elemento
ſommo delle diſſolutezze in colui che ne
abuſi , i bagni, e fimili altre uſanze di moda .
( a ) Catera proieñ’a redierunt: ita tamen ut
quorum fab/iinentiam interrupz‘ , modum jer
wm_. Ep. CVIII.
Atalo avea lodato a Seneca que’ materaiii duri
a ſegno che reſiſtono al corpo; e il noſtro
îiìljoä'ofo, ſe ne ſerviva anche in vecchiezza.
l .
Quando viaggiava uſava talvolta di due man—
telli, l’ uno a lenzuolo, 1’ altro a coperta .
Ex duabus penulis, altera _flrarzulum , altera
opertorium fañ’a eſt. Ep. LXXXVII.
4 _ 3—1
costumanze; Sozione commenclava l’ astí
nenza delle carni, ammettendo‘íl sístema.
della trasmigrazíone dell’ anime , la quale
.verificandosi, potea l’ uomo mangiando deñ, -
gli animali, del corpo cibarsi de’ fratelli,
amici, o che so io: il che cosa era empía
e deforme: e Seneca vinto più; che da
queste sciocchezze, da altre ragioni più
solide, fondate sull’ umanità, e sobrietà,
si astenne dalle carni, e dopo un anno ,
quest’ astinenza non solamente gli riuscì
facile, ma dolce ancora, parendo ‘a lui di "
sentirsi la mente più agile e scarica. (a)
Sebbene non potè a lungo .durare in
questo proposito, perchè il Padre ne 10
disuase col pretesto, che trattandosi di
que’ tempi da Tiberio, di sbandire le nuo—
ve religioni, si poneva fra gl’ indizj di
novella superstizion religiosa, 1’ astinenza
,da certi animali: (b) onde poteva esser
que,

( a ) Non pudebít fateri , quem mihi amarem


Pythagorw ÎÌÌ-ÌECH'VÉ Sotion. Dacehat, qua” il
le ammalibus abflinuiſſèt . . . . His inflinñ’us,
ahjlinere animalibus ca’pi : EF arma pergñ’o.
non tantum facili:-` erut mihi conſuefludo, ſed
dulcis. Agiliorem mihi unimum eſſè crede-bum. .
Ep. CVIII.
, ( b ) Tacito (Annal. Lib. II. dice eſſere ciò
avvenuto l’ anno 777. di oma, e quinto /

dell’ Impero di Tiberio . l


52
/questo al nostro filosoſo' di qualche periſi
colo . Ma il vero motivo del comando del
Padre si fu, .nò il timore di qualche ac
‘cusa, ma sì l’ odio ch’ egli portava alla fi—
losofia , ed a’ suoi dogmi. Il Padre mio,
conchiude graziosamente il nostro Seneca,
non durò molta fatica a farmi cenar me—
glio . ( a) .
uesto *fervore allo studio della sapien—
a za, (b‘) oltre che molto tendeva ad occu
- - par

(a ) In Tiberii Cmſurìs principatum iuveutz


tempus incidere” alieiiigenorum ſacra move
bautur: ſed inter argumeuta ſuperflitionis po
mbatur quoruudam animalium abfiineutia. Pu
treitaque mio ragante, qui non calumniam
timebat , ſed pliiloſaphiam oderat , ad pri
/iinam conſuetudinem red”: uee difficult” mi
hi , ut inciperem melius muore , perſuajit.
’ Ep. CVIII. 7
(b) Sarà ſtato alla ſcuola di quefiì filoſofi,
‘ anzi dalla lettura dell’ opere accreditate di
Seſtio , che Seneca appreſe il pio coſtume,
coricato ch’ egli era la -ſera , di eſaminare
tutte le ſue azioni del giorno , e riprender—
ſl, or d’ avere con troppo calore un’ opi
nion ſua ſoſtenuto, or gittato il tempo con
perſone rozze edpignoranti, che non vo
liono illuminarfi, perchè viſſero ognor nel—
e tenebre; or d’ aver ammonito taluno con
e libertà troppo grande, e d’ averlo per tal
‘ ~ . ma—
53
par 'l’animo suo ed a distraerlo dalla ri-’
:fiessione delle familiari sue malattie, coc—
però molto anche a ristabilirlo in sanità,
mercè del metodo ch" egli intraprese ' di
Vita sobria, di cibi usando semplicissimi
e quanto bastassero_a scacciare la fame.
A ciò aggiungansi gli esercizj corpora—
li, cui non avea abbandonati nè pure in
vecchièzza, e che son necessarj cotanto a
chi mena Vita sedentaria e studiosa. S’ eser
citava a correre, e a ciò teneva presso di
se negli ultimi anni un fanciullo per no—
me Earino, col quale gíucava
mo giugnesseſiallarmeta. a chi pri
(a) Prendea pu
re diletto al nuoto, e di bel Gennajo,
nell’ Euripo e nel Tevere si gittava; (b)
c la

maniera non emendato ma offeſo; percioc—


chè, riflette egli, vuolfi offervare che non
ſolamente quanto fi dice fia vero, ma che
anche la perſona cui dicefi ſofl'rir voglia la
Verità. Cum ſublutum e con/PM” lumen gli ,
diem mecum ſcrutor Efo. Lib. III. De Ira
Cap. XXXVl.
( a ) Progyna/ìas meas quwris? ui'ms mihi ſuf
ſicít Earilms, pu”. ut ſcis, amabilis . . .
[ed jam vix ill-um aſſéquor curo-enter”. Epiſt.
l-XXXIII.
'( b ) [Ile tantus Psyclzrolutes. qui Kate-”dis 3a
amaríis i” Euripum ſaltabam . . . primum
ad T-berim tranfluli ca/ìra. lbid.
34 " \
l'a qual perizia al nuoto , gli tornò molto
acconcia all’ occasione ch’ egli fu vicino
una-volta a far naufragio . (a)
Amava molto la campagna, e qualora
trovavasi infermo, dato un addio alla Cit
tà, ritraevasi in Villa, sperando quivi
meglio che altrove potersi ristabilire in
sanità . (b)
demente
Dell’ agricoltura
, piantandopoie si
coltivando
compiaceale gran—
viti,

della quale occupazione , che abbiamo os


servato altrove propria essere stata dei
letterati più illustri del Lazio, (c) egli
si vanta assai spesso. (d)ÎCon una vita
sì, parca e sì sobria, e- con sì salutari
esercizj, non è meraviglia sé il nostro Se
neca pervenne ad un’ età che non parean
sulle

( a ) Vedi Epiſt. LUI.


( b ) [u Nomentanum meum fugi, quid putas?
urbem? imo febrem , ED' quidem ſurrepeutem
. . . exire perſeceravi . . . protz’nus mutatam
valetudiuem ſeu/i. Ep. CIV.
( c ) Viía d’ Ovidio Naſone. Part. Prim. pag.
I. e c .
( ) Primum ego tibi vinearum diligeus ſoffi”
aſſirmo. Nat. Queſt. Lib. III. Cap. VII.
Quantum deinde adieiîum pato: uiribur , poſi
uam cine/15intra/tg.
um meum atti i?Ep.in CIV.
paſcnum emiſſus,
` ci
35
Sulle prime , promettere la xfievolezza, e
molto’più le male abitudini della sua co
stituzione . v
L’ altro efficace‘ rimedio nelle sue ma
lattie, e conforto alla Vita, si furono,
com’ egli stesso afferma, ,le esortazioni, i
consigli, e la conversazion degli amici. (a)
Non v’è cosa, dic’ egli, che più animi e
ristori un’ ammalato, e che più gli tolga
il timore, e 1’ angosciosa espettazion della
morte! (b) Non credeVa di poter morire,
soggiugne , mentre superstiti lasciava gli
amici miei: per la qual cosa , pareami ,
che anche dipartendosi lo spirito mio dal
mio corpo, io sarei ancor vivuto, se non,
con essi, almeno in essi. (o) .
Seneca nell’ opere sue, di tal _foggia
parla dell’ amicizia, che ben chiaramente
dimostra, quanto penetrato fosse e com—
c 2 mos

( a ) Maltum mihi contulerunt ad bonam vale


tudinem amici, quorum adhortatiombus, vigi
liis, ſermonibus alieuabar. Ep. LXXVIII.
( b ) Nihil a-que . . . (eg-'um reficit atque adi”.
vat. quam amicorum affeñ’us: nihil a’que ex
ſpeffationem morti: ai: metum ſurripit. Ibid.
( e ) Non iudimbam me , cum illos ſuperflites
relinquerem, mori: putabam, inquam, me ui
ffiirum. non cum illis, [ed per illos. Epií’ſ
LXXVIII.
56
mosso da questa tenera, dolce, virtuosa
affezione, tanto pur necessaria alla feli—
cità terrena dell’Uomo . ñ
Non v’ ha 'dolcezza alcuna, diceva egli,
che la dolcezza vinca o paraggi d’ una fi
da ~amicizia! Che felicità di trovare un
amico disposto , in cui trasfondere i pro—
prj Segreti, in cui? più l’ uomo che in se
stesso s’ affidi, il- cui discorso allevj‘le cu—
:re ,' porga consiglio ne’ dubbj eventi; la
gioja dissipi la tristezza , consoli l’ aspet—
to e ricrei! (a)
Perchè però dall’ amicizia questi beati
effetti si producessero, dava alcuni saggi
avvertimenti, e alla scelta, e alla c0nser
vazion degli amici. Era anche a’ tempi di
Seneca, ,cosa rarissima un vero amico, e
molti anche allora erano non privi d’ ami
ci, ma d’ amicizia, -per la ragione che
l’ onestà non n’era sempre la base , onde
man

( a ) Nihil tamen wque obleñ'averit animum ,


quam amicitia fidelis EJ’ duícis. Quantum bo
'num efl, ubi ſunt prwparata peffora, in quae
tuto ſecretum omne de/cendat, quorum can—
ſcientz‘am mums quam tuam timeas , quorum
ſermo ſollicítudmcm leniat , ſèntentia confilzum
pxpedz'at. hilarítas triflitíam diffipet, couſpeffus
ipſe deleñ'et. De Tranquil. Auimi. Cap. VII.
. 4
mancar dovea almeno 'inf-una delle ’ſi parti
. ' b ..

contraenti' questo sacro legame, quell’un-i


formità‘ dí--'costumi "e- d’ inclinazioni *ehe
servano a mantenerloätabile e fermo. (a)
i Voleaìdunque egli, che l’amicizia fos—
` Se, 'pura, quale infatti debb’ essere, e `sen-ñ
za interesse. Tu “non dei coltivare‘ l’ arni—
co per ciò’ ch’, egli sia in’ istato d’ esercitar
‘teco utili ufficj , ma più tosto perchè tu‘
gli pozsa esìercitare con esso lui. Chi ama
l’amico 'per l’ utilità' “s’òl‘á" che ne può trar_
re, quando questa utilità venga meno, si
estingueràancor l’ amicizia. (b)
cz“ Non
‘z

/
(‘a ) Muttos tibi dabo, qui uou amico ſed ami—
eitia caruerunt. Hoc non ate/ì uccidere , cum
animos in ſocietatemjhaueſia cupiendi par vo
-luutas traliit. Ep.
( b ) Qui ſe ſpeä'at, propter hoc ad amici
tiam venit , male eogit‘ai . . . . Qui muffa
utilitatis aflumptnsfeÎ/l, tandiu placebit, quam
diu utilis fuerit. ai: r'e flor'entes amieorum
turba-eircumſedet; circa everſos iugeus ſolitu
dv ejÌED’ inde amici fugiunt, ubi probentur.
Sapixbns . . . habere amicum vult . . non ob hoc
ut habeat qui' fibi agro affideat , ſuemrrut i”
uiucula conieñ'o, vel inopi: ſed ut habe-at ali
quem, cui ipſe agro affideat , quem ipſum
circumventu/m hofliii cuflodia liberet. Ibid.D
1
33 .
Non iscegliere ad amico colui che sia
bersaglio delle tumultuanti passioni e vi
ziose,. perciocchè i vizj, siocome le cose da
morbo infette contaminan le prossime col
lor contatto, essi pur si diffondono. (a )
Prima di Sceglier l’ amico , rifletti bene'
s’egli-talez sia che ti convenga, scelto poi
che tu l’ abbia, a lui ti abbandona senza
nser

Di tali turpi amicizie, che Seneca chiama ami


cizie alla giornata, temperarias, ſecondo il
proverbio romano , non fu mai penuria. Da
cio quaſi a corollario derivali, che o falſe,
o per lo meno ſoſpette eſſer debbono le ami—
cizie oſtentate degli inferiori verſo de’Gran—
giìr e quelle giovanili ſcambievoli fra i due
e 1.
( a ) Quo:: ſcilícet ( amicos ) vacuos quantum
fieri poterit , a cupiditatibus eligamus. Ser
punt enim vítía , è" i” proximum quemque
trarçfilìunt, {'3’ Contaä’u nocent. Itaque ut in
peflilmtia, cavendum efl ne corruplis jam cor
poribus 89’ morbo flagrantíbus a Meamus, quia
pericula trahemus, afflatuquc ip o laborabz’mus:.
ita i”, amicor'um legendis ingem‘is dabimus op!
ram, ut qua/”minime inquinato: aſſùmamus.
De tranquil. Animi. Cap. VII.
Così pure il Re Sapiente:
Noli e17?,- amicus homim' iracmzdo, neque ant-'m
les cum vira furioſo: ne forte diſc”: ſemitas
eius, &’ſumas ſtandalum anime M. Pro
verb. XXII. 24. 25.
39
riserbo . Tutti i segreti 'tuoi esser debbo
no a lui palesi, tutti i tuoi pensieri:
parlar dei con lui' con quell’ istessa liber
tà con cui parleresti con te medesirno .
Merita il tradimento , chi teme traditore
l’amico, e tale che nol fu mai il diviene
talvolta accor ndosi d’ esser aVuto in so
spetto d’infe eltà . (a)
Varj sono stati gli amici di Seneca,
.noi parleremo di pochi, e di que’ sola
mente di cui possiam dar qualche notizia
al lettore .che più s’ estenda che al sem—
plice nome .a
Uno fra primi, oltre al filosofo Deme
trio di cui s’ è ra ionato , anzi per av
ventura il primo dl tutti, si fu Lucilio,
cui son dirette le 124. Epistole che ci ri
mangon di Seneca , i sette libri delle
Naturali Ricerche, e il Trattato della
Provvidenza .
c 4 - e Era

( a ) Diu cogìta, an tibi i” amieitiam aliquis


recipieudus fit: tum placuerit fieri, totum il
lum peffore admitte : tam audaffer cum illo
loquere, quam teeum . . . . Fidelem ſi pula
veris, facies. Num multi faiiere docuerunt,
dum timth falli : EF’ aliis jus peccaudi ſujpi
tando jecmmt. Ep, 111. ‘
40
Era costui ‘di poco più giovin (li-‘Sene—
ca , (a) nato di famiglia povera, (b) e
d’ umil lignaggio, ma Colla suaî industria
innalzato agli onori.‘ Perciocchè fu creato
Cavaliere , (c) Procurator di Sicilia, (d)
e incontrò molte illustri amicizie . (e)
Era uomo’ d’ incorrotta onestà, d’ animo
forte e generoso, sícchè trovandosi in Ro

(a ) Ego quidem percipio jam frulì’um, cum


m1hi fingo una nos animo futuros, EJ’ quid
quid mms meæ vigoris abſceffit, 'id ad me ex
tua, quamquam mm multum abeft,rediturum.
Ep. XXXV.
( b ) Liberalibus ftudiis me tradidi . quamquam
paupertas alia fuadet. Nat. Quaeſt. Lib. IV.
in Proem. Qui parla Lucilio per bocca dì
- Seneca". ‘ '
( c ) Iterum tu mihi te ufillum facis , Es’ di
cis malignius tecum egi-in naturam prius, Hein
de fortuuaan . . . i quid aliud e/ì in phi
lofophia boni , hang/Z quod [lemma ”on inſpi
cit. omnes ſi ad primam originem reuuceutur,
a Diis ſunt. Eques Romanus es, EF ad hunc
ordinem tua te perduxit induſtria. Ep".` XLIV.
( d ) DeleEì'at te, quemadmodum fcribis. Lucili
virorum optime, Sicilia , è’ offitium procura
tionis otiofæ. Deleffabit /ì continet-e idiutra
fines tuos valueris, nec efficere imparjum. quod
efl procuratia. Nat. Quaeſt. Lib. IV. in Proem.
( e ) In medium te protulit ingenii w'gor, fcri
ptarum elegantia , dum 55°- nobiles amicitiæ.
EP. XIX. ‘ _ “
4!
ma viventi Caligola e Claudio, Sotto l’im
ro de’ quali trionfavano i vízj tutti, e
dell’ ultimo, era i‘n grande onore -Narciso,
gran fautore de" vizj , non potè mai esse
re indotto nè dairegali , nè dalle lagri
' me, nè dalle lusinghe` femminili piùx-pe—
:ricolose ancor dei regali in cuor non vile,
a commetter azion men che onesta. (a)
Scr-isse un volume di cose filosofiche , che
Seneca loda a Cielo, paragonandolo ai li—
bri di Tito Livio, e d’ Epicuro. (b)
Era Poeta grandioso, e compose un Poe
ma che avea per titolo l’ Etna, (c) are
gomen— '

(a ) Leg i la prefazione al libro IV. delle


Naturathícerchc, ove di Lucilio fi teſſe ‘un
lungo e molto ingegnoſo elogio .
( b ) Librum tuum quem mihi promiſeras, ac
cept’, 69° tamquam leñ'urus ex’ comodo adape
ruí , ac tantum deguflare volui . Deìnde blan
dz‘tus efl ipſe, ut procederem longiur: qui
quam diſertus fuerz‘t, ex ho: intelligas [feet,
brevi: mihi mſus efl, cum e et nec mei nec tui
temporis, ſed qui prima a ſpeñ’u aut T. Li
oiz’, aut Epicuri pazze: vide”. . . De libro
tuo plura cum retraíì’auero . . . Non eſt quad
oerearis, uerum audies. Ep. XLVI.
' c( c ) Non e/Z autem quod iſtam curam imputes
mihi: morbo euim tuo daturus ”as , etiam fi
nemo mandaret tibi, douec Aetnam deſorfbas
m
42
gomenfo che veggiamo essere stato molto
caro ai Poeti. Lucilio mostrava nel suo
stile gran possesso della lingua latina. Scri—
veva con eleganza, e con mirabile preci
sione , non lasciandosi mai dalla vaghez
Za di qualche vocabolo, o\di qualche pe
regrina espressíone condurre, a dir più
di quello che di dire s’ era proposto. ( a)
Di lui non ci è pervenuto nulla, ove
si eccettui l’ uno o l’altro verso riportato
da Seneca, e noi ignoreremmo persino il
suo nome, se non fosse il nostro filosofo
che l’ha fatto immortale nelle immortali
opere sue, e nelle epistole singolarmente,
come gli avea in fatti Promesso . (b)
Un

in tuo carmine , 8”‘ hunc ſolemnem omnibus


Poeti: [acum attingas. Ep. LXXIX.
Sive ut apud te ium’or cariflime inuenio: Eleus
ficulís de fontibus exfilit amnìs. Quaeſt. Nat.
Lib. IlI. Cap. I.
( a ) Habes verba in poteſiate : non affari te
Oratio , nec Ion ius quam deſtina/ii trahit. Adul
ti ſunt, qui a idem quod non propo/uerunt
ſcribere, alimius verbi decor-e placentis vacan
tur; quod tibi non evmit: preſſb ſunt omnia,
EF’ rei aptata. Ep. LIX.
( b ) Exemplum Epicuri reſa-ram. Cum Idmeneo
ſcriberet . . , fi gloria ( inquit ) tangerís ,
notiorem te epiſtolae mea: facíent, quam il'ta
quae
_43
Un' altro grandissimo amico, di Seneca
e per avventura parente, fu Annéo Sere
no , a] quale diresse , come vedremo, i
trattati della Tranquillità dell’ animo , e
della Costanza del Saggio, dai quali ri»
levasi essere stato costui grande amatore
di Filosofia, Era` egli prefetto dellev guar
die notturne. di Nerone , e mori avvele
nato dai funghi, con tutti gli altri che
erano a quel convitto, ov’ egli si ritro—
vò . (a)
Seneca amava tanto questo Sereno che
‘alla sua morte sp’arse un torrente di la
grime , e diè in tali eccessi , che confessa
egli stesso poter servire di es'empic; fra
co o

quae colis, ö: propter quae coleris . . . .


Quad Epicurus amica juo potuit zar-omino”,
hoc tibi promítto . Lucili. Habebo apud pafie
ras gratiam, o/Zum mecum duratura nomina
educare. Ep. AI.
Vedi la bella e razioſa declarnazione prima
del Menchenío e L’Imrlataneria Eruditorum.
pag. 43. ove in una nota in piè di pagina
d’ anonimo autor franceſe ſ1 riporta queſto
paſſo di Seneca, ma guaſto, ma imbarberito,
ma dall’ originale diverſo. Va, e fidati poi
delle altrui citazioni l
( a ) Tertium genus ( ſungorum )Suilli{vcne
”is accomodatiflimi. .Fan-;lim ”up/”- interame
re,
44 ì ~
coloro che. vincer debolmente sì lasciano
al proprio dolore . (a) i * i
D’un'tal fatto‘s’ aocusa egli scrivendo
a Lucilio, e .dice che-il non aver preve—
dutaìla'morte di Sereno, che credeva a
ragion dell’, età dovere accader dopo la -sua
(quasi- il destino serbasse l’ ordin de’ tem
pi) era stato il motivo dell’-estrema sua
desolazione ›. (b)
Nonio Prisco fu pur amico di‘ Seneca,
e per questo motivo appunto esiliato dal
fl . " cfu...

re, Ea’ tata convivio. Aumzum Serenum pra*—


faffum Nerom‘s_ eigiium , 65' tribuuos Centu
riou'e/que. Qua’ uoluptas tanta autipitis cibi È"
C. Plin. ›Nat. Hifi. -Lib, XXII. Cap. XXIII.
Edit. Pariſ. pag. 281.
( a ) Hac- tibi ſcribo , is qui Annarum Sere
uum, eariſſimum mihi, tam immodiee flevi,
ut, quod minime oeiim, inter exempla jim eo
rum quos dolor oicit.*Ep. LXIlI’.
( b ) Hodie tamen fañ’um meum damno, ED’ i11—
teiligo maximum mihi eau/am ſie lugendì ſuiſ
ſe, quad uuuquam cogitaveram, mori eum au
te me poffe. Hoc unum mihi oceurrebat , mino
rem eſſe, ED’ multa miuorem: tamquam ordi—
nem fata ſeroareut. Ep. LXllI.
Tacito non fa molto onore a queſto Sereno,
dicendoci ch’ egli attendeva a ricoprir gli
amori di Nerone. Queſto Imperatore ne’ pri
mi tempi del ſuo dominio, diſgul’catoſi dell
mo
. 45
crudele Nerone. (a) L’ amicizia e gli
ajuti del nostro Seneca, fecero fiorir con
lustro in Roma lo scrittor delle storie de’
suoi tempi Fabio Rustico , delle quali
molto sì giovò per le sue l’ immortale
Cornelio Tacito. (b)

E per—

moglie Ottavia, amava focoſamente Atte Li—


berta, Donna bella e vezzoſa: ma ſiccome
era tenuto in gran ſo gezione da Agrippina
ſua Madre ambizíoſ [ma femmina , come
avrem luogo d’ oſſervare a ſuo tem o , non
ardiva paleſare i ſuoi amori .' Perche dunque
queſti rimaneſſero occulti, Annéo Sereno _fin
gea d’ eſſer innamorato di queſta Liberta egli,
la corteggiava, e -la regalava alle ſpeſe però
del Principe .
Ex cujus familiaribus ( Senecae ) Annéus Se
reuus, ſtmulatione amoris adver/us eamdem li
beri-‘am, prima: adoleſcentis cupídínes ”Plaue
rat , prtzbuerutque nome”; ut qua’, Prince-*ps
furtim ”mlíercula’ tribuebat. ille palam [argi
1"etur. Tac. Anna]. Lib. XIII.'
( a ) Nonio Priſco per amícztiam Seneca?, Ea’ Gli—
tio Gallo atque Annie Pollíoni infamatis ma
is quam conviffis data exfilía. Id. Lib. XV.
( i? ) Fabíus Ruſtica: auñ’ar efl,ſcr1ptos eſſe ad
Czeinam Tim/cum codicz‘llos, mandata ei Praz—
toriarum cohortium cura , ſed ape Seneca? di
gnationem Burrho rete-”tam . . . Sana Fabius
z'nclinat ad laudes Seneca’, ' cujus amicixia flo
ruit. Id. Lib. XIIL
46 .
E percíocchè noi scriviamo la vita d’ un
filosofo, e d’ un filosofo letterato, non sa—
rà, ío credo, nè inopportuno, nè discaro
al Lettore, il dir qualche cosa e del si—
/ stema di Seneca in filosofia , e del meto—
do de’ suoi studj, e delle massime sue
a questo proposito , che servir possano
d’ istruzione a coloro che abbandonati i
tumultidel Mondo, alla dolcezza si vol—
gono delle lettere . Non perderò molte
parole a provare che" la setta stoica fu
quella ch’ egli, se in tutto non seguitò,
ebbe più certamente in affezione e in
onore: cosa che si manifesta in tutte le
opere sue, ove ne approva encomia ri—
schiara e difende i dettami. Infatti egli,
ad esempio, insegnò che tutti i sapienti
sono eguali, (a) che tutte le virtù egua
li sono fra loro: (b) che il saggio è bea
to ancor fra i 'tormenti 5 (c) che l’ uom
mal

( a uicuu ue fueriut
Ù)wQuales.qu. ſa ientes, pares erunt
LXXIX.P
(,b ) Ergo uirtutes inter ſe parer ſunt, EJ’ ope
ra uirtutum , Es’ omnes homines quibus illa
contigere. Ep. LXVI.
( c ) Poteram reſpondere quod Epicurus ait, ſa.
pientem —ſi in Phalaridis tauro peruratur, ex
clamaturum: Dulce cſi, ED’ ad me m‘l pertiuet .
Ep. LXV]. ~
4?v
malvagio privo non è di nessun vizio;(a)
’ed altri simíli dogmi in gran numero ch’
jo tralascio per non infastidire chi legge ,
e che dalla scuola dì Zenone derivano,
della Setta stoica primier fondatore . (b)
Che

,
( a ) Qui "malus efl. nullo vitia caret. Lib. IV.
` Cap. XXVLDe Benef.
(b) Senec. Ep. LXXXIII. Lipſ. Manuduft.
ad Stoic. Philoſ. Lib. IÌI. Bruch. Hifi:. Crit.
Phil. P. II. Lib. II. Cap. IX.
Alcuni di queſtí dogmi però, o paradoffi che
fi voglian chiamare , che ſuperficialmente con—
fiderati , o ſciocchi appajono od empj, n01
ſono per avventura in tutto, chi voglia
confiderargli ſecondo l’ idea che aveano gli
ſtoici della natura dell’ anima umana , e vo—
glia dar loro una ſpiegazion più benigna,
come potrebbe moſtrarſi con qualche eviden—
za, ſe uefito ne fofi'e il luogo. Seneca cer
to
niuns’ paradoſſo
o riva adſtoíco
un biſo’
ì e er o falſo,
di dimoſtrare,
nè tanto
maravíglioſo , uanto a primo aſpetto aPPañ
riſce. Quorumx paradoxorum ) rmllum effe
-falſum, nec tam mirabile quam prima facie vi
detur, cum ”ohm-is approbabo . Ep. LXXXVII.
Vedi pure Agatopiſto Cromaziano dell’Iflo
ria e dell' Indole d' ogm' Filoſofia . Vol. IV.
Cap. LX.
Ciò per altro fece con zelo maraviglioſo Giu—
ſto Lipfio ( Manuduü'. ad Stoit:. ,/thl. Lib.
III. ) della Setta Stoica adoratore Sovrano,
e pri
43 ’
Che se gli altri argomenti mancassero
a provar Seneca amatore. o seguace' della
setta stoica, il dichiarerehbe la cura ch’
ei prende di difenderla dalle accuse che le
venivano opposte. S’imputava, ad esem—
‘ 'l ` P107

e prima ancora che Seneca foſſe al Mondo,


il grande Oratore e filoſofo Marco Tullio,
tanto meno ſoſpetto, quanto egli era Ac'ca
demico , e d’ una ſetta alla Stoiea nemica.
Egli trattò alcuni paradoſſi ſtoici a ſar pro—
_va ſe capaci foſſero degli ornamenti dell’
eloquenza per guiſa che venifl'ero arammor—
bidarli e a ſpogliarſi di quella ſtranezza che
ne rendea ſchife le orecchie del volgo, e
uindi poteſſero introdurfi nel Foro, e ſo
lenerfi dinanzi al popolo come utili e ſane
'propoſizioni, E tanto più volentieri ciò fe—
ce, ſcrive egli, quanto gli pareano queſti
paradoffi, ſocraticieveri. líaque /crz’pſi [ibm
tz‘us, quod Mila' . . . . mamme videntur effe
ſocratica. longeque verifflima. Che ſe talvolta
il buon M'arco, e ſingolarmente nell’ Orazio—
ne er Murena contro allo Stoico Catone,
mo ra diſprezzo di quelle propoſizioni me
defime che uì difende, s’ oſſervi che l’ in—
tereſſe, dell’- ratore è diverſo da quel del Fi—
loſofo . Queſti ha ſolamente il vero per mi—
ra, quegli fi contenta ancora del verifimilc.
Anche in ualche opera filoſofica , moſtra
Cicerone poco favore agli ſtoici precetti. ma
egli è allora che lo ſpirito di partito e la
rivalità della’ ſetta ſono col ſuo cuore in
con
’ 49
pio, agli Stoici, d’ essere contumaci, di—
spregiatori de’ -Magistrati , e de’ Principi.,
-cui sdegnavan persino di porger consiglj z
di non sentir pietà e commiserazione de*
gli infelici: ma egli dicea che queste era.
l l . i no`

contraſto, e ne trionfano . In alcune altre


nondimeno , e ſingolarmente nel terzo e quar
to dei Fmi, in alcuni luoghi delle Ricerche
Accademiehe e delle Tuſeulane, e fingolarmen- -
te dove parla in propria perſona, come vin
ſul finire del libro llI..della Natura degli
Dei, aſſai favorevol .fi moſtra alle floiche
dottrine . \
Ma ſe non ò gran fatto difficile il moſtrar ve
ri e plaufibili per la maggior parte i para—
dolli ſtoici , ſpogliati che ſieno una volta
della ruvida loro ed oſcura corteccia: ( che
che dica Plutarco in quel ſuo Trattatello ove
moſtra, che gli Stoicz vanta” coſe più aflurde
ed ”zcredibili the non i Poeti medeſimi; e in
quell’ altro ancor pi‘u ſan inoſo delle Camu
ni Nozioni ove tutta la fñäſolía ſtoica ſi ten—
ta d’ abbattere ); non ſarà poi tanto facile-il
togliere o l’ addolcire le contraddizioni in
‘cui caddero i più celebri Stoici,,.e fra queſti
Crifippo, il quale per un orgoglio imperdo
nabile, mentre volea far man bafl'a , 'e con
vincer d’ errore i partigiani dell' altre ſette,
miſeramente i fondamenti abbattea della pro—`
pria, come moſtrò ad evidenza Plutarco me—
deſimo, nel ſuo Commentario delle Ripa
guanze degli Stoiei. Mail peccato di diſtrug~
ñ gere
L
5° 7 , ’
no ciance degl’ imperiti , ehe anzi al ,con
trario- gli stoic-i `amavano i Principi e i x\
Magistrati, perchè la loro mercè era lor
dato diſmenar Vita pacifica e libera; ch’
erano amatori dei vloro simili,- e presti a
soccor‘rergli ove il bisogno il chiedesse, e
coi çonsiglj, e colle sostanze medesime_.
(.11) Dicea finalmente, e una tal proposi—
- r zione

gere i‘proprj dommi per íspìrito di orfgo


lioſa contraddizione, pare che peculiar 0ſ—
1e de’ ſeguaci dello ſtoiciſmo , e non ne fu
eſente nè pure il noſtro Seneca, il quale c0—
mechè conoſceſſe e confefl'aſſe i molti difet—
ti della,Scuola di Zenone, non ſ1 ſeppe pe
rò in tutto aſtenere da queſto, come avrem
occaſione di oſſervare a ſuo luogo .
a ) Errure mihi videfltur quì exzſlzmant phi
loſophim fidelìter dedxtos , contumaces efflè ac
refraffurios, EJ’ contemptores magiflratuum aa
regum , eorumque per quo: publica admin-i
flmntur. E contrario enim, nulli adverjus il
los gratiores ſunt, nec 'imma-rito. Nullis enim
plus pnt/laut. >21mm quibus frm‘ tranquilla otia
licet. Ep. LX HI.
Scia male audit-e apud imperítos ſei-?Tam Stai/:o
rum, tamquam m'mis duram, EQ’ minime prin
cípíbus regzbuſqm bonum datumm conſilium.
Obiicitur enim illí, quod ſapienti-m negat mi
ſereri, nega!? ignoſcere . . . . ſed nulla ſeñ’î
beníguior lenim’que eſl, nulla amantior hami
mt-m, EF' commubus bom's attentior, 'ut propa
jítum
'5.1
zione il palesa più‘: stoico che mai, ,che
fra la setta stoica e le ’altre quella "diff-3;. -
ſenza ,ci era che, fra il gent-il sesso -e, il
virile; che il primotera nato' ad `ubbidi
re,…l’ ,altro a comandare: (za) sebbene
in quiesta saggiavdisposizion naturale a‘
nostri tempi s’ osserviesser nati de’ gran
cambiamenti . v
Ma comechè seneca’fra. i Filosofi Stoí
ci meritamente e dagli antichi e dai mo
derni Scrittori _venga annoverato , ben
molto’ si dilungherebbe dal vero chi si
desse a credere ch’egli della Setta Stoica
ligio fossejy e seguace per forma, che mai
2 ` i non

:tum /ìt uſui eſſg 55’ auxìíio . De" Clement.


ib. II. Cap. V. - - -
In fatti non isbandivano gli Stoici dal cuor del
filoſofo che l’ inutile compaffione, che non
ſa che nutrire ed accreſcere il dolore dell’
infelice . Ma al contrario la compaſſione at
`tiva dirò così, che confiſte nel porger ſol—
lievo ai miſeri, o colle ſoſtanze, o coljcon—
figlio , o coll’ opera , era voluta e comandata
da loro .
( a ) Tantum inter .floícos , Serene , EF ceteras `
ſapientíam profeſſos iiitereſſe , quantum inter
faeminas ED’ mares , ”ou immerita dixerim;
cum utraque turba ad vita: ſocietatem tantu”
dem conferat . ſed altera pars ad obſequendum ,
altera imperio ”ata eli. De Conſt. Sap. Capi.
5.2 l ~
non’tentasse
’ non' ſi’anzi di aimettere
suoì dettami d’opporsi,
in derisione e
certe
massime degli Stoici a vero" dire ridicolo
se, e"certe OZÌOSC e pueríli quístionis
Che piuttosto mostra che-molto gli stesse
a cuore d’ informare la‘ pesterità di quan
to ora io dico, perciocchè egli più e più
volte il ripete_ dioendoci, ch’ .egli non s’
era venduto a niuno, che di niuna setta
non portava il_nome…: che molto attribui—
Va al giudicio degli uomini grandi, ma
qualche cosa anche al suo : ch’ egli nel
mondo filosofico viaggiava da se solo, non
condotto a mano da -altrui, e per una
strada tutta sua: che però seguiva i pri
mi maestri, sì però che-e molte cose in
’ventava, molte ne cambiava, ed altre ’ne
abbandonava. (a.) Che finalmente que’
Maestri primi avean lasciate ai posteri,
più che' le ècoperte `loro le loro ricerche,
onde questi ultimi campo avessero di sco
ñ prir

( a ) Licebit uni‘ cadere . quod magi: heteſſà


rium ejl per ſe eunti , ED’ ſuam ſeguenti mam.
Non ergo ſequar priares? lucio . ſed ermitto
mihi. EF invenire aliguid, è’ nuotare, _ retin
quere Ep. LXXX.
, 53
prirnuovi paesi; ,(0,7 Sarebbono, , diceva
e.g li 7 P er aVventu'ra _state
. ` da’
.` nostri
, ma,8-
gior: scoperte “le verita piu necesgarie ,
ae, non avessero_ gittato il tempo in ricer— .
che superflue, in pure dispute di paro
le in cavillose uistioni che esercitano
ñ ’ n , I ’ o ó

inutilmente l ingegno, (b) anzr a lur


son di danno, perchè se ne diminuisce e
debilita I’ indole ’enerosa fra ueste an
.. . s .
gustie ristretta. (c) 1
Nel che egli intende 'parlar degli Stoi
ci, cui gentilmente ~deride in più luoghi,
Ò quando ‘mostrar volevano ,’ non’ come ciò
o‘ . I
Convemva mostrarSI , ma con certo loro
sofisma che non era un male la morte:
( d) o qualor domandavano se il bene ab
d 3 ' bia
( a ) Non enim me cuiquam maucipavi, nuliius
_tuomm foro: multum magnorum virorum judi
cio credo, aliquid 85’ mao ”indica . Nam illi
quoque non inventa, ſed quwrmda nobis reli
Zuermt. Ep. XLV. q
3 ( ) Et inueuiſſent far-ſita” necqfflaria , miſi ED’
” ſuperflua quae/íffint. Multum, illis temporis ca
villatz'o eripuit, ED’ captz‘aſa: diſputationesñqmz
acumen irritum exercent . Ibid.
( c ) Hoc tibi cum Uoles , mam‘fefizffimum fa
n ciam, commínui 85’ debilitari generoſam inda
[em, in i/ìas argutz’as conieñ'am. Ep. XLVHI.
( d ) Nullum malum glarioſum e/i, mors/ autem
glorioſa cſi, mars ergo non cſi malum . . . .
.
_. -
‘1 J E
`non, l

x’
v 54 .- _
‘bia' corpo, (a) Se il sapìent'e possa-gìova‘r
ſi'aIP‘àltrO'sapiente, (b) se la sap’ienza es—
sehdó uh bene , …ed avendo corpo ,— anche‘
’il sapere ‘síá un bene edghbia corpo. (c)
Se le Vírtù- sìeno animali, (d) con altre
\ Î_-Î-....J I. . " " ..l .:k-jeep.:

l 4 .*' " , * e ` › *'~ ‘


12'.l* uv‘.'-' "_ ‘_
,, 'han uis._ſeuerius 12?…“ , *nel: marituro Îrzfifin
` ſi movere? Ep. LXXA II. ` ""
( q ). Bonum prodi/L_ facít enim : quad fim‘t,
~ corpus efl, ergo EN... . . Latrunculis ludimus .
«Ep.CVI._ f… .
( b ,) A” ſapiens ſhpímti profit, ſci” defiderqs
r. . . . ‘Toties enim illo ”vel/*tor: ’quid :ſia me
res jmzat?v Ep. CIX…
ì 'c ) Sapientiam banum eſſc dícunt: `ſequitum ut
~ì neceffè fit illam corporate-m ququ dice” . \ A:
apere non gru-tant ejujdem conditiohis eſſe.
‘ Tranſmrramus ſolertzffimas n gas , EJ’ ad illa
quw nobis al!“ uam ops-m ſunt atum, prepara
mus. EPL C VII.
( al ) DÒÎ/zderas tibi ſcríbi a me quid jentz'am de
ha”; uwflíone'jañ'ata apud noflros: an juflitia,
a” ſgrtitudo ”tem-’que virtutes , Mimuth /int
. . . . Non pqfflùm hqc loco dice” illud. Ceci
líanuìn. O triſteá ineptiashrtdimlwſum. Ep(
CXIII.- ñ ` ` " 'W ‘
"Dopo ciò evidentemente ſ1 ſcorge, rome male
abbia inteſo Seneca l’Autdr Franceſe della Vi—
ta di lui ſtampata all’ Aja 1’ anno 1779.; ove
gli rimprovera , d’ aver gittato il ſuo tempo
a provare che le ,virtù jim corporali, quafi
Seneca ciò fatto aveſſe da buon felino, e
*non per burlarfi` di ç‘otali ſofiſmi degli' Stoi—
ci, com’ è tror; o chiaro .
I
55
ricerche più ancora di questa puerili, del
le quali a lungo ho parlato in altra‘ ope
ra mia. … , .ñ ` . ~
E non solamente egli derideva e s’ op—
poneva agli Stoici in generale, nga ai due
più rispettabili fra‘ loro, Zenone e Cri;
sippo. (a) Che dov’ egli, come avveniva
pure spesso, cogli Stoici sÎ accordaVa in `

certi principj (era finalmente la setta. stoi—


ca, la più ragionevol Setta, e la più- vir
tuosa di tutte l’ altre malgrado de’ molti
`Suoi errori) (b) protestava ciò fare `, non
(l‘4 già~

( a ) Audi quemadmodum Zeno vir maximus,


hujus jeä'w fortèfflímw ac /anfflffimw conditor
. . . .cult nos ‘ab ebrietate deterrere . Ebrio
ſacre-tum ſermanem nemo committz‘e: vira autem
bono commitn‘t: ergo 'vir bonus ebrms non erit .
Quemadrríodnm oppofita interrogatione ſimili
det-ideati” , attende. Epíl’c. LXXXIII. -
Chyſippus quoque. . . . tatum librum ſum” his
ineptiis replet. De Benef. Lib. I. Cap. HI.
Seneca però ingenuamente confeſſa, ed ha ſat
to buon ſenno a confeſſarlo, di conoſcere
che a lui pure s’ era, non volendo, la mn
`nia greca attaccata di cavillare in frivole qui
ſtioni e ridicole. K -’ o
Libet enim, Lucili óirorum optime , ridere ine
ptias Gran-as, qufls mndum, quamuìsmirer,
excu `. Epiſt. LXXXH.
( b ) 'autore dello Spirito delle Leggi, .il ce
lebre
56 e
già perchè una legge si fosse imposta, di
non i mai sostener cosa alcuna’ contro' le
opinioni
--ì di Zenone
' ſi e di Crisippo, mac per
è

lebre Monteſquieu, dice , che s’ egli poteſſe


un momento ſolo dimenticarſi d’ ’eſſer Cri—
í’ciano, non potrebbe a‘ meno di non mette
re la diſtruzione della ſetta í’coica nel ruolo
~ delle diſgrazie dell’uman genere. Si je pou
oois un moment cefler de pen/er que je ſui!.`
chrítien, je ue pourroís m' empe‘cher de met
tre ta'dfiìruffiou de la ſeEt'e de Zeno” au nom—
bre des malheurs du Genret humain. Eſprit
des Loix. Tom. Il. Liv. XXIV. Cap. X.
“g' 339: . .
E Marco 'l ullio Cicerone medefimo, comechè
fofl`e accademico , d’una ſetta cioè che nien—
te oſava affermare, e dubitava di tutto , fa
grande elogio alla ſtoica ove dice: ſententiis
tamen utendum ( floicorum ) potifflìmum, qui
~ forti, E9’ ut ita dzcam, uirili utuutur rotione,
atque ſeuteutia, Tuſcul. Quaeſt. Lib. III. Ca Io.
Il ‘gr-ak; Luciano però, nel ſuo piacevolil ſmo ’
ialogo
che ſette,ove
ha mette
ſaputo all’ incanto
rilevar tutte le filoſofi
deſtrarſſnente i di—
fetti e i cavilli dello ſtoiciſmo, come pure
'in quell’ altro che ha per titolo Ermotimo,
ove ex profeſſo combatte la vanità delle dot—
trine ſtoiche , e fi ride della reteſa felicità
che promettono . Ma*qui fi o ervi che Lu
ciano è forſe il maggiore ſpirito forte di
tutto il Paganeſimo ,- e certo il più empio
( ſe empio a buon diritto fi può chiamare
x colui
5?
chè. la ragione e l’ intimo suo sentirnento
così volevano. (a) ~ .
Egli ‘anzi abborriva assai lo spiritîo di
partito, che tanto nuoce a’ progressidella
filosofia. Se gli antichi, diceva egli, sco—
perta avessero la verità', e convenissero
* insieme nel riconoscerla, noi` allor non dofl
’ ' vrem— .

colui che non potea prgſtar fede a que’ ſof


i che gli Etnici
Èldivinità, predicavano
e intorno e intorno
alla ſapienza al—
) e ch’
egli s’ era propoſto di_ diſtruggereco’ ſuoiv
ſcritti tutti i ſitterni di Religione e di Filoz
ſofia, 'ſenza nondimeno fabbricarne egli ſteſ—
ſo niuno. Nel tempo però che dava la cac—
cia _ coil’ aurea ſua penna a tutte le -ſette , e
con più calore alla ito/Lea , proteſtava egli
- moſtrarfi- più nemico di queſta che non dell’
altre tutte, non erch’ egli odiafſe gli Stoici,
ma perchè com attendo e vincendo queſti
che erano i filoſofi più ſaggi del mondo, fal
`cile ſ1 promettea la vittoria ſu tutti gli altri _
-dell’ altre ſette.- Vedi 1’ Ermotimo …ed altri` ~
dialo rhi di queſto leg iadro Scrittore , ’nella
belli una traduzione ranceſe di Perrot Sr.
d’AbIacourt. Tom. I. x
( a ) Hier: flaicis qaoque piacere oflendam, non
quia legem díxerim mihi nihil contra diffuſi:
Zenanis Chryſippiue committere , ſed quia res
ipſa patina-;me ire in illoram ſententiam .
quam ſi uisjempereji.unius
X213(jedqfañ’ianis ſequitur
De Otio . nonCap.
Sapient. id

M\
53 ,
‘v‘remrrió- Per conto alcuno o cangiare ,` 0‘
dissentire dai loro decreti: ma noi' inscom
pagnia dei' hostri maestri ne andiamo in
‘traccia', (o) ~ ` 'é ' r

Odiava Seneca~ P imitazione servile -nel—


le` cose filosofiche singolarmente . Voleva’
Che i‘ filosofi antichi fossero maestri e du
ci, ma non padroni. Dicea necessario es—
sere di .prender ,quella Strada ch’wessiffi ir;
cerca della
processov ,unaverità presa
l l’ uom aveano, più
‘ne trovava_ ma se in
com—
pendiosa e più piana, l’antica lasciar do—
vea
che esi prender-la "nuova.
ost‘inaſia ‘non (b) Infatti
dissentir mai' colui
dagli
autori che Si‘ è Proposto `a modelli, e sì
cuopre, cOme dice Seneca, dietro l’ ombra
d"altrui., non sarà., autore giammai, sarà
’ ſ '~ > \ sem—

'(_d ) Utiuam quidem jam tenere-Mur omnia, ‘ED’


inoperta ac conſt-17a veritas cſſet! Nilzil ex de—
cretis'mutaremus : uu”: veritatem , cum ris
ip/is Wales-mt, quaerimus. De Otio Sapient.
Cap. 7 _
` (v b ) Quid ergo ‘è non ibo per priorum "veſti
gia? Ego vero utar via veteriſiſed ſi‘propio
rem plauioremque invenero , hauc muniam .
Qui ante nos ifla moveruut , 'non domini uo—
flri, ſed duces ſunt . “Poter, omnibus veritas;
nondum e/ì occupata; multum ex illa etiam
futuris relift’um cſi . Ep. XXXllI.
I

l.
' , , . gg ' l

Sempre’ Îufl `vile 'interprete, ſal‘àÌ.pompa di


buona.mem01'ia,'-1nañ non` mai di giudicio,
'e _d’ _ingegno . cosa turpe, diceva. egli‘,
iI veder-.certi ’vecchibarbogj ‘che sclama
:tro: oh".Zenone ha detto-così, così‘Îhá-*dets
'to ‘Cleantei sì bene 'così han'dettoſiCle‘an.:
' 'te e Zenone, ma tu però che :di tu?
’sfoggiaì-qualche Cosa del tuo. Non ci saràJ
mai diversità ninna fra te e il tuo libro?
Sarai sempre discepolo?~ Non-…Sardi..mai
padrone di te medesimo ‘.2 dirai gexnpre
cose che sì posson leggere in mille* Yolu—
mi 2 -.( a) . , x . ,v
Chi -ìservilrfiente `;imita , non aPpor
‘te'rà giovamento i alle ' Scienze .' Imperocchè
Segue-.firmo modello-in “quelle cos‘e ,’\ ne]—
—le .quali -Lutti da vlui .díssentirono‘,. e -il
segue‘ 'ancora' in quelle 'ché-*attuàſhÎente si
cercano ,- ondev ngnflìnventerà mai cosa al
cuna ,’ se ’delle’ _'íìníeſintgte sarà contento .
‘ - fl' \ - 'ì' ' ,'...le
U f ‘ ‘\ .

~ ( a ) Onmes itaque iflos nunquam au‘ä’ores, ſem


, per interpreies, ſub aliena umbra lat'entes, nihil
puto habere genero/i. . . Memoriam i” alienis
exercuerunt . . . Tur-p: e/Iñenim ſeni . . .;:ex~ cam
mentarío ſapere. H0: Zma dixit, tu, ìquid ?Hoc
Clemzthes,v tu quid ? . .a . aliquid FQ’ de tuo
prof” . Alíqmd inter-fit inter te , è" librum.
Quouſque diſces .9 jam EF prwcipe . uz'd elfi
~ qua” audiam quad legerepoſſum?EP-. XXll .
So .
Oltre a ciò, chi segue altrui, niente ri*
trov’a, anzi niente pur cerca; (a) onde
n'è niuna verità mai produce, e non ènè
pure `in- istato di ’smasche‘rarek la falsità
che delle spoglie del vero pur troppo spes—
so 5,’ ammanta, ed inganna ipiù esper
ti. (b) 1 ` `
'ì' - ` r *~ ‘ "Ama*
‘o

( d Adiíce nunc, quad qui ”gl-”quam tute


' w ſum fiunt, primum in ea re ſequuntur pria
res, in qua nemo non a priore def/tivi” dei”
\,flde:z'” ea re ſequunmr, qua* àdhuc quwritur,
nunquam autem invenietur , fi contenti fueri—
_ mus z'nve-ntìs. Ep. XXXIII.
Î. ('b ) Intorno a queſti ſervili imitatori che nul—~
’la/ 'inventano, e -ciecamentejpprovano le
--altmi invenzioni, ~oltre al noto -ſervum pe
cus‘, è bello un palio del Cicerone .Criſtiano,
'voglio `dir di Lattanzio, il quale nelle ſue
Origini dice ecsi:""Quare cum ſapere, idefi
`“I/erz'ltatem qua-re”, omnibus fit innatum , ſa—
pzì‘eaxtiam ſtbi -adimunt quà' ſine ullo judioz’a in
venta maíoru'm probant, EJ’ ab ali:: perudum
ma” dutuntur, il qual paſſo ricordami, que’
divini verfi di Dante, nel terzo del Purga—
torio; , - .
,, Come le pecorelle eſcon del chiuſo
,, Ad una, a due, a tre, e l’ altre fianno
,, Timidette atterrando l’occhio e ’l muſo,
,, E ciò, che fa la prima, e l’ altre ſanno,
‘ ,, Addoſſandofi a lei, s’ella s’ arreſta ,
,, Semplici e` quete, e lo ’mperchè non ſanno :
\ .

ì"
6t
'Amava dunque Seneca la setta stoica;
come la migliore dell’ altre tutte, e come
la più conforme alla maniera sua di pen
’care, ma non n’era ‘SChÌaVO per conto al
cuno, come abbiamo veduto .
Dell’ altre sette era pure a meraviglia
informato, ne meditava gli autori, e gli
volgea a suo profitto, e fra` questi Epi—
CUI‘O medesimo, ſondator d’ una setta la(
piùppposta di tutte alla stoica, almeno
in apparenza. Io ho in costume, scriveva
egli a Lucilio, inviandogli a meditare _una
massima d’ Epicuro ,‘ di passar talora ne—-`
gli altrui accampamenti, non qual fug
gìtivo, ma come esploratore. (a)
Lodava il buono in tutti gli autori di
qualunque, setta essi fossero, perchè ama—
va di vero cuore la scienza, e non istu—
diava per ostentazione o per fasto; Il che
parrà a talun cosa nuova, che imbevuto
della lettura e delle massime pregiudicato
di Dione, e d’ altri che Dione han segui—
tato, ha in conto il nostro Seneca d’ uo
mo che nell’ apparenza più tosto che in
altro ,

( a ) 0diernum hoc eſt, quod apud Epicurum


uaffus ſum. Soleo enim, EF’ iu aliena caſtra
tran/ire, non tanquam transfuga , ſed tauquam
ea‘plorator. Ep. H.
6.2 -
altro, buona parte ponesse di sua filoso
flag': Se .v’ -è alcuno che d’ o‘diar mostri
1’ ostentazion filosofica, certamente egli_ è
deèsq, .deridendo coloro che a comparir
dotti e studiOSi, nel vivere e nel vestire
diversamente dagli altri, si fanno per emil—
le stravaganze mostrare a dito ._ Le vesti
sordid‘e, la barba lunga e icapelli, lo Star
lÒntano dalle colte brigate, il far pompa
di dormir sul nudo terreno, di nutrírsi
di cibi non pur, vili- ma schifosi, erano
tutte cose ch’ egli *non che approvaSse,
condannava altamente'. ſ( a) -
volea. che .il vero Saggio fosse nell’ in
telletto e nel .cuore diverso dagli altri, ma
.non già nel di fuori,,e in quelle cose che
indifferenti sono, e conformi all’ uso uni—
v'ersale. Che la sua -vita' fosse migliore di
quella del volgo, ma non opposta; per
non tirarsi addosso l’ odio e il disprezzo
di coloro che veder vorrebbe emendati , e
› cm

( a ) Iiiud autem te admoneo, ne eorum more


qui non proficere, ſed can/pia' cupiunt, facias
aliqua qux 2-” habitu tuo, aut genere vita’ no
tabelia ſunt. Aſperum eultum . intonſum ca
put , uegligentiorem bar-bum . . . devita v
. . . EF’ eibis non tantum vilibus uti, ſed te
tris 85’ horridis. Ep. V. ’
_ 63
cui molto :potrebbe giovar -col suo esem—
pio e colla sua saggia condotta. (a) Non
siail saggio troppo del'cibarsi e del ve
stírsi studioso, ch’ è soverchia dilicatezza,
ma non rifiuti nè pur- le cose che sono
:in pronto, ch’ è vera follia. (b) Sia in som—
ma conversevole, .dolce ed umano . (c)
In quanto al metodo poi che‘Seneca
serbava ne’ suoi studj, egli puòessere
d’ istruzione e di norma ai Letterati. Non
lasciava mai passar giorno senz’ applicarsi
allo studio, e non sólamente il giorno vi
si applicava, ma buona parte ancor della
notte; nè al sonno si abbandonava, che
quan—

( a ) Id agemus, ut nzcliorem oitam ſequamur


quam uulgus, uou ut contrariam: alioqui quos
unmdare volumus, ſugamus 69’ a nobis averti—
( aims . . . lntus omnia oliflimilia jint , fra-ris, \
rio/ira populo conueuíat . . . ſatis ip/um uo~
meu philoſophiw. etiam ſi mode/ie traffitur, in
vidio/um eji. Quid fi nos homiimm conſuetu
dim' cwperimus excerpere? Ep. V. '
( b ) Quemadmodum delicati-rs res deſiderare ,
luxuriw eſt: ita uſitatas &‘"uori mag-no para
biles fugere, dementi” efl. Ep. .’
( c ) Hoc primum philoſophia promittit, ſenſum
comunem , humam'tatem , congregationem , a
qua profeflîoms diſſimilitudo ſeparali”. Ibid.
64 l
i,
quando la necessità lo vincea. (cn-Men—
tre" era immerso nelle dolci sue medita
-zióni , più non ai ricordava degli uomini,
e i proprj affari medesimi poneva in ob—
blivione, ~tutto occupato, com’ egli diceva
de’ posteri , (b) non men che, come vo—
gliamo interpretare senza malizia , dell’
eternità del Proprio nome. (c) In que’.
* can

( a ) Nullum mihi per otium dies exit: partem


noñ’ium fludiis umdirq; non uaco ſ0mna,dèed
1 ſuccumba, 85' òculos .vigilia fatiqatas ca n
‘ teſque in opere detinea. Ep. VIII.
( b ) Seceffi non tantum ab homimbus, ſed etiam
. a rebus, EF’ pri/”um a meis. Pojierorum m*
gotium ago: illis aliqua qua’ poflint ,prode e
conſcribo .r Ibid.
l ( c ) Il deſiderio di gloria, ove ſia riſtretto
fra giuſti limiti, non è che lodevole, ed è
le plù volte ca ione ,K delle più utili impreſe
. degli uomini . è queſto deſiderio debbe con
fonderſi, colla brama d’a parer dotto e vir—
tuoſo più tolto che dÎ effgre, al ſolo fine di
venir rixutato e diſtinto dagli altri, la qual
ſempre vizioſa. Il Saggio amar dee la ſa—
. pienza a intendimento precípuo d’ eſſer utile
’- agli uomini, e Seneca proteſtava, che ri—
~ ,nunziato v’ avrebbe ſe a condizione 1’ aveſſe
polſeduta di non giovar con eſſa agli altri :
che tale è il ſentimento del paſſo che ora
ſon per addu re, ficcorne fi rileva da tutto
il conteſto dc a lettera VI, donde fi tigre .
. ~ ‘e
\

. … ’55
'cal-imminenti ninna-,COSA il potea dislrar—
re , rod` _essergli di niolestia…›Non ,il fremi
to e` il clamor delle genti, non il fracasso
de’ cocci-li,- non il martellare de’ fabbri-ja)
~- mario e@ ol nanna, . Il’, Nè,
*12“- Émn‘ r " "-h."
'l 1 (v "` ?fw-.fla
-` '
. 1 — ~ ì J 7

'-’ 'Si' cu'ni exceptione dem"- ſupíentia,“ut illa?”


.‘\. ineluſam_ teneam mc Mantieni, reiiciam.; Rouſ—
ſeau condanna di vanagloria ‘quella @ſpremu
ne di Seneca, ed ſclama con enſafirſubl‘i
me ' hilo/bphie, voila dom: ton uſage! Nóìîvel
` le ~eloiſe’. Tom. I. pag. 37. La ‘qualcoſi
danna quanto ſia ingiuíla, ciaſch’eduno 'potrà
giudicaroîche legga attentamente let-,lettera
. , tuttav da rne_ indicata .: Bene con iù .ragione
‘ potrebbe condannarfi_ il noſtro filoſofo Per
ciò ’che par ch' egli giudichi inutile ’quella ›
..i ſapienza che non 'in íſtato di giovare agli
,altrifl' percchchè aſſai buon frutto ne coglie
. `colui che la 'poll'ede, ſe giova a ſe fieſſo, e
però non dee mai rifiutarfi. Ma Seneca nell'
‘ epiſtola "che' vien ‘dopo, quaſi cori-eg’gèndöſi,
dice: cui ergo, inquis, ifla didicè‘e-Non efl
quod xtzmeas ”e operam perdideris, fi tibi di
diczfliz'ÎEd altrove: hoc nentpe ab homine exi
gitur ut pro/it hominil‘ms, fi fieri potefl, mul
tis, jì minus. paucís, ſi minus, prox-‘mis , ſi
minus, fibi. De Otío Sap. Cap. XXX."- j
(la ) Peream, ſi efl tam neceſſurium , quam m'
‘ demr, filentz’um in ſtudia ſepoſito . Eccezvarius
-damor nndique merirmng/ònat. In iis quiz ma
_ſine auoeatione circ—umflrepunt , eſſeda's *tranſ
fl‘
:urgente: pone, fabrum, inquiliuum Efe- Ep.
. Lat..
i ' l
36
- ‘ Nei-'sempre ‘èglistrivea, nè sempre leg'
gea-,lma'lîuno eÎ l’ altro a vicenda’. Dicea
’chefflö sCriver sempre opprir'neva e inde
(Mid-a le forze dell’ ingegno, come 'al-'ucon
trario il legger sempre lo d-issolveva e
consumava. (a) Nondimeno necessaria è
'la iettura a veder ie scoperte de'gli altri,
.e-:quelle che sono ancora da farsi , › e a
non' _ammirar unicamente le proprie sue
produzioni. (b) Î ~ - i'
‘ La lettura altresì ‘nutre l’ ingegno dal
la" meditazione affaticato , e non senza
’studio il ricrea. (c)
Dicea' dunque che -l’ uom di lettere, ad
imitazione dell’ ,Api` che il i meglio de’ varj
,fior depredando, il dispongono poscia ne’
favi onde fonnarne il mele;,dovea il rac
'eolto dalle- diverse lezioni registrare in
" ’ carta

( a ) A leffiombus ſeceſſi ., . . Nec _ſcribere tan


tum , nec ltantum legare dehemus. Alter:: WS
coMri/ìabit, EI’ vir-es exhauriet, de flilo dico,
altera ſoluet, ae diluet. [nvicem hoc illa L'om
`_ -mutan‘dum efl. Ep. LXXXIV. .
( b ) Suut autem (leétíones) neceffizria’ ut exi
\ flímo, primum, ueſim me una conteutus .* de
iude ut cumxab aliis quae/ita coguooero , tum
de inventis iudicem, ED’ cagitem de ”meme-n
( di.; `jìp. LHXXXIV. .
` ,enon title
fine zo iu
fludío em'um.
räicit. Es’
lbíd. fludio fatigatum .
/
cartzc separàtament‘e, per quindi produrre
unz’corpb, di cui poi con criterio'e con
giud—ìëio’ al bisogno usando‘, benchè si c`o
hoSceSse per avventura donde preso fosse,
si sentisse però assai diverSo da 'quello
onde preáo era-stato: (fa) ` x -
Nell’ imitar adunque gli autoriche èi
leggono ,j esigea 'molto accorgimento', 'poi-ñ"
chè volea che le opere fatte ,ad imitazio—ì
ne_ dell’ altre , loro assomigliassero, non,
come un ritratto all’ originale assomiglia ,
ma come al Padre' il` Figliuolo, il qual
tiene è vero della natura di lui, ma è
Però una cosa affatto diversa. (b)
c- - e 2 Seneñ_

( a ) Apes, ut aiuut , debemus imitare'. qua;


vagantur, ED’ _flores ad mei faeiendum idoneo.:
cana-unt . dei-ride quidquid attulere, diſponunt,
ac per favos digerunt . . . nos quoque debe
mus quweumque ex diverſa leffione eougeffi
mas, ſeparare . . . deiua‘e adhibzta ingem‘i uo
firi curaÎEfl’ faeultate. in unum ſaporem ua
ria illa libamenta confuudere: ut etiam ſi a ~
paruerit ande ſumptum fit, aliud tamen effi,
quam unae ſumptum e/ì appareat. Ibid.
Seneca ebbe per avventura a queſto luogo in
mente il famoſo pafl'o dell’ Oda II del libro
IV d’ Orazio: \‘
Ego apis Matiuae
More modoque 89’5
( b ) Similem eflè te vola uomodo filium, non
quomodo imaginem. Ep. XX“le
'ñ 6.8 —
Seneca;solea.iñ,- ~
libri da lui lettiſſempier’
;di ,note ,i nelle 'qu-ali osservava` le , cpsev più
degne diressere approvate. e meditateyje
questilibri poi~ invia-,va agli.v emicraccloc
çhè-.ñne :usa‘ssero La. loro Profittp- ((712). _
Ciascun giornonelle. sue, letture. pren
dea ;di iniraqualcheI passoſpiù-inglgpe per
ístrpzione, e sizdavaî a, meditarlp. e con?
cuocerio., insino a ghe gli si fosse ,z a così
die, convertito/in.. succo ,e in Sangue. (b)
A v,Con questoz Saggio sistcma , ch’ egli lo
f
dava e: consigliava; agli amici, oltre, che
l’ uomo avvezzañ -lorspirito al _raccoglímen
to ed alla meditazione , forma senz’ aVve7
dersene un tesoro in sua mente di cogni— ‘
zioni utili e rare .
` Non approvava egli per conto alcuno il
costume di molti, di diffondersi in molte
.. ñ . ` ` v e di

( a ) Mittam itaque i ſas 'tibi libros., 69’ ne


muitum opera? impén ns, dum pafflm profum
'\
,ra ſeñ’aris, impazzamtflotus, "ut‘ ad èaſ ipſa
protinus qua: ;oral-069’ miror, accedas. Ep’, VL'
J (,11) Aliquid quotidie aduerſùs paupertatem ,
ì aliquid adver/us mortrm auxilz’i ,comparaPnec ì
'
e minus oliver/us'weteras pefles, 59’/ vcum multa
percurreris, unum exam-ge, quod {lio die con
coquas. Hai: ipſe ’quoquíe ſario: `ex pluribus
qua’ lego. aliquid appreheudo. Hodiernum hoc
Éfl &nq-"EIB H..
u
x

;/ ,—
69
e dispaiate letture , divorando in picco]
tempo, una quantità' prodigiosa di libri. (a)
Assomigliava Seneca egregiamente co—
storo a que’ viaggiatori che scorrono molti
' paesi, senza trattenersi' che brevi_momen—
ti in ciascheduno, e che perciò fanno mol—
te conoscenze, ma niun vero amico. .(b) `
Siccome la quantità e varietà de’ cibi in
luogo di nutrire aggrava e imbratta lo
stomaco , e lo indebolisCe; così la diver
sità delle letture infiacchisce l’ intelletto ,
e lo confonde , in luogo d’ invigorirlo ed
illuminarlo. (c)
La quantità, e diversità delle idee e
delle cognizioni, si distruggono appena.
acquistate, enon lasciano niuna imprese
' e 3 g : none

( a ) Mud autem vide ”o {ſia leñ’io multorum


aufforum, EF" omm’s generis volumiuum, habent
aliquíd vagum EF inflabile. 'Certis iugeuizs. im
morari EJ’ immtrìr‘i opartet, _ſi velis qlzqm’d
trahere, quod animo fideliter ſedeat. lbid.
( b ) In peregrínatíone uitam agentüms hoc eee_
m't, ut multa oſpitja habemzt, nulla: amm
tias. Idem accidat neceſſe efl iis qui nullius ſe
ingenio familiariter applicant, ſed omnia cur
_fim 69’ properantes tranſmittunt. Ibid.
C c ) Fafiz‘dientís flomachi e/ì, multa deguflare:
quae ubi vana ſunt Ep’ diverſa, mqmuant non
alunt. Ep. II. ‘
7° '
uíone, dopo di se`.’ 'Volea che si leggessero
pochi autori, ma classici, ma eccellenti, e
che se gli facesse l’ uom famigliari , che
tutto il buon ne traesse, bene imprimen—
dolo nella mente, e 'convertendolo in pro—
pria sostanza‘. (a) Che se la curiosità il
‘ movea a scorrere gli autori di moda, vo—
lea che facesse a que’ primi ritorno , 'non
mai perdendogli un momento solo di Vi—
sta: (b) poco importando che uno abbia
moltissimi libri, ma assai che gli abbia
eccellenti .o (c)~
E qui di color si rideva che pieni d’ igno
ranza, pure faceano sfoggio di splendide
-librerie, ai quali non sarebbe bastata la
vita a leggere solamente i titoli de’ volu
mi, e si compiaceano non già de’ libri che
non leggeano e non intendevano, ma del
le vaghe legature , e di poter adornar le
pareti colle fatiche di tanti nobili inge
gni. (d)
ì Co

( ag_ Probatos itaque _ſemper habe . Ibid.


("ì Et ſi quando ad alzas diverte” libuerit,
ad priores redi. Ibid. ,.
( e ) Librorum ijìzc inopiam eſſe quwreris. Non
refert Zur-1m mu!tos, ſed quam bpuos habeas .
Ep. X V. '
( d ) Quo mihi innumerabiles libros EI’ biblio
them:
.74
Comehè/tutto abbandonato fÒsse ilwno,
stro Seneca alle filosofiche meditazioni.,
delle quali più che jd’ ogni‘alrta cosaäap'ç `
pagavasi, fu anche innalzato aglio-neri,
eclavio
portando per diritto
, ottenne di nascita
la ſiQuestoría, il-;thir
ch’era 'di,
gnità- Senatoria , e che. dava _diritto ,alle
altr—e
In ancor più eminenti.
qual anno ſcsse egli v'Questore , _ non:
ssiam dire, certo non prima del trente.
simo dell’ ’età' sua: che così voleano :le
leggi, ove particolar dispensa non’ si frap—
poneva. L’ onore di questa ,dignità .dovet
te il nostro Seneca -alla materna sua Zia,
la quale malgrado della sua naturale mo",
e 4, -. ñ‘ destia

thecas, quorum dominus oix tata vita ſua in


diees perlegit? . . . Iguajcerem plane, ſi e
fludiorum ”im/'a cupidine oriretur: num: ifla
exquifita, ED’ cum imagimbus ſuis deſeripta
ſacrorum opera ingeniorum, in [peciem EF’ tul
` téam paéietum comparautur. De -Tranq. Anim.
a . 1 propofito
A quIeſto . . merita d’ eſſer letta~ la ſan—
. guinoſa invettiva dell’ incomparabil Luciano
-contro d’ un ricco ignorante che andava
mettendo infieme una magnifica Libreria ,
non permettendo che alcuno non che leg—
ger, nè pur toccare poteſſe i volumi da lui
ñ" raccolti. Di queſta ridevol mania, non man
cano eſempj ,anche a' noſtri giorni.
1
73 . , , « ,'
destia che" Ia tenea lontana dal tutti ì
Pubblici maneggi’, e da certe illu-stri ami
cizie‘ch'e infaman più che nOnT-onoran le
donne, non lasciò però curaìiiîtiuna interi-.
‘tata per ottenergliela , come avvenne in
Effetto.(a)"² _,-’ ‘1
ſ>3L--Nè²del primo suo matrimonio non dobè
biam qui tacere,` "contratto peròîìcon una.
d
' "donna ch`e ci è affatto ignota,›n'on ,parlan
íió‘ne egli che per incidenza r‘ due’ -volte ,.
fina ’in "una di 'quelle ?Opere 'ch’ 'egli com—
jpose prima ,di andare in- esílio ,Î’come ve—
dremo. ſi?! ` . 5.- .,
r Ci fu chi confuse questa prima _moglie
del nostro filosofo, - colla celebre Paulina,
ma vedremo esser ciò error manifesto ,
quan

( a ) [lla ( matertera mea ) pro quae/tura mea


graiiam /uam extendit: ED’ qua: ue ſermoni:
quidem aut Mrs’ ſalutatiom's ſuflz‘nuit auda
, etiam pro, me vieit indulgentia verecundiam.
Conſol. ad Helv. Cap. XVII.
( b ) Al lib. IIL de tra, Cap. XXXVI egli
- dice che ogni-ſera, come abbiam veduto più
ſopra, ſpento il lume , fi dava a meditare e
a riprenderſi delle azioni del giorno, e che
allora fi ponea in filenzio la moglie gia con—
, ſcia del ſuo coſtume. Cum ſublatum e cou
ſpeiì’u luna” efl, Se’ cantu-uit uxar mari: iam»
mei con/eta.
" ’(5
quando del matrimonio suo con esso ‘lei
;farem‘ 'pal-01a . (a)
i Da- questa Moglie ebbe Seneca due fi—
gliuoli ,a il primo de’ quali morì in braccio
d’ Elvia, alcuni giorni innanzi che il Pa—
dré mandato ſos_se in esilio: (b) il secon
7 do,
O

`( a ) Seneca all’ epiſtola cinquanteſima, parla


d’ unaÎ vecchia pazza, \per nome Arpaſte,
ch’ egli avea in caſa, la quale divenuta cio
ca, e non perſuadendofi d’ eſſer tale, pre—
gava il ſuo cuſtode che le voleſſe far can
giar domicilio, perciocchè quello in cui abi
tava, era divenuto troppo tenebroſo . Tu ſai,
ſcrive all’ amico Lucilio , che la pazza Ar—
paite, di ragion di mia moglie, è divenuta
un peſo ereditario ln mia caſa. Harpaflen
uxoris mea;- fatuam, [ci: hereditarium ouus in
domo mea remanflſſe. Se la Moglie dun ue
laſciò al Marito in eredità la pazza Arp e,
convien dire che queſta moglie allor foſſe
morta. Capiſco che altra interpretazione dar
potrebbefi a queſto paſſo; ma quanto dirò a
ſuo luogo onde provare che queſta di cui
parla Seneca, non è la moglie che gli ſ0
pravviſſe, fa ch’ io adotti come probabile la
riferita interpretazione’, perchè~ più naturale
d’ ogni altra. ñ.
( b ) [nfra vice/ìmum diem, quam fili-um meum
in manibus 89’ in. oſculis tuis mortuum fune-
raveras, raptum me audi/ti. Conſol. ad Helv.
Cap. II. `
I
n
l
74 , ì
do , Siccome Vuoleíil' Lìpsîo, (a) si no
minava Marco, fanciullo vispo, `amabile ,
ingegnoso, (b) per cui Seneca facea voti
al cielo che gli sopravvivesse, (o) 'e nel?
Eloquenza superasse i due .Ziii (d)
Qual

, 0

( a ) Vit. Senec. Cap, V.


( b ) Ab hzs ad nepoges quoque reſpiro: Mar
eum blandlffimum puerum . ad cuius eau/pe
fifum uulla otefl durare tri/litio: nihil tum
magnummi :l tum recens in miu/quam peñ'are
fuerit, quod non circumfu/us ille permulceat.
Cuius non lucrymas iilzus ilaritas ſupprim-zt ‘2
tuius uan coutmffiem ſollicitudme auimum il
lius argutz’w ſoli/aut? Quem non in ioeos vo
cobit illa laſcioia? quem non iu ſe comm-ter ,
EF abducet iufixum eogitationibus, illa nemi
nem ſatiutum garrulz’tas? Conſol. ad Helv.
Cap. XVI.
( o ) Deos oro routingat hunt habere.nabís [u
perflitem . In me Omnis fotorum erudelitas Iaſ
jata eonfi/Zat: quidquid matri doleudum fuit,
in _me tran/fera, quìdquíel fluire in me. Conſol.
ad Helv. Cap. XVI.
( d ) Sie du!” Marcus, qui nunc ſermoue fri
tium’t: i `
Faranda patruos provato-t ore duo:.
Epigram. ſup. exil. che a- Seneca viene attri—
buito. Diffi coll’ autorità del Lipfio, che
Marco ſu figlíuolo di Seneca , perciocchè
veramente ill filoſofo, ragionando di lui,
non afferma ch’ egli fia ſuo figliuolo: ma la
. tene
' e o
‘ , 7-5‘
Qual‘ñfine e questo Marco, -e la prima
Moglie di Seneca avessero, e quando, non '
abbiamo-potuto raccorre nè dall’ opere che
ci rimangon- di lui, nè altronde. ` ‘
Nè, sappiam pure quando egli intra.
prendesse
quellov i suoi viaggi,
d’ Egitto, ove fu e." singolarmente
a visitar la sua
Zia, e Ìcolla quale`~p0i fece ritorno a, Ro— '
ma, narrandoci quelle azioni eroiche .di U
lei che abbiamo ‘veduta, edelle quali fu
spettatore-. (a) ` ' ` -
Pare .che fosse stato anche in India ,
perciocchà scrisse un’ Opera, che il tempo
ci o ha involata , nella quale parlava di
quel paese con tale precisione , a cui
d’ ordinario le Semplici altrui relazioni non
' ` .l
basta—

tenerezza con cui ne parla il Blei-ſuade. E


poi ,~ chi dovea "eſſere queſto arco, che
nell’ eloquenza emulaſſe i due Zíi , e chi
queſti due Zii; ſe non erano Mela eìNo—
vato fratelli di Seneca? Era forſe Marco un
. nipote di lui, e per avventura Marco Luca—
no? dunque Seneca avrebbe fatto elogio del
ñ la propria eloquenza , il che non è da ſup—
porre per conto alcuno. 1 _
( a ) Sed ſi prudentiam perfeffl' 1mm fiamma
novi, ‘no-u patietur te nihil pro uturo ma’rore
conſumi, 89’ exemplum tibi ſuum, cuius ego
etiam [peffator fui, narrabit. Cons. ad Helv.
Cap. XVII.
i ’ n o *

.has-cano! (a) Amana egli di viaggiare'hn.;


' che in vecchiezza, come colui che credea‘,
die i viaggi, non' solamente alla sanità
del corpo contribuisserño‘ , ma allo spiríto
altresì e agli studj giovassero: (_b) come—
‘chè’nonlfosse sempre in 'questi Viaggi suoi
fortunato .' (c) ñ - `
Ma tempo è ormai diparlare di quell’
Opera del nostro filósofo , che Sembra es
Sere nell’ oidine deì~~tempi la prima ‘scriita
da lui, fra quelle che sono a noi perve-`
nute, voglio dire il trattato dell’ Ira. Fu
composto vivente Caligola, (d) comechè
- ‘Sla

( a ') Seneca etiam apud nos tentata India* com


mentatione, ſexaginta amnes eius prodidit,
gentes duodeviginti centumque. C. Plin. Nat.
Hiſt. Lib. VI. Cap. XVII. i
( (è?) Itinera ifla, quae ſeguitiem mihi excutiunt ,
ualetudini merz_ prodeſſe iudico, EJ’ fludiis. .
Ep. LXXXIV. ,
( c ) Ep. LIlI.
( d Seneca al libro Il]. di qUel’c’ Opera, Cap.
X III. parlato avendo delle crudeltà al—
le quali molti antichi Principi incitati furon
dall’ ira, paſſa quindi a dire: a che vado io
in traccia di vecchi eſempi ‘.2 Fece pur ora
Caio Ceſare battere co’ flagelli, e tormentare
Seſto Pa inio figliuolo d’ uom conſolare, e
Balieno aſſo ſuo queí’core, ed altri Serèatorì
e a
S
. - ?7
sia cosa certissinäa,—che.~ --non fu'rpubblicato',
che dopo la morte di lui, poichè l’ autore '
dipinge-in ,esso con que’colori che merita— ’
vano, molte orribilieciìudeltà di quella, fu»
ria} imperiale o, 'tn-z --ÎÎ e: i( ., i
E` diretto“ aldîraüelló Novato,-t che non
avea preso ancora il nome di Hallione,
ed èçdiviso in tre libri. Nel primo, dopo
aver l’'biìäìñ‘a’dimpſſurſireſſ‘ſibe
dentè Autore diffinita l’Jra per un’ arla
dimostratane
deformità in-«sez-stessa,we- nel volto della
ersona_ che n’ è* invasa, e ne’ perríiz—iosis.`
sim‘i effetti .' che quindi ne* seguono, e_ do—
po averla distinta dall? iracondia, e anno—
veratene tutte le speCi‘e diverse: passa a
fa', , .` v_ ` Pro_
i

) .

, "eCavalieri Romani in un ſol giorno ~? .Mo


. ` do ,C. Caeſar-?mmm Papiyium, cui pater_ erat
:`.`cbnſularís, Baiieuum Bajlum quefiarem ſuum
.`_`_ ñProeuratorie filium, aáiçs Senatores ED’ ?equi
teS‘Roe’nauos uno‘die'~ ageliis cmidit,torſit Efo:.
E nel, capitolo, appreiſo, ciò che ti fa tanta
meraviglia; dic egli, ( avendo parlato delle
crudeltà di Caligola ) a queſta belva‘. è quo-t
tidîano:
a cio nellea ſue
ciò vVeglie
egli Vive, a ciò .5
egli medita egli veglia,
Quad tan
topere admiraris, 'i/ti bellum quotidiauum e/ì .
ad hoc víuit, ad .hocmigilah ad hoc lucubrat.
` Dunque
ancoraSeneca diſteſe'
Caligol’a .’ " ſi, queſto
,' ` ' trattato vivente
'
'278 › .
provare ch’essano è all’ uom‘naturalé ,
‘(a) se ben propria di lui, che _è sempre
«inutile ’anzi noCiVa , ciò opponèndosí
al‘ parer-‘dt Apiàtotil-;che tiene, l’ ira‘ ben
regolata essere uno; -sprone- alla ,virtù-*e
alle ‘magnanime azioni-.ì tb) ñ’î
. Ln…: , ‘ .. u t:: r
~ 4.3:; a. ami-t“ l’- , r "hil'áltſ z Auger; "Nel-;7-`
4m-- ‘ : - ai. ` *I‘ÎJL
“xi-.M einen

( a ) Tale era pure, il ſentimento del-l’1 Impe


_,z rator Marco Antonino,l il più puro-forſe e
_‘z il pù virtuoſo di tutti i filoſofi Stoici, *ſe ſi.
eccettui Epit'teto..Vedi ilLib. VILdelle ſue. _
Rifleéfioni Morale' XXV. ' ` ‘ì'
. ( b ' onforme ad Ariſtotele era ſimilmente Plu
tarco ,il quale conſiderava nelle paſſioni umane `
ben regolate, l’origine delle più ſublimi vir—
tù morali. Non enim ratio omnem prorſus
,weitere perturbatz'ouem :animi ‘conatur: eum
neque fieri id poffit, neque expediat: ſed fiuem
ei, quemdamque impomt ordinem, ingenerat
que virtutes murales, qua’ non mt vacuitates
motuum ſeu affeä’uum animi, ed eorum me
diocritates Ei eoucimzitates. De Virtute Mo—
rali. .
` Marco Tullio Cicerone al contrario , comechè
a'pprovafi'e i' Peripatetici in quanto inſegna—
'vano che l' ira `e l’ altre paſſioni dovean mo—
derarfi quanto pih l’ uomo'ſa ea, non potea
però tollerare in pace ch’ e11 enc0miaſſero
queſte paffioni, e le predicaſſero uafi uti—
li e buone . De (2711:. Lib. I. u/culan ñ
Quefl.'Lib. III., e ib. IV. Cap. XVII. e
ſeg. j ‘ ' l v
v 79
i - ' Neſ~libro seco'ndo dimostra che~1’ ira
dalla Volontà nos-tra dipende, .e che per—
?ciò non vuol cÒnfondersi con certi movi—
menti, dell’ animo che forieri safon degli -af
ſetti, ma che non' sono spontaneigxe .si fa
quindi strada ad egregiamente 'Spiegarci
degli affetti la fprogressione.` Poscia mo—
strato come il Sap'iente non dee mai sde—
gnarsi per . gli altrui falli, comechè debba’
simulare ’sdegno talvolta,,ezcercar _cl-i ’cor--`
reggerli e di punirgli; come l’ira sia inu
tile, come debba estirparsí, cose nel pre-y
cedente libro già dette; si volge .finalmen
fe a .proporre i ri’medjz preservativi per
:non moversi ad ira , e _per non’ peccare -
nell’ ira ,Al primo influìrà molto l’ edu
cazione, intorno' alla' quale dà de’ bellissi
mi. avvertimenti; il non credere troppo, a
.facilmente alle altrui‘ relazioni in nostro
danno; l’aver consíderazione al sesso, all’
età, e alla condizíom delle persone- che
offendono. ‘ - ` `
r.Nel terzo si tratta dèñìrimedj --per…non
ecceder nell’ ira, della“sua deformità, de—
gli orribili suoi effetti, *delle sue» specie
diverse; punti tutti proposti ‘ negli altri
libri: si mostra Però `come l’ ira sia la
‘ :più universale _e più comune- a` tutti i
popoli di qual si voglia altra. Lpäsione.
Ì › Quin
I
80 ‘ ñ
Quindi termina porgendo i modi onde" Ii-ó
berarci dall’ ira, e onde frenare e‘ placar
-l’ iracondor. Infiniti sono-i giudiciosissimi`
avvisi chei‘l’autore‘: ci dava-questo. Props-.
sitoì', che tanto maggiormente meritano
d’esser letti e meditati da ognuno,xquan~
to persona forse non v’ ha- che sí‘à. affatto
immune da vquesta Îfuriosa perturbazione. ,
L’ Autore in questo trattato 2- adornav le
rove sue con vìarj esempj dalle antiche
tratti 'e dalle storie- de’ñ‘tempi suoi ,-- che
molto contribuiscono a .convincere e a di
lettare il Leggitore. .~ . ,. ñ
Certo è che quest’ opera è- piena di
confusione nel metodo e nella partizione
delle materie; cbemolte cose‘vi siî ripe-`
tono : *pu‘re sono.tanti i bei tratti che vi
sì leggono, sì* saggia n’ è la dottrina e
generalmente sì` pura .e sì importante`
che si potrà sempre …riguardare ed’ avere ,
come-?uno de’ più ‘vpreziosi monumenti dell’4
antichità. ` ›
`Ed’cecco'ci orinái"›pervenuti a quel pe-`
riòdoſdella vita. del-nostro Seneca, in cui
molto potè a'ppbofit'ta-re degli studi suoi
filosofici, ’per resí_ste’re con fermezza ad
un colpo atto a~ sgamentare e ad avv‘ilire
qualunque animo più ooraggioso‘ e più
.termo.- Giaseuno …intende… ch’ io, parlar vo
. ’ i , , glio
8t
glio dell’ esilío a cui egli ſu condannato
all’ età di XLII., o XLIII. anni, (a) da
Claudio Imperatore appena assunto al Tro—
no, e ciò per istigazione di Messalina sua
Moglie . Ma perchè della cagione di que
sto esilio iudicar meglio possano que’ Let
tori, che dell’ Istoria Romana di que’ tern
pi esattarnente non sono istrutti, facciam
brevemente loro conoscere que’ personaggi
che in questa al nostro filosofo luttuosis
sima scena, ,furono o attori, o pazienti.

f _V I
K

( a ) Ammeſſa una volta la con hiettura del


Lipfio che Lucio Seneca ancor ambino foſ— `
ſe portato a Roma XV anni anzi la morte
di Aulguſto, tale a un di preſſo dovea eſſere
- l’ età ua, quando fu mandato in eſilio .

FnÃÎE DEL ranno LIBRO.

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DI LUCIO ANNE'O SENÈCA
LIBRO sɑconno:

Î':;\
‘ ‘
/

Claudio Imperatore dipinto ci vien da


gli storici qual uomo ‘stupido, crudele,
codardozìla cui vita7 e 1a- cui felicità era
divisa,v fra la tavola, le femmine, e il
giuoco. (a) Delle Mogli e de’ Liberti a
tale '1 era schiavo, che a loro istigazione
operò‘ vorribilissimi eccessi. (b) Era poi
così smemorato, che dopo aver comandata
la;morte d’ alcuno, siymaravigliava perchè
l’ ucciso non gli compariva innanzi, e ne
domandare.. (c)-L’a sua timidezza in mez
' ' f .z , ' zo
a*

_71… ~

’fa ) Svet. ‘in Claud.” Cap. XXXIII. Dion.


` KLM-LX.
ſñ( ,
b' ’ -thcíe Annal: , " ‘
Lib.'_XI. ì '` * ‘\
’(1:- ‘ÌTacit‘. A1111317- 'Lib.’— XI. Svet. in Claud.
“Cap. XXXIX. Senec. Lud. in mort. Claud.
84
zo alla sua crudeltà era sì grande, ,che
stava in arbitrio di qualunque malvagio
uomo l’ aocusare a lui il proprio emulo ,
o come‘ ribelle, o come fomentator di tu
multi, e maochinatore d’ insidie, perch’
egli vinto ’ 'dalla paura, senza nè pure
voler ascoltare il preteso’ reo, e senza for
malità di processo, il facesse -tostamente
uccidere : il g che mostrar potrebbesi per
molti esempi. (a) E‘ nota a ciascun Mes—
- sali—
l
_ ( a ) ,Io-. non
fl ne addurrò
- .l ,che uno
x x ſolo
. A ch‘:
Z\ è

molto infi e, quale narrato ci vien ,da Dio


ne 'Líb. L ., e da Svetonio in Claudio,_ca-p
pitolo trenteſimo nonó ., Appio'Silano illu
`fire Senatore che avea ſjao‘t'atae` una Mktri a
di Claudio, ebbe la, diſgrazia ’d'i ſv lier- e
ſlderj nel cuore Meíſalína- impu ica ,_ la
quale annojata de’piaceri leciti, o facili ad
0ttenerſ1,` fra i delitti ma íori e fra le iù
grandi'diflìcoltà poneva ‘ còl‘tnb ‘delle'ua
, ſoddisfazioni. Male-Silent)? ſeppe.; ' ~nia
tamente iacere-a Mefl'alína,.ſqppe al:: res.,
ſiſtere al e malVa ie ſue brame', e i tentativi'
‘tutti di queſta in ame Sirena furono inutili .
Tanto baſtò perchè cofiçei l’ amore sfrenato,
in altrettanto sfrenato odio verſo dilui con
vertifi'e , veggendofite ſcoperta_ e oltraggin— H
la. Riſolvette adunque di ucciderlo, ,ma per
non levar troppo romre in Roma ,‘ ov‘ era
amato e ſtimato Silano, ſi conſigliò ;candidar
. , . i v ,-c o’
\
85 .
salina , che nella libidine e nell’ orribile
sfaociataggine superò tutte le Donne di
quel secolo cortottissimo. Io non narrerò
‘ f3 le ›

ciſo favorito di Claudio, e ſegretario, di lei


ben degno, e combinarono lo ſtratagemma
ſeguente, che pur trop o 'ebbe il ſuo effet—
to . Entrò una mattina arciſo nelle ſtanze
di Claudio, mentre ancora queſti era a let:
to, e -moſtrandofi sbigottito, diſſe, con vo
ce' anſante, aver ſognato la notte che Silano
uccideva l’Imperadore. A tai parole Mefi'a—
lina gittò uno ſtrido, e battendofi l’ anche
eſclamò: oh Dio ch’ io pur. feci iù volte` le
ſcorſe notti un ſogno confimie ! *Mentre
Claudio a bocca aperta queſte coſe aſcoltava,
e tremandoñdella paura, già fi credea d‘ave
re il coltello alla gola, ecco.che annunziata
Venne Silano , cui s’ era fatto dire la ſera
innanzi di preſentarſi di buon mattino all'
appartamento Imperiale . Claudio ſentendo
coſtui vicino, tenne per indubitato che ve—
nuto foſſe ad ucciderlo, onde vinto dallo
ſpavento, ſenza altre ricerche, lo fece ſubi
tamente ammazzare . E tanta fu la ſtupidità
di ueſto Imperadore, che credendo dovere
la ua ſalvezza a Narciſo, lo ringraziò di
‘vegliare alla ſua conſervazione , e andò in
Senato a ſar una nojoſa le enda di queſto
fatto, la uale da quel con e o di adulatori
e di ſchiavi , avrà avuti tutti gli applauſi .
C0sì la iù nera calunnia, e la più obbro—
brioſa ligidine, trionfò della virtù, dell’ one
'fià, e della modeſtia .
86 i *'
le sue infamie, quali raccontate ci ven
ono da Tacito, da Svetonio, da Dione ,
dal vecchio Plinio , e Singolarmente da
Giovenale, per non contaminare con sirni
li laidezze nè la mia penna, nè le oneste
‘anime de’tmiei leggitori. Dirò solamente
che non vi fu eocesso alcuno, non crudel
tà la più barbara, a che non si lasciasse
.portar Messalina, per isfogare le due pas
sioni in lei dominanti, libidine , ed ava
rizia. Fu una furia, fu un flagello dell’
umanità e dell’ innocenza , e forse che
1’ onestà non ebbe al mondo più crudele
nemica . - -
Bastava 'che un uom fosse onesto, e
acconsentir non volesse o alle proprie o
alle dissolutezze della Moglie, perchè fos—
se insidiato ed ucciso : (a) bastava che
‘ ` fosse

( a ) Meſſalina era a tal giunta di sfrenatezza ,


,che nel proprio Palagio faceva venir. le pri—
me mattone di Roma, e preſenti i loro ma
riti, le obbligava a ſottoporſi a li adulteri;
che fe effi mariti ciò portavano in pace, gli
colmava di onori e di dignità, fe al contra—
rio s’opponevano a queſte inſamie, gli odia—
Va, e- in uno o in un altro modo gli faceva
perire . Queſte .coſe erano pubbliche , nè
~ .s’ ignoravano in Roma , pur non fi ſapcäaran
/
. 8-(
fosse ricco , perchè Messalina ingorda di
possedere i beni di lui, barbaramente con
forza aperta, o con insídie il facesse pe /
rire; come accadde a Valerio Asiatico uom
consolare , e di gran probità, e ad altri
in gran numero. (a) ì
Ma niun‘ esempio maggiormente prova‘
ad un tempo e' la sfrenatezza di Messali—
na, e la. stupidezza di` Claudio, quanto
quello ch’ io son per addurre , il quale
narrato ci viene dai tre Principali Storici
che di que’ tempixhanno scritto. (b) Ta
cito nel raccontarcelo, prevede che ai po—
steri cosa parrà favolosa .
Messalina avea portati a tal colmo i
suoi sfoghi brutali, che non Vi avea ec
cesso in tal genere cui essa non si fosse
abbandonata, di pari passo andando íl suo
4 PO"

da Claudio, perchè Mefl'alína era colei che


a lui deſtinava le concubíne e i domeſtici,
ch’ erano ſue creature, e co’ premi gli ſace
va tacere: che` ſe alcuno v’avea che le foſſe
ſoſpetto, il to lieva dal mondo, come ac
cadde a Cattomo Giuſto capitano de’ Littorí,
il quale minaccíava di riferir queí’ce diſſolu
tezze all’ Imperadore .
E a ) Tacit. Anna]. Lib. XI. Dion. Lib. LX.
I; ) Tacìt. Anna]. L. C. Svet. in Claud. Cap.
XXlX. Dion. L. C. `
88 -
potere' e il suo temperamento; imperò
stanca se non sazia di quelle voluttà che
le s’offrivan spontanee, volle calcar la via
. degli ostacoli, e ciò tanto più volentieri,
quanto in eSSa era maggiore il- delitto, il
qual sempre agli occhi suoi erad’aumen—
to al piacere . `
ì A‘ Messalina dunque Moglie d’un Im
peratore Romano, venne in capo la- pazza
idea di sostituire al vivente augusto suo
sposo un altro marito, _che cometale pub
blicamente e .legalmente fosse riconosciuto
da tutti, e quest’ eroe fu Silio, già elet
to Consolo , bellissimo giovane , ch’ essa
amava perdutamente, e cui avea fatto ri
pudiare Ia moglie Giulia Silana. (a) Si
fece dunque il contratto nuziale, il qua
le secondo che afferma Svetonio , (b) ſu
fatto pur segnare da Claudio, dandoglisi
a credere ch’ era questa una finzion ne
cessaria, ad allontanare da lui un perico—
lo che gl’ indovini predetto avean sovra
stargli, e a farlo ricader sopra Silio. Che
che sia di ciò, le nozze si fecero pubbli—
camente e magnifiche, nel tempo che Clau
` \ dio

( a ) Tacit. Anna]. Lib. XI.


( b ) Cap. XXIX. inClaud.
89
dio era‘ andato ad Ostia 'per 'compiere un
Sagrifizío. Messalina andò .ad abitar la
casa di Silio, ove trasportar fece i più
superbi e ricchi arredi del palagio Impe—
riale, `fece far ſeste , conviti, giuochi pub—
blici, e Claudio avrebbe forse tutte que
ste cose ignorato., o Messalina almeno sa
rebbe andata impunita, se Narciso, ‘prima
suo ministro ed amico , poi, come suole
accadere di quelle amicizie che hanno i!
delitto per base , in Suo persecutor con
vertitosi , non avesse di tutto ciò fatto
consapevole Claudio , e s'paventatolo delle
conseguenze che potean nascere, non aves /
sela senza saputa di lui fatta uccidere. (al)
Mi sono un poco esteso a descrivere il
carattere di Claudio e di MeSSalina,, per
chè si vegga chi condannò, e chi procurò
la condanna del nostro Seneca: veggiamo
ora come questa nascesse .
Vivea ñalla corte di Claudio Giulia Li—
villa , figliuola di Germanico, e Moglie
di Vinicio, la quale in compagnia dell’ al
tre due Sorelle Agrippina e Drusilla, era
stata’ dal fratello Caio scandalosa‘mente
amata, e. da lui data in preda anche ad
' altri,

ó ( a ) Tacit. Anna]. Lib. XI. Verſo ,il fine.

a
9° '
altri, poi col falso pretesto di ribellione,
insleme con Agrippina esiliata nell’ Isola.
Ponzia . ( a~)
Claudio divenuto Imperadore, conosciu- -
ta l’innocenza delle due Sorelle, le richia—
mò alla corte, le restitul in tutti i lor
beni, e in quel grado le colloco che si
conviene a Principesse del sangue. Ma.
perciocchè Giulia era vezzosa e bellissì
ma, così era molto ben veduta e distinta
dall’ Imperadore, il quale si trovava spes—
go con lei,e v“della. sua compagnia mostra—
va trar maggiori' compiacenza, che-ad uno
Zio non si conveniva. Oltre a ciò era Giu
lia piena di nobil fierezza , onde non sa
pea per conto alcuno piegarsi a certi ri—
guardi, e a certe sommissioni che Messa—
lina esigeva da tutti: la quale mossa per
u’na parte da geloso timore non forse Clau
dio di temperamento incostante si risol—
veSSes di sposar Giulia, lei sipudiando, e
da fierissimo‘ odio per l’ altra nel credersi
poco curata e disPrezzata: giurò di per
derla, il che troppo ben le riusci co’suoi
maneggi, facendola accusar d’ adulterio ,
e senza processo formale , Senza esame di
sorta

(a) Svet. in Calíg. Cap. XXIV. Dion. Lib. LX.


.9'?
sorta alcuna, come Bi solea a quella cor—
te , la fecev esiliare , e poco appresso .bar—
baramente morire: (a) come accadde -pu—
re per le ragioni medesime all’ altra Giu
,-liaClaudio(
.figliuoÌauomo
di Druso .
stupido ' -
e crudele ,’ſiche
‘dalla moglie e dai liberti, come abbiamo
osservato , si lasciava condur quasi bufa—
lo, credendo il delitto` supposto‘, _tanto più
facilmente avrà acconsentito al gastigo,
quanto egli stesso si trovava ingiuriato
nel preteso adulterio, non tanto come Zio,
quanto come Amante . Perchè però l’ ac—
cusa un’ apparenzaavesse di probabilità,
bisognava trovar qualche complice della `
disonestà di Giulia, e il più illustredí
tutti che mise in campo Messalina sfac—
ciata , fu il nostro Seneca. (b), Dovea
egli esser familiare .alla Corte di Claudio,
dovea essere importuno colla sua virtù e
colla rigidezza delle sue massime che pa—
lesava _ancor negli Scritti, ai colpevoli.,
onde_ non sarà paruto vero a colei di tro—
vare un pretesto qualunque,vdi levarsi
d’ innanzi un infesto testimonio e censore
` delle

( a Tac. An._Lib. XIII. Svet. in Claud. Cap.


x IX. Dion. L. c.
( b ) Dion. Lib. LX.
.92
delle sue scelleratezze , il quale avrebbe
potuto per avventura aprir gli occhi di
Claudio sui disordini orribili della sua
Casa. Sarà stato veduto una qualche vol—
ta intertenersi con Giulia , e~ tanto bastò`
alla sua rovina e alla `sua relegazione; Io
ho esaminato con accuratezza li Scrittori
antichi che 'parlano di questo atto, e non
ne trovo pur uno che mostri d’ esser per
suaso dell’ aggiustatezza dell’ accusa con—
tro di Giulia, e per conseguenza` contro
di Seneca. Svetonio dice che Giulia ſu
uccisa per incerto- delitto , senza darle
campo alcuno a diſendersi; ma non parla
di Seneca a questo proposito . (a) Dione
ch’ è~ pur lo scrittOre che più d’ ogni al
tro pensier si prese' di oscurar la fama di
Sçneca, Siccome di tutti gli uomini illu—
stri, ci narra, che Giulia sbandita fu e
quindi uccisa per gelosía di Messalina e
per odio di credersi poco curata , e che
nell’ accusa fu pure compreso Seneca. (b)
Ta

(a A 1'an Silmmm con ocerum ſuum, uñ


liazquelexeram Druſi , aáeram Germania??
1iam , crimine incerto , nec detail/ione alla “o
ta, occidít . In Claud. Cap. XXIX.
(b) Valeria Meflàlina moglie di Claudio ,
avendo m odio Giulia nipote di lui, :i perche‘
que-fia
. 93
Tacito dice a chiare .note in un luogo, e
parla in propria persona , non per bocca.
dell’ infame prezzol‘ato accusatore Suilio,
che Claudio col bandir Seneca, gli fece
ingiur'ia: (a) ma. potrebbesi chiamar in
giuria il bando ad un uomo , che: ſosse
stato ,oso ‘di macchiare il talamo ’di una
Principessa Imperiale? La morte sarehbe
stata giustizia , e il bando anziche inñ
giuria, clemenza. Tacito soggiugne quivi
medesimo, che Agrippina divenuta Impe—
ratrioe, (cbmeyedrem'meglio a suo` luo
go) per non farsi solamente conoscre ope—
ratrice di `delitti , fece richiamar Seneca
dal‘l’ esilio, e dichiararlo Pretore e precet—
tor di Domizia, ben certa di far cosa gra
tissima al pubblico', essendo Seneca un
. _uomo

queſta non la onorava ne‘ l'adulava, come per


chè ancora le era venut/ç ;fm gelasìa di 1/23’,
erchè era belli [ma, e e e volte ava in 1e
fne con Claudiſſ la mana’i’ò i” band?, avendola
act-uſata d’adulterio, per la quale accuſaziano
Seneca ancor egli andò in eſih‘o; _e 'non molto
tempo dopo la fece morire. Lib. LX. della
Traduzione del Leoniceno, pag. m. 4.91. coñ_
lonna ſeccgda. d A
( a ) uia mea us in gríppinam memo
ria Ignäficù‘ , Ùénflnſm Claudio dolore inju
ria c” ebatur. Annal. Lib, XII.
'4

94
uomo chiaro in Sapere. `( a) Ora sarebb’
egli stata opera buona , e tale' da- coprir
le molte .malvagità che" ‘Agrippin‘a commi*
se ,"il richiamar dall’ esilio un vile adul—
`tero , l’ innalzarlo alla’ dignità, il dichia—
rarlo mòderatore‘* d’Î-un_ ` giovinetto - Princi—
pe'? Poteva qUesta essere al pubblico co—
sa’ gra-dita? Lascio 'al mio, lettore l’ inca
-rico di dar quel peso ch’ egli crede si ine—
ri-t'ino,'- a queste mie 'riflessioni, edi :quin
di decidere _se Seneca fu per colpa reale
bandito ,~ o :non più -tosto per la " scellera—
tezza di. Messalina, 'cuidovea essere* odio
so un uomo delzcaratñtere'del- :nostro `filo—
sofo-, il 'quale già m’ affretto di-seguitare
“nel lu’ogo 'della sua relegazionè. - ²
Questox-fu l’ I-sola di Corsio’a , paese a
‘ que’ tempi orrido e poco fecondo , privo
di tutto' ciò che alle delizie contribuisce
della Vita', e che appena quel ’produceva
‘ch’ era necessario al sostentamento de’ Suoi
" i "'t *abi
, ..ſ‘ ~ 51.‘,
"1 " ` ' . i , ' .
' ’
.. \
.i - _
‘ (* ar) At Agrippinu ne‘malis tantum fatinaríbus
innateſſceret, veniam exilii pro Aimëo Seneca ,
fimul Przeturam impetrat, lxtum'în pubſícum
rata, 0b claritudintm ſtudíorum ejus. atque
Damítíi pueritía tali magi/tro adoleſceret. Ibid.
- i ‘95
abitatori . `( a) L’ ari-a per se s‘tessa mal
sana, lo era anche più per la niuna cul—
tura delle campagne, che si vedean nude
con orrore e deserte. (b)
In temPo di State, era quivi il ,calore
molesto ed insopportabile. (c) Gli abita-ñ‘
tori eran barbari e truci all’ ultimo segno ,
e il linguaggio loro‘ era un misto fra il
Ligure e il Greco, avendo perduto l’ uso
del patrio , nel conversar co’ Greci e co’
7 Ligu

( a) Atqui non, e/Z haec terra frugifl’mrum,


aut latarum arborum ferax . . . . nihil gi
Fnit, quod alice gente: petant. víx ad Lute
nm incolentium fertili:: . Conſol. ad Helv.
. Cap. IX.
(b) Quid tam nudum iui/enim' pot-eſt. quid tam
nbruptum und/'quà quam hoc ſaxum? quid ad
hamines immanſuetzm ? quid ad ipſzom loci fl
tum horridzus? quid ad m’lz' ”atm-nm intem
perantíus? Conſolat. ad Helv. Cap. VI.
Barbara pra’ruptis incluſa efl Corſica ſaxis:
Horn'da, deſertis undique voi/ia loris.
Non poma autumn-us, ſegetes non. educat wflas,
Canaque palladio munere brumu caret,
Umbraram nullo ver eſi [zz-tab!!! mm, '
Nullaque in infila/20 najcitur erbaſolo‘,
Epigram. II. ſuper exilium.
( c) Corſica terribzlis, cum primum incanduit
wflas.
Senior, oſtendit. cum ferus 0m mais.
Epigram. I.
96
Liguri. che in. vai-j tempi conquìstaron
quell’Isola. (a) › 7
Giunto Seneca in Corsica, non s'i die
de a dísperarsi, a piangere, e ad açcre
scere i suoi` mali esagerandogli , ma tutto
-sl

( a ) Nam totusſermo, converſatione Gru-comm,


ngurumque, a patria drſczvit.
Conſol. ad Helv. Cap. VIII.
La deſcrizione che ci ha laſciato Seneca della
Corficaèveramente orribile, e vogliam anche
credere che l’umor melançonico d’un efiliato,
trasfondendofi nella ſua penna., abbia un po'
alterata la verità. Certo che l’ idea che della
Corſica ci danno i Viaggiatori moderni, è
molto diverſa da quella che ce ne dà Sene—
ca: pure qual meraviglia che in queſt’ Iſola,
dopo mille ſettecento e più anni, afl'ata
eſſendo ſotto il dominio di colte ed ilumi
‘nate Nazioni , nati fieno de’ gran cambiamen
ti, e più non ſ1 riconoſca per quella che ci
vien deſcritta dal noſtro filoſofo? Non vo—
glio però quì ommettere un paſſo di Storia
manoſcritta, ſ0 ra il ſoggiorno fatto in Cor
fica da. una illuäre Colonia di Smdiofi circa
trent' anni fa, in cui con bellifiìmo ſtile è
rinnovata 1a memoria di Seneca. Egli mi ſu
comunicato dal chiariflìmo Sig. Abate Save
rio Bettinelli, e non diſpiacerà a queſto in—
figne Letterato, ch' io ne faccia un regalo
a’ miei leggitorí. L’Autore dunque, dopo
. avere deſcritti gli ſtudj~ varj di ſcienIZe, di
, ette
. 9?
si abbandonò in preda a’ suoi studj , ne’
quali trovò tanto conforto e tanta-dolcez
za, che assìcurava la Madre, esser egli
’ g ' ‘ g ` ' d’uſſmor

lettere., di lingue co’proprj eſercizj, che,0e


cupavano tutta la Colonia, ſoggiugne: Ita
q'ue fervebat opus, 85’ Bonifacium (ivi n’ era
una gran parte raccolta) in quamdam Ca
riath Sepher, aut in parvas qua/dai” Athena::
mutatum, repente e è vid‘ebatur: ita non ,mq
do domus oppidi, vice, ſed agri etiam ipſe',
63’ nemora, Ep’ ſaltus, è? mantes, 'quacumque
ſocií deambulatum irent , eruditís interde
ſermaníbus perſonabant . Quad fi ella: Corſicar
rupes, ſenſum aliquem mentemque, ac rimini
ſcendi uim habuzflent, eontuliflent fortaffis il
lam exulalztiam litteratorum multitudinem cum
clarlfflìmo ejuſdem nationis exule, qui ante a”
nos mille jeptingentos illa in inſula, etiam ex
cole-nda ſapientia, exilü twdium lenibat.~ Sed
ille adverſus Car/icam, credo ex wgritudine
animi inſert/'us, è’ iniquas fuit, quippe qui i”
pervalgatoſuo (ejus em’m eſſe dicitur) epi
grammate /crz'bere non dubitavit, prwter exa
lem EJ’ exílium nihil omnino in ea injùla re
periri; non puma autmmli, non palladium
brama: mmms, 'non uerz’s fmtus, non aeflatis
ſegetes, non herbam. non panem, non han/Zum
aqua, non ignem. Non vmtam, non aaſus efl
addere , etem'm id ſcribere valenti, mm Iene'
aliquo ſuſſùrro, ſed magnoflrídore ac mur
mure exprobraffet illi mendaciam Corſicus ven—
tus, qui Bonifacio' quidem, ita crebra tantoque
ñ ’ im
98 ,
d’ umor sì lieto ,ì‘ e s'i giocondo , come se
si ~ritrovasse nella miglior situazione. (a)
` v Non crederà ciò per avventura se non
’se colui .che ha gustate le dolcezze incom~.
parabili che dallo studio si traggono . A
chi vi è.spontaneamente occupato , le ore
e i giorni sono momenti, le cure si dile—
guano e le noje della vita, ed e li non
sa di vivere che per le dolcezze c e pro—
va . (b) c
Ora passava l’ ore negli studjz ameni, e
nella Poesia, (c) avendo molti epigram—
mi composti che ci fanno una viva pittu
Pa
\

> \

impetu ab Occidente perflat, ut omnes arbores


per nemora perque agro: propter afflduam ejus
vim {near-me orientem verſus, inflequue ada
teſcant Efo.
( a ) Qualem me cogítes , aeeipe . Laetum 89’
alacrem. velut optimis rebus. Conſol. ad
Helv. Cap. XVII. ,
( b ) ~Vedi una ma íca ma pur Verace pittura
`delle dolceZZe del a vita ſolitaria e ſtudioſa ,
nella belliſſima prefazione all’ Opere ſue , di
quel Sovrano Poeta e Filologo de’ noſtri
tempi, da me ricordato poc' anzi, Sig. Ab.
,Saverio Bettinelli. ì
( c ) Sant autem optimae, Zuum animus omnis
cogitatíonis expers , operi us ſuis meat , EJ’
modo ſe leuioribus fludiís obleffat, modo &’0
Conſ. ad Helv. Cap. XVlI.

‘ſ\
\

9.9
ra di'quell’Isol’a, de’ quali alcuni ancor -
ci rimangono , se pur que’ nove che si
leggono son tutti suoi; e non è improba
F bile affatto, come conghiettura il Lipsio,
(a) ch’ein in Corsica alcuna componesse
di quelle Tragedíe che sono nelle mani di
tutti sotto il nome di Seneca, e Singolar
mente la Medéa: comecliè varie sieno le
opinioni degli eruditi intorno al vero Au
tore , o agli Autori di quèste Tragedie ,
come vedremo; ora~ osservazioni facendo_
sulla natura del mare, sul suo flusso e
rifiusso, sull’ origin de’ tuoni e de’ fulmi
ni, de’ venti, e delle nevi, apparecchian—
do per avventura i materiali per quella
grand’ Opera che poi compose delle Nata-4
rali Ricerche, di cui parleremo a suo
luogo. (b)
g2 Ma_

( a ) Vita Seneca. Cap. V. .


( b ) Terra: primum , ſitumque .earum quw'rit ,
deinde conditionem circumfuſi maris , our/uſque
ejus alterna: ED' recurſus: tum: quicquid‘ inter
cwlum terraſque plenum formidine inter-jam ,
pet-ſpirit, ED’ hoc tonitribus, fulminibus. ven—
tor—um flatibus, a:: m'mborum níuzſque EP’ gran
dinis jaffu tumultuaſum ſpatium. Conſ.,ad
H81". .L. C. \

\l
:oo \

Ma Più chequesti =studj` bellissimi, era


'a lui ‘caro quello della MoraleFilosofia, (a)` ‘
più

( a ) Diffi' che più caro era a Seneca lo ſtudio


ìdella moralelìiluſofiache non qualunque al
,…tro, poichè in eſſo egli più che _in ualun—
que altro s’eſercitò con gran lode . -he del
rimanente i0 non ignoro , che` egli ove
' trattò delle Naturali Ricerche, acceſo di ſtra—
4‘ ordinario amore, (com’ è proprio ,di molti.
Autori.) per il novello ſuo parto, che s’ap—
vparecchiava a mettere in. luce , ebbe a dire,
che tanta differenza era fra quella parte della
filoſofia che ſpetta ai coſtumi, e quella che
tratta delle coſe celeſti , quanta corre ſra
l’uomo e Dio . Poichè, dic’egli, qual egre—
io trionfo ri ortiam n_0i quando combattiam
enoſtre pa ioni, quando ancor fatto ci
ven a di rimaner vincitori? abbiam vinto
de’ oſtri . Quamdíu cum affefi'íb’us 'colluñ’amur ,
quid magnifici a facimus ? Poi-tenta vicimus.
Quafi che non foſſe. impreſa più utile, il
Vincere queſti moſtri che ci amareg ian la
vita (per non toccare il di iù a ëeneca
ignoto) che il'ſapere "come fi ormi la ra'n
dine, come diſtillin le piog ie; come fi ?cuo
ta laterra-ec. , alla, quale cappata di Seneca
~che troppo paleſemente contraddice agli altri
ſuoi ſcritti, fa lungo e rigoroſo il procefib
" l’elegantiſſnno Padre Daniello'Bartoli, le cui
auree operette, malgrado di qualche vizio
del ſecolo in cui le ſcriſſe, meriterebbono
d’ eſſer più conoſciute, e meglio ſtampate.
Vedi Geografia Traſportata al Morale. Cap.
IV. 1a Made”; pag. 273. ‘
- 101
più utile per vero dire di tutti gli a1—-~
tri e più necessario all’ uomo, perchè a'
domar tendente i suoi maggiori nemici,
Voglio di—r ’le passioni , del quale ci lasciò
un bel Saggio, nell’ operetta da lui ‘com
posta a consolare la Madre , della lonta—
nanza sua, e del Suo esilio. Niuno pri
ma di lui si era accinto a quest’impresa,
di consolar cioè altrui d’ una propria di—
sgrazia, ( a) ma Civxíusci .egli per 'verità
egregiamente. In essa ‘prova due cose alla
Madre, 'cioè, ‘che nè per cagion di se
stessa -debb’ ella dei suò esilio dolersi, nè
Per cagione di lui. N0n~perì cagion di se
stessaffi poichè per'due motivi una Madre'
Può piagnere la lontananza d’ un figliuo—
. 10:‘0 Perchè ha in lui perduto un' Sosten
tamento e un ajuto‘, o_ ìperclìè 'non ’ può
reggere *al desiderio Sommo ch’ el'la sente
di lui :"ma Elyia'nòn amava i figliu‘qlio
per le- ?cariche che ‘coprivano , 0' 'le'
ricchezzedi cui 'laìfortuña lore-'era stata
…‘55. ’ ‘ .Prc-7
l`v

( a ) I’m-term mm omnia ‘clariffin‘zbrum' ~Mg::


> 'niorum monuinmta ad compeſcendas model-ans
› dpſqy'e Lufifus coMpoflta anali/eum; ”ammuz
m'ebgm, exemplum ejus gui conſolatus uos eſſer.,
'ſtu-M ipſe 'ab ittis complórarem’r: onſol. ad
LI-lelv. Cap. I. r
(
102
prodiga: ma gli amava per se medesimi,
e per un naturale impulso che la portava
ad amargli . In ‘quanto poi al non .poter
sqstenere l’assenza del Figliuolo, ciò ac—
cader poteva in qualunque altra “Donna,
fuori che in Elvía , la cui vita era stata
una continua successione- di priVazioni e
o di guai, onde potea ancora aver, l’ animo
forte ed apparecchiato ſia questa disgrazia.
Non dovea Elvia nè pur-dolersidí quest’
esilio per conto del figlíuolo, perciocchè
a lui non’ era accadutomale niuno, non
essendo un male il cambiamento di luo
go, che infiniti cambiano per Rurocaprio
cio; non la povertà, quando-uno ha il
necessario onde vivere, e` qùesto a lui non
mancava; non l’ ignorninia che_ par, che ,
dallîesílío sì derivi:: quando tantiflìornini`
sommi con rassegnazíone soffi‘ironp, que-51;’.
infortunio, il quale lasciò d’ essere igno—i
minioso da poi che cadde in loro . ;Non
dovea ,dunque El'via dolersi per conto al’ñ
CunO; ma ;per asciugare più facilmente le
lagrime di_ lei, la consiglia di fortificare
e di ricreare in parte l" animo suo collo -
studío dell’ arti liberali, e della filosofia, ’
per>il quale sin da - giovinetta avea mo
strato inclinazione grandissima, e in parte
colla conversazíone degli` altri due 'figlíuo
›lí
li che le erano rimasti, de’nipoti,-ſi
103'
del
la sorella,‘de’ quali tutti fa egli l’e io.f` ,
Quest’ Operetta è delle più helle 'di Se—
neca . Oltre i"'solidi pensieri ,r e le rifleäá‘
sioni utilissime che si ammirano in tutte‘
l’ opere ,sue , vi‘ risplende un metodog-un
’ordinelucídissimo ., che' in tutte ‘l’ ’opere
D’ un
sue, non altra opera adilui'
è Sempre conforme argomen
consueto.
to sì bene , ma di carattere affatto diver
so , dobbiam or noi parlare , voglio dir
della consolazione diretta a Polibio ,‘ uno
(le’ più cari liberti- dell’v Imperator Clau
dio , e 'a tal otenz‘aſi ed alterigia condot
to, che si ve ea spesso passeggiar solo- in
mezzo ’ai due Consoli. (a) 'A‘ ì ‘
’Noi non possiamo dar unav distinta’ idea
di quest’ Opuscolo , mancante dei' XIX‘
primi capitoli, e di buona parte ancordel
ventesimo. Fu Scritto nell’anno terzo dell’
esilio di Seneca, `poichè egli parla al ca*
` pitolo XXXII. della‘conquista della Breta-ſi
gna fatta da Claudio` appunto in quell’
g 4 p ſanno.“ ’a’

› '.- .'3.;...‘

( a ) Ac ſuper hos (Claudius ſuſpexit) Poly


bíum a ſtudi”, qui ſiepe inter duos Con/uſes
ambulabat. Sveton. in Claud. Cap. XXVHI.


i ~ \ /
‘0.4! .
armi), ,(41) Intendimento .è dell? Autore di
çonsolzar :Polibio della morte di un Fratel-7.
10;.dgz,lui;svisceratameMe amato. Gli proñ.
vafçlunqpe non dover egli dolersi d’ una
gççççsità a cui tuttì'cbe nascono `van sog—
getti, 1gg; yëſapdràf_ pulſe: il Mondo.,stesso_
una-ſſ,voita;_,che,zè.vanq e senza frutto il
dolo‘re ; ` che gli, uomini nati sononalle af-z
flizionizedzalle. sventure. Che, il `morto
fr;a,tqlló,,se dopo _questahy’ è un altra vi—
ta', (non può volere ;il ,suo dolore‘, e se
tutto colla- morte -finisçe , non-può sentir—
lo . Che egli, .Rolibio ,; occupando la cari
ca -luminosa ’difîlibertoe favorito _di Cesaó,
re, ,dovea dar “un esempio di costanza e
di fortezza agli altrizfratelli, che teneva
nozglizocchi in .lui :,fisfl. Passa quindi a
consigliarlo, per distraere l’ animo suo~ dal
dolore, di rivolgersiz agli studj; che tanto
egli. amava , e ne’ quali s’ era procacciata
17 Mortalità; assicurandolo che ilfsuono
me earebbe celebreſra i piùiillustri insino
a; tanto chefossero _inpnoije le lettere, e
chefclurasse la potenza della Latina, e del—
la Greca lingua la venustà . (Avea Polibio
tradotto dal Greco in prosa latina Omero,
,-…._.….......... _ . .....….…e dal
*fl— T

.z ,e @zz-Dion. Lib, LX.; SW: in Claud. Cap. XVII. ‘


’i

j '105
e dal .Latípo PUOSZÎSTBCHAVÎÎSÌIÌQ. ) Il
consiglia‘ altresì fa; .compor ſavoir-atte', ge—
nere
tati-i diRomani
poesía `Scrittori
inzcuilnon c’eranoeserci-z
. .Final. çhxeljnioſtſiiî.
esempj adduce. ,di ,uomini ;‘346 ,,copÎ'Vi—L;
rile cor` gio, sop’ rtaztehave'an, le dis'gPa-L
zie,…e. _ra “que‘sti quello atesep, di Clan-z,
dio Imperatore ,;d,iñ;cui.ptesse un elogio sì]
' grande »che al .maga-;LW Ema-.che. .il Lazio;
abbia avuto _.sarebbe, spyercbio ,z perche fall’i
Umana. ;Fqnflizion ,Superiore .* Eccp _in iácorñ‘,
cio il contenuto
ragionenolmentelzha quest’QPuecolö',
_molto be,"
dato ſidi, ,glieſidiz
re_,aí._tut‘ti coloro-.cliefiçlel ,carattere ‘morale,
Seneca ,hanno-z fatto; parola:. l xi-iser-,ñ`
bcxemO. al Quarto :Lier › le.) nine z íífles—'
sioni lcb’ …egli ci :ba pbbligati ,d’iſ rë.',,. è
con_ migliori auspidj,_,passeretnd a' ‘d'arcon-x
to dÎ un altra Opereteta,…qual eläÈC'onsoó
lazione a Marcíd.*,,ſcqi 'non siarnoz però
sicuri che fosse__dà ',uízcompóstà in ésilio,
com‘echè vi sia luogo 'di `sospetta1'ló, per
ciò che vedremo .‘ A meglio però inten
dere e gustar questo editto, alcune noti—
zie storiche son neçessarie , cli’ io stimo
da me q'ui doversí pl'emettere.< ` z
Era Marcia figliuola, di quel Creníuzio
Cordo‘ 'famosoStorico, `che fu accusato dai
Bate-liti' di Seiano;,.7( consolí\_eSSendo Cor

l
106 ` y `
nelio Cosso, e Asinio Agrippa ) per 'aver
chiamati nella sua Storia Bruto e Cassio’
gli ultimi de’ Romani, (a) e perchè non x
avea lodati‘, come "si Credea convenire ,
Cesare
chè e Augusto
Auguſisto udita Imperadori: (b) questa
avesse leggere come
storia, e" non se ne_ fosSe lagnato. Questez
erano le ragioni apparenti' onde accusare~
Cremuzio; ma' il vero motivo si ſu l’ odio
fierissimo che' Seianoîa lui portava , per'
certe parole poco avvedutamente da Cor—r
do dette in suo dispregio. Tiberio riface
va ’il `Teatro ìdi Pompeo ch’ era stato‘ ab
brucciato, ſiove "ſu ' collocata‘la statua del
suo fav‘orito
esclarnò: oh' ’seianójf'Co'rdo
adesso 'sſſì‘che il inTedtro
veggendola
è ro
vinato! (c) Questo e più altri detti con
,- éímili Vennero alle orecchie di Seíano , e
tanto *bastò "a quest” uomo prePotente e
*" .crudele~ per farlo risoly‘efe a vendicarsi di
Corda . Cordo sì difese 'assai bene in Se
‘ “ " ‘ nato,

ci) Tacít. Anna]. Lib; IV.` Svet. in Tíb'


.Cap.LXI. . ~
- é b ) Dion. Lib. LVII.
c ) Decarnebotm; iui (Seíano) flotta-,in Pom—
peli Tlu‘atro -ponenda , quod exufium Ceſar
reficiebat. Exclamavif Cordus: tum: ”ei-e Theo;
tram pori”. Conſol. ad Marc. Cap. XXII.
. Io?
nato, mostrando la‘ sua innocenza; ma.
uno sguardo truce da Tiberio lanciatogli,
inentr’ egli si difendea, gli fece* chiara}
mente conoscere ciò ch’ egli aspettar si
dovesse.(a) -' ’
Per la ‘qual cosa lìscì del Senato riso-`
lutissimo d’, incontrare una volontaria mcr—z
’te , per ev-ítarne .unax infame, non. volerh
‘do tanto avvilirsi, ..d’ andar supplichev’ole
ai piedi di Seíano . In casaz propria avea
egli però un fortissimo ostacolo al suo
dísegno, e questo era 'la-»figliuola Marcia
cui egli. amava teneramente, e dallalqua—
le‘ era tenerissímamente ríamato; Marcia
sarebbesi .con ogni ;sforzo opposta alla ri
soluzione del Padre , se- 1’ -aves’sez ,potuta
mai prevedere. Pensò dunque egli ingan—
narlaì,la sola volta in sua vita, M( b,)~,Sce1
to‘ il genere di morte che a, lui più pia
cea, che ſu l’inedîa,` si chiuse nella sua
stanza
dar col pretesto
sospetto di dalle
., gittſiava bagnarsi, e-per
finestre non
alcuni
comev rimasugli di `Vivñnde ,fa _far credere
ì
‘i‘,
k …ich
I

( a ) Tacit.. Anna]. Lib. IV. .


( b ) Quid facce-et? fi vivere vellet, Seianus r0
gandus erat, ſi mari.. lia: uterque inexora
bili:: conflituit filiam alle”. Conſol. ad Mar
cìam. Cap.- XXlI. o’
m8’ v
eh’eglLÒ’ era `abate', ‘onde niuno ’s'i _mara-.
víglia‘sse; ee fall’ joradella cena—"e211 cogli
altri poi non“.mangia-V-a. (a) Menoquesta
vita-tragiorni, ma il -quarto sentendosi
mancare, abbracciata la figliuola} le "svelò‘
l’arcand;r-pregandola: teneramente a 'darsi
pace!, :,effawnbn voler - tentare ' d*- impedire
,unaîcmcſrte ch’í'eraî’ oggimai inevitabile.
Qíiindi Îfatte - chiudereíxlez finestre fionde non'
potesse-i ‘penetrar- .:raggio luce”, placidañ_ ’
nientemorì ;2 (lr) n“ c’:
4. :.-íSentiron con ‘rabbia `gli` aocaniti- perSeÎ-*v‘
cuto‘ridíi ’Cordorfieliìeg'li si fosse' inVOIEEtÒ’
allevlòr mani; ed alla loro *barba-rie;-onde`
non .potendo più incrude‘lire nelíla'pers’ona
di? lui", ne’ parti‘. incrudelirono del’ suozin-aî
- . il:: Wa 042*‘1’ . :3637103, '

_,,‘,,
fl a- ){
*1/3 Saitaque
iui, balneo,
~) "1' i quo plus› imponere-t,
' "iu‘eu 'Îculum ſe quwdtszper
ΑQr'dimiffiſpueris, quaſi guflaturus cantu/it; m’
femflramffut‘ è'
.k ‘deretur edlſſe, rojecz't: a caena’dez'nde,‘qualí'
-jamz arie 2‘”- eu ?culo—edſſat, abflinm‘t.- Conſol.
Kad arc. Cap. XXII ,
( I) ) Alteroque die 89’ tertio idem ficit. Quar
to , ipſa. infirmitate corpo-*is faeiebat indian!” .
Complexus itaque te Carifiìma inquít, ,filía, v(Se:
hoc unum, tota celata vita, iter- mortís in—
refſus ſum ,~ &‘jam medium fere teneo.
evocare me-nec debes, nec potes. Atque
vita-lumen ‘41enne- ’Prà-dude‘ juffit, 89’ ſe' in tene
bris ca/zdídit. Conſol. ad Marc. Cap. XXII.
a ‘Io-9
gegno, e fecero decretar dal Senato cheñí
libri di _Cordo bruciati f0ssero per man
degli Edili. (a) Sciocco procedere , come
Tacito osserva , de’ potenti, che credono
col punire gl’ingegni, di»poter spegnerne
anche la memoria presso i posteri: col
Perçseguitargli altro’ non fanno che‘ accre
scer loro il credito 'e la gloria, -ed a“se
stessirpoi la vergogna. (b) - `
Marcia però ad onta del senatorio de#
'creto, nascose e conservò le opere del Pa—
dre , aspettando tempi migliori onde met—
terle a luce , e questi tempi arrivarono
sotto Caligola, il quale abolì in gran par—
te i decreti di Tiberio, e questo fra gli’
altri pubblicato contro la memoria di Cor—
do. Allora uscirono gli scritti di Cremu—
- - ZIO ,

( a? Accuſatoflsſi Sqíana auffore, adeunt Con


ſu u m ~tribunalia= quaeruntur marz' Cav-dum . . . .
aule:: illis Cordus mdebatur eflùge”. Conſolat.
ad Marc. Cap. XXII. Tacit. Anna]. Lib. IV.
Svet. in Calig. Cap. XVL Dion. Lib. LV'H.
( b ) Quo magís [amo-diam eorum inridere li
bet, qui prwſenti potmtia , cradunt each'th
poſſe etiam ſequentis-wvi memarÎ-am. Nam com
tra uniti; ìngem‘is glifcít- auñ'orz'tas , neque
aliu exterm' regcs , aut-"qui eademſzzvitia uſi
ſunt, ”{fi dedecus ſibi, .atque illís gloriam pe
percre. Tacit. Annal- Lib. 1V. `
\

'110
zio, che furono avidamente accolti da tut
ti. (a)
Marcia era maritata, ed* avea‘avutì fi
gliuoli , fra quali Metilio, che sul fiore
degli anni, e quando dava di. se le mi-z
glíori speranze, morì. Era bello della per
sona, di -costumi incorrottí a tale, che fu
innalzato all’ onore ddl Saçerdozío . (b)
Era marito, e avuto ‘avea due figliùole .
(c) Amava la Madre con tale svisceratez
za.a che quantunque avesse tutte le qua
lità e tutto il coraggio onde riuscir valo
roso soldato , ed innalzarsi in questa car
fiera ai primi onori, mai non volle~ pi
’ gliar—

( a ) Utſi‘vero aliquam accu/ionem mutatio tem


porum dedit. ingenium patris tui , de quo ſum
ptum erat ſupplicíum, i” ufum hominum redu
xj/Zi, EJ’ a vera illum vindico/li morte, ac re
fiituifli in publica monumenta libros, quos vir
ille fertiffimus fanguine ſuo ſcripſerat. Conſol.
ad Marc. Cap. I.
( b ) Adolefcens rariffimw for-mm in tam magna
mulierum turba viros corrumpentìum, nullius
ſpei ſe praebuit: ED’ cum quarumdam ufque ad
tentauduml pervenifl'et improbitas , erubuit ,
qua/ì peccaflèt, quod placuerat . Hsc ſani-Mate
morum effecit, ut puer admodum dignum Sa
cerdatio videntur. Ibíd. Cap. XXIV.
( c ) Haba: ex illo duas filius. Cap. XVI.
- z 11-!
gliarla , per non dividersi un’ momento
solo dalla cara sua Genitrice . -( a.)
Quanto fosse la morte di Metilio dolo
`ro'sa a Marcia, facile è immaginare; in'.
fatti eran gia trascorsi tre anni da che
egli era morto, che Marcia era così in,
consolabile , Come il primovgiorno ch’ egli
era spirato nelle sue braccia . (b)
Fu allora che Seneca, -sentendo pietà
di lei, si risolvette di consolarla con lo
scritto , di cui ora, secondo è nostro co—
stume , daremo al lettor qualche idea .
Comincia l’ Opus’colo con. gli elogi giu
stamente compartìti alla pietà di Marcia.
nel far rivivere colla pubblicazion degli
scritti del Padre, la memoria di lui pres—
so ai posteri. Quindi per consolarla della.
morte del figliuolo Metilio, gli esempi
adduce di due PrinCipesse che diversamen—
te sì comportarono alla perdita de’ lor fi—
gliuoli . Ottavia l’ una Madre di Marcello,
Livia. l’ altra, di Druso . La prima non
‘ volle

( a ) Adoleſcens flatura , pulchrìmdine, cwtera


cor-paris rubare caflm’s natus. militíam "e-mſn_
vit m* a te diſcederet. Ibid. Cap. XXIV.
f b ) Tertius jam prwteriit annus, tum interim
"nihil ex prima illo impetu cecidít; ”noan ſe
è” carraberat quotidie lut‘t’us. lbid. Cap. I.
/
112 -
volle 'mai' consolazione niuna in tutto il
tempo *della suax vita, ’non permettendo
nè pure ‘che s‘irricordasse in sua pres-"enza
il figliu‘olo 'e- leisue' geste, abbandonandosi
‘in preda ſal plù cupo dolore; la 'seconda
, cercò anzi di eonsolarSÎÎ, -e sihgolarrnente
-nelIſi‘a filosofía , e nella ricordanza de’ me—
riti del' figliuolo, trovò il suo’ conforto.
:Seneca consiglia Marcia .di. seguitar più
tosto *1’ esempio -di questa- che non di quel
la, come più umano, più. saggio, e più
generoso, e vagamente introduce `il filoso—
fo Arco! a confortar Livia, acciocchè Mar
cia delle"medesime riflessioni approfitti nel
proprio suo caso.' (a) Passaquindi‘ ai più
l r ~ ‘ i ſſ

, ( a ) vL’ Autore delle ?Cento Novelle antiche ,


chiunque egli ſia , ſ1 eſervito di vqueſta in—
. venzione di Seneca onde conſolare una Ma
dre , a ’comporre la novelletta ññfetta’ntefirna ,
in fine alla quale , quel’co, ſemplice quanto
1 elegante Scrittore, dichiara il motivo, ſe
condo lui, della morte di Seneca, il quale
è afl'ai diverſo da quello che noi addurremo
---~› a ſuo- tempo . Io riporterò le ſue parole me
deſime, onde fi ſcorga che il trecento, for—
tunatiflimo per l’ eleganza del natia noſtro
linguaggio , non `lo era egualmente per l’ar
te critica, ſenza la quale l’ erudizione nuoce
giù che ‘non adorna j partidell’ ingegno.
crive egli adunque così: '
' ” A11"
115
particolari argomenti onde vincere il suo- V
dolore , mostrando che questo è affatto'
inutile, ch’ è ingiusto, poichè ciascuno che:
nasce, a condizion nasce di dover un gior—
no morire; che, per quanto sia uno infe—ì’
lice, ‘n01 sarà egli mai tanto, che un al— V
tro non trovisi più infelice di lui. Quin—
di dopo aver. recati gli esempj di alcuni‘
uomini 'famosi, ed illustri matrone, che
con mirabil costanza sostenner la morte
de’ figliuoli, e invitata Marcia a consolar
si colla presenzañ delle-due sue figliuole
viventi, e delle nipoti, che in qualche
modo rappresentavano il Padre, il quale
morendo v`s’ era sottratto al pericolo e- d’es
- h sere
n

,, Ancora fi legge di Seneca, ehe eſſendo Mae—


,, flro di Nerone, sì lo battèo quando 'era
” iovane come ſcolajo; e quando fu fatto
” mperadore , ricordoffi delle battiture di
” Seneca, sì lo fece pigliare, e giudicollo a
a’ morte. Ma cotanto gli fece grazia ,, ehe
,Q gli diffe, eleggiti i che morte vogli mofl
” -rire, e Seneca chieſe di .farſi aprire le ve—
” ne in un bagno caldo: e la vmoglie lamen—
9’ tando dicea: deh Signor mio, che deglia
zz m’ è, che tu muori ſenza colpa; e Sene—
” ca riſpffoſe: meglio m’ è morire ſenza "col—
37 Pa, che con colpa; che -s' io moriffi per
i ”
mia colpa, ſarebbe ſcuſato colui che mi
” 'acide a torto ec. "

‘L
r

114
nere perseguitato ’dalla cattiva fortuna, e
d’ essere sedotto daiv mali esempj d’ un
secolo molle e vizìoso: fa comparire Cor-s
do medesimo , il qual dall’ alto de’ Cieli
la figliuola consola , facendole conoscere
quanto più invidiabile sia erpiù sicuro
lo stato presente del figliuolo, che non
era il passato, mentre vivea. ` .
Quest’ Opuacolo, ove si eccettuí qual
che difetto’
petizione nellacede
,l non condotta,
punto eperqualche
soliditàri—
e
varietà di ragioni, e per certa unzione
degna di miglior Culto che non era il par
gano, a quello bellissimo diretto ad El
Via- ‘o , ( ' ſ r o

~ ' E a
T

( a ) Diſſi più ſopra che la Conſultazione a [War


cia fu `ſcritta probabilmente mentre il filo
ſofo era in eſilio, e non certo prima. ,Per
"ciocchè dicendofi altresì che 'queſta conſola
zione fu inviata a Marcia tre anni dopo la
morte di Metilio, l’epoca ſua debbe efl'ere
ſotto il Regno di* Claudio. Mentre vivea
` Tiberio, non è probabile che un nipotedi
Cord'o da lui odiato e inſamato, all’ onore
innalzato foſſe del Sacerdozio; dunque il ſu
ſotto Caligola che riviver fece lamemoria
dell’ Avo, e di cui gli ſcritti potè ſolamente
allora Marcia reſtituire al pubblico. Ma Cali
gola regnò tre anni e dieci meſi, dunque lo
- - ſcritto
1‘ 1,5
\
E a qnesto l'uogo fàrem -pur parola per_
ultimo, del trattato della Provvidenza.,
indirizzato a Lucilio,
me s’ è veduto,ì grandenel
di Seneca, amico,
qualec0-si
risponde alla questione, da Lucilio, proñ
posta, ~perchè, se la Provvidenza, regola.
qwesto JÌIondo, avviene poi che tanti ma—
li accadono ai buoni? Non si può pre—
cisamente affermare in qual tempo dettas
se il filosofo questo scritto, certo fu dopo
Caligola, (a) ma non è affatto improba
bile che ciò` fosse durante il suo esilio,
come~altri osservò , a propria .consolazio
ne e conforto. -
Dimostrato da’ Seneca non. essere il Mon-L
do nato dal Caso, e non pote-.rsi spíegare
senza un regolatore supremo , il `moto ,
l’armonia e la costanza fra taflti esseri
discordanti che qu'esto universo Compongo
`h 2 - no;

ſcritto _di Seneca, che pubblicato fu tre anni


dopo la morte di Mctìlio , compoſto ſu non
prima del regno di Claudio , e ſiccome 1' efi— L,

'lio di Seneca durò otto anni, quindi non è


ìnverofimile ch’ egli il dettaſſe nel luogo
della ſua rele azione. ,
( a ) 'Al capito o IV. fi dice: Ego myrmílla
mm ſub C. Caſa” de raritate mnnerum au
dim’ quaerentem. Duane Calígola più non
viveva .
116
no; passañ a prOVare'che -aì buoni, quegli
che
sono appajono
, perchè mali , mali
necessarj v'all’ realmente nOn
e-sercizio della

virtù, 'la quale non può incremento pren


dere , nè‘ chiamar -si può ferma e costan
te, se non è più epiù volte ‘per le cose
avverse provata . E Perciocchè all’ .uomo
buono cara è la virtù, così eSGer pur gli
debbono cari que’ pericoli', qflelle traver—
síe, quelle angustie- che la pongono nel
vero suo lume: comez'le‘ infermità , l’ esi—
lio., la povertà. Esser 'Iddio co’buoni, (a)
SÌCCOIΑIC è il Padre oo"figliuoli a lui più
cari, e il Generale c0’ soldati da lui più
aVuti in conto: che il primo è più rigo—
roso egpiù esige, il secondo a’ più .ardui
cimenti gli espone , .come que’ che anche
:possono »ap-portar loro più gloria. Esser
necessarj i mali a’ buoni," ad istruzíone ,
ad esempio, a stimolo v_agli altri, e ac—
ciocchè si conosca, non esser male o bene
,ciò che tale in apparenza rassembra , :ma
la felicità e la miseria essere in‘ noi‘, e
non nelle cose esterne .riposte . `
Fi

( a ) Così pure diſſe il reale Autore della Sa


pienza: Quem enim dzlígit* Dominus, corripit.
_69’ qua/ì poter 2'” filio complucet flbí. Pro
verb. 1L 12. -
—-\/

…117'
Finalmente_ dà compimento al; trattato ‘
coli"introdur Dio. medesimo che se-.qstessò
gìustifica contro-le querele degli stólti., che
spiega qual 'Sia la- vera fBEatitsudin de?
bu'oni, qual la vanità de’ beni terre’stri,
che esort‘a' i suoi ‘eletti ~,alla pers-,avel'anza`
ed alla fortezza.. b * J 1- '
~ x La ‘morale e i- preoetti di 'questo Opu—
scolo- sono utili e'sagg‘i.; e l’ opuchlo stes— ,
s'o ichiamar Potrebbesi degno’ d’ un'ÎCri-ó
sfiano filosofo, seL l’ introdurre la suprema l
Divinità che esorta i buoni, oaso che tol—
ler'ar non possano le dfsgrazie , a_ darsi
morte, guastasse ogni oos'a ,- re non
.ſacesse ,chiaramente conoscere , che-la .sa—.
pienza lumana se. ri'schiarata non `venga.
dai ' lumi che l’ unica e ,vera Cattolica 'Re
ligione ‘cií porge, è “Una‘ sapien‘Za tenebro—
sa e chimerica , è una perenne fonte ,di
fallacie e d’ errori.. ~ ./
Ma mentre .Seneca così, utilmente_ 0c”
cupandosi negli Scritti che abbiamo accen—
nati, e in moltialtriforse cheil tempo
ha distrutti, fortemente e _tranquillamente
sosteneva il suoesílio, si apparecchi-ava
in Roma‘una rivoluzione di cose molto a
lui favorevole, e a .tutti gradita.
eraEra morta,
statav cagioncome
del sisuomeritava, colei "dir
esílio', voglio ch’

h 3 - r' ~ Mesñ’
;18
MeSsalina, la quale. .a tale stravaganza
avea portati i suoi eccessi , (che giunse ,
com’ è detto, a sposare pubblicamente Sì
lio , vivente l"Imperador suo marito .
Rimasto vedovo l’imbecille e stupido
Claudio ,ì conoscendosi Îche `il celibato non
era per un uom sensuale, ed avvezzo ad
esserè governato in ogni cosa dalle Mogli,
qual‘eracegli; i ,Libertí suoi che regge—
van 1"ImPelîo, si díerono a pensare-'qual
Compagna meglio .a lui convenisse, opiù
tosto_ :ai lor fini , e. divisi erano nella
scelta .- ’ - \ ' '
› Molte donne vi concorrevano, ,e ciascu—
na o 'per bellezza, o» per nobiltà-, o per
ríoóhezza, degna cnedevasi di quest’ onore .
* Ma due fra l’ altre si distìnguevano,
Lollia Paulina, e Giulia
sta era*spalleggiata Agrippina.quella
da Pallante,v Qne—
'da Calisto, prepotentiñLiberti, e v² era.
chi ne proponeva anche una terza; e cia
scuno. Ita-‘ragioni recava vonde il matrimo—
nio-protegger da lui proposto. (a) x':…
Lollia Paulina era matrona bellissima ,
di nobiltà cospicùa, di ricchezze immen
- »ſiac ` _4' - ` . Be

` . L.. , i . . l r
,‘. A *"r

(a—jTac.. Anna]. Lib. XlI. …


\

, l "9
se (a) ereditate dall’ Avo M. Lollio, uom
consolare, e governatore rapace di molte
Provincie , ajo di Caligola , di cui guastò
il cuore , e vendette a caro prezzo la
grazia’ che poi perdette',` divdlgando ipiù
gelosi segreti del principe ai popoli, e ai
re stranieri . (.b) ` '
Era costei maritata a Memmio Regolo
uom consolare, poi toltagli a forza da Ca
h 4 _ ' ligo

( a ) Narra Plinio coſa 'delle ricchezze di co—


:ſtei afi'ai ſorprendente. .Dice che ad. ogni
pajo di nozze ella ſolea comparire carica di
emme e di perle, del valore, ſecondo i
calcoli dell’ Ard‘uino , di quattrocento mi~
clioni di lir’e ’Franceſi, ‘e dice averla veduta
egli fieſſo . Lollzam Paulinam, quae fuit Coil'
principispmatrona, *ne ſerio quidem, apt ſo
lemm' cwrimoniarum aliquo apparatu, ſed me‘—
diocríum etiam ſponſalium mena, vidi ſmarag
dis margaritÌjque opertam, alterna .textu ful~
gentibus, toto capite, crinibus, ſpira, auri
lms, collo, monilibus , digitiſque ſuhsma qua—
dringenties H—S colligebat; ipſa cmzflyìimfipa
rata munmpatìpnem tabulis probare .‘ . iſt.
Nat. Lib. 1X. Cap. XXXV. pag. 52-3.
( b ) Plin. Hiſt. Nat. L. C. l‘acit. Anna].
Lib. III. Vell. Paterc. Lib. II. j ›
Orazio era di ueſto Lollio amiciffimo, e lo
'cclebrò in var] luoghi. Vedi l’ Ode_1X. del
lib. IV. I.e le Epiſtole II., XVII., e~ XX.
del libſi.
tao , x
ligola, (a) che sposatala, poco. appresso
`la ripudiò. (b)
Agrippina alcontrario, oltre l’ esser
bella e vezzosa, era' .figliuola di Germa—
nico, nipote di Claudio, e quindi per la.
sua nobiltà avea più diritto di og‘nialtra
di pretendere all’ imperia] talamo. L’ es_ser
ella nipotedi Claudio, le dava occasione
di ,vederlo assai" spe'sso, e l’ esser poi mol—
to -impudica , le facea prender con lui
. certe libertà, e concedere certi favori che
accesero e incatenarono*~quell’ uom bruta—
le, e risolvere il fecero, a ciò molto coo—
perando Pallante , in suo favore. (c)
Ma perciocchè nel decorso di quest’ Op’e—
ra., molto d’ Agrippina parlar dovremo,
tanto gu] teatro del Mondo famosa, oosì
non sarà inopportuno il farla un po’ me—
glio con05cere al nostro 'Lettore .
‘ ' Nata
/

( a ) Avea inteſo dire Calígola che *1’ avola di


Lollía Paulina era Rata donna bellillìma; tan
to balìò perchè quéſt’ uomo furioſo s’inva—
ghiſſe della Nípote, la faceſſe. venir dalla
Provincia ove trovavafi col marito che n’ era
Governatore , e la-ſpoſalle. Svet. in Calig.
. Cap.~ XXV. ~ - i '
`( b i Dion. Lib. LVII. svet. L. C.,
, ( e Tacit. Anna]. Lib. Xii. Sveton. ínClaud.
cap. XXVI. Dion. Lib. LX.
x 12!.
Nata di Germanico edi' AgriPpina ni— '
pote di 'Augustoñ, .Siti- da fanciulla' ebbe
colpevoli ,dimestichèzze col .Fratello Cali
gola. , ( a) come 'abbiam ,più Sopra osser..
vato', e ſu educata Xda Antonia sua avola
"unitamente' alle altre florelle, (b‘) e quin—
di maritata da Tiberio a_` `Gneo Domizio
uomo illustre per'ìessére imParentatoÉ col
laîcasa cesarea ,- r( c)~ma… degno di esecra-ſſ
zione per i molti suoi-Wiz'j , (d)…ch’- egli
mèdesimo con-fes’savà, a: tale , che congra
tulandosi `con esso 'lui‘ alcuni per il fi—
gliuolo Domizio (, che poi ſu Imperatore ,
e chiamato per adozione Claudio. Nerone)
n'atOgli da Agrippína , rispose ‘loro-che
poco- di ciò dovean consolarsiì, essendochè
da- lui e da Agrippina cosa nbn- potea;
nascere che detestabile e rovinosa non'~fos~ſi—
se alla Repubblica; (e) come in fatti
avvenne . Morto di natural morte icos-tui .,…
comechè accusato’ di ribellione , e *di tre—
‘ ache colpevoli con ,Albucilla Donna di ;mole
' i li
..--ya

a ) Dion. Lib. LX. Svet.inbalig,Cap. XXIV.


b ) Sveton. in .Calig. L. C. ,
c ) Tacit. Annal. Lib. VI.
d )~ Svet. in Ner. Cap. V.
e ) Sy’et. in Ner.” Cap. VI. .Sifil. inAANef.
:zz , ' ~ '
’ ti gal-aſntiz~ ’(Îa) Prese Agrippina' un altro
marito,` e ſu questiñ Crispo Passieno uo
m0 nicchissimo ',r che due' volte fu Bonso-r
lo:. oratore. e'v ,filosofolxdi merito e d’acu—
tezza grandissima‘, (b) ~ da lei quindi in
sidiosamente ucciso, I( Se vógliam prestar
fede ad un antico s'ooliaste vdi Giovenale ,
eci-.alla Cronica dP'Eusebioj :per farsi pa
drona della ric‘ca: sua'zeredità. Accusata
Poi .d’ vadulterío' reidi- ribellione, ſu 'da
Caligola esiliata con. l’ ’altra sorella Giu-2
lia,"come abbiam già -. veduto ,ì e quindi
richiamata da Claudio, p.“oi ch’ egli fu Irn—
peradore . i . ' .i .
Alla Corte ,ove la' ;sua ` naScita’ la con
duceVa assai Speìsso , .mostrò -Ino'ltaíaccor
tezza,v nel non dar sospetti e gelosíe alla
diffidentissima .Messalina , della quale con—
s’ervar-seppe 1~’ amicizia , al contrario, del—
la Sorella Giulia, che colla sua soverchia
altereÎzza si rovihò -1 Del rimanente non
eraAgrippina ,nienter più virtuosa , o a.
" meglio

'( a ) 'Tacit. Anna]. Lib. VI. Svet. in. N61‘.


Cap. _ 7 ›
( b ) Svet. in Net. -L. C. Plín. Nat. Hiſt.
Lib. XVI. pa . 41. Luc. Ann. Senec. Nat.
Queeſt, Lib. 1 . Praef. Tacit. Anna]. Lib. V].
M. Ann. Senec. Lib. ñllI. Controv. in Praf.,
\ ”5,
meglio dire men dissolu-Îta‘ di- Messalina,
con ñquesta differenza però, chela secon—
da
delle‘~alle lascivie
sfrenato s’ abbandonava. ÎPortatavL
suo…ternzperamentc},5v l'a‘- pria*
ma al contrario vi sì `çonducevça 'non per:.
altra, ,ra-gione che-(per politici “fini.` ed"ínññf
teressaſti-.z (a); /ñ’ñ ì V
i Laggranáezzaîe il dominio *eranovlaàua
più' fonte 'Passíone, e; qualunque, 'strada,
Vi condçaçesse,x erajsçelta rda lei/.ft Essaffl s_í
addìmçszticò ad esenppjo_ con Emilio LePi-ſi.
dos,qu ‘cognato, perchè zcostuí ;una con
vgiura tramava contro 'Caljgola , e‘ sperava
di poter :montare con esso sul .tro-no . im—
periale..'~('b) ,Î . “...ha ’i _. ` . ì
Così usava` carezze a tutti. ;coloro ch’.
era'no amati da
sa in grazia di Claffldioz Per.sempre
luiiLavendo @PSAE-MTA?“
in ,vìſ—`
sta il treno, (e); al,quale alfin giunse '
ì e i Per ~`
v' ,

( a) Verſa ex eo civitas, è‘ tmzffaſoemínae


(Agríp inae) obedíebant , non per la civiam ,
ut M4 'alma, rebus roman-is illy-denti. Add”:
Rum 82’ quafi virile ſervitium. Palm” ſeveri
tas, ac ſwpius ſuperbia: nihil domijimpudi
cum, 'mi/E damz’naáiom‘ expediret. Tacit. Anna].
Lib. XII. ."u ì…
( li ISvet. in Calig. Cap. XXIV.- Dion.
l ñ l ñ .

(c ) Xíp il. in Claud. ,, ` ì K 'z'


"124 _ ~ `
per opera di Pallante , che premia’poi
divenne suo adultero: (a) Tale 'ſu ‘Agrip—ì
pina, cui ‘Claudio 'era‘ già risolut‘o~ di‘
'prender Per Moglieg'ìma un ostaColo f'rapñi
ponevasì’, ~che il tenev’a sospesqfl è“ gli
dava molestia, ed* era' ,` ’che non²'gli’=pái‘ea
di far, bene, essendo 'egli Zio, di Sposar
Ja ' Nipo‘të ; nozze* non! 'mai‘ sentite ` *a J’que’
tempi, e’riputate‘ ificestuose. Ma"-Vî'telîi-e
uomo'adulatore‘, j*audace co’ viliflfìe-'vilLÌQ—
s’imtrcon 'gli *aüdäcig -`(b) 'che (6611"‘ääionj
indegne' 'si apersìe, `la'-”‘vi‘a al supÌe'mo’ gra'
do , ' alì quale poi ”giunse , _pres’e’ìîl’ affare
Sopra di se ,’ì e fece 'una lunga"'diöería’ i'n
Senato, a provare, e la necessîtà- ‘di-dar
moglie a-Claudio, e'il non‘ trovarìsi donna.
’che -tanto a‘ lui conven’isse' quanto 'Agrip—
ina; Che 'se non erano in uso' az'Roma
‘ si’mili nozze fra Zio e Nipòte :L l'ò‘erano
in altri paesi , e , perciocchè da niuna
legge vietate, il sarebbono anche a .Roma
col tempo. (c) -
A‘, " ~ o Non

ñ Z 3 Tacit. Anna!. Lib. XII.


In uibus udulatzone pramptiffimus fuit
Vetelius , o timum quemque-jurgio lateſ
jqns, .ëy’ñ ”ſpam emi- reticms‘. ut pauida inge
maſolent. Tacit. Annal. Lib. XII.
( t ) Tacit. L. C. *
125
Non‘ erano tante ’ parole necessarie añ
quel Senato di schiavi , per farlo ~accon- '
Sentire a ciò che ben si vedea esser pre
ci—sa volontà del Principe; tutti a ques-to
matrimonio~ applaudirono ,7 e V" ebbe alan
niſ'Vili a segno che di'eean seriamente, che
se Claudio stesse ancora sospeso, `’loisognañ
va fargli sposar Agrippinaper forza.
Claudio‘ fu contentissimo, e›.fet:e poscia.
decretar dal Senato che da quindiv innan—
zi fra Zio, e Nipote, si potesserñ far noz-a
ze . ( a ): . ‘
Come Agrippina già’ assicuratoei- vide.
:il trono, più in tà subito e'stese learnbi— -
ziose sue mire, le qual-i erano di dar al;
J;igliuol‘o Domizio tale sposa, cbelo’ met
tesse in maggior diritto di pretendere alla
successione imperiale . E questa era Otñ. ,
tavia figliuola d-i Claudio. Ma c’ era di
rnezzo un fortissimo` ostacolo, perchè Ot
tavia era
ritata stata* Silano,
aſi Lucio da Claudio medesimo
chiaro ma
per nobiltà,,

per( trionfali insegne, e per Pretura che


- eser—

( a ) Non vi‘ fu però che un ſolo che del Fa


vore fi prevalefle di queito decreto , e‘ queſti
fu `T. .Allèdío Severo 7 Cavaliere Romano ,
per acquiſtarli, ſecondocbè ſi dicea, il favor
d’ Agríppina . . ,
/
126
esercitava appunto in. quell’ anno, (a)
Vitelli'o Volle favorirla anche in ciò , per
aempre più crescere .in grazia presso di
lei . Costui dunque accusò Silano , non
già' d’ incesto colla sorella Giulia C/alvina,
ma d’ìamori poco decenti e non fratelleñ`
voli. Disgraziatamente era Calvina bella
giovane, ma un po’ ‘lasciva, onde dava
all’ accusa .qualche apparenza di' veritàñ.
Tanto bastò perchè Claudio, la cui stu
pidezza non gli permetteva di esaminar
’ cosa alcuna, 31 facesse rimandar'a casa la
figliuola‘ che fu destinata e promessa a
Domizio, riserbandosi a far le nozze quan
do quest-i fosse in età a ciò conveniente ,
e fesse‘rinunziar la Pretura, e dal nove
ro de’ Senatori cassar Silano, il quale il
dì medesimo del matrimonio di Agrippi—
na, non potendo sostenere il doppio scor—
m), da se stesso si uccise. (b)
Poca fatica fu quindi a lei, dall’ adul—
teroPallante ognor secondata, il far risol—
Vere Claudio ad adottare Domizio, il che
acca

( a ) Tacit.` Annal. Lib. XII. Svet. in Claud.


Cap. XXIX. `
, (î)cìſacit. Anna]. L. C., Svet. in Claud.
o o
v.
l
- 127
accadde sotto il Consolato di Caio Anti—
stio, e di Marco Suilio. (a)
Divenuta Imperatrice questa Donna am
biziosa, e meSSo nella via delle grandez—
ze anche il figliuolo, volle con qualche
azione lodevole e cara al pubblico , far ,
se fosse possibile , dimenticare le tante~
sue scelleratezze; e ciò fu l’ indur Clau—
dio a richiamar Seneca dall’ esilio , ove
già da otto anni trovavasi. Claudio la
compiacque , siccome in ogni cosa, anche
in questa, e il nostro Seneca , con som—
mo onor suo, e col giubbilo di tutto il
popolo, fece a Roma ritorno .

’(la ) Tacit. Lib. cit.

FINE DEL SECONDO LIBRO. ’


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129
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DI LUCIO ANNÉO SENECA


\

LlBRO TERZO..

NON tanto l’ amor del bene, e la vir-ì


tù di lui indusse Agrippina a richiamar
Seneca dall’ esilio, quanto il ldesiderio,
com’ è detto, di coprir con una azione lo
devole e cara al pubblico , le tante mal
vagitàÌ da lei operate . Un’altra mira pe
rò l’ avea mossa: volea che Seneca Pre—
cettor fosse e moderatore del giovinetto
Domizio, lusingandosi ch’ egli, e per il
benefizio ricevuto da lei , nell' essere re—
stituíto in Patria, e per l’ odio che portar
dovea a Claudio , da cui era stato con
tanta ingiuria esiliato, sempre favorireb—
be Domizio a preferenza di Britannico
figliuol di Claudio, e consigli utili e sag—
gi gli porgerebbe onde giugnere abPrin—
\
1 `Cipa~
130
cipato. (a) Noi non possìamo affermare,
che Seneca le scaltre mire approvasse‘ dell’
Imperatrice , onde pervenire al compimen
to de’ suoi disegni ambiziosi, 0 che vi
'cooper-asse per conto alcuno. Ben luogo
avrem di conOScere , come il filosofo , all’
istruzion messp e alla direzion de”costumi
dell’ augusto suo allievo , non mancò e
coi consiglí , e cogli Scritti , e con tutto ciò
che' a un precettor si conviene e ad un
onest’ uomo, di giustificare la scelta per
lui gloriosa di Agrippina: ma quanto una
saggia educazione è gioveVole ad un ani—
mo ben formato e da natura disposto alla,
virtù, altrettanto è inutile,- 0 di piccolo
frutto, ove l’inclinazione trionfante a tut
ti i vizj più mostruosi, fu portata, a c0—
sì dire, dall’ alvo materno, come accadde
in Domizio Nerone,
Nè Contenta Agrippina d’ aver con tan—
ta evidenza fatta, la sua stima e la sua
parzialità conoscere verso il nostro filoso—
fo, che onorare il fece altresì della Pre
tura, ch’era la prima di tutte le dignità
senatorie dopo la Consolare , alla quale
anche , sec-ondo è comune opinione , in
/ pro—

( a _) Tacit. Anna]. Lib} XII.,


151:
processo di tempo pervenne, comechè non
se ne possa assegnar l’ anno precisamen—
te . ( a)
i z E

( a ) Ulpiano ne’ libri delle leggi al Senatus


conſulto Trebelliano, dice: a: tempi di Ne
rone , ſotto il Conſolato di Annéo .Seneca , e
Trebelliano Maffimo, fie fatto ai 25 d’ Agoſto
il Senatus conſulto 85’:. il' che fi conferma nel
libro ſecondo delle Iflituziani di Giu/finiamo.
I compilatori de’ Paſti, traſportano , come
oſſerva il Lipſro , all’ anno 815 dizRoma, il
conſolato di entrambi', perchè in quell’ anno’
non furono creati conſoli ordinarj , ma ſo—
ítituti , uno de’ quali , giulia 1’ opinion loro ,
fu Seneca. Ma in quell’ anno non fu egli
certamente Conſolo, perchè ſecondo Tacito,
1’ anno fa quello in cui_ cominciò a cader
dalla grazia del Principe, come vedremo, a.
‘ menar vita privata, e a ſtar ſempre rinchiu
ſo in Caſa: il qual contegno nè a un con
ſolo fi conveniva, nè a'un candidato. Dun
que ſecondo il Lipfio, Seneca pervenne a
quella dignità qualche anno prima, e i com
pofitori de’ Fatti, non hanno bene ordinati
i tempi. Auſonio però nel ſuo ringrazia
mento all’ Imperator Graziano er lo Con
ſolato, Cap. III. , parlando de noſtro filo—
ſofo , e dandogli di quelle imputazioni che

cheſmentiſcon
Seneca fudai fatti,
ricco dice ma
fibbene fra nonv
l’ altre coſe
ſu Con
ſolo . Dive: Seneca, ”ec tamen Conſul. A che
ſ1 riſponde che Auſonia intendeva dſell‘con—
0 ato
132
E prima di trascorrer più innanzi, ſa—ì
rem menzione del secondo suo matrimo—
nio , comechè da Dione , e da ciò che
ne scrisse egli stesso, apparisca averlo egli
un po’ più tardi incontrato, cioè, quando
era divenuto già vecchio. (a)
Questa Seconda sua Moglie, fu Pompea
Paulina, di cui ignoriamo il casato, ma
che sapPiamo essere stata donna di gran
nobiltà. (b) Era essa giovinetta quand’ ei
la’ sposò, ma la disuguaglianza dell’età,
che suol d’ ordinario essere al coniugale
affetto di nocumento, non pregiudicò in
conto alcuno al loro scambievole amore .
Seneca ne parla con gran tenerezza, e di—
mostra quant’ egli da lei fosse amato: ma
quand’ anche egli stesso nol confessasse ,
l’ultima prova ch’ essa gli diede anzi la
morte di lui, il convincerebbe abbastan
z‘a . (c) Quando egli era mal concio della
.'u
sam

ſolato ordinario, non del ſuſcitato,— e con


ſole ſoſtituto, ſu èñ’us, fu Seneca . Lips. Vu.
Senec. Cap. IV. inec- Hzfl. e‘îur. Ci”. Rom.
ac Germ. Lib. I. Cap. 1V. Paragr. CCXXVI.
g a Xiphíl. in Ner. Senec. Ep. CIV.
\ b Xiphil. in Net. -
( c ) Il celebre Michele Montagna, nel lib. Il.
cap. XXXV. de’ ſuoi Saggi , la ſtoria:1 :fiati-a
e e
‘33
sanìtà, (il che gli aCCadeva sovente) Pau-`
lina era inquieta e agitata . Andava egli
soggetto a certe febbríciattole , cui avea
csperimentato unico mezzo a scaccìare ,
1 5 1’ aria
a:: j

delle tre Mo lì, che, ſecondo lui, più in


bontà si diſtmſer nel Lazio. La prima è’
nella di cui ci arla il Giovine Plíní’o , Ep.
XIV., Lib. . , e di cui non c’ indica il
nome: la ſeconda è Arría Moglie di Cecina
Peto, di cui il medeſimo Plinio ragiona Ep.
XVI. Lib. III.; la terZa finalmente è la no—
Pcra Paulina moglie di Seneca . Non íace
ranno per altro univerſalmente in quel ’ in—
genuo Scrittor Franceſe alcuni tratti frizzan—
ti e ſatirici ch’ egli vibra contro il bel ſeſ—
ſo, dicendo ìn queſto capo medefimo , - che
preſentemente ( parla però del ſuo ſecolo )
le mogli riſerbanfi a moſtrar la loro tene—
rezza ai mariti, allor ſolamente che morti
ſono; che allora è ch’ eſcono in pubblico
veſtite a nero, coi capelli ſparſi, e col vol
to atteg ìato a dolore: ma d’ altra parte che
il bel co orito, il portamento , la freſchezza
e pienezm delle carni, e certi ſguardi in—
confiderati e furtivi, moſtrano che il dolore
che affettano , è a intendimento iù toſto di
procaccíarfi un altro marito, c e di con
pia‘ngere il morto. Una bella dama, ( con
wa tinua l’ Autor citato ) che ave” di freſco
perduto il ſuo Spoſo, più brillante moſtra—
vafi e nelle maniere e negli abbigliamegxtí,
x - c e
154
1’ aria della campagna: ma a ciò eseguire
trovava ,sempre un ostacolo nella sua cara
moglie, cui non sofl'eriva il cuore di ve—
derselo lontano un momento. (a) ,, La
77
mia consorte , scriveva egli a Lucilio , (b)
u_u.`lu~iu .uv flvu u
mi raccomanda la mia sanità: e sapen
do io ch’ella in me vive, e che la sua
dipende dalla mia vita, per aver. cura
di lei, ho cura di me medesirno: e co
mechè la vecchiezza ſorte e superior
m’ abbia fatto a molte cose , pure io
vengo a perdere questo beneficio dellÎ
età: perciocchè pal-mi che in questo mio
,, vec—

che non parea convenirfi alle leggi della Ve—


dovanza ( che anche il dolore ha il ſuo Co
dice ) perchè rimproverata da non ,ſo chi,
egli è, riſpoſe , ch’ i0 già fermamente mi
ſono propoſta di non trattar più uomo niu—
no, e di non più rimaritarmi.
( a ) In Nomentanum mmm fugi. Quid putas?
urbem? ima febrem, è’ quidem ſurrepentem.
@’am manum mihi iniecerat: protinus itaque
vehiculum parari iuffi, Paulina mea rem’tente.
. . . . exire perſeveravi. [llud mihi in ore
erat domini mei Gallianis: qui cum in Achaia
febrem habe” carpiſſet, protinus navem aſcen
dit, clamimns non eorporis effe, ſed lori mor—
bum. Hoc ego Paullime mea: dixi‘, quiz mihi
*ualetudinem meam commandat. Ep. CIV.
( b ) Senec. Ep. CIV.
I.'55
7’ vecchio corpo, quello sìa inchiuso d’una
77
giovinetta, cui sì convengono de’ riguar—
7)
di . (a) E poichè i0 non posso da lei
77
ottener ch’ ella m’ ami con maggiore for
’7
tezza d’animo, essa ottiene da me ch’
77 io ami me stesso con più cura e dili
7’
genza. E , 9:1 vero dire ., qualche cosa
77 vuolsí concedere alle oneste affezioni;
77
e spesso avviene, che quantunque s’ab—
77
bia de’ forti motivi onde incontrar vo-ſi
7)
lentieri 1a mcrte, pur dee l’uorn quan
77
to può allontanarla , e richiamarsi , a
I)
così dire, in vita, e con tormento, in
7’
riguardo de’ proprj congiunti : poichè
77
l’onest’ uomo e Saggio dee vivere, non
97
quanto a lui piace, ma quanto a lui si
7‘)
conviene. Colui che fa così poco conto
77
della moglie e degli amici, che non sa
7')
risolversi per loro’soddisfazione a vivere
77 più. lungamente, e vuol morire, egli è
1 4 ,, url

( a ) Non credo fieno neceſſarie più parole a


provare che queſta ſeconda moglie di lui
non va confuſa colla prima .\ Se quando Se
neca fcriffe queſte Epiſtole, che, come m0—
ſtreremo , fu negli ultimi anni della ſua vi—g
ta, folle vivuta la ſua prima moglie, efi'a,
in luogo d’ eſſere una giovinetta, come qul
la ſchiama, ſarebbe flata una vecchia grin
zo a .
136 i
uuuuu’3 :20, …4
un uomo vile. . Î . E` proprio d’ animo
grande, il richiamarsi in vita a riguar
do d’ altrui, il che fecero spesso famosi
uomini. E‘ altresì alla dignità dell’ uom
conveniente il conservare ,con diligenza
la propria vecchiezza . . . quando egli
sappia esser ciò cosa desiderata ed uti—
le a’ proprj amici e congiunti. 'E‘ pari
uouuu'vu u u
mente gran dolcezza e soddisſazione ,
l’esser così‘caro alla moglie, che l’uo—
mo in grazia di lei, più caro divenga
a se stesso. Se io dunque temo per la
mia sanità, conchiudeva Seneca, egli è
per cagione della mia Paulina. ,,
Dione , o a meglio dir, Sifilino, con
danna il Filosofo anche per questo suo
matrimonio, (a) nel che si può scorgere
quanto aggiustate síeno le accuse sue, e
qual peso aver debbano presso i saggì
lettori.
Seneca balzato d’ un salto, a così dire,
dalle miserie ed angustie dell’ esilio , allo
splendor della corte, e agli onori, occa
sione ebbe onde conoscere, malgrado degli
studj suoi filosoficí, quanto poco fermo
fosse l’animo suo, e quanto varie e di
SCOT-~

(a)InNer.
*3?
scordanti le ,sue inclinazioni. Confessava
egli però la sua debolezza , e diceva che
amava la virtù, la sapienza, la sobrietà,
ma che nOn era ben fermo ancora in es—
se, e che ſaceano se non sul suo cuore,
almen sopra i suoi sensi qualche impres—
sione le vanità pazze del secolo. (a) Fu
a questa occasione ch’ egli dettò il trat—
tato ,

( a ) Illum tamen habitat” in me maxime c’e-7


prehendo ( quare enim non ver-um, at medico’
fatear? ) me nec bona fide liber-atm” iis qua:
time-1mm EF oder-am, nec rurſus abnoxium . la
flatu ut 'non peffimo, ita maxime quei-ata E?
moroſo poſitus ſum: nec Legroto, nec valeo.
Tenet me ſummus amor parcimoniae , fatem- .
. . . Placet cibus, quem non -parentfamilize
”ec ſpeffent . . . Placet mini/ter incultus E?
mais cet-aula . . . Cum bene zfia plamerunt,
prwflringit animum apparatus alicuìus pada—
gogii; diligentius quam iam intra privatum
larem veſtita ED‘ aura tutta mancipia, 69’
agmen ſervorum nitentium . . . Circumfudit
me ex tango frugalz‘tatis fitu mnieutem, multa
ſplendore imam-ia, EF' undique circumſouuit.
Paullum titubat acíes: faeilius aduerſus illam
animum , quam oculos attollo. Recedo itaque
non peior, ſed triflíor: nec inter frivala mea
tam lieta: ineedo, tacituſque mar us ſubít, EJ’
dubitatio,numquid illa melíara mt. Nihil ho—
mm me mutat , nihil tamen non commit. DG.
Tranquil. Aním. Cap. I.
158 .
tato della Tranquillità dell’ animo diretto
a Sereno, di' cui abbiam detto altrove, e
che ſu scritto da lui, subito dopo il suo
ritorno da Corsica , come dal lungo passo
apparisce da me riportato.
~Quantunque egli involto fosse nelle inñ’
cumbenze di Pretore, e di Maestro del
giovinetto principe, sapea trovar però il
tempo onde raccogliersi nel suo gabinet—
to, e abbandonarsi 'a’suoi dolci ed utili
studj . Presa occasione dunque dalla pro—
pria inquietudine, e dallo stato vacillante
in cui trovavasi l’animo suo fra lo splen—
dor della Corte, di cui valutava assai più
che non avrebbe voluto le magnificenze e
il lusso eccedente, che però condannava;
scrive a Sereno, consiglj chiedendogli, on—
de la sua… mercè fare acquisto di quella.
beata tranquillità dell’ animo, dalla quale
dipende la felicità nostra terrena, e onde
guarir quell’ incostanza e volubilità d’ in—
clinazioni, delle quali era il bersaglio .
Quindi passando rapidamente di discepolo
ad esser maestro, dopo aver diffinita la
tranquillità e l’incostanza, di cui descri
ve egregiamente gli effetti; i rimedj pre—
servativi adduce onde tener lontana quest"
ultima, e sono fra gli altri, la fuga dell’
ozio , le pubbliche occupazioni o ’private
ne
159
ne’ dolci e geniali studj riposte, nella scel—
ta ancora e condotta de’ quali, dà molti
utili_ avvertimenti. Un saggio amico che
ti addolcisca le cure in seno, e che nelle
dubbie tue azioni ti sia di consiglio e di
norma; un patrimonio mediocre, percioc—
chè le soverchie ricchezze a mille inquie
tudini, a mille timori, a mille pericoli
espongono l’ uomo; una vita sobria e fru—
gale che p'oco esige, da che il lnsso ri—
sveglia in noi desiderío di quello che non
si può sempre avere, e non s’ottiene che
con molta pena e fatica; un abito di os
Servare e riflettere sugli altrui mali, on
de non affligersi soverchiamente de’ pro
prj; non invidiare le altrui prosperità,
perciocchè quanto più- uno è collocato in
posto eminente, tanto più corre pericolo
di precipitare al basso; prevedere le di
sgrazie possibíli a nascere, acciocchè non
ti colgano all’ improvviso, e ti sconcertino
più del dovere; poichè l'estremo d’ ogni
grandezza mondana occupa la misería : e
si prova ciò con esempj adattati. Non es—
sere faccendiere ozioso, e curioso indaga
tore degli altrui fatti; non correre le città
e le case inutilmente; questi ed altri so—
no gli avvisi di Seneca onde la tranquil
lità conservare.
Ma
r
140
Ma se V’ha opuscolo alcuno di lui che
sia disordinato e confuso nella condotta,
egli è certo questo. L’introduzione nella.
quale il nostro filosofo, ‘dopo aver confes—
sata la propria debolezza ed inCostanza,
chiede a'juto e consiglio a Sereno onde
guarirlo, e passa poscia egli stesso a farla
da Precettore, ha messo in iscompiglio i'
per altro imperturbabili commentatori, e
gli ha fatti escire in molti strani ghiri—
bizzi, ch’io risparmiar voglio al colto mio
leggitore. Quello ch’ è fuor di dubbio sì
è,— che il presente scritto è mutilo e gua—
sto probabilmente dal tempo, e dagl’ígno—
ranti copisti che le veci fanno del tempo:
PCI'CÌOCCl‘lè Seneca all’ ultimo capo dice a
Sereno, aver egli mostrati i modi e onde
conservare la tranquillità dell’ animo, e
onde riacquistarla perduta , e ciò non
Veggiamo egli aver fatto, che in quanto
alla prima parte si aspetta .
Al suq amico Sereno medesimo è pur
diretto il tg'aítato della Costanza del Sag—
‘ gio, il qual non possiam dire precisa—
mente quando sia stato scritto: ma aven
do egli qualche conformità col precedente
( anzi ne’ tempi andati facendo disgraziata
mente un corpo con esso) potrà quì aver.
suo luogo.
Enco
~ 14!
Encomiata a principio la setta Stoica
come la più nobile e la più virile di tut
te , passa Seneca a mostrarci coll’esempio
di Catone che il Saggio non può ricevere
ingiuria nè contumelia ; e Siccome questo
,sembra a prima vista un,paradosso ridi
colo, l’Autore spiega la su-a proposizione,
dicendo, che non è che il saggío non ri—
ceva spesso onte, etrapazzi ed offese ‘,‘ Ma
ch’ein non è da queste ingiuriato, perchè
queste cose atte non sono a muoverealflani
m0 suo , a sconcertarlo , ad avvilirlo, a.
fargli sofi'rir nessun male; dunque nè pu—
re ad ingiuriarlo, non.~ essendo l’ingiuria,
Secondo ch’ egli la diffinisce ,, che la pa
zienza o passione dt’ un qualche male.
Queste cose egli prova con molte ragioni
che tutte son ottime e convincenti, am
messo una volta che sia, ciò che gli stoi
ci ammettevano come assioma infallibile,
Che il saggio è sgornbro da tutte le uma—
ne passioni , che non ha bisogno' di cosa
alcuna, che tutto ritrova in se medesimo,
e ch’è superiore a tutti gli altri uomini,
anzi eguale agli Dei, e ch’ egli riguarda.
gli altri, come il medico gli ammalati e
gl’ insani, il Padre i proprj bambini, dai
quali sì l’ uno e sì l’altro non possono e
non debbono ricevere íngiuria, se già non
sono
142
sono essi medesimi fuor di senno. (a)
Più utile, più sana e più vera è la dot
trina di un altro trattato di Seneca su la,
Brevità della Vita comechè incerti siamo
del tempo in cui ſu scritto, ( certo es
sendo però che fu dopo Caligola, della
morte del quale si parla in esso ) e ch’è
diretto a Paulino, Padre ( a ciò che con
ghiettura il Manuzio ) della seconda mo—
-glie dell’Autore, e Fratello ( a ciò, che
il Lipsio ) della medesima, e questo par
più verisimile .
Dopo aver Seneca censurato il_ costume
degli uomini, di lagnarsi della brevità
della vita, dice' non esàei* breve la vita
v- * che

( a ) A pretto ſtoiciſmo imperdonabile attriñ


buirà la più parte quella propoſizione di Se
neca, il quale, dopo annoverate le diverſe
inſanie degli uomini, dice mag ior di tutte
le inſanie eſſer quella di colui c e ingiurie e
contumelia riceve dalle donne, e ne adduce
ancor la ragione, che vogliam credere eſſe—
re tutta ſua . Tanta quo/dum demeutza teuet ,
ut coutumeliam ſibi pafle fieri putent a mulie
re. Quid refert, quantum habeat, quod [effi
mríos , quam onwratas aux-es, quam laxam
ſellam ‘.2 Eque impudeus animal efl , Ea’ m'fi
ſcientz‘a acceſſit ac multa eruditìo, ferum, cu
ííiëatum mcontiueus. De Conſt. Sap. Cap.
143
che a coloro che non ne approfittano, o ne
approfittano solamente in cose vane e vi—
ziose. (a) Passa quindi a dividere il tem
po in passato, in presente, e in futuro‘,
e dimostra come nelle tre divisioni male
e oziosamente s’ impieghi dalla più parte]
degli uomini. Finalmente dopo aver ra
gionato contro le inutili occupazioni, con
tro la mollez'Za, il lusso e l’ ozio vile , e
contro certi studj superflui, e certe vane
letterarie ricerche, consiglia lo studio del—
la sapien2a , o sia morale filosofía , che
5,010 può far, lunga la i vita, e ciò che'
più importa, lieta, e Sicura.
Queste ,sagge ‘,operette del nostro Auto
:re ,- potean servir d’ istruzione all’augusto
suo allievo, ma egli disgraziatamente mo—
strò, dopo i primi anni almeno del suo
overno, che tratto non ne avea niun pro
tto. Troppo forti portava egli nel cuore
i germi del` vizio, e quantunque all’ età
IſlClr—

( a ) Ogni uomo fi lagna della Brevità della


vita, ed ogni uomo 11 ſtudia a ciaſcun gior—
no d’ inventar modi onde il tempo gli rie—
ſca più breve. Nel verno deſidera che pre—
íto giunga la ſtate, e nella ſtate, s’ augura '
l’ autunno . Anche queſta contraddizione po—
trebbe aver luogo nel gran libro delle con
traddizioni, o delle umane floltezze .
144
ìncirca di undici anni fosse stato a Seme-'
ca- consegnato, non era oggimai più tem
po di sradicargli. La malizia in Nerone
superava l’età, e i cattivi esempi avuti
prima, e le cattive istruzioni, poterono
in lui più assai, e perchè prime, e per—
chè più conformi all’ indole sua, che non
i precetti e le massime sagge di Seneca.
Nacque Nerone da Domizio .Enobarbok
e da Agrippina, 1 quali, che personaggi
fossero si è già veduto, ed è celebre un
passo del cantor di Venosa a provare, che
il più delle volte non tralignanti dai ge
nitori nascono i figliuoli . Fu nutrito nel
la sua infanzia da Domizia Lepida sua
zia, nota per incesto col fratello , e per
altre infami laidezze, (a) ed educato da
due pedagoghi, l’ un ballerino, l’ altro
barbiere. (b) Passò quindi sotto la disci
plìna di Aniceto Liberto, Prefetto dell’
armata di Miseno, (c) uno de’ più scel—
‘ lerati

( a ) Svet. in Ner. Cap. V. e VI. Tacit. Ann.


Lib. XII. ’
( b ) Apud amitam Lepidam nutriti” e/ì. ſub
duob-us pwdagagis ,ſaltatore atque tanſore . Svet.
in Ner. Cap. VI. `
( c ) Tacit. Anna]. Lib. XIV. Svet. in Ner.
Cap. XXXV.
145
lerati uomini di cui forse parlin le stoe
rie, che uccise Agrippina, che si finse
adultero d’ Ottavia per compiacere a Ne
rone , e che compiè molti altri misfatti ,
come vedremo a suo luogo.
Agrippina destinò precettor d’eloquen
za, e ' di signorile piacevolezza a Nero
ne, (a) e di politica onde pervenire all’
Impero, il nostro Seneca, (b) e non già
di filosofía, com’ altri si fece a credere:
ch’ essa anzi la odiava, inculcando,al fi—
gliuolo, esser la. filosoſía perniziosa a chi
dee comandare . (c)
Siccome però al buon Oratore , come
Cicerone dimostra , necessarj sono’i prin—
cipj di quasi tutte le scienze e le ar—
ti, così fu in esse Nerone, almeno su
Perficialmente instrutto. (d) Ma egli non
era punto all’ eloqueuza inclinato, _esásen
k x ` o

(a ) Seneca . . . . reffor imperatori”; inventa


prwceptís e[oquentia:,ED’ comitato’ honeflu. Tacit.
Anna]. Lib. XllI.
( b ) thue Domitií pueritia tali magzflro ado
leſceret , EJ’ con/{His eiuſdem ad ſpem domina
tiom's uteretur. Tacit. Anna]. Lib. XII,
( c ) A philoſophia eum ( Neronem ) mater
avertit, monens imperaturo contraria”: effie .
Sveton. in Ner. Cap. LII.
( d ) SYM:. L1 C1
, 111.6 i
do la vivacità del suo ingegno tutta_ ri—
VO-lta , alla scultura, alla pittura, al can—
to, e al guidar cocchi e cavalli", nelle
quali due ultimearti pOScia anche Impe
ratore, disonorò se stesso e l’impero.
Riusciva anche in poesía mediocremen—
te, e mostrava ne’versí suoi qualche dot—
trina: (a) e quantunque Tacito affermi ,
ch’ egli soleva chiamare a se alcuni giovan’
poeti cui dava a correggere i versi suoi
e a riformargli, onde poi da tante mani
diverse rabberciati , duri riuscivano ed
ineguali: (b) in ciò dobbiam più tosto
prestar 'fede a Svetonio il qual ci a'ssicu
ra, non esser vero ciò che comunemente
dicevasi, ch’ egli pubblitasse cioè gli a1—
trui versi per suoi; poich’ egli avea ve—
duti alcuni libri di poesíe gia note, scrit—
te di propria man di Nerone7 in cui le
cancellature e i cangiamenti varj mostra
Vano , che non erano ricopiati o scritti
sotto l’ altrui dettatura, ma composti a
mente calda e pensante. (c)
Ma di quest’ arte pur frivola assai ,in
un Principe , vergognosamente abuîò egli
atto

( a ) Tac. Annal. Lib. XIII.


( b ) Tacit. ’Lib. XIV.
( e ) Svetqn. in Ner. “Capa. LH,
14$?
fatto 'Sovrano, siccome di tutte l’ altre più
ancora disconvenienti. Ove non riuscì mai
per conto alcuno si fu nell’ arte del dire,
ove è ben naturale' che Seneca facesse tut
ti gli sforzi possibili per addestrarlo. E
quantunque egli ,- e prima di montare sul
trono, e fatto Imperatore , parlasse pub~
blicamente e nel For-oe nel Senato, ora
in greco, ora in latino; egli non facea
che recitar le Orazioni ch’ erano state com
poste da Seneca, nelle quali si ammirava
molto ingegno, molta eleganza, e un gu—
sto conforme alle orecchie di que’ tem
pi. (a) Onde fu osservato per molti,
esser Nerone il primo Imperatore, dopo i
Suoi ,,antecessori,
mente , imboccato.che
(b) parlasse ſi pubblica—
› `
Par che un antico Scrittore all’ invidia
attribuir voglia e all’ orgoglio di Seneca
questa ignoranza di Nerone nell’arte del
dire, affermando ch’ e li allontanò il suo
discepolo dallo studio äegli antichi Orato—
ri, per tenerlo più lungamente nell’ am—
mirazione di se medesimo; (c) ed un al—
k 2. tro

( a ) Tacit. Annal. Lib. XIII. Svet. in Nel‘.


Cap. VII. ` — `
( b ) Tacit. L. C.
g vt: ) Svet. in Ner.- Cap. LII. -
148
tro più illustre ancora ci‘dice che Seneca
Sparlava degli Oratori Classici , nella sup—
posizione in cui era che a coloro ai quali
ſosser piaciuti que’ primi , non potea egli
per conto alcuno piacere: troppo diverso
essendo il suo gusto , e il suo .stíle. (a)
Ed un terzo finalmente si scatena con più
veemenza che ad un colto e modesto scrit—
tore non si converrebbe, per l’ardire,
dic’ egli, che Seneca ha avuto di censu
rare i più venerandi Oratori e Poeti del
Lazio .` (b) Non è questo il luogo di tes~`
serele difese di Seneca; dirò solamente ,
che ammesso anche per vero , ch’ egli te—
nesse lontano dalla lettura de’ più sani e
colti Oratori il suo imperiale cliscepolo,
non per questo si debbe a lui attribuire
l’ ignoranZa di Nerone nell’ arte del dire ,
poichè Lucio _Annéo finalmente, per atte
stato di Tacito, (c) e di Quintiliano me—
desimo, (d) ſu valoroso oratore, se non
pari a que’ primi, e potea col solo suo
esempio far del suo allievo un non di
pregevole dicitore .
Ma
g a Quintil. Inſt. Orat. Lib. X. Ca . I.
b Aul. Gell- Nofl:. Aétic. Lib. XS. Cap. II.
( 1: Lib. X111. Anna].
(g‘àlnſtit. Orat. Lib. IX. Cap. II., e Lib.`
_, , Cap. X; ed altrOVG.
\

Ma questo Principe, come è detto, non


vi avea nè` inclinazione, nè indole, e’ ove
queste nOn Siano, a niente giovano la di~
Sciplína e l’ esempio . ~ `
Seneca però non meno che negli studj,
'tentòà tutte le vie d’ addomesticare Nero-—
ne ue’ dolci 'e mansueti costumi, e in
quelle virtù -che costituiscono un ottimo
Principe: e tale, a dir vero, e’ riusciva
ne’ primi tempi: ma poi la potenza pe—
-ricolosa anche ai Cuor -più- innocenti, gli
adulatori , l’ esempio della Madre , i cOn—
siglj de’ Cortigiani scellerati e corrotti, e
più di tutto la naturale indol perversa,
lo gettarono in braccio di quelle passioni,
alle quali abbandonando ogni freno, di—
venne il più crudele e il Più vizioso Prin
cipe , di cui per avventura parlin gli an—
nali . ( a )
k 3 Io

( a ) E pure chi crederebbe che queſto Prin—


cipe nato a mol’crare che l’ uomo in preda
delle roprie paflìoni qualunque fiera vin
ce pm diſumanata , trovaſſe fra letterati
un non oſcuro Panegiríl’ca, che tentò di giu—
:ſtificare tutte le azioni malvagie , tutte le
violenze, tutte le infamie di lui, rappreſen
tandocelo, ( e ciò ſeriamente ) come uno.
de’ più giuſti Principi che vantar pofi'a l'Im
pero Romano? Di tale i’crano aſſunto riídico~
` lo o ,
\
x50
Io son ben lontano dal ‘voler qui tessere
la storia di Nerone: ni'uno v’ ha che non
n’ abbia- una qualche idea,e de’ suoi fatti
tutti parlan gli storici così antichi come
moderni; diro‘ solo quelle delle sue azio—
ni che hanno necessaria -attenenza con Se
neca, di cui scrivo la .Vitañ.
Era giunto *Domizia …all’età di XVII.
anni, quando -uno de’ -più enormi delitti,
commesso dall’infame Agrippina, gli aper
se la via del trono: delitto che a quella
donna ambiziosa costò in— processo di tem
po , come vedremo, meritamente la vita .
Claudio e per altrui relazione, e per
propria esperienza , cominciava. .ad essere
informato dei disordini della moglie , e
› una

loſo, altri non poteva eſſer ca ace che lo


ſtrano cervello di Geronimo ardano, il
quale nel ſuo Emomt’um Neroms, ficcome
in molte altre ſue opere, fece conoſcere a
quali ecceſſi condur poſſano il molto inge—
gno, la molta erudizione, e una fantasía
troppo acceſa, quando ſcompagnate fian dal
giudicio, e da quel ſale, ſenza cui tutte le
vivande letterarie ſono ſcipite , vo lio dir
dalla ſana critica ed illuminata . Il ardano
ebbe in queſti ultimi tempi `de’ ſeguaci, ì
quali fecero l’ Apología e l’ elogio de’ più
frenetici Imperatori Romani che affliſſer tan
to la Chieſa, e l’ innocenza.
151
una sera‘ ch’ egli era mez’zo ebbro, qual
solea spesso essere, gittò un motto che
spaventò molto Agrippina, dicendo, ch'
egli era suo destino di, aver le mogli im-`
pudiche, e di poscia punirle. Oltre a ciò
mostrava gran pentimento di aver adotta
to Domizio ad esclusion_ di Britannico suo
figliuolo, ed un giorno che gli sì presen—
-Iò questo fanciullo, presolo teneramente
fra le sue braccia, gli disse, ch’ egli sa—
rebbe ancora in tempo di riparare i torti
che gli avea fatti, e ch’ egli opererebbe
in guisa, che il popolo` romano. in lui
avrebbe il vero suo Cesare. Saputo que
sto dall’ Imperatrice, tanto bastò perch’
ella sì risolvesse di prevenir colla morte
di Claudio la sua, e ?la rovina del pro
prio figliuolo: e l’occasione si presentò
favorevole a’ suoi scellerati disegni.
Era Claudio mal concío della sanità,
onde pensò di trasferirsi a Sinuessa, Cit
tà posta ai confini della Campania, chiara
per le sue terme , (a) per ivi ristabilirsi
mercè di quell’ acque e' di quell’ aria sa—
lubre . Agrippina ve l’ accompagno , tanto
più sicura di eseguire il gran colpo, quan—
to Narciso, che sempre le tenea l’ occhio
k 4 addos

< a ) Celar. M. on». Antiq. Tom. I. pag. 654.


152
addosso , era altrove, per guarire co’ ba—
gni, dalla podagra. Giunti a Sínuessa,
Agrippina chiamò a se Locusta, celebre
fabbricatrice di subitani veleni, la quale
ne preparò uno, di che asperse un piat—
to di funghi, de’ quali Claudio era ghiot—
tissimo, e che gli presentò l’eunuco Alo—
to. La cosa variamente si narra. Altri
dice che un solo de’ funghi era avvelena
to, e il più bello, che toccò a Claudio,
‘e che degli altri ne mangiò anche l’ Im
peradrice, per coprir meglio il tradimen—
to. Clic che sia di ciò, avvenne che a
Claudio pieno di vino e di cibo, si scio—
gliesse il ventre , e facesse temere non la
virtù del vel—:no perciò svanisse. Agrip—
-pina atterrita chiama a se Senofonte, me—
dico, non senza esempio, più famoso ad
affrettare , che ad allontanare la morte, il
quale di tutto informato , co] pretesto
d’ ajutare il vomito a Claudio, gli intro—
dusse in bocca una penna nel più morti—
fero,veleno intinta, persuaso, come os
'serva il filosofo degli Storici, che le som—
me scelleraggini con pericolo si comincia—
no, e con premio si compiono. (a)
. Così
( a ) Tacit. Anna]. Lib. XII. Suet. in Claud.
Cap. XLHI., XLIV. XLV. Dion. Lib. LX. ,
C. Plin. Nat. Híſt. Lib. XXII. pag. 280-.
i A _ 153
Così terminò di" Vivere Claudio, dopo
XIV. anni d’ Impero, e LXIV. dell’ età _
sua, Principe famoso per istupidezza, e` '
per i Vle più grossolani, e più ancora
per gli scellerati liberti, e per le mogli
più Scellerate che il governarono a loro
capriccio, e che afflisser la Monarchia Con
uccisioni e con dissolutezze inaudite. (a)
' Si tenne secreta la morte del vecchio Im—
peratore, insino a tanto che le cose si appa—
recchiavano necessarie all’esaltazione del
nuovo , e nel tempo stesso che il povero
Claudio giacca morto e‘sepolto sotto un
monte di panni, era nella sua stanza una
truppa di commedianti che rappresenta—
Van lor farse per divertirlo, (b) e i Con-—
’soli e i Sacerdoti facean voti e preghiere
per la sua sanità. (c) ‘

Ma

( a ) Anche Marziale volle alludere alla mor


te di Claudio, all’ Epigramma XXI. Lib. I.
ove dice . p
Dic mihi quis furor e/Z , turba ſprfî'ante votata,
Salus bol’etos, Coècüiane vams?
Quid dignus tanto ventrìque gula’que precabor?
Baletum, quale”: Claudíus edit, edas.
( b ) Svet. in Claud. Cap. XLV. Senec Apoco— a
loc. vel luſu’s in mort. Claud. ~
( c ) Tacit. Annal. Lib. X11.
'154 - .
Ma saputasi‘ finalmente la morte sua,
non s’ ebbe difficoltà niuna a far ricono
scere ad Imperatore il giovinetto Nerone.
_ Furono fatte l’esequie al defunto Prin
cipe, il quale. ſu, Secondo era costume ,
messo nel numero degli Dei, e sin d’ al—
lora credettesi che Nerone fosse benissimo
consapevole del vero motivo della morte
di lui, perchè fu udito più volte, dir
questo non insulso mott0,- che i funghi
erano un cibo degli Dei. (a)
Ma primadi parlare del Regno di Ne—
rone, in cui ebbe il nostro Seneca tanta.
parte, l’ordine de’ tempi mi chiama a dir
qualche cosa d’un Operetta di lui, la
quale fa più onore al suo ingegno che non
al suo costume e al suo cuore, di che
diremo. a suo luogo.
Questa che ha per titolo Apocolocintosi,
greco vocabolo, e che importa Zucchifi—
cazione, è una satira fiera e mordace ,
sul gusto delle Menipee, nella quale in
troduce l’ Autore il morto Claudio , che
assunto in Cielo chiede d’ essere ammesso
nel numero degli Dei. Coll’occasíone che
~ fra \

' (laxioon.
Dion. Lib. LX. Svet. in Ner. Ca P’
155
fra i numi si esamina ques-ta _inchiesta,
prende il poeta motivo in persona degli
Dei stessi di mettere in derisione la Still-2
pidezza , la smemorataggine , la voce r0
ca, 1a- crudeltà, e gli altri difetti, e de
litti di Claudio . Fatto in Cielo il processo,
per universale sentenza vien discacciato,
e mandato all’inferno, ma nell’ inferno
Siccome in Cielo, non che per Dio, nè si
Vuol pur riconoscer per uomo, e vien
beffeggiato e maltrattato come una be
stia. (a) .
Lunga cosa sarebbe il dar qui un estrat—`
to compiuto di questa satira, ch’è una
delle più mordaci, ma. nel tempo stesso
delle più salse, e ingegnose, e ove fra
la prosa campeggíano de’ bellissimi tratti
in versi, i quali gustar non si possono
che nell’ originale linguaggio. (b) i
Rico
( a ) Anche Gallione fratello di Seneca l’ avea
con Claudio, e all’ occafione che dopo la
ſua morte fu queſto Principe annoverato fra
li Dei, dicea ch’ era ſtato bensì aſſunto in
ielo, ma tiratovi ſu con un uncino. Dion.
Lib. LX.
( b ) Vedi fra gli altri gli Elogi che ne fa il
Camerario.- De Erud. Comp. pag. 182, e il
Vavaſſore, il quale queſto Opuſcolo di gran
tratto nntepone, ai Ceſari di Giuliano . edi
il lib. di lui, De Ludrim diffioae pag. 246.
x56
Riconosciuto Imperadore Nerone, reca
tosi inSenato, fece un discorso che molto
piatque va que’ Padri, e che ’in lor _ril
svegliò molte lusinghiere spera’nze. Dlsse
fra le altre cose, ch’ egli volea mantenere
’l’ autorità_ e la maestà del Senato', la di—
sciplina ed -union de’ soldati , che ab—
borrirebbe le discordie civili, le violenZe,
le vendette: che in somma il suo goVerno
modellato sarebbe su quel d’ Augusto.
Così fu gradito in Senato questo discor—
so composto da Seneca, `che per suo de—
creto fu scolpito in una colonna d’ argen
to , aCCÌOCChè ciascun anno alla creazione
de’ novelli consoli si leggesse .p (a)
E infatti, come in quel discorso pro—
metteva di essere, tal fu Nerone ne’ pri—
mi anni del suo gOVerno.- Era liberale,(b)
‘ cle—

( a ) Tacít. An. Lib. XIII. Svet. in Ner. Cap.


X. Sit'. in Ner.
( b ) E celebre un fatto narratoci da Sifilíno,
che alla liberalit‘à di Nerone fa molto onore .
Avea egli ordinato che fi rcgalaſſe un ſolda
to pretoríano d’ una rilevantíſſlma ſomma di
danajo . Ciò ſaputo Agríppina, fece eſporre
agli occhi del Principe tutto il contante, ac—
ciocchè veggendolo fi pentifl'e, e il faceſſe
rimettere nell’ orario . Ma Nerone al contra
l'10
15-?
clemente, dolcissimo . Aboll le troppo gra—
vose imposizioni,o le diminuì per lo me—
no. Sparse molti denari fra il popolo;
costituì annui stipendj ai più nobili e più
valenti Senatori, ch’ eran mendici. Era
popolare , affabil, cortese, e son degni di
Tito alcuni* suoi detti.
Ríngrazíandolo il Senato non so di qual
cosa., mi ringrazicrete, diss’ egli, quand’.
ia l’avrà meritato. (a)
Dovendo egli sottoscrivere una sentenza.
di morte contro due ladroni , presentata—
gli da Burro, non vi si sapea mai risol—
vere, ma finalmente dalla necessit‘a a-n—`
gustiato, nel momento di porvi il suo
nome esclamò: oh quanto desidercrci di
non sapere scrivere! (b) ›
Voleva il Senato innalzarin statue d’ oro
e d’argento,` le ricusò , supplicandolo a
voler

rio veduto l’ oro , dimandò quanto fofi'e, e


inteſolo, comando che ſ1 duplicaſſe la ſom—
ma, dicendo, ch’ egli non credea di aver
fatto si piccol regalo . Inproceſſo di tempo
divenne poi avaro e rapace, e ſol prodiga
e ſciàlacquatore allora che di contentar fi
trattava i ſuoi vizj e le ſue paſſioni .
É a ) Svet. in Ner. Cap. X.
b ) Svet. in Ner. l. c. Senec._ de Clement.
Lib. II. Cep. I. , `
'158
voler fare più tosto quest’ onore a Domi—
zio 'suo Padre“; nè volle permettere che
I’ anno quindi innanzi avesse principio dal
mese di Dicembre, nel quale egli éra na—
to, come avean proposto di decretare que’
Padri, per un eccesso ‘d’adulazione vilis—
sima. (a)' Cósì pure proibi al suo colle—
ga nel Consolato .L. Antistio di giurare
negli atti suoi, come si solea fare a que’
tempi, e non volle riconoscer per rei due
Cavalieri accusati di favorire il partito di
Britannico . Richiamò dall’ esilio, e resti
‘lui-negli onori e ne’ beni molti valent’
uomini, che sotto il Regno di Claudio
erano- stati accusati. Preso coraggio il Se—
nato da sì lieti‘principj, pubblicò molti
decreti, e molte leggi formò utilissime
al buon governo, ed alla pubblica felici—
tà, (b) cui dicea Nerone stargli unica—
mente a cuore nelle frequenti orazioni
ch’ egli leggeva in Senato` composte da.
Seneca, cui (dice Tacito sempre rivolto
a interpretar maliziosamente le inclinazioñ
ni e la mente degli uomini ) piacea di
far note al pubblico le ‘virtù ch’ egli. in~
scgnava, e far pompa d’ ingegno. (e)
Mi
( a ) Tacit. Anna]. Lib. XIII.
Tacit. Anna]. l. c.
, É”)~Tacit. Annal. Lib. XIII1
. 159
Mi sono alquanto distes’o a parlar de’
buoni cominciamenti del Regno di 'Nero
ne , perchè è cosa certissima *che tutta la
lode n’è. dovuta a Seneca,e a Burro,del
qual ultimo faremo in breve parola. Que
sti due uomini insigni, rendetter felice
l’impero a segno, che Traiano solea dire,
secondo che Giusto Lipsío ci narra, (a)
che niun principe potea paragonarsi in
bontà a Nerone nel suo primo quinquen—
nio: ove par per altro che più a lungo
che forse non ſu , protraesse Traiano le
buone azioni di Nerone.
E Sifilino, o sia Dione medesimo, _nien—
te di Seneca amico, confessa, che insíno
a tanto che Seneca e Burro furono in fa—
vor presso il Principe, fu anche l’ impero
ottunamente egiustlssimamente cammini-_
Strato. (b)
Intanto alla Corte siperan formati due
forti e contrarj partiti, che tendevano a
governare i1 giovin monarca: l’ uno per
nizioso e cattivo, l’ altro utile e buono;
il primo , quel di Agrippina collegata
con Pallante Liberto, il secondo, quel
di Seneca e Burro.
Era

( a ) In Comment. ad Lib. I. de Clement.


( b ) Siphilin. in Nerou.. ’
160
Era Afrairio Burro valoroso ed eccel—
lente guerriero, innalzato sotto Claudio
al posto eminente di Prefetto de’ Pretoria
ni dal favor di Agri pina, discacciati gli
altri due da lei pe’äni Suoi mal voluti:
che due eran prima i Prefetti -de’Preto
riani: (a) Era di severi ed incorrotti c0
stumi, (b) di parlarlibero e schiettg an
che in faccia del Principe, (c) cosa, a
così dire, miracolosa in un Cortigiano.
Agrippina che a pericolo‘ della sua vi—
ta, e con una spaventevol serie di scel-v
leraggini avea sgombrata al figliuolo la Via
del trono, VOÌCLL il frutto gcderne, e si
era proposta di esser sotto Nerone più
dispotica ancora e più padrona, che non
sotto Claudio medesimo‘. In fatti in sulle
prime Nerone gli .si mostrava ossequiosis
simo, e le avea conceduti tutti gli onori.
Essa dava il segno alle guardie, rispon—
deva agli amhasciatori, lettere mandava
a1

( a ) Tacit. Anna]. Lib. XII.


É b ) Idem. Lib. XIII. .
c ) Chiedendó conſiglio Nerone a Burro, la
ſeconda volta ſopra la coía medeiima, queſti
gli riſpoſe che ſ1 guardflile quindi innanzi.
dal più replicatamente interrogarlo ſopra ciò
intorno a che avea già dato il parer ſno.
Sifil. i” Nero”. .
161‘
ai popoli e ai re , e giunse a Ségno di
far radunare il Senato nel suo proprio
palagio, per potere così alla porta ove si
teneva i1- consesso , ’e con un velo innan—
zi , vedere ed udire ~senz’esser veduta. (a)
Era sempre in compagnia del figliuolo,
ed uscendo, o lo conduceaìnella propria
lettica, o se lo fac a tener dietro. (b)
,Ma , com’ è proprio el gentil sesso, di
non amar gran fatto' la moderazione , e
d’ abusar ben presto, non meno della le
gittima che dell’ usurpata autorità, abu
sò stranamente della propria Agrippina,
e ne’ primi mesi del nuovo governo, fece
senza saputa del figlinolo morir di veleno
Giunio Silano Proconsolo d’ Asia, uomo
d’età matura, e che altra colpa non avea
che. d’ essere imparentato colla casa cesa—
rea, e d’ esser fratello di L. Silano, ,che
molti anni prima s’era ucciso da se me
desimo ,per la moglie rapitagli, e, la fal—
Ga accusa,. addoSsatagli . i Temeva Agrippi
na non egli un giorno 0 l’altro vendicar
volesse la morte del fratello, e pretendere
al trono, cornechè egli per altro s‘r‘ timido
l ~ fosse,

( a ) Tacit. Anna]. Lib. XIII.


( b ) Sveton in Neron. Cap. IX. Siti]. in Nera

i:
152 ,
ſosse , e dagli altri’Imperadori così did
sprezzato, che Caligola solea chiamarlo la
pecora d’oro. (a.)` i _ i .
Fece pur morir di stento In prlgione
Narciso , con sommo dispiacer` di Nerone,
al quale era caro per l’ uniformità de’ vi
zj che in lui si trovavano, cioè la prodi
’galità con l’avarizia , che però nell’ Im—
peradöre non erano ancora scoperte . (b)
Nè quì sarebbono terminate le stragi , se
'Burro e Seneca non si fossero opposti.
Avean fatto insieme lega virtuosa di
mantenere per quanto era in loro, l’ in—
nocenza e, la giustizia del Principe, se—
condandolo in quelle cose ch’erano oneste‘
0 almen non nocevoli al pubblico bene; e
di bpporsi con tutte le, forze loro al fu—
* rore e alla tirannia d’ Agrippina . (c) 1 -
`Ma eostei divenuta superba allo scor—
gere che buona parte delle sue imprese
\ felicemente riuscivale ,, un giorno mentre
saliva in trono Nerone ad ascoltare gli
.Ambasciatori di Armenia , comparve in
Senato disposta di porsegli accanto, e co
sì al pubblico mostrare ch’ essa unitamen
’ te

( a ) Tacit. Anna]. Lib. XIII.


( I; Tacit. Anna]. l. c.
( o 1d lbid.

\\‘
`
163
te ai figliuolo goverpava l’ Impero; Tutti
all’ insolita cosa rimaser sorpresi, e non
ardivano pur d’ aprir bocca, stando in os
servazione dell’ esito di questa novità. Ma
Seneca trovò un saggio espediente, consi
gliando ’Nerone di levarsi incontro alla
Madre ,- quasi per segno di rispetto, ri
mettendo con qualche pretesto ad, altra
giornata l’udienza: il che fece eli, e
per tal fog ia sotto il velo della È liale
pietà, il ecoro dell’ Imperatore e dell’.
Impero fu,salvo. (a) f ñ
Una tal c0sa cominciò a disgustar Ne—
rone della Madre , perchè non potè a
meno di non penetrare nelle ambiziose
sue mire: ma una certa natural soggezio
ne , il rispetto, la gratitudine , sentimen—
ti, cui non avea potuto ancor rinunziare,
gli ne facean con sofferenza sopportare il
giogo.
D’ altra parte Seneca e Burro avean
procurato sin quì d’ intertenerlo con as-ñ .
satempi giovanili ed innocenti, mentr es—
’ sì intanto alla ubblica felicità coopera
vano con. savie eggi, facendo amministrar
la giustizia , e coraggiosamente opponen
l 2 ‘ dosi

7
ç a ) Id. Ibid. Sifil. in Ner.
164
dosi‘ai furíosi tentatividell’avverso parti
to: Roma da molto tempo non era stata
tanto felice . Predominava nell’ Impera
dor la passione di guidar cavalli, e di
cantare la sera a cena , accompagnandosi
colla cetra come farebbe 'un buffone. Que—`
sti esercizj non piacevano punto a Seneca
e a Burro, perchè gli reputavano indegni
d’ un Monarca Romano, ma non potendo
in tutto vietargliene, e temendo, non egli
stanco d’esser nelle voglie sue 'contraria
to, di scuotere s’avvisasse un giogmtrop—
po pesante: il secondarono in parte , e
facendogli conoscere la sconvenevolezza di
cantare alla mensa , fecero in Vaticano
chiudere un luogo spazioso, 0V" egli p0
tesse a suo,talento, lontano dagli 'occhi
' p del popolo, guidar la carretta e sfogarsi .
_'Ma egli ch’ era_ ambizioso e pareagli d’ es
sere un cocchier peritissimo, non si con-l
tentò d’ esser solo ammiratore di se me—
desimo, e de’ testimonj volle che lo ap
plaudissero. Bisognò dunque compiacerlo,
e fu. rotto il chiuso, ed introdottovi il
Popolo: a che Seneca tanto (più volentieri
aoconsentì , quanto‘sperava che Nerone la.
sconvenienza vedesse ‘di servir di spetta
colo e di divertimento ad un vil popo
laccio, e se ne disgustasse. Ma. la bisogna
andò
ſ 165
andò altram'ente che, non ~immaginava i]
filosofo . Perciocchè il popolo che ama nel
Principe le proprie sue inclinazioni, man—
dava …al cielo i viva e gli ap lausi, e
Nerone _tanto più pavoneggian osi, più.
s’innamorava di un esercizio in cui gli
parea di riuscir con tanta eccellenza. (a)
Oltracciò amava molto Nerone la tavo—
la, e la compagnia de’ giovani suoi pari,
co’qualiv spesso s’innebriava e folleggiava.:
i precettori
questex oose, suoi gli permettevano
o indifferenti tutte
0 non dannose
almeno alla Repubblica, per tenerlo lon—
`tano dalle azioni violente e crudeli, alle '
quali, se creder vogliamo ad un antico
commentatore di Giovenale , Seneca avea
purtroppo `Scoperto esser egli` inclinato,
onde soli‘to era dire ai suoi più intimi
amici, che se Nerone cominciasse a guz
stare il Sangue umano, mai non. se ne
sarebbe saziato . (b) E Svetonio ci‘ narra
che Seneca la notte appresso ch’ein ft}`
eletto a Precettor di Nerone, fece un so— _
gno in cui gli parea di aver per discepo—
lo non già Nerone , ma‘Caligola , il qual
l 5 ì sogno

a ) Tacit. Anna]. Lib. XIV. Sifilín. in Nei-on.


h ) Comment. ad Sat. JuVena Vers. crx..
)
:66` `
sogno 'ebbe in ~appresso tutta Ia Veneta—
“ zione come prqsagio, quando sì vide Ne
‘ rone , Ie tracce calcar di ;Calígola, e an—
\ che gloriarsene . (a)
Che `che sia di ciò, fu a questi tempi,
`che , mentre erà ancora -Nerone innocente
da tutti que’ delitti che il coprírono p0
scia d’eterna infamia, e all’ anno decimo
, ‘nono- dell’ età sua, (b) dettò Seneca i].
trattato della Clemenza aſl’ Imperatore di
rétto, nel quale ponendo l’Autore in op- `
posizíone la clemenza, e la crudeltà, e
dipingendole coi colori più energici, volea
innamorar .della prima Nerone, e disgu—
starlo della Seconda, animandolo cogli elo
gi da’ lui ben meritati ‘a‘ que’ tempi, e
non soverchiamente leccandólo , come un
leggiadro Scrittore non tró'ppo gíustamente/
asserì. (0)- - ’ `> . ’
A scrívere questo trattato, come pro-a
testa l’ Autor medesimo , avea dato occa
4, zione il celebre detto , da noi più sopra
‘ ’ accenñ’

( a ) In Neron. Cap. XXV. v î


( b“) Cum hoc a’tatìs’` flèt , quod `tu mmc' es,
duodeviee/ìmum egreſſus ammma De Clem.
Lib. I. Ca . IX. ' .
( c ) Daniela Bartoli. La Ricreazione del Sa
vio. Lib. II. Cap. II. pag. 360.
xsz
accennato dell’ Imperadorc , quando invi
tato a segnar una Sentenza di morte,.egli
disse,`che avrebbe desíderato di non sapere
scrivere . ( a ) _ .
Conosciuto da Seneca che **la clemenza:
insino allora esercitata da' Nerone , era.
impeto giovanile , e diremo ancor., defe—
renza alle masSime de’ saggi suoi consiñ_
glieri. e maestri, volea. indurlo egli ad
esser clemente per riflessione , per giusti
zia, per amor di virtù e di ragione. (o)
Quest’ Opera è divisa in due libri, di
cui il secondo è disgraziatamente mancan
1 4 ‘ te

( a ) Ut de clementia ſcriberem. Nero Caeſar ,


una me vox` tua maxime compulit . . . Ani
maduerfurus in latrones duos Burma* prwfeñ’us
tuus, vir’egregius Fj tibi Principi natus, exi
gebat a te, ſcriberes, in‘ quos EP' ex qua cauſ
fa animadverti miles, hoc ſepe dilatum, ut ali
quando fieret infiabat. Inwtus inviti; cum char
tam protuhſſet, traderetque, exclamafli: vel
lem neſcìre litteras! o dignam vocem fin. De
Clem. Lib. II. Cap. I.
. L ( b ) Diutius me morari hit: patere, non ut blan
diar auribus tuis: nec enim mihi hic mosefl,
maluerim veris offendere, quam placere adulari
da. Quid ergo eſt, propter quod benefañ’ís dz'
ffi/que tuts quam familiariflîmum eſſe te cupio?
at quod nunc natura ES’ impetus ejl, fiat l'udi
uìzms. 1d. L. C.
\
íGS r u i
te cl’ una buona sua parte, "e contenente
forse per imPerizia degli ignoranti copi—
sti , alcune cose che ovean aver luogo
,nel primo. In ~questo, dopo aver 'detto
' l’Autore qual debba ’essere la clemenza ,_
e in quai limiti ristretta, e dopo avere
accennato che_ non v’ ha virtù che all’ uom
sia più naturale di‘ questa, e fra ,tutti
gli uomini più conveniente che -al'princi—
pe: conciossiachè la crudeltà ch’è il vizio
a lei opposto, è più perniciosa in un
principe che in uom privato: passa a di
mostrarne l’ assoluta necessità‘ in ‘un m0
narca, il quale se ricusasse d’esser cle—
mente in verso gli altri uomini, verrebbe
a far de’ suoi Stati un deserto: essendo
che uomo., alcuno non v’ ha, che non sia
soggetto‘ ad errare, e gli uomini buoni
medesimi , almeno per la maggior parte ,
alla bontà e alla virtù pervengono per la.
via degli errori.. Ci schiera quindi gli
orribili effetti della crudeltà, il- dominio
' ch”essa acqzuista sull’ uomo di cui si è
impadronita una volta, la fatale necessità
in' cui' egli si trova di perseverare ne’
fatti crudeli. Poi passando nuovamente
alla clemenza, dice che questa può far
Sola lieto, tranquillo e Sicuro un Monar~
Ca, `;il quale assomígliar debbe un buon
' Pa
. ’169
Padre, che gastig‘a si bene il lfigliuol con
tumace , ma dolcemente, ma negli ultimi
e'stremi, ma a fin di emendarlo, e perchè
siaÎd’èsempio e di freno ,agli altri ;figliuo—
`li.. Conchiude finalmente col dire: che il
principe nel punire debbe aver per iscopo
tre cose: di ,emendar colla pena colui che
punisce; di far mi liori gli altri coll’esem—
pio del reo; e i far più sicuri e più
tranquilli i buoni, togliendo al mondo i,
malvagi. `
Nel libro secondo gli elo i nuovamente
contengonsi di Nerone , le efinizioni dele
la Clemenza, della crudeltà , della mise
ricordia, e del perdono. Quindi secondo
1a stoica dottrina sì prova che nel saggio.
Principe non possono aver luogo nè la mi—
sericordia, nè il perdono , perchè affatto
diversidalla clemenza, e si passa quindi
a difender gli stoici che tenean questa.
dottrina: e qui vien‘meno il trattato che `
mutilo si manifeSta, da ciò che 'l’ Autore
nel primo libro si era protestato di recare
i modi, onde volger l’ animo e il cuore
alla clemenza , e onde confermarvegli e
mantenervegli: e questa parte, forse di
tutte più utile, ci fu dal tempo invidiata.
Ma questo Scritto bellissimo che avreb—
be potuto invaghire della clemenza ùn
. v _ plrm~
I
170 _
principe d’ indole buona ed umana , non
veggiamo ch’egli ottenesse per ninna par
te il fine che
a ‘misuraſi al quale fu cresceva
Nerone scritto: negli
per-ciocche
anni,
ogno‘r più manifestava la sua inclinazione
alla fierezza ed alla crudeltà: come avrem
luogo di conoscer fra poco . Però Seneca
e Burro destramente usavan con' lui, ed
ora secondandolo in quelle cose che o non
eran colpeVOli, o almeno alla società- non
'perniciosez or mostrando ancor d’ entrare
nelle sue mire, per meglio scoprire il suo
cuore, e i disegni che in mente volgea;
or prevenendolo sui casi fortuiti e disgrafl
'ziati che poteano accadere , onde poi non
sì abbandonaSSe soverchiamente al cupo
dolore, più pericoloso in un Sovrano, che
in ogni altra persona ; (a) se non poterono
Inva

( a ) S’ era Nerone fatta fare una tenda ottan


golare, mirabil coſa, e per la bellezza e fi
nezza del lavoro, e per il teſoro immenſo
impiegatovi. Seneca nel ripreſe, dicendo,
’cu ora ti ſe’ dato a conoſcere povero, per
ciocchè ove queſta tenda tu perda, non ti
verrà fatto d’ averne un’ altra a lei ſomi
gliante . Di fatti avvenne, che ſommergendoſi
il_ naviglio ſul quale era la tenda, anche la
tenda perì: ma Nemne prevenuto dalle ſag—
gie ñ

` 4
, - 17!
invaghirlo della 'virtù e della moderazio—
ne , che n01 poterono mai, almenojl ri-í
trassero da molti eccessi crudeli, o `sospe-
sero quelli, cui egli si abbandonò poi che
’ scosso ebbe ogni freno.`
Figu‘randoci Seneca e Burro‘ come cu
stodi e precettori di Nerone, non dobbia—
mo -da essi quello pretendere, che a buon
diritto pretenderemmo da‘ un Ajo di pri
'Vato `Signore , dal 'cui arbitrio: assoluto‘,
ove saggiamente ’secondato sia dai Genito
ri, tutte le azioni dipendono dell’allievo.
Nerone ‘era allievo di Seneca e Burro,
ma era un allievo sovrano nel cui ;Cen
no era la sorte non men di tutto l’im—
pero che de’suoi maestri: il volere urtare
di fronte le sue passioni, oltre' che sareb
be stato uno sforzo pericoloso alla vita de’
suoi Consiglíeri, sarebbe stato anche inu
tile e -sciocco . Certo che non tornava a
gloria d’ un Imperatore Romano, il‘ vederlo
gittar il tempo a vcondurre una carretta,
a cantar vestito da buffone in sui teatri,
a gir intorno sconosciuto la notte con gio
. * ñ vma—
-.

` 1

gìe parole di Seneca, ſoffri con moderazio-`


ne queſta diſgrazia. Vedi Plutarco De 1m
Colzíbenda . ~
172
vinastri suoi Simili facendo romorì ‘e vie-’
.knze , e toccando ancor delle busse: chi
1 ciò non vede ? ma ne incolperemo per
questo Seneca e Burro? Essi più che gli
altri gemevano di 'queste viltà a cui Ne*
rone sforzava altresì i Senatori‘ più illu—
atri,` i personag i più chiari di Roma: (a)
‘ma come impe irlo? Queste erano le do
minanti \Passioni di quel Monarca , ma.
mentre a qneste s’ abbandonava, lasciava
il governo dello Stato in man di Seneca
e di Burro, e lo Stato era ancora felice .
Oltracciò,queste follíe di Nerone potean
dona-rsi all’età sua. giovanile, e potea spe—
rars’i ‘che col vigore degli anni più sodi
pensieri, e più( utili occupazioni in lui
subentrassero; che se ciò non avvenne ,
non fu certamente per colpa de’ suoi mae—
stri: enon avvenne in fatti, poichè egli
cominciò a non più esser contento di que’,
passatempi che se non eran decenti, non
erano almen crirriinosi. Perciocchè annojañ
'to d’ Ottavia sua moglie, troppo saggia e
Virtuosa per lui ', s’ innamorò pazzamente
r d’ una_ liberta asiana, per nome Atte.
Se

a) Tacit. Anna]. XIV. Svet* in Net. Siflìin; in


Neron.
173
Seneca nonapprovò questa cosa, ma non
potendo impedirla,
:rivolgesse a costei, vamò meglio
più tosto chech’ egli si
vinsidias—
se la pudicizia delle Gentildonne e delle
,Vergini nobili. ( a) -
Questi amori però procedeano con se
gretezza, e con qualche riserbo, per sog—.
gezione_che l’Imperatore avea ancor della
Madre, e Annéo Sereno Prefetto delle
guardie notturne, fingea d’ esser egli, co
me abbiamo altrove osservato, l’amante
di
Ma Atte, perqualche
avutone coprir sentore
meglio Agrippina,
il Prinòipe e

divulgatosi che Nerone risoluto era di spo—


sar questa liberta, e che avea obbligati
alcuni Senatori
discendeva a giurar falsamente
da regia‘stirpe: ch’ ella
(bſi) divenne
furiosa; fece mille rimproveri al_figliuo—
lo , fece battere ed accusare alcuni della
Corte , non‘ potendo ella patire d’ avere a
nuora e compagna una Liberta. Coi quai
romori altro non facea che più accendere
la novella fiamma in Nerone, che lasciata
tranquilla , facilmente sarebbesi estinta,
ed alienare il di lui cuore da se, il qua-‘2—
le

La ) Sveton in Neron. Cap. (XXVIII.v i `


.12 ) Id. lbid. i .
l,
lequanto più lperdea d’ estimazione e di'
rispetto alla Madre, tanto più fortunata
mente a Seneca n’ acquistava. (a)
Per la qual cosa, veggendo Agrippi’na
che le sue asprezze e i suoi furori altro
non faceano ,che irritar maggiormente il
figliuolo, e ch’ essa ogni" giorno perdeva
del suo dominio, cambiò finalmente regi
stro, e tentò colla mansuetudine, colla
dolcezza, e altresì con colpevoli condiscen—
denze, di mantener sopra’ di lui quell’
a‘scendente, che scorgea non riuscirle colla ‘
fierezza , e colla superbia. Gli disse libe
ramente di conoscere d’ essere stata trop— /
po severa con lui, che quindi innanzi
l’ avrebbe trattato altramente e non più
` da fanciullo, che l’avrebbe fatto padrone
di tutte le sue ricchezze , non meno che
del suo appartamento, ove avrebbe potu
to celatamente dare isfogo a’ suoi giova—
nili appetiti. (b) Nerone ben conobbe,
e i suoi amici medesimi ne lo fecero ac—
corto , il motivo di questo cambiamento;
ondepstava in diffidenza .di lei: ma il caso
ì x che

( a ) Tacit. Anna]. Lib. XIII. Svet. in Ner.


Cap. XXVIII. Sifilin. in Net;
( b ) Tacit. L. C.
175
che ora son per narrare,il fece risolvere
di abbassarla e umiliarla.
-ÎNell’ atto ch’ egli rivedeva il tesoro e il
guardaroba della sna corte , fece mettere
a‘ parte alcuni de’ più l superbi vestiti, e
delle gioje più care e più preziose, che
avean servito d’ adornamento alle passate
Imperatrici, e credendo di far con esse
un gradito presente alla Madre, in dono
gliele inviò. Agrippina veggendo ciò , in
’luogo di ringraziamenti entrò in furore,
e al messo che gliele avea recate, mille
cose disse al figliuolo ingiuriose, e fra
l’ altre, che con questi bei doni voleva.
/ egli acquetarla, di quei diritti 'privandola
che a lei si convenivano; che le donava
ciò ch’era già suo, in ricambio del dono
ch’essa gli avea fatto, cioè dell’ Impero .
Le quali cose tutte, e anche , (i com’è
costume) ingrandite, furono rapportate
a Nerone. (a) Perchè egli sdegnato, co—
minciò a vendicarsi, col levare a Pallante,
di lei consigliere e' ministro, .e cagione
precipua della sua soverchia . alterigia, il~
maneggio delle rendite pubbliche, confe
ritogli già da Claudio, e col quale gover—
nava quasi tutto l’ Impero.
Aprip

( a ) Tacit. Amin]. Lib. XIII.


l y
, ſſI'ZS v i n
Agrippîna veggendosi priva del suo
bertone , e del suo pi‘ù valido ajuto, non
Conobbe più freno, diede in esc’andescen—
ze , e cominciò a gridar ad alta voce , .sì
che la sentisse il figliuolo, che_ Britanni
co era il vero e legittimo Imperadóre,
per troppa tenerezza verso Nerone, da
lei tradito, e perciò gastigata : ,che volea
con Britannico andare al campo, e tutti
gli scellerati - arcani sveLre; che da un
esul pedante e da un monco ( intendea
‘Seneca e Burro ) non dovea esser retto
l’impero , in competenza della figliuola
di Germanico, e simili altre cose, (a)
*che irritarono e spaventarono l’ Imperato— '
re ad un tempo. Conosceva egli la Ma—ñ
dre impetuosa e intraprendente, e Bri
tannico giovinetto animoso, per cagione
del quale, ( ch’ era adorato da tutta RÒ
ma) sapeva esser egli mal volutoſ da
molti, per il torto palese ch’ era stato fat:
to al legittimo figliuolo di Claudio. 01-_
tracciò portava egli odio ‘a Britannico ,
per la ragione che questi meglio e più“
dolcemente cantava di lui, nel che Nero
ne‘ era ambiziosissimo , ed impaziente di
emo
| Ò.

(a)Id.L.C.
\
‘ I??
emoli, ( a) per le quali tutte cose si ri—
solvette di farlo perire . Perchè però stes—
se occulto il misfatto, fece mescer veleno
somministratogli da Locusta, nell’ acqua
che Britannico solea bere a cena, il qual
ſu di tanta efficacia, che il principe infe—
lice , poco appresso ch’ebbe quest’ acqua
presa, cadde semivivo a terra.
Gli astanti rimaser stupiti e spaventati
a un tale evento, non .sapendo bene in
dovinare donde ciò procedesse. Agrippina
però ed Ottavia non s’ ingannarono, e fe:
cer chiaramente v a Nerone conoscere ch’
esse ben vedevano donde procedeva il gran
“ colpo, nè della fata] certezza in cui era
no le ritrasse il r'ivolgersi_ ch’ egli si fece
* m ' loro,

( a ) Lufingandofi Nerone di ſar ’oggetto al


popolo di ſchermo e di diſprezzo Britannico,
volle ch’ egli una ſera cantaſſe in pubblico;
ſiccome era ſolito di sforzare i primi perſov
naggí dì Roma, Ma la biſogna andò altra,—
mente ch’ egli non s’ avviſava: poichè Bri—
tannico non ſolamente con tanta arte e vañ
lor comportoffi da meritarſi gli a plaufi uni
verſali, ma ne' verſi che cantò, Fece alluiio—
ne alla ſua diſgrazia d’ eſſere í’cato fcacciato
dal trono; perchè a fremito e a com afflon
?File tutta l’ udienza . Tacît. Anna . Lib
.178
l‘oro, dicendo ,2 che non si - sbigottíssero,
perciocchè il male di ’Britannico' , non era
che mal caduco, cui egli andava sogget—
to, e che- ben presto sarebbe rinvenuto .
L’ infelice però la notte‘ medesima morì,
fu bruciato e sepolto, e perchè non si
conoscesse qual morte fosse stata ,la sua,
fu il suo corpo involto nel esso. (a)
Intanto Agrippina veggen o allontanato
.Pallante , morto Britannico, e priva se ’in
essi d’ogni sostegno e d’ogni difesa con—ì
tro il figliuolo, il quale sebben giovinet—
to ed inesperto, mostrava con quanta di—
sinvoltura e COusiglio `sapesse effettuare i
.più’atroci delitti: si sar‘a ricordata della
predizione di quell’ astrologo , il quale
avendole detto che il suo figliuol regne
rebbe, ma ucciderebbe la Madre, essa ri—
spose: m’ uccida pur ch’ egli. regni. (b)
Conoscendo però il suo pericolo, pensò a
farsi un partito, e cominciò ad accarez
zare la virtuos'a ed infelice Ottavia, ad
aver segreti colloquj co’ snoi confidenti,
ad ammassar rapacemente danari, ad ac—
coglie—

( a ) Tacit. .Annal. Lib. XIII. Svet. in Neron.


Cap. XXXIlI. Sifilin. in Ner.
( b ) Tacit. Annal- Lib. XIV. Sifilin. in Ner.


l7.9
cogliere con molta cortesía e distînzion‘e
Tribuni, Centurioni, e i Signori più qua
lificati di Roma. Ciò saputo Nerone, en..
trato \in sospetto non forse costeiſqualche
novità meditasse pericoIOSa alla sua sicu—
rezza, la privò de’ soldati e delle guardie
che a lei come a Madre dell’ Imperatore
_- si convenivano, ‘e perchè potesse veder
meno gente, la fece uscire di corte, e le
assegnò per abitazione la casa di Antonia.
sua ‘avola, ov’ egli andavala a Visìtar qual
che volta guardato molti Centurioni ,
e freddamente abbracciatala, si partiva.
Gli amici di lei, al mancar della sua for
tuna e potenza, come avviene di tali ami—
ci, si dileguarono, e la povera A rippina
un tempo sì piena di orgoglio e i fasto,
non era più Visitata che da alcuue donnic—
ciuole,~ le quali anch’ esse non si sa bene
se il ’facessero per amore, o Più tosto per
curiosità , e per la soddisfazione di scor—
gerla umiliata e avvilita: il che par più
probabile . ( a )
Non sarà dispiacìuto a Seneca e a Bur—
ro , di veder allontanata dalla Corte que—
sta Donna malvagia, i cui infiussi nel
m 2 gover

( u ) Tacit. Anna]. Líbſi xnr.


1.80
governo non poteano che nuocere al ben
dello Stato, al quale essi unicamente ten
devano . Ma che perciò Z Se mancava
Agrippina, aveaglà cominciato. Nerone a
dispiegare l" indole sua perversa , e' la.
morte dell’ innocente Britannico mostrava
, abbastanza ciò che temer si dovesse da,
lui. Perch’essi continuamente vegliavano,
e non perdevan di vista un' momento so— '
lo Nerone, per impedir quanto fosse in
loro , o per sospendere almeno i delitti ,
. Il fatto eh’ io son per narrare ci mostrerà
ch’eglino, due ne im’pedirono de’ più atro—
ci, poco appresso l’ uccision di Britannico.
Fra le donne che , com’ è detto, visita—
van talvolta Agrippina nella sua vita pri
Vata , v’ era Giulia Silana, già moglie di
quel famoso Gaio Silio sposo adultero di
Messalina., di cui abbiamo parlato, e che
ſu fatto uccider da Claudio. Era costei
- Donna bella e lasciva, di gran nobiltà ,
ed amicissima un tempo di Agrippina per
uniformità di costumi, poi occulta nemi—
ca per- certo matrimonio da lei sturbatole,
e per voci sparse ingiuriose alla sua bel
lezza , e alla sua pretesa onestà. Le don—.A
ne non perdonan facilmente le ingiurie ,
e non se ne dimenticano . Colse' Silana
_l’ oocasione dell’ abbassamento d’ Agrippi—
na,
18!
na, per vendicarsi. Indusse dunque Iturío
e Calvisio suoi conoscenti ad accusar la
Principessa di macchinazioni ribelli, e di
meditare un matrimonio con Rubellio Plau
to ( che discendeva per 'madre da Augu
sto ) per farsi quindi padrona dell’Impe
ro . L’accusa fu portata all’ Imperatore
mentre era a tavola, e mezzo ebbro, da
Paride istrione, e la `narrazione fu accom
pagnata da tutte quelle figure di mesti*
zia, di terror, di spavento, che ad un
Commediante non eran punto difficili. Ne*
rone udito ch’ ebbe tal cosa, cominciò a
tremare, e già pareagli d’e’sser balzato
dal trono. Poi convertitasi la paura in
furore, delibera d’ ammaZZar sul momento
Agrippina, e di cassar Burro, il qüale
per essere stato elevato da lei, ëli si era
renduto sospetto. Seneca veggen o in pe—
ricolo il Caro amico e compagno , tanto
parlò in favore di Burro, e della sua in—
nocenza, che Nerone abbandonò il pensie
ro di volere contro` di lui incrudelire;
D’ altra parte pervenuta all’ orecchio di
Burro l’ orribile risoluzione del Principe
contro la Madre, pien d’ orrore all’ idea,
d’ un tanto delitto, volò appresso a Ne—
rone, cui veggendo tremar ancor di pau
ra ,_. ed avido del sangue materno , con
m 5 . sag—
182`
saggío ed artifizioso avviso, fingendo di
secondare il suo furore,` il disarmò. Gli’
disse che se l’accusa si fosse provata, gli
prometteva egli stesso di uccidere colle
proprie sue mani Agrippína. Ma che ne—
cessariox era l’ intendere anche le difese di
lei, il che ad ogni malfattor concedeasi ,
non che alla madre dell’Imperatore. Che
non c’era ragione di dar così all’ armi,
che 1’ accusa proveniva da parte nemica ,
e per `conseguenza sospetta. Che le deli—
berazioni fatte di notte, e fra i bicchieri,
esser. potevano intempestive ed impruden—
ti. Nerone_ tornato in se, commise a Bur
ro per la vegnente mattina l’ esame di
questo affare, e‘ la condanna della rea , o
della innocente l’ assoluzione. Burro in
compagnia di Seneca e d’ altri si presentò
ad Agrippina, le lesse l’accusa, le noti
ficò gli accusatori, e il pericolo che la
minacciava . Questa donna con tanto calor
si difese, e con tanta evidenza, che tutti
commosse gli astanti , ed abboccatasi col
figliuolo,_ non solo ſu pienamente assolu-ñ
ta, ma tornò in grazia di lui: e i suoi
accusatori, parte esíliati furono , parte
uccrsr, come avean meritato. (a)
Ma

( a ) Tacit. Anna]. Lib. XIII.


183
Ma la pace e 1’ armonia 'fra la Madre
e‘il figliuolo‘ebber corta durata: novelli
tenacissimi amori la'disturbarono e la di—
strussero affatto, il cuor di Neron con
vertendo in cuor di tigre‘. Erano già tre
anni trascorsi da che Nerone governava
`l’ Impero, quando sotto il’ terzo suo con
solato e di Valerio _Messala, perdutamen—
te s’ innamorò d’ una donna, che .ſu la
cagione precipua delle maggiori sue scel—
leratezze. Era costei Poppéa Sabina, e
tutti ipregi avea vin Se raccolti che può
avere una Matrona compiuta, fuor -sola—
mente che l’ onestà. ' Era di nascita illu
stre, di straordinaria bellezza, ricca abñ
bastanza; graziosa nel suo parlare, con
tegnosa ad un tempo e lasciva. Facea vita
ritirata a’suoi fini, e non uscía che col
velo che le copria parte del, viso, o per—
chè così pareva ‘più bella, o perchè più
risvegliava i desiderj'de’ riguardanti. Ama
va unicamente se stessa negli altri, e non
facea conto degli Uomini , se non se in
quanto poteano a’ Suoi‘ interesei giovare,
e alle ambiziose‘Sue mire. Era stata m0—
glie di Rufo Crispino Cavaliere Romano,
dal quale avea avuto un figliuolo, ma
vagheggiata poi da Ottone giovane ricco,
e che splendidamente viveva, amicissimo
m 4 ` ` di ’
184
di Nerone e compagno ‘nelle ,notturne s'ue
scorrerie, prima ſu amante di ‘Lui, poscia
lasciato il primo marito, divenne sua mo—
glie. Ottone che familiarmente _viveva coll’ A
~ Imperatore, o che, per troppo amore che
a lei portasse, come accade , divenuto
fosse imprudente, vo che sperasse, facendo
della propria Moglie _ innamorarv Nerone ,
col lei mezzo d’ innalzar maggiormente
se stesso: lodava sempre in ,faccia del
Principe la bellezza, la graziarlo spirito
di Sabina7 e quando da lui si congedavañ,
dicea d’ andare a riveder.- tutto ciòv che al
mondo v’ era di più perfetto e di‘ .più ca—
ro, e che potea fare un uom più felice.
. vQuesti discorsi, ;tante volte‘- pur ripe—
tuti, accesero per così fatta maniera Ne—
rone delle bellezze di Poppèa’, ch’ egli
credette 'di non poter vivere senza lei. E
come i‘ semplíci, desiderj ‘de’ sovrani , sono
assolutj comandamenti, ſu hentosto Ia.
moglie di Ottone in corte introdotta , e
alla conversazione‘ ammiessa del giovine
_Imperatore . Fu allor che Poppéa‘ pose in
uso tutti i veZzi e tutti gli .artifizj de’
quali le Belle fan sì lungo ‘expericoloso
studio, per eseguire il gran colpo-ch’es—
sa già meditava… S’infinseinnamorata fo
`cosamente di Nerone ,- dicea di non poter
' reg—

k.
185 ‘
reggere alla sua bellezza,e all’ardor che
sentiva, e non fu_ 'avara a lui ‘di favorix
ma quando'il vide nell’ aniorosa pania in;
vescato, e sì, da non poterne più es’cire,
mutò allora contegno, , mostrò- ritrosíe z
scrupoli, rimorsi, pentimenti: dicea che
troppo essa amava il marito , che troppo
era amata da lui, ch’ era crudeltà il ’far
gli torto, tanto più che Nerone'i suoi
affetti dividea con una vile liberta, dove
Ottone lei unicamente avea c'ara. Che nel
marito erano entrati sospetti, che non ~si
volea provocarlo, e ,simili cose. Chi a_ suo
gran danno, alle amorose frenesie fu her-»
saglio, sa troppo bene come irritino amo—
re, ostacoli e gelosie. Tal fu del‘ Monarca
Romano. Egli riguardò da quindi innanzi
'Ottone‘ come rivale, e d’ amicis’simo che
gli era, gli divenne nemico. Cominciò a
trattarlo freddamente, poscia ‘a non ain—
metterlo più alla sua conversazione, e fi—
nalmente l’ aVrebbe anche ñ ucc’iso , se Se
neca ch’ era amico di Ottone, 'e sernpre
;in guardia per frenar gl’ impeti naturali
del faroce suo allievo, non gli avesse fat
to comprendere quanto pericolo fosse e
quanta crudeltà nel 'privar di vita un in—
nocente, 'Uno de’ primi Signori di Roma,
e ch’era stato suo amico. E scorge-ndo.
egli
186
egli che il Principe per l’ eccesso della
passione, era di moderanza incapace, gli
propose più tosto di allontana'r Ottone da
Roma , col dargli il governo di ,qualche
Provincia, che cos‘i liberolsi vedrebbe e
senza delitto, dalla presenza dell’ odiato
rivale ..Più che le .Saggiev riflessioni di
Seneca, piacque l’espediente a Nerone,
il quale inviò il marito di Poppéa gover—
natore in Lusitania ( Portogallo ) ov’ egli
ben Consapevol che il ,suo era più tosto
esilio che governo, adoperò con molta giu
stizia e prudenza, e si vendicò in segui—
to dell’ ingrato Monarca. (a)
Poppéa Sabina come `vide allontanato il
marito, tutte sue mire rivolse, niente a.
meno che a divenire Imperatríce, e però
tenea sempre più fermo Nerone ne’ lacci
suoi, alternando dolcezze e ripulse. Ma
due forti ostacoli ancor s’opp‘onevano a’
suoi arditi disegni: l’uno’ era Agríppina,
Ottavia l’ altro. Disperava Poppéainsino
a tanto che vivesse' la prima, di poter
mai divenir 'moglie a Nerone. onde il
tor—

( a ) Plutarc. in Galb. pag. m. 734. Svet. in


Otton. Cap. HI. Tacit. Annal Lib. Xll-I. Si—
fil. in Neron. Svetonio e Sifilino però nar
rano un p0’ diverſamente la coſa.
-187
tormentava continuamente e 'il beffeggiava
dicendo, ch’ egli in luogo d’ essere un
Imperatore era un pupillo, che' in ogni
cosa dipendeva da altrui, che appena' ,avea
libertà d’ uscir di casa. Che 'ben conosce—`
va d’ esser in odio ad` Agrippína: sé per
altro esser tale da non fargli vergOgna nè
per nascita nè per bellezza. Che nondi—
meno, ’anzi ch’esser motivo di disc0rdie
alla corte., .e anzi che vedere* la, vergo—
gnosa schiavitù in cui viveva il Principe,
era apparecchiata di ritirarsi, di andare
ad-unirsi al suo Ottone che tanto e sì
svisceratamente l’amava: così sarebbe con
tenta‘ quella Madre che non volea nuora
che odiosa non fosse al figliuolo . (a)
Questi artifiziosi discorsi accompagnati da
lagrime , da sospiri, e da movimenti la
scivi , penetravano il cuor del Monarcìa,
sempre più l’allacciavano, e l’alienavano'
dalla ~Madre , e dalla Moglie. E già er‘a
risoluto di’far quello che poi fece appres—
so , di trovar cioè un qualche pretesto di
ripudiar Ottavia e disfarsene, se Burro
che penetrò il suo pensiero , spaventato
non l’avesse con dirgli severamente , che
se

( a ) Tacit. Annal. Lib. XIV.


-188 ,
se ripudiar volea Ottavia, era 'obbligato
di re-stituirle la dote , ciò è a dire l’ im—
ero. Che in fatti, essendo Ottavia fi—
gliuola di Claudio, morto Britannico, avea.
più che Nerone diritto al trono imperia—
le; se il diritto giammai prevalesse alla.
forza ., ( a ) .
'Ma: Giulia
immenào poterAgrippina
dirPoppéa spaventata dall’,
sopra Nerone
tentò gli ultimi sforzi onde conservare
ancor quel dominio in vista del quale
avea tante scelleratezze operate; e se que
sti sforzi furono gli ultimi, furono anco—
ra i più infami.
Gli Storici antichi narrano cosa che ~in
una Madre pare incredibile, e di cui non
potea esser capace che quella furia infer
nale ‘. Dicono adunque che costei ( mi at—~
terròallo Storico più moderato di tutti
che è Tacito ) ardi più volte presentarsi
al` figlíuolo di bel mezzo giorno , ‘mentr’
egli era riscaldato dal vino e dalle vivan—
de , vestita lascivamente e lisciata , pren—
dendo con esso lui di quelle famigliarità,
che nè a Madre si convenivano nè a Don
na -onestaz e che nn giorno fra gli altri
- \ le

( a ) Síphilin. in N’ero‘n. .L
189
le cose sareb’bon passat-e più innanzi, (a)
se Seneca d-i ciò informato, e pien dìor..
tore, non aveSSe a lui prontamente invia
ta Atte imponendole dirgli, che la Madre
già si era vantata dell’amore incestuoso del
gliuolo, e che i soldati non sarebbono
per tollerare lungamente un Principe sì
profano, e sl empio. (b)
Non è da dubitare che-Atte , la quale
amava di- cuor Nerone, spaventata del
suo e del proprio pericolo , non Soddisfañ-~
cesse assai bene al carico impostole: onde
in grazia del nostroSeneca, si ritrasse
1’ Imperator da un eocesso che "fa innorriq
dir la natura. ' *
Perchè egli intimidito per una parte
dall’ imbasciata di Atte, e tormentato per
l’altra dai continui artifiziosi rimproveri
di Poppéa Sabina ch’ egli amava con en~
- tu

( a ) Ciò- che perſuaſe il Mondo che Nerone


, avrebbe compiuti queſtì nefandi ecceſſl collal
Madre, ſe Seneca non Vi ri arava, fi fu ch‘
egli teneva a ſua 'poſta una onna che mel—ü
to gli era cara, e che in tutto aſſomigliava
Agrippina. Su di che dicea ſcherzoſamente_
un motto che non è necefi'ario di ul riferi—
re. Sveton. in Neron. Cap. XXV I` Sifi
lia. in Neron.
( 4b ) Sveton. in Neron. L. C., Sifilin. in Net.
190 `
tusiasmo, tutte le occasíoni fuggiva di
trovarsi da solo a solo colla Madre, e
avrebbe pur voluto allontanarla da se ,
senza una solenn‘e rottura. Per la qual
*cosa le lodava molto la campagna, e le
celebri Ville d’ Anzio e di Tusculano ,
ov’ *egli avrebbe voluto ch’essa andasse a
soggiornare , per levarsela quindi dagli
occhi. (-a) Ma quella donna che altra fe
licità non vedeva che in corte, o nell’ 0m
bra almen della potenza, non se ne sapea.
risolvere, 0nd’ egli, riguardando in lei un
’ insormontabile ostacolo a’ suoi più Cari di—
segni , 00minci`o ad odiarla, e dall’ odio
passò a quell’ orribile rísoluzione d’ ucci
l derla, tanto celebre ancora e tanto infame
ne’ fasti di Roma. Sifilino afferma, (b)
che Poppéa ve lo consigliò e ve lo spín—
se, dicendo che non si vedea dall’ insidie
sicura insino a tanto che vivesse Agrippi—
na: il che a vero dire non rassembra in—
verisimile . ~
Fatta la‘ micidiale risoluzione, la diffi
coltà era nell’ eseguirla. Svetonio (c)
dice ch’ egli tentò per ben tre volte di
` avve

( a ) Tacit. Anna]. Lib. XIV.


é b ) In Neron.
c ) ln Neron.` Cap. XXXIV.
191
avvelenarla, ma indarno, percìocchè essa
-ìusata ai tradimenti, stava sempre 'in so
spetto, e di contravveleni _muniva‘si. Al
contrario Tacito afferma, (a)‘ che Nero—
ne non volle usar del veleno, comechè
il modo fossepiù pronto, perchè se n’era
servito all’ uccision di Britannico, ed es
sendone ’la memoria anCor fresca, tosta
mente se ne sarebbe sospettato e indovi—
nato l’Autore. Altri modi più aperti p0
tevan esSere pericolosi. Mentre ondeggiava
Nerone fra questi dubbj, giunse in tempo
Aniceto, prefetto dell’ armata di Miseno ,
e d’ Agrippina inimicissimo. Mostrò egli
che si potea fabbricare una nave , di cui
una parte fosse congegnata in guisa, che
al peso oedesse di chi vi stava sopra, e
sì piombar lo facesse in mare. Piacque il
ritrovato, risoluto fu di esperimentarlo,
e si presentò l’ occasione opportuna. Si
celebrava a Baia la ſesta di Minerva det—
ta Quinquatria: (b) V’ andò Nerone, e
- vr

( a ) Anna]. Lib. XIV. i


( b ) Coſa ‘foſſe queſta feſta, e perche così de—
nominata, s’ impara dai ſeguenti verſi d’Oví—
dio del terzo libro de’ Fatti, da' me riferiti
e ſpiegati anche altrove .
Una dies media efl; B’ fiunt ſacra MinervKÎ,
o.
l
19.2 -
,vi fece invitare Agrippína, dicendo pub
blicamente che volea riconciliarsi con esso
lei, che così si conveniva a figliuolo .
Venne la Madre , e fu da Neron ricevn.
ta con molta allegrezza e festa, e ne’
giorni che vi ` si trattenne , trattata con
tutte le distinzioni, e con tutte le tene
rezze possibili. La partenza di lei era
destinata , non senza cagione , alla notte ,
e la fatal nave era in pronto, Nell’ atto
che la Madre congedavasi dal figliuolo,
parea che questi saziar non si potesse di
mirarla e di stríngerla al Seno, o a me
glio coprire il tradimento , o perchè in
quel punto il sangue in lui si commovesç
se pensando al vicino fine di colei che gli
avea dato la vita e l’impero,
, La bisogna ebbe però un esito a quel
lo opposto che lusingava Nerone. La Na—
ve s’ aperse , ma la Principessa caduta in
_mare , destramente notando , fu da un
battello raccolta, e portata ad una sua
villa 1 con qualche leggiera offesa nella
per—

Nominaque a iunffl’s quinun diebus habent.


Sanguine prima vacat. 'nec fois cancurrere ferro ,
Caufla quod eſt illa nata lliiszerva due.
Altera, tre/que ſuper ſir-am celebmntur arena,
Enfibus exſertís bellica tata Dea e12 .
. i 193
persona. Quivi cominciò ,a suo bell’ agio
a riflettere al pericolo corso, nè .fu incer..
ta un momento del vero autore. Niente—
dimeno giudicò nel on caso e3sere il mi..
gliòr Partito quello d’ infingeree dissimu..
lare. Perchè mandò al 'figliuolo, Agerino
suo liberta, acciocchè gli partecipasse a
suo nome il corso pericolo, dal quale per
benignità degli Dei era scampata. Prima
ancora che Agerino arrivasse, avea Nero
ne saputo tutto il succeSSo, e n’era con
fuso e spaventato. Ben conoscea che la
Madre essendosi salvata, non potea igno—
rar l’autor delle insidie, e però temea
ch’ essa vendicar si volesse , e armasse
schiavi, solleVasse soldati, ed informasse
il popolo ed il Senato de’ tradimenti a lei
orditi . Perchè pien di paura e del modo
incerto di contenersi, chiamò Seneca e
Burro a consulta, informatigli prima del
fatto. Essi (sono le espressioni precise di
Tacito da me tradotte a parola) stettero
buona, pezza tacendo per non consigliarlo
inutilmente: inoltre credean le cose con
dotte a tale, che se non sì, preveniva
Agrippina, Nerone dovea perire. Quindi
Seneca- che per l’ innanzi era, il primo a
consigliare, flsò il guardo ìn Burro qua—
sì. chiedendogli se ai soldati dovesse co
n A i man
194
mandarsì la morte di Agrippina . Burro
rispose che i Pretoriani erano troppo a:
taccati, alla‘Casa de’ Cesari, che sì, ricor
davano ancor di Germanico, e che non,
ardirebbono nulla d’ atroce contro il Suo
saflgue: che più tosto Aniceto compiesse
l’ impresa già cominciata.
Aniceto disse esser pronto, a che Ne
rone vinto dalla gioja esclamò, che da lui~
riconosceva in quel giorno l’ Impero, e lo
spinse ad effettuareil misfatto. ~
Lo scellerato Prefetto per-coprir meglio
in appresso la meditata uccisione, mentre
Agerino narraVa a` Nerone i pericoli corsi
dalla Madre, gli lascíò destrarnente cader
tra piedi un pugnale, il qual‘fatto osser—
vare , fu tostamente -Ager‘ino in ceppi
messo, quasi foàse stato dalla~ Madre spe-’
dito, per dar la morte al figliuolo.- Quin—
'di Aniceto con' un capitano ed un centu—
rione andò ad Agripp‘ina‘, la qual saputo
il motivo di qnesta visita, animosamente
porgendo il ventre gli.disse: ~ erisci qui
e percuo/ti quel ventre, che 'diede in luce
un Nerone, .e di molte ferite poscía fu
morta. Si sparse indi la firma,- che aven—
do tentato .invano di uccidere per Ageri—
no il figliuol‘o , veggendo scoperto il, suo
tradimento, s’ era uccisa da se medesi
ma.
’195
ma." (a) Così terminò di vivere questa'
Donna malvagia , che per Soddisfare alla
sua ambizione ed` avarizia, operò mille
eccessi infami e crudeli, meritandosi mil
le morti, ma non ñ già da colui al quale
essa avea dati e la vita, e l’impero. -'
Nerone dopo un tal fatto, stette qual—
che tempo sbalordito e confuso; quindi i
rimordimenti * della co‘scienza che lo lace
ravano, le veglie notturne, lo spe-ttro ma
terno, i gemiti che gli parea d’ udire e
i suoni rauchi di trombe ch’ escìssero dell’
avello in cui giacean _le ceneri della tra—
fitta sua genitrice; e d’altra parte i ti—
mori della pubblica indegnazione, il te
neano molto agitato. Ma l’ Impero Roma
no composto era allora non d’ uomini, ma.
di Vili giumenti, che adoravano il giogo
sebben. pesante, sebben crudele ed atroce.
Furono primi i centurioni e i tribuni da
Burro inviatigli a baciargli la mano, e a
congratularsi con esso lui dello scampato
pericolo, e delle materne insidie svelate .‘
Poscia andato a Napoli, scrilsse al Senato
una lettera composta da Seneca, nella qua—
n z le
>
7

( .i ) Tacít. Anna]. Lib. XIV. Svet. in Neron.


Cap. XXXIV. Sifilin. in Neron. `

1
196 ' ,
le fra le altre cose dicea che Agerino da
sua Madre inviato ad ucciderlo , s’ era
trovato con l’ arme: ch’essa quindi s’ era.
da se medesima uccisa per il rimorso d’un
tanto misfatto fall-hole; che l’ avea più
volte istigato a levar i donativi ai solñ
dati, alla plebe le mance , a rovinar
molte illustri persone . Ch’ era stata essa.
cagione di tutti i delitti commessi nel re
gno di Claudio, e quindi per il ben pub
blico estinta. Conchiudea finalmente , che
d’ esser salvo appena credeva, e d’ esserlo
non godeva . p,
Niuno diè fede a ciò che in questa let
tera si 'narrava, e molto _meno a quello
che più stava a cuore che si credesse, che
Agrippina ciò è a dire avesse mandato il
liberto aduccidere un Imperadore, dife—s
so sempre e guardato .dalle milizie.
‘ Con tutto ciò il Senato non fu lento a
ordinar supplicazioni e rendimenti di gra
zie agli Dei per il pericolo scampato da.
Nerone, cui fu innalzata una statua, e
il giorno natal di Agrippina ſu fra gl’ in—
~ſausti riposto . Quando l’ Imperadore ri—
tornò a Roma, gli furono incontro le tribù.
e il senato in gala, e procissioni di gio
vani e di donzelle: e il popolo s’ammon—
:ava per-,vederlo passare, quasi facesse da
una
, . ’9?
?una conquìsta ritorno, o andasse ad un'
trionfo: a tale era giunta la schiavitù e
l’ adulazione. (a)
Ho voluto narrar questo tragico fatto
con qualche estensione, accíocchè ogni mio
leggitore chiaramente veder potesse la par-`~
te ch’ ebbe in esso il nostro Seneca , su
di che parlar dovrò lungamente a suo
luogo . i
Veggendosi Nerone libero . dalla sogge~
r Zion d’ Agrippina, ch’ egli odiava ad un
tempo e temea, conosciuto a-prova che i
più orrendi delitti, non che tollerati.in
Roma , erano ancora` approvati, fatto più
baldanzoso, più‘che mai' si abbandonò all’
:impeto delle sue feroci passioni. Quindi
a misura che questo mostro scuoteva ogni
freno, anche il creditm e la deferenza a
Seneca veniva scemando . Pure il nostro
filosofo n’ ebbe ancor, tanto da impedire
in Roma un orribil macello. Poco dopo
la morte di Agrippina, si 'vider diversi
prodigi ’che da Tacito' s_0n descritti. (b)`
n ‘3 Nero- .
`

( a ) Tacit. Anna]. Lib. XIV.“ Svet. in Neron.


Cap. XXXIV. Sifilin. in Neron. M. Fab.
Quintil. Inſt. Orat, Lib. VIII. Cap. V. pag.
m. 484.
< b ) Annal- Lib. XIV.
198 ~
'Nerone lacerato dagl’ interni rimorsi del
.suo matricidio, ne senti grande spavento,
‘il qual crebbe, quando, fatti consultare
gli Aruspici, questi risposero, che que’
prodigj il prossimo fin prediceano dell’ Im—
peradore, onde il consigliavano colla mor—
te degli altri, di espiare la sua. Un con
siglío tanto sanguinarío e tanto all’ incli—
nazione conforme di Nerone, sarebbe stato
`seguito, r se Seneca con .gravità e placi—
dezza non gli avesse dette queste parole;
per quanto tu uc’cìda, molti uomini, non
potrai però uccidere il tuo succcssore:
,e’ così dísarmò quella fiera disumanata e
già pronta ad insanguinare gli artigli. (a)
Ma a misura che .Nerone si -facea fami—
liare il delitto, tanto più v’ era pronto ,
e tanto più ardente mostravasi a tor-di
mezzo quegli ostacoli, che alle sue brame
potean essere ’d’ impedimento. Amava egli
furiosamente Poppéa, la quale ad altro non
mirava ch“e ad esser sua moglie, ma que—
sto non potea essere, se non si ripudiava
Ottavia principessa virtuosa’, del sangue
‘de’ Cesari, idolatrata dalle milizie e dal
popolo. Burro-Si era mostrato contrario a
' que—

( a ) Sifilin. in Neron.
199
questo ripudio, come abbiam veduto più
sopra, e Burro Prefetto de’ Pretoriani ir
ritato potea con un solo .suo cenno far
'costar caro a Nerone l’insulto che si me—
ditava di fare_ ad Ottavia. Tanto ,bastò
perchè si risolvesse la morte di Burro, e
I’ occasíone venne opportuna , poichè i
modi ,violenti poteuno essere pericolosi.
Giacca Burro ammalato d’angina, o d’ alñ’
tro male che gli`avea enfiate le fauci.
Nerone spesso' lo visitava, e quasi fosse
dolente del pericolo a cui era condotto il
Prefetto, gli disse che volea mandargli
un medico il quale avea tal rimedio che
l’ avrebbe sollevato e guarito. ‘Venne il
medico il quale 'gli unse la gola con olio
avvelenato, che poco appresso il fece m0
rire. Burro s’avvide del tradimento, poi— ~
chè a Nerone'venuto a vederlo e del suo
stato chiedentegli, rivolta con orrore al— '
-trove la faccia, sto i0 bene, rispose, qua
si volesse dire che la morte era per lui
una felicità, perchè della vista il libera
va d’ un Principe scellerato e crudele‘. La
morte
virtù, dimaBurro
non uomo
peròl pien di valore
da ogni taccia eimdi
mune, come osserver'emo a $110 luogo, fu
di universale rincrescimento, e per la me
moria de’ meriti suoi , e per il para one
`n q. - e’
l
.200
de’ due suoi successori, l’ uno buono ma
debole , l’ altro scellerato e famoso per le
sue lìbidini. (a) ›
Ma se la morte di Burro a tutti spiac-x
,que, diede‘ altresì l’ ultimo crollo all’ au
torità di Seneca, sempre sostenuta sin quì
dal Prefetto, che operava con lui di con
certo . Un filosofo' amatore 'e predicatore
,della virtù, altre forze in se non avendo,
*o capo che il sostenesse, dovea cadere ne*
cessariamente in dispregio e in odio a Ne
rone. Oltraociò gli amici e i ministri dell’
Imperatore , ch’ eran la feccia di Roma ñ,
come a dire , Petronio, Vatinio, Tigelli
no, Aniceto, Pittagora, SPoro, Senecione
ed altri, dovean vedere in corte con* di—
spetto un uom virtuoso, la cui condotta.
era un continuo rimprovero de’ lor costu—
mi, e che una volta o l’ altra con quell’
ascendente che ha la virtù anche "sui cuor
più corrotti, potea far ravvedere il Prin
`cipe, e -condurlo anche-a punirgli. Però
dopo la morte di Burro , furono costoro
intorno al Monarca dicendogli, ch’ egli i
suoi maggiori imitasse pendii'igersi’làene;
fl . , ie..

' _( a ) Tacít. Anna]. Lib. XIV. Sveton. ín Neron.


Cap. XXXV. Sifilin. in Neron.
201
che finalmente Seneca era un uomo Peri_
coloso e fazioso, che mai non si stancava
di ammassar ricchezze che lo stato sorpas
savano d’ uom privato. Che cercava di
aver il seguito e il favore de’ cittadini .
Ch’ era superbo, e non credeVa esservial
Mondo altro eloquente uomo che lui. Ch’
era nemico de’ piaceri del Principe, scher—
nendo la sua bravura nel guidare i caval—
li, e della sua voce ridendosi quando can
tava . ( a ) - - —
Queste accuse e calunnie contro .di Se
neca, non dovean giugner nuove alle orec
chie di .Nerone , però che qualche tempo
prima erano state intavolate da P. Sui
lio; (b) ma allora, com’era dovere, ſu
rono disprezzate da lui, perchè non s’era.
ancora macchiato di quegli enormi delitti
cui si abbandonò appresso, e che gli fe-f
cero riguardar come importuna ed odiosa
la ‘presenza d’ un uom saggìo e virtuoso .
Nel caso presente dunque mostrò di dar
fede a queste calunnie,`e ſu ben conten
to di avere un pretesto d’ insultare e di—
sprezzar Seneca, com’ egli cominciò a fare
pale
’T

( a ) Tacit. Anna]. Lib. XIV. ”


( b ) Id. Lib. qu. .
202 ' ' ~
,palesemente , il qual disprezzo crescendo
ogni giorno, e informato ihfilosofo d’ ogni
cosa da quelli che pure, 'come s’espri—
~me Tacito, avean qualche zelo del bene ,
preso il suo partito, cercata udienZa dall’
Imperatore, e ottenutala , così gli disse:
,, Sono quattordici anni, o Cesare , ch’
77 io fui scelto a confermar la speranza
77
che tu davi di te, e otto sono che tu
77
reggi l’impero di Roma. In questo in
uüudUBUUVUMUUVV
uou av
tervallo tu mi colmasti di tanti onori
e di, tante ricchezze, che alla mia feli—
cità altro non manca che modo. Mi ser
virò di luminosi esempj , più convenienti
.alla tua grandezza, che alla mia pic
colezza a attati. Il tuo Arcavolo Augu—
sto permise a M. Agrippa di ritirarsi
_a Metellino, e a C. Mecenate di vivere
in Roma , come se vi fosse straniero .
L’ uno gli era stato nelle guerre com
pagno, l` altro in città fra le fatiche;
'HUM’ ”uu
amendue ottenuto aveano gran premj ,
dovuti però ai loro grandissimi meriti.
Ma io al contrario di tante tue libera
lità che altro ti potei 'dare in ,compen
7?
so, che studj, a ‘1’ ombra, a così dire,
educati, i quali mi han proccurato l’ono
77
re di poter la tua giovinezza istruire?
il che non è piccolo pregio: ma tu me
r n n’ hai.
205
Sag s usgu u v u vuyfldugs
n’ hai renduta immensa merc'ede, infini—
te ricchezze, a tal che io dico spesso_
a me Nmedesimo: io d’ ordine equastre,
”uqv u”vuq u qo
io uom provinciale, Vengo annoverato"
fra i primi Signori di Roma? Io`Cava~
lier‘ fresco risplendo fra i nobili chiari'
per aviti Magifltrati Curuli? clov’ è egli
l’ animo contento del poco? Perchè for
mare sì vaghi giardini, perchè passeg—
giare per tante ville, perchè tanîi ter—
reni, e tanti denari ad usura? Una sola.
difesa a me s’offerisce, ed è, che non -
mi si conveniva di resistere ai doni tuoi.
Ma ciascuno di noi ha compiuto le par
ti sue; tu col colmarmi di quanto può
un Principe dare ad un amico, io col ›
ricevere quanto può un amico da un
Principe. Il far più sarebbe un dar an—
sa all’ invidia, la quale, .Siccome tutte
le cose mortali , non può offendere la
tua grandezza, me peròzopprime, ed
a me fa bisogno sgravarmëne . Siccome
o in guerra o in viaggio , Stanco chieſi.
derei -ajuto, così in questo cammin del-r
la Vita già vecchio, e non più atto alle
più lievi fatiche, non potendoñ più a
lungo sostenere il peso delle mie ric- _`
chezze, chieggo sollievo. Comanda ai
tuoi agenti che sieno amministrate, ed
,, uni—
20-4 ~ _
`3 3 $3 3`
unite alle tue -. Nè Voglio io per que
sto esser mendico; ma liberatomi da.
quelle oose il cui splendore mi nuoce ,
quel tempo che alla cura dei giardini
e delle Ville s’ impiega , lo con'sacrerò
alla coltivazion dello spirito. Tuìse’ nel
sommo vigore, per tanti anni conferma
to nel governare: noi vecchi amici pos—
siarn metterci in quiete. Sarà per te
Onu” uva”
somma gloria , l’ aver al sommo innal
zati coloro che della mediocrità sì con
ſentano . ,,
Alle quali cose così a un di presso ri
spose 1’ Imperatore . ›
,, Io risponderò subito al tuo ‘meditato
”0000 gvvvv
discorso, e ciò in grazia tua che m’ in
segnasti, e a dirle cose innanzi pen—
sate, e a parlare all’ improvviso. Au
gusto mio Arcavolo permise ad Agrippa
e a Mecenate riposo dopo le‘ fatiche;
a,augv
”VU
ma in tale età che l’ autorità sua di—
fendeva questa e qualunque altra oosa
che avesse lor conceduta. Nondimeno
nè l’ uno nè l’altro non ispogliò di que’
premj che avea lor dato, e che s’ erano
77
nelle guerre e ne’ pericoli meritati :
vu**u
poichè in questí passò A`ugusto la sua
giovinezza. Nè tu stesso, s’ io guer—
reggiato avessi, negato `avresti di SEI-f‘
,, guir A
205 la
’ guinni fra I’iarrni; Ma ‘Secondochè
83
condizion de’ tempi esigeva, colla ragio
ne , col consiglio e co precetti nutristi
77
la mia fanciullezza, e uindi la mia.`
77
gioventù, e insin che avro vita, saran—
77
no nel mio cuore impressi i tuoi bene
fizj . Le cose che da me avesti., come
sono i giardini, i'censi, le ville, a
’7 mille eventi soggetti sono,` e comechè
3’
pajan gran cose,îmolti a te molto infe
'riori, furon di te più doviziosi. Mi
vergogno a pensare , che tu , primo fra
tutti nell’ essere da me amato, ‘non su
peri tutti'gli altri in' fortuna. Del re—
sto l’età tua è ancor vigoros‘a, e atta
a godere e a p mantenere il tuo stato,
e noi siamo ancora ne’ primi tempi del
nostro impero: se già tu per avventu
ra non tenessi te inferior di Vitellio,
che ben tre volte fu `Cionsolo, o me di
Claudio. Ma i0 non potrei tanto darti,
quanto con lungo risparmio avanzò V07
lusio. Che anzi, se la mia giovinezza
mi porta a qualche mal passo, tu mi
richiami , mi reggi, m’ invigorisci. Col
rinunziarmi i tuoi beni, coll’abbando—
narmi, non si dirà Che tu se’ moderato,
che ami la quiete, ma s’incolperà la
mia, avarizia , e il timore della mia
’ ' ,, cru
t
206
77
crudeltà. Che quand’ anche dal tuo pro—
3,7
cedere elogio` sommo venir ti dovesse,
J’
non è all’ uom saggio e moderato dice—
37
vole, il cercar gloria da ciò che appor
77
ta infamia all’ amico . (a)
A queste’parole aggiunse Nerone baci
ed abbracciamenti , come già dalla natura'
formato, e dalla consuetudine avvezzo, a.
mascherar l’ odio con infinte carezze. Sve
tonio aggiugneñ, che il Principe assicurò
Seneca, che anzi morrebbe, che nuocergli
per conto alcuno. (b)
Ma

‘ a ) Tacit. Annal. Lib. XIV.


, b ) Tacit. Anna]. L. C.
Nerone avea in odio Seneca, malgrado dell’af—
fettuoſo diſcorſo tenutogli, e ſe l’ aveſſe po
tuto far ſenza troppo biafimo, e meglio anñ’
cor ſenza pericolo, ſe ne ſarebbe disfatto ,
v come fece pur di tanti altri. Ma Seneca era
amato in Roma e venerato come dotto uo
mo e Virtuoſo, però l’ Imperatore potea te—
mere, che facendolo morir con violenza, il
popolo non ſ1 ſollevati'e a furore come ſolea
ſar qualche volta, e come vedremo aver fat—
to in favore d’ Ottavia. Ma queſto popolo
ſchiavo erò, d’ ogni preteſto si contentava
che iuſtlficafi'e apparentemente la crudeltà de’
ſuoi e, comechè conoſceſſe ad evidenza che
il preteſto era falſo . Un reteſto volea Ne
rone per infierir contro eneca, e gli facea -
carezze per infidiarlo più facilmente. Il fatto
giuſtificherà le mie conghietture.
207
Ma il nostro filo'sofo che per lunga espe—
vrienza l’ImperatoBCOnOSceva, 'non Si fida
va punto alle sue parole, e cominciò a
riformar la sua vita, a non ricever più
visite, a ricusar gli accompagnamenti per
la Città, come si usava allora co’ grandi,
a star molto in casa, a non' uscir che di
rado sotto velo di poca sanità, e `ad at
tendere a’ suoi studj, ne’quali più fervo
rosamente che mai tutto s’immerse . (a)
In fatti, non avendo più autorità presso
il Principe, e non ,potendo più a lui gio
var nè all’ Impero, volle esser utile agli
uomini, con gli aurei scritti che quindi
compose .
Farem menzione fra primi del bel trat
tato della Vita Beata ( comechè intero a
noi non sia pervenuto ), perciocchè par
dettato appunto di questi tempi, rispon-s
dendo in esso , e assai ben difendendosi
dalle vaccuse fattegli d’aver molte ricchez
ze , e di condurre una ‘vita niente _a’ suoi
precetti conforme .~
L’ Opera è diretta al Fratello Novato,
conosciuto allor sotto il nome di Gallione,
per il motivo che abbiam già veduto.
L’ Au

( a?) Tacit. Anna]. Lib. XIV.


1
208
L’ Autore si propone di mostrare in essa
due cose. nno. che sidVita Beata, 2do.
come vi si pervenga.
Provato per lui com’ è desiderio innato'
in tutti di giugnere all’ acquisto della
Beatitudine, edimòstra‘to, che la via te
nuta della moltitudine non è quella per
conto alcuno che vi conduce’, passa a dir
ci che la vita beata, è nel possesso uni-v
camente riposta della sola virtù . Siccome
però` la setta Epicurea stabiliva che la
Beatitudine costituita fosse dal Possedi~
mento della Virtù e della voluttà, inse—
gnando che non vi potea esser virtù sen
za voluttà , nè voluttà senza virtù: acer
bamente s’ oppone l’Autore a questi prin—
cipj ,— falsi mostrandooli, contradditorj, ed
a vicenda struggentisr. Stabilito e confer—
mato che la sola virtù basta a far l’uo—
mo felice, passa scaltramente a trattar la
sua causa , e risponde a coloro che gli
chiedeano, com’ egli dunque che tenea la
sola virtù atta essere a format* l’uomo ſe
lice, possedeva poi molta altre cose, sar—
vi cioè , denari, ville,. splendidi attrezzi
ec.? In prima risponde se non esser sag—
gio, e sforzarsi solo di esserlo; seconda—
mente che queste obbiezioni medesime
erano state, fatte già da gran tempo a
. mol—
— 209
molti ’uomini somrni,` quali furono Plato
ne, Zenone, Aristotile, i quali non com’
eglino si vivessero
viver doveasi. Cheinsegnavano,
la virtù era ma come
postaſiin
alto e disastroso luogo, che rispettar si
dovean coloro che si sforzavano a lei di
salire , comechè o cadessero, o rimanesser
fra via.
Ma per combatter i suoi avversarj di
fronte, propone-la quistione se il saggio,
possa posseder ricchezze,,e risponde che sì,
quantunq‘ue egli non porti loro amore: pur
che siano giustamente‘acquistate, e pur ch’
apparecchiato sia a perderle senza dolore.
Finalmente a ’maggiore autorità, presa la.
persona di Socrate, Si Scaglia contro certi
critici, che menando una ñvita piena d’ ozio
e di vizj, ardiscon di rilevar negli uomi
ni virtuosi e occupati, i più piccoli nei,
e le più perdonabili fragilità. (a)
o , Quest’ -

( a > Di queſti Critici inſani ve n’ ha pur di


piu ſpezie; nè non ſono i meno importuni i
Cenſori delle altrui opere letterarie . Baſti ſu
ciò per il molto xche fi potrebbe dire, un
paſſo di quel Padre dell’ eleganza del dire ,
del celebre Carlo Dati, il quale nella belliffi~
ma Operetta delle Vite de' Pittori antichi pag.
59 ſcrive così. ,, Poveri ſcrittori! de’ quali
7)
‘i

210
-. Quest’ Operetta , com’ è detto , è- man
cante, ed alcuni ne’ tempi andati credetter
compierla e perfezionarla, ai frammenti
-unendola d’ un altro Opuscolo, d’ argomen—
to affatto diverso , e che tratta del Ozio
~o del

9”
ſ1 vede il lavoro quando ſono ſuperate le -
’ ”
difficoltà, e che tutto è aggiuſtato e poſto
‘ ’ ”
a ſuo luogo, reſtando occulta la maggior

arte della fatica, e dello ſtudio ſpeſo in

uggire gli errori. In quella guiſa, che
a’
,Veggendofi una fabbrica quando è bella e
” terminata, non fi conſiderano le malage—
~ ”
Volczzeygll intoppi, e le ſpeſe nel fare

gli ſterri.; nel cavar l’ acque, nel ettare
” i fondamenti,nel condurre i materia i, nel
s* collocar le porte, nel pigliare i lumi, nel
ſttuar le ſalite; nè altri vſ1 ricorda delle

” piante , dei diſegni, dei modelli, degli ar—
” gani , de’ ponti, delle centine, e di mille
” altri ordigni e ’lavorj neceſſari. Ma pur
” ueſti tanto, o quanto ii ve gono, perchè
” s opera in pubblico . Così ?offeſo vedute
” le preparazioni, gli ammanimenti, i reper—
” .torj , gli ſpogli, i luoghi imitatí,' le pon—
” derazioni, le correzioni,i riſcontri, i vol
” garizzamenti degli Autori, le bozze, le
” cancellature, le coſe prima elette e poi ri—
” fiutate, che per avventura ſarebbe più com—
” patito~ chi' mette in luce le ſue fatiche da
” certi ſeveri e indiſcreti cenſori, che non
” [facendo mai coſa alcuna , le fatte dagli al`
2’ tri ſempre mettono a ſindacato . ec.
- 211
o del **Ritiramento del Saggio:. di cui di
sgraziatamente ‘non ci rimangono che po—
chi capitolj . Sembra pur che in quest’
Opera» Seneca difenda se stesso dalle ac
cuse che ~forse gli si faceano, d’ essemi
ritirato dalla Corte di Nerone, cui più
non potea giovare Per conto alcuno, onde
darsi alla contemplazione, e ai filosofici
studj . In ciò che ci rimane di questo
scritto , prova' egli due cose. mio. che
può il saggio, senza mancare a se stesso,
sin da’ primi suoi anni menar vita ritira
ta, e tutta rivolta a perfezionare se stes—
. so , e ad istruirsi : 2do. che può altresì
senza taccia, dopo aver passati ~gli anni
migliori alla pubblica utilità involto negli
affari, quasi in porto sicuro .quindi riti
rarsi a vita, tranquilla, continuando a gio
vare al pubblico , se non con l’ esempio
delle proprie azioni, con quel non meno
utile ’de li scritti. Mostra quindi non esser
questa ttrina nè contraria ai precetti
degli stoici, nè tampoco agli esempj , c0
mechè una delle COSe che incu'lcano, sia
che l’ uomo sino alla morte esser debbe
in azione, ed essere d’ utilità non agli
amici solamente, ma ancora ai nemici.
Non contraria’ ai precetti, poichè il `filo
sofo anche nel Gabinetto, anche in letto,
o z. può '
212
può altrui giovar cogli scritti che istrui—
scano , che correggano , 'che innamorino
della virtù: non contraria agli esempj ,
perchè Cleante, Crisippo, Zenone visser
rivata vita, e tuttavia più assai giova
rono alla Repubblica, che molti conquista—
tori che molti esimj ministri non-fanno.
Oltracciò , de’ casi ai danno in cui debbe
il saggio alla quieta vita rivolgersi, e so—
no, o quando la Repubblica è a tal giun—
ta di corruzione che più non ammetta
rimedio, 0 quand’ egli non v’ abbia'più
nè autorità, nè favore; o quando inferma
sia la sua sanità; e in questa triplice si
tuazione era appunto il nostro Autore
negli ultimi anni della sua vita.
Una però dell’ Opere” che più fanno
,onore al filosofo, e che più utili sono a
leggersi, e la cui morale è più pura e
sincera, è il suo Trattato dei Beneficj,
ad Ebucio Liberale diretto, e in sette li—
bri diviso. Fu quest’ Opera in Toscana
lingua tradotta dall’ elegantissimo Bene-*
detto Varchi , esimio fiorentin letterato.
Fu scritta certo regnante Nerone, poi—
chè al primo libro di essa, con disprezzo
si parla di Claudio, il che non si sareb
be fatto sotto il suo\Impe,ro. E Siccome
è di qualche estensione, così fu per av—
`
ven
\
.,
E

e 213
ñv'entura da lui dettata, quando 'sì trova-c‘
va già sciolto dai legami cortigianeschi .
Dopo essersi in sulle prime lagnato dell’
ingratitudine, vizio tanto frequente e sì
grande , si propone di scrivere de’ Bene
ficj, i quali considerar non si debbono o‘
valutare in se medesimi, ma nell’ animo
di chi gli fa. Dimostra poscia quali sieno
i Beneficj a chi gli fa convenienti, ed uti
li a chi gli riceve; come fardebbansi, e
ciò di buon cuore, subito, senza esitare.
_Alcuni palesemente, valtri in segreto, tutti 'l

peròsenza orgoglio e senza ostentazione.


Insegna-quindi che non si debbon- far be—
neficj che nocciano , comechè ne possiam
esser pregati, 0- che per la lor turpitudi
ne , al beneficato e- al beneficante portino
infamia . Prescritti i doveri di 'chi‘benefi
ca, pas‘sa a quelli del beneficato, e mostra
com’ egli i benefi‘cj ricever debba, in che
modo', ‘cla chi, e comeresser grato, Accen
na 'appresso quali sien quelle cose chel’in
gratitudin producono, e della gratitudin
ragiona, la quale ,- ove‘altri mezzi ci’man
chino, dalla semplice volontà ‘si può abba
stanza conoscere. Degl’inorati parlando , si
propone la quistione se dîshban punirsi, é
se si possan chiamare in giudicio , e sì ne—
ga, essendo lor ‘conveniente pena, l’odio,
- o 5 1’ in—
alzi
l’ infamia, e i rimorsi del cuore. Si cer—
ca se il Padrone debba al servo esser gra
to, se il figliuolo beneficar possa il Pa—
dre , e si afferma . Infinite altre quistioni
si recano,- in 'parte più curiose ed inge
' gnose ‘che utili e solide, e che della sot—
tigliezza sentono degli stoici. Quest’ Ope
ra ha quel difetto però che in molt’ altre
del nostro- fi1050fo abbiam già accennato,
c'ioè qualche disordine nel disegno , e
nella distribuzione delle materie, il qual
difetto non so io bene se tutto a lui si
debba imputare, o attribuirne una parte
agl’ignoranti copisti, cui però dobbiamo
il 'merito ne’ secoli rozzi e barbarici ,
d’ averci comechè sia conservati gli scrit—
ti e del nostro autore, e d’ altri uomini
insigni . ' ('a)
Mentre Seneca con queste sue Opere,
_lontano dai tumulti del Mondo e dalle
scelleratezze della corte` del suo ingrato
discepolo passava i suoi giorni, vie più
costui infame rendevasi , co’ più enormi
'deli-tti. Tigellino. suo amico e ministro,
per

( u ) Di qu ſta materia de’ Bemfirj però , avea


prima di eneca trattato il gran Marco Tul
lio, nel primo degli Uffitj, col giudicio a
Iui conſueto, e colla conſueta "ſua ſobrietà.
- 215
per alzar-se medesimo, e rendersi a lui
più caro, 'perseguitava con false accusa—_
zioni tutti i personaggjx più chiari o per
nascita, o~ per ricchezze, o per virtù.
Fra questi , uccisi furono `Silla e Plauto ,
del qual ultimo fattasi portar Nerone la.
recisa testa , »píen d’ allegreZza 'esclamòz
,, -Orsù Nerone, perchè tolti di mezzo co
,, loro che ti poteano incuter terrore e
,, sospenderle,` \non ti affretti alle nozze
,,,, quale,
di Poppe’a, e Ottavia
sebben modesta,non allontani
pure , la
ti èſi odio—
,, sa, e per la memoria dal Padre, e Per
,, l’amorev di Roma? (a) ,, In fatti aven
do egli uccisi `o allontanati coloro che p0:—
' tean essergli di qualche freno, *passò all'
esecuzione di quel disegno .che da tanto
'tempo gli stava a cuore, e dichiarata 'ste—
Iile Ottavia', alle nozze passò di Poppéa.
La quale montata in orgoglio per l’ onor
ricevuto,'e non parendole esser sicura in
sino a tanto che Ottavia infelice Viveva in
Roma, forzò coll’ opera di Tigellino un
ministro di questa Principessa innÒcente
ad accusarla d’ aver av-uto commercio in
fame COn un certo Eucero Schiavo, e so—
o 4 i‘ ' natore

.( a“) Tacit. Anna]. Lib. XIV.


216
na'tore di flauto. La maggior parte delle
damigelle di Ottavia, comechè con atroci
tormenti costringer si'volessero alla confes
sione del falso, colle lo'ro deposizioni- vie
più che mai fecer risplendere l’ onestà,
e la virtù incontaminata della loro Padro
na- Ma che può la virtù disarmata, con
tro .la calunnia che' ha la forza in mano
e 'il potere? -Comechè della sua innocen—
za niun` dubitasse, la sventurata Ottavia,
che l’ unico (rampollo’ era `del sangue de’_
Cesari, ſu esiliata in Terra ~di Lavoro con
guardia. , ` - r , ’
Ma la ,plebedi Roma che amava molto
la virtù rd’ Ottavia, e più ancora il san
gue che a lei scorrea nelle vene, non ce—
lò il suo dolore, ma palesemente Si que—
relava e ad alta voce , mostrando di _ vo—
lersi ammutinare e dar quindi ?in violen
Ze. Il popolo,.è pericoloso nemico ove le
sue forze conosca, e, perchè ha poco a
perdere, è anche più sicuro ed audace.
Nerone si spaventò, e pieno il, c‘uore
,d’ odio e di mal talento, richiamò tosto
la moglie. Ottavia. Del cui ritorno all’
annunzio, chiaramente conobbe .quel che
c’ era a temere se' non si richiamava. Per
ciocchè la moltitudine piena di gioia salì `
in Campidoglio a ringraziare gli Dei,_po~
ñ $C1a
2!?
scia furiosa tutte le" statue atterrò di Pop
péa, quelle rialzando d’ Ottavia, e quin—
di intorno affollatasi al Palagio Imperiale,
mandava lodi e benedizioni `a Nerone,
per aver richiamata la sua Sposa innocen—
te. Poppéa 'si tenne' perduta. Temeva
per una parte che la plebe infuriata non
domandasse il suo sangue, e che Nerone
per l’ altra, scorgendo l’odio di tutta Ro—
ma contro di lei, non ,cangiasse per av—
ventura il variabil suo*Cuore, e la sagri—
ficasse alla sua Sicurezza. Messe dunque
'in azione tutte le già esperimentate fem
minili sue armi, le lagrime cioè le lusin—
ghe i vezzi; e con le parole, e coi so—
spiri, e con un silenzio più talora elo
quente delle parole medesime, tanto ope—
rò, che vinse finalmente la causa, e la
ruína della misera Ottavia fu risoluta.
Il passo tuttavia era arduo assai., ma 'si
pensò all’ infame Aniceto, e ogni cosa
allor parve facile. Fu chiamato costui , e
minacciandoglisi la morte ove negasse pre—
starsi, e molti premi *offerendoglisi, ac—
consentendo, fu indotto a dichiarare in
faccia a’ Giudici d’ aver avuta la dimesti—
chezza di Ottavia. Nerone quindi pubbli—
cò con editto, che Ottavia avea corrotto
Anieeto per avere il favor de’soldati (era`
- , costu-i
o

218
costui com’ 'è detto Prefetto dell’ armata
di Miseno ) che da lui avea avuti figli
uoli, da lei insidiosamente nascosti, ( s’ era
dimenticato Nerone d’ averla poc’ anzi co
me~sterile ripudiata)v e che di queste co—
se` avea avuto convincentissime prove, e
che però la confinava nell’ isola Pandate—
ria: .ove poco appresso wall’ età di venti
-avnni barbaramente ſu uccisa . Si fecero
_quindi in R’oma, 'secondo era ccstume,
offerte é ringraziamenti agli Dei per tal
Successo. (a) ' .
- ”Ecco il fine di questa sventurata Impe—
ratrice, che non ebbe* un sol raggio di
gioia, dal primo momento che aperse gli
occhi alla luce. Perdette il primo ma
i‘íto ch’ ella amava teneramente , per
essere sposata a Nerone. che sempre l’eb
be in odio: e in disprezzo . Le furono, a
cosr

( a ) Tacit. Annal. Lib. XIV. Svet.. in Ner.


Cap. XXXV. Sifilín. in Net".
La morte di Ottavia, variata in alcune circo
ſtanze, con quella libertà ch’ è conceduta ai
Poeti, fu l’ argomento d’ una Tragedia bc}
liſfima. del nottro grande e ſovrano- Tragíco
co. Alfieri. Nerone, Poppéa, Tigellino, Otñì
tavia, `da quel unico ſuo pennello ſono adom—
brati coi più energici ed evidenti colori. Ma
perchè dar un’ idea si bafl'a di Seneca‘.2
`

Così dir, sotto agli occhi morti il Padre


e il Fratello, e per colmo a leivdidolo-ñ
re, a lei ch’ era onestissima, furono ap—
poste le oscenità più colpevoli, e come
donna infame quindi svenata.
Dopo questo fatto, Nerone si diede per
tal modo
ſilenze in uccisioni
, alle preda ai ed
disordini, alle vio—
ai sacrilegi, che
la sua Storia non mostra in lui più sola—
mente uno scellerato Monarcag, ma, un
pazzo furioso. x ’
Seneca, comechè vivesse ritirato, e più
non avesse in corte inflenza di sorte alcu—
na ,eper non intender* più fatti sì enor—
mi, e perchè forse da alcuno… che igno
r’asse la presente sua 'Situazione‘ non ne
venisse incolpato , chiese licenza al Prin-`
`cipe di potersi ritirare in una sua Villa
molto lontana dalla Città, per quivi ter
minare i suoi giorni; ma questo pure gli
fu- negato: .sebben mostra ch’ ei l’ otte
nesse dappoi. Perchè egli da quel momen- i
to si chiuse_ nella sua.- stanza, sotto il
pretesto d’ essere tormentato dalla" ’poda.
gra . (a) '
s Scri—

( a ) Lodovico Vives, ne’ſuoî dottipommen


tarj alla Citta‘ di .Dio di S. AgOÌmOÎVle~
220
Scrive -Tacíto, (a) che nelle Storie di
que’ tempi leggevasi , che Nerone fece
preparar il veleno per Seneca, da Cleo
nico, del filosofo stesso, Liherto, ma che ‘
egli l’ evitò, o dal Liberto avvertito, o
per sospetto che già n’ avesse. Infatti il
tenor'del -suo vivere’ singolarmente negli
ultimi anni suoi , ce ne persuade . Le
frut

VI. Cap. XI. , ſcrive , eſſer egli di ſentimento


che Seneca chiedeſſe all’ Imperatore l’ arbitrio
di ritirarfi, all’ occaſione che ueſto moſtro
meritamente chiamato il Precur ore dell’ An—
ticriſ’co, facea di
dell’incendio martoríare
Roma, idelCriſtiani accuſati
quale vNerone
medeſimo, er una incomprenſibile ſrenesia,
era ſtato l’ utore: e che Seneca per tal gui—
ſa fuggir voleſſe il lagrímoſo ſpettacolo di
tante innocenti vittime ſanguinoſe e ſtrazia—
te, e l’ imputazione fors’anco di averlo con
ſigliato, o almeno in pace ſofferto‘. Alla qu'al
consghiettura del Vives, dan peſo le parole
di . Agoſtino medeſimo, le quali provano
la ſegreta propenſione di Seneca in favor 'de’ —
Criſtiani, ove dice, che Lacio nell’ opere ſue
molto nemico ſi moſtrò de’ Giudei, 'ma‘ de’
Criſtiani mai non fece parola nè in ben nè
in male, o per non lodargli contro il coſtu~
me della ſua Patria, o er non riprendergli
contro forſe la propria ua volontà, e l’ inti
mo ſuo ſentimento . …
( a ) Anna]. Lib. XV.
221’
frutta de’ suoi orti, e pan secco, erano
i suoi cibi, e l’acqua-corrente la sua be
. vanda. (a) Il suo pranzo era tale, com’
egli medesimo scrive a Lucilio, che non
1’ obbligava appresso a lavarsi le mani. (b)
Era egli però dagli anni condotto a ta—
le, ma più ancora dalla gracilità del suo`
temperamento , che poco impaccio potea
dare a Nerone, o per breve, tempo. Avea
tutte le forze perdute, era obbligato quasi
sempre al letto , e sol ch’ egli si movesse
era lasso. (c.) Avea cominciato a perde—
re anche -1a memoria, che mostra nell’ ope—
re sue essere etata felice e feconda. td)
Era poi per tal modo destituto d’ ogni
’ calor

( a ) Tacit. Annal. Lib. XV.


( b ) Pum's deinde firms, Es? ſine menſa pra”
‘dium, pofl uod non ſunt lavanda? manus.
Senec. Ep. L ’XXIII,
( E ) Hodiernus dies jolidus e/ì. Nemo ex illo
qmdquom. mihi eripuit: totus inter flratum le
ñ’zonemque diuiſus efl. Minimum exercitationi
corporis datum: ED‘ hoc nomine ago gratias ‘je
mñ’uti; non magno mihi conſtant: cum me mo
m‘, laſſus ſum. Idem. lbid.
Ago erat-'as ſe-neä'uxi, quod me leiì’ulo afflxit. Ep.
LXVlL
( d ) Ep-fiola tua delefì’auit me ,‘ 69’ mar-center”
exeitavit : memoriam quoque mmm, quae mihi
iam ſeguis 89’ lenta eſt, evocaoit. Ep. LXXIV.
222 ſi I

,.-calo_1~ naturale, che nel bel mezzo della


state, appena si sentía dighiacciato. (a)
Da tutti i segni insomma vedea che s’ av-`
vicinava la morte, Cui egli però aspetta—
’va con animo fermo e tranquillo. (b)
Perciocchè quanto era mal- concio il suo
corpo, tanto era più vigoroso il suo spi—
rito. (c) Egli non~curava più cesa niu—
na, le sue ricchezze píù non amminìstra
va, dicendo, che oggimai nè nulla acqui—
starsi, nè, nulla perir non poteva per lui.
Che questo Sentimento dovea egli nutrire
anche da giOvane, ma molto più essendo
vecchio, perciocchè ogni poco bastava a
nu

( a ) @hm aztas mea contenta eflſuo frigo” :


vix media regelatur Eſtate Ep. LXVII.
( b ) Int” decrepítos me numero] , ED’ extrema
tangente.: . . . . Ego certe wlut appropinquet
experimentum , ED’ :lle laturus ſententiam de
omnibus annís mais dies 'venerit, ita me obſer
vo Ep’ alloquor: nihil aſl inqzmm adhuc quod
aut rebus aut verbis exhíbuimns . Levia ſum: ~
{ſia 6F fullaciu pignom animi.. multiſque inva
luta lenacinz'is. Quid profe-ceri”; mort: credim
rus ſum. Non tzmide ilaque componor ad iſlam
diem. Epiſt. XXVI. ñ
( c ) Non ſentio ln animo wtutis íuiurimn, ”un
ſentiam in corpore . . . viget am'mus, E9’ gau
det non multum flbi eflè cum corpore. Ep.
XXVI.
225 `
nutrire il breve corso di vita che gli ri
maneva. (a) Ciò egli dice al proposito
di dar parte a Lucilio dell’ arrivo di al
cune navi d’ Alessandria, ov’ egli avea
possessioni, le quali portavan lettere per
lui, e lo informavano dello stato de’ suoi
affari colà: egli non sì curò punto di far
ricerca di queste lettere . (b) La sola sua
occupazione oggimai era lo studio, ch’ egli
con più fervor coltivò in questi ultimi
tempi. Frutto dovizioso delle sue e"streme
fatiche furono le sue epistole, che ancor
ci rimangono al numero di 124. , che an— ‘J
ticamente s’ imprimevano in varj libri di—
vise, e che tutte dirette sono a Lucilio,
e scritte altresì , secondo 1’ opinione degli
{3‘ eru

( a ) Olim jam nec perit quidquam mihi ”ec ac


quiritur. Hoc etiam _ſi jenex non eſſcm, fam-at
ſentiendm” , ”una vero multa magís, quia quan
tulumcumque haberem,tame~›z plus jam mihi ſu
pereſſet viatici, quam Hill’: preteſa-tim cum cam
'viam flmus ing” 1. quam peragere 'no-n efl
neceflè. Epiſt. LX VII.
( b ) Subito hodic nobis Alexandrímz waves ap
paruerunt . . . In. hoc omnium diſta-*ſu pra
perantium ad litus, mag-nam tx pégritia mea
jenſz voluptatem, quod epiflotas meorum accep—
turus, non propemui [rire, quis illic eſ/et re
rum mearum ſtatus , quid afferra”: . Epiſt.
LXXVII. ’
-
lK
224 i
eruditì, sotto i Consolati di Memrnio Re
gulo, e di Virginio `Rufo, e di Leconio
e Licinío, ai quali ultimi Consoli , sucz
cedettero P. Silio Nerva, e C. Iulio At—
tico Vestino, sotto i quali morì . Infatti
egli parla all’ epistola novantesima prima,
della colonia di Lione incendiata', che poi,
secondo Tacito, (a) fu sovvenuta con
buona somma da Nerone, consoli essendo
C. Svetonio, e L. Telesino, 'che succed—
dettero a Nerva e a Vestino . 1
Queste Epistole son di vario ar omen
.iz to, comechè fra iconfini della Èlosofia
morale ristrette. Tendono a migliorare i
costumi, a purgar il cuore dai vani af
fetti, ad innamorarlo della virtù, e sono
una fecondissima miniera di‘Îs’aggi avver
timenti , e di precetti utilissimi alla con.
dotta dell’ uomo, in qualunque stato egli
si’ trovi,
o-,fra o fra ,—gli
i privati affari
0 fra pubblici involto,
le angustie ſidel suo
gabinetto: sano 0 ammalato, povero, o
ricco, marito, padre, figliuolo, padrone .
Ognun vi ritrova il suo conto: v’ impara
il felice ad esser moderato nelle prosperi—
tà, l’ infelice a non avvilirsí nelle disgra
zie;

( a ) Lib. XVI.
… , 225
zie; il ,virtuoso vieppiù s’ accende della
virtù, il libertino arrossa, s’ egli è pos—
sibile, delle viziose sue inclinazioni. Vi
‘s’ impara l’ amor de’ suoi simili , l’ osse—
quio al Principe, -la venerazione agli Dei.
Le dolcezze si mostrano dell’ amicizia,
della beneficenza e dell’ altre rirtù socia—
li. 'Felice chi di questa lettura sa inna
morarsi , e più felice ancora chi sa gio
varsene! A1 secolo in‘ cui viveva, ed alla
setta ch’ein più amava, si doneranno al—
cune quistioni frivole in cui Seneca si
diffonde più del dovere, sebben ad ogget—
to di censurarle; alcune inopportune ar
utezze, e non convenienti alla dignità
dell’argomento che trattasi; un certo di
slogamento, dirò così, di periodi, brevi ,
saltellanti, ineguali, il che è comune an
che alle altre opere.sue; qualche repeti—ì
zione, e qualche disordine: poichè tutti
questi difetti compensati sono ad usura ,
dai pregi eminenti che in queste epistole
s’ ammirano , e più ancora dal frutto che
se ne può trarre. i -
Quell’ Opera però che tutte corona le
Opere del nostro Autore, e che mostra
la varietà e la vastità della sua~ dottrina,
sono i sette libri delle Naturali Ricerche,
diretti al suo amico Lucilio, i quali con
P- z ,5,36
226
siderati saranno come maravigliosi ,'v( che
che mostri sentire' in contrario, il per al
tro dottissimo e giudiciosissimo Padre Da—
niello Bartoli ) (azQ ove giudicar si vo
gliano, com’ è dovere, colle cognizioni di
que’ tempi in cui furono scritti , v`e -colle
opinioni che allor -correvano in argomenti
fisici e meteorologici, che appunto intor—
no al fatto delle meteore questifsí-aggí—
rano. E' opinione». del Lipsio ez-d’ altri
eruditi , che in queste materie abbiaìSeñ
neca per avventura superato_Aristotile,
e fu osservato che molti ritrovati che si
spacciano per invenzioni moderne , non
erano a Seneca affatto ignoti. Fu quest’
Opera scritta dal nostro filosofo negli ul-ñ`
timit‘empi della sua vita,,(comechè forseì
molti materiali in pronto egli avesse sin
dall’ epoca del suo esilio, come osservam—
mo) parlando egli al libro sesto d’ un
terremoto che scosse la Campania, e ciò
sotto_v il consolato di Virginio e di Mem
mio, cioè due anni prima della sua mor—
te. Troppo lungo io sarei se di quest’
’ opera .dar. volessi un estratto benchè im
pe l'
/ſi r -` i ’ — /
› -\ ' ‘ ‘ i i
z( a Geografia traſportata ot Morale . Cap.
. la Modem: pag. 273.
; 227
perfetto. Tratta egli in essa dell’ arco ce.;
leste , de’ parelj , de’ folgori , degli SPec..
chi, delle proprietà dell’ aria, dell’ origin
de’ tuoni, e de’ fulmini, de’ fonti e de’
fiumi; della grandine, delle nevi, del ge
lo, de’ venti, de’ terremoti, e finalmente
delle comete. In ogni Sua ricerca adduce
le più probabili opinioni degli altri, pro—
duce quindi la sua, adornando la ‘severità
delle materie con ameni racconti, con ri
ilessioni morali, e cm esempli adattati. ~
Questa fu l’ ultim’ Opera, di quelle al—
meno che sono a noi pervenute, che l’ Au
tor nostro compose, e ben si pu‘o dire di
lui, quel che del Cigno da’ poeti si can
ta , che vicino a mori-re, più dolce ed ar—
moniosa manda fuori la voce: poichè ap—
punto le opere ultime del filosofo sono
ancora‘ le più pregiate , _per ingegno, per
dottrina, e per si‘ncerità di morale .
Veniamo ora a quell’ evento luguhre;
che colmò la misura di tutte le scelIèra
tezze
iſirſinperodell’ infame uno
Romano Nerone, che maggiori
de’ suoi tolse all’

ornamenti, e alla stoica setta uno ,de’


più illustri suoi alunni. Nerone odiava
Seneca da gran tempo, e pareagli forse
non poter tranquillo abbandonarsi a’ suoi
eccessi mentr’ei viveva. E per verità gli
p 2 elogi
228 ,
elogi di che il fiIOSofo colmò Neronelmen‘trv'
era buon Principe, che ne’ libri si leggo
no della Clemenza, in rirnprovero s‘i con—
vertivano
fu e inperverso,
divenuto vitupero,e che
tostoilſiche costùí
panegiri
sta medesimo si vide costretto a tacere,
e ad allontanarsi quanto più potè. dalla.
Corte . ì
Oltracciò le molte ricchezze di Seneca
(vedremo altrove che furono a Iui da suoi
accusafori imputate quasi a peccato) ser—
vir poteano ad un tempo di nutrimento
all’ estrema avarizi‘a dell’ Imperatore, e
alla pazza sua prodigalità: che amendue
questi opposti vizj dominavan quel Prin—
‘ `cipe. (a) Poichè i. tentativi onde avvele—
narlo '

( a ) Sifilîno compendiator di Dione , ſcrive


che Seneca cedette tutte le ſue facoltà a N -
’ rone, da impiegarfi nelle fabbriche che quel
’ Principe erigeva. Ma Tacito nulla dice dì
queſto, anzi abbiam ved.th preſſo lui, che
non accettò Nerone 1’ offerta fattagli dal filo
ſofo qualche tempo prima, della parte mag—
gior de' ſuoi beni . Oltracciò, ſe Seneca.
avefl'e fatta, anzi morire, una ceffion di tut
ti i ſuoi averi, a che domandare, nell' atto
di perder la vita, il ſuo teſtamento, onde ri—
munerare iſuoi amici? e perchè ſarebbegli
' ſtato queſto teſtaínento negato,come ora ve—
dremo ? i
229
’ .narlo non eran riuscìti ,‘si cercava un pre..
testo qualunque fosse per infierire contro
di'lui, er questo si preaentò nell’ evento
che ora son per narrare.
Erano*gli,anni dell’ era Volgare LXV. ,
dell’ Impero di Nerone XII. , e della Vi—
ta di Lucio Annéo Seneca LXVII. , o
LXVIII., (a) Consoli .essendo Silio Net
P3’ ‘ V32
L

( a All’ an'no ſefi'antefirno ſettimo, 'o ſefl'an


te imo ottavo della ſua vita , ho oſto la
mOrte di Lucio, *contro il parere dl Giuſto
Lipfio, il quale nella ſua Vita di Seneca, ca—
pitolo ottavo, dice che ſecondo i ſuoi cal—
coli, il filoſofo quando mori, oltrepaſſar non
poteva gli anni 63, o al pih 64. Ma come
netto, anche ſecondo il Lipfio medeſimo?
agli afferma che il Padre del noſtro filoſofo
venne di Spagna a Roma quindici anni all’ in
circa anzi la morte di Auguſto z il che egli
provò con conghietture probabili molto , e da
noi pure adottate e confermate. Il filoſofo 1
in quel’co viaggio fu portato in braccio dalla
materna ſua zia, onde aver egli doveva un
anno, o almen qualche meſe . Ad Auguſto
ſuccedette Tiberio, che regnò 2 anni, a
ueſto Caligola , che l’ Impero re e 3 anni e
dieci mefi: venne poſcia Claudio che gover—
nò I4 anni, e quindi Nerone, «nel duodeci—
` m0 anno dell’ impero del qvale, accadde la
morte dl Senepa. Dopo ciò il mio leggitote
decida, ſe gli anni di Seneca eſſer poſſono
m
230 `/ e
va, e Attico Vestino, quando nacquelim
provvisa in Roma, e in sul momento si
accrebbe una conglura contro Nerone, nel—
la quale concorsero senatori, cavalieri,
soldati, e donne a gara', mpssi tutti da
odio contro di lui, e da amore verso L.
Calpurnio Pisone che aspirava all’ Impero,
chiaro per nobiltà ,' per molte virtù, 0 al..
men per la sembianza di esse. Era costui
facendo avvocato de’ cittadini, liberal cogli
amici, grazioso ed ameno anche cogli stra—
nieri. Di bella persona, amava i piaceri
e la splendidezza, ,qualità che piacciono
al

in minor numero di 67, o, 68. Il Lípfio di


ce che Nerone medeſimo in Tacito, tratta.
l’ età di Seneca come di valida e atta a o—
dere le ſue ricchezze, il che non avre be
potuto `dire, ſecondo lui, ſe foſſe ſtatopiù
Vecchio. Ma oltre che quel diſcorſo fu fatto
a Seneca qualche tempo prima; anche l’ età
di *zo anni in un uomo, non è tale età da
non poterli talor chiamar valida. Oltracciò ,
quivi medeſimo Seneca ſ1 chiama vecchio, il
che egli molte volte ripete nelle ſue lettere,
onorandoſl anche tal volta del titolo di de
crepito. Ma a che tanti diſcorſi? ll fatto è
contrario alla conghíettura del Lipſio, e ſe
le prime ſue ſono vere, come il perſuade la '
. ſtoria, l’ ultima è falſa, come il facil calcolo
da me fatto dimoſtra. z
\ 231
al popolo , cui in un secol corrotto non è
caro un Principe sobrio e stretto. Fra
tante persone di sesso diverso e di grado,
mirabil fu la Segretezza,~e già s’era-*pen
sato al modo, al luogo, e al tempo di
uccider Nerone. Ma un Certo Milico, Li
berto di Scevino uno de’Congiurati, trat—
to dalla Speranza del premio, o insospet
tito per certi andamenti, o che consapevol
fosse di tutto, andò ad accusare alla iCor—
te il Padrone, il qual fatto chiamare assai
ben si difese: ma accusati e imprigionati
‘altri poi, ed esaminati Separatarnente, e
diversamente risPondendo e contraddicenñ
dosi, alla tortura' messi, confessarono ogni
cosa. i‘ .
Natale fu quegli che accusò Seneca, e
il motivo di quest’ accusa, fu, vcome Ta
cito osserva, per far cosa grata a Nerone, ~
che avendolo in odio, tutte l’ arti studio
samente-'cercava onde opprimerlo . (a’)
p4 In

(a ) Prior tamen Natali.; totías coniurationís


magis gnarus, flmal arguendi peritior, de Pi
jime primum fatetur, deínde adiicit Amm-:um
Seneoam, five internautias inter eum Pi onem
que fait, ſive ut Neronis gratiam pararet, qui
zziſenſus 529mm, omnes ad .eum opprimend-um
lai-tes conqairebat. Anna]. Lib. XV. -*
252
In fatti non v'èindizioalcuno cheprovi'
aver Seneca avuta parte in questa con—
iura. Poichè Natale a solo pretesto ad~
äusse onde accusarlo, l’ esser egli stato da
Pisorie mandato al nostro filosofo ch’era in
fermo, con ordin di lagnarsi a suo nome,
perchè non gli avea petmesSo di visítarlo,
e l’aver …Seneca risposto, che non conve—
nivano nè all’ uno nè all’altro simíli ra
gionamenti; ma che tuttavia la salute sua
dipendeva da quella di Pisone . (a) Ora
bastato avrebbono ad un Principe buono
queste parole, a persuaderlo che Seneca
entrato fosse nella congiura? E come po
teva egli entrare in questa pericolosa tra
ma, s’ egli era ammalato, se non riceveva.
ersona, e nè pure i suoi amici; ed era
(egli probabile, che in un affare si dilica—
.10, `si valesse d’ un messo?
Ma, come Tacito osserva, Nerone fu
contentissimo d’ avere un pretesto onde
UCCI

( a ) .Salus quippe Natalísfflz’ hañ’enus prompſit,


mzflum ſe ad tvgratum- Senemm . ut csì/'Bret,
conquerereturque cm‘ Piſonem aditu arm-et? .
. . . . Fj reſpondiſſè Senecam, /ermones mn-~
tuas, 55’ crebra colloquio; neutri conduce”: rete
rum ſalutem ſum” incolumitate Piſani: z’mutz’ .
Tacit. Anna]. Lib. XV;
~ ‘ 233’
1 uccider Seneca col ferro, Poichè non _gli
era ‘riuscito
néo di questiil giorni
veleno. ritornato
(a) Era dalla
LucioCam-1
An l

pania in una sua villa fuor di Roma


uattro miglia. Mandò Nerone a lui Gra
mio Silvano Tribuno d’ una Coorte Preto
riana, a interrogarlo‘ s'e vere fossero le
deposizioni di Natale contro di lui. Era
di sera, e il Tribuno andatovi, cinse di
soldati **intorno la villa, e salito a Seneca ’
che cenava con Pompea Paulina sua mo—
lie e due amici, fece l’imbasciata. Ri
‘ spose il filosofo che Pisone avea a lui
mandato Natale a lagnarsi perchè non gli
permetteva di visitarlo, e ch’ egli s’era
scusato con dire , ch’ era inferrno e che
bisogno avea di riposo; che \ non avea
avuto motivo d’ anteporre la salute d’~un
uom privato, alla sua. Ch’ egli non sa e
va adulare, il che quanto vero fosse, nin—
no meglio .testificar potea di Nerone , che
lui avea esperirrrentato più tosto libero
che servile. (b) Ho voluto riportar le
paro

(a) Sequitur Ctza’es Armati Seneca’ la’tzſſìma


Principi, non quia coniurationis maniſeflum
comperorat, ſed ut ferro graſſuretur, quando
veneuum non proceflerat. Anna] Lib. XV.
,( b ) Seneca mzſſum ad ſe Natalem, conqueflum
que
‘A
234
parole istesse di Tacito, comechè il senso
ne sia misterioso ed oscuro, acciocchè giu—
dicar ne poasa il leggitore a suo piaci#
mento. _ -
, Il Tribuno riferi al Principe queste co
se, presenti Tigellino e Poppéa, ch’ erano
intimi_ suoi consiglieri nelle crudeli `sue
deliberazioni .
Domandò Nerone se Seneca era risoluto
di darsi morte, ma'il Tribune-'risposev
non aver in lui osservato indizio alcun di
paura o di tristeZza nè nelle parole , nè
nel volto. Gli impose` dunque che a lui
ritornasse, e che gli intimasse la morte.
Granio Silvano però vile a segno, dopo
essere stato uno de’ congiurati, di servir
d’ istromento a quelle scelleratezze mede
sime, alla cui vendetta avea acconsentito,
non ebbe'coraggio di far questa _crudele
in'timazione, e mandò un Centurione. Se—
neca,
r
` ,
que nomine Pzſom's quod ”iſendo eo prohíbere—
tm', ſeque ratzonem valetudims ED’ amorem quie
tis, excuſqflè, roſpo-nd”. Cum ſalutem privati
hominis ſua? anteſerret, non habmſſè, ”ec ſibi
promtum in adulatìone ingeníum. quue nulli
magi: gnarum quam Neroní, qu) ſa’pius liber
tatem' Seneca: quam ſervitíum expertus eſſet .
Anna]. Lib. XV.
. 235

neca, senza punto turbarsi, dimandò il


`suo testamento , ma poichè questo dal
Centurione gli fu negato, volgendosi agli
amici , disse loro, che poichè gli era vie—
tato di riconoscere, come voluto .avrebbe ,
i loro meriti, lasciava loro ciò ch’ egli
avea di più pregevole, l’immagin cioè
dclla sua vita, di cui se memori fossero,
un esempio sarebbono di costante amici
zia. Sciogliendosi eglino in lagrime, par
te gli confortava, parte amorosamente gli
riprendeva, chiedendo loro ove fossero i
precetti di filosofia, ove i rimedj »per tan— `
ti anni meditati contro i casi fortuiti?
Perciocchè chi non conosceva la crudeltà.
di Nerone? Dopo il Fratello, la Madre,
e la Moglie, altri non gli rimaneva ad
uccidere che l’ Aio e il Maestro. Detto
queste parole, abbraccia la sua‘ Paulina, ’e
intenerito alquanto, vl’ammonisce e la pre
a a moderare il dolore, e a consolarsi
della perdita del Marito, in considerazio—
ne ‘della virtuosa vita da lui menata.
La moglie al contrarioi dice di Voler essa
pure morir con lui, e dimanda un Carne—
fice. Seneca allora, e per non toglierle la
gloria d’ una tal morte, e per non lasciar—
la, amandola egli teneramente, alle in
giurie esposta, le disse: io ti avea dati
con
236 l .
conforti alla vita, tu Moi‘ più tosto una
morte gloriosa,z nè sono già per impedir—
tela. Sieno egualmente coraggiose le no—
stre morti, ma la tua sarà certo più il—
lustre. Dopo ciò si fanno amendue tagliar‘
'le vene delle braccia… Seneca cui stenta—
tamente usciva il sangue, perchè il suo
corpo era estenuato dagli ann-i e dall’ asti—
nenza, si fece aprir quelle pur delle i
nocchia e delle gambe . Ma vinto da’ o
Iori atrocissimi, accioccbè la vista Scam
bievole de’ lor tormenti, non indebolisse
in essi il coraggio, persuasé alla moglie
` di ritirarsi in altra Stanza: e quindi chia
mato uno scrivano, molte cose dettò pie—
ne di maschia eloquenza, che a’ tempi di
Tacito correan per le mani di tutti, e che
a noi non SOn pervenute. Nerone che non
volea male a Paulina,` acciocchè l’ odio
contro di lui non si accresce‘sse, fece vie
tarle la morte. Perchè, perduti essa già
avendo i sentimenti , molti Schiavi xe* Ii
berti le furono intorno, e le fasciaron le
braccia. Dissero alcuni (perciocchè il vol—
go è sempre inclinato a pensar male de’`
virtuosi ) che Paulina insino a tanto dhe
teme Nerone implacabile anche verso di
lei, amò la gloria di morir col marito‘,
ma offerendosele quindi motivo a sp’erarlo
l
piu
'1
più mite,
ñ si _lasciò- vincere agli alletta

menti della vita, e` non ,le increbbe di


vivere . Ma essa fece conoscer col fatto,
quanto poco fondati fossero questi sospet—
ti, poichè ne’ pochi anni che visse , sem.
pre del marito fu ricordevole, e a lui,
sebbene ancor giovane, fu,` fedele , mo
strando nella pallidezza del volto, e nella
membra sbiancate , quanto sangue avea
sparso. . `
Seneca‘ intanto che moriva con sommo
stento, pregò Annéo Stazio suo_ medico,
e vecchio amico , di porgergli certo vele
no, da gran tempo prima apparecchiato,
col quale si uccidevano in Atene i con
dannati. ( a) Ma Siccome le sue membra
eran fredde, e chiusi i pori, nè pur que
sto non fu di niuna efficacia. Entrò final
mente in questao
gendo'di un hanno d’acqua
intorno gli calda, e Spar
schiavi, disse
che quel liquor consecrava a GIOVE LI—
BERATORE. Portato quindi in una stu~
fa, il vapore lo soffocò; e poco appresso ~
fu arso, avendo egli così disposto in un
suo codicillo; dal che ben si vede che
anche quand’ era ricco e potente , egli
Pen
( a ) La Cicuta.
/ ~ ,
pensava al suo fine: ichhe /mille volte ap
parisce pure dalL’ opere sue .
Dopo 1a sua morte molte diceríe quin
di si sparsero,
,fecer e fra queste,
Segreto consiglioſi , ( non che alcuni
ignorando
ciò Seneca ) morto Nerone, d’ uccider Pi—
sone , e di alzar il no$tro Filosofo al tro—
no, come colui, 'che, e per innocenza, e
per esimie virtù, destinato parea dalla
Natura a quel grado supremo . (a)
` - PROE—

( a.) Tacit. Anna]. Lib. XV.

FINE DEL TERZO LIBRO.


fl²59

PROEMIO.

_AVendo sin quì accompagnato il mio


Seneca, dal primo momento della sua na
scita, insino alla morte, ( ove egli diede
al mondo un chiarissimo esempio di for- `
tezza e di costanza ) per tutti gli avve—
nimenti più memorabili della sua vita,
edavendo anche parlato delle opere sue
:filosofiche e letterarie, e datone una qual—
che idea al mio Leggitore: mi `resta ora
a ragionare di alcune cose molto impor—
tanti, delle quali ancor non parlai, o non
‘ '
/ \
24a
parlai che di fuga , per non interrompere
con troppo lunghe digressioni l’ ordine e
il filo della mia narrazione. Or fu egli
Lucio Seneca senza difetti? E perciocchè
egli fu uomo, quali furono i suoi difetti,
così nel corso della sua vita cortigianesca
e politica, come ne’ libri che ci 'rimangon
di lui, oltre a quegli che avvertiti furon
più sopra, de’quali almeno in parte esser
posson colpevoli i rozzi copisti? Ecco le
interrogazioni che sarebbe in diritto di
farmi, chi di Seneca non avesse idea se
non cla-quanto io ne scrissi sin qui. E al
Ciel piacesse che ogni mio Leggitore a
leggermi si accingesse digiuno di tutto ciò
che in favore 0d in biasimo del nostro fi—
losofo fu detto per tanti Scrittori e di
dottrina
dolo io ae giudice
di credito!
dellaperciocchè
presentev sceglien—-ff
mia di,
scussione , potrei`lusingarmi d’ una disap—ſi
passionata sentenza, qualunque essa fosse.
Ma come ciò mai sperare, almeno quan—
to alla prima parte s’ aspetta, da un let
tore solamente di mediocre cultura, quan—
do non v’ ha‘ libro forse di Storia, di Po
litica, di Morale, di Fisica, di Poetica,
e persino di Pietà e di Religione, che in
lode 0 in biasimo non ragioni, di questo
celebre stoico ,‘ e letterato Ministro?
‘ Sic
241‘
Siccome poi fra gli’Autori che parlar!
di Seneca, molti ragionan di lui- come
d’uomo il più perverso e il più' guasto
così ne’costumi come ancor negli~scritti,
fra quali la schiera aprono Dione e Aulo
Gellio; ed altri al contrario il dipingono
come il più incolpabil ministro, e il più
sano ed eccellente scrittore di chi vantar
possa l’Impero Romano, e in ogni cosa a
modello il prescrivono, e per poco , ( co—
'me si esprime il dottissimo Tiraboschi )
collocato il ‘Vorrebbono sopra gli altari,
fra quali distinguesi Giusto Lipsio; così
nella esatta e non prevenuta disa‘mina ch’
io sono per intraprendere de’ costumi e
degli scritti di questo filosofo, io non mi
prometto cl’ essere compatitq‘che dallo scar.
sissimo numero -di que’ Lettori, i quali
senza lasciarsi risca-ldar il cervello e la
fantasía dalle lodi smodate, e dai più
smodati’ improperj de’ Biografi , le opinio—
ni de’ due contrari partiti prudentemente
bilanciano, e un ‘giudicio formano alla ra—
gione e alla giusta critica più conforme.
Ecco non pertanto il metodo del pre
sènte discorso . \
I. Imputazioni date a Seneca, e che
non pare ch’ e’ per conto alcuno si meri
tasse .
q l II' Di~
l
.242 a
II. Difetti del suo caratter morale , de’
uali invan si `tenta sgravarlo.
III. Esame del sistema suo Teologico e
Psic‘ologico, onde ,a coloro rispondere che
il vorrebbon Cristiano, 0 degni i suoi scrit
ti vantano d’ un Cristiano , e utilità che
di'queçti può trarsi.
I_V. Riflessioni sullo stile dell’ Opere di
Seneca . ì
nf' ,‘ V I,- T A~ h

'DI *LUCIO ANNE'o SENECA


.’

Lrnno QUARTO.“
\

UNA delle imputazioni dalle quali non


è difficil cosa difendere questo scrittore,
è, seCondo a me pare, quella d’ orgoglio,
che venne a lui data dal Celebre Cav.
Tirabosc‘hi, dicendo egli alla pagina 188
'I Tom. ado. dell’ immortale sua Storia del
la Letteratura Italiana così. ,, Ciò, che
,, più d’ogni altra cosa (son le sue precise
parole ) spiacemi in Seneca', si è un co—
',, tal fasto, che in tutti i suoi libri s’in-v
,, contra, per cui sembra che se stesso
,, egli voglia proporre a norma e ad esem—
,, plate d’ogni virtù . ,, I molti passi `da
me appunto incontrati nelle diverse opere
di Seneca, e che a ciò, s’io— _mal non
veggo, s’ oppongono, fan ch’io non possa
soscrivere alla Sentenza dell’ egregio Scrit
q 2 _ \ tore
\
244
tore Italiano, ma che mi accosti più to
sto all’opinione del Chiar. Signor* Abate
D. Saverio Lampillas,che nel volume pri—
mo, pag. 205 e seO. del.- Saggio suo' sto
,rico Apologetìco della Letteratura, Spa
’ gnuola, da'questa taccia ha difeso il, n0
stro filosofo, alcuni passi appunto recando
di lui, da’ quali pure si scorge, ch’e li‘
non troppo altamente sentiva di se me e
simo, e non proponeva se stesso a model—
lo: alcuni altri ne recherò i0 pure a'COn—
fermazione di così onesta difesa .
,, Io non ti parlo ora di me ,` ( scrive
egli in un luogo a Lucilio, rammentando
le vnoje d’un viaggio) non ti parlo di me,
77
i‘l quale, ,non che sia uomo perfetto,
90:0‘ non sono pure uom mediocre , ma` di
uu
Colui contro` il quale ha la fortuna per
duto‘ogni diritto suo; ,, (a) v v
E altrove: -,, Di queste cose ch’ io `10-_
’3333 do , ed a che esorto me medesimo, tion'
sono antor ben persuaso, e comechè per
suaso ne fossi, non le avrei tanto alla
mano , ‘e non sarei in esse esercitato
'1 ' ` - 77 Per'

( u) Non de me ”una tecum laquor, qui mul


tum ab homine tollerabili, *ze dum a perfeñ’a
ubſum, ſed ale illo in qu'ém ius fortuna per
didlt. Ep. LVII. ~ ~
, ~ 245 ’
i” per forma, da poter elleno essermi in'
>7 pronto a tutti gli eventi . ,, (a)'
E all’ epistola cinquantesima, ragionanñ'
do e li della, pazza Arpaste, della quale
s’ è ,etto in altro proposito, e delle sue -
strane piacevolezze, ,, io abborro, soggiu—
77 gne egli, questi mostri ,7 avvegnachè
97 quand’ io voglia diletto prender*` d’ un
pazzo, non ho a far lungo Viaggio, ,rido
‘di me medesimo. ,, (b) p
,, E che dunque ( scrive egli di Corsi—
ca alla Madre ) mi chiamo io forse uo
mo saggio? Mainò che non lo sono: che
se tale potessi chiamarmi, non’ solamenñ
te negherei d’ esser misero, ma mi pre—
dicherei fortunatissimo, e in vicinanza
di Dio . Or .quanto basta ad addolcire
ogni male, abbandonato mi sono agli
uomini Saggi, e poichè non so ancora
porger ajuto a me medesimo, mſ son
rifuggito negli altrui accampamenti, neñ.
‘I Z 7’ Sh

( a ) Svadeo adhuc mihi ifla quiz tando, mn


dum perſuadeo ; etiamfi perſuaſiſſem , nan
dum tam parata haberem , aut tam exercitu
tu. ut ad omnes caſus procurrerent. Ep. LXX.
( b ) Ipſe enim averfiffimus ab i/ìis prodz’giis
ſum. Si quando famo deletì’arz’ vola, non efi '
mihi lunga quem-mm”, me ridev
246 p
',, gli accampamenti di color voglio dire,
,, che se stessi ele proprie cose san go
,, vernare e difendere. ,, (a)
Viaggiava egli talvolta in un cocchio
rustico oltre mieura; le mule che ilcon
duceano, attestavan di vivere per ciò so
lo che camminaVano, e il coochiere r non
pel calore, ma per povertà era scalzo.
Ecco lo strano equipaggio del nostro Se
neca. Egli vciò non narra ad intendimento
di farsi un merito di stoica grettezza, ma
a confeSSarci con siñcerità, ch’ egli arros
sivadi comparir in pubblico così'parco o
misero, e che gli altri gapessero che, quel
cocchio così mal concio era suo: prote—
stando che così incerti e vacillanti erano
i principj suoi filosofici, che temea le de
risioni e le dicerie de’ paSSeggieri che in‘
lui s’ incontravano ñ. ,, Chi arrossa , dic’
egli, d’ un cocchio vile, è in disposi—
77 ì I ,, Zio—

( a ) Quid ergo? Sapientem mſie effe dico? mi


nime, nam 1d quidem ſi profiteri poflèm, non
tantum negarem mi/erum me elle. ſed omnium
fortmmtíflimum. EF in 'vicz'uum Deo perduñ’um
prwdicarem, Nunc, quod ſatis efl ad omnes
miſerías leaiendas, ſapientibas ”iris me dedi;
EF nonde in auxiliam mu' validus, in alie
na ca/ira confagi, eorum ſcílicet. qui facile
ſe EF ſaa taentar.~ Conſol. ad Helv. Cap. V.
r 247
,, zione, al caso, di levarsi inzsuperbia
,, per un magnifico. ,, (a) -
Ora per tacer d’altri passi in gran nu
mero dal Signor Abate Lampillas nè pur
toccati, sono eglino questi i sentímenti
d’ un uomo che si creda in ognicosa per
ſetto, e voglia offrir se stesso a 'modello
e, a norma agli altri? io non credo che
il nostro Seneca potesse più ingenuamen—
.te confessare i proprj difetti, e la batta—
glia che nel suo seno faceano le inclina—
zioni viziose , come s’ è mostrato anche
altrove, — ' .
,, La stessa morte di Seneca ( continua
,, il’ Tiraboschi ) ci somministra un (nuo—
,,,, chè
vo argomento della sua
se degnav sembra alterigia,
di lode poi
la costanza
.ci 4 . 17 con

( a ) Vehirulum in quod impo/itus ſum, ruſh'


cum eſt. Multe‘ vivere ſe ambulaudo teſhalztur.
mulio excalceatus mm propter wflutem. Vix
a me obtíneo, ut hoc whiculum velim videri
meum. Durat adhuc perverſa rem vererundia;
queries in aliquem comitatum lautiorem inci
dimus, invitus erubeſro: quod argumentum
efl, ijîa quae probo. qua,- laudo , nondum hu—
bere cei-tam jedem 673’ immobzlem. Qui ſordido
uehioulo nube/citt, pretíoſo gloriatur. Parum
ari/mr profeti , nondum audeo frugalitatem pa
lam ſerre, etiam mmc cura opinione.; vinto
rum. Ep. LXXXVII.
è48
l
T)
con cui la sofferse , altrettanto parmi
"i
indegno d’ un modesto ,filosofo quel ri—
,, ,volgersi agli amici, e il lasciar loro
,, quasi per testamento la memoria delle
,, sue virtù. ,, .
E‘. affatto superfiuo che per me si ri—
sponda a quest’ obbiezione, avendolo, fatto
egregiamente il Signor Abate Lampillas ,
mostrando che quella rivolta di Seneca
agli amici suoi, è janzi un nuovo argo
mento a convincerci della falsità di certe
enormi imputazioni a lui date. Perchè se
fosse stato reo di que’ delitti ond’ei fu`
accusato, il coraggio avuto nen avrebbe
in que’ momenti di lasciar-quasi in dono
a’ suoi amici, che d’ ogni sua azione do—
vean essere pienamente informati , la me—
moria delle sue ‘virtù. .E in tal caso quel—
la tragedia convertita si sarebbe in com
media, o in ,parodia ridicolosa.
Seneca dovea riguardar se medesimo fra
suoi amici, come il maestro fra suoi di—
scepoli, che non potendo altro loro lascia—
re in memoria , lor lascia il suo esempio
e i suoi precetti, e in tal sentimento io
non veggo come condannarlo si pos-sa di
soverchia alterigia .
Quintiliano e Svetonio l’ accusano di
presunzione , ove dicono, il primo , ch’
egli
249
egli con disprezzo parlava de’ più famoéi
Oratori , (a) il secondo, che non permet
teva a Nerone il leggere gli' Scrittori più
celebrati, per tenerlo fermo così nell’ am
mirazione di se medesimo. (b) Ma que..
ste accusazioni vaghe paiono, B destitute
di fondamento . Poichè , se, ceme protesta
Fabio, e come non v’ ha luogo a dubitar—
ne , Cicerone fu il Principe degli Oratori
Romani; viene altresì come tale celebrato
ed encomiato anche da Seneca più e più
volte , il quale par che anzi piacer si
prenda , or citandolo , or compiangendolo,
or accusando d’ ingrata la repubblica ver‘—
so di lui, or ‘confrontandolo con altri ora—
tori, di parlar spesso, e di ridurre all’
' altrui memoria quest’ insigne‘ oratore e ,fi—
losofo,ſi(c) e lo stesso veggiamo 'egli aver
fatto de’ più eccellenti poeti del fortunato
secol d’ Augusto , come sono Virgilio ,
Ovidio, ed Orazio Flacco , nell’ opere del
rqual

È Inſtit. Orator. Lib. X. Cap. I.


In Neron. Ca . LH.
Vedi Epiſt. I., XLIX., LVIII. C`
CVII. De ' ranq. Amm. Cap. lI., e XV.
De Brev. Vit. Cap. V. De Clem. Lib. I. Cap,
X. de Ira. Lib. II. Cap. II. De Benef. Lib,
V. , Cap. XVIII. Conſol. ad Marc. Cap. XX.
ed altrove . › -
l

z5° A
qual ultimo_ quanto studio posto' avesse il
nostro Lucio, ci mostrò ad evidenza nelle
dotte ed elaborate sue Osservazioni inter
no ad Orazio, (a) il Chiar. Cav. del S.
R. I. Signor Clementino Vannetti, cessato
a questi gſhrni di vivere con universa-leî.
rammarico, e con danno grandissimo delle
buone lettere e del buon gusto. r
Che s’ egli censurò talvolta alcun passo
di 'Ennio, di Cicerone, o di Virgilio, della.
qual cosa, come di enorme delitto l’accusa
Aulo Gellio con molta impudenza: (b)
chi è che vo lia condannare uno scrittore
del merito e dell’autorità di Seneca, di
ciò che veggiam vfarsi tutto giorno ;enza
biasimo, anzi con ~lode, da ogni scrittore
qua

( a ) Tom. II. Pa . 289. e ſeg.


( b ) Nott. Attic. îib; XII. Cap. III.
Alle calunnie di Aulo Gellio contro di Seneca
mi guarderò di riſpondere ex profeflb , ba—
llando per ogni riſpoſta il ſeguente paſſo dell’
elegantiſſimo Mureto. Nam ”lu-d alter-um ho
mmish/omnium , five Gellium eum, five Age[
lium vocori placet. qui L'oluit ipſe qu‘oque at
tollere ſe, E’? ile/cio uid de Seneca loqui, nul
la re mag/'s quam fiſentio ED’ contemptu refu
tandum arbitror. Q‘ÎnÎurÌam fat-it Seneca’ ſi
quis pro'to tam infirmis obtreffatoribus re—
jpondendum putat. Murat. Orat. Vol. lI. Orat.
XVIII. alias XV.
25:,`
qualunque egli sia, vemoi più rinomati
Oratori, Poeti, e Filosofi ?
Ben d’altro orgoglio e d’ altro fasto con
dannar con più ragione il potremo, d’ un
fasto però e d’ un orgoglio comune a qua
si tutti i seguaci della setta stoica, nella
formazione del preteso loro sapiente , di
quegli attributi adornandolo che ad un
uomo non posson mai convenire, e che
solamente della Divinità son peculiari.
Un’ altra accusa data a Seneca son le
sue immense ricchezze, che si vogliono
ammassate da lui con usure, con arti col
pevoli, con odíose angheríep nel tempo
medesimo che ne’ suoi scritti la povertà
predicava e la vita sobria, e che d’esse,
a quel che si dice, dopo avere scritti set
te libri de’ Beneficj non fece alcun uso a
giovamento e a sollievo della umanità cle
solata. Primo fra Suoi accusatori su que
sto punto è Suilio, seguito da Dione o
da Sifilino, e quindi da altri mille scrit—
' tori anche di credito . ›( a)
’ Si

—- ( a`) Vedi fra gli altri il Tiraboſchi Star. del


la Letterat. 1m!. Tom. Il. pag. 187. Vertot.
Hifi. des. Rival. arrívées dans le Goa-vera.
de la Repub. Rom. Tom. I. Pag. 12. Linñ’
, guct.
252
Similmente da quest" imputazione l’ha'
difeso il Signor Abate Larnpillas nella più'
volte citata opera sua: (a) è però del
no`stro instituto il dirne anche noi qualche
cosa .
Il negare che le ricchezze di Seneca
non fossero sonÎÎme , è un voler opporsi a
quanto ci dicono gli storici più accredita—
ti e i poeti, e a quanto confessa egli me—
desimo di propria sua bocca. (b) E in
fatti, anche quando privatamente viveva,
egli era ricco, come confessa alla’Madre,
lodandola d’ amministrare i beni de’ suoi
, -doviziosj figliuoli con amore e candidezza
ammirabile . `( c) Ma poi che introdotto
fu

guet. Hifi. des. Revo!. de l'Emp. Rom. Tom.


‘. Liv. III. p. 225. Saint. Evrem. Oeuvres .
Tom. II. .pag. 149. Come]. Van—Bynkers
hoec de Captatorz'rs inflit. Anton. Poſſevin,
Bibliot. Seleñ’. de Raf. Stud. Lib. XVIII.
Cap. XX. P. Daniello Bartoli Poverta‘ Con—
tenta. Cap. 'L pa . 26. Spedalieri dei Dirittf
dell' uomo. Cap. IX. p. 236 &c.
( a Tom. I. part. I. pag. I 3.
( b J De Vita Beam Cap. XVII. Tacit. Annal.
Lib. XIV.
( o) Tu filia familias lompletibus'filíis ultra
coutuli/ìi : tu patrimonia noſtra _(ic adminiſtra
fli, ut tamquam in tm’s laborares, tam 1mm
alieni: abflineres. Conſol. ad-Helv. Cap. 1V.
,v ,_.ñ- -.._...ññ—.v Îr—M‘Efl art-V" v ñ

ì ²53
fu in Corte, le sue ricchezze.- divennero
immense , nè debbon recar maraviglia ,
solo che si consideri chi era allora un Im
peratore Romano, e chi esser dovesse un
primo ministro.
Sono celebri dunque `gli orti, i censi ,
le ville, e le ricche suppellettili di Sene
ca, ricordateci da Suilio in Tacito , da
Dione, da‘ Giovenale , e dal /medesimo
Seneca. Erano molte le Ville sue , e fra
queste debbon ricordarsi 1a- Nomentana, (a)
l’ Albana, e la Baiana, delle` quali parla
egli apesse A volte con compiacenza. (b),
Sappiam ch’ ei possedeva anche oltremare,
e singolarmente in Egitto., (c) forse per
muni cenza della materna sua Zia, che
avea passati tanti anni in quella Provin
cia, col marito che n’ era Prefetto. (d)
Seneca in Somma era ricchissimo , ma le
sue ricchezze non gli possono esser d’ ac
cu

( a ) La Villa Nomentana, per teſtimonianza


di Plinio gHiit. Nat. Lib. XIV. pag. m. 713. )
comperò eneca da Palemone chiaro gram—
matico , all’ eſorbítante prezzo, ſecondo i
calcoli dell’ Arduino, di 24. milioni di Lire
franceſi .
( b Vedi Epiſt. LI. , LV., CIV. CX.
c Epiſt. LXXVII.
E d ) Conſol. ad Helv. Cap. XVII.
254 .
Cusa, quando non Siano state da ‘lui uni-~ _
te con usure, con ingiustizie; 11 che non
essere, non vogliamo già crederea-lui,
ma a Nerone medesimo, ’il’ quale confessa`
in Tacito, come ~abbiam già veduto , che
i giardini, i censi, e le ville di- Seneca ,
erano stati suo dono. (a) j
Vero è che Suilio l’ accusa d’ essersi
fatto ricco singolarrnente col tender reti e
lun agnole ai testamenti de’ ricchi ‘senza
ere i. Ma chi è che ciò attesta? E Sui
lio, quell’uomo impudente e rotto ne" vi
zj che' abbiam già veduto, e che fu, do
po ,queste belle accuse che ascoltate allora
‘ ' “oH - ,. y p v non

(,a) Qua;- a me habes, horti, Ea’ famus, è’


villa’, caflbus obnaxíañſunt, aa licet multa m‘
deantur, plerique haua uam Mtibus tuz's pa
rer , plura tenaeruut . ’ acit. Annal. Lib. XIV.
Qui però vuole ofſervarfi, che quantunque le
p' ricchezze di Seneca raſſembrino a’ noſtri tem
pi ſmodate in un particolare, non erano a’
ſuoi ſenza' eſempio . Perciocchè abbiam ve
duto lagnarfi Nerone ed arroffire , che molti
ſem lici Libertini foſſero aſſai più doviziofi
di eneca, e che queſti ch’ era il iii amato
dall’ Imperatore, non foſſe anche i più eſalñ*
tato da lui. Par-det ”ſerre hbertinos‘ qui di
‘ tiores ſPeñ’a-ntur. Unde etiam ruborz' mihi eſt,
-- {quod pra-:ripuus caritate, nondum omnes fa‘r
tana antecellis. Tacit. Annal. Lib. XIV.
255
'non furono, 'per grazia singolar confinato
nell’ Isola di Maiorica. Del rimanente, che
l’accusa data a Seneca d’ aver` tesi lac~
ciuoli ai testamenti non fosse non che cre
duta, nè manco ripetuta da altri, appa
'risce anche da ciò, che Dione e Sifilino
ingegnosi raccoglitori di tutte le dicerie
ad infamazione di Seneca, di questa non
parlano, e non ne. parla tampoco- Seneca
stesso nel suo trattato della Vita Beata.
ove risponde alle accuse ex professo, che
‘per le sue grandi ricchezze gli venivano
`date. (a) Ciò períaltro di che fanno più
caso i nemici e i censori di lui, egli è ,
che mentre questo filosofo notava nelle
ricchezze, predicasse *poi in tutti i suoi
libri la povertà, i Îbeni che di questa si
traggono ec. A che risponde egli stesso,
che non che fosse uom lsaggio, era egli
un uomo pieno di vizj. . . . che"quando
ai vizj facea la guerra, la facea in pri
mo luogo ai proprj . . . che i filosofi in
segnavano non com’ e_s‘si vivessero, ma co—`
me vivere si dovesse. Parlava della virtù,
non di se stesso. (b)
' Ma
(' a j'veſiu il Cap. XVII. e i ſeg.
( b ), Non ſum ſapiens . . . ego em‘m in alta
vitiarum omnium ſum . . . . Cum uitiis _con
- m~
1
/ l
256
\
Ma e qual contraddizione ritrovasi nel
pOSSeder molte ricchezze, e nell’ inse nare‘
ad un tempo come tollerar possa e ebba
la povertà l’ uom‘o saggio, e quai lodi si
meriti l’uomo sobrio? Dovrà l’uomo opu—
lento, ;ol -perch’ egli è opulento, o non
iscriver libri di morale , o prima di scri—
vergli, gittar da pazzo le sue ricchezze
nel mare? Abbiam per altro veduto che
Seneca, nè con soverchie ,delizie alla men
sa , (comechè egli avesse `in sua casa
cinquecento tavole di cedro , di che fan
tanto romor Sifilino e i suoi seguaci ) nè
con troppo fasto nel suo trattamento non
abusava di sue ricchezze , e abbiam os
servato altresì, qual fosse il suo' pranzo
qualor ricoveravasi alla campagna, e qua—
le il carrozzino nel. qual viaggiava. Ma
queste cose son raccontate da Seneca stes—
so, dice quì il Tiraboschi, e siam noi
obbligati in ciò che di se stesso ci narra
a prestar li in tuttocredenza? Ma e a chi
dunque obbiam cr’eder meglio che a` lui,
. ` che

oitium‘facio, imprimis mei: facio . . . .‘ om


nes enim-iſte‘ ( Philoſophi ) dicebant non que—
madmodum epjí viver-mt, ſed quemadmodum
vivendum eſſet, de ”ir-tute. non de me loquor.
›De Vita Beata. Cap. XVII., XVIII.

l
25? ſi
che queste cose scriveva ad tm suo ami--v
co , che avrebbe potuto vergognosamente
smentirlo deriderlo se fossero state fal—
se? Credi, dunque agli altri, e credia
mo a Tacito che ,ce lo dipinge com’ uom
parco e sobrio, (a) e a S. Girolamo che
lo* dichiara uom di continentissima vita. (b)
Non potrà dunque esser sobrio e vir
tuoso chi è ricco , quando egli troppo
amore non porti alle ricchezze , e qualor
sia alterare
ſiza disposto la
al filosofica
bisogno asua
rinunziarle, sen
indifferenza?
Ecco una delle condizioni poste da Sene
ca medesimo al ricco sapiente, (c) e da
lui esattamente osserVata nella spontanea
cessione ch’ egli volle far de’ suoi beni al
Monarca , allorché. sospettò non forse i
.suoi beni, alla tranquillità sua filosofica
fosser d’ inciampo. (d) Ma Seneca, dico
no alcuni, che tante pregiate cose scrisse
r della

a ) Annal. Lib. XV.


b ) De Script. Eccles.
c ) De Vita Beata. Cap. XXI.
( d ) Tacit. Anna]. Lib. XIV.
E fi dee anche oſſervare, che qualunque più
ſaggia filoſofia, non potea mai da un Aio e
miniſtro d’ Imperatore Romano un trattamen—
to efigere che ſi convenifi'e ad un abitatore
degli eremi, o ad un paltoniere.
258
della beneficienza , in luogo d’ impoverire
'l’ Italia e le Provincie colle sue us‘ure, e
di .contribuir ad una guerra crudele in
Bretagna, coll'esigere violentemente una
grossa somma prestata a quella Provincia’,
potea con maggiore sua lode far miglior
uso di sue ricchezze al sollievo de’ mise—
ri, a sostegno dell’ innocenza, ad esalta
zione della virtù: il che non veggiamo
ch’ein abbia fatto. Ecco nuovamente in
campo le impudenti accusazioni di Suilio
e di Sifilino, le quali però confermate] nè
ripetute non vengono da niuno autore an
tico e di credito: il perchè noi contenti
d’ averle accennate secondo il dovere di
esatto Biografo , Siccome non degne, le 1a
scerem senza risposta .
Per altro chi ci assicura che Seneca non
facesse buon uso di sue ricchezze in favor
de’ suoi Simili ?- Egli certo non ce lo rac—
conta ’nell’ Opere sue, nelle quali appun
to ci insegna, che il benefattore , che agli
altri narra il beneficio fatto, 5.’ usurpa
l’ ufficio del beneficato, e il merito perde
del beneficio. (a) Ma s’ egli tacque e
non

- ( a ) De Benefic. Lib. II. Cap. XL' ,


Plinio ñ il Giovane ebbe per verità ragione di
- / dire,
i / '259
non vantò i proprj beneficj , non n’è Pe..
`rò oscura la memoria , se oscura non è
Giovenale, il qual mette‘. Seneca nel ruo—
lo degli uomini più generosi, e più splen— _
’didi del suo secolo 5 (a) e se oscuro non'
è Marziale , che scrivendo a Labullo il
‘ quale si pavoneggiava di piccoli regalucci
da lui fatti a’suoi amici, lo ammonisce
di -ricordarsi dei Pisoni, `dei Seneca', dei
Memmi e dei Crispi, e che allora potrà
r 2 ‘ c0

dire, che coloro che con isfoggio di'parole


adomano i beneficj altrui fatti, fan Vedere
che non per ciò gli predicano perchè gli han
fatti, ma che gli han fatti, dalla vanità moſ
fi di poterglí poi predicare. Poichè qUe* be—
neficj , che riferiti da altrui, come eroicí
verrebbono riguardatí, .non s’ hanno in pre
gio e ſvaniſcono meritamente, ſe dal bene
attore medeſimo fien divulgati. Qui bene
faffa ſua verbi: adoruaut, non idea pra-dica
re, quia fecerint, ſea ut pradmarent, ficiſſè
creduntur. Si quod magm‘ficum referente all'0
fuzſſet, ipſo, qui gaffe-‘at recenſente , vaneſcit .
Egre iamente. Noi ſappiamo però che Pli—
nio ecilio fece molte beneficenze, ma le
ſappiamo ſingolarmente da lui. Vedi Lib. I.
Epiſt. VIII.
( a ) Nemo petit modici: qua’ mittebantur amici:
' A Seneca , qua; Piſo bonus , quae Cotta ſolebat
Largiri , namque 89’ titulz‘s 85’ faſcibus ohm , ‘
Major habebatar donandi gloria . 655. Sat. V.
250'
,conoscere quanto la sua liberalità sia me—
schina: (a) i quai assi però erano già
stati prima esservati a Giusto Lipsio. (b)
Delle altre imputazioni poi di libidine,
di adulterj e d’incesti, di che vagamente
Suilio il rimproverano e Sifilino, stimo
inutile affatto il difenderlo , perciocchè
questi infami calunniatori , fatti particolari
non recano, sopra i quali apparentemente
almen ſondino le loro acouse; ma sem—
plici loro asserzioni, che da se medesime
si distruggono. Dove al contrario dall’ im
putazione di sos‘petto commercio con Giu—
lia di Germanico, come pretesa cagion
del suo esilío, l’ho i0 purgato abbastanza
ove del suo esilío parlai, al qual luogo
rimetto il mio leggitore a risparmio d’inu—
tili e noiose repetizioni.
Un’ altra imputazione degli accusatori
di Seneca che si manifesta falsissima , e
che se vera fosse , mostrerebbe nel nostro
filosofo 'una troppo bassa condiscendenza
’ ver

( a ) Piſones. Seneca que, Mammioſque


Et Criſpos mi i redde . . . .
Fms pratinus ultima-5 bonorum. Lib. II.
Epigr. XXXVI. ñ
( b )`Manudu&. ad Stoic. Philos. Lib. I. Dif
ſert. XVIII.
l
* 26‘ I
verso il giovin Monarca'; è' tratta da ciò'
che narra Sifilino scrivendo , che mentre
Nerone si prostituiva cantando dal Palco
in píen teatro, Seneca e Burro gli sug—ñ
gerivano—le parole , facendo plauso colle
mani, e co’ vestimenti, quasi gli altri in
vitando a fare il medesimo. (a) Or quì
a distruzione di questa calunnia s’osscrvi
che Tacito scrittore più saggio e più au—
torevole che non è Sifilino , altramente
narra questo fatto, dicendo, che Burro
lodava sibbene Nerone cantante , ma nel
tempo stesso se ne mostrava dolente: (b)
ove al contrario di Seneca a questo pro
posito non fa parola. Ben dice nel libro
stesso COSa, che la narrazione di Sifilino
pienamente smentisce . Poichè parlando egli
delle accuse contro di Seneca, con le qua
li i corruttori del giovin Monarca I’ assa
lirono dopo la morte di Burro, ad inten~
I' 3 . di

( a ) Affiflebunt ei Bum-has 69‘ Seneca ut nm


giflri, ſuggerrentes aliqm'd, cumque dixlſſèt ,
plaudebant mamlms EJ’ veflimentis, ut relíguos
x ad idem faciendum inducerent. In Neron .
( b ) Poflremo ipſe ſce-zum ínſtmdit, multa m
ra tentans cithamm 89’ prwmedz'tans, affiflmtí
bus familiaribus. Acceflèrat cohars militum ,
centuriones Tribunique, ED’ maerens Burhus ac
laudans. Anna]. Lib, XIV.
262 ›
dimento d’ indurlo a disfarsi di'lui, o
d’ allontanarlo;
che ’il filosofo erafrapſſalese
‘le altre cosedeidicean
'nemico pia
ceri del Principe , che scherniva la sua
perizia in‘regger cavalli, e ‘che derideva
la sua voce quantunque Volte egli canta
va . (a) p ~ '
Ora avrebbon' eglino detto questo, se
qualor Nerone ‘era sul palco, fosse stato
costume di Seneca, di far .plauso colle
mani e co’ vestimenti? (b)
a Lo

( a ) Nam obleä'amentis* Principi: palam im'


quum, detreffure ”im eius equo: regentis, il
lude” notes quotìens raneret. Tacit. C. L.
( b ) Ma quand’ ancora autentica foſſe la nar
razione di Sifilino, che falfiflima eſſere ab—~
biam provato abbaſtanza, ſe non di-fcuſa,
che nol ſarebbe, ſaría degno di compaffione
più toſto che di troppo ſevera cenſura il
Maeſtro di Nerone: non eſſendo queſto un
di que’ cafi, ne’ quali la morte dee l’ uom
sfidare ( anche ſecondo la dottrina pagani—
ca) anzi che avvilirfi e violare i propri
doveri. Luperciocchè Sifilino ſteſſo in Nero
ne ci racconta, e ciò confermato viene da
gli altri ſtorici antichi, che tanta e si gran—
de era l’ ambizione dell' 1mperatore in que—
iti ſuoi vili efercizj , e ‘così ſmiſurata la ſua
ingordigía d’ averne lode, che avea forma—
to un corpo di cinque mila ſoldati detti-Au
. guſta
e o 263
Lo zelo da me secondo mie forze mostra—
to nel difendere Lucio Annéo Seneca da
quelle accuse che a me parvero 0 ingiu—
ste, o vote di prove, avrà sgombrato dall’
animo de’miei leggitori ogni dubbio ch’io
possa esser nemico di questo grand’ uomo;
Q
--\
ora il processo che dal mio istituto mi
veggo obbligato di fargli, dissiperà il so
r q. spetto

gu/ialí, il cui incarico era, mentre egli can- -


tava, di batter le mani e applaudirgli . Scri
ve Svetonio ( in Neron. Cap. XXIII. ,
XXIV., ) che quando Nerone era ſul pal—
co, il teatro era chiuſo, e permeſſo non era
a perſona d’ uſcirne per- qualunque prefi'ante
motivo: onde alcune donne ſecondo che fi
dicca, vi. partorirono, e molti uomini vinti
dalla noia ,\e d’ aſcoltare, e di lodare., o furti—
mente fi arrampicavano a’ muri, e con peri
colo eſcivano, o s’ infin evano improvviſa
mente morti, 0nd' elTerv ?nor traſportati. Se
~ taluno veniva
mani, fi ſtavain tacito,
ſoſpettoe aſiNerone
non picchíava le
di mali—
gnità e d’ invidia: il qual concedeva la ſua
amicizia, o fi dichiarava nemico di quelle per
ſone , che o parcamente, o molto il lodavano .
Il ſolo Traſéa Peto, Senatore di probità in—
com arabile , ma di rigidezza ſoverchia al
ſeco o in cui viveva, non ſi potè-mai riſol
vere ad applaudire in teatro a Nerone; ma
per queſta ſua rigidezza appunto, fu in pro—
ceffo di tempo accuſato, e fu morto. Sifil.
in Neron. Tacit. Anna!. Lib. XVI.
264
spetto non forse i0 sia suo troppo parzia
le favoreggiatore: che ad amendue qnesti
pericolosi scogli dee guardarsi di rompere
un saggio ed onesto Biografo .
Di due non lievi difetti mi conviene
accusare il filosofo Seneca, cioè di bassa
adulazione, e di nera ingratitudine. Del
la prima un esempio abbiamo nell’ Opusco—
lo consolatorío a Polibio; della seconda
nella satira che ha per titolo Apocolocin
tosi, o sia Zucchificwzione, e più ancora
nella sua condotta all’ occasione dell’ ucci
sion d’ Agrippina. Che uomo fosse Clau
dio, e quale il pretesto onde Seneca ſu
mandato in esilio, abbiam già nel secondo
libro veduto , come abbiam Osservato al—
tresì che Polibio era un Liberto possente
sul cuore dell’ Imperatore, a] qual liberto
scrisse Seneca questo Opuscolo a consolar
lo della morte d’un fratello molto a lui
caro. Lascio da parte i troppo eccedenti
elogi onde il filosofo ricolma costui, per
avere tradotto dal Greco in prosa latina
Omero, e dal Latino in prosa greca Vir—
gilio, dicendo, ch’ egli già s’ avea assicu—
rata-l’ immortalità del nome, il quale vi—
verebbe celebre fra i più illustri , insino
a tanto che fossero in onore le lettere, e
che durasse la potenza della latina, e del
.b
\

ñ 265
la greca lingua la venustà; (a) le quali
lodi appena moderate sarebbono, se riVOl
te fossero ad Omero, e Virgilio medesimi:
ma si possono odorar senza noia e sdegno
gl’ incensi , ch’ egli all’ Imperator Claudio
offerísce , di clemenza lodandolo , (b) nel
tempo stesso che avea sagrificato alla mor
te tante innocenti vittime; di vigilanza
instancabile e non mai interrotta al gover—
no del suo Impero, quando la maggior
sua occupazione eran Ia tavola, le baga—
sce e simili infami intertenimenti, le al
tre cure abbandonando alla moglie inde na
e ag ’

( a ) Agedum illa quæ multa ingenii tui labo


re celebrata ſunt, in manus fame utriuslibet
Aulì’oris ( nempe Homeri <3: Virgilii ) car
minaz quæ tu ita reyblmjii , ut quamvis fim
éîm-a illorum recefferit, permaneat tamen gra
tia. Sie enim illa ex alia lingua in aliam
tranfluliflz', ut, quod difficilimum erat, omnes
virtutes in alieuam te orationem ſem-tw ſìnt.
Confolat. Ad Polib. Cap. XXX.
quandiu fuerit ullus litteris honor , quandiu fle
terit aut Latina;- lingua: potentiay aut Greca’
;FC-*atm , vigebit cum maximis uiris . Cap.
( b ) Hit: itaque Primeps. qui pubblica”; omnium
hominum folatium eli Effe. XXXIII.
,Cum tanta illi adverfus omnes fuos jit man/ue
Éudo, tanta indulgentia. XXXL
266
e agl’indegni mínístri, (a) chiamandolo
un nume, (b) e proponendolo a Políbio,
come modello illustre di fortezza e di mo
derazione contro i colpi della nemica for
tuna? (c) ’Nè di ciò pur contento, quel
Seneca medesimo, il quale , come più so—
pra osservato abbiamo, fu sbadito inno—
cente, e per opera di Messalina furiosa;
encomia Claudio' di magnanimità di cle
menza per non averlo ucciso, ma solamen
te esilíato, -e con espressioni sì umili e
Pe"

( a ) Omm'um domos illius vigilia defendit, om


nium otmm illius labar, omnium delicius ill/us
induflria, omnium vacations”; illius compatta.
Ex quo ſe Cmſar orbz' termmun dedicavít, fi
bi erz‘puit, è’ ſiderum modo, quae irrequíeta
ſemper curſus ſua: explimnt, nunquam {Hi li
cet nec ſuoli/tere, ma quitquam ſuum face”: .
Cap. XXVI.
( b ) Attolie te: 65’ quotiens lacrima: ſuboríun—
tur oculis tuis,ìt0t1ms illos in Cmſarem diri
ge: flccabuntur maximz‘ è’ clariffimi conſpefì’za
Numinis. XXI. '
Hoc mmm obtmeamm ab illa, ( nempe fortuna )
votis è’ precihus publicisL/ì ”ondum illi genus
humanum piacuit con/ume”, ſi Romanum adi/ua
”0mm propitia reſpiri!, hunt: Princìptm, lap
ſis homz‘num rebus datum . ,gut omnibus mor
tal/‘bus . zbi efle ſaproſa” um velit .
XXXVI.ſ Cap.

( c ) Cap. XXXV.
267
pedestrì, che se‘ nota altronde non fossecî
chiaramente la sna innocenza, dalle sue
parole parlebbeçi reo di qualche enorme
delitto? (a) ~ .z
Quest’opuscolo in somma fa torto gran
de all’ Autore, percìocchè in esso , oltre
la più vile adulazione , si scorge altresì
una bassezza ed un abbattimento d"ani
mo che niente .corrispondç ai sentimenti
generosi, magnanimi , eroici , che si leg—
gono nell’altro bellissimo ad Elvia, e scrit—
to pur dall’ esilio. Poichè dove in queste
assicura la Madre , ch’ egli è lieto e con—
tento nel suo esilio per quelle cose me—
desime per le quali un altro s‘arebhe sta
to infelice; (b) in quello a Polibio gli
scn— ~

( a ) .Nec enim ( Princeps ) ſia me dele”, ut


noliet erigere: imo ne deiecit quidem , ſed im-`
pulſum a fortuna è’ cadentm’x ſùjìinuit, E!? in
pm’ceps ezmtem leniter divina’ manu: ”ſus
moderatiorze depoſuít. Depremtus efl pro me
ſenatum, E? vitam ”zi/u' non tantum‘ deal”,
ſeal etiam petiit . Viderit qualem uclet azz/lima
~ n' cauffam meam, 'vel iufiitia ejus bonam per
ſpiciet, velrlzmentia faciet, utrumque in azqua
tmhi ejus beneficium erit, five innocentem ma
ſcierit eflè, ſive voluerìt. Cap. XXXII.
( b ) At ego mihi ipſe magi: placebo, quod in
ter eas res bmms ero, qua’ miſeras ſalent fa
m’e. Cap. IV. '
/
2‘68
Écrive, che se il pianto suo può giovar
gli , egli è pronto a spargeflo , comechè
n’ abbia sparso pur tanto su1 propri casi,
che i suoi occhi erano già esausti di 1a—
ime. (a) Ecco quel saggio, quel forte
glosofo, qual si dimostra in consolando- la
Madre , che ne’ dolci studj , e nella con
templazione delle cose naturali ed eterna
ritrova la sua beatitudine; (b) convertito
qui in una Vil donniccíuola , che pianto
avea sui proprj casi dal mattino alla Señ
i'a, e che dubitava avere per forma disec—
cata la fonte delle lagrime, da non più
poterne spargere sulle disgrazie del caro
amico , quando queste fosser potuta esser
a lui di sollievo. ,
I più accesi difensori di Seneca, quan
clo parlar debbono di quest’ Operetta, o
non san che sì ‘dire, e rimangon confusí ,
o troppo ostinatí diffondonsi in luoghi CO
muni, sulla fragilità umana, sulle mise
\
ne

( a ) Nam fi quicquam tri/Jitſu profe-Jimi ſu


mus, non reçuſo, qug'cquid lacrymarum fortu
na’ mm* ſuper-ſlm, tua,- affmzdere . Inveníam
etiam `fumo, per has exhzm/Zas iam _fletibus do
meflicis oculos, quod effluut, fi modo id tibi
futu’rum bono e/Z. Cap. XXI.
( b ) Cap. XVII.
269
rie dell’ esilio, e sulla virtù paganica non
capace di quella fortezza che può sola
,ispirare l’ unica santa religion de’ Cattoli—
ci: quasi la vile adulazione non fosse
condannata ancora dal Paganesimo, e qna—
si l’ opuscolo consolatorío ad Elvia che
tutto spira coraggio, fortezza, e virtù,
opera non fosse di Seneca, e non Scritto'
egli pur dall’ esilio. ñ ` "
Così fu scandalizzato Giusto Lipsio, il‘
`più ardente favoreggiatore di Seneca, per
questo scritto, che fu tentato più* volte,
com’ein stesso confessa, di scartar quest’
Operetta/ dal ruolo dell’ altre del nostro
scrittore , e di sos'pettarla qual parto di
un suo malevolo, o non quale almeno ſu
dal Filosofo scritta. (a) Non ebbe però
egli il coraggio di farlo, comechèc non
manchino conghietture che favorir possond
in qualche modo questo sospetto., (b) Ma
Io

E a ) Vita Senecae. Cap. V. .


b ) Veggíamole . E primamente non è biſo— '
gno di quì dimoſtrare, come Seneca favori—
ca ſempre gli Stoicí principi, a- preferenza
di quegli dell’ altre ſette, il quale `ſe talvol—
ta eziandi‘o alla Stoíca in qualche parte s’ op—
pone, nol fa mai_ in ciò che n’ è, a così
dire, il maggior nerbo e la baſe . Ad eſem—
\ pio ,
270
lo stile che - veramente è quello di Sene
ca , ma l’eloquenza, ma il modo di svol—
gere gli argomenti e le prove, che son.
d’ un colore medesímo colle altre opere
sue,

pio, quante volte non ſoí’cenne egli nell’al


tre opere ſue, che il Sa gio fra le diſgrazie
"al dolore non fi dee laſcxar Vincere, anzi nè
manco non dee dolerfi? Vedi Epiſt. LXVI.,
` LXXI. , LXXV. , LXXXV. , XCIl. , XCIX. ec.
per non citar che le epiſtole: e queſto è pu—
re uno di que’ famofi ſtoicì paradoffi, che
l’ eſſenza coſtituiſcono di quella ſetta; nondi—
meno ſe Seneca foſſe autore della Conſolazio
”e a Polibz’o, queſto precetto infamerebbe, e
color che il ſoſtengono, al ca itolo trenteſi—
m0 ſettimo così dicendo . ,, 0 io bene che
v’ ha alcuni - uomini, di dura ed oſtinata
grudenza più che di- forte, i quali negano al
aggio la libertà di dolerfi. Moſtran-coſtoro
di non eſſer mai ſtati miſeri, che ſe fiato il
foſſero, l’ avvc‘rſa fortuna avrebbe alla lor
ſuperba ſa ienza fiaccate le corna, e ,lor mal—
grado co rettigli alla confeſiìone del vero ,,
Et [rio inveniri quosdam dura magi: quam
forti.: prudentíae m‘ras, qui negent dolíturum
eſſe ſapiente-m. Hi vero videntur mmquam in
hujuſmodi caſum incidíſſe, alìoquí-n extuſſzſſèt .
illis fbrtuna ſuperbam ſupimttum , 65’ ad 'con
feflionem eos veri etiam invitos compulifflèt .
z Che potea dire di più a diſprezzo dello itoi~
ciſmo, un ſuo più giurato nemico? D_
10
27x
sue, non ci permettono di dar troppo pe
-so a q’ueste conghietture qualunque esse
sieno . l .
Veduto come Seneca non ’può .per con
to alcuno salvarsi dalla taccia di vile adu
lato

Dione niente certo favoregglatore di Seneca,


al lib. LXII. della ſua ſtoria ( del qual libro
però ficcome d’ altri ancora di lui, non ci
ſon pervenuti che ſquarci ſuppliti e conti—
nuati poi, ſe bene in compendio, da Siflli
no) ci dice a chiare note, che nell’ Iſola di
Corſica Seneca ſcriſſe un libío intero in lor
de de’ Liberti di Claudio, il qual libro egli
poi ſcancellò per vergogna d’ averlo ſcritto.
Ora il frammento a Polibio, ſarebb’ egli un
avanzo ſcappato, o per avventura uno ſquar—
cio ad imitazione ìmpaſtato di quel libro?
Fra i pregi che ſ1 ammirano nell’ opere di
Seneca, uno de’ principali, fuor d’ogni dub—
bio, è la vaſta erudizione in tutti i rami
delle ſcienze e dell’ arti conoſciute a ue’
tempi. E fi compiace egli pure ſpe `o,
d’ adornar i più ſeveri argomenti, or con
paſſi di Virgilio , or d’ Orazio , or d’ Ovi—
dio, or d’ altri poeti-che gli erano famigſia—
riſſimi. Ora, come mai un sì erudito Scrit—
tore, che di molti poeti di minor nome fa
ñ. menzione nell’ altre opere ſue, potea egli
ignorare le belliſſime e ſempliciffime ſavolet
te di Fedro, che fu il modello ch’ ebbe ſem—
pre in villa il gran la Fontaine , a teſſere le
gen—
azz
latore , veggiamo com’ egli molto meno
salvar si possa da quella più disonorevole
ancora c1’ ingrato. Abbiam già intesi gli
E10 i srnodati di che egli fu liberale ver
so Ei Claudio: ora ascoltiamo dalla bocca
~ pro—

gentiliſſnne ſue ‘.2 E ignorava altresì quelle


tanto famoſe del topo di Città e di Campa—
gna, e del cavallo dall’ uom domato di Ora
zio? E pure, s' egli foſſe autore della Con
› ſoluzione a Polibio , di ueſte coſe fareb
; be ſtato digiuno: perciocc è al Cap. XXV1L
- egli dice, che ſe Polibìo men foiſe afflitto,
il configlierebbe di darfi all’ amena letteratu—
ra, ed a compor favolette. ed Apologhi Eſo
Piani, argomento non tentato ancora dagl’
._ ingegni del Lazio. Non audeo te uſque eo
z produce”, ut fabellas quoque 69’ Eſopeos io
gos , 'intentatum ramam‘s ingeniz’s opus , ſolita
tibi vena/late conneñ’as. Giuſto Lipíìo, citato
- dal Bayle (Diétion. Hifi:. 6c Crit. Artic].
Eſop. ) dice che Fedro non era romano, e
che Seneca parla ſolamente de’ romani inge—
Fni . Al Bayle queſta ragione ſembra pueri—
q e, e indegna d’ un uom qual ſu il Lipſio,
poichè anche Terenzio era nato in Africa,
e pure le ſue commedie ſui-on ſempre confi—
derate come opere di Autore romano: e
erchè le favole’ di Fedro nato in Tracia , e
iberto d’ un Imperatore romano, non avean
la ſorte medeſima? E poi l’Autore della Con
ſultazione a Polibío, oppone la lingua latitìînalla
\ 373
propria di lui quali obbligazioni ’egli si
Protestasse d’ avere a questo Monarca .
Egli, m’ha sostentato, dic’ egli, (-.stîmo
opportuno per questa volta servirmi. della
traduzione del 'Signor Abate Lampill-as )
nel punto, ch’ io per mia disgrazia. ca.
devo, e si
~ruolewm è sforzato,diſi
precipitare, allora quando
posarmi mi
dolce—
mente in terra troll" ajuto delle sue divi—
ne mani… Egli ha pregato il,Senato per
me, e' non contentandosi di darmi, la vi~
ta, l’ha parimente domandata ad altri
per farmela, più Sicuramente godere .
s e .‘ ,, Tut

lingua greca‘, e volea dire che non V’ avea che


libri greci, in cui legger sì poteſſero faVolet
te ed apologhi. Ma le il Lipfio produſſe a.
ſenſo del Bayle e noſh-o una ragione cattiva
onde acquctarfi a queſto propoíito, 'una peſ—
ſima poi ne trovò il Bayle medeſimo, di—
cendo, .che Seneca» ſ1 ſarà dimenticato che
al Mondo Vi foſſe un libro che ,avefl'eper
titolo le Favole di Fedro. Che ſe. altri 0p
poneſſe che queſte favole ſi confideravan più
» toſto per parafraſi di quelle d’ Eſopo, che
A ,per coſe originali, oltre ciò che s’ è detto
intorno all’ oppoſizione delle lingue di cui‘
_ Seneca intendeva. parlare, fi potrebbe riſpon
dere che anche Terenzio preſe gli argomen~
ti delle ſue commedie del famoſo comico
greco Menandro .
²Zî ì
,,. Tutto queste èTeríssimo, qui soge
giugne l’ Abate_ _Lampillas, (a) ,, l’inſu—
' ñr-iata Messalina, e gli altri nemici di
vu’u u AUSUZ

U uVu
Seneca non pretende-vano meno, che la
uñu.u -

morte. di queste grand"uomo , ma non


poterono indurClaudio ad -un azione
non meno` crudele che ingiusta; e il
rilegarlo in Cor-Sica‘ altro non fu , _che
metterlo in sicuro contro le insidie. de’
suoi nemici. Sarà dunque sordida adula—
'zione il lodar questa clemenza 'di Clau— `
dio,- e non sarebbe più tosto vile ingra
titudine il non pubblicarla e gradirla .P ,,
Voglio concedere, se le COSe sono come
Seneca stesso ci narra, e come il-Signor '
Abate pur ci assicura, ch’ eran dovuti a
Claudio gli Elogi onde il -nostro scrittor
lo ricolma , per ciò che alla clemenza
s’aspetta a lui dimostrata- -Ma se qu'esto
e pure, quanto più ‘nera ed enorme ri—
sulta l’ingratitudin di Seneca! Poich’ egli
contro quel Principe medesimo che non
contento di dargli la ~vita, l’ avea pari-—
Mente _dimandata anche ad altri per far
gliela più sicuramente godere ,- contro
- - quel

( a ) Tom. I. ipag. 185. 'della più volte da noi


citata opera ua. ~
\ ` - ì²75
quel Principe che oonsigliato -da :Agrippi
na , condiscese che lo sbandito filosoforitor—
nasse in Roma, -fosse- fatto *Pretore ed
Aio di Nerone , contro questó Principe.,
,morto ch’ egli ;fu ,~ scrisse la più mordente
.e sanguinosa satira cHe mai s_i`asi` letta,
trattandolo con quel disprezzo ed insulto
che s’è già veduto, e dicendo fra le altre
cose, ( dopo aver nell’ Operetta‘a Polibio
esaltata la sua bontà ed indulgenza ) che
Claudio ñcon quella: 'prontezza ed_~ansietà
gli uomini uccideva, che un cane le in
teriora divora che gli vengon gittate. (a)
Molto avvedutamente’ ha scbifato di ri*
spondere a qUest’ accusa 'il Signor Abate
Lampillas , nella sua ,zelante Apología `
contro le' opposizioni fatte a Seneca dall’
Immortal Cav. Tiraboschi, persOnaggio non
So ben dire, se‘più mirabile pel suosa—
pere, o per la mOdestia co’ Suoí'avversa—
rj , rarissima in tanta dottrina e in tanta
celebrità. (b) 4 - ' '
s 2 Ma
x

( a ) Tam facile 'occidebat homìnes, quam mm':


exta edit . Apocolocintofis , five~ ludns in
morte Claud. Caeſar’. ` .
( (7 ) Compìuta queſt’ opera mia, la luttuoſa
nuova mi giugnez della perdita i'rreparlabì—
i . . e
276
Ma la più‘ coIPevole.ingrafitudine’fu
da Seneca dimostrata nel contegno ch’ ei
tennequando la morte` si deliberò d”Agrip-s
pineta Sifilino suo feroce persec'utore ,
scrive.: che“ 'e li., com’ era stato ‘detto da
` "uominiidi" fe e degni, avea incitato Ne-J
rone a'd ‘uccider la Madre, acciocçhè ,tanto
più prestoì gli …Iddií e gli ‘uomini lo per.
dessero.: (a) La quale accusazionegfu ri
petuta poi da Giovanni. Bodino, (b) e da
Stefano_.Guazzo , (o) ’per tacer d’ altri
moltiî. - ~ i `
’Ma chi fonda le sue Lasserzioni sopra "
semplici e vaghi detti ,p non ha _diritto di
pretendere all’ altrui fede .~ Oltracciò ,. lÎ in—`
‘ - ' '- ter—

le ſattapdalla' Repubblica Letteraria' e da tut


ti i buoni, di queſto grand’ uomo, che fi
compiacque onorarmí‘ della ſua parziale ami
cizia e dotta corriſpóndenza. *Ah ben qui ſ1
può dir della morte, (efl‘endoci egli tolto
in età ancor verde) che ſura.
,, Prima i migliori, e laſcia ſtarei’rei!
( a ) Ad id fàcinus quoque, ut a permultis fi
de dignis [flaminisz diffum e/l, Seneca eum
z'ncitooit, five crime” a ſe derivare mperet,
five Neronem ad mſm-iam cmdem faciendam
perduta-e, ut eum quam celerrime dii hami—
neſqzie perdermi‘. In Neron.
( b ) De Repub. Lib.v III. pag.- 4.69. v
(ac ) Della Civile Converſazione, pag. 4,99.
. ` azz
terpetrazîone quì data al preteso consiglio
`o; all’istigazione di Seneca, vha del fred
doè del puerile,- e 'toglie ogni? autorità
‘a'quanto si afferma. Tacito che più este—
-saÎmente narraquesto fatto , il fa anche ,‘
come s’ è già Veduto ,~ diversamente, ed è
Storico' in ogni -parte più saggio -e- più
rveritieiìdi Dioneſ, o—di Sifilino. -
H -Tacito dunquescriìvo( come s’ è- veduñ
‘to' più-copra)…ohe chiamati SeneCa e Bur'
-roì da .Nerone a consulta, "qu-esti' rimasero
Per qualche tempo .in vsilenzio ,. e che
quindi 'Seneca ,ache solea essere il :primo
a cons'igliare , Voläe il guardo-,a Burro
quasi'chiedendogli, se ai soldati Pretoriani
dovea comandarsi la morte di Agrippina .
:Per verità troppa eloquenza qui attri
buiáce 'l’ egregio Storico ad~ un silenzio e. `
ad un- guardo di Seneca, e troppo egli è
pronto, forse a mostra di profondità e
d’ ingegno, ad .interpretare come~meglio
gli tornao‘gní cenno.` ‘(a) \Ma quand’ an
. s 5 › , ' che
\

W( a ) Vedi il Sag io bellilîimo, ſopra ?pri-n—


cipj della Compa :zione Storica, e loro apple}
~ cazione alle Opere [di Tacito, del Signor Hill,
è. ,tradotto dall’ In leſe con a pendice del Tra—
duttore, dal .Ce ebre mio oncittadíno `Padre
' ' D. Gxe~
x
'a,

9.78 . -
che non si voglia' .s'eScñvèreñ alla' conghiet—
tura di’ Tacito,` ~n0n ?poki-em però dalla
‘ faccia di. colpa e-d’ingratitudine aásólvere
quel famososilenzio e *quel guardo-:Non
si trattava &meno che-della morte ;di Agrip—
Finardi colei finalmente, .che ‘quantunque
scelleratiSsima donna,’era îstata p'ur quel
la che avea Seneca vrichiamato dall’ e’silio ,
fattolo Pretore, ed istituto? diîNerone', e
-il .suo Silenzio era pur troppo secnonzun’
approvazione , -una ’condisoendenza 'almeno
all’ orrendo; misfattoí', e Burro che aperta*
mente `ksuggerì i mezzi‘ onde operarlo‘, e
'ch’ egli pure. 'dovea ad;Agrippina 'la' ~sua
_ dignità‘, è più reo ancora di Seneca. -,~-:~
Nerone*era uomo crudele è vero ;vera
uomo violento, in una-v Parola era ,un-.mo.—
stro‘; ’macera. pien (ii-paura', e non ad ?al-'
t’roí’fine avea fatti chiamai:~v SenecaeBur—
ro , che per-intender_ qual fosse il lor pa
rere, ²e come credessero .'dh’ ei -oondur si
dovesse nella suapircostanza'. Perchè dun—
que *Seneca non polea proporre, veggendo
in Pericolo di morte la sua …benefattrice ,
‘ ~ un
P

, D. 'Gregorio Fontana Profeſſore delle Mate


matiche ſublimi nell’ univerſità di‘ Pavia. ll
. a ſolo ſuo _nome è' un elogio, maggior d’ogni
elogio .
p - ’—79
un partito più mite? Che ‘mal-e; gliene
-sarebbe venuto da ciò?- Egli non avrebbe_
corso niun pericolo , 'come altri Îvolle’far
credere , poichè per‘ quanto fossecrudele
Nerone, non abbiamo esempio ch’ egli fa—
cess'e uccidere uomo alcuno, che ricercato `
del suo sentimento non lo desse asuò mo'
do‘. Anzi .veduto ~abbiamo cheÎí'Séneca
con un semplice suggerimento .più mite.,
salvò la dignità a Burro, ( come-‘Burro
impedì in altri tempi :le uccisioni di: Ot
tavia e d’ Aggrippina) la Vita ad Ottone,
preservò da‘un nefando incesto l’ Impera
tore medesimo, ed anche dopo la morte
della Madre, quando il Principe era dië
venuto una furia indomabile, riéparmiò
il sangue di molte innocenti vittime. Ta
cer solamente quando si trattava della vi—
ta di Agrippina-infelice, cui finalmente
doveva libertà , onori, ricchezze? _‘
Il. Signor Abate Lampillas_ nella sua
difesa di Seneca scrive che questo filosofo
,, dovea prudentemente temere , che. il.
,, disapprovare apertamente l’ uccisione
,, d’Agrippina, il proccurare la salvezza `di
,,-colei, cui Nerone istesso accusa di con
,, giurazione contro la sua Vita, dovesse
,, mettere in Sospetto il figliuoloffiche non
,, forse Seneca stesso fosse complice nella
s 4 A ,, con:
280 i .
,, congiurazione' della 'madre, e‘così per—
” dersi lui, senZa salvar Agrippina. v( a)
'Ma' di qual congiura d’ Agrippina parla
‘ egli quì il Signor’ Abate Lampillas? Sve
tonio scrivev che‘ le minacce della Madre
' sdegnata , fecer risolver Nerone 'a disfarsi
di lei, e quindi ordinò quella nave, e
.poscia il seëuito di quella scandalosa tra—
gedia, ma i congiura non dice pur mot—
to. (b) .Tacito non ci narra che Agrip—
pina ne ordisse alcuna, nè che Nerone
tampoco niuna ne avesse scoperta., ma 50-‘
'lo ch’ egli, poichè vide andar fallito il gran
colpo, pien di paura andava come un for
sennato esclamando, che la Madre verreb
be subito a vendicarsi, armerebbe Schiavi,
susciterebbe soldati, andrebbe in Senato,
e al popolosvelerebbe gli ínfami arcani
del naufragio ec. (c) .
Ma`questi eran vaghi dubbi, dal suo
eccessivo-spavento in lui suscitati. E" ben
ñ vero
d

‘a‘ Tom. I. pag. 162.


"b 'In Neron. Cap. XXXIV.
` ` c Turn ( Nero) pavare exanimís, ED’ iam
iamqu aflbre obteflmzs vindiñ’w properam, ſ
-ue jèrw’tia armaret, vel milz‘tem acrenderet.
ſive ad Senatum 89’ populum pervaderet, nau
fragium ED’ vuhms EJ’ interfeffos amíroa` obii
’ciendo.. Anna]. Lib. XIV.
28x
vero però che »si volle far credere che
Agrippina avesse mandato Agerino suo
Liberto per uccidere 1-’ Imperatore, ma ciò
ſu nn ritrovamento d’ Aniceto dopo che
ſu sciolto il consiglio fra- Nerone Seneca
e Burro, il qual Aniceto lasciò, cadere-tra
piedi di Agerino un' pugnale, mentre co—
` stui raccontava a Nerone il pericolo corso
dalla-sua Padrona, e la sua salvezza. Il
qual pugnale poi come a caso‘scoperto e‘
osservato, si sparse, com’è già detto, che
la Principessa avendo saputo esser,andata
a voto la sua micidial commissione, .s’ era
per vergogna e disperazione uccisa, da se
medesima. '
.Non v’essendo dunque niuna~ congiura
d’ Agrippina , e Nerone medesimo non
n’ avendo niuna scoperta, anzi approvan—
do che se ne inventasse una falsa a co—
prire il suo parricídío, Seneca‘ 'dovea e
potea sugg’erir un più mite espediente,
senza temere d’ esser preso in sospetto di
congiurato in favor di quella Principessa,
infelice; _ ' l o d
Non è però da tacere_ come Tacito scri-a
ve che Seneca . e, Burro stettero qualche
tempo in Silenzio ,, per non consigliar in
vano-,Nerone , perciocchè le cose erano
giunte a tale, che se Agrippína non si
pre
282 _
preveniva, era Nerone sìpacciato. Nerone
p era un sovrano detestabile è vero, ma
. pure era sovrano legittimo, ed era preci—
so dovere d’ogni uomo, e molto più di
Seneca e Burro , di d-ifenderlo, e di sal—
varlo. . . . Ma non c’ era egli altro mez
zo“onde prevenire Agrippina, e a tale
condurla che non potesse più nuocere al
figliuolo , 'che quelle'd’ imbrattarsi barba‘—
. tamente nel sangue suo? Oh poteva sol
levare i soldati, accendere il popolo ec.
ma non poteva ella esser rinchiusa, non
si poteva proibire' ogni qualunque accesso
a lei,-e non si potea trovare un pretesto
onde giustificar presso il pubblico questo
rigore? Abbiam pur veduto più sop'ra che
Agrippina era stata scacciata di Corte' , pri
vata di tutti gli onori, e da tutti anche
abbandonata, comechè proibizione non fos
sevi di visitarla; nè perciò non nacquer tu
multi, nè il Principe incontrò pericolo di
sorte alcuna. Non bastava forse il far cre—
- dere che ad Agerino era stato trovato 'un
pugnale, per far. relegaree rinchiuder la
Madre, seuza che si osasse far parola in
contrario‘? E poi che' si temeva da _Roma .9
Che da quel' Senato di. schiavi uomini e
vili? Il fatto il fece conoscere.~ Ciascun
tenne 'per fermo che Nerone uccisa avesse.
; ' la
,

283
la Madre, si rise di tutto quello che si
Volle :far credere , cioè che il naufragio
d’ Agrippina fosse nato dal caso, e ch’es—
5a ?avesse Spedito il Liberto ad uccidere
ilÎfi-gli-uoloi (a,-) e- pur `dopo ciò, Roma
e il Senato corser fe$tosi ,ad incontrare il
parricida_ Monarca che tornava da Napoli,
e lo colmarono di quegli onori, che a unv
›.’I`ito"e ad'` un -ìTraiano‘ "sarehbono sta‘ti so
.V‘erchiió Qualunque riflessione si faccia,
per quanto ei' inediti questo evento in
ogni sua circostan'za , non ‘potremo assol-ñ
i ver di colpa il Silenzio di Seneca., -ñe p0—- a
treni 'dire -cÒn Cicerone quicquid . . . . .
attigerìs,‘ulcus est. (b)
* Voglio anche credere, ( il che non è
però certo) che un' consiglio più mite in
torno ad Agrippina,~ non fosse stato am—
messo 'dall’infuriato, ed isbigottito Nero
ne. Che importa? Seneca però col pro'porlo
avrebbe compiute le parti' d’uomo grato
ed onesto, e di precettore zela-nte , e sa
- * ~ ì ’ rebbe
Ì

( a ) Quad fortuitum fuíſſe*,_ ( Nauſra‘gium )


~ K 'qqu adea kebes ”wem’retur ut crede-rn? aut
a muliere naufraga mifflùm cum-telo imam,
quì cohortes EF _daſſes Jmpemtoris perſi-inge
' ref? Tacit. Annal.’Lib. X1V.` a
(' b ) De Natur. Deor. Lib. I.
284 ›
rebbe libero da ogni taccia a questo- pro
posito, nella memoria de’ posteri . Io non
so creder che Seneca persuadendo a .Nero-r
ne di non isparger‘e il sangue fnaterno ſos-7
se corso a pericolo della vita: percichhèp
il Monarca medesimo l’ avea chiamato a
consulta, ma quand’ anche ciò ‘si conceda.,`
era dover preciso di lui di esporsi ad ogni
rischio per rispanniare- al suo allievo uno
de’ più orrendi misfatti che nelle storie si
leggano, alla sua benefattrice la— vita, e a
se medesimo la giusta imputazione d? in'
g'rato . ~ - ~
Il Chiaro Signor Abate Lampillas nella
citata opera sua, dice che noi non dob
biamo pretendere da un pagano filoSofa
quell’eroismo che è proprio soltanto del
Cristianesimo: io in cio di buon. grado
m’ accordo col degnissimo autore: _ma per—
chè ‘non potrò io pretender da Seneca
scrittor di tante opere la cui morale è la.
più sana in parte e più rigida, e degna
di religione più pura, quel che tanti altri
pagani operarono, che scritti non avean
libri di morale? Regolo anzi che- violare
la data fede, o dare alla patria un con
siglio men utile, comecbè le lagrime di
tutta Roma nel volessero impedire, andò
ad incontrare in Africa un certo "e _bar
‘ ‘ baro
~~ ì 285
bare supplicio; e Trasea Pato contempo
raneo di Seneca, si espose alla morte,
più tdsto che voler mai, anche nelle cose
di piccol momento, esser adulator di Ne
rone .' Noi loderemo, corn’ è dovere , lo
Zelo, l’ ingegno e l’eloquenza del Signor
Abate Lampi-Has, a lui comune con tanti
altri ’scríttori suoi nazionali che onorano
la nostra Italia e la nOStra lingua d’ opere
esimie , ma non possiamo mostrarci appa—
gati e convinti dalle sue- ragioni in difesa
del tanto giustamente infamato Silenzio di.
Seneca. - ‘ 7
Molte riflessioni non vispendererno intor—
no.all’a lettera che Nerone mandò val Se
nato ‘dopo _l’ uccision d’Agrippina, compo
sta da Seneca, (a) e di cui è detto a
/suo luogo. Tacito wdice che scandalezzò
tutta Roma, nò per-Nerone già conoscíu—
a to
necaqual
che mostro infame,
in quella letteramala sl per Se—
vconfessione
scrivesse dell’ orrendo misfatto. (b) Ma
poichè era morta Agrippina, quella lette
ra ne veniva come un corollario a Seneca .
indispensabíle, anzi il ricusare di .scriver
la ,

a ) Quìntil. Inſtit. Orator. Lib. VIII. Cap-.V.


é (I ) Annal. Lib. XIV. `
286:
la, poteaf a 'lui essere di gran pericolo ,
perchè avrebbe sopra il Principe , così
operando7 rovescíato in qualche modo tnt?
to l’odio della'colpa, rimproverandogliela
quasi, dopo averla approvata,` o per` lo
men- condiscesovi. Non era più questo il
caso in cui a Seneca si convenisse, paga—
nica—mente parlando , di sfidar l’ indegna
zione del Principe , ‘comechèv ancor ‘fra i
pagani, le calunníe
date fossero e le menzogne
come delitti . ,riguar
v
Gli accennati non lievi difetti morali di
Seneca, non mi permettono per conto al—
cuno di _riguardarlo per quell’ uomo per—
fetto' ed incolpabile quale alcuni il' van-ì’
tarono, e singolarmente celebre Giu’sto
Lipsio, il quale con soverchio zelo ebbe
a dire , che Virtuosi son'o coloro che ama—
no Seneca, coloro che‘il disprezzano, per
- questo medesimo non buoni.- (a)
- ' > Ma
.
-

(a Manuduct. ad. Stoic. Philoſoph. Lib. I.


di ert. XVlII. Monſieur la Mothe le Vayer
nel ſuo trattato ſulla' Vertu des Paims', por—
tò il fanatiſmo in favor di Seneca più oltre
'ancora, dicendo egli, che ſolamente i vi—
ziofi parlan male di Seneca, e che a lui qua—
lunque coſa ii potrebbe ſar credere , fuor ſo
mente che la cattiva -Vita di queſto filoſofo.
i
I
à87
vpre-$50' molti ‘fu tenuto il filosofo nonsì tan--v
Ma due cose singolarmente- fecero che

to uom perfetto, ma. santo uomo o almen


cristiano; l’ una, l’autorità di S. Girola
mo , l’ altra ,. alcune esptessioniÎE -sentimen—-‘
ti sparsi nell’ opere sue morali, iquai
b sembrano affatto propri d’ un Cristiano fi—
losofo. Esaminiamo co'n qualche. estensione
questi due ~punti troppo importanti‘alla
storia_ di Seneca .
S. Girolamo al Capitolo dodicesimo de’
suoi Uomini Illustri, ha queste precise
'parole :` ,, Lucio Anne’o Seneca di Cordo—
uwvuu
.Va, discepolo dello stoico Sozíone, e
uovo”
zí-› del-poeta_ Lucano, fu di continen
tissima vita, nè i0 l’ avrei registrato
nel catalogo _dei Cristiani, se a ciò non
mi movessero le epistole che ,si leggon
per molti, di Paolo a Seneca, e di Señ
QUO
neca a Paolo, nelle quali, mentre era
uu”
egli maestro di Nerone e assai potente
alla Corte -, scrive di bramar con ardoñ’
re, d’ essere in _quel_ posto medesimo
presso i suoi, in cui era Paolo presso
,, i Cristiani. ,, (a) `
Mossi

ñ( a ) Lucius Amzeus Senem Cordubenſis, Sotío


nis Stoiei diſcipulus, è“ patti-ms Lucani Poe
- ta' ,
288 ~
Mossi da- queste parole molti non dubi
tarono di tener Seneca per Cristiano, e
Giovanni-Serisberiense fra gli’ altri escla—
mò, ch’ erano insani quelli che non vene—
ravano colui’ che di certo sapeasi` aver me—
ritata la familiarità di un- apostolo. (a)
. Lucio Destro nellaisua Cronaca all’ an
no LXIV., scrive che Seneca molto bene
sentiira delle cose Cristiane , come appa
risce dalle sue lettere va Paolo, che ſu.
Segretamentefatto Cristi’ano, e che di Pao
lo era discepolo . l
.
Ma'

tw, tomimntíffimw vitae fuit, quem non pone—


rem in catalogo SANCTORUM. mſi-me illa:
.Epiſtolae provocarent, qua? ltguntur a pluri—
mis Pauli ad Senecùm, Seneca ad Paulum.
I” quibus quum eſſer Nerom‘s magi/ie”, 69’ il
lìus tamporzs potentzffimus, optare je dic”, ejus
eſſa lori apud/1405, mjus ſit Paulus-apud Chri—
flianos . Hi: 69’6- In catalogo Sassñ'orum. S’ 0ſ—
ſervi che' S. Girolamo 'con queſte parole non
inteſe già canonizzar Seneca per ſanto, ma
ſolamente per Criſtiano . 'In tal ſentimento
uſarono ſpeſſo gli Apoſtoli eñi ſanti Padri il
’.Vocabolo Saizñ'us. Vedi il DuCange all’ artiñ
colo Semñ’ztus, e la lettera prima delle Con
futazioni di 'alcuni mori del Dottor Bernar
dino Zannetti nella Storia del Regno de`Lon~
gobardí. '
E a ) Polycrat. Lib( VII[- Cap. X11].
W m7“ .. n— »ru-"LJ

289'.
Ma presentemente non v’ha uomo alcu
no di erudizione anche mediocre, che creda ì .
autentiche quelle lettere, che pur ancora
si leggono, Ase però sono quelle medesime
che a’ tempi si leggeano di S. Girolamo.
Lo stile rozzo e plebeo , e niente confor—
me a quello. degli autori supposti, ,ed
eguale Siccome nelle proposte così ancora i , A
nelle risposte, sì che chiaramente opera si .'
manife‘stano d’ uno scrittore medesimo, pal~` ’
cuni fatti --in- esse che .alla verità s’ 0p
pongon‘o dellaimpostura‘.-
unarsolenne storia,_le caratterizzano
i per
- ~
Ma come mai S.Girolamo autor sì colto,
e di tanta ,dottrina e critica, avea per le—
gittime quelle lettere? Si osservi che il“
Santo non dice d’ averle vedute e lette,
ma Solamente che 's’ aveano e si leggeano
per molti, 0nd’ egli altro esame non aven—
do premesso ,cfu per avventura dallaffipoñ`
polar tradizione ingannatot,
7 Anche S. Agostino, ,nellasua epistola
decima quarta a Macedonio, di queste let—
tere fa `\menzione , ma altrove , :come è
detto, Scrive che Seneca non volle mai
ricordare i Cristiani,
alla costumaſſnza anticae (per
ella’non
sua opporsi
patria ,
lodandogli, nè al proprio cuor, ripren
'_ t 'i deinſi';
290
dendog‘li. (a) Il che mostra che que—
sto santo VescO'VO di 'tal guisa scritto non
avrebbe , ove creduto avesse canoniche
quelle lettere , nelle quali d’ altro non
parlas—i che de’ Cristiani, e della Religione
Cristiana.
Ciò che ’diede motivo a fabbricar que
sta impostura, ſu , come comunemente si
crede, una Storia della Passione di‘ Pao
lo, scritta sotto 'il nÒme del Pontefice Li—
no , che viveva ai tempi in cui vissero
appunto gli Apostoli Paolo e Pietro, al
qual ultimo succedette nel Pontificato. In
questa storia che ancor si conserva, e che
citata viene dal Cardinal Baronio, (b) e
dal Fabricio, (c) si scrive che Seneca era
molto amico di Paolo, in grazia della di—
vina Scienza che in lui scorgeva. E non
potendosi con e550 lui intertener di pre—
senza , suppliva colle lettere vicendevoli ,
mercè delle quali fruiva Seneca de’ dolci
colloquj di Paolo, e si giovava de’ suoi
consiglj . Ma il Baronio , il Fabricio ne’
citati luoghi, ed altri osservarono , che
- que

( a ) De cms:. Dèi. Lib. V1. Cap. XL


( b ) Annal. Eccles. 1
( c {Codex Apocryphus Nov. Teti. pag. 880.
e eg.
29:
questa storia_ o questi atti della Passione
di Paolo sono così ‘pieni di abbagli, - anzi
di error grossolani , che opera esser non
possono del Pontefice Santo Lino.ſſ(a)
Ci ſu dunque carteggio fra' Seneca e
Paolo? Io risponderò colle parole "dz’ uno
de’ più illustri scrittori de’nostri tempi,
dicendo, che la stoica alterigia di Sene—
ca (non di Seneca solarnen'te ma di quasi
tutti i seguaci di quella setta ) lo rende
quasi incredibile, e che se egli qualche
conoscenza
di S..Pa.olo,ebbe,
noncome non è inverosimile,
giovosseneſicertamente
a, salute, come dalle sue opere stesse, . .
è troppo manifesto. (b) il che *ora pro.
t 2 posto

( a ) Il Fabri'cio nel citato Codice, non fa


perſuaderfi che gli atti della paffione di Pao
lo , poteſſero dar motivo d’ inventar il car—
teggio fra Seneca e 1’ A oſtolo, perciocchè
quegli atti non furono n di tanta autorità ,
nè di tanta antichità da poter movere a ciò.
Ma in quanto all’autorita quelle lettere ſcrit
te ſono con rozzezza sì grande, e di {anti
errori ſon piene, che moſtrano eſſer parto
di perſona che non fi dava gran fatto im—
paccio di conſultare le leggi dell' arte criti—
ca . Chi voleſſe ſapere le varie opionioni de-ñ
gli eruditi intorno a queſto ſuppoſto famoſo
carteggio, conſulti i Fabricio medefimo ,
ch’ ivi ne leggerà lo ſpaventoſo catalogo .
( l? ) Tiraboſthi. C. L.
292
posto mi son di provare _, dopo che avrò
mostrato che le Opere :appunto di Sene—
ca', anch’ esse un de’motivi furono che
fecer r'isolvere alcuni a sospettarlo Cristia
no, lasciandosi trasportare più‘ che da un
maturo esame e sano giudicio, dalla pro
pria fantasía, e da _una particolare predi—
lezione .. ~ - ›.~ '
E infatti chi non rimane edificato nel
leggeretin Seneca le seguenti dottrine? 7
Cheil primo culto che l’uomo dee ren~
dereffalla Divinità, è il credere la sua
esistenza, ilñconoscere la sua maestà e la
Sua bontà senza la quale ogni maestà è
nulla. Che Iddio al mondo presede, ed
ogni cosa colla sua potenza governa, pren
dendo—a cura e in protezione tutto il~~ge~
nere umano, e ciascun individuo in par:
ticolare; (a) r
Che in* tutti gli uomini è innata la cre—
denza d’un Dio, e che non v’ ha nazione
- di

( a ) Primus eſt Deorum cultus , Deus credere:


dunde reddere illis 'maieflatem ſuam, ”ridere
bonitutem, fine quu nulla ’male/?us eſt, SCíì‘L'
illos eſſe qui proefident mundo, quì univerſo
'ui ſua temperant , quì immuni generís tutelum
gerunt, interdum curioſi ſingulorum. Epíſt.
XCV. ' ' .z
295
di s`1 perduti costumi’, e così priva di leggi,
che non creda in qualche divinità. (a)
Che Iddio è la prima cagione, da cui
tutte le altre cose dipendono .' (bñ)
Che Iddio ovunque l’ uom si rivolga è
,presente , e che ogni oosa è piena di Dio . (c)
t 5 Che

( a ) Inter alia colligimus, quod omnibus de


Diis opinz'o inſita efl: nec alla `gens uſquam
eli adeo extra leges moreſque proiefif‘u, utnon
aliquos Deo: creda:. Ep. CXVII.
Siccome Seneca, cosi ancor Marco Tullio al
libro primo delle Tuſrulane Ricerche, a pro
` .var l’ efiſtenza d’ un Dio , l’ univerſale opi
nione adduce `delle Nazioni. ‘ì
Ut porro firmiffimum hoc uffi-Wi videtur , eur
deos eſſe credamus, quod nulla gens tam fe
ra, nemo 0mm’sz tam fit immanis, cujus
meutem uo” imbuerz’t deorum apinio.
(b ) Deus eſt prima omnium cauſa, ex qua
”etero pendent. De Benefic. Lib. IV. Cap. VII.
( e ) Quotumque te* _flexeris, ibi illum uialebís
( Deum) occurrentem tibi. Nith ab ipſa 11a
cat. Opus ſuum ipſe Deus implet. De Benefic.
Lib. IV. Cap. III.
Simili paffi ſull’onnipreſenza diDio,e ſingolar—
mente quello di un' epil’cola , in cui ſcrive a
Lucilio che nulla era celato alla Divinità , moſ—
ſero il famoſo -Erefiar’ca Zuinglio a collocar
Seneca in Cielo, e a riguardarlo com’ uomo
ſantiffimo, nel cuor del quale di fila propria
mano aveaDlo medefimo ſcritto la fede . llwa
- qua
²94
Che Dio non si stanca mai di colmarci
di doni, e il giorno e le notti. (_a)
Essere inutil cosa il mostrare , che il
Mondo, vnè non -può esser nato vnè non
può 659161? retto dal caso, nè senza un
custode che regoli i suoi movimenti. (b)
Che niun uomo virtuoso può essere,
senza l’ ajuto di Dio. Che niuno può re—
sistere alle sventure, se Dio non gliene
presti le forze: ch’ein solo ispira magna
nimi consigli e sublimi. (tc)
Che

qual ‘marnviglia che l’ infame Paſtor di Zurigo


canonizzaſſe Seneca, s’ egli fece il medeſimo
di Teſeo , di Ercole , di Numa e d’ Antig02~
no, e d’ altri pagani più deteſtabili ancora,
afficurandoci che ſono beati in Cielo, e che
quegli che avranno il bene di gi ervi,
oder potranno della lor compagnia . Vedi
Èoſſuet Hiſtoire des Variations des Egliſes
Frate/lame:. Liv. II. pag. m. 56. e ſeg.
( a) Dii mune-ra ſine intermi ione diebus ac no
iîzbus fundunt. De Bene 1c; Lib. IV. Cap.
Il]. ‘ -
( b ) Superuaeuum efl in pmſenti oflendere, na
ſine aliquo euflode tantum Opus fiore, nec hunt:
ſiderum eertum diſcmfſum fortuíti impetus eſ
ſe. De Provid; Cap: I.
. ( e ) Bonus vir ſine Deo nemo eſt. A” ate/Z
alzquis ſupra fortunam ”ij/i ob illo a mms
”cm-gere? [lle dat oonfilia magnifica, Ea’ ere
ffa . Ep. XLI.
295
Che colui solamente dà prove d’ animo
grande che ‘a Dio s’ abbandona, vile al
contrario essendo e degenerante da sua
origin celeste , chi recalcitra, e mal giu—
dica dell’ ordin del Mondo, presumendo
empiamente di riformare la divinità, più
‘tosto che se medesimo. (a )
Che Iddio ha un cuor paterno inverso
i buoni, ‘e gli ama assai più: e che so
Iamente gli affligge con isventure, con
dolori, e con pericoli, acciocchè s’ invigo
riscano nella virtù . (b)
Che però dee l’ uomo .imitare e segni#
tar Dio, ch’ è l’ autore di tutte le cose ,
senza mai mormorare . (c)
Che l’ uom virtuoso, così dee viver co
gli uomini, come se veduto fosse da Dio,
t 4 e par

( a ) Hic efl magnus animus , qui ſe Deo tra


didit: 69’ contra ille pufillus ac degener, qui
obluñ’atur, 69’ de ordine mundi male exiſti
mat. 53’ emendare maoult Deos, quam ſe .
Epiſt. CVII.
ſ‘\
b ) Paternum Deus habet driver/us bonus w'
ros animum, 69’ illos fortius amat: E)? operi—
bus, dalaribus, ac damnis exa_itat, ut oerum
colligaut robur. De Provid. ap. II.
( c ) Optimum efl . . . Deum quo Auñ’ure cun
iì’a proveniunt, fine murmuratìone comitari.
Ep. CVII.
296 ,
e parlar di tal guisa con Dio, come se
udito fosse dagli uomini. (a)
Che allora saprà l’ uomo d’ esser guari—
to da tutte leaviziose inclinazioni, quanñ.
do sarà giunto a tale, che non pregherà
Dio di cosa, che non' fosse disposto a pre
garnelo in pien popolo: essendo stoltezz-a
il ‘porger voti t’urpissimi agli Del, e il
narrar a Dio quello , che non si vorrebbe
che sapessero gli uomini. (b)
Che il parlar dell’uomo sia conforme al
suo vivere: colse il punto colui, che se
:il vedi, o se l’ascolti, è il medesimo. (c)
.- Che il sommo bene si dee riporre nell’
animo, perciocchè egli invilisce, ove dalla
'miglior parte di noi, alla pessima si tra
sferisca, trasferendolo ai sensi. . . . Non
-- 51

( a ) Sic vive* cum homiizíbus, tanquum Deus


videut, ſic loquere eum Deo, tanquum homiues
audicmt. Ep. X.
(b) Tuna ſcito eſſe te omnibus cupiditutibus
ſolutum, cum eo perueuerís, ut nihil Deum
roges, iti/i quod rogure poffis puluiumunc enim
quanta dementiu eſt hominum, tuz‘pifflimu 'vota
.Diis in uſſurraut; ſì quis ddmauerit uurem,
contice cent , è‘ quod faire homìnem noluut,
Deo uarrant. Ibid. '
( c ) Concordet fermo cum vita. Ille promlſſum
ſuum implem‘t, qui 85’ eum videos, EJ’ cum
audias, idem eli. Ep. LXXV
29?
si'dee por la somma felicità nella carne.
Que’ beni son reali, son veri, che dalla
permanente ed eterna ragione derivano;
questi mancar mai non possono, e non
manco diminuirsi giammai. Gli altri non
,han di bene che l’ opinione, il nome, e
l’ apparenza. (a) . `
Che l’ anima umana è sacra , è eterna,
è puro spirito, (b)
Che il sepolcro dell’ uom dabbene altro
non inchiude che la parte più vile di lui,
cioè le ossa e le çeneri, che son parti
dell’ uomo in quel modo, che i vestimen~
ti il sono del corpo . Che l’anima intera
sparisce , e dopo esser dimorata qualche
tempo sopra di noi a purgare i vizi all’.
umana natura inerenti, ( vedi adombrato
,il purgatorio) scuote da se la ruggin
- mor—

( a ) Summum bonum in animo conflituamus ,


objblq/bit [i ab optima noſtri parte ad peflimam
tranfit, EJ’ transfer-tm* ad ſenſus. Non eſt ſam
ma felicitatis noflm’ in carne ponendo . b’ona
illa ſunt vera, quae ratio dat ſolida, ac ſem
pitcrnn, quiz cadere non poſſunt, nec decreſce
re quidem aut minus'. Coetera opinione bona
ſunt: 69’ nomen quidem habent cum ver/s. pro
prieta.: in illis boni non efl. Ep. LXXIV.
( b ) Animus quidem ipſe ſacer efl EJ’ atei-nu:.
è’ cui non polfit iniici manu:. Conſol. ad
Helv. Cap. XI.
298
mortale, ed alzata all’-empireo cielo, sPa.
zia fra le anime beate , e da un sacro
ceto vien ricevuta . (a )
Che la moderazione e la pietà eran
quelle che partefice facean l’ uomo del
cielo donde l’ anima sua derivava ,~ non -le
vittorie e i trionfi ec. (b) c
Che non si dovea pianger la morte dell’
uom virtuoso, poichè il piangerlo era lo
stesso che invidiarlo per ciò ch’era dive—
nuto libero , sicuro, ed eterno. (c)
a Che

( a ) Non efl quod ad ſepulerum filii tui cur—


ras, peflìma ejus 89’ ipſi- molefliffimu ifliuc iu
cent oflu cinereſque, 'non megis illius partes,
quam refles aliaque tegame-”tu rorporum. 1n
teger ille hihi/que iu terris relinqueus, fugit,
ED’ lotus-exteffit, paulumque ſupra nas com
moratus, dum expurgut zrzhwrentia vitia, fi
tum ue omnis mortalis wvi excutit, deiude ad
exec/a ſublutus, inter felice.; excurrit animals,
exeipiéque illum cactus later. Conſol. ad Marc.
Cap. XV.
’ ( b ) Aulmam quidem ejus in cazlum,ex quo erat,
”diff/e perſuadea mihi; non quia magno: exer
eitus duxit . . . fed 0b egregiam moderatio
”em pietutemque . Ep. LXXXVI.
Così pur Salomone` avea detto Melior eſt Pu
tieus vira Fox-tifa' qui dominatur animo ſuo,
expunnatore urhium. Proverb. XVI. 32.
( e ) [Ve invíderis fratri tuo: quieſcit tandem
liber, tandem tutus. tandem wternus. Conſol.
ad Polib. Cap. XXVIII.
²99
Che il giorno di morte, che tanto l’ uom
paventava , come se fosse l’est-remo, il
cominciamento era d’ un giorno eterno. ( a)
Che un tempo verrebbe, in che spo—
gliato l’uomo dai legami corporei, gli si
sooprirebbono gli arcani della natura, e
dissipata la caligine che lo circonda, sa
rebbe cinto di luce. Non vi sarà allora
alcuna ombra che ne turbi il Sereno; ogni
parte del cielo egualmente risplenderà.
Dirà allora d’ esser vivuto fra le tenebre,
tanto fulgore mirando. E quale parrà a
lui la divina luce, assisa nel proprio suo
trono? Questo pensiero non lascia albergar
nel cuor cosa immonda, bassa, 0 crudele.
Questo ci dice che Iddio è testimonio di
tutto, questo vuole che l’ uom cerchi a.
lui di piacere, e di apparecchiarsi a lui
degno, avendo sempre l’ eternità innanzi
agli occhi. (b)
Che
( a ) Dies 1fie,quem tamquam extremum refor
midas. (eterni natulís e/Ì. Epiſt. CI].
( b ) Veniet qui te revtlet dies ( forſe relevet )
aliquando natura: tlbl arcano retegentur, di
ſcutz'etur ifla cal/'go , Ep’ lux undique clara
percutíet . . . Nulla ſere-zum umbra turbabit,
a‘qualiter ſplendebit omne cieli lotus. Time in
tenebris wx‘ffle dices , eum totem lutem @riſpe
xeris .’. . Quid tibi oidebz’tur divino lux,
A cum
300
Che il miglior bene dell’ uomo era la
ragione perfezionata, mercè della quale
si distingueva dai bruti, e alla divinità
si avvicinava. (a)
Ma troppo avrei di che fare se tutti
quì volessi recar que’ passi in cui sembra
che Seneca una chiara idea avesse della
Divinità, de’ suoi necessarj attributi, dell’
immortalità dell’ anima umana , de’ premj
destinati all’ uom giusto: onde il severo
Tertulliano medesimo, il chiama spesso,
Seneca noster; (b)‘ e non è meraviglia
se molti leggendo un qualche opuscol di
lui, ove questi passi s’incontrano, e tro
vando sempre in ciò che s’ aspetta ai co
stumi, precetti sl puri,sì salutari, sì ri—
gidi, abbracci-arono il partito di ‘coloro che
credono, che dopo i santi libri, non vi
sia lezione più utile che quella dell’ Ope
re
cnm illam ſuo loco videris? Haze cogitatio ni
hil ſordidum animoſubſidere ſinit, nihil hami
le, nihil crudele . Deos omnium rerum efflz te
fles ait; illis nos approbari , illis in futurum pa
rari jubet , @aternitatem proponere . Epiſt. CII.
( a ) ln homine optimnm quid efl .9 Ratio: hat:
antecedit animalia, Deos ſequitur. Ratio ergo
perfeît’a, proprium hominis bonum eſt: caeteru
:Hi cum animalibus ſali/que calunnia ſunt. Ep.
LXXVI.
( b ) De Anima Cap. XIX.
\., ' 50!`
re di Seneca: (a~) e cheSeneca se non
fu Crístiano, ben meritava d’ esserlo, es
sendo le sue dottrine degne d’un cr-istiano
scrittore. Certo ch’ esser dovea di `que
sto parere anche il celebre Uezio , il
quale in un passo di Seneca, il sagratisñ
simo mistero trovò espresso della Trini—
tà: (b) di che fu severamente riprese dal
Bruchero . (c) ì
Ma

( o ) Vedi Lips. Eppiſt. XLII. ad Belgas.


11 giudicioſiffimo adre Bartoli però nel ſuo
eccellente trattato che ha'per titolo l’ Uomo,
ol punto di Morte, pag. 79 parlando di Se—
neca'molto il loda, e adduce varj paſſl di_
lui, a provare i vari argomenti eh’ ci trat-ì A
ta. Ma quale-r poi Seneca e S. Agoſtino
s’ incontrano a ſvolgere le ſteſſe materie, il
Padre Bartoli eſclama: A711 dove S. Ago/lina
parla 'non ha duopo udir Seneca che balbetm.
( b ) An non manifefla eſl trium Sani?” Trini
tatis perſonarum ſtgnificatio in his* verbjs Se
neczz. de Conſol. ad Helv. Cap. V111?
Quiſquis formator univerſi fuit, five ille Deus
eſt potens 0`mnium , hic eſt pale-r omnipotens,
ſive incorporalis ratio iugentium operum ar—
tifex, e” tibi _filium , ileznpe ſive verbum. per
quod omnia faff.; ſunt: five divinus ſpírítns
per omnia maxima minima aequali intentio
ne diffuſus . Qua* denotant Spirito”: Sunñ’um.
Qucſt. Ahìetan. Lib. II. Cap. Ill.
( c ) Otium [/indelimm pag. IIS.
l
/
502 .
r Ma queste maranglie sulla sanità e
purezza delle dottrine del nostro filosoó
fo cesseranno ben tosto, ove si consi—
deri, corn’ io brevemente m’ accingo a pro
vare, che quell’ Autore medesimo che
in alcuni luoghi con tanta aggiustatezza
rla di Dio, del culto che a lui si deb
be., dell’ anima umana, de’ doveri dell’
uomo , in altri poi miseramente contrad
dice' a questi principj, e mostra quanto
diffettuosa fosse, incerta e mal ferma la
sua morale. (a)
Quel Dio adunque che da Seneca in
un luogo vien chiamato tutto anima, e
tutto ragione, ñ(b) in altri materiale è
fatto, dicendo egli che Dio è il Mondo
medesimo, perciocchè egli è vtutto quel
` . che

( a ) Queſta marayíglioſa incoſtanza di Sene


ca nel ſiſtema ſuo filoſofico, sì che ora par
ch’ egli tenga una/ſentenza, or a queſta
s’ opponga, e il diſordine delle materie non
meno che le ſoverchie repetizioni, di che
altrove è detto,gli han meritato per avven—
tura da Quintiliano la taccia di poco diligen—
te e accurato in filoſofia. In Philoſophia pa
rum diligens. Inſtit. Orat. Lib. X. Cap. I.
, ( b ) Quid ergo intere/ì inter izaturam Dei, EJ’
noſtrum? Noſiri melior pars anima: eſt, in it
lo nulla pars extra animum. Totus ratio e/Z.
Prmfat. ad Lib. 1. Natural. Quael’c. ‘
503
che si vede, e tutto è trasfuso nelle sue
parti, e sta per virtù sua, (a) e che
tutto quello da cui siam contenuti, è una
sola cozza, è Dio, e noi siam suoi compa—
gni e suoi membri: (b) il che quanto
odori di panteismo , ciascnn può vedere
ad evidenza .
Quel Dio ch’èonnipotente, e da cui
tutte le cose dipendono , come abbiamo
veduto, trova in altro luogo ‘qualche vol—
ta inobbediente la materia, e fa molte
cose cattive, non per difetto d’arte, ma
perchè la materia all’ arte spesse volte è
ritrosa: (c) e ch’ egli una volta sola oo
mandò

( a ) Vis illum (Deum ) cocure Mundum 2


non ſulle-ris. [p/e enim eſt totum quod vide::
totus _ſuis partibusinditus, 55’ ſe ſuſlíueus vi
ſua. Nat. Quacſt. Lib. Il. Cap. XLV.
( b) Totum hoc quo continemur è‘ unum ed,
("3 Deus: ſoríi ejus ſumus, 53’ membra. Ep.
XCII. e altrove:
Omne hoc quod vides, quo divina atque humuna
concluſa ſunt, unum eli: membra ſumus cor
poris magi-u'. Epiſt. XCV.
i ( c ) Deus quicquid vult efliciat, un in multis
' rebus illum trattando deflituunt, Ep’ a magno
urtifice prova formentur multa, non quia ceſ
ſut ars, ſed quia id in quo exertetur, ſiepe
inobſequens arti eſt ch. Nat. Quaeſt. Lib. I.
in Praefat. \
Nou
304 \
mandò ſei-mando il destino, poi _sempre
ubbidisce seguendolo: (a) la qual dottri-ñ
na però fu riprovata dall’ Imperator Mar
co Antonino, come ch’egli .fosse uno de’
campioni più ſamosi dello stoicismo. Kb),
.Seneca che* avea detto che senZa. l’ aju
to di Dio, niuno può essere uom dab—
bene , dice altrove che ‘è dono degli Dei
la vita, ma che la virtuosa vita è dono
della fiIOSofia, e che però l’ uomo tanto più
debbe alla filosofia chezagli Dei, quanto
è maggior beneficio una buona vita, che
la vita per se medesima. (c) Empia ed
arro

Non pote/2 artifex mutare materia-*n: [Izzo paflìl


efl. Qaeda”; ſeparari a quibujdam non poſ
_ël-11t,\;oherent, individua ſunt. De Provid.
ap. .
( a ) Ille ipſe omnium conditor ac reíì'or _ſtrip/l'6
quidem ſata, ſed jèquitur, ſemper pax/et , je
mel iuſſit. De Provid. Cap. V.
( b ) Reflex. Moral. de l’Empereur Marc. A11.
tonin. Lib… VI. paragr. l.
( c ) Quls dubitare mi Lucilli paleſi, qui” Dec-~
rnm immartalium munus fil: quod vivimus ,
philoſophia’ quod bene vimmus? Itaque tanto
plus nos delle”: [mi: quam Diis, quanta maíus
beneficium eſt bona vìta,quam vita . Epiſt. XC.
Così pur diſſe Orazio:
Han jim': ch ora” Cíì’ozmrxflzui danahëa’ mbfl’rt.
› 8t
30-5
arrog ante massima, Comechè cerchi egli'
addolcirla in processo .
' ` Nè'contento d’ aver avvilita per sì fat
ta guisa la divmità, l’ abbassa altresì
a metterla a livello “dell’ uomo, anzi un
gradino ancora 'più sotto, dicendo che il
sapiente vive di pari con gli Dei, v( a) è
lor compagno , non lor supplicante, .(b)
è loro Simile, non v’essendo , altra diffe—
renza fra l’ uom virtuoso e Dio, se non
\ 4.‘
che l’ uomo e mortale, (c) e che Dio è i
u ì più’

Det vitam, det opes: requiem mihi animum ipſe


parabo .
Epiſt. XVIII. Lib. I.
Medeſimamente’ parlan gli Stoíci al libro terzo
della Natura degli Dei, per bocca di Cice
rone, ove fi dubita ancor l‘e la ragione fia
dono di i0 . _
Sed a Deo tantum rationem habemus, ſi modo
habemus: bonam autem rationem aut non bo
nam, a nobis.
( a ) Sapiens ille plenus gaudío, liilaris E‘? pla—
czdus, inconcuſſus cum~ .Diis ex pari *Uli/lt .
Epií’c. LIX. `
( b ) Hoc efl ſummum bonum,' quod _ſi occupas,
?ci és Deorum ſocius effe, non ſupplex. Epiít.
1 I.
(c) Sapiens virínus proxímuſque Diis conſi
\ flzt, excepta mortalitme , fimilis Deo .` De Conſt.
Sap. Cap. VIlI. ' ›
506
più lungamente virtuoso: (a) del rima
nente l’ uom saggio vince Dio stesso in
ciò, che Iddio è per beneficio di natura
sapiente , non per propria virtù, come
l’ uomo. Onde è gran cosa, colla imbecil
lità umana saper unire la fermezza d’ un
Di'o . ( b) ,Sene

( a ) Sic Deus non vincit _ſapientem felicitate,


etiam/i vincat mate. Ep. LXXIII.
Jupiter quo antecedít .mmm bouum? Diutius
.9 ban-us e/ì. Ep. XXXL
‘Nè diverſamente ragiona Balbo introdotto da
\ Cicerone nel ſecondo libro della Natura degli
\Dei a ſpiegar la dottrina ſtoica, intorno al—
la Natura di Dio. ì* -
Qua! contuens animus, accípit ab his cognitio
mm Dear-um; ex qua oritur pietas, cui to
aziunñ’u inflitta efl, reliqutzzzue virtutes: e qui
bus vita beata exfi/lit pm- 1:5’ ſimilís Dear-um,
nulla re m'ſi immortalitate, ua’ nihil ad bene
vivende pertinet, cedens c eflibus. `
( b ) E/l aliquid quo ſapiens azztecedat Dem”:
ille natum beneficio, non ſuo /apieus e/ì. Ec
ce res magna, habet-e imbecillitatem homiuis,
ſecuritatem Dei . Epiſt. LIII.
Empîo era, nol níego, queſt’ ínſoffríbíle orgo
lío di voler metter l’ uomo a livello d’un
Bio . Ma non è forſe egualmente`perícoloſa
e nocevole, la baſſezza e víltà d' alcuni mo—
derni oltramontaní filoſofi, che ad afficurare
i lor fimlli ne’ loro ecceffi, mettono l’ uomo
a livello de’ Brutí? Vedi l’ ingegnoſo e ſal-’
fillìmo libretto che ha per titolo Abaritte.
Cap. XXI. pag..130.

~`
3°?
,Seneca che tante» belle nozioni ci ha date
dell’ immortalità dell’anima umana, e del—
la sua felicità dopo morte (dell’ uom giù.
- sto parlando) ecco che tutto ad. un tratto
ci annunzia’che la teoria dell’ immortalità
dell’anima è solamente un bel sOgno; (a)
e che tutte le cose che ci‘ vbngonoanedi
cate d’una vita futura sono fantasie de’
Poeti. Che chi compiagne un morto, può
compiagnere ancora chi non—è" nato . Che
la morte 'non è nè un bene nè un male.
Poichè o bene 0 male solamente può es—'
sere ci‘o che è, ma il nulla, non può
andare alla fortuna soggetto, e non— può
misero esser colui che in nulla si conver—
tisce. ‘(b) Che la conseguenza della mor
u 2 ’ i - te

( a ) @’nvabat de mternitate animarnm quaere


re, imo mehercule crede-(mm, . . . cum _ſubito
experreffns ſum perdídi.
bellum ſomm’um epiſtola tua
Ep; accento,
CII. ì EJ’ . tam
( b ) Cogita mdh's defunffum malis uffici: illa
qua’ nobis inferos fuciunt terribile-s, falmla
eſì . . . Luſerunt {ſia poeta,p .` . . Sì marmo
rnm aliqnis miſeretnr, 89’ non natorum miſe
reatur. Mars nec bonum nec malum efl. [d
enim patefi aut bonnm aut malum eſſe, quod
aliquid efl: quod vero ipſum nihil eſt. ED’ om
m'a in nihílum redigit, nulli nos fortuna- tra
~- dit . . . . non potefl ”uſer eſſe, quì nullns eſt.
Conſol.
308
te è il non essere, ci-ò che fu prima che
l’ uom nascesse: e che T-l’ effetto del non
nascere, e del morire ,’ è .il medesimo ,
ciò è a dire il non essere‘. (a)
Altra dottrina perniciosa stabilita da
Seneca, è i1 Suicidio, che la setta `stoica
non permetteva già solamente, ma coman—
dava ancora in certi casi, comechè cOn
dannato fosse’ da Socrate cui gli .stoici
avean pure in tanta venerazione': percioc—
/ ' vchè

Conſol. ad Marc. Cap. XIX; E :non altramenó.


te della condizion dell’ uom dopo morte ra—_
giona Plutarco, nel ſuo libro della `Cai-iſola
' zione ad Apollonio. '
Così pur Cicerone nel primo delle Tuſculane,
un ſuo amico diſcepolo introduce, a dichia
rar argomento de’ pittori e de’ poeti i tor—
..\ menti dell’ altra vita deſtinati a’ malvagi, ì
uali afferma Balbo difenfor delle .dottrine
` toiche nel ſecondo libro della Natura degli
Dei, non` eſſer più nè temuti nè creduti dal—
, la più Vil vecchierella .
Quwve anus tam excors iuvenii‘i poteſi, quiz i!
lu quzz quoudum credebuniur apud inferos por
teuta, extimefimt? .
( a ) [Wars efl non effe, id quod ante fuit: ſed
quale ſit iam ſcia,- hoc erit poſt me, quod an—
te me fuit . . . quidq—uid ante nos fuit, mars
eſt . Quid enim referi , utrum non imi
'pias, un de mas? Utriuſque rei hit di effe
B’us, uau e e. Epiít. LIV.
509
chè. egli diceva, che Dio ci -avea messi al
mondo come in un posto, cui non ci era.
perinesso di abbandonare senza il suo be—
neplacito. (a) - z, :
Seneca dunque ci annunzìa, che era
proposizione di qualche ignorante , quel
falso -detto a uso di proverbio_ che suona:
essere cosa bella il morir di sua morte. (b)
Che chi imparò a morire , Îimparò an
cora a non servire’, e ad essere superiore
a qualunque potenza: perciocchè non nuo
cono alla sua libertà le carceri ,, le senti—
u 5 * - nelle,

( a ) Cicer. Tuſculan . Queſt. Lib. I. Cap. XXX.


Ammefi'a però la mortalità dell’ anima, è ben z
coſa naturaleche fi permettefl'e il Suicidia.
Se la mia ,anima do o la mia morte finiſce,
nando la vita mi 11a noioſa, quando incre—
gcevole me la rendano le malattie, la pover—
tà, i! diſonore, io la terminerò con'. un lac
cio , con un veleno, o in altra guiſa confi—
mile. E la troppo infelice eſperienza ce lo
dimoſtra in queſti ultimi tempi, in cui tanti
libri che il materialiſmo predicano con argo—
menti frivoli, e in iſtíl lufinghiero , ' hanno
per sì fatta guiſa adeſcate le perſone incaute
e ignoranti, che ſpaventoſo è il catalogo
degli ucciſori— di ſe medefimi , chi pun-ie VO
lìa tener-regiſtro .
Z - Illud imperitiflìmi cuiuſque vez-bum falſum
ete.e tibi
Ep. per/made:
LXIX. Bella resvr eſt mori ſua mor
5m
nelle, ed i claust'ri. (a’) Che ogni cosa
potea esser di stradaralla libertà; un pre—
cipizio, il mare, il fiume, un pozzo ec, (b)
Che il Sapiente viver dee quanto debbe,
non quanto può. Che-"Se *la -vita gli è
acerbamente molesta‘, (c) se le ?cose ne
cessarie a sostentarla; gli mancano, (d) se
le malattie sono talil che gli” impediscano
quegli esercizj a cui l‘ uomo è nato, (e)
se la vecchiezza 1’: abbia a tale' condotto,
' ' ~ ch’ ‘i

( a ) Qui mori didicit, ſervire dedidicit; ſupra


omnem potentiam e/Z, certe extra omnem.` Quid
ad illum carcer- ëd cuſtodia «‘ÎÎ clauſtra? Libe
rum oſiium habet. Ep. XXVI.
(‘ b ) Quocumque reſpexeris, ibi malorum finis
/
e . Viale: illum pracipitem locum? illac ad li—
bertatem deſcenditur. Vides illud mare, illud
flunzenyillum putemn? Libertas illic in ima
“eſt, De Ira Lib. III. Cap. XV.
( c ) Sapiens air/it quantum debet, non quan
tum potefl . . . ſi multa occurrunt mole/ia, 69’
tragquillitatem turbantia, emittit ſe. Epil’c.
LX .
b( d’ ) Neceſſaria deerunt? . . fi neceffitates ulti
’ ma inciderint, iamdudum exfiliet e vita, 69’
mole/ius ſibi eſe define-t. Epiſt. XVII.
( e ) iWorbum morte non fugiam , dumtaxat
ſanabilem, nec officientem animo . . . .‘ Ham:
tamen /í ſciero perpetuo mihi patiendum, exi
bo, non propter:- ipſum. ſÉd quia impedimento
mihi futurus of? ad omne propter quod vivi:
‘7 tur. Epiſt. LVIII. '
ſ 311
cbkegli sia divenuto stupído ed imbecille,
potrà allora e’ dovrà darsi morte .ñ( a),
Vedute queste cose , niuno maraviglíe-ſi
:rà se l’ Eineccio non può soffi‘ire in 'pace
che alcuni, ,nOn solamente abbian fatto
Seneca cristiano, ma affermato altresì che
le massime de’ suoi libri s’ accostano a
quelle dalla nostra Santa Chiesa approvate ';
mostrando egli che in quello stesso che
Seneca dice, ad esempino, del soggiorno
che fa Dio nel_ cuor nostro, ëd in altre
espressioni più ancora edificanti, per le
quali il Lipsio tratto tratto esclama pien
u 4 d’ en

( a ) Non reliquam ſmeí’ì’utem [i me totum mi


hi reſervabít, totum autem ab illa parte me~
livre. At fi cmperz't co-ncutere meutem, ſi par
tcs ejus convellere, . . . profiliam ex (edificio
putrido ac mente. Ep. LVIlL -
Marziale però che non profefl'ava la Stoíca ſa—
pienza, e che ſcriſſe epigrammi, molti de’
quali piacciono grandemente‘ perchè il lin
guaggio inſe ano 'de’ poſtriboli, conobbe
che era follm e furore il Suicìdio, onde
diſſe dì quel Fannío, che ſ1 ucciſe per libe—
rarſi da un nemico chel’ inſeguiva,
Hit raga non furor e/ì, ”e moriare mori? Ve—
di Epigram. LXXX. Lib. IT. e altrove, par—
lando di Catone Uticenſe che fi ucciſe da ſe
medeſimo per non cader nelle mani di Ceſare:
Sit Cato dum vivit ſone vel Cuffare major :
Dum moritur numquíd major Ollzone fuit?
'512 .
cl’ entusiasmo,- 0h bella, Ol‘l sublime epi—
stola! s’ inchiudon pur troppo le vane' ed
ì empie dottrine stoiche , ed un pretto ma—
terialismo: (a)`il che si potrebbe mostrar
troppo bene, se nostro intendimento fosse
di scriver la storia dello stoicismo,_ come
già fatto hanno‘ a perfezione vari uomini
insigni. (b) , . .
Ma più d’ ogni altro le vanità delle,
dottrine di Seneca_ mostrò il’ celebre_ Ma
lebranchio , il ‘quale nell’opera sua della
.Ricerca della Verità un intero lungliissi—
mo capo impiegò a far…vedere, quanto
puerile, falsa, temeraria, arrogante , e
quanto opposta alle massime dell’ Evange—
lio, sia l’ idea che Seneca ci dà, coll’
esempio di Catone, dello stoico sapiente ,e
qnanto sia pericolosa lettura quella de’ libri
del nostro Autore a coloro che sono di
fervida ſantasía, e non ben fermi nella.
vera credenza, e nello studio de’ libri
santi. Seneca, dic’ egli, talora convin—
ce, perchè commuove , ed abbaglia: sic—
chè

( a De Philoſophis. Semichriſt. Paragr. XXX.


( b Lips. Mannd. ad Stoíc. Philoſoph. 8c de
Phíſiologv Staic. Bruch. Hz/Z, Crit. Phil. Aga—
topiſto Cromaziano Iflor. ed Indole d' ogni
_ Filoſofia . ' -

l
` 513 ‘
chè- non credo 0.1.17 egli giugnerà_ a per
suadere coloro nelle cui vene scorre 'seda
tonìl sangue,‘e _che canti contro i pregiu—
dicj , non cedono ,che vcostret‘tì dalla Per
spicuità fed evidenza delle ragioni; (0)‘
_~Ma i0 credo che basti, oltre . ad un
animo ben dísposto, l’accíñgersi alla let
tura dell’ opere (li-_Seneca colla ferma per—
suasione ch’ egli ſu Pagano , che scrisse
cogli errori infelici del Paganesímo, co’
quali. anche morì , come dal sagrificío ‘ap
parisceehe negli ultimi momenti della sua
vita egli fece a Giove Liberatore . Allora
non si potrà a meno di non trar da que- ~~
Stalettura maraviglioso profitto. z
Niuno, seconclo a me pare, meglio (lie
de nel segno, a questo- `proxposíto giudi
cando , del famoso 'Erasmo di Roterdam,
i] qual disse, che ,- ove si leggan le opere
di Seneca come d’ autore crístiano , pa—
ganescamente egli scrísse, ove al contrario \
› come

( a Convincz’t ( Seneca ) quia commavet, 89’


, al ubeſcit, ut w'x credam illius leñ’z‘oue Rcs per
! juaderi quibus ſanguis'iu ueuis efl ſedatus ,
quique aduerſm preiudícía ’muti, non cedunt
_~ ”in per: joicuit ti, 69° evidenti” raticmum devi
tì‘i. Lib. II. [gara. III. Cap. IV. -

/\
_,

514 i .
come libri (Ti pagano autor sì considerino,
par che un cristíano abbia scritto. (a)
L’ utilità per altro maggiore che dalla
lettura dell’ Opere di Seneca può derivar
si, è, s’ io mal non _conosco, nella scienza
Ae’çostumi, che le` scuole Etica appel
lano. Scrive egli con tanta. verità , con
tanta' forza con tanto calore della` be—
neficenza, àell’ amor coniugale, del per
dono delle ingiurie, dell’impiego del tern
po,` che è quasi impossibile che a ‘un
cuor 'bene inclinato che legga, non s’ at—
tacc-hi un somigliante entusiasmo :' con ciò
moátrando ch’ egli `è persuaso e convinto
di ‘quanto scrive, il chè è a vero dire il
modo più acconcio‘di convincere e persua—
dere anche gli altri. (b) ,, Se Cicerone ,
l ,, scri

ſ ( a ) Etenim ſi lega: ”tum ( Senecam ) ut pa


gun-um, ſcripſit Chriſtiane, fi ut Chrzſtianum,
, jtrz’pfit paganice. Judic. de L. Ann. Senec. ó
( (7 ) Vedi bel giudicio, che degli ſcritti di
Seneca, forma il genüìifiimo Padre Daniello
Bartoli; dico degli ſcritti, perciocchè in quan—
to alla perſona, ſ1 laſciò anch’ egli ſoverchiaó'
mente ſedurre dalle calunnie di Dione e di
Suilio, e ciò ch’ è peggio, ‘i iudicj confu—
ſe di Suilio, con qUelli di acito. ,, Gli
,, ſcritti di Seneca, egli dice, al ſentir d’uo
. ' ‘ ,, mini
'315
ñ ’,, scrive- Michele Montagna, del disprezzo
,, tratta della morte, e ne tratta anche
,, Seneca, il primo il fa-lan uidamente,
,,- e per modo ch’ e’ 'vuol risolvervi a ciò
7‘) di

D’ mini’ d’ ottimo _ intendímento , ſono uno de’ ~


” maggiori teſori, che in' genere di moral
” ſapienza goda anche oggidiil Mondo. Nè
” niun v' ha ,ñ per quantunque fornito di let
” tere, che ſ1 rechi a vergogna lo zſterídere
” la mano, e accattar da’ componimenti di
” Seneca quanto fa al ſuo biſogno, o gli è
” in piacer di vol‘e'rne: e ſembra un miraco—
” lo a dire, quel che nondimeno è conti~
” nuo a vederli, che per quanto e uno e
/ a mille ne tolgano, come chi toglie al ma—
2’ re, e non per ciò lo ſceme, tutto intero
” rimane il teſoro ad arricchirſene gli altri:
” sì affollati e densi, sì gravidl e ſecondi,
z u ciaſcun di mille penſieri, ſono i penſieri
” di quel ſoltiffimo ingegno, il quale qualun—
” que materia'tratti, ſempre è ſlmile a ſe
” medeſimo: e nondimeno ſempre in mille

ſvariate , e tutte nobilie pellegrine guiſe
,9 è diverſo. Ogni ſuo periodo, che è poco
I) men che dire ogni linea, è un intera- 1e
I?
zione . Non dirò giàx con altri, ogni loro
ui parola eſſere una perla, perch’ egli come
BT di coſa donneſca, e da null’ altro che' in—
I’
fraſcarſene il capo , in udendola, forte ne
3)
ſdegnerebbe. Vorran dirfidiamanti, e di
I’
que’ ben terli e fini, che feriſcouo gli
` occhi col lampo, e per ellì trasfondono

2,- fino
\
516
di che egli non è ben risolu‘to, e non
332-"
v’ ispira il coraggio a ciò necessario,
,Perchèjquesto manca 'a lui stesso: il
‘secondo al contrario 'V’ anima tutto e
,, V’ accende. ,, (a)
E per verità quanto Seneca valesse nel
la Scienza de’ costumi, e come per ciò
degne sieno "d’esser lette le opere sue,
n01 dissirnulò egli stesso il suo grave cen
sor Quintiliano, ov’ egli dice che questo
Scrittore oltre’ che fu d’un facile e copio
'' .c
’ so

- ~~,, fino al cuore una lo'r propria virtù, da


,, _temperarlo indomabile a’_ colpi dell’ avver—
,, ſa fortuna, ai diſagi - della povertà, agli
,, ſtrapazzi dell’ onte, alle perdite della pa—
,, tria, dei congiunti, dei cari, allo ſpafimo
,, de' tormenti, alla terribilità della morte.
,, . . . Seneca lieva a farfi maggior: di ſe
,, ſteſſo l’ animo di chi l’ ode, ‘però che il
,, porta a mettere il ſuo nido, e la ſua quic—
,, tè ſopra quanto inquieta, diſordina, ma—
,, nomette tutta la generazione degli uomi—
,, ni. E tale in ciò è il Vigor dell’ eſprime—
,, re i ſuoi magnanimi ſenſi, che non vi par
,, leggere una morta ſcrittura, ma udire in
,, efla Vivo il ſuo ſcritto. ,, Sin qui il Pa
dre Bartoli, il qual proſegue più innanzi in
elogi; ma baſti queſto, ad un ſaggio . Vedi
Geo yafia traſportata al Morale. Cap. IX.
Zeta”. pag. 168. e ſeg.
‘( a ) Efi'ais. Lib. II. Cap. XXXI.
512
So ingegno, da molto studio accompagnato
e da molta e varia erudizione, 'fu un
egregio'persecutore de’ vizj, e che in gra‘
zia singolarmente de’ costumi, ‘degne son
d’ esser lette le opere sue, ove molte co
se incontri degne d" approvazione , e mol
te ancora d’ ammirazione. (a) In fatti
Plutarco aut‘Òr greco, non trovava, se cre
diamo al Petrarca
che'ſinelle , nella
cose morali Grecia siscrittore,
paragonar potesse
al nòstro ' Seneca ,i quando al contrario a
Varrone, a Virgilio, a Marco ~Tullio,
Platone , Aristotele, Omero e Demostene
contrapponeva. E Frontone, secondo alcu—
ni, nipote diPlutarco, asseriva, che Se—
neca per tal maniera‘avea i vizj abbattuti
nell’ opere richiamati,
secoli‘aſiver sue, che sembrava gligliaurei
e ricondotti Dei
sbanditi a vivere in amichevole società
coin uomini.. (b) p ~
' C0
( a ) ſujus ( Seneca: ) 85’ multaz alípqui, ED’
magnae virtutes faernnt: mgenium facile EJ’
capzoſnm, plui-imam fludii, multarnm rerum
` cognitio ., . . . egregins tamen vitím-mn inje
ñ’ator fait. Malta* in eo clarque ſententiw,
multa etiam mornm grafia legenda . . . Mul—
ta enim, nt dixi,pr0banda in eo,mnlta etiam
admiranda ſant. Inſtít. Orat. -Lib. X. Cap. I.
( b ) Vedi Pope Blount. Cenſur; CelebrflAu
thor. pag. 109, e ſeg.
518
Comechè singolarmente nell’ etica siasi
distinto il nostro filosofo, niuno meglio pri
ma di lui fra Romani delle cose fisiche fece
ragionamento; Ne molte nozioni Scoperse .,
che poscia furono dai moderni rischiarate
e adornate, e alla scoperta d’ altre in
gran numero, agevolò ed aperse la via
I sette libri delle Naturali Ricerche, so—
no 'ancora letti e ammirati dagli uomini
dotti. Ragiona quivi fra le-altre cose della
gravità dell’ aria e _della forza sua elastiñ.
ca
do , onde
della l’vcagione
acqua de’
del tremuoti
vmare si ,raddolcisce,
e del mo—

come OSServò il Tiraboschi; (a) della mag—


gior grandezza che_ acquistan gli oggetti
passando per/mezzi diversi, comechè non
ne sapesse rendere la ragion fisica, e d’al
tre molte osservazioni, di cui si fan belli
alcuni autori moderni come di loro ritro—
vamenti, le quali sì posson Vedere presso
il Chiarissimo Abate Andres. (b)
Oltracciò Seneca parla in quest’ Opera
di tal guisa, che par che conoscesse o so
spet—

~( a ) Stor. dellavLetterat. Ital. Tom. II. pag.


190.
( b ) Dell’ Origine pro reſiì e fiato attuale
d’ ogni Letteratura. om. 1V. pag. 287.,
397- 4482 5²5 eC
319
spettasse quel nuovo Mondo, la cui con-.
quista empiè d’oro , ma 'd’ uomini votò le
Spagne. ,, Chi sa, dic’ 'egli in un. luogo,
,, che. ora un qualche principe d’ ignota e
,, grande nazione, fatto superbo del fa
' ,, vore della fortuna, voglia contener l’ar
me fra suoi confini, o apparecchi un’
armata navale , meditando occulte im—
prese? Chi sa qual de’ venti mi appor—
U
terà la guerra? ,, (a) , .
E* altrove più chiaramente. ,, Quanta
nodo
è la distanza che passa fra gli ultimi
lidi di Spagna, e il territoriodegl’ In—
UVM“

di? L0 spazio di pochissimi giorni, ove


alla nave sia favorevole il vento. ,, (b)
Or sembra, dice un anonimo autore,
che questo filosofo non voglia parlare che
del tragitto di Spagna in America , il
quale si fa in picco] tempo, .secondo le
a .rela

( a ) Uude ſcia, un nunc aliquís magna* genti;


' iu abilita domiuus, fortuna? iudulgeutiu tu-ì
maus, non contíueut intra termino: arma, an
parer claffizs, ignota molíens? Uude ſcia hi;
mihi un ille *uentus bellum inwhat? Quaeíi:.
Nat. Lib. V. Cap. XVlII.
( b ) Quantum enim eſt, quod ab ultímìs litto- ’
ribus Hiſpauía; ufizue ad Judas iau-t? Paucíffi
morum dirrum ſpatium. fi nuvem ſum' veutus
z'mplevít. Nat. quſt. Prazſat. Lib. I.
320 7
relazioni" de’ viaggiatori. Non avrebbe' e li
potuto dire il medesimo dell’ Indie Orien—
tali. (a) Ma queste son conghietture sì
vaghe ed incerte , che baster‘a solamente
l’ averle accennate. '
Malgrado di ciò , anche nelle cose fisi—
che‘, fu rimproverata a Seneca una s‘over—
chia docilità nell’ abbracciare alCuni errori,
e nell’ appoggiare alcune opinioni molto
- probabili a ragioni
deva con gran falsissime
calore. v(b) E , Quintiliano
cui difen—

alle nozioni fisiche volle per avventura


alludere‘, ( quando non intenda d’ alcune
opere che dei riti trattavano e della situa—
zione di certi paesi , e che il tempo ha
\distrutte , corne par più probabile ) ove
rimprovera al nostro autore d’ essere stato
ingannato da certi, cuipommetteva la in-Î
dagine di alcune cose . (c) * -
Del rimanente ove si voglia riflettere
che egli negli anni suoi giovanili, ne’qua—
li tanto progresso può far l’ uomo nell’
arti e nelle scienze, dovette quasi Sempre
- com

( a ) Voiage Litteraire fait en 1733. pag. 172.


( b ) Andres. C. L. pag. 4.48.
( c ) Multarum rerum ,cognitio ( in' Seneca )
in qua tamen aliquando'ab iis, quibus inqui
renda' uadam mandabrit, deceptus e/Z. Inſtít.
Orat. ib. X. Cap. I. `
321
combattere colle malattie più tormentose;
che in età virile passò otto interi anni
in un penosissimo esilio , donde poi ri
chiamato , fra le cariche di Pretore, di
Consolo, d’Institutore d’un giovane Prin
cipe fu avvolto; parrà maravigliosa cosa
com’ egli il tempo trovasse onde tante ope
re comporre in quasi tutti i generi di
studj , secondo che Quintiliano affermò ,( a )
e certi errori ed abbaglí vorrem perdonar—
gli, in che egli, forse per la troppa fretta
con cui Scriveva, cadde talvolta, i quali
comechè non sieno di gran momento,ſpu—
re esser debbon fuggiti da un esatto e giu
dicioso Scrittore. (b) E qui sì debbe osser
x vare

( u ) Traffavit etiam omnem ſere fludiorum ma


teriam. Nam 83’ crac/ones ejus, ED’ pas-mata,
è’ api/Zola’, EJ’ dialogi fermztur; Inſtít. Orat.
Lib. X. Cap. I. '
( b ) Ad eſempio, nel ſuo Opuſcolo ad Elvia
Cap. XIII. narra, che eſſendo Ariſtide con
dotto al ſupplicio, V’ ebbe un inſolente che
osò ſputargli in faccia; a che egli nettandofi
\ il volto, con un ſorriſo verſo coloro che il
conduceano, avvertite, diſſe, coſtui, che
non più così impudentemente sbadigli: ad*
mom* iflum, -ne zoo/im tam improbe oſcitet. Ora
è falſo che Ariſtide condotto foſſe al ſuppli—
cio, perciocchè egli mori di ſua morte,flma
3²² .
vare che i tanti libri di lui, de’ quali nel
. decorso dl quest’ Opera data abbiam qual
che idea, non son che una parte, e forse
non

il caſo quì narrato da Seneca, avvenne a


Focione, cui, racconta Plutarco , che men
tre veniva condotto alle carceri, 'dove poi
beVette il veleno , fu da un giovinaílro con
uno ſputo inſultato. Anche ciò che diſſe Eo—
cione è diverſo da quello che Seneca ſa di—
re ad Ariſtíde, e nulla ſente di quell’ arguto
ed epigrammatico, che a Lucio piacea pur
tanto . Ibi Phocionem fama ejì canverjam ad
Archontas dixiſſe: nemo hnjus reprimet peta
lantiam? Vedi Plutarcll. in Phoc. ed altrove.
’\ All’ E iſtola VI. dice Seneca che Platone ed
Ar‘ otele trafi'ero maggior rofitto dai coſtu—
mi, che non dalle parole i Socrate . Plata
{39’ Aríflateles, ED‘ omnis in diverſnm ilura ſa
pientium turba, plus ex maribas, quam ex
ver-bis Socratís traxit. Ora Laerzio, Aulo
Gellio, Euſebio ed altri ci dicono che Socra
tè mori il primo anno dell’ Olimpiade Nova
gefima Quinta, ~0 ſe ſ1 vuole ſtare ai calcoli
di Diodoro, novagefima ſettima, e Ariſtote
le nacque il primo anno dell’ Olimpiade no
vagefima nona, cioè ſette anni dopo la mor
te di Socrate, onde non potè per niuna ma
niera converſare con eſſo lui.
Altri fimíli abbagli potranno oſſervarfi nei Com
mentarj di Giuſto Lípfio alle Opere di Sene—
ca, -e nel dizionario Iſtorico Critico del Bay,
le all’ articolo 'Diogene, e ne’ ſuoi penſieri
ſulla Cometa.
323
non‘la maggiore, delle Opere ch’ egli corn
pose. Ma il tempo ci ha invidiati fra
fili. altri i trattati della Superstizione (a)
ella Morte immatura, (b) delle Esorta
zioni, ( c) della Filosofia Morale, (d)
'del Matrimonio, (e) del Sito e delle Co—
se Sacre degli Egizj, (f) le svasorie, le
,co roversie, le orazioni,'le lettere scrit
te in nome di Nerone , i poemi ed al—
tre opere ancora , che da Tacito si ricor—
dano, da Quintiliano, e dal vecchio Pli
nio . (g) '
E non è da tacersi delle Tragedia, che
sotto il' nome di Seneca son nelle mani
di tutti, intorno al vero autor-delle qua
x 2 li,

( a ) Lané’cant. De Fals. Relig. Lib. I. Cap. V.


;È 4o.XS. Auguſt. De Civit. Dei. Lib." VI.
a . . ` .
( b )PLa&ant. 1.’c. ed altrove.
( c ) Laé‘tant. 1. c. Cap. XVL
( d ) Laäanc. l. c.
( e ) S. Hieron. advers. Jovinían. Lib. I; Cap.
9. ag. 318.
f ) ervíus ad VI. Aeneid . \
B Vedi pur Guſt. Lips. Vit. Senec. Nico].
*Fa er. Praefat. in Lib. Senec. Nico]. Ant.
Bibl. Hìſp. Vet. Cap. VIII. Fabric. Bibl. La—
tin. Lib. II. Cap. 1X. , -ne’ quali due ultimi_
potrai leggere le opere falſamente a Seneca
attribuite .
3²4
li, grande è lo scompiglio fra' gli Eruditiſi -
Io non ne‘ dirò che brevemente , 'parlan—
done tanti autori ex professo, i quali pos—
~son consultarsi al bisogno .
Dieci sono q‘ueste Tragedie,~ ma è uni
versale opinione che non di tutte dieci
sia un solo l’Autore, comechè gli scrittori
non convengano nell’ indicar di ciasche ñ
na l’autentico padre, per ciò che ,lo stlle
di esse non è in tutte uguale.
Giusto Lipsio giudica migliori dell’ a1
tre la Tebaìde` e la Medea, le quali vuc—
le esser parto del nostro filosofo; ma se a.
Sidonio Apollinare si vuol dar fede , par~
che il nostro filosofo una persona sia di
versa dal Tragico. (a) E pure malgra—
do di ciò, è molto probabile che almeno
della Medéa. autor sia Lucio Seneca, della
Medea di Seneca parlando e citandola
Quintiliano, (b) esatto scrittore, il qual
facendo parola tante volte nell’opera sua
del filosofo non con altra denominazione
che
\

( a ) Non quod Corduba pwzpotens alumm’s


Facuudum ci”, hic putes legendum,
Incaſſuxuque ſuum mouet Neranem ,
Orcheflmm quatz‘t alter Euripidis
Plii'umfxdbus Ejehylouſecutus . Carm. IX.
c b ) Inſtit- Orat. Lib. IX. Cap. II.
525
che di Seneca, se da questo diverso fosse
l’ Autor della Medéa, non ce lo avrebbe
lasciato _ignorare . .
Il Lipsio però oltre al filosofo e al re—
tore, due altri Seneca è di parere che
sieno concorsi a comporre quelle tragedie,
nel che s’ accordauo altri scrittori,i quali
nondimeno discordi sono nell’ informarci
precisamente chi fossero. Quindi compa
riscono in Teatro il figliuolo di Lucio,
che però abbiam veduto morir bambino,
e Annéo Mela , e Gallione ,'e Lucano , e
un Seneca de’ tempi di Traiano; conghiet
ture tutte prive di fondamento. Almen
s’accordassero i Critici nel giudicare del
merito di queste Tragedie! ma in ciò nè
pur nOn convengono. Poichè da una par—
te Giulio Cesare Scaligero pensa, che in
maestà Seneca il tragico, a niun tragico
greco sia inferiore, e in certi particolari
ancora maggior d’ Euripide; (a) e dall’
altra Antonio Lullo Spagnuolo dichiara che
‘i Latini mancano della Tragedia, poichè
in quanto a Seneca, lo trova egli così
inelegante, che tranne le‘ sentenze , egli
crede che nulla v’ abbia in quelle Trage—
x 3 die

( a ) Poetices Lib. VI. \Cap. VI. pag. 323'.


\ .
526
die che degno 'sia d’ esser letto . (a) Il Li—
psio pensa che la Troche sia una delle
inferiori Tragedia fra le dieci, e indegna
dei Seneca_ padre e figliuolo: al contrario
Giuseppe Scaligero afferma esser la Troa
de una tragedia divina, e la più eccel—
lente di tutte: nella qual decisione però
ebbe quasi tutti gli eruditi avversari, ein
particolare il Barzio , e il Gronovio. (b)
Più giustamente e più moderatamente
di queste tragedie giudicarono i più m0-`
derni; fra i quali il Cav. Tiraboschi nel—
la da noi tante volte citata Opera sua,
il Padre Brumoy nel suo Teatro de" Gre—
ci, e il Signor Napoli Signorelli, nella
Storia Critica de’ Teatri , dai quali rile—
vasi quanto giovasse ai più. celebri Dram
matici e Franc’esi, e Italiani, la lettura
delle Tragedie di Seneca. '
Io

( aPo)efia.
Franceſco
Volum.Quadrio`
111. pag.
Stor.
47. e. R ag . d’ o gn i
( b ì Dan. Geor . Morhofius,` Polyhìſt. Litter.
Li .,1V. Cap. 'II, Paragr. Vlll. pag. 881.
Altre ſtravagnnti opinioni ſu ciò, legger fi
poſſono nel Fabricio, nel Morofio, nel Gim—
' ma, nel Quadrio, in Nicolò Antonio, negli
' atti degli Eruditi di Lipfia dell’ anno 1702. ,
e in più altri. t
32?
Io, porrò fine a questo argomento col
giudicio d’ un modesto e sensato scrittor
moderno spagnuolo, il qual parmi che a
queste proposito abbia dato nel segno.
,, Abbia dunque, dic’ egli, Seneca il
”u u vu u u vu u vu
suo luogo fra tragici antichi, ma l’ ab
bia cjuale gli si compete, di gran lun—
ga inferiore a quello che con tanto di—
ritto occupano i tre padri del Greco
Teatro. Di quanti hannor lette le su’e
Tragedia, pochi disapproveranno più… di
me quello stile declamatorio, quell’ aria
pedantesca, quella superfluità di parole
e di sentenze , quell’ affettazione e ri—
cercatezza, e quella vana ostentazione
uu
di spirito, che sono a Seneca sì fami
,, gliari, e che non lascianq leggere senza
,, qualche sorta di sdegno, gli stessi passi
,, da me e da altri più celebrati. Io non
,, dirò mai, che-quelle tragedie si debba
,, no contare fra le composizioni dramma
,, tiche di buon gusto, e che Seneca s’ab—
,, bia a riputare un eccellente. Tragico,
,, ed a proporsi per Maestro di teatrale
,,,, Poesía; ma credo
asserire senzaſi nondimeno
timore di poter
d’ incorrere nella
,, taccia di parzialità, che in quasi tutte
~,, le Tragedie dette di Seneca, ma singo
,, larmente nella Medéa , nell’ Ippolito,
x 4 , ,, nella
528 .
,7 nella Troade', si vedono tragiche situa—
77
zioni, tratti d’ ingegnoso dialogo, espres—
u uguuqvquü
ou
sioni d’ ardente e nobile passione , alti
e sublimi pensieri, vere e profonde senó.
tenze,'e bellissiníi versi; e i0 pen
so -che quelle tragedie debbano tenersi
lontane dalla mano de’ _giovani poeti,
e studíarsi da formati drammatici; la
ampollosità e gonfiezza delle espressio—
ni, e la continua affettazione d’ ingegno
uu
corromperanno 1 giovani poeti, singo—
o”
larrnente in questi dl , quando sì paz
vuvu u ”u ugflg
zamente si corre dietro alla -filosofia e
allo spirito; ma irpassi ben condotti,
i sodi pensieri, i nobili sentimenti, le
vere e non'volgari sentenze, e le giu
ste e sublimi espressioni, saranno di
gran giovamento ad un maturo e giu
dizioso Poeta. (a)
In quanto allo stile in generale dell’
Opere di Lucio Annéo Seneca, di cui ci
resta a parlare per ultimo, gravi acCuse
a' lui furon date, e non a torto per av
ventura, e in ciò quasi tutti gli scritto—
ri fortunatamente s’ accordan’o di qualche
nome . ,
E
( a ) Abate D. Giovanni Andres. dell' Origi
ne progreſſi e ſtato attuale d' ogni Letteratura(
Tom. Il. Part. I. pag. 272. a ſeg. \’
/
329
E primamente , per ciò che all’elocu
zione si aspetta, quanto sia egli lontano
dall’eleganza e purità Ciceroniana, e da
quel~nobile giro e maestoso, di_ per se
stesso ognun vede, e molti critici già di..
mostrarono, fra quali in ispezieltà Dcsi
derio Erasmo , nel suo Giudicio Èopra
l’ Opere di lui. ~
Il carattere dello stile di Seneca è .il
fiorito e l’arguto, le quali qualità mede
sime
generelode
loro,meritano ed approvazione
ove usate sieno aſſ temponele
luogo e con sobrietà. Ma queste necessa
rie limitazioni par che non fossero cono
sciute, o non volute conoscer da lui. Per
ciocche gli ornamenti e le figure sono al—
.lo stile, come alle vivande il salele gli
aromati, che le condiscono e le perfezio-`
nano, se con mano parca e giudiciosa vi
sieno sparsi, ma le guastan qualora git
tati a larga mano vi sieno e senza modo.
Seneca di conCettini brillanti, di antitesi,
di contrapposti mai non si sazia anche al—
lora, che. la severità dell’argomento meno
il comporta: piace in sulle prime alìlet—
tore colpito da que’ lampi d’ ingegno, ma
il troppo lume poi quindi l’abbarhaglia e
lo stanca. Oltraccíò Seneca per dar più
,ñ risalto al suo ingegno, non contento d’ ave):
l [ ~ detto
35°
detto una cosa in una maniera, quella
stessa in diverse altre ripete, onde il leg
gitore che nell’ opere d’un filoso‘fo si pro—
ponea in piccol tempo di fare profittevole
viaggio e lungo cammino, si trova con
sua ncia d’ essere dopo molta lettura p0
co inoltrato: onde egregiamente ebbe a
dire il Malebranchio, che *Seneca il più
delle volte era simile ai ballerini, che
dopo essersi molto, agitati, sempre ritor
nano donde s’ erano dipartiti. (a) E per
addur un esempio solo, in prova di quan—
to dico, tra i molti che si potrebbono di
l'eggieri, leggasi il capitolo sedicesimo del
primo libro dell’ Ira, ove racconta che
un soldato, di l'ito’rno- da un’ espedizione_
in cui avea smarrito, senz’ avvedersene ,
un suo compagno, presentatosi a Gneo
Pisone suo Generale, questi veggendolo
solo, reo lo credette d’ avere ucciso il
compagno, e montato in collera, senza
conceder tempo a cercare l’ uomo smarri
to, comandò ad un centurione che tosta—
mente il facesse morire. Ma mentre s’ ap
parecchiavan le cose al supplicio, il corn
pagno del condannato comparve, onde il
cen

( a ) De Inquirenda Veritate .r Par. III. Cap. IV.


33‘
centurione fece sospendere il tutto, chiañ
ra essendo l’ innocenza del reo preteso. i
Ma Pisone udita ch’ ebbe tal cosa, bestial—
mente uccider fece e l’ innocente ricono—
sciuto, e il Soldato ` per lo smarrimento’
del quale ‘colui s’uccidea, e il centu
rione Che preseder doveva al supplicio. Il
primo perchè già era stato condannato, il
secondo Perchè era stato cagione di que
sta condanna, e l’ ultimo finalmente per—
chè non avea gli ordini eseguiti del suo
Generale. Ora quì argutamente riflette‘
Seneca , che pari-’vano due persone perchè
una era stata, riconosciuta innocente. (a)
ſi Questa riflessìone è vera, ed è detta d’ una
maniera acuta e che piace. Ma appunto
perchè conoscea dover piacere questa sua
riflessione, l’ autore la ripete due altrev
volte , se ben con diverse parole, dicen
do, cbe per l’ innocenza d’ un. solo, era-o"
no State condotte all’ istesso patibolo per‘
morir tre persone ,- ,(b`) e finalmente più
sotto: che Pisone, mèditò come dovesse far
tre
, \

( a ) Quía um” innocens apparuerat, duo pe


ribant .
*‘f( b ) Conflzfutz ſunt m ”dem lacoperitriri tres
ab umus innocentan
35?
tre delitti, perchè non n’ avea trovato e
scoperto niuno. (a)
Queste due ultime riflessioni inutili af—
fatto, secondo a me pare , disgustano an—
cor della prima , o le ne scemano buona
parte del merito. Ecco` quei dolci `vìzj ,
di cui Seneca tanto` abbonda, per ’atte—
stato di Fabio, il quale desiderava che
questo scrittore non troppa affezione aves-ñ
se portato a tutte le cose che gli esciva—
no dalla penna, ne avesse disprezzate a1
cune altre, le migliori scegliendo. (by’
Mae li avea quel difetto medesimo che
il Paîre suo rimproverava a Montano, e
che noi abbiam rimproverato ad Ovidio,
degno più di perdono come Poeta, di gua—
-star le proprie sentenze col ripeterle, poi—
chè non contento d’aver detto bene una
cosa, la dicea quindi non vbene col repliñ
carla. (c) Que—

( a ) Exeogz'tavit qnemadmodum trz'a erimína


l faceret. quia nnllum ume-nera: .
( b ) Sed ſi ali na cantempjîſſet . . . ſi non 0m
m’a ſua ama et . . . eigere modo cara*: ſit,
quod Ttinam ipſe feuflet! Inſtit. Orat. Lib. X.
ap. .
(_e ) Habet [10!: Montanns 'L'itinm, ſenteutias
ſuas repetendo corrmnpít, dum non efi conten
tus nnam rem ſemel bene direi-e, effzcit ne be
”e dixerit. M. Ann. Senec. Excerpt. Contr.
Lib. IX.-Decl. V. `
, ‘ 533 ì
Questo difetto stesso di ripeter le cose
medesime, e di non mai saper ridurre le
proprie riflessioni ad una giusta misura,
caricando un pensiero di tutti i colori che
possono, siccome ei credeva, abbellirlo, e
mettendolo in tutti gli aspetti sotto i qua
li potesse eSSer veduto; fece per avven
tura che il gran Quintiliano bramasse,
'ch’ egli scritto avesse c0] proprio ingegno,
ma col giudicio d’ altrui. (a) E quindi
n’ avviene altresì ch’ egli diffuso e prolisso
riesca, non essendo la sua che brevità di
periodi, nella minutezza de’ quali egli
portò l’ affettazione ad un eccesso estre—
mamente vizioso. La sua dicitura è sen—
za numero, composta essendo di membret—
ti esilissimi, onde .uno stile si forma sen—
za forza e senza nerbo. Una sentenza
grave a tempo e luogo, piace e diletta
quanto è più Vibrata, e calzante, ma il
cucir lo stile quasi tutto di sentenze 0
d’ epigrammetti, e far che tante sien le
sentenze , quanti sono , a così dire , ilpe—
riodi , è un far che la dizione riesca
dilombata e sconessa: distraendo oltrac
ciò con queste inezie l’ attenzione del legó,
glto

( a ) ‘Valles eum ſuo iugeuio dixiſſe, alieno iu


dmo. L. C. 4
\
'534 _
gitore, che tutta dovrebbe essere occupa
ta dall’ importanza dell’ 'argomento tratta—
ñto , cosa che Fabio riprovava altamente
nel nostro Seneca, (a) e che Seneca stes—
so condannava negli altri, (b) ma che o
' non conosceva forse,0 non;sapeva correg—
gere in se medesimo, come accade pure
spesso ai Letterati.
Perchè è forza pur confessare, che se
Caligola mostrò in quasi tutte le sue de—
liberazioni una decisa alienazione di ani—
m0, pazzo non mostrò affatto d’ essere,
allorché disse , ciò che abbiam notato più
sopra, che la dicitura di Seneca, era cal
ce senza rena.
Non

( a ) Num fi aliqua 'contempſiſſet, fi uou omnia


ſua amuſſel, ſi rerum pondera miuulíſſimz’s
ſenleutiis non fregiſſet, conſeufu potius erudi
torum, quam puerorum amore comprobaretur .
( I7 ) Eleffa verba ſunt ( Fabiani ) non cuplata
nec hujui` famuli more contra uutumm ſuam
poſita è’ inverſa, ſplendida tamen quumvis ſu
meutur e media: ſen/us honeſſlos 65’ magnificos
habent, uan eouffos in ſenteutiam, ſed altz’us
duffos.. Epiſt. C.
Le gi tutta queſta Epiſtola, ove Seneca parlav
ello ſtile vario degli Autor de’ ſuoi templi,
e ove fa il ritratto del proprio ſenz’ avve—
derſene .
_ 555
Nonxsi dee però -dissimulare 'che egli,
ivi ha più lu‘sso di concetti, d’ antite—
si, e di_ contrapposti, ove tratta di mo
rali argomenti, ne’ quali per. verità do—
vendosi molte cose dir comunali e che di
spiacciono alla più parte de’ leggitori, per- `
chè rimproveran loro i vizi più dolci e
più cari 5 è lodevole cosa sobriamente adore
nargli di colori ameni e pellegrini, onde
in parte nascondere la salutare amarezza
che in se racchiudono , come leggiam ne’
versi di Lucrezio e del Tasso. E su que—
sto particolare non avremmo di che far
rimproveri al nostro Seneca, se in queste
medesimo avesse usata qualche moderazio—
ne, e non fosse dato in viziosissimi ec—
cessiÌ
Nondirneno ove egli trattò di fisiche a
naturali materie, nelle quali i soverchi
ornamenti sarebbono ancora più condanna—
bíli, fu molto piì‘r sobrio e moderato, on
`de anche `per questa parte i suoi libri
delle Naturali Ricerche, sono l’ opera che
va riposta nel ruolo delle più degne di
commendazione . '
Malgrado però di questi difetti, egli
ha delle bellezze, ( anche sol dello stile
parlando) che in pochi altri autori si tro
vano. Sentenzepellegrine e nobàlissime
\ ette
556
dette con energia, che ti si imprimono
-senz’ accorgerti nella. memoria, tanto in
morali argomenti, quanto in politici e let
terarj, delle quali meglio si conosce l’ ag
'giustatezza e la verità,quanto più a lun
‘go si meditano: comparazioni ſelicissime ,
da`\1ui usate a provare e rischiarar certe
dottrine, o astruse, od oscnre, o inamaó
bili; comechè anche in ciò affatto esente
non vogliasi da ogni difetto. (a) E tan
to basti per ciò che s’aspetta allo stile
di Seneca, del quale molto giudiciosamen—
te ban parlato, oltre i Mureti, i Fabri,
e gli Erasmi, il Crinito, (b) l’Eineccio,
(c) e meglio ancora il Palavicino, (cl)
il Bollino, (e) il Nicole (f) il Mabillo—
ne (g) il Cavalier Tiraboschi, (h) per
tacer d’ altri molti. " Per

( o ) Palayicini della Stile e del Dialogo. Cap.


VII. ~
b ) De Hana/ia diſciplina. Lib. I. Cap. XVI.
E a ) Emdammta ſtili cultioris. P. I. Cap. II.
P. III. Cap. I. ‘
( d ) L. C. Cap. IV. e ſeg.
( e ) Della maniera d'inſegnafl e di ſtudiare le
bel Lettere Tom. 1-. pag. 8-3. Tom. II. pag.
188. a ſeg.
‘( f ) Dell' Educazione d' un Principe. P. II.
-Nr0. 39., 40,
(g De Studiis Monafl. Tom. I. Cap. XIV.
( h è Stondella Lettere”, Ita!. Tom. ll.pag. 19I.
fi... fl..-———`-ññ.-—ñ—- ., ,-..…w..-- : o ‘n'

. 33?
*Perchè conchiuder'em finalmente , che le
Opere" di Seneca, messe non saran nelle
mani di que’ Giovanetti che non hanno an
cora il gusto formato colla lettura assídua
de’ Classici Latini, quali sono senza ecce—
zione Marco Tullio, Salustio, Cesare, Li—
vio, Cornelio Nipote, ec. e tanto più ri
gorosamente si proibirà loro la lettura di
Seneca, quanto questo scrittore più per—
nicioso può essere al buon gusto che non
sarebbono i Plinj , i Taciti, e tali altri,
appunto perch’ egli più spesso abbonda di
que’ vizj amabili e dolci, che incantano
gl’ inesperti, e all’ imitazion gli strascina,
come avveniva ai tempi di ñQuintiliano,
in cui molti contenti di aver imitato Se—
neca in ciò’che in lui condanniamo, an—
davan fastosi quasi altrettanti Seneca fos—
sero, e si difendevano colla sua autori—
tà. (a) Ma que’ Giovani al contrario che
avran formato e assicurato il buon ’gusto
colla lezione de’ buoni e sinceri scrittori,
leggeran Seneca anche perciò ch’ein ser
y - x v11îà

( a ) Sed placebat ( Seneca ) propter ſola m'


tia, E‘Î adeo je qníſque dirigebat efflngenda
qua: poterat: deinde rum e z‘affaret, eodem
`modo dicere Seneca… infama at. M. Fab. Quim
til. Inſtit. Orat. Lib. X. Cap. l.
558
virà vloro d’ esercizio a scegliere e distin
guere l’eccellente dal mediocre e dal vi
zioso, e dall’ oro lìorpello. (a3
Oltracciò' le Opere del filosofo influiran—`
` no maravigliosamente ad eccitare’ gl’ inge—
gni più, tardi, a somrninistrar' loro argo
menti e pensieri vivaci, peregrini,ed ame—
ni, di Cui quel suo felÌCÌSSimo ingegno’
era ;una indeficiente miniera. 'Peccato con
chiuderemolcon Quintiliano, che non sì
desse la pena di limare è di corregger .av
vedutamente certe esuberanze colui che
sapea fari tutto quel che voleva, pur che
il volessè; (b) e che fatto forse anche
avrebbe, se le malattie, l’ esilio, ’le cure
,domestiche , i pubblici incariqhiñ, *la cor—
te, ed una morte immatura; non gliel
avessero a comun danno impedito!

FINE DEL QUARTÒ

ED ULTIMO LIBRO.

AG

( a )`Verum ſic quoque iam mſm/lis. EQ” ſeve


riore gene” ſatisdfirmatis, ( Seneca ) legen—
dus ‘nel idea. quo exe-”ere pote/t utrinque iu
( ZicíuÎEnl. Quintilà L. C.
- feciſffliz![gere ma enim
Diga” o cura- 1t: uod ati-mm
fiiiſillaqnatura quod i11%.e
liora vellet, quae quod vol-uit efficit. íbid.
539
AGGIUNTA.

A carte '124 ove scrivo di Vitellio che


con azioni indegne s" aperse la. `via, al su
premo grado al quale poi giunse, ho io
preso error grave, perciocchè quel Vitel—
lio, di cui quivi si parla, fu Lucio Viñ`
tellio, e quegli che all’ imperiale dignità
pervenne., fu il suo figliuolo Aulo Vitel
lio che ne’ vizj ‘superò il Genitore: e il
ritratto_ che ivi se ne fa coi colori di Ta
cito, s’ appartiene a quest’ ultimo , come
chè convenga anche all’altro, audace egli
pure ad un tempo e codardo.

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I
I N D I C E
DELLE MATERIE
'_PIÙ INTERESSANTI
V

I numeri romani indican le pagine della


Prefazione, gli arabicî quelle del
rimanente dell’ Opera. i -

‘ O
A i **m ~.\ a
AEM—it”. Operetta di celebre moderno autore
lodata 306.
S. Agoſtino giudica che Seneca propenso fosse
ai crístianí 220. Non crede canoniche le api;
stole fra S. Paolo e Seneca 289.
'Agrippina, Notizie della sua Vita 120. Sito ca
rattereClaudio
123. Diventa sposa di Claudio 125. 127.
In-
duce a richiamar Seneca dall'esilio l,
Quai, motivi a ciò la splgnessero 129.‘ Il fa ,
Pretore 130. 0diava la filosofia 145; Fa avve- ` \
lenar Claudio 152. Crea Burro Prefetto de’Pre- ’
toriani 160. Dominio ch' ella prende sopra Ne—
rone ivi e ſeg. Fa avvelenare Giunío Silano `
Proconsolo d’Asia 165. 'Fa morire Narciso 162.‘
Si presenta in Senato e vuol sedere accanto
all’ Imperatore ivi. Sue colpevoli condiscen—
y 3 denze
54s . ~
denze verso di lui 174. Sue minacce al mede—
simo 175.
dizione Cercada di`
fattale un farai im partito
astrologol, e sua178. Pre—
risp0$ta
ì. ivi .p È allontanata Per ’ordin So’v'rano dalla cor
te 171). ,È— abbandonata da tutti iui ,-;È accusata
di ribellione 181.‘ Si ‘difende e torna in grazia
del figlio 183. Ultimi sforzi per cattivarsi l'af
fetto di lui, e staccarlo da Poppóa 188. 'Peri—
colo' ch’e'ssa cÒrre-della vita‘*-'l‘90’-.- Ne scampa
192. Ne sospetta l’Autore 193._ Invia un suo
liberto a Nerone ad informarlo del corso pe
ricolo ivi. Èuccísa 194. Ultime sue parole im'.
V r ‘ze-ro :lo .Alfieri Sig. Conte Alésandro lodato 218.
Andres Sig. Abate Giovanni ÎSua Opera lodata ;5.
e 318. suo bel giudicio intorno alle‘ tragedie
di Seneca 327. - - r -
Annéo Novato figliuolo maggiore di M. Ann.
Seneca. È adottato da Giunio Gallione . Notizie
della' sua vita-5. Suo motto intorno a ‘Clau
_ dio 155. - ~ --v `
Annéo Mela figlio di M. Ann. Seneca. Pregi del
suo carattere e sua’ mortery.
Anieeto liberta prefetto dell’ armata di Miseno
' Aio_ di Nerone 145. Insegna a Nerone il modo
di far perire ‘Agrippina .191.- Uccide Agrippina
ì 194. Si-finge adultero di Ottavia 217.
Antonino Marco Imperatore _. Suo 'centimento in—
torno alla passione dell’ Ira 78. È uno de’ più
~famosi campioni dello stoicismo 304.
' Apol
543'
Apollìnare Sidonio . Suo sentimento intorno all'
autorendellè così dette Tragedie digSeñneca 324.
.Aristotile. Suo sentimento intorno all’ Ira 78.'—
Atalo filogoſo stoico maestro di Seneca, elogi.
della sua dottrina' 23. , ,~ . ~
Alte .liberta amata da Nerone 172. Impodisce per
ordin di Seneca il sacrilego incesto dell’ImPe
ratore 189. r
Aula Gellio. Sue accuse
neca 148, 241, 250”
impudenti contro dii Se

Ausom’o. Suo passo spiega‘to 131.

Bagnolo Co. Gio. Francesco . Sue osservazioni


sul nome gentilizío di Seneca I. '
Baronio Cardinale 290.
Bartoli Padre Danielle, lodato .‘Ioo, 166, 226‘,
che senta di Seneca in confronto di ‘S. Ago
stino 301. Suo bel giudicio intorno all’ opere
di Seneca 314.. ` i ' ~ ,.
Bayte Pietro 172. 322._ ñ '.
Bettinelli Sig. Ab. Saverio lodato 96, 98.
Bodiua Giovanni 276. ~ '
Brita-unica figlio di Claudio` .amato da tutta Ro~
ma 176. Odíato da Nerone e, perchè ivi. Muo—
re aVVelenato 176. . .\_
Brukero Jacopo ha scritto di Seneca V. Sua cen
. sura all’Uezío 391:. , a K
y 4. . y Burro
544 . A
Burro Afranio prefetto 'de’ Pretoriani 160; Suo
raro carattere ivi'. Salva la Vita ad A‘gríppína
181. Impedisce il ripudio d’ Ottavia' 187. Sua
condotta all' occasione della morte di Agi-ippi—
na 1957,.v È avvelenato l‘99. Ne sospetta l‘auto—
~: Ter-e‘ sue ultima parole a Nerone ivi-.1 Suo elo
gio lui. ‘
..'.l

ñ Caligola Imperatore, Sua-brutalità e invidia cen—


“tro i letterati più insigni 19. Suo giudicio cir
ca allo stile di Seneca' 20 e 334. Comanda la
morte di Seneca 20, perchè. rivocasse quest’
ordine ivi. /Ama disonora ed esilia le ~Sorelle
89. Abolisce i decreti- di Tiberio 1'09. Perchè
sposasse Lollia Paulina che poiripudiò 120.
Cameraria . Suoi elogi dell’Apocolaeíntosi di-Seſi
neca 155.
Cardano Geronimo fa il Pnncgírico di Nerone 149.
Cicerone M. T. difende e spiega -gli stoíci para
dossi 48. perchè sì mostri' loro talvolta con—
trario im'. Gli lode 56. Censura i peripàtetici
— 78. Scrive intorno ai beneficj 214.. 283. Suo
argomento a provar- l’ esistenza di Dio 293.
Citato 306. 308. — ì
Claudia Imperatore:. Suo carattere 78. È infor
mato de’disordini di Agrippina 150. Sue paro#
le minacciose su vciò 151. Si pente d’ aver.
adot—
345
.. adottato Nerone ad esclusion di Britannico im'.
Va a Sinuessa per ristabilirsi in sanità- e vi
muore avvelenato 152. '
Cordova `patria dei Seneca I.
Corda Cremuzio fatnoso storico perchè fosse fat—
to accusar da Seiano 106. Si lascia morir d’ ine—
día 107.
Corsim descrizione di quest’Isola 94.
Crisippo, filosofo stoico . Suor orgoglio e sue
contraddizioni 49. Sue inezie e cavilli 55.

Dante Alighieri` Suoi versí lodati 60.


Dati Carlo. Suo passo elegantìssimo intorno 'agI’
importuni censori 209. ,
Deirio Antonio sua Vita di Seneca V.
Demetrio filosofo cin‘ico amico di Seneca. Suoi
pregi eminenti 25.
Destro Lucio , crede che Seneca fosse cristiano 288.
Diane Cassio . Suo carattere, e qual fede meriti
no le sue smrie IX. ingíustizia de’suoí giudi
cj ad infamia di Seneca 136. 241. 255. ec.
Domizia Gneo marito d’ Agrippina. Suo caratte
re suoi vizj e sua morte 121.

E
Einnetcío censurato XIV. AccuSa Seneca di ma—
terialismo 311.
y 5 _ Elvio
346 ‘ ,
Elma vmoglie di M. Ann. Seneca. Vita ed elogi
. di questa matto-na 4..
Erasmo ,di Roterdam . Suo giudicio intorno agli
vécrittí di Seneca 313. _Ne ha rilevati iv difetti
della latin'ità 329. - . i ,

Fabricz'o Alberto V.Lsua opinione disaminata 291. 7


Fontana Padre D. Gregorio lodatom 277.- ' x‘
Fontaine—La-. Sue favolette lodato 271. ~ 'i‘
Fronto-ne. Suo grande elogio diÎSeneca 317. 4

S. Girolamo. Suo elogio di Seneca 257. Regîstra


Seneca fra gli Scrittori `Cristiani e perchè 287.
289.
Giulia Livilla figlia di Germanico 89. Notizie
della sua vita, suo esilio, suzzt morte 9L -
Giulia Silana è ripudiata da Silio. per volere di
Messalina 88. t
Giuvenale 80. Idea ch’ egli. dà delle' beneficenza
di Seneca 259.
Guazzo vStefano 276.
L “ì’ `
Lampitlas Sig. Ab. Saverio lodato 15'. 244. :24.8.
252. Sue qpinioñi esaminate 274. 279. 284. L0
dato. 285. ’
Lat
x - '5.42
Lattanzio Firmiano. Sue espressioni intorno ai
servili imitatori 60` _ _
Lepida Emilio cognato ed »adultero di Agrippi
na 125. q . i , ì ,
Lipsío Giusto . Sua vita di Seneca V.: -Sue opi
nioni ésaminate 17. 228. Grande‘adoratore del—
la setta stoica 47. Suo fanatismo in favore di
Seneca 286. Suo giudicío delle Tragedíe di Se—
neca 324. Sue opinioni intorno agli autori di
'esse 325. e seg. -ec` Suoi. dubbi circa alla con—
solazione a Polibio `269. ec. l -
Lollia Paulina pretende alle nozze di Claudio 118.
Notizie della sua vita 119. Sue immense ric~
chezze ivi.
Lollio Marco Aio di Caligola. Suo carattere 119.
Lucano, M. Ann. poeta figlio di Ann. Mela. En—
tra nella congiura di Pisone eipe-rchè 9. Accu—
,sa Atilla sua Madre e muore sve—nato ivi .
Lucilio grande amico di Seneca 40` Notizie 'de-lla
sua vita, e sue opere 4L’
Luciano scuopre i difetti degli stoici_ e perchè
56. Sua invettiva contro ‘un ricco ignorante
che adunava una Libreria 70. `
Lullo Antonio Spagnuolo. Disprezzo con che
parla delle Tragedic di Seneca 325.
548-'
M J

Malebranrhía condanna la vanità delle dottrine -di


Seneca 312. Suo bel concetto intorno allo 'sti—
le di quest’ autore 330.
Marcia figlia' di CremUZio Cordo 105. ConserVa
r gli scritti‘paterni ,- e morto -Tiberio gli pubbli- '
- ca 109. Suo dolore alla morte del figlio In;
Marziale Val. IO. Alludo alla morte di Claudio
»'153. Idea ch’ egli dà delle-‘beneficenze di Se
neca 250. Condanna il Suicidio- 311.
Matchmio. Sua operetta lodata 43.
Mqflahna Imperatríce . Suo Carattere 85.’ Fa mo
rir Appio Silano perchè non vuol condi‘scenñ
ñ'dere alle “SUe libidiní ivi. Fa del suo pal-agio
~'un postribolo- 86. Spo'sa' Silio ’pubblicamente
"vivente Claudio suo marito‘BFí‘Sua morte-89.
Esilia ed uccide Giulia ’di Germanico, e per
' chè 90. Induee `Claudio ad esiliar Seneca 9L ec.
Metitio figlio In.
suoi pregi di Marcia no.v
ñ i Sua‘ morte
› «1 e rari

Montagna Michele‘. Suo giudieîo intorno ` a Dio


ne e a Seneca XI. Suoi tratti frizzanti verso le
~ donne 132; Suo giudicio `dell’ Etica di Sene—
ca315. - ~~ " `~ - ì i
.Montesquicu.
ta stoicà~ 55.Sue espressioni favorevoli
ñ alla-*set—ſ

Mathe'le- Vayer. Suo *fanatismo in favore di Se


~ neca 286.
` ' Murata
i 549
Mureto Marcantonio. Giusto disprezzo con che
parla d’Aulo Gellio 250.

N t

Narciso favorito di Claudio e complice de’misfat—


ti di Messalina 84. Divenutone poi persecuto—
re la ſa uccidere 89. Muore di stento in pri—
gione 162. ‘ ›
Nerone Imperatore . Notizie della sua vita 144..
Non era inclinato all’eloquenza 146. Riusciva
mediocremente in poesía ivi. Fu il pri-mo degl‘
Imperadori romani che parlasse pubblicamente
imboccato 14.7. Suo motto intorno alla morte
di Claudio 154. Suoi saggi discorsi in Senato ‘
1 composti da Seneca 156. Ottimi cominciamenti
del-Que governo, e suoi magnanìmi detti 157.
ó. Suoi vili esercizj ‘e passioni ;64^ Si disg'usta
d' Ottavia sua moglie e s’ innamora d’ Atte‘- Li—
betta 172. Sua invidia. @Britannico›176. Lo
avvelena 177. Scaccia di corte 1a Madre 179.
.-Si risolve di farlav morire 181. Si- ritoncilia con
essolei 182. S’ innamora di Poppéa Sabina L83.
- Comincia ad odiare Ottone suo amico, e l’al~
lontana da Roma 185. Insidia la vita di sua
ñ madre occultamente 190; I suoi tentativilson
vani 192. vSuo spavento e suoi timori 193. Si
consiglia con Seneca e Burro ivi . Comanda la
morte di Agríppina 194. Suoi rimorsi 195. Sua
lettera
35°
lettera al Senato ivi . Fa avvelenar 811116199.
Comincia a disprezzar Seneca 201. Suo discor—
so a Seneca 206. Sue inflnte carezze 206.‘Riñ
pudia Ottavia e sposa Poppéa 215. Esilía _Orta
via 216. È costretto a richiamarla ivi. L’ accuñ_
sa egli stesso e la fa uccidere 217. Fa intimare
a Seneca la morte 234.. Proibisce la morte a'
Paulina e perchè 236. Sua smania d’esser ascol
tato e lodato quando cantava sul palco , e sue
. `atravaganze a questo proposíto 262.
Nicolò .Antonio V. 2. 26. ec.
Nanio Prìsco amico di Seneca, perchè esiliat-o 44.

Orazio FIM-:0 67.'…Amìco di M. LOHÎO 119. 27:2.


304.. v ì .
Ottavia figlia di Claudio, prima moglie di Lucio
Silano poi di Nerone 125. dichiarata sterile
e poi ripudîata 215.’ È accusata d’ adulterio ed
esiliata_ 216. richiamata ivi., . nuovamente
accusata ed uccisa 217. Corso infelice di vita
di- questa Principessa 218`
Ottone marito di Poppéa 183. È amico di Nero
ne poi vien considerato come nemico e rivale
185,_ È mandato governatore in Portogallo 186.
' 351
P

Pallante Liberta di Claudio favoreggíator di Agrip~


pina 118. 120. e suo adultero 124. Gli vien
levato da Nerone il maneggio delle rendite
pubbliche 176. ' /`
Papiria- Fabiano filosofo . Suoi pregi 27.
Passieno Crispo secondo marito di Agrippina 122.
t Sue qualità e sua morte ivi. ,
Paulina Pompea’ seconda moglie di Seneca 132.
Sua nobiltà e suo amore verso i1- marito ivi e
~ vuol morire con lui, e si fa tagliare le vene
delle braCcia 236. Vien impedita la sua morte
per ordine di Nerone im‘. Calunnie oppostele
e sua fedeltà serbata al marito deſunto- insin
che visse 237. ,
Pisone Calpurnio aspira all’ irnpero 230. Suo ca—
rattere ivi . " ~
Plinio il vecchio 119. 253.
Plinio il giovane'. Suo passo lodato 258.
Plutarco nemico degli stoici 49. Sua conformità
con Arístotele 78. Mostra in un suo libro, mor—
tal credere l’anima umana 308. Non trova nel—
la Grecia scrittore da paragonarsi nelle coSe
morali a Seneca 317. -
Poppéa Sabina. Suo carattere e notizie della sua
vita 183. Suoi artifizj onde innamorare Nero
.ne e divenire Imperatrice 185. Diventa sua
moglie 215. Fa accusare Ottavia 2.15. Sue in-r
gum—
Z5² ’ ’
quietudini e raggiri all’ Occasione che Ottavia
è richiamata dall’ esilio 217.

Q
Quintiliuno M. F.,Sue accuse di Seneca 148. 302.
320. 332. 333. 334. Sue lodi 148. 316.

Rustíco Fabio, storico amico di Seneca 45.


Rousscau Gian Giacomo. Sua opinione disamina—
ta 65.
Regola. Suo eroismo 284.

S.

Scaligera Giulio Cesare . Suo pomposo elogio


delle tragedie di Seneca 325.
Scaligera Giuseppe dichiara la Troade essere la
più eccellente delle tragedie di Seneca 326.
Seneca Marco Annéo . Sua condizione 3. Sua pro—
digiosa memoria z'ví. Notizie della sua Vita 4.
Sue Opere 13. Disprezzava la filosofia e per
chè 16. 32. .
Seneca Lucio Annéo quando nascesse IO. Sua
-complessione infermiccia II. Attende all’velo
quenza e perchè 12. Lodi ch’ egli n’ ottiene I5.
Non è vero ch’ egli abborisse questo studio 16.
Motivi
ì 555'
Motivi per i qualidovette lascíarlo 17."Sue
malattie 21. S’ abbandona tutto’ allo Studio .del
la filosofia, e suoi maestri in questa scienza,
23. Riforma i suoi costumi 28. S’astien dalle
carni 3L Torna a cibarsene e perchè im'. Esa—
mina ogni s'era la sua condotta ‘del giornog-z.
Suoi esercizj cor‘porali 33. Suo amore alla cam—
pagna e all’ agricoltura 34. Sue massime intor—
no all’ amicizia 35. Suoi amici 39. È seguace
della setta stoicaî`senza però esserne schiavo
46. Ne difende le` *massime e la condotta 48.‘
In certi particolari la censura 51. Odia l'imitaá
zione servile, e sue massime intorno all’imi
tazione 58. e all’ ostentazionì‘fil'osofica'62. Me
todo de’ suoi studj 63. È fatto Questore 71.
Suo primo matrimonio 72. figliuoli avutine 73.
Suoi viaggi 75. Quando scrivesse il trattato
dell' Ira 76. Sua anà'lisi 77. 'È mandato in esi—
lio 94. Costanza con vcui 'soſfre la ñ‘sua dísgra—
zia 96. Suoi trattenimenti in Corsica 97.' Sori*
Ve le consolazioni alla Madre IOI. a Polibio
103. a` Marcia 105. e il Trattato della 'Provvi—
denza 115.-Analisi di queste operetta* 101. 163.
- III. 115. È richiamato a Roma 127. è -desti—'ó
nato Precettore~ a Nerone 129. È fatto Preto
re 130. `e anche Consolo *131. Suo secondo
matrimonio con Pompea- Paulina 132. Impres
‘ sione che ſa in Seneca lo `epleiador della corte.
e contraddizioni che prova in se stessoper
` ciò
554 '
ciò 136. Scrive i Trattati della Tranquillità ddl’
animo 138.- della Costanza‘ del Saggio 140. e
della Breuittì'dello vito 142. loro analisi 138.
141. 14.2, Sue, espressíoni poco favorevoli al
Bel Sesso 14.2. Scrive l’ Apocalocintosi 154. Idea
di questa satira ivi. Salva il decoro dell’Impe—
_ ratore 165. Scrive il Trattato della Clemenza
166. Sua analisi 167. Saggi artifizj con cui:si
studiava di governare Nerone 170. Salva la
dignità a Burro 181. la vita ad Ottone 185.
lmpcdisce l’ orribile incesto di Nerone 189. Sua
condotta‘all’ occasione dell' uccision d’ Agrippi—
na 193. Impedisce un gran ,macello che medi
tava Nerone 198. È accusato presso il Monar—
ca 200. Suo díscorso a lui goa-“Si ritira affatto
dalla corte e s’ abbandona tutto agli studj 2o7.
Scrive il Trattato della Vito Beata im, (1116110
dell’ Ozio del Saggio 211. e i libri dei Beneficj
212. Analisi di questi* scritti 208. 211. 213.
Non esce più della sua stanza sotto pretesto
della podagra e perchè 219. Suo parco vitto
221. Infelice"stato della sua sanità ivi. Sua in
differenza per le sue ricchezze 222. Quando
scrivesse le sue Epistale 223. Idea di esse, 224.
Quando scrivesseñì libri delle Naturali Ricer—
che 225. ,Elogio e idea di quest’ opera 226. È
ìngiustamente
viene intimata accusato di di
perv ordin ribellione
Nerone 231:, Gli
la morte

- 234. Dimanda i1 suo testamento che gli è ne—


’ gato
. 555
gato 2 5. Sue parole agli amici ivi, e alla,
Moglie 236. Si fa tagliar le vene delle braccia
e delle gambe 236. Si scpara dalla Moglie im' .
Beve la cicuta 237. ' Entra in un bagno caldo
ivi . Sue ultime parole iwî. Muore iui‘.
Lucio Annéo Seneca difeso dall’ imputazione _d’ or
goglio 24.3. Sue ricchezze 252‘. Giustificato dal
le accuse che gli si— danno per esse 253. Sue
beneficenza 259. Non è vero ch’ egli applaudis—
se in Teatro alle prostituzioni di Nerone 261.
Aecusto di bassa adulazione, se è opera sua
la Consolazio-ne a Pohbio '264.. Conghietture on—
‘dr- dubitar non sía sua 269. Sua nera ingrati
tudíne verso Agrippinar'275. Perchè tenuto fos
se da molti per-Cristiano 287. S' egli avesse
commercio di lettere con S. Paolo 289. Senti~
menti dèSeneca intorno alla` divinità dai quali
si potrebbe creder Cri‘stiano :392… e sull’ immor
talità dell’anima umana' 297. Altri sentimenti
suoi sulla divinità che contraddicono/ ai primi
'e che- il mostran Pagano 302. e sull’ anima
umana 307. Approva in certi casi il Suicidio
308. utilità morale delle Opere di Seneca 314.
Nelle cose fisiche superò i latini suoi anteces—
soriñ 318. Parla in guisa che par che conosces
'se o Sospettasse l’America ivi . Si esercitò in
quasi tutti i generi di studj 321. Abbagli in
cui egli cadde talvolta 321. Sue ſiopere perdute
323. Sue Tragedie ivi . Se di tutte le Tragedie
' Sotto
556
sotto il suo nome sia egli l’ autore 324. Dí—
scordia in cip de’ letterati ivi. Difetti del suo
stile 329. Nelle cose fisiche il suo stile è più
sano 335. In che vmeriti lode il suo stile ivi.
,A chi possa esser pericolosà-la lettura dell’
opere di Seneca , e a chi giovevole 337. e seg.
L cotto ha scritto la vita di Seneca V.
Sereno Annéo amico di Seneca‘, 43. Sua tragica~
morte ivi. Taccia che gli vien data da Ta
cito 44.
vSe’ijisbericnse '
Giovanni, reputava ínsan! coloro

che non veneravano Seneca 288.


Sifilino compen‘diator di Dione. Sua opinione di
snminata 228. Sua falsa imputazione data a Se
neca 261. Sue puerilità per screditarlo 278. ec.
Silano Appio. Sua onestà 84. È uccièo per ope
ra di Méssalina 85.
Silano Lucio marito d’ Ottavia 125'. È accnsato
126. Gli vengon l rapiti e gliſſonori e la sposa
iui. Si uccide ivi.
Silmm Giulia sposa di Silío da lui ripudiata 88. Fa
accusare Agrippina di ribellione e perchè 180.
Silio Gaio
"Socrate sposo adultero
condannava di Meàsalina
il Suicidio 308. v 88.

Sezione filosofo pittagorico maestro di Seneca 24.


Svetonio accusa ingiustamente Seneca 147. 14.8. ec.
Suiiio Pubblio calùnniatore di Seneca. Notizie
della süa Vita XII.

a:
552
T o

Tacito Cornelio Vede il più delle Volte le_ azioni


degli uomini in nero 8.5i giova delle sborie
di Fabio Rustíco 4.5. Suo elogio di Seneca 257.
È inchinato a interpretar maliziosamente le ope—
razioni umane 158. Spiega talvolta come me
glio gli torna le cose a mostra di profondità
e d’ ingegno 277. Lodato 261. 277.
Tigellino amico e degno ministr’o di Nerone 214.
Tirabogchi Sig. Cav. Gironimo. Sua opinione in—
torno alle controversie e svasorie di Marco
Seneca I4.. Lodato 2417. Sue opinioni disami
nate 243. 248. 256. Lodato 275. 291.
Trase'a Peto. Rigidezza del suo carattere 263.
’ 285. ~
U .

Qezio trovò in un passo di Seneca adombrato il


'S. mistero della Trinità 301-.

Vannetti Sig. Clementine . Sue Osservazioni in—


torno ad Orazio lodate 250.
Vavassare antepone l’ Apocolocíntosi d'i Seneca ai
Cesari di Giuliano 155.
Var-chi Benedetto . Sua traduzione de’Benefiej di
Seneca lodata 212.
‘ ’ Vite#
55?.3` .
Vitellío Lucio favorlsce in Senato il ,matrimonio
di Claudio con126.-
hgrippina 124.' Accusa
menteKSilano * . falsa—\.
Vives Lodovico . Suoi commentati sopra la Cit
tà di Dio di S; Agostino lodati 219.

Z,

Zenone fondatore della setta stoica Deríso da


Seneca Eresiarca
Zm‘nglia 55. ~
colloca ſſSeneca in- Cielo* 293. ‘

7 A
ERROR'I CÒRREZIONL
. / '
Pag. VIII. pref. lin. 23 di Seneco “di Seneca

Pag. 6 lin. 4. Rettore Retore


8 28 alterins alte-rizer
26 :[9 tullzſſe tnliffè
34. 28 in paſmum in paſcuum
v37 20 aſſumptns aſſùmptus
Ivi qnamdiu *quamdiu
38 IO temperurias temporali-l'as
e# ñ 21 corruplís oarruptís
42 _ 27 ſalme-neo ldommeo
51 27 non non
55 20 Chyſippus Chry/ìppus
59 27 aliqm’d ah'qu
71 3 alrta altra
114. IO ripetizione repetizione
149 -7 ue’ dolci ne’ dolci
180 4. avea già avea già
191 26 anche anche
219 I3~ inflenza influenza
229 fl 30 dl di
301 ' 8 riprese ripreso
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