You are on page 1of 4

UNA CARTA D’IDENTITÀ GENETICA PER ACCERTARE LA PATERNITÀ

E IDENTIFICARE UN INDIVIDUO ATTRAVERSO TRACCE DEL SUO DNA

Le nuove metodiche per l’accertamento di paternità tramite l’allestimento di una “carta


d’identità” genetica basata sul materiale ereditario (DNA) della persona hanno
profondamente cambiato il modo di accertare la paternità, che è passato nel corso degli
ultimi 50 anni dalle perizie antropologiche ai metodi molecolari usati oggi che consistono
nell’analizzare la lunghezza di particolari frammenti del DNA del presunto padre e
compararli con quelli del figlio e della madre.
La perizia antropologica consisteva nel rilevare accuratamente con l’ausilio di speciali
formule un dato numero di caratteri somatici (ereditate in forma mendeliana) che si
trasmettono dai genitori ai figli. La rilevazione di questi caratteri consentiva di dedurre se il
presunto padre poteva, sotto il profilo genetico, essere effettivamente tale.

1 2

Le Figure 1 e 2 riportate qui sopra mostrano un esempio di questo tipo di rilevamento dove
le linee caratteristiche della mano, oppure la forma delle orecchie della madre, del figlio e
del presunto padre (da destra verso sinistra) venivano fotografati e paragonati. Altri
caratteri ereditari erano pure tenuti in considerazione come la forma delle narici, la rima
labiale e la forma degli occhi che considerate globalmente davano un quadro che
propendeva per l’attribuzione oppure l’esclusione di un presunto padre. Riscontrare nel
bambino caratteri che non apparivano né nella madre né nel presunto padre era un indizio
per escludere la paternità del presunto padre. Analizzando statisticamente tutti i dati
(alcune caratteristiche come ad esempio le impronte papillari, avevano un’importanza
maggiore nel computo finale) si poteva poi affermare con una probabilità variante tra il 70
e il 85% che un dato individuo era il padre biologico.
Le caratteristiche antropometriche vennero completate in seguito dai sistemi eritrocitari
(sistema AB0, Rh, Lewis, P1, MNS, Kell-Cellano, Duffy, Lutheran, Kidd e Xg) e dalla
tipizzazione del complesso maggiore di istocompatibilità di classe I e II (HLA A, B, C, D e
DR). Questi sistemi non sono altro che delle proteine presenti sui globuli rossi e bianchi di
ogni individuo (vedi Figura 3). L’analisi per la presenza di questi antigeni ha potuto
aumentare fino al 95% la probabilità di esclusione o di accertamento dell’analisi di
paternità.

1
Figura 3 fotografia al microscopio elettronico a scansione di cellule del sangue.

Negli anni ‘90 fu introdotta l’analisi del DNA (genotipo) del figlio, della madre e del
presunto padre e attualmente le Società di Medicina Legale operanti nel mondo
riconoscono questo metodo come l’unico accettabile per l’accertamento di paternità
biologica.
I primi rilevamenti antropometrici potevano escludere o attribuire un presunto padre con un
basso grado di sicurezza. La problematica dell’attribuzione fu risolta dall’introduzione
dell’analisi basata sul DNA che permette di escludere con certezza un presunto padre, ma
anche di attribuire con una probabilità altissima (99.99%) una paternità. Questa “certezza”
è stata legittimata dalle più alte istanze giuridiche come attribuzione praticamente
dimostrata, cosa impossibile con i metodi precedentemente descritti. Ogni cellula del
nostro organismo contiene 46 cromosomi (in realtà si parla di 23 coppie di cromosomi), 23
ereditati dal padre e 23 dalla madre. Un cromosoma è, in sostanza, il materiale genetico
dell’individuo ed è composto da un lunghissimo filamento di DNA (Figura 4). Le sequenze
prodotte dalla concatenazione delle quattro basi azotate A, G, T, e C costituiscono i geni,
pezzi di DNA che codificano per una proteina.

a) b) c)

Figura 4. Struttura di un cromosoma in metafase (a), all'interno delle cellule (b) e struttura
del DNA (c).

2
Nel DNA troviamo molte sequenze cosiddette polimorfiche (dei cambiamenti “innocui”
nella sequenza del DNA umano), che variano cioè da individuo a individuo e che fanno
l’unicità di ognuno di noi. Sfruttando queste piccole differenze nelle sequenze polimorfiche
è quindi in teoria possibile stilare una “carta d’identità” genetica peculiare di ogni individuo.
Questo tipo di analisi è detto metodo di “DNA fingerprint” o impronta genetica. Il metodo si
basa sulla determinazione della lunghezza di una serie di 15 “short tandem repeat” (STR,
piccoli frammenti di DNA) che producono una “carta d’identità genetica” specifica per ogni
individuo. Essi sono amplificati con un sistema chiamato PCR (Polymerase Chain
Reaction) capace di produrre, a partire dal DNA di poche cellule appartenenti ad una
persona, miliardi di copie di un frammento definito a priori. I frammenti amplificati tramite
PCR vengono poi separati tramite migrazione in un campo elettroforetico e la loro
lunghezza (tipica per ogni persona) viene determinata. Se si eccettuano i gemelli
monovulari, che hanno esattamente lo stesso corredo cromosomico, ogni individuo
possiede una “carta” personale del suo DNA in quanto le lunghezze dei diversi STRs sono
diverse da individuo a individuo e la loro conseguente combinazione diventa una “carta
d’identità genetica” unica, ereditata dai suoi genitori biologici (metà dalla madre e metà dal
padre).

La Figura 5 illustra i risultati dell’analisi del DNA per cinque degli undici loci analizzati
normalmente (un locus è un sito sul DNA).

La probabilità che due individui presi a caso nella popolazione caucasica abbiano la
stessa “carta d’identità” genetica è di uno su 3.300 miliardi di individui. Per quel che
riguarda l’esclusione, essa viene calcolata con una probabilità di 0.99997. Questi dati
statistici hanno indotto le Autorità giuridiche a rendere inoppugnabili i risultati derivanti da
queste analisi, dal momento che è praticamente impossibile trovare due carte d’identità
genetiche in due individui presi a caso nella popolazione.

Un ulteriore interessante sviluppo di questa metodica si riscontra in medicina legale nella


tipizzazione delle tracce provenienti dai luoghi di crimini. Bastano in teoria solo poche

3
cellule di un individuo per poterne provare la presenza sul luogo di un delitto. Le tracce
potrebbero essere il mozzicone di una sigaretta (le cellule epiteliali della persona che ha
fumato restano attaccate al filtro), una macchia di sangue (in un millilitro di sangue si
trovano milioni di cellule!), una traccia di seme sul corpo della vittima (ogni spermatozoo
umano contiene tutto il DNA necessario per identificare la persona) oppure le cellule della
pelle dell’indiziato sotto le unghie della vittima.
Ad ogni individuo resosi colpevole di un atto criminale viene eseguito un prelievo di
sangue che è poi analizzato con la stessa metodica utilizzata per l’analisi di paternità e
che fornisce una tipizzazione genetica che può a tutti gli effetti essere comparata alle
classiche impronte digitali. I risultati inseriti nella banca dati sono poi pronti per essere
comparati con analisi da tracce raccolte dalla polizia scientifica sui luoghi del delitto. Da
qui si potrà dimostrare con certezza matematica la presenza di una persona sul luogo del
reato.

You might also like