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A DIOGNETO

INTRODUZIONE, EDIZIONE CRITICA E COMMENTO


Henri Irénée Marrou

Traduzione
Maria Benedetta ARTIOLI

ED IZIO N I EDIZION I
SAN CLEM EN TE STUDIO DOMENICANO
ROMA BOLOGNA
2008
INTRODUZIONE*

* M.B.A: I testi non citati per esteso si trovano nell’elenco delle


«Abbreviazioni» predisposto dal curatore francese (v. pp. 46-49).
Si tratta normalmente di edizioni di testi.
1

IL MANOSCRITTO
DI STRASBURGO

Un fitto mistero avvolge questo piccolo scritto, del quale


l’autore, la data, l ’origine e il carattere stesso sono tuttora
oggetto di vive discussioni. Questo spiacevole mistero spiega
- oltre all’intrinseco interesse del suo studio - le numerose
attenzioni di cui la Lettera a Diogneto è stata oggetto da parte
dei moderni studiosi. Dopo Γ editto princeps (Henri Estienne,
Paris M D XCII), il nostro testo è stato ripubblicato o ristam­
pato, per intero o in parte, non meno di sessantacinque volte;
la sua bibliografia oltrepassa la cifra di duecentocinquanta
pubblicazioni.
Questa popolarità contrasta con il totale silenzio della lette­
ratura patristica e bizantina: la Lettera a Diogneto non si trova
citata da nessuna parte1 ed è ignorata dai nostri abituali infor­
matori in materia di antica letteratura cristiana quali Eusebio,
Girolamo, Gennadio, Fozio. Di essa non riusciamo a saper
nulla se non quello che ce ne dice l’unico manoscritto che ce
l’ha trasmessa.

1 Segnaleremo senz’altro certe affinità testuali con Ireneo, Ippolito


di Roma, Clemente di Alessandria, ΓApocalisse di Elia, Antipatro
di Bostra e gli Atti di sant’Eustrazio; ma questi contatti, che si
limitano a brevi frasi, sono sempre di dubbio significato storico.
4 INTRODUZIONE

Di questo manoscritto (che designeremo con la sigla F, che


gli ha assegnato Otto nel suo Corpus Apologetarum2) è divenuto
possibile oggi3 ricostruire, con una certa attendibilità, la sto­
ria, del resto romanzesca e movimentata. Esso si trovava, agli
inizi del X V secolo, a Costantinopoli, dove fu scoperto verso
il 1436 in una pescheria, in mezzo a un mucchio di carte da
imballo, e acquistato a vile prezzo da un giovane chierico lati­
no, Tommaso d’Arezzo,4 venuto a studiare il greco nella capi­
tale bizantina. Più tardi, questo giovane umanista sentì la
chiamata alla perfezione: deciso ad abbandonare tutto e ad
accompagnare tre frati minori in missione presso i mussulma­
ni per cercare con loro la palma del martirio, egli cedette que­
sto manoscritto al teologo domenicano e futuro cardinale
Giovanni Stojkovic di Ragusa, che si trovava a Costantinopoli
durante quegli stessi anni (1435-1437), in qualità di legato del
concilio di Basilea.

2 Cf. I. C. Th. VON OTTO, Corpus Apologetarum Christianorum saeculi


secundi, v. ΠΙ, S. Iustini philosophi et martyris opera, t. Π, ed. tertia,
Jena 1879, pp. VII e seguenti, specialmente pp. XX-XXVI.
3 Grazie a due studi, indipendenti l’uno dall’altro, le cui conclusioni
si confermano e si completano a vicenda: P. T homsen , Verlorene
Handscbriften von Justins Werken und Marc-Aurels Selbstbetra-
chtungen in Mélanges Poland, c. 111-112 (= Philosopbische Wo-
chenschrift 3,1932, nn. 35-38, c. 1055-1056); e card. G. Mercati,
Da incunaboli a codici, I. Di due o tre rari codici greci del cardinale
Giovanni da Ragusa (t 1443), in Miscellanea Bibliografica in me­
moria di don Tommaso Accurti a cura di Lamberto Donati (= Stona
e Letteratura, 15), Roma 1947, pp. 3-26. André VERNET ha ritro­
vato il catalogo di questa preziosa collezione nel ms. 102 della
Biblioteca Municipale di Sélestat: Les manuscrits grecs de Jean de
Raguse (t 1443), in Basler Zeitschrift, 61, 1961, pp. 75-108; il no­
stro ms.: n. 47, pp. 97s.
4 L’identificazione del personaggio è almeno proposta, con tutte le
riserve del caso, dal card. Mercati (art. cit., pp. 13-16). Egli desi­
gna se stesso solo con la vaga espressione: primae tonsurae secula-
ris clericus nell’opuscolo Tractatus de martirio sanctorum, dove
racconta la scoperta e la cessione del manoscritto, f. 36v (sic. e iiij);
cf. f. 50v . Questo incunabolo anonimo, un piccolo in-4°, senza
indicazione di editore, né di luogo né di data (Basilea? verso il
1492?), era conosciuto da tempo e debitamente catalogato dai
bibliografi (L. H a in , Repertorium bibliograpbicum, t. II, 1,
IL MANOSCRITTO DI STRASBURGO 5

Questo colto prelato, che aveva raccolto una bella colle­


zione di manoscritti greci e latini,5 riportò con sé il nostro
documento in Occidente, e più precisamente a Basilea. Dai
domenicani e dai certosini di questa città, ai quali il cardinale
Stojkovic, morto nel 1443, aveva trasmesso la sua biblioteca,
l’umanista Giovanni Reuchlin di Pforzheim, ottenne a sua
volta la proprietà di questo manoscritto.6 Dopo la morte di

p. 370, * 10864, ecc.), ma l’interesse della sua testimonianza è


stato rivelato soltanto dagli estratti pubblicati da G. GOLUBOVICH,
Biblioteca bio-bibliografica della Terra-Santa e dell’Oriente france­
scano, t. V. Quaracchi, 1927, pp. 295 e 293. L’esistenza di una
seconda edizione (Leipzig, apud Wolfangum Monacensem, 1496:
Hain *10865) si fonda su un malinteso: ho potuto verificare
l’esattezza dell’ipotesi suggerita dal P. Accurti al card. Mercati
{art. cit., p. 4, n. 1); uno dei tre esemplari del nostro Tractatus in
possesso delle Biblioteca Nazionale (segnatura attuale:
Rés. D. 4746) è stato rilegato nel XVIII secolo con altri tre opu­
scoli, dei quali il secondo, il Tractatus optimus de animabus exutis
a corporibus del certosino Giacomo di Jiiterbogk, porta a guisa
di colofone: Impressus est iste tractatus Lyptzick per Bac/calarium
wolfangum Monacensem, 1496. Il doratore, ingannato dalla somi­
glianza dei titoli {Tractatus...), ha scritto sul dorso:
TRACT/DE/MARTIR/LIPSIE/1496 e Hain ha assunto il suo errore.
Di fatto, i due opuscoli sono di tipo molto diverso e non si distin­
guono e il Tractatus de martyrio non si distingue in nulla dagli altri
esemplari conosciuti (così, sempre alla Biblioteca Nazionale,
Rés. D. 4747-4748).
5 Cf. R. BEER, Etne Handschriftenschenkung aus dem Jahre 1443 von
Hartel (Johannes de Ragusio’s Bibliothek), in Serta Harteliana
(Mélanges von Hartel), Wien 1896, pp. 270-274; B. Altaner , Zur
Geschichte der Handschriftensammlung Kardinals Johannes von
Ragusa, in Historische Jahrbuch, 47,1927, pp. 730-732.
6 Si leggeva infatti, all’interno della rilegatura di F, la nota seguente
che ci è stata conservata dalla copia h, f. 51 a: Liber Graecus
Johannis Reuchlin phorcensis (= di Pforzheim), emptus a pdcatorib. ex
consensu carthusiensum ibidem. Il testo sembra incompleto: ibidem
rimanda a Basilea, non a Pforzheim: sulle trattative tra Reuchlin e
gli eredi del cardinale di Ragusa, cf. K. CHRIST, Die Bibliothek
Reuchlins in Pforzheim, in Zentralblatt ftir Bibliothekwesen, 52,
Beiheft, 1924, pp. 62-66.
6 INTRODUZIONE

Reuchlin, sopravvenuta nel 1522, esso pervenne, nel 1560 o,


forse, solo nel 1580,7 all’abbazia alsaziana di Marmoutier (cir­
coscrizione di Saveme, Basso Reno). Di là entrò nella Bibliote­
ca Municipale di Strasburgo (Ms. Grec IX), dove fu distrutto,
insieme a tanti altri tesori, il 24 agosto 1870 nell’incendio pro­
vocato dal bombardamento dell’artiglieria prussiana.
Fortunatamente, il testo della Lettera a Diogneto in esso con­
tenuto era stato coliazionato con cura nel 1842 dal teologo di
Strasburgo Ed. Cunitz, per conto di Otto, che preparava la sua
grande edizione delle Opera di Giustino, t. II (1843). Meglio
ancora, nel 1861, un altro studioso alsaziano, Ed. Reuss, in
modo estremamente coscienzioso, aveva confrontato col mano­
scritto il testo della seconda edizione di Otto (1849) e aveva
inviato a questi il risultato della sua revisione, accompagnandolo
con osservazioni paleografiche e critiche quanto mai minuziose,
che Otto ha tenuto in grande conto e che ha ampiamente ripor­
tato nelle note della sua ultima edizione (1879).
Possediamo così in questa8 un vero sostituto del mano­
scritto perduto. Si possono senza dubbio confrontare i suoi
dati con quelli di tre documenti del X V I secolo:
(h) una copia del nostro testo era stata fatta, sul ms. F, nel
1579, sembra, da Bernard Haus per conto di Martin Crusius:
è stata trovata nella Biblioteca universitaria di Tubinga, dove
è conservata nel ms. M. b. 2 7 ;9
(st) possediamo, d’altra parte, la copia presa da Henri
Estienne nel 1586 in vista dell’edizione che doveva pubblicare
nel 1592; dopo essere appartenuta a Isaac Voss, essa è passata
alla Biblioteca Accademica di Leida, dove è stata trovata sotto

7 F dava una seconda indicazione: Ex libb. abb. Maurimonast. 1560.


Ma una nota di M. Crusius sulla copia h sembra stabilire che il
manoscritto si trovava a Dorlach nel 1579; la data del 1560 può
essere, suU’ex-libris, un errore per 1580? Cf., a questo proposito,
A. HAENACK, Die Ueberlieferung der griechischen Apologeten des
zweiten Jabrbunderts in der alten Kirche und im Mittelalter ,
in TU 1 B , H. 1-2,1883, p. 80, n. 192.
8 Iustini... opera, t. II3, pp. 158-211 (testo greco, traduzione latina e
commento).
9 K. J. Neumann ne ha segnalato per primo l’esistenza nella sua nota
Ueber eine den Brief an Diognet entbaltende Ttibinger Handschrift
Pseudo-Justin’s, in ZKG 4,1881, pp. 284-287.
IL MANOSCRITTO DI STRASBURGO 7

la segnatura Cod. Gr. Voss. 4° 30. I margini sono coperti di


note di lettura e di tentativi di correzioni;
(b) era stata eseguita una terza copia dello stesso ms. F tra il
1586 e 1592 da (o per) l’umanista J.-J. Beurer, che aveva
anch’egli portato le sue osservazioni e congetture. Questa copia
è andata perduta, ma Beurer l’aveva trasmessa a H. Estienne e
a F. Sylburg, che hanno riprodotto una parte di queste anno­
tazioni, il primo, di seguito alla propria edizione (pp. 98-106),
il secondo nelle note critiche della sua (pp. 432 s.).
Ma questi tre documenti, molto interessanti per le conget­
ture dei loro autori, non ci offrono praticamente niente di
veramente utile ai fini della ricostruzione del testo di F .10
Un confronto preciso fra le loro letture e le recensioni di
Cunitz e di Reuss pone tuttavia uno strano problema che pur­
troppo è difficile risolvere, adesso che il manoscritto originale
è perduto: in più luoghi, le copie antiche, e particolarmente
h e st, segnalano brevi lacune che le osservazioni del X IX
secolo hanno trovato colmate e perfettamente leggibili.11
È parso a Reuss che una mano recente (forse quella di
Beurer stesso) avesse ritoccato il manoscritto; Reuss ha credu­
to di poter constatare che, il più delle volte, questi ritocchi
altro non erano che ricostruzioni che utilizzavano con molta
cura le tracce ancora più o meno visibili della prima mano.
Evidentemente c’è da rammaricarsi che sia diventato impossi­
bile verificare se era proprio così, e sempre.

10 Al massimo, il testo di due scoli si trova meglio conservato nella


copia h (f. 59r ad HI, 4; f. 64v ad XI, 2), eseguita quando i margini
del ms. F non erano ancora stati rovinati dai denti dei roditori.
11 Così II, 10: tò * λέγειν st; t ò (τά h) πλείω λέγειν Fbh. ΠΙ, 5:
των * τα st h; των els τα Fb. IV, 1: οϋδεν st; ούδενός Fbh.
IV, 4: μαρτύρ st; μαρτύριον Fb; μαρτυρίων h. IV, 5: μ * st;
μηνών Fbh; V, 7: άλλ’ * * st; άλλ’ού Fbh. VIII, 2: μεν * * *
πΰρ st; μεν πώρ bh; μεν τινες ττΰρ F. Cf. VON GEBHARDT in
O. DE G ebhardt , A. H aknack, Th. Zahn, Patrum Apostolicorum
Opera, fase. I, p. 2, ed. altera, Leipzig 1878, p. 146, n. 2; e, per
l’attribuzione a Beurer, già O tto , Corp. Apolog., p. 16, n. 3; 164,
n. 13; 167, n. 24; 178, n. 10; J. DONALDSON, A criticai history o f
Christian Literature, t. II, London 1866, p. 141, aveva osservato
questi fatti, ma senza avvertirne la portata.
8

NATURA
DEL MANOSCRITTO F

Dato che il testimone F è l’unica fonte di informazione,


conviene interrogarlo accuratamente e ricavare da esso tutte
le indicazioni che può fornirci sulla storia del nostro testo.
Ora, dopo tanti lavori dedicati alla Lettera a Diogneto, uno
studio approfondito di F sinora non è mai stato tentato.
Certo, dobbiamo ad Hamack un’esposizione di trecento pagi­
ne su La tradizione manoscritta degli Apologisti greci del secon­
do secolo nella Chiesa antica e nel medio evo}2 e quella del
nostro testo apparteneva appunto al suo assunto (la Lettera a
Diogneto si presenta nel m anoscritto F com e attribuita
«a Giustino, filosofo e martire» e segue una serie di quattro
opuscoli, anche questi attribuiti a Giustino). Ma questo stu­
dio, per quanto sia così voluminoso e in apparenza così minu­
zioso, è in realtà guastato da spiacevoli lacune.13 Hamack si
occupa certamente di F ,14 e le sue osservazioni,15 come sem­
pre, sono preziose e vanno raccolte,16 ma non riguardano
altro che una piccolissima parte del contenuto del manoscrit­
to e della sua storia.

12 Già citato sopra, p. 6.


13 Cf. il giudizio severo di J. DE G h e llin ck , Patristique en Moyen Age,
t. Ili, Compléments à l'étude de la Patristique, Bruxelles-Paris
1948, p. 17.
14 E a ragion veduta: tutta la tradizione manoscritta delle opere
autentiche o attribuibili all’apologista Giustino si fonda in ultima
analisi su tre testimoni: A (il celebre manoscritto Paris. Gr. 451,
copiato per l’arcivescovo Areta di Cesarea nel 914), F (il nostro
Argentoratensis) e C (Paris. Gr. 450, datato 1364).
15 Memoria citata, TU 1, pp. 69,79-86, 89,161-163,190-193.
16 Ce ne serviremo più avanti, p. 23.
NATURA DEL MANOSCRITTO F 9

S’intende che ci si dovrà sempre rammaricare che uno stu­


dio del genere non sia stato intrapreso prima del 1870, quan­
do il manoscritto era ancora accessibile. Tuttavia, pur nelle
condizioni scoraggianti in cui lo intraprendiamo oggi, merita
ancora di essere tentato.
Il manoscritto F era un piccolo in-folio di carta, di 260
pagine, scritto con inchiostro nero (i titoli, le iniziali e gli scoli
a margine, in rosso) a caratteri minuscoli regolari e accurati,
con molte legature e abbreviazioni. Otto l’ha datato, molto
vagamente, come risalente «al X III secolo (o al X IV ?)».17 Per
verificare questo giudizio oggi disponiamo soltanto del breve
facsimile che lo stesso studioso ha allegato alla sua edizione;18
ottenuto senza dubbio mediante un calco, questo facsimile
non ha la precisione sufficiente per ottenerne riproduzioni
foto-meccaniche. Nella misura in cui questo documento così
imperfetto ci autorizza a fare un’ipotesi, saremmo portati a
restringere il periodo indicato da Otto: conviene attribuire il
nostro manoscritto al X IV secolo, parrebbe,19 e forse al X IV
secolo avanzato, piuttosto che al X III.
Del suo contenuto, quanti ci hanno preceduto non hanno
considerato altro che i cinque opuscoli dello pseudo-Giustino
che si leggevano all’inizio, ma non hanno avvertito l’interesse
che offriva uno stu dio sistem atico d e ll’insiem e.
Fortunatamente per noi, la copia di Tubinga (h) ha conserva­
to, f. 51rv, una tavola di F copiata o compilata da B. Haus.20
Possiamo così renderci conto del fatto che questo manoscritto
era una raccolta complessa di ventidue titoli. Conteneva
prima di tutto i cinque testi che abbiamo ricordato:

17 Justini... opera, t. I I 3, p. XIV.


18 Ibid·., fuori testo ad p. XIII, il titolo e le prime quattro righe del
Discorso ai Greci, il quarto degli opuscoli dello Pseudo-Giustino
che precedono il nostro A Diogneto; di questo, Otto riproduce
soltanto una piccola figura a forma di croce che si trovava nel
mezzo della prima riga del testo.
19 Ringrazio i signori Dain e Astruc che si sono gentilmente prestati
per una perizia su questo documento, facendoci approfittare della
loro competenza paleografica.
20 È stata pubblicata da K. J. NEUMANN, art. cit., in ZKG, 4, 1881,
pp. 285 s.
10 INTRODUZIONE

(I) Di san Giustino filosofo e martire, Sulla monarchia divi­


na (ed. O tto, Corp. Apologetarum , voi. I I P [= t. I I],
pp. 126-158).
(II) Dello stesso, Esortazione ai Greci (Ibid., pp. 18-126).
(Ili) Dello stesso, Esposizione della fede ortodossa o Sulla
Trinità (Ibid., t. IV, pp. 2-66).
(IV) Dello stesso, Ai Greci (ed. Hamack, Sitzungsberichte
dell’Accademia delle Scienze di Berlino, 1896, pp. 634-637).
(V) Dello stesso, A Diogneto: il nostro testo.

Seguivano quindi:
(VI) Versi della Sibilla Eritrea·, si trattava evidentemente, in
base al titolo, di qualche estratto dagli Oracoli Sibillini, che gli
autori cristiani amavano attribuire particolarmente alla più cele­
bre tra le Sibille, quella di Eritrea in Ionia.21 H. Estienne ne
aveva preso una copia, come ci riferisce una nota che ha messo
sul manoscritto st, di seguito al testo del nostro A Diogneto·.
sequitur in altera pagina quae est in altera parte
Σιβύλλης- Ερυθραίας lepeias Απόλλωνος
quae scripsi alibi 22

Q uesta copia si è purtroppo perduta.


(VII) Oracoli degli dèi greci. Qui le cose vanno meglio,
grazie, questa volta, al manoscritto di Tubinga (h) che ci ha
conservato questo testo, copiato dopo i nn. IV e V :23 è una

21 Così: L attanzio , Div. inst., 1 ,6,14; De ira Dei, 22,5; P seudo -C o -


STANTINO, Discorso all’assemblea dei santi, 21 (= Oracula Sibyllina,
ed. Geffcken, p. 233, framm. 8; A g o stin o , La Città di Dio,
XVIII, 23,1; Tbeosophia, ed. Erbse (si veda qui sotto), p. 195, 4;
199,17; 188,1.
22 Ms. st, f. 50v, righe 1-3.
23 Cf. H. ERBSE, Fragmente griechiscber Theosophien, herausgegeben
und quellenkritisch untersucbt (Hamburger Arbeiten zur Altertum-
swissenscbaft, B. 4), Hamburg 1941, pp. 167-201. Questa edizione,
e lo studio che la precede, surclassa e rimpiazza tutti i precedenti
lavori sulla questione. Numerosissimi manoscritti (Erbse, p. 165) ci
sono stati per di più conservati, sia parti della stessa collezione, sia
di collezioni di tipo analogo.
NATURA DEL MANOSCRITTO F 11

singolare raccolta che assomiglia a testimonianze pagane


(o che si suppongono tali), oracoli, citazioni di poeti e di filo­
sofi, versi sibillini,24 e che cerca di mostrare l’accordo esisten­
te tra la sapienza greca o egiziana e l’insegnamento delle Sacre
Scritture. L ’introduzione ci riferisce che si tratta di un estratto
da una grande opera apologetica intitolata Tbeosophia, il cui
autore ci resta ignoto,25 ma la cui composizione si colloca a
una data abbastanza precisa, tra il 474 e il 501.26
(Vili) Di Atenagora di Atene, filosofo cristiano, Supplica
per i cristiani.
(IX) Dello stesso, Sulla Risurrezione·, due opere autentiche
dell’apologista contemporaneo di Marco Aurelio, conservate
d’altra parte dal manoscritto A e dai suoi derivati.27
00 Copia delle lettere scritte da Cirillo, vescovo di Alessandr
a Nestorio: le opere autentiche di Cirillo contengono infatti
molte lettere indirizzate all’eresiarca.28

24 Non è impossibile che il testo η. VI sia stato anch’esso estratto dalla


stessa raccolta; questa è almeno l’ipotesi suggerita in un’altra nota
di mano di Henri Estienne, scritta sullo stesso foglio del ms. st,
sul margine sinistro, di seguito all’indicazione citata qui sopra.
È purtroppo una nota difficile da decifrare e da interpretare:
σε (σημείωσαι. ?) vocata fuisse / hac θεοσοφίαν / et iuxta €K... /
θεοσοφία? / hic...kκλογάς· / meas ex bibl. παλαί(οΐς).
25 A. BRINKMANN (Die Tbeosophie des Aristokritos, in Rheinisches
Museum ftir Philologie, 51, 1896, pp. 273-280) aveva proposto di
identificarlo con la Teosofia di Aristokritos, opera manichea men­
zionata da una formula greca di abiura del IX secolo (PG 1, 1468
A); ma Erbse non accetta questa ipotesi, che si fonda soltanto sul­
l’affinità del titolo.
26 Cf. H. E rbse , op. cit., pp. 1-3.
27 Per la Supplica, vedere l’introduzione e la Traduzione di
G. B ardy , SC 3, Paris 1943 (M.B.A.: H volume è ora sostituito da:
Atenagora, Supplique au sujet des chrétiens et Sur la Résurrection
[B. Pouderon] SC 379, Paris 1992).
28 Cf. C irillo , Ερ., Il, IV, XVII (secondo l’Ed. Schwartz, Acta
Conciliorum Oecumenicorum, 1.1, voi. I, parte 1, pp. 23-25, 25-28,
33-42); VI-VII (conosciute soltanto da una traduzione araba,
PG 77,57-60).
12 INTRODUZIONE

(XI) Estratto dalla vita del nostro santo Padre Teodoro,


vescovo di Edessa, scritta da suo nipote Basilio, vescovo di
Emesa. Anche qui si tratta di un testo ben noto,29risalente alla
prima metà del IX secolo, interessante in particolare per i rap­
porti tra i cristiani della regione di Edessa e i loro padroni
mussulmani.
(XII) Di san Cirillo sulla fede. Questo titolo abbreviato
non permette di identificare il testo: si deve trattare di uno dei
tre discorsi di Cirillo Sulla fede ortodossa, indirizzati rispetti­
vamente all’imperatore Teodosio II, alle principesse Arcadia e
Marina, alle imperatrici Pulcheria e Eudossia.30
(XIII) Discorso di invettiva contro gli Armeni.
(XIV) Contro gli errori e le opinioni degli Armeni. Queste
indicazioni, ancora più vaghe, non ci aiutano affatto ad orientar­
ci tra i non pochi scrittori che, durante l’epoca bizantina, hanno
polemizzato con gli Armeni monofisiti: si potrebbe pensare a
Niceta di Bisanzio, il filosofo, un giovane contemporaneo di
Fozio,31 oppure ad autori più recenti, come Niceta Stethatos,32 a
metà del IX secolo, Isacco33 o Teoriano,34 nella seconda metà
delXII.
(XV) Confutazione perfetta degli Ismaeliti35 e della vanità
delle loro credenze. Stessa osservazione: si tratta questa volta
di polemica contro i mussulmani, e anche qui la letteratura
bizantina ci offre un’ampia scelta. Così al tempo di Fozio,
Bartolomeo di Edessa36 e lo stesso Niceta di Bisanzio;37 ma il
tema è ripreso di secolo in secolo fino ai Paleologhi.38

29 Ed. J. POMIALOVSKI, Pietroburgo 1892; cf. Krumbacber, p. 152,


§ 6 2 ,3 .
30 Vederne il testo secondo SCHWARTZ, op. cit. 1,1,1, pp. 42-72:1,1,5,
pp. 26-61, 62-118.
31 PG 105,588-665; cf. Krumbacber, p. 79, § 19.
32 Krumbacber, p. 155, § 64,1.
33 PG 132,1156-1265; Krumbacber, p. 89, § 23, 4.
34 PG 133,120-297; Krumbacber, pp. 88 s, § 23 (sic).
35 Correggere con Ισμαηλιτών 1’ Ίσμαλήτων del ms. h.
36 PG 104,1384-1457; cf. Krumbacber, p. 78, § 18,3.
37 PG 105, 669-841; cf. Krumbacber, p. 79, § 19.
38 Cf. Krumbacber, pp. 81,106, 111.
NATURA DEL MANOSCRITTO F 13

(XVI) Confessione (ammesso che si debba tradurre così


Εξομολόγησή) di san Cirillo. Non si conosce nessuna opera
autentica di Cirillo con questo titolo. In mancanza di un’ipotesi
migliore, si potrebbe forse pensare a identificare il nostro testo
con un sermone apocrifo, Sulla Penitenza, Έξομολόγησις,
attribuito a Cirillo e pubblicato nelle Mélanges de la Faculté
orientale de Beyrouth, 6 ,1913, pp. 493-526.
(XVII) Del vescovo Atanasio all’imperatore Gioviano sulla
fede ortodossa. Lettera di Apollinare di Laodicea (ed. H. Liet-
zmann, Tubingen 1904, pp. 250-253) che circolava sotto il no­
me di Atanasio.
(XVIII) Interrogazione di Severo39 il Giacobita; si tratta
evidentemente del grande Severo, patriarca monofisita di
Antiochia dal 512 al 538.
(XIX) Dei Severiani o Giacobiti, Confutazione della fede or­
todossa-, si potrebbe trattare qui, come sopra, di due scritti
dello stesso Severo: la Confutazione del tomo di Giuliano di
Alicarnasso, e la Confutazione delle proposizioni, la cui tradu­
zione siriaca ci è stata conservata da diversi manoscritti
(ed. A. Sanda, Beyrouth 1931).
(XX) Del beato Teodoro, vescovo di Carré,40 Su numerose
questioni fisiche. Teodoro Abu Qurra (intorno al 740-820),
vescovo melchita di Carré (Carran) nell’alta Mesopotamia, è
un discepolo di Giovanni Damasceno che ha scritto in arabo e
siriaco, come pure in greco.41 Possediamo in questa lingua un
insieme di quarantatré piccoli testi,42 di carattere generalmen­
te apologetico, ma tra i quali alcuni possono giustificare il
titolo qui adottato.43

39 II ms. h porta Σεβϊηριανοΰ : bisogna evidentemente leggere


Σεβήρου; non si può correggere con Σεβηρίαι^οΰ perché non si
conosce nessun giacobita con questo nome, e non è possibile pen­
sare qui né allo gnostico Severiano né a Severiano di Gabala.
40 Καρών h; leggere Καρρών : ma la prima forma è ugualmente
attestata nei manoscritti degli opuscoli greci del nostro Teodoro;
cf. A. Mai, PG 97,1456.
41 Cf. G. GRAF, in Geschichte der christlichen arabischen Literatur, 2,
ST 133,1947, pp. 7-16; cf. 16-23.
42 Ed. J. G r etser riprodotta in PG 97, 1461-1610; cf. PG 94,
1595-1597.
43 Per esempio, l’opuscolo XXXIV, «sul Tempo», PG 97,1855 BD.
14 INTRODUZIONE

(XXI) Di Fozio, Su Adamo. Era anche questo uno degli


opuscoli del vescovo di Carré, che tratta della passibilità del
corpo di Adamo: F ha qui abbreviato il titolo completo che i
manoscritti di Teodoro presentano sotto la forma: Estratto
dello stesso Teodoro, vescovo di Cane, su Adamo, di Fozio,44 il
che senza dubbio significa «estratto da Fozio» da un’opera
più estesa di Teodoro. Questa breve nota di cinque righe ha
di fatto il carattere di un excerptum.
(XXII) Lettera di Massimo al sapiente Salomone, Su numero­
se questioni, particolarmente di carattere astronomico:45 non
sono riuscito a identificare questo testo. Va forse attribuito a un
certo «filosofo» Massimo, autore di un trattato di astronomia di
ispirazione cristiana, del quale ci è stato conservato un fram­
mento da un manoscritto astrologico di Monaco di Baviera.46
Per quanto siano imprecise, le identificazioni che, visti que­
sti titoli, possiamo proporre47 ci permettono di farci un’idea
abbastanza precisa del carattere di F. Questa raccolta raggrup­
pava, come vediamo, un complesso insieme di opere diverse
ripartite tra il II secolo ( VIII-IX) e la seconda metà del IX
(XXI), se non anche la fine del X II o ancora più tardi (XIII-
XV). Chi dunque, diciamo tra il IX (XII) secolo e il X IV , è
stato indotto a compilare una raccolta di questo .genere? H pro­
blema può e deve essere posto48 perché, così come ci appare da

44 Opuscolo XL, ibid., 1598 B.


45 Ms. h: Μάξιμος τφ σοφά) σολομώντι χαίρει,ν περί των
πολλών καί αστρονομικών.
46 Catal. cod. astrol. Graec., t. VII, p. 13, Munchen, 7, f. 35.
47 Desidero ringraziare il Rev. P. du Manoir de Juaye, il Signor
H. Ch. Puech, il Rev. P. A.J. Festugière e il Signor S. Weinstock,
per i loro preziosi consigli che mi hanno aiutato in questa impresa.
48 L. THORNDIKE, The problem o f thè composite manuscript, in Mi­
scellanea Giovanni Mercati, voi. XVI, ST 126, 1946, pp. 93-104, ha
mostrato (a proposito dei manoscritti scientifici latini della fine del
medio evo) che non è senza senso cercare il valore di testimonianza
che possono avere certe raccolte apparentemente disordinate.
NATURA DEL MANOSCRITTO F 15

questa tavola, il ms. F non era una raccolta di Miscellanea, che


raccoglie in modo artificiale brani senza rapporto gli uni con
gli altri. Un’unica ispirazione apologetica anima questi docu­
menti: polemica contro i pagani (I-IX), contro gli eretici di
ogni genere: ariani (XVII), nestoriani (X, XII, XVI), monofisi-
ti siriani (XVIII, XIX) o armeni (XIII, XIV) e infine contro i
mussulmani (X, XV).
16 INTRODUZIONE

ORIGINE DEL MANOSCRITTO F

Tutto a un tratto, la nostra collezione assume un significa­


to e viene ad inserirsi al suo posto in tutta una tradizione. La
vena apologetica, inaugurata dagli scrittori del II secolo, non
ha più cessato, dopo di loro, di essere attivamente sfruttata
dalla letteratura cristiana. Di secolo in secolo, di generazione
in generazione, la polemica contro gli avversari della vera fede,
da qualunque parte venissero, si è sviluppata senza lasciar
perdere nulla dell’apporto di chi se ne era occupato in prece­
denza. A Bisanzio, in particolare, tutto un importante settore
dell’attività letteraria49 è dedicato alla difesa dell’ortodossia
contro i suoi nemici interni ed esterni, eretici e infedeli, anti­
chi e nuovi, sia che si tratti del paganesimo, dei giudei o
dell’IsIam.
Tale attività ha prodotto opere di schema sempre più
ambizioso e di dimensioni sempre più considerevoli. Verso il
1100 un monaco di Costantinopoli, Eutimio Zigabeno, redi­
ge, su richiesta d ell’im peratore Alessio I, la sua grande
Panoplia dogmatica in X X V III «Titoli», una vera e propria
«Somma» di apologetica generale.50 Π suo piano e il suo meto­
do presentano interessanti punti di contatto con il contenuto
del nostro manoscritto F. I titoli I-ΥΠ, che corrispondono gros­
so modo a trattati de Deo uno, trino, creatore, incarnato..., si
presentano come un tentativo di apologia contro il paganesimo
greco: «Quando si tratta di discutere con qualche rappresen­
tante delle idee elleniche...», leggiamo nella prima riga.51 Come

49 Si veda l’importante sezione a questo dedicata da Krumbacher,


pp. 46-122.
50 Essa riempie il volume 130 della PG. Sull’opera e sul suo autore,
cf. la notizia di M. JUGIE, s. v. Euthymius Zigabène, in DTC, V, 2,
1577-1582.
51 Tit. I, PG 130, 3 C: 'Όταν πρό? τινα των έλληνιζόντων
διάλεξις η ...; l’autore pensa probabilmente a Michele Psellos e
alla sua scuola.
O RIG IN E D EL MANOSCRITTO F 17

nei più antichi Apologisti e, lo vedremo, come la nostra Lettera


a Diogneto, la polemica contra Paganos è strettamente associa­
ta a quella contro i giudei,52 che tuttavia sono oggetto in
seguito di un trattamento speciale.53 Successivamente sono
elencate, a cominciare da Simon Mago,54 tutte le grandi ere­
sie. Vi osserviamo tutti i temi che sono d’altronde rappresen­
tati nella collezione F: anche Eutimio polemizza contro gli
ariani,55 i nestoriani56 i monofìsiti,57 gli armeni58 e, per finire,
contro i saraceni, cioè i mussulmani, che egli designa anche,
come F, XV, e come veniva fatto sovente, col termine biblico
di ismaeliti.59
Il suo metodo consiste nel presentare, accostati senz’altro
artificio, una serie di testi ripresi dalle opere dei Padri e di altri
autorevoli rappresentanti della tradizione. Senza dubbio, molte
di queste citazioni sono di seconda mano:60 ma resta vero che la
realizzazione di questa enorme raccolta ha richiesto uno sforzo
di documentazione considerevole. Eutimio ha dovuto riunire
questi testi, presi da autori molto diversi, e che alla sua epoca
non erano tutti letture correnti. Ha dovuto raccoglierli e, senza
dubbio, per ragioni pratiche, farli copiare. Siamo così indotti a
immaginare, come punto di partenza della sua composizione, la
stesura di un dossier di testi apologetici del tutto analogo, come
contenuto, alla nostra raccolta F.

52 Tit. 1 ,36 C, 42 AB...


53 Tit. Vili, 257 D ss.
54 Tit. IX, 305 C ss.
35 Tit. XI, 332 A ss.
56 Tit. XV 932 ss.
57 Tit. XVI-XVIII, 1012 A ss.
58 Tit. XXIII, 1173 D ss.
59 Tit. XXVIII, 1332 D ss.
60 È questo il caso, in particolare, di quelle tratte dagli autori più an­
tichi: Eutimio cita, Tit. XVIII, 1097 AC, tre passi di Ignazio di
Antiochia, Giulio di Roma e Melitene di Sardi. Li ha trovati nel-
1’Hodègos di Anastasio Sinaita, Apologista della fine del VH secolo.
Cf. ancora un estratto di Ignazio di Antiochia, Tit. XI, 480 A:
proviene questa volta da Atanasio, Epist. de synodis.
18 INTRODUZIONE

La Panoplia cita talvolta non soltanto gli stessi autori, ma,


proprio esattamente, gli stessi testi che troviamo d’altronde
raccolti in F. Così il Discorso sulla fede, che Eutimio attribui­
sce, come il manoscritto di Strasburgo (F, III},, a «Giustino, fi­
losofo e martire»;61 così ancora, di Cirillo, una Lettera a Ne-
storio,62 e il Discorso alle principesse.63 Tuttavia, da queste sin­
golari affinità, non dobbiamo concludere che possediamo, in
F, il dossier stesso redatto da Eutimio. Infatti, da nessuna
parte la Panoplia rivela una dipendenza dalla nostra collezio­
ne:64 d’altra parte, essa è di almeno due secoli anteriore al
manoscritto di Strasburgo e, se la nostra idea è esatta, è diffi­
cile immaginare che un tale dossier abbia potuto essere util­
mente ricopiato dopo tanto tempo.
Ma l’opera di Eutimio Zigabeno non è rimasta isolata. Un
secolo più tardi,65 verso il 1204-1210, Niceta Acominatos
compila anche lui una somma apologetica in X X V I libri, il
Tesoro dell’Ortodossia.66 Anch’egli sa trarre profitto da quelli

61 Tit. XVI, 1080 A.


62 Tit. XV, 984 D; T. XVIII, 1097 A.
63 Tit. XV, 99 A.
64 Eutimio ha potuto conoscere tutti i testi che cita per ima via diversa
che non passa attraverso F: così, il Discorso sulla Fede dello Pseudo-
Giustino ci è stato conservato, oltre che in F, da 23 manoscritti
(cf. O tto , Corp. Apolog., cit., t. IV, 3e ed., pp. VTI-XXI).
65 Per non parlare della 'Iepà Όπλοθηκή di Andronico Camateros,
redatta verso il 1170-1175, che già imita lo Zigabeno (perfino nel
titolo), ma su un piano meno vasto (polemica contro i latini e i
monofisiti). Cf. A. P almieri in Dictionnaire de Théologie Catholique,
t. Π, 2,1432 s.; V. L aurent in Byzantion, 6,1931, p. 261.
66 Questa grande opera non è purtroppo facile da studiare:
cf. Krumbacher, pp. 91 s., § 26; F. C avallera, Le Trésor de la Fot
Orthodoxe de Nicétas Acominatos Choniate, in BLE 1913,
pp. 124-137. Per il testo greco si ha l’edizione soltanto di fram­
menti. La traduzione latina di P. Moreau riguarda soltanto i libri
I-V. Montfaucon ha pubblicato, nella sua Pàlaeographia Graeca,
pp. 327-334 (dalla quale: PG 139, 1093 C-1096 B), l’interessante
tavola analitica, presentata all’inizio del trattato, dal ms. Paris. Gr.
1234 (che oggi conserva soltanto, f. 7™, il sommario dei libri
I-VIII). A. Μ. BANDINI, in base al ms. Medie. Plut. IX, XXIV, ha
ORIGIN E DEL MANOSCRITTO F 19

che lo hanno preceduto, a cominciare dalla Panoplia, che


imita molto da vicino, appropriandosi della sua documenta­
zione;67 tuttavia non se ne accontenta, perché il Tesoro non è
un semplice plagio dellaxPanoplia, ma ne riprende il tema
apportando nuove aggiunte e con un piano allargato. Anziché
un’antologia di autorità soprattutto patristiche, Niceta si pre­
mura di offrire prima di tutto un’esposizione della dottrina
delle «eresie» che combatte, seguite da una formale confuta­
zione. I suoi interessi si allargano: le eresie pre-ariane somma­
riamente trattate da Eutimio68 sono ora oggetto di un lungo
studio considerevolmente documentato: da Simon Mago e
Basilide allo scisma meleziano, Niceta esamina non meno di
quarantaquattro «eresie».69 Allo stesso modo egli sviluppa la
discussione degli errori del paganesimo, al quale il Rinasci­
mento classico del tempo dei Comneni restituiva una perico-

compilato da parte sua un indice degli autori citati da Niceta in:


Catalogus codic. manuscr. Bibl. Medie. Laurent, varia continens
opera Graecorum Patrum, Firenze 1764, pp. 430b-434a, oppure,
più comodamente, in PG 140,285-292.
La dipendenza di questa opera da quella di Eutimio è evidente, ed
è sottolineata nel ms. Paris. 1234, f. 8r dal titolo (aggiunto da
Teodoro Skutariotes?) Panoplia dogmatica.
67 Così è da Eutimio che provengono tutte le citazioni che Niceta fa
degli autori di cui si è detto sopra: Ignazio di Antiochia, Giulio di
Roma, Cirillo, Contro Nestorio, Melitone: le stesse citazioni, nello
stesso ordine e nella stessa prospettiva anti-teopaschita (ms. Paris.
1234, f. 201r, ultima riga, 201v, righe 1-3); Pseudo-Giustino, Sulla
Fede : stesso testo, stesso contesto anti-monofisita (f. 192 bisr,
3 ultima riga).
Bisogna qui rettificare l’errore di Krumbacher, per il quale queste
citazioni attestano la vastità di informazione di Niceta, che egli op­
pone all’ignoranza che Eutimio avrebbe dei preniceni (pp. 91 e 83):
ma questo è «lodare la cornacchia per le piume del pavone»!
Si tratta infatti di una erudizione di terza mano, perché questi
testi provengono, alla fine, da Anastasio Sinaita.
68 Cf. Panoplia, t. IX, PG 130,305 C ss.
69 Tesoro dell’Ortodossia, 1. IV (testo greco: ms. Paris. Gr., 1234,
f. 66v-104r; traduzione latina, PG 139,1241 B-1360 C).
20 INTRODUZIONE

Iosa vitalità.70 Strada facendo, egli è stato condotto a prendere


in esame problemi di fisica e di astronomia,71 esattamente
come farà il nostro compilatore (F, XX, ΧΧΙΓ).
Alla fine del ΧΕΠ secolo, ritroviamo il Tesoro tra le mani di
un altro scrittore, Teodoro Skutariotes, del clèro di Cizico,72
che non si accontenta nemmeno lui dei lavori dei suoi prede­
cessori, come attestano gli scoli a margine e altre aggiunte di
cui riempie il suo esemplare personale:73 forse aveva progetta-

70 Va tenuto presente l’importante capitolo che, a imitazione di Gio­


vanni Damasceno (De Haer., PG 94, 757), Niceta dèdica agli
Ethnophrones, «quelli che imitano i costumi e le superstizioni dei
gentili», in particolare in materia di divinizzazione degli astri o
altro: IV, 42, ms. Paris, f. 99 s.; trad. latina 1343 Bs. Non si tratta
di una imitazione libresca: benché Niceta collochi i suoi
Ethnophrones tra le «eresie» pre-ariane, egli visibilmente polemiz­
za contro il favore che astrologia, stregoneria e magia incontrava­
no presso tanti dei suoi contemporanei; cf. a questo proposito, in
francese, L. (ECONOMOS, La vie religieuse dans l’empire byzantin
au temps des Comnènes et des Anges, tesi di Parigi 1918, pp. 65-102,
e in particolare 83 ss., sul mago Sikiditès, del quale Niceta
Acominatos ha trattato a lungo nella sua Storia e al 1. XXVII del
Tesoro dell’Ortodossia (frammenti del testo greco pubblicati da
Th. U spenskij , San Pietroburgo 1892).
71 L. 1,7-28, e in particolare 19; IV, 42...
72 Si veda su questo personaggio H. H eisenberg, Analecta, Mitteilungen
aus Italienischen Handschriften byzantinischer Chronographen, tesi
di Wurzburg, Miinchen 1901, pp. 16-18: Teodoro, prete (ma non,
come si era preteso, arcivescovo) di Cizico, sarebbe nato verso il
1230 e morto all’inizio del XIV secolo.
73 Si tratta del già citato ms. Paris. Gr. 1234 che porta il suo ex-libris.
Sarebbe necessario uno studio preciso per chiarire l’estensione e la
portata delle note personali aggiunte da Teodoro (cf. C avallera,
art. cit., pp. 123 s.). P. Moreau (prefazione alla sua traduzione lati­
na, in PG 139, 1089-1090) gli attribuisce il tale scholion o la tale
appendix (v. la sua traduzione latina, PG 139, 1255 D, 1314 C).
Nella sua prefazione (ibid., 1089-1090) gli attribuisce anche
l’onore dei 11. 25-26, ma certamente a torto, perché questi due ulti­
mi libri sono dedicati alla discussione di due problemi dogmatici
sollevati durante la vita di Niceta (cf. L. (ECONOMOS, op. cit.,
pp. 58-63, 84-86, n.).
O RIGIN E DEL MANOSCRITTO F 21

tò di prepararne un rifacimento.74 Ma questo poco importa


per il nostro argomento. Evocando questa notevole continuità
della tradizione apologetica a Bisanzio, ho voluto semplice-
mente rendere comprensibile la compilazione di una raccolta
come quella che costituisce il nostro manoscritto F: propongo
di vedere in questo un dossier di apologetica generale, analo­
go a quello che suppone la redazione della Panoplia o del
Tesoro, realizzato da qualche erede degli autori che abbiamo
citato.75 Non è necessario attribuire al suo autore il deciso
progetto di elaborare a sua volta una Somma contro i nemici
della vera fede: basta immaginare qualche letterato interessato
all’apologetica che, non contento dei trattati esistenti, abbia
voluto avere sotto mano una documentazione diretta, fondata
su fonti originali. Non credo sia possibile precisare di più: il
silenzio del manoscritto non permette di risalire a chi l’ha
posseduto per primo. D ’altra parte, doveva esistere, nel mon-

74 Teodoro Scutariotes era un autore: H. HEISENBERG, op. cit.,


pp. 7-15, gli ha restituito la paternità della Synopsis, una cronaca
universale, da Adamo all’anno 1260, pubblicata come anonima da
Κ. N. Sathas in base al ms. Maràanus 407, che porta la firma, e
non soltanto 1’ex-libris, di Teodoro.
75 Conviene infatti considerare come un tutt’uno l’insieme di questi
XXII testi. Non ignoro che Cunitz ha creduto di poter attribuire i
nn. V-VII e X ss a «un’altra mano, più recente» (OTTO, lustini
opera, t. IP, p. XIV). Il cardinale Mercati (Miscellanea Accurti,
op. cit, p. 21, n. 40) era già stato indotto a domandarsi «se la
diversità delle date e la distribuzione delle mani sono vere».
.Cambiamento di mano? Certamente: la cosa salta sempre agli
occhi. Diversità di data? Non credo: il ms. F è stato scoperto
verso il 1436 in uno stato di antichità avanzata: la manus recentior
non poteva essere recentissima! La parte che Cunitz credeva più
antica risale al massimo a prima del 1300 e potrebbe essere anche
più recente: il margine cronologico non permette affatto due
periodi di redazione. L ’economia dell’opera permette piuttosto di
pensare a una compilazione realizzata contemporaneamente, ben­
ché affidata a parecchi scrivani. Un cambiamento di mano,
soprattutto se accompagnato da un cambiamento nella qualità
della carta, può dare facilmente l’impressione di un cambiamento
di epoca: si veda per es., nel Ms. Paris. 1234, i f.s 37-53.
22 INTRODUZIONE

do bizantino del tempo dei Paleologhi, un buon numero di


letterati che potevano avere interesse a un manoscritto come
F: il X IV secolo ci ha lasciato parecchi manoscritti degli anti­
chi Apologisti76 e complesse raccolte che attestano un interes­
se analogo a quello di cui avvertiamo qui l’effetto.77 La nostra
ipotesi guadagna così in convenienza ciò che può perdere
quanto alla precisione.

76 Si veda la lista compilata da H arnack, memoria dtata, TU 1, p. 69.


77 È il caso, per es., del ms. 43 della Biblioteca Angelica a Roma
(XIV secolo) che contiene, insieme a tutta una serie di testi patri­
stici analoga alla nostra, degli estratti deil'Hodègos di Anastasio
Sinaita, e una ricca collezione di Versi sibillini e di Oracoli pagani
(cf. F, VI-VII)·. cf. l’analisi di G. Muccio in SIFC, 4,1896, pp. 84-92.
È ancora il caso del ms. Paris., B.N., f. greco, 1335; cf. ΓInventane
sommane, di H. O mont , t. Π, pp. 14-16.
23

ALLA RICERCA DELL’ARCHETIPO

Il problema che si pone ora è di sapere come la Lettera


Diogneto sia pervenuta nelle mani del nostro compilatore.
Essa si presenta, come si è visto, al quinto posto nella sua col­
lezione, dopo quattro opuscoli attribuiti anch’essi - e anch’es-
si a torto, secondo la critica moderna - all’apologista e martire
Giustino. Questa serie forma veramente un tutt’uno, come
sottolinea la stesura dei titoli, progressivamente condensati.78
Lo scrivano è prima costretto a riprodurre la stessa formula
per intero:
(I) Di san Giustino filosofo e martire, sulla Monarchia.
(II) Di san Giustino, filosofo e martire, Discorso di esorta­
zione ai Greci.
Arrivato al η. Ili, egli comincia a stancarsi e scrive più in
breve:
Di Giustino filosofo e martire, Esposizione della fede con­
forme all’ortodossia, ovvero sulla Trinità.

In seguito, ritenendo abbastanza chiaro il riferimento


implicito, egli si limiterà a dire:
(TV) Dello stesso, Ai Greci.
(V) Dello stesso, A Diogneto.

Molto ingegnosamente, Harnack ci invita79 a considerare


questo insieme come la seconda parte di un Corpus delle
opere di Giustino - diciamo di ima editto aucta et amplissima
- dove, come nelle Patrologie del Migne, erano raccolte in
appendice i dubia e gli spuria. Harnack, infatti, ha appunto
stabilito che tra il IV e il X secolo l’opera di Giustino fu som­
mersa da un numero crescente di opuscoli supplementari di

78 Riportiamoci qui non più ai titoli abbreviati della tavola di F pub­


blicata da Neumann in base a h, ma ai titoli stessi che precedeva­
no ogni testo: O tto , lustini... op. cit., t. IP, p. XIV.
79 In TU 1. I, p. 85; Geschicbte der altchristlichen Literatur, II,
Chronologie, t., p. 513.
24 INTRODUZIONE

attribuzione incerta: il suo catalogo finì per raggiungere i


31 numeri, dei quali solo nove o dodici sono o potrebbero es­
sere autentici.80 A confronto,81 si può dire che l’autore della
collezione che ritroviamo in F ha dimostrato un certo discer­
nimento critico: non ha accolto nessuna delle opere molto
tarde che altri accettano senza batter ciglio, come la Confuta­
zione di Aristotele, oppure la Lettera a Zena. Soltanto YEsposi­
zione della vera fede (III) è posteriore al IV secolo: pare si sia
d’accordo nel vedervi oggi un’opera giovanile di Teodoreto,
scritta prima del 431.82 Gli altri opuscoli (I, II, IV) sono pre­
costantiniani e la loro attribuzione a Giustino trova almeno
una giustificazione nell’affinità dei titoli con due scritti auten­
tici, menzionati da Eusebio, A i Greci e Sulla Monarchia
divinaP II nostro A Diogneto non si trova quindi «in una
compagnia troppo cattiva», nicht in schlechter Gesellschaft, e
questo argomento sembra sufficiente ad Harnack per scartare
risolutamente qualsiasi ipotesi che collochi la composizione
del nostro testo dopo il V I o V II secolo.84
Possiamo oggi riprendere, per nostro conto, ciò che per
Hamack era solo un’ipotesi abbastanza gratuita e, rinforzandola
di buone ragioni, ritenerla ormai come una conclusione molto
sicura. Il testo della Lettera a Diogneto è stato ricopiato da F,
come ci indica una preziosa nota a margine,85 sulla base di una
vecchissima copia, αντίγραφο^ παλοαότατο?, che presentava
delle mutilazioni, dei tagli έγκοπαί. Due sono formalmente atte­
stati da uno scolio a margine,86 e la critica interna permette di
scoprirne, o almeno di sospettarne, parecchi altri.87

80Cf.TU l,pp. 190-193.


81 In particolare con la notizia dedicata a Giustino da Fozio,
Bibliotheca, cod. 125, e con la tavola del ms. C (Paris. Gr. 450).
82 Cf. J. L e b o n , in R H E 26, 1930, pp. 536 ss.; M. R ic h a rd ,
in RSPh 24,1935, pp. 83 ss.
83 Cf. V. E usebio , Hist. eccles., IV, 18,3 s.
84 Op. cit., in TU 1, p. 85.
85 Vedere, più avanti, l’apparato critico adV II, 7.
86 Ad VII, 7 e XI, 1.
87 Ad II, 2; II, 5; Vili, 9; IX, 2 (?); XI, 1.
ALLA RICERCA D ELL’ARCHETIPO 25

Ora, questo stato di disfacimento non è proprio soltanto


della Lettera a Diogneto, ma si constata anche negli altri testi
della collezione (/-V):88 si tratta pertanto della collezione inte­
ra, e non solo della Lettera a Dzogneto, che il compilatore di F
ha trovato nel suo «vecchissimo» antigrafo - il che fa risalire
di parecchi secoli almeno la redazione di questa Appendix
Justiniana. A quale data?
Conosciamo oggi, molto meglio di quanto fosse possibile ad
Hamack nel 1883, l’interesse che i bizantini avevano per l’antica
letteratura apologetica e l’uso che ne hanno fatto. I loro agiogra­
fi, in particolare, mostrano molto spesso di conoscerla bene. Si
sa che questi scrittori, «quando si vedono a corto di materiale,
fanno volentieri ricorso a prestiti»:89 nella necessità di mettere in
bocca di uno dei loro eroi un discorso apologetico, non esitava­
no a copiare, talvolta letteralmente, questo o quel testo ereditato
dall’antichità cristiana. L ’esempio più celebre di questo metodo
ci è offerto dal romanzo di Barlaam et Joasaph, il cui autore si è
appropriato dell’antica Apologia di Aristide,90 facendola pro­
nunciare dal mago pagano Nachor,91 che la divina Provvidenza
costringe, quasi un nuovo Balaam, a difendere quella stessa fede
cristiana che contava perfidamente di attaccare.92
88 Questo punto, che è essenziale, non è ancora mai stato osservato.
Notiamo i fatti più decisivi: per il testo I, De Monarchia, cioè c. 4,
O t t o , Iustini... op. cit., t. II3 ( Corpus Apologetarum, voi. 3),
p. 141, n. 10: tre versetti attribuiti a Filemone sono ricopiati da F
in tali condizioni di corruzione che si possono spiegare solo con lo
stato deplorevole del suo modello. Per il testo III, Expositio rectae
fidei, c. 15, O tto , t. Ili, 1 {Corp. Apolog., voi. 4), p. 57, n. 32:
F presentava una lacuna di nove parole e l’indicava espressamente
con un segno a inchiostro rosso, prova sicura che l’aveva trovata
nell’archetipo.
89 H. Df.t.fhayf., in AB 45,1927, p. 152, rinvia al suo libro: Les passions
des martyrs et les genres littéraires, Bruxelles 1921, pp. 254-273
(di fatto: 266-270).
90 Si sa che l’identificazione, resa possibile dalla scoperta di una tra­
duzione sirìaca di Aristide, è dovuta a J . A. ROBINSON: si vedano i
suoi TSt 1, p. 67.
91 Cf. Barlaam et Joasaph, c. XXVII, pp. 239-255, J. F. Boissonade
(in «Anecdota graeca», IV, 1832, riprodotto in PG 96 tra le opere
del Damasceno).
92 I d „ c. 26, p. 237.
26 INTRODUZIONE

La data di questa opera, per tanti motivi singolare, purtrop­


po non è ancora stata definitivamente stabilita: si continua ad
esitare tra la prima metà dell’V in e l’ultima parte del X secolo.93
A questa seconda data appartiene certamente, perché è uscita
dallo studio di Simeone Metafraste,94 una recensione del Martirio
di santa Caterina, nella quale si trova allo stesso modo un certo
«materiale apologetico» che, anche lì, viene usato di nuovo.95

93 P. PEETERS aveva avanzato buone ragioni per attribuire la reda­


zione del testo greco di questo romanzo, «avatar» inatteso della
leggenda di Buddha, a Eutimio l’Agiorita (fine del X secolo): si
veda la sua memoria: ha première traduction latine de Barlaam et
Joasapb et son originai grec, in AB 49, 1931, pp. 276-312, e, sulla
sua scorta: H. D elehaye , A 4. SS., Dee., Propyl., pp. 551 s., n. 8.
Dopo la nostra prima edizione, sono tre le tesi successivamente
difese sull’origine del famoso romanzo: come già ci aveva fatto
sapere, F. DÒLGER l’ha attribuita a Giovanni Damasceno:
Der griecbische Barlaam-Roman, ein Werk des H. Johannes von
Damaskos, Ettal 1953 (Studia Patristica et Byzantina 1); SH. I.
NUCUBIDZE, K proishojdeniyi gretcheskogo romana Varlaam i
Joasaf, Tbilisi 1956, propone Giovanni Mosco; H . PERI,
Der Religionsdisput der Barlaam-Legende, ein Motiv abendlandi-
scher Dichtung, Salamanca 1959, tenta una sintesi tra le tre tesi
rivali. Nessuna di queste soluzioni ha ottenuto un’adesione gene­
rale: v. le critiche di cui esse sono oggetto in AB 71 (1953),
pp. 475-480 (F. H alkin ), 75 (1957), pp. 83-104 (P. D evos ), 78
(I960), pp. 484-486 (lD.), oppure D. M. L ang , The Wisdom o f
Balahvar, a Christian Legend ofthe Buddha, London 1957.
94 Sulla data di Simeone, si veda la discussione di A. EHRHAKD,
IJeberlieferung und Bestand der hagiographischen und homiletischen
Literatur der griechischen Kirche, I, 2, in TU 51, Leipzig 1938,
pp. 307-313.
95 BHG2 32, PG 116, 276 C-301 B. Lo studio di questo testo ha dato
luogo a tutta una contesa: mi limito a rinviare ai resoconti critici di
G. K rOger , ThLZ 48, 1923, 431 s.; 49, 1924, 544 s., e a quelli di
H. D elehaye , AB 45,1927, pp. 151-153. j. Rendei Harris, il fortu­
nato scopritore dell’Aristide siriaco, aveva pensato di poter ripetere
questa impresa «enucleando» dagli Acta Catherinae un’altra antica
Apologia, quella, pensava, di Quadrato; la sua argomentazione non
ha resistito ai colpi che le hanno inferto J. A. Robinson e
E. Klostermann-E. Seeberg. Ma l’esistenza in questi Acta di un noc­
ciolo apologetico risalente al VI-VII secolo non è contestata.
ALLA RICERCA D ELL’ARCHETIPO 27

Ma questo procedimento redazionale, così comodo ed effica­


ce, era già conosciuto e praticato molto prima: citerò come
esempio gli Acta del martirio di sant’Eustrazio e dei suoi com­
pagni,96 che ci offriranno dei paralleli, a tratti precisissimi,
con il testo del nostro A Diogneto;97 inseriti tali quali nella col­
lezione metafrastica, le sono anteriori almeno di un secolo.98
Comunque sia per la data di questi testi agiografici, sempre
difficile da stabilire, l’analisi dello stock di citazioni che vengo­
no utilizzate99 porta a collocare la raccolta di questi documenti
apologetici verso il VI secolo. E di fatto Malalas che ne è il
primo testimone,100 se non la fonte propriamente detta.101 De­
ve essersi prodotto intorno a quest’epoca, tra il VI e il V II se­
colo - rinunciamo per prudenza a volerla troppo precisare102 - ,

96BHG2 646, P G 116, 468 B-505 D. V edere H. D e l e h a y e ,


in A4. SS., Propyl. Dee., pp. 580 s., n. 2; D. M allardo, Storia
antica della Chiesa di Napoli, pp. 100-103; Il calendario marmo­
reo di Napoli, in Ephem. Liturg. 60,1946, pp. 252 s.; 254.
97 Si veda sotto, Commento, pp. 121 s.
98 Cf. a questo proposito A. E hrhaed, op. cit., 1,2 (TU 51), pp. 526; 697:
si trova il testo greco di questi Acta in un buon numero di colle­
zioni agiografiche pre-metafrastiche, delle quali esistono mano­
scritti che risalgono o possono risalire al IX secolo (I d ., t. 1,1,
T.U 50, p. 510, § 16; p. 279, § 79, ecc.). Una delle due traduzioni
latine che possediamo (BHL, 2778) è stata fatta a Napoli tra l’872
e Γ875. Per la seconda, cf. BHL, 2778 b; esiste anche un testo
armeno (BHO, 300), e sappiamo che Eutimio Agiorita ne aveva
fatta una in georgiano (AB 36-37,1917-1919, p. 35, riga 34).
99 Soprattutto quelle dei poeti pagani, degli oracoli e dei versi sibil­
lini che servono loro in particolare per garantire l’evemerismo
(questo tipo di argomentazione, assente dall’yl Diogneto, svolge
un ruolo importante negli opuscoli I, Il e IV della collezione F;
cf. ovviamente anche i testi VI e VII).
100 L ’interesse di questa testimonianza è stato segnalato per la prima
volta da J. BlDEZ, in ByzZ 11,1902, pp. 388-394.
101 Perché Malalas stesso ci rinvia (Cronografia, II, p. 76, ed.
Dindorf, CSHB, Bonn 1831) alla composizione di un certo
Timoteo (cf. J. Arm. R obinson in JThS 25,1924, p. 253); le cita­
zioni di oracoli pagani possono derivare, senza dover passare per
Malalas, dalla Theosophia (F, VII) o da raccolte affini.
102 I critici più prudenti parlano in modo sfumato «di qualche composizio­
ne del VI o del VII secolo» (così H. D elehaye, in AB 45,1927, p. 152).
28 INTRODUZIONE

un rinnovato interesse sulla polemica adversus Paganos, susci­


tando uno sforzo per raccogliere il materiale che poteva offrire,
in questo campo, la tradizione antica.
Non si potrebbe far risalire a questa data il «vecchissimo
modello» sul quale ha lavorato il copista dèi manoscritto di
Strasburgo? È indubbiamente delicato scrutare la portata della
banale espressione αντίγραφο? παλαωτατος, di cui si è servi­
to per qualificarla. Ci si può tuttavia domandare se questo
aspetto di «vecchissimo» non fosse dovuto solo all’usura dei
secoli, ma anche all’arcaismo della grafia: un manoscritto del
V I-VII secolo doveva essere ancora scritto in onciale, e con
ciò attirare l’attenzione del copista del X IV secolo, abituato
all’uso della minuscola.103 Nulla induce, d’altra parte, a risalire
oltre: lo sforzo speso da Kihn per collocare l’archetipo di F nel
periodo 370-431 è stato del tutto vano.104 Proporrei dunque di
ammettere che il copista di F abbia avuto tra le mani un

103 Sulla traslitterazione da onciale in minuscola, cf. le note di


A. Dain, Histoire du texte d’Élien le Tacticien, Paris 1946,
pp. 119 s.
104 Cf. H. KlHN, Der Ursprung des Briefes an Diognet, Freiburg
1882, pp. 41-44: la sua induzione non si fonda sul testo stesso di
F, ma su alcune delle note a margine, che egli vorrebbe far risali­
re all’archetipo, ma questo è assolutamente inverosimile (due di
queste note, lo si è visto, relative allo stato mutilo di Φ, sono
chiaramente opera del copista di F; nulla consente di distinguere
queste note in due strati cronologicamente diversi). Kihn ne rile­
va due (ad Vili, 9 e XII, 2: si veda l’apparato critico della nostra
edizione) dove crede di ritrovare un’eco caratteristica dell’inse­
gnamento di Diodoro di Tarso e di Teodoro di Mopsuestia, ma
questo significa forzare la portata di queste annotazioni banali.
Kihn si era molto interessato a Teodoro (cf. il suo libro, per
lungo tempo classico, Theodor von Mopsuestia und ]unilius
Afrìcanus als Exegeten, Freiburg 1880), ma aveva una certa ten­
denza a ritrovarlo dappertutto! Si vedano le pesanti critiche fatte
a questo libro da R. DEVRESSE, Essai sur Théodore de Mopsueste,
in ST 141,1948, p. 274.
ALLA RICERCA D ELL’ARCHETIPO 29

«vecchissimo manoscritto», chiamiamolo Φ, risalente al VI o


V II secolo, contenente i nostri testi I-V, o forse anche I-IX .105
L ’aggiunta di testi pagani (VII), o così ritenuti (VI), alle apologie
cristiane dello Ps.-Giustino (IV) e di Atenagora (VIU-IX) può
essere del tutto naturale. Questo manoscritto può essere stato
realizzato, diciamo, al tempo di Giustiniano, come F doveva
esserlo stato al tempo dei Paleoioghi, da parte di qualche spe­
cialista di apologetica, preoccupato di garantire, sull’argo­
mento, una documentazione di prima mano.
L ’ipotesi avrebbe in più il vantaggio di spiegare la scarsa dif­
fusione avuta dalla Lettera a Diogneto durante il medioevo bi­
zantino: il nostro testo, di fatto, non sarebbe circolato tra il pub­
blico colto, ma sarebbe restato sepolto nei dossiere di due spe­
cialisti, che vengono a otto secoli di distanza l’uno dall’altro.106
Risalire ancora oltre nella storia della tradizione mano­
scritta sembra impossibile nello stato attuale della nostra
documentazione. Per quanto limitati al VI secolo, i risultati
della nostra ricerca non sono tuttavia trascurabili: ne trarremo
vantaggio quando non sarà più questione di ricostruire la sto­
ria della trasmissione, ma di determinare la data di composi­
zione della nostra Apologia.

105 Nonostante la differenza di mano tra VI-VII e I-V, VIII-IX. Di


fatto, il testo di VII, così come ci è conservato dalla copia h, pre­
senta anch’esso delle lacune, tra le quali almeno una (ed. Erbse,
p. 167, riga 10) è segnalata da uno spazio bianco e un piccolo
segno (cf. il caso analogo menzionato sopra, p. 24). Per VIII-IX,
non ho osservato alcun caso così preciso nell’apparato critico di
Otto; anche qui F presentava lacune abbastanza numerose, ma
potevano essere imputate tanto all’incuria del copista quanto al
misero stato del suo modello (così quando queste lacune si spie­
gano con un «salto dallo stesso allo stesso»: OTTO, Corp. Apologo
voi. 7, p. 42, n. 24; p. 242, n. 5).
106 Si potrebbe pensare che l’impudenza con la quale gli agiografi
plagiano i documenti che utilizzano si spieghi col fatto che essi
sapevano di essere in possesso di testi poco noti, che nessun let­
tore avrebbe identificato. Ma non è sempre vero: così, gli Atti di
san Filippo di Eraclea (BHL, 6834) utilizzano il Protrettico di
Clemente d’Alessandria, testo che non si può considerare così
raro come XApologia di Aristide o la nostra Lettera a Diogneto
(cf. J. FOhrer, Rómische Mitteilungen, t. VII, 1892, p. 159;
AA. SS. Propyl. Dee., p. 469, n. 2).
30

5
LO STATO DEL TESTO

Si poteva sperare che, dopo aver così attraversato un mil­


lennio (dal V I al X V I secolo) venendo ricopiata solo una
volta, la lettera AOiogneto ci pervenisse in uno stato di con­
servazione soddisfacente. Purtroppo non è così, e per tre
motivi.

1. H manoscritto F è giunto al X V I secolo in un pessimo


stato; è stato scoperto, come ricordiamo, ridotto a carta da
imballaggio, probabilmente sfasciato.107 In queste condizioni
era conservato nel X IX secolo presso la biblioteca di Stra­
sburgo, e le copie del X V I secolo mostrano che il suo aspetto
non era allora affatto migliore, che questo codice si presentava
in ben misere condizioni:108 i topi vi si erano annidati e ne
avevano rosicchiato la carta, l’inchiostro era divenuto pallido
e qua e là si era completamente cancellato, in particolare alla
fine delle righe e nella parte superiore delle pagine. Il tipo di
scrittura usato, che moltiplicava abbreviazioni e legature, ren­
deva il testo particolarmente vulnerabile: lacune di qualche
millimetro diventavano molto fastidiose.
2. Se la calligrafia è in generale curata, il copista merita però
meno elogi per la qualità del suo testo, che ha spesso trascritto
con negligenza. La sua incuria diviene particolarmente palese
quando si confrontano le lezioni, spesso «stupide»,109 che ha
scritto con trascuratezza, con il testo degli altri manoscritti che
ci hanno altrove conservato le opere nn. I-IV e V II-IX .110

107 Cf., in merito, G. MERCATI, art. cit. in Miscellanea Accurti, p. 21;


il Tractatus de martyrio sanctorum parla di Giustino (I-V) e di
Atenagora (VIII-IX) come di due manoscritti distinti.
108 Si veda la descrizione tanto minuziosa di Cunitz, in OTTO
(lustini opera, t. IP, Corp. Apolog., voi. 3), pp. XV-XVII.
109 Giudizio lapidario di OTTO, per es., ibid., p. 33, n. 9.
110 Si veda l’apparato critico di Otto, pass., e, per quanto siano
imperfette le sue collazioni, HARNACK, TU 1, pp. 81-84, per il
confronto tra F, A e C (Cohortatio, De resurrectione).
LO STATO DEL TESTO 31

3. Ma questi difetti non sono tutti da attribuirsi al copis


del X IV secolo: come abbiamo visto, lavorava anche lui su un
«vecchissimo» esemplare del V I o del V II secolo, che gli era
giunto in uno stato pietoso, costellato di lacune, mutilo e pro­
babilmente poco leggibile.
È dunque su un documento di qualità molto mediocre che
hanno dovuto lavorare gli editori moderni. Si comprenderà
così come su di esso si sia abbondantemente esercitata la criti­
ca congetturale, e anche come i suoi risultati siano inevitabil­
mente da prendersi con cautela.
32

6
LE EDIZIONI

La presente edizione sarà, come ho annunciato, la sessan-


tasettesima, un numero che può sembrare spaventoso. Di
fatto la storia del testo può riassumersi in due (o, se si vuole,
quattro) nomi: Estienne (Maran, Lachmann) e Otto.
L 'editto princeps, Parigi 1592,111 la dobbiamo al grande
umanista Henri Estienne che aveva voluto aggiungere un sup­
plemento all’edizione di Giustino procurata da suo padre
Robert (Parigi 1551) pubblicando i due opuscoli omessi da
lui, il nostro A Diogneto e il discorso Ai Greci. La copia auto­
grafa conservata a Leida (st) attesta la cura portata da
H. Estienne alla preparazione del suo lavoro, lo sforzo che
egli ha impiegato per vincere le difficoltà di lettura del mano­
scritto F e per migliorare, in forma congetturale, i passi lacu­
nosi o corrotti.
È sui dati dell’edizione Estienne, e avvalendosi delle infor­
mazioni supplementari fomite da Beurer (b), che hanno lavo­
rato i seguenti editori: F. Sylburg (Heidelberg 1593, ristampa
da parte di F. Morel, Parigi 1615, 1121636, 31686); P. Maran
(Parigi 1742, Venezia 1746), edizione riprodotta da A. Gal-
landi (Venezia 1765), F. Oberthur (Wurtzburg 1737) e adot­
tata da J.-P. Migne, P G 2 (Parigi 1857), 1168 B-1185 B; poi
H. Olshausen (Berlino 1822), G. Boehl (Berlino 1826), e C. J. He-
fele (Tubinga 1839, 21842), edizione riprodotta da A. Grenfell
(Londra 1844). Molti di loro hanno arrecato un contributo,
più o meno importante, al miglioramento del testo, proponen­
do nuove congetture. Particolarmente notevole, a questo ri­
guardo, è l’edizione curata dallo studioso maurista Dom Pru-
dence Maran, al quale si deve uno studio approfondito e, per

111 Si troveranno tutte le indicazioni bibliografiche necessarie per le


edizioni antiche nei Prolegomena di OTTO (lustini opera, t. II3,
pp. XXXIV-XLIV): v. G ebhardt (PP. Apostolicorum Op., t. II2,
pp. 147 s.) e F unk (PP. Apostolici, 1.12, pp. CXIX-CXX).
LE EDIZIONI 33

l’epoca, degno di nota, sull’insieme dell’antica letteratura apo­


logetica cristiana.112
Ma nessuno, nel frattempo, aveva pensato di rivedere il
manoscritto conservato a Marmoutier e poi a Strasburgo:
l’opera di J. C. Th. von Otto apre una nuova epoca nella sto­
ria del testo. Otto si è particolarmente interessato alla nostra
«Lettera», alla quale ha dedicato la sua tesi De epistula ad
Diognetum S. Justini philosophi et martyris nomen prae se
ferente (Jena 1845, 2a edizione aumentata, Lipsia 1852: ne ha
fatto quattro edizioni successive, delle quali le più importanti
sono la prima (1843) e l’ultima (1879), fondate, come abbia­
mo detto, su due successive recensioni, molto accurate, del
manoscritto F).113
L ’opera proposta da questo editore non è meno notevole di
quella di H. Estienne. Otto tiene nella massima considerazione i
lavori dei suoi predecessori, a cominciare da H. Estienne e
J. J. Beurer (aveva fatto collazionare la copia st a Leida da J. Geel),
e, più ancora, tutte le particolarità segnalate da Cunitz e Reuss
in F. È chiaro che egli non si è rassegnato a dare di questo testo
un’edizione diplomatica, e non si è mai vietato di correggerlo, a
volte anche arditamente. E come meravigliarcene? Si sa quale
illimitata fiducia nutrisse la Germania dotta della metà del X IX
secolo nelle risorse della critica testuale.

112 È la prefazione della sua edizione: è stata riprodotta dal MlGNE,


PG 6, v. 9 A -206 A, e da O t t o , Corp. A pologet., voi. 9
(Hermias), pp. 35-330.
113 Precisiamo, perché la bibliografia di Otto si presta a una certa
confusione: la sua prima edizione della Lettera a Diogneto fa
parte delle sue S. Iustini philosophi et martyris opera..., «tomo»
II, Jena 1843 (ma poiché il t. I era diviso in due parti, questo t.
II è di fatto il volume 3); la seconda compare nella riedizione
dello stesso insieme, t. II, Jena 1849, ma le Iustini ... opera sono
ora comprese nel Corpus Apologetarum Christianorum saeculi
secundi, del quale il nostro tomo II costituisce il «volume» III:
la terza è un’edizione isolata della nostra «Lettera», inglobata
nel rimaneggiamento della tesi di Otto, il cui titolo, passando
dall’ablativo al nominativo, è diventato: Epistola ad Diognetum
Iustini...nomen prae se ferens, Leipzig 1852; la quarta fa di
nuovo parte del Corpus Apologetarum... (2a edizione), voi. Ili,
Iustini... opera ..., tomo II, editio tertia, Jena 1879.
34 INTRODUZIONE

Proprio in quel frattempo C. C. J. Bunsen aveva pubblicato


(Londra 1854) un’altra edizione della Lettera a Diogneto, per
la quale aveva ottenuto la collaborazione del grande filologo
K. Lachmann, incontestato maestro della critica testuale.
Questi, come ci si poteva aspettare, si è ancor meno privato
del diritto di correzione, e ha moltiplicato congetture di ogni
tipo. Molte ci sembrano oggi inutili e gratuite, ma bisogna
comunque riconoscere che la sua intuizione e la sua grande
esperienza lo hanno più di una volta ben ispirato e messo
sulla via di una soluzione felice.
E da Otto che dipendono strettamente tutte le ulteriori edi­
zioni, a cominciare dalla 3a e dalla 4a di Hefele (Tubinga 1847,
1855). Il testo di Hefele è stato ripreso e corretto dalla serie
delle edizioni di Funk (Tubinga 1887, 21901),114 alla quale fa
seguito l’edizione di K. Bihlmeyer (Tubinga 1924).115 Funk si è
impegnato a collazionare scrupolosamente la copia h, scoperta
da K. J . Neumann: ma ha commesso l’errore di citarne le
lezioni, nel suo apparato critico, come se questa copia costi­
tuisse un secondo testimone, parallelo a F.
La serie prosegue con H offm ann (N eisse 1 8 5 1 ),
W . A. Hollenberg (Berlino 1853), W. B. Lindner (Lipsia
1857), M. Krenkel (Lipsia 1860), Μ. I. C. Thoenissen,116
A. Stelkens (Progr. Recklinghausen 1871: contiene soltanto i
capitoli I-IV), H. Hurter (Innsbruck 1871), B. L. Gildersleeve
(New York 1877). Ma queste edizioni sono più interessanti
per la testimonianza che costituiscono della popolarità del
nostro scritto che per la loro intrinseca importanza.

114 Esiste anche una editto minor : 2a tiratura, 1906.


115 Sammlung ausgewdhlter kirchen- und dogmnegeschichtlicher
Quellenschriften, II. R., I. Η., 1. T., Die apostolischen Vàter,
Neubearbeitung der Funkschen Ausgabe von K. BlHLMEYER,
I parte, Tiibingen 1924, pp. XLVII-L (introduzione), 141-149
(testo).
116 Menzionata, senz’altra precisazione, da Stelkens nella prefazione
della sua, p. 5.
LE EDIZION I 35

È tuttavia necessario prendere in considerazione, per lo


sforzo critico che rappresentano, quelle di von Gebhardt
(Lipsia 1875, 21878)117 e di (J.-B. Lightfoot) J.-R . Harmer
(Londra 1891, 21893, ristampata nel 1898),118 che, sulla scorta
di H efele-Funk, continuano a mantenere un posto per la
Lettera a Diogneto nel Corpus dei Padri Apostolici, dove
Gallandi l’aveva per primo collocata.
Il testo è ormai più o meno stabilizzato: non esistono fo
divergenze tra le quattro edizioni fondamentali di Otto, Funk,
Gebhardt e Harmer. Quelle apparse dopo non fanno che
riprodurle, salvo introdurvi qualche ritocco personale:
è il caso di Kirsopp Lake (Londra 1913, 21917, 31924),119
E. Buonaiuti (Roma 19 2 1 ),120 U. von Wilamowitz-Moel-
lendorf (6Berlino 1926),121J. Geffcken (Heidelberg 1928),122
S. Colombo (Torino 1934),123 P. Everts (Zwolle 1941),124
G. Bosio (Torino 1942),125 E. H. Blakeney (Londra 1943),126

117 Una editto minor aveva raggiunto, nel 1920, la sesta tiratura.
118 Si tratta dell’edizione in un volume che ha ripreso, su un piano più
modesto (con traduzione inglese, ma senza commento), e portato a
termine l’opera lasciata incompiuta da Lightfoot: J.-B. LlGHTFOOT
- J . - R Harmer, The apostolic fathers, London 1891, pp. 487-489
(introduzione), 490-500 (testo'greco), 503-511 (traduzione).
119 Cf. KlRSOPP Lake, The apostolic fathers, with an English transla-
tion, t. II, LCL.
120 Cf. E. B uonaiuti, Lettera a Diogneto, testo, traduzione e note
{Scrittori cristiani Antichi, 1) Roma 1921.
121 Cf. U. VON W ilam o totz-M oellen d orf, Griechisches Lesebuch, 2.
Halbband, introduzione e testo (capp. I-X), pp. 363-367, note,
pp. 225-227.
122 Der B rief an Diognetos herausgegeben von J. G effc k en
(coll. Kommentierte griechische und lateinische Texte, 4), Heidelberg
1928.
123 Cf. S. COLOMBO, SS. Patrum apostolicorum opera Graece,
pp. 268-297; esiste anche un’edizione con traduzione latina:
SS. P. A. op., Graece et Latine.
124 Cf. P. E verts , De Brief aan Diognetus (coll. Selecta).
125 Cf. G. Bosio, I padri apostolici, t. II, pp. 287-333 (coll. CP series
graeca, 14).
126 The Epistle to Diognetus by E. H. BLAKENEY (Society for promo-
ting christian knowledge).
36 INTRODUZIONE

H. G. Meecham (Manchester 1949);127 altre riedizioni del


testo greco: Atene 1953 (in B. Moustakès, Οί άποστολικοί
Π ατέρε?), Atene 1955 (Βιβλιοθήκη Έλλην. Πατέρων..., II),
Londra 1958 (S. P. C. K. Texts for Studenti 45). Un’altra edi­
zione, a cui ha messo mano da Dom P. Andriessen, è in pre­
parazione: l’autore, molto amichevolmente, ci ha consentito
di conoscere le lezioni originali che conterrà. I testi di Wila-
mowitz, Geffcken, Everts e Blakeney, destinati a un pubblico
di studenti, come anche quello di Meecham, sono dotati di un
commento che conferisce a queste edizioni un particolare
interesse.
I capitoli ΧΙ-ΧΠ, spesso considerati come spuria, sono st
omessi da Krenkel, Wilamowitz, Geffcken e Blakeney; sono
stati tuttavia oggetto di edizioni separate da parte di Bunsen
(Londra 1852; Lipsia 1853) e Credner (Berlino 1860).128

127 The epistle to Diognetus, thè Greek text, with introduction, tran-
slation and notes, tesi di Manchester.
128 Va ricordata un’altra edizione parziale (capp. V-VII), in
G. R auschen , Florilegium Patristicum, I, Monumenta Aevi
Apostolici, pp. 74-79, Bonn 1904.
37

7
LA PRESENTE EDIZIONE

Ci troviamo dunque in presenza, da una parte, di un unico


manoscritto (le recensioni di Cunitz e di Reuss mi pare abbia­
no praticamente tolto129 ogni incertezza sul tenore di F), e,
dall’altra, di una enorme proliferazione di congetture: Η. E-
stienne aveva già apportato molte correzioni, e i suoi successori,
soprattutto Lachmann, hanno superato ogni misura. Non ci si è
accontentati di rimediare alle parti più evidentemente corrotte,
ma si è preteso di migliorare la sequenza dei concetti, la sin­
tassi, la stessa ortografia.
Dovrò confessare di apprezzare poco questo gioco? Bisogna
misurare quale coefficiente di incertezza pesa su ogni tentativo
di ricostruire lo stato originale di un testo come il nostro: da
questo originale siamo separati dal triplice sbarramento costi­
tuito dalla vetustà di F, dall’incuria del copista e dallo stato di
corruzione nel quale gli era pervenuto Φ. D ’altra parte, dispo­
nendo soltanto di un unico manoscritto, siamo privati di quel
mezzo di controllo rappresentato normalmente dalle diverse
famiglie nelle quali si collocano i testimoni multipli.
La nostra edizione vuole essere quella di uno storico.
L ’umanista (e lo stesso grande Lachmann restava davvero, in
questo senso, un umanista) cerca di procurarsi il testo che, dal
punto di vista letterario, gli garantirà il massimo di soddisfa­
zione, anche a costo di trattare il copista bizantino come se
fosse uno studente che gli sottomette un tema greco, e dun­
que di far violenza al suo testo per riportarlo a determinate
norme in fatto di lingua o di stile. Ma quale autorità può
avere, per lo storico del pensiero cristiano, uno scrupolo
grammaticale di Lachmann, un testo che, in definitiva, sareb­

129 Quando ci fossimo trovati ancora nell’imbarazzo, il manoscritto


stesso non ci sarebbe stato di grande aiuto: così, in XII, 8,
l’editore esita tra πλάνη e πλάνη ma in F, ci dice Cunitz,
«das Iota subscriptum fehlt durchweg», da OTTO, lustini opera,
t. IP, p. XVI.
38 INTRODUZIONE

be datato Berlino 1850? Senza dubbio, l’autorità di un bizan­


tino del tempo dei Paleologhi è già molto debole, ma bisogna
badare, se ci si allontana dalla sua testimonianza - il solo ap­
poggio che abbiamo - , di non lasciare l’incerto per Yincertius.
Offriamo dunque ai nostri lettori un’edmóne risolutamente
conservatrice: essa riproduce in linea di massima il testo di F,
mantenendolo dovunque offra un senso accettabile. Abbiamo
accolto il minimo di congetture,130 soprattutto di dettaglio:
particelle di legamento che facilmente vengono omesse o
scambiate, desinenze che il sistema di abbreviazioni rendeva
particolarmente vulnerabili, ecc. Quanto ai passi veramente
corrotti e divenuti incomprensibili, ci accontenteremo di
sistemare col minimo di spesa i dati del manoscritto, in modo
da trarne un testo che offra un senso, senza pretendere di
giungere con questo a una restituzione dell’archetipo. Mi è
parso, infatti, che la congettura fosse costantemente paralizza­
ta dalla fondamentale incertezza nella quale ci lascia lo stato
della tradizione manoscritta. Abbiamo in F un testo corrotto,
attraverso il quale sia possibile intravedere, e ricostruire cor­
reggendolo, la lezione primitiva? Oppure si tratta di un testo
materialmente esatto, ma semplicemente lacunoso, e divenuto
incomprensibile in seguito alle mutilazioni subite tra il VI e il
X IV secolo dal modello Φ?131

130 Solo una volta abbiamo osato propome una nuova: si tratta di un
passo particolarmente difficile (III, 2) sul quale i nostri prede­
cessori hanno molto esitato. In base al principio posto, l’appa­
rato critico ignorerà sistematicamente le correzioni proposte per
tutti i passi nei quali ci è parso di poter conservare il testo di F.
131 Si ricordi del caso così notevole rilevato sopra (p. 25, n. 88): se
non disponessimo, per i versi citati dal De Monarchia, di altri
testimoni, chi avrebbe indovinato la lacuna celata nel testo di F?
39

LE TRADUZIONI

Henri Estienne univa alla sua edizione una traduzione lati­


na che è stata riprodotta dalla maggior parte delle dotte edi­
zioni che sono seguite, non senza subire correzioni e ritocchi
vari, dovuti in particolare a Maran (la cui traduzione è stata
ripresa da Gallandi e Migne) e Hefele (riprodotto da Hurter).
La tradizione è stata continuata da Otto, Funk132 e Colombo.
La versione di Otto è particolarmente degna di nota: la sua
precisione le dà il valore di un vero commento.133
Sono al corrente dell’esistenza di sedici traduzioni tede­
sche,134 di undici traduzioni inglesi,135 di cinque italiane,136
senza parlare di altre in olandese, russo, danese e greco
moderno.137 In francese sono state pubblicate solo tre tradu­
zioni complete: la prima, dell’oratoriano Antoine Le Gras,138

132 Editto major soltanto; non è stata ripresa da K. Bihlmeyer.


133 Come Bunsen e Credner hanno pubblicato edizioni isolate dei
capp. XI-XII, così P. Roasenda ne dà una traduzione latina in
Aevum 9,1935, pp. 248-250.
134 L’ultima a me nota come data è quella di J. Geffcken in E. H en -
NECKE, Neutestamentliche Apokryphen, 2a ed., Tiibingen 1924,
pp. 619-623.
135 Le ultime a me note: J. A. KLEIST, The Didache, thè Epistle o f
Barnabas,... thè Epistle to Diognetus (coll. ACW 6), Westminster
(Maryland) 1948, pp. 127-147; 210 s.; e H. G. M eec h a m ,
The Epistle to Diognetus, Manchester 1949, pp. 75-91.
136 Ultima a me nota: C. L a V espa , La lettera a Diogneto (coll.
Raccolta di Studi di Letteratura Cristiana Antica, 7), pp. 67-106.
137 Cf. O tto , Iustini opera, t. II3, pp. LIV-LVII. Altra traduzione
olandese di G. A. VAN D en B erg , Leyden 1916 (in MEIBOOM,
Oudchristelijke Geschriften...).
138 Cf. A. Le G ras, Épitre à Diognète dans laquelle l’auteur sur les
ruines de l’idolatrie et du Judaisme établit les plus solides fonde-
ments de la religion chrétienne. Ouvrage du Ier siècle, traduit de
l'originai grec, Paris 1725.
40 INTRODUZIONE

è in realtà una parafrasi che diluisce in 32 pagine i nostri do­


dici capitoletti, omettendo tuttavia questo o quel passo di dif­
ficile interpretazione.
La seconda, che dobbiamo all’abbé (poi monsignore)
A. E. de Genoude,139 è più precisa e spesso elegante. Ma noi
siamo diventati più scrupolosi, ed essa ci sembra allontanarsi
ancora troppo dal testo: d’altronde, si basa sul testo dell’edi­
zione Maran che i progressi della critica, nel frattempo, hanno
spesso migliorato. L ’ultima è quella del M. A. Genevois,140
fatta sul testo di Funk: questa pecca per l’eccesso contrario in
quanto si impone una letteralità talmente minuziosa da dive­
nire praticamente illeggibile. Per lo meno essa assume, con
ciò, una posizione netta e coraggiosa su tutti i punti di signifi­
cato controverso.
Ho potuto conoscere ancora due traduzioni francesi: una,
ad opera dell’abbé R. Aigrain, ha avuto limitata diffusione,
grazie a un fascicoletto autografo di G. Duret: Les Chrétiem
d’après deux textes anciens, sèrie préparatoire aux Cahiers pour
les professeurs catholiques de France, III, 2, Toussaint 1919;
l’altra, approntata da M. A. Grenet, è restata finora inedita,
ma devo alla cortesia dell’autore l’averne avuto comunicazio­
ne e l’averla potuta confrontare con la mia.
Segnaliamo anche cinque traduzioni parziali: quella di
Μ. N. S. Guillon,141 che si presenta come un «condensato»
dell’insieme della Lettera a Diogneto, ciò che oggi chiamiamo
un «digest». L ’autore ha avuto la civetteria di inserire nel suo
testo una traduzione di IX , 3-5 ad opera del Bossuet.142
Quella di A. Kayser143 contiene i capitoli V II-X e si prende
anch’essa molte libertà nei confronti del testo che qua e là

139 Les Pères de l'Église, traduits en franqais, ouvrage publié par


M. de Genoude, t. II, Paris 1838, pp. 184-195.
140 In La vie spirituelle, ascétique et mystique 51, 1937, pp. 276-285
(capp. I-X soltanto).
141 Bibliothèque choisie des Pères de l’Église grecque et latine ou
Cours d’ éloquence sacrée, I parte, 1.1, Paris 1824, pp. 318-323.
142 Bossuet l’ha citata almeno tre volte (nel Discours sur l’Histoire
universelle e in due Sermoni), prova dell’interesse che aveva per
il nostro testo.
143 In T. C olani, Revue de théologie et de pbilosopbie chrétienne
13, Strasbourg 1856, pp. 266 s.
LE TRADUZIONI 41

taglia o riassume. La terza, che concerne i fondamentali capi­


toli IV-VI, è stata inserita da E. Renan nel suo Marc-Aurèle,144
e deve a questa penna prestigiosa il fatto di essere stata spesso
riletta e citata:145 è su queste poche pagine che si fonda la
conoscenza che il pubblico francese ha solitamente del nostro
testo. Si può quindi estrarre, dalla memoria che Dom P.
Andriessen ha dedicato all ’Épilogue de l’Épitre à Diognète, 146
una traduzione molto precisa dei difficili capitoli X I-X II,
e A. de Brouwer ha tentato a sua volta di dare una nuova tra­
duzione dei capitoli V -X .147
Infine, non cercherò di scusare l’insufficienza del mio per­
sonale tentativo, perché sono troppo ben persuaso che un
testo, quanto più è lavorato a fondo e meglio compreso, tanto
più diventa progressivamente intraducibile: ma qui, immagino
che l’umanista mi accuserà di cedere a un pregiudizio da
storico!

* *

Non mi è parso necessario soffocare un testo così breve


con una Introduzione troppo lunga: la cosa più semplice è
chiedere al lettore di cominciare senz’altro a leggerlo, prima
di riprenderne lo studio nel Commento.

144 Histoire des origines du christianisme 7, Marc-Aurèle et la fin du


monde antique, Paris 1881, pp. 424-428.
145 Così da A. PUCH, Histoire de la littérature grecque chrétienne,
t. II, pp. 220 s.
146 In RTAM 14,1947, pp. 132,134,138,141,143,145,146,149.
147 In Esprit et Vie, ottobre 1948, pp. 414-420. Esiste anche una
sesta traduzione, quasi completa, in J. RIVIÈRE, Saint Justin et les
Apologies su IIe siècle, Paris 1907.
43

BIBLIOGRAFIA
E troppo abbondante perché sia possibile farne qui un elenco.
Se ne troveranno gli elementi in J. C. Th. VON OTTO, Epistula ad
Diognetum, lustini philosophi et martyris nomen prae se ferens (tesi di
Jena 1845), 2a edizione, Leipzig 1852 (bibliografia dal 1592 al 1852).
Dello stesso, Corpus apologetarum christianorum saeculi secundi, voi.
IH, lustini philosophi et martyris opera, t. Π, 3a edizione, Jena 1879,
pp. XL-XLIV, LIV-LVII, LXI-LXm (bibliografia dal 1853 al 1877;
cf. parallelamente: O. De G ebhardt, Patrum apostolicorum opera, 1.1,
fase. 2 ,2a-3a edizione, Leipzig 1878, bibliografia dal 1825 al 1877).
Si spigolerà qualche informazione supplementare nelle note di
F. X. FUNK, Patres apostolici, t. I, 2a edizione, Tubingen 1901,
pp. CXIII-CXVII (fino al 1900); E. M olland, Die literatur-und dog-
mengeschichtliche Stellung des Diognetbriefes, in ZNTW 33, 1934,
pp. 289-312 (fino al 1932).
Infine si troverà una «select bibliography» in H. G. Mee CHAM,
The epistle to Diognetus, Manchester 1949, pp. 69-73.
Completo le indicazioni che precedono dando una lista di lavori
recenti (Μ. B. A.: recenti all’epoca in cui ha lavorato il curatore fran­
cese, ovviamente: lo studioso moderno dovrà necessariamente
aggiungere la consultazione di materiale più recente). Si tratta so­
prattutto di lavori italiani, troppo spesso e molto ingiustamente tra­
scurati dalle bibliografie tedesche o britanniche: M. FERMI, L ’apolo-
gia di Aristide e la lettera a Diogneto, in Ricerche religiose 1, 1925,
pp. 541-547; P. ROASENDA, In epistulae ad Diognetum XI-XII capita
adnotatio, in Aevum 9,1935, pp. 248-253; dello stesso, Il pensiero pao-
lino nell’epistola a Diogneto, ibid., pp. 468-473. P. PANTALEO, Dogma e
disciplina (seti, in Giustino e nella Lettera a Diogneto), in Religio 9
(della serie iniziata dalle Ricerche religiose), 1935, pp. 231-238;
A. C a sa m a ssa , I Padri apostolici, Roma 1938, pp. 217-232;
F. OGARA, Aristidis et epistolae ad Diognetum cum Theophilo Antio­
cheno cognatio, in Gregorianum 25, 1944, pp. 74-102 (e la nota criti­
ca di Dom B. Botte, in Bulletin de théologie ancienne et médiévale 5,
1947, n. 383); P. A ndriessen , L ’apologie de Quadratus conservée sous
le titre d’Épìtre à Diognète, in RTAM 13,1946, pp. 5-39; dello stesso,
Id., II, Les données de l’histoire sur Quadratus et son apologie, ibid.,
pp. 125-149; dello stesso, ID., III, Les données de l’histoire sur
l’empereur Hadrien, ibid., pp. 237-260; dello stesso, L ’épilogue de
l’épitre à Diognète, ibid. 14, 1947, pp. 121-156; dello stesso, Quadra­
tus a-t-il été en Asie Mineure? in Sacris erudiri, Jaaboek voor
44 BIBLIOGRAFIA

Godsdienstwetenschappen 2, 1949, pp. 44-54; dello stesso, Un pro-


phète du Nouveau Testament, in Bijdragen uitgegeven door de philos.
en theol. Faculteiten der N. en S. Nederlandse Jezuieten, 1950,
pp. 140-150; L. ALFONSI, Il «Protrettico» di Clemente Alessandrino e
l’epistola a Diogneto, in Aevum 20, 1946, pp. 100-108; dello stesso,
Spunti protrettici e filosofici nell’«Epistola a Diogneto», in Rivista di
filosofia neo-scolastica 39, 1947, pp. 239-241; C. La Vespa, La lettera
a Diogneto (tesi di Catania), Raccolta di Studi di Letteratura cristiana
antica, t. VII, Catania s. d. (1947); M. PELLEGRINO, Studi su l’antica
apologetica, Roma 1947, pp. 58-61; dello stesso, Gli apologeti greci del
II secolo, Roma 1947, pp. 2 4 0 -2 4 9 ; P . NAUTIN, L e D ossier
d’Hippolyte et de Méliton dans les Florilèges dogmatiques et chez les
Historiens modernes, Paris 1953 (Patristica I), pp. 124-126, «Les cha-
pitres XI-XII de l’écrit à Diognète»; dello stesso, Lettres et Écrivains
chrétiens des lle et IIIe siècles, Paris 1961 (Patristica II), pp. 167-175,
«La finale de l’écrit à Diognète et quelques autres passages»;
G. J. De Vries, Ad Diognetum V 7, VI 10 in Mnemosyne, S. IV, 8
(1955), p. 218; B. BlLLET, Les Lacunes de ΓA Diognète, essai de solution,
in RecSR 45 (1957), pp. 409-418; G. Lazzati, Ad Diognetum VI, 10:
Proibizione del suicidio?, in Studia Patristica III, TU 79, Berlin 1961,
pp. 291-297; C. TlBlLETn, Aspetti polemici dell’ad Diognetum, in Atti
della Accademia delle Scienze di Torino 96 (1961-1962), pp. 343-388;
dello stesso, Terminologia gnostica e cristiana in «ad Diognetum» VII, 1,
ibid. 97 (1962-1963), pp. 105-119; dello stesso, Osservazioni lessicali sul-
l’ad Diognetum, ibid., stesso voi., pp. 210-248; dello stesso, Sulla fonte di
un noto motivo dell’adDiognetum, in GIF 16 (1963), pp. 262-267.
Abbiamo tratto grande profitto dai resoconti che sono stati dedi­
cati alla prima edizione, in particolare da G. B ardy, RHE 48, 1953,
pp. 241-244, A. G uillaum ont , RHR 142, 1952, pp. 231-235, e
G. A. V an D en B ergh V an E ysinga , Erasmus 8,1955, pp. 257-259.
Per completezza, bisognerebbe aggiungere ai lavori indipendenti
le notizie o gli articoli dedicati a Diogneto (Lettera, o Lettera a -) che
si trovano nella maggior parte delle grandi enciclopedie, generali o
specialistiche, nei trattati o nei manuali riguardanti la storia del cri­
stianesimo o dei dogmi, la letteratura greca, il pensiero cristiano, la
patristica... In questa categoria, si possono consultare:
J. Q uasten, Patrology, 1.1, Utrecht 1950, pp. 248-253; B. Altaner,
Patrologie, 3a edizione, Freiburg im Br. 1951, pp. 102 s.; E. PETERSON,
in ECIV, Roma s. d. [1951], c. 1660, s. v. Diogneto, epistola a -.
BIBLIOGRAFIA 45

Fare lo spoglio di questo enorme insieme è sempre motivo di


qualche stanchezza: una parte troppo grande di questi lavori è dedi­
cata a formulare, difendere, poi demolire, innumerevoli ipotesi sulla
data e l’autore. Un lavoro di Penelope che non ha fatto procedere
quanto si sarebbe potuto sperare, la conoscenza del contenuto reale
del nostro testo. Bisogna soprattutto rileggere, dapprima gli studi di
OTTO: la sua tesi, citata sopra, e lo stupendo commento, storico e cri­
tico insieme, da lui unito alla sua edizione e alla sua traduzione latina,
nel voi. Ili, del suo Corpus apologetarum (3a edizione, Jena 1879,
pp. 158-211); poi i commenti di L. B. R adford , The epistle to Dio-
gnetus (coll. Early Church classics), London 1908; F. GEFFCKEN,
Der B rief an Diognetos (coll. Kom m entierte griechischen und
lateinischen Texte), Heidelberg 1928; insieme agli studi precedenti
dello stesso autore, in particolare in Zwei griechische Apologeten,
Leipzig-Berlin 1907, pp. XLI s., 273 s., e Der Brief an Diognetos, in
ZKG 42, 1924, pp. 348-350. Infine l’eccellente memoria di M ollano
citata sopra, e soprattutto H. G. MEECHAM, The epistle to Diognetus, thè
Greek text, with introduction, translation and notes (tesi di Manchester),
Manchester 1949.
E il lavoro più notevole, dopo quello di Otto, ed è il più avanzato
fra tutti quelli che sono stati dedicati sdl’A Diogneto. Ho avuto la for­
tuna di poterlo utilizzare e di rinviare oggi ad esso il lettore (insieme
al resoconto, breve ma denso, che ne ha dato G. QuiSPEL, in VChr 5,
1951, p. 187): il commento, estremamente preciso e dettagliato, è
d’ordine soprattutto linguistico e letterario (cf. anche nell’Introduzione,
pp. 9-19, 65 s., lo studio del vocabolario, della grammatica e dello
stile). Completa utilmente lo studio che presentiamo qui e che ha
cercato di avere un carattere storico e dottrinale.

* •k ★

Μ. B. A.: Aggiungiamo per questa edizione italiana i due volumi


seguenti di data recente con traduzione, introduzione e note, dai
quali sarà anche possibile avere qualche altra indicazione bibliografi­
ca di studi moderni su Diogneto:
A Diogneto [E. Norelli] Cinisello Balsamo 1991.
A Diogneto [S. Zincone] ed. Boria, Roma 1987.
46

ABBREVIAZIONI

1. M anoscritti
F: Strasburgo, Biblioteca municipale, Codex graecus IX, distrutto (ricostrui­
to in base alle collazioni e commenti di Cunitz e di Reuss, in Otto).
b: note di J. J. Beurer, perdute (secondo le informazioni fomite da
Estienne, pp. 98-104, e Sylburg, pp. 432a-433a).
h: Copia di B. Haus, Tubinga, Biblioteca universitaria, M. b. 27, in
base alla recensione di Funk.1
st: Copia di H. Estienne, Leyden, Biblioteca accademica, Codex Graecus
Vossianus 4° 30, in base alla recensione di J. Geel,2 in Otto.

Sigle dì riviste e collezioni (Μ. B. A.) ,


AB = Analecta Bollandiana, Bruxelles.
AC = F. J. Dolger, Antike und Christentum, Miinster i. W. 1929-1950.
ACW = Ancient Christian Writers, ed. J. Quasten-J. C. Plumpe,
Westminster, Md. -London 1946 ss.
Aevum = Aevum. Rassegna di Scienze storiche, linguistiche e filologiche,
Milano.
BHG = Bibliotheca hagiographica Graeca, ed. Socii Bollandiani,
Bruxelles.
BHL = Bibliotheca hagiographica Latina, Antiquae et mediae aetatis,
ed. Socii Bollandiani, Bruxelles.
BHO = Bibliotheca hagiographica Orientalis, ed. P. Peeters, Bruxelles.
BLE = Bulletin de Littérature Ecclésiastique, Toulouse 1877 ss.
Byzantion = Byzantion. Revue Internationale des Études byzantines,
Bruxelles.
ByzZ = Byzantinische Zeitschrift, Miinchen.
CIL= Corpus inscriptionum Latinorum, Berlin 1869 ss.

1 Le verifiche alle quali, per mio conto, ho gentilmente fatto proce­


dere M. R. Goepler hanno sempre confermato le lettere di Funk.
2 L ’esame del manoscritto, che mi è stato facilitato dall’amichevole
cortesia di M. J. H. Waszink, non mi ha procurato nulla di nuovo
salvo le note (finora inedite, per quanto ne so) del f. 50v, relative
ai «Versi della Sibilla Eritrea», citati sopra, p. 10.
ABBREVIAZIONI 47

CP = Corona Patrum Salesiana, Torino.


CSEL = Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Wien 1865 ss.
CSHB - Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae, Bonn 1828-1897.
DTC = Dictionnaire de Théologie catholique, Paris 1909 ss.
EC = Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950 ss.
EphemLiturg = Ephemerides liturgicae, Città del Vaticano.
GCS = Die griechischen christlichen Schriftsteller, Leipzig-Berlin, 1897 ss.
GIF = Giornale Italiano di Filologia, Roma.
Gregorianum = Gregorianum. Commentarti de re theologica et philo-
sophica, Roma.
JThS = Journal o f Theological Studies, Oxford.
Krumbacher = K. KRUMBACHER, Geschichte der byzantiniscben
Literatur von Justinian bis zum Ende des ostròmischen Reiches
(527-1453), Miinchen 21897.
LCL = Loeb classical library, London-Cambridge (Mass.) 1912 ss.
MSCA = Miscellanea Agostiniana, Roma 1931.
Pauly-Wissowa = Paulys R ealencyclopàdie der klassischen
Altertumswissenscbaft, Suttgart 1893 ss.
PG = Patrologia graeca [J. -P. Migne] Paris.
PhW = Philologiscbe Wochenschrift, Leipzig.
PL = Patrologia latina 1J.-P. Migne] Paris.
PO = Patrologia Orientale, Paris 1903 ss.
PSt = Patristic Studies, Washington 1922 ss.
RACh = Reallexikon fiir Antike und Christentum, Stuttgart 1950 ss.
RecSR = Recberches de Science Religieuse, Paris.
REG = Revue des Études Grecques, Paris.
RHE = Revue d’bistoire ecclésiastique, Louvain.
RHR = Revue de l’Histoire des Religions, Paris.
RSCI = Rivista di Storia della Chiesa in Italia, Roma.
RSPh = Revue des Sciences philosopbiques et tbéologiques, Paris.
RTAM = Recberches de théologie ancienne et médiévale, Louvain.
SA = Studia Anselmiana, Roma 1933 ss.
SC =Sources Chrétiennes, Paris.
SIFC = Studi italiani di Filologia classica, Firenze.
ST = Studi e Testi, Città del Vaticano 1900 ss.
TSt = Texts and Studies, ed. J. A. Robinson, Cambridge 1891 ss.
TU = Texte und Untersuchen zur Geschichte der altchristlichen
Literatur, Leipzig-Berlin 1882 ss.
TW NT = G. Kittei, T heologisches W òrterbuch zum Neuen
Testament, Stuttgart 1933-1979.
48 ABBREVIAZIONI

VChr = Vigiliae Christianae. A Review o f Early Christian Life and


Language, Amsterdam.
ZKG = Zeitschrift fiir Kirchengeschichte, Stuttgart.
ZKTh = Zeitschrift fur katholische Theologie, Wien.'
ZNTW = Zeitschrift fiir die neutestamentliche Wissenschaft und die
Kunde der àlteren Kirche, Berlin.

2. E dizio n i e st u d i c r it ic i

Andriessen: Dom Paul Andriessen d ha gentilmente comunicato le nuove


lezioni che saranno contenute nell’edizione che sta preparando.
Blakeney: E. H. BLAKENEY, The epistle to Diognetus, London 1943.
Boehl: G. BOEHL, Opuscula Patrum selecta, P. I, Berlin 1826.
Bunsen: C. C. J. B unsen, Christianity and Mankind, t. V (Analecta
Ante-Nicaena 1), London 1854.
Credner: C. A. CREDNER, Geschichte des neutest. Kanon, ed. da
G. Volkmar, Berlin 1860.
Cunitz: in Otto.
Estienne: H. ESTIENNE, justini philosophi et martyris Epistula ad
Diognetum et Orario ad Graecos, Paris 1592.
Funk: F. X . FUNK, Patres apostolici, 1 .1 ,2 a ed., Tiibingen 1901.
Gebhardt: O. DE GEBHARDT, A. HARNACK, Th. ZAHN, Patrum apo-
stolicorum opera, P. II, fase. I, 2a ed., Leipzig 1878.
Geffcken: J. GEFFCKEN, Der Brief an Diognetos, Heidelberg 1928.
Gildersleeve: B. L. GlLDERSLEEVE, Justinus Martyr, The apologies,
New York 1877.
Harm er: J . B. LlGHTFOOT, J . R. H armer , The apostolic fathers
(ed. minor), 2 a ed., London 1893-1898.
Hefele: C. J. H efe le , Patres Apostolici, 4 a ed., Tiibingen 1855.
Hengel: V an H en gel , in Otto.
Hilgenfeld: A. HlLGENFELD, Der Brief an Diognetos, in Zeitschrift fiir
wissensch. Theologie 16,1873, pp. 270 s.
Hoffmann: HOFFMANN, justinus des Màrtyrers Brief an Diognetus,
Neisse 1851.
Hollenberg: W. A. HOLLENBERG, Der Brief an Diognet, Berlin 1853.
Krenkel: M. KRENKEL, Lettera an Diognetum, Leipzig 1860.
Kiihner: in Otto.
Lachmann: in Bunsen.
Lange: in RÓHR, Krit. Pred. Biblioth., 2 5 ,1 8 4 4 , fase. 6, p. 998.
ABBREVIAZIONI 49

Lindner: G. B. LlNDNER, Bibliotheca Vatrum eccles. selectissima, 1.1.,


Leipzig 1857.
Maran: D om P. MARAN, S. Iustini opera, Paris 1752.
Murray: G . M urray, in Blakeney.
Nock: A. D. Nock, A note on Ep. ad Diognetum Χ ,ί 1, in JThS 29,
1927-28, p. 40.
Nolte: J. H. NOLTE, in SCHNEIER, ZKTh., 1854, riprodotto dal
Migne, PG 2,1301-1304.
Otto, oppure Otto3: I. C. Th. DE OTTO, Corpus apologetarum chri-
stianorum saec. sec., voi. Ili, Iustini philosophi et martyris opera,
t. II, 3a ed., Jena 1879; si rinvia anche alla l a ed., 1843 (Otto1),
alla seconda, 1849 (Otto2), come pure all’edizione isolata,
Epist. ad Diognetum Iustini phil. et mart. nomen prae se ferens,
2a ed., Leipzig 1852 (Otto, 1852).
Reuss: in Otto.
Scheibe: C. S cheibe , Zur Kritik des Epistola ad Diognetum, in Theol.
Studien undKritiken, Gotha, t. 35,1862, pp. 576-578.
Sylburg: F. SYLBURG, S. Iustini philosophi et martyris opera,
Heidelberg 1593.

3. S ig le

<.... >: parole aggiunte, cambiate o corrette.


[..... ]: parole da eliminare.
***: lacuna.
Per comodità del lettore abbiamo evitato di introdurre le sigle
critiche all’interno delle parole; così, in IX, 2, leggendo èXeùv là
dove il manoscritto F dà λέγωυ, è stato stampato < έλ€ών> e non
<έ>λε[γ]ώΐΛ
T esto greco
e
TRADUZIONE
52

Π Ρ Ο Σ Δ ΙΟ ΓΝ Η Τ Ο Ν

I. Επειδή όρώ, κράτιστε* Διόγνηιε, ύπερεσπουδακύτα


σε τήν θεοσέβειαν των Χριστιανών μαθεΐν καί πάνυ σαφώς
καί έπιμελώς πυνθανόμενον περί αυτών, *τίνι τε Θεφ
πεποιθότες hxal πως θρησκεύοντες αΰτόν *<τόν> τε κόσμον
ύπερορώσι πάντες dxaì θανάτου χαταφρονοΰσι, 'καί ούτε
τούς νομιζομένους ΰπό των ‘Ελλήνων θεούς λογίζονται
'οδτε τήν Ιουδαίων δεισιδαιμονίαν φυλάσσουσι, "καί τίνα
τήν φιλοστοργίαν έχουσι προς άλλήλους, ι>καΙ τ( δήποτε
καινόν τούτο γένος ή έπιτήδευμα είσηλθεν είς τον βίον νϋν
καί ού πρότερον, 2 &.ποδέχομαί γε της προθυμίας σε
ταύτης, καί παρά του Θεοΰ — τοϋ καί τύ λέγειν καί τύ
άκούειν ήμιν χορηγοΰντος — αίτοϋμαι δοθήναι έμοί μέν
είπεΐν ούτως ώς μάλιστα αν <άκούσαντά > σε βελτίω γενέσθαι,
σοί τε ούτως άκοϋσαι ώς μή λυπηθηναι τύν είπύντα.

II. Ά γ ε δή, καθάρας σαυτόν άπο πάντων των προκατ-


εχάντων σου τήν διάνοιαν λογισμών, καί τήν άπατώσάν

I, 1 αύτ&ν τ4ν τε κόσμον Lachmann : αύτίν τ£ κίσμον F αύτ4ν


κόσμον τε Krenkel.
2 4ν άκούσαντά oc Estienne : δν άκοϋσαί σε F τφ άκοΰσοd σε
Lindner άν τόν άκούσαντα (om. σε) Schelhe τδν άκούσαντ* (om . 8ν et
σε) O lio.

1 Melitone di Sardi aveva posto all’inizio delle sue Έκλογαί una let-
tera-dedica che si apre con un esordio (conservato da EUSEBIO,
Htst. eccles., IV, 26, 13) caratterizzato da un movimento analogo:
Επειδή πολλάκι? ήξίωσα?, σπουδή ..., «Melitone a suo fratello
Onesimo, salute. Π tuo zelo per la dottrina ti ha fatto desiderare
di avere degli estratti della Legge e dei Profeti...; vorresti anche
sapere con precisione quali sono, ecc.».
A DIOGNETO

Le dom ande di D io g n e t o

1, 1. Vedo,1 Eccellente Diogneto, che sei mosso da grande


zelo di apprendere la religione dei cristiani, e poni domande
con tutta chiarezza e proprietà. aIn quale Dio ripongono la
loro fede,2 bcome gli rendono culto e come, cproprio per que­
sto, tutti sdegnano il mondo e ddisprezzano la morte, e non
fanno alcun caso di quelli che dai greci sono ritenuti dèi, fné
osservano la superstizione3 giudaica. sChe significa il loro
vicendevole amore, he infine: come mai questa nuova stirpe -
o genere di vita - ha fatto il suo ingresso nel mondo solo ora e
non prima?

P r e p a r a z io n e s p ir it u a l e

2. Accolgo dunque con gioia questo tuo interessamento,


ed è a Dio - che ci elargisce il parlare e l’ascoltare - che chie­
do di dare a me di esprimermi in modo che tu ascoltandomi
divenga migliore, e a te di ascoltare in modo da non essere
motivo di tristezza a me che ti parlo.
Π, 1. Su dunque, purifica la tua mente da tutti i pregiudizi che
la occupano, spogliati della consuetudine ingannatrice, divieni un

2 La nota del curatore francese recita: «Per comodità del commento,


la nostra traduzione scompone in proposizioni parallele un perio­
do complesso i cui elementi, in greco, sono sottilmente subordinati
gli uni agli altri: è perché tale è la loro fede e il loro culto che sde­
gnano il mondo, disprezzano la morte, ecc.». In italiano abbiamo
fatto più o meno la stessa cosa, indicando, come nel testo greco e
francese, con una lettera dell’alfabeto, i vari periodi che saranno
oggetto di commento, ma cercando in qualche modo di mostrare
ugualmente la subordinazione delle proposizioni (Μ. B. A.).
3 Cf. J. P. KOETS, Δεισιδαιμονία, a contribution to thè knowledge o f
thè religious terminobgy in Greek, tesi di Utrecht 1929, pp. 66 s.
Applicato in senso peggiorativo al giudaismo, il termine si incontre­
rebbe solo qui (e sotto IV, 1) e in Origene, Contra Celsum, VH, 41,
p. 192,6, Kòtschau; cf. Π, 2, p. 129, riga 16; In Num., 23,5. Il termi­
ne si trova già, forse con la stessa sfumatura peggiorativa, in At 25,
19, in bocca al procuratore Festo.
54 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

σε συνήθειαν άποσκευασάμενος, καί γενόμενος ώσπερ


έζ άρχής καινός άνθρωπος, ώς αν καί λόγου καινού, καθάπερ
καί αυτός ώμολόγησας, άκροατής έσύμενος ' ϊδε μή μόνον
τοϊς δφθαλμοΐς, άλλά καί τή φρονήσει, τίνος ύποστάσεως
ή τίνος είδους τυγχάνουσιν οδς έρεϊτε καί νομίζετε θεούς.
2 Ούχ ό μέν τις λίθος έστίν βμοιος τψ πατουμένφ, ό 8’
έστί χαλκός ού κρείσσων των είς τήν χρήσιν ήμΐν κεχαλ-
κευμένων σκευών, ό δέ ξύλον ήδη καί σεσηπύς, ό δέ άργυρος
χρήζων άνθρώπου τοϋ φυλάξαντος ίνα μή κλαπη, 6 δέ
σίδηρος υπό ίοϋ διεφθαρμένος, ό δέ βστρακον, ούδέν τοϋ
κατασκευασμένου πρός τήν άτιμοτάτην υπηρεσίαν εύπρεπέσ-
τερον ; 8 ού φθαρτής ύλης ταΰτα πάντα ; ούχ υπό σιδήρου
καί πυράς κεχαλκβυμένα ; ούχ 6 μέν αυτών λιθοξόος δ δέ
χαλκεύς δ δέ άργυροκόπος δ δέ κεραμεύς ίπλασεν ; ού
πρίν ή ταϊς τέχναις τούτων είς την μορφήν τούτων έκτυ-
πωθηναι ήν <έκαστον > αυτών έκάστφ έτι καί νϋν μετα-
μεμορφωμένον ; ού τά νϋν έκ της αύτης ύλης δντα σκεύη
γένοιτ* &ν, εί τύχοι των αύτών τεχνιτών, βμοια τοιού-
τοις ; 4 Ού ταΰτα πάλιν τά νϋν ύφ’ <ύμων > προσκυνού-
μενα δύναιτ’ άν ΰπό άνθρώπων σκεύη βμοια γενέσθαι τοϊς
λοιποΐς ; ού κωφά πάντα, ού τυφλά, ούκ άψυχα, ούκ

II, 3£χαστον Maran : έκαστος F


4 ύμών Estienne : ήμ&ν F

4 Espressione paolina: cf. Ef 4,22-24, o forse meglio Col 3,10.


5 II greco dice più vagamente «come aH’origine», e questo si
potrebbe intendere di Adamo prima della caduta, ma questa allu­
sione poteva essere compresa dal lettore pagano? E più probabile
che ci sia qui un’eco di Gv 3, 3-7.
6 Parlando dei cristiani come di una stirpe nuova.
7 Oppure, ironicamente, «la realtà oggettiva e la forma apparente».
8 Si noti il passaggio dalla seconda persona singolare a quella plura­
le, che sarà mantenuta lungo il cap. Q.
9 Cf. Dt 4,28; Is 44, 9-20; Ger 10,3-5; Sap 13,16; 15,7.
10 Cf. Bar 6,58.
A DIO GN ETO 55

uomo nuovo4 come appena nato,5 perché stai per ascoltare un


discorso nuovo, come tu stesso ammetti:6 e pertanto guarda
non con gli occhi soltanto, ma con l’intelligenza, di quale
sostanza o di quale forma7 siano quelli che dite e ritenete8 dèi.

C o n tr o l ’ id o l a t r ia

2. Non è forse l’imo pietra simile a quella che calpestiamo,9


l’altro bronzo, che non ha maggior valore degli utensili10 che
vengono lavorati a nostro uso? E un altro è di legno, anche già
marcio, o di argento, e ha bisogno di chi gli faccia la guardia
perché non venga rubato!11 Oppure è di ferro che viene corroso
dalla ruggine,12 o di terracotta, realizzato dunque con un mate­
riale che non ha niente di meglio di quello impiegato per il servi­
zio più vile.13 3. Non sono tutti fatti di materia corruttibile? Non
sono forse lavorati con il ferro e il fuoco? Chi li ha plasmati non
è stato forse uno scultore, oppure un fabbro, un argentiere o un
vasaio?14 Prima che fosse loro impressa una forma (di dèi) con
queste tecniche artigianali, ciascuno di questi materiali non era
già stato trasformato dall’artefice, e questo non può accadergli
di nuovo ora?15 Quelli dunque che sono ora oggetti dello stesso
materiale, se capitano in mano agli stessi artefici di quelli
(gli id o li), non p otreb b ero diventare sim ili a loro?
4. E viceversa, quelli che ora vengono venerati da voi non
potrebbero divenire, per mano di uomini, degli utensili come gli
altri? Non sono forse tutti sordi, ciechi, inanimati, insensibili,
incapaci di muoversi? Non sono tutti soggetti a deterioramento,
tutti soggetti a corruzione? 5. Questi voi li chiamate dèi, a questi

11 Cf. ibid., 17.56.


12 Cf. ibid., 11.19.-
13 Cf. Sap 13,11 d.
14 Cf. Ger 10, 3-5; Ab 2, 18 s; Bar 6, 7-29; 44-58.
15 II greco si esprime in modo molto più vago: «Prima di essere stato
formato dalle tecniche di costoro (gli artigiani) in forma di questi
(gli dèi), ciascuno di questi materiali era stato trasformato da cia­
scuno (di questi artigiani) come ancora ora». Certo la costruzione è
intricata. P. NAUTIN, Lettres et Écrivains chrétiens des IIe et IIIe
siècles, p. 173, propone arditamente di correggere il testo del ms.:
έκαστον αυτών < δμοιον > έκάστω <τών> Ιτι καί νΐιν μεταμεμορ-
φημέ<νω>ν. Per il concetto, cf. Rm 9, 21; 2 Tm 2, 20.
56 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

άναίσθητα, ούκ άκίνητα ; ού πάντα σηπόμενα, ού πάντα


φθειρόμενα ; 5 ταϋτα θεούς καλεΐτε, τούτοις δουλεύετε,
τούτοις προσκυνεΐτε ‘ τέλεον δ’ αύτοϊς έξομοιοΰσθε. β Διά
τούτο μισείτε Χριστιανούς, 6τι τούτους ούχ ήγοϋνται θεούς.
7 ’Τμεΐς γίρ οΐ νϋν νομίζοντες καί οιόμενοι, ού πολύ πλέον
αύτών καταφρονείτε ; ού πολύ μάλλον αύτούς χλευάζετε καί
υβρίζετε, τούς μέν λίθινους καί ύστρακίνους σέβοντες
άφυλάκτους, τούς δί άργυρέους καί χρυσοΰς έγκλείοντες
ταΐς νυξί, καί ταΐς ήμέραις φύλακας παρακαθιστάντες,
ίνα μή κλαπωσιν ; 8 αΐς δέ δοκεϊτε τιμαΐς προσφέ-
ρειν, εΐ μίν αισθάνονται, κολάζετε μάλλον αύτούς ' εί
δέ άναισθητοΰσιν, έλέγχοντες αίματι καί κνίσαις αύτούς
θρησκεύετε. 9 Ταϋθ’ ύμών τις ύπομεινάτω, ταϋτα
άνασχέσθω τις έαυτφ γενέσθαι. Αλλά άνθρωπος μεν ούδέ
είς ταύτης της κολάσεως έκών άνέζεται, αΐσθησιν γ&ρ ίχει
καί λογισμόν ' ό δί λίθος άνέχεται, άναισθητεΐ γάρ · ούκοϋν
τήν αίσθησιν αύτοϋ έλέγχετε. 10 Περί μέν οδν τοΰ μή
δεδουλώσθαι Χριστιανούς τοιούτοις θεοΐς πολλά μέν καί
άλλα είπεΐν Ιχοιμι * εί δέ τινι μή δοκοίη κάν ταϋτα ικανά,
περισσόν ήγοΰμαι καί τ.ά πλείω λέγειν.

III. Έ ξης δέ περί τοϋ μή κατά τά αύτά Ίουδαίοις θεοσε-


βεΐν αύτούς οίμαί σε μάλιστα ποθεΐν άκοϋσαι. 2 ‘Ιουδαίοι
τοίνυν, εί μέν άπέχονται ταύτης της προειρημένης λατ-

7 άφυλάκτους F (lette Reuss) Estienne : -τως b h Cunitz (fu i non


inlellexerunt teriplurae comperulium).

16 Cf. Sai 113B (LXX), 4-8 = Sai 134,15-18; v. anche Sap 15,15.
17 Cf. Bar 6,17.
18 Ελέγχω, qui e sotto (II, 9), può significare tanto «rimproverare,
svergognare» come «confutare, dimostrare».
19 Sempre il P. ΝΑΙΓΠΝ, Lettres..., p. 174, propone un’altra correzio­
ne, questa volta indispensabile (la nostra traduzione la supponeva
già attuata); si tratta di leggere αναισθησίαν anziché
αίσθησιν alla fine di questo § II, 9.
20 E questo un punto particolarmente difficile per il quale sono già stati
proposti quattordici tentativi di ricostruzione. Noi d siamo azzardati a
suggerirne un quindicesimo (supponendo, come già Sylburg, che
A DIO GN ETO 57

servite, a questi vi prostrate, e a questi finite per diventare


simili.16 6. Per questo odiate i cristiani, perché essi non li consi­
derano dèi.
7. Ma di fatto, voi che tali li ritenete e li credete, non li
disprezzate forse più di loro? Forse non ve ne fate beffe e non
li insultate molto di più, visto che quelli di pietra e di terracot­
ta li venerate lasciandoli incustoditi, mentre quelli d’argento e
d’oro di notte li tenete sotto chiave e di giorno mettete loro
dei custodi perché non siano rubati?17

C o n tr o i s a c r if ic i c r u e n t i

8. Quanto agli onori che ritenete di rendere loro, se mai


avessero sensibilità, voi piuttosto li infastidireste: ma che non
sentono nulla voi lo rendete palese18 rendendo loro culto con
sangue e grasso. 9. Sopporterebbe tali onori qualcuno di voi,
o tollererebbe che gli si facessero cose simili? No, un uomo
non accetterebbe di sua volontà uno solo di questi tormenti, e
ciò perché è dotato di sensibilità e ragione, mentre la pietra
tollera perché è insensibile: così, dunque, ne dimostrate
l’insensibilità.19
10. Quanto al fatto che i cristiani non si facciano schiavi di
simili dèi, avrei molto altro da dire, tuttavia, se a qualcuno non
sembrasse sufficiente dò che ho detto, ritengo superfluo dire di più.

C o n tr o i s a c r if ic i d e i g iu d e i

ΠΙ, 1. Tratterò ora di ciò che mi pare tu desideri maggior­


mente sapere: come mai noi non rendiamo culto a Dio alla
maniera dei giudei. 2 . 1 giudei, dunque, si tengono certamente
lontani dal culto di cui sopra, credono in un solo Dio e saggia­
mente ritengono che si debba venerarlo quale sovrano dell’u­
niverso;20 ma quando lo venerano con lo stesso culto dei

eìs 0€Òv 'ένα... esiga necessariamente πιστέ uèlv e che la corruzione


del testo F sia dovuta, ancora una volta, a una lacuna del suo modello Φ;
adottiamo per l’ultimo termine la correzione ardita ma felice di
Lachmann). Ciò non senza aver esitato ad adottare il testo di Lindner,
che esigerebbe meno correzioni materiali, ma che ci è parso dare alla
frase una costruzione piattamente simmetrica e banale: «(Quando i
giudei...) e quando essi venerano un Dio unico come signore dell’uni­
verso, pensano giustamente. (Ma quando, ecc... si ingannano)».
58 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

ρείας, καί εις θεόν (να <πιστεύειν καί τούτον > των πάντων
σέβειν [καί] δεσπότην, άξιοϋσι <φρονίμως> * et Sì τοΐς
προειρημένοις όμοιοτρόπως τήν θρησκείαν προσάγουσιν
αύτψ ταύτην, διαμαρτάνουσιν. 8 *Α γάρ τοΐς άναισθήτοις
χαΐ κωφοΐς προσφέροντες al 'Ελληνες άφροσύνης δείγμα
παρέχουσι, ταϋθ’ οδτοι, καθάπερ προσδεομένφ τφ θεφ
λογιζόμενοι παρέχειν, μωρίαν εΐκός μάλλον ήγοΐντ’ £ν, ού
θεοσέβειαν. 4 Ό γάρ ποιήσας τάν ούρανόν καί -Λ|ν
γην καί πάντα τά έν αύτοΐς καί πάσιν ήμΐν χορηγών,
ών προσδεόμεθα, ούδενύς άν αύτός προσδέοιτο τούτων ών
τοΐς οίομένοις διδόναι παρέχει αυτός. 5 ΟΙ δέ γε θυσίας
αύτφ δι’ αΐματος καί κνίσης καί Ολοκαυτωμάτων έπιτελεΐν
οΐόμενοι καί ταύταις ταΐς τιμαϊς αύτόν γεραίρειν, ούδέν
μοι δοκοΟσι διαφέρειν των εις τά κωφά τήν αυτήν <&νδεικ-
νυμένων > φιλοτιμίαν, <τά> μή <δυνάμενα> της τιμής
μεταλαμβάνειν. Τό δέ δοκεΐν τινά παρέχειν τφ μηδενός
προσδεομένφ < * * * >

III, 2 χαΐ είς Κ : χαΐ εΐ Eslienne Nolte HolTmann Lindner Scheib


Geffcken xal ώς Otto* Otto* xal (om. είς) GNdersleeve καί κτίστην
Bunsen κτίστην Lachmann καλώς Hilgenfeld
iva πίστευαν xod τοΰτον noe (lacunam suspicanles) : Iva F T&v
ένα Lange h a xal Krenkel
σέβειν P : χτίστην σέβειν Estienne δημιουργόν πιστεύειν τοΰτον -re
μόνον σέβειν Sylburg εύσεβεΐν διδάσχουβιν (vcl παραγγέλλουαιν)
Krenkel σέβονται Lindner σέβεσθαι Scheibe Gildersleeve Òlio*
xal del. no$ superiti* Irantposilam : om. Lange Nolte Lindner
Krenkel Schreibe Gildersleeve Otto’
άξιοϋβ F : άξίως (ve/ άξιώ Lindner) Krenkel
φρονίμως Lachmann : φρονεΐν F om. Nolte φρονοΰσιν Otto* ipOùc
δοχοΰσι φρονεΐν Geffcken.
4 in marg. : (τι & Θεός άπροσδεής έστι καί ούδενός ών προσ-
φέρομεν αύτφ δέεται ' ώς καί αύτύς εΐρηκέ που ' τ(ς γάρ έχ των χειρών
ύμων έζήτησε ταΰτα h (huius glossemalit lexlum, quem in margine
muribut graoiler correla mulilalum praebel F, reslituert audacler
conalut ttl Otto).
5 ίνδεικνυμένων b : — voi F — νοις Estienne
τά μή δυναμενα Estienne : των μή δυναμένων F των μέν μή
δυναμένων Lachmann των μέν μή δυναμένοις Gebhardt αύτων [tcil.
τών κοφών) μή δυναμένων Ktthner
A DIOGN ETO 59

pagani di cui ho detto sopra, allora sono nell’errore. 3. Infatti,


se i greci offrendo tali sacrifici a idoli insensibili e sordi danno
prova di stoltezza, anche costoro che li offrono a Dio pensan­
do ne abbia bisogno, dovrebbero pensare come ciò sia piutto­
sto follia che pietà.
4. Poiché Colui che ha fatto il cielo e la terra e tutto ciò c
contengono,21 e che ci elargisce ciò di cui abbiamo bisogno,
certo non ha bisogno22 di ciò che egli stesso dona a quelli che
credono di fame dono a lui. 5. Certo quanti pensano bene di
offrire sacrifici mediante sangue, grasso e olocausti e di vene­
rarlo con simili onori, non mi sembrano differire in nulla da
quanti mostrano lo stesso zelo nell’onorare gli idoli sordi, che
non sono in grado di aver parte ad onori. Ma credere di offri­
re qualcosa a Colui che non ha bisogno di nulla!23

Tò Si Soxeìv... προσίίομένψ F (exclamalive initlligendum eentuil


M urray): haec verbo ut glonam del. Otto τφ S i SomcTv ... M aran
τφ γ ι Soxeìv Hefele* τφ 8ή Soxeìv Otto (1852) βοχοϋνχϊς γβ Lang*
•τϋν Si βοχούντων (om. τινα) Lachmann.
·** lacunam indieavimut, quam nupicalut est Sylburg et rxpltre
voluti, add. πάμπαν έοτίν ήλίθιον.

21 Sai 145, 6; cf. At 4, 24; Es 20, l l .A margine si legge questa nota:


«[Dice] che Dio basta a se stesso e non ha bisogno di alcuna delle
cose che gli vengono offerte, come ha detto egli stesso da qualche
parte (cioè Is 1, 12): Chi ha richiesto ciò dalle vostre mani?».
22 Cf. At 17, 24 s.; Sai 49, 8-14; 1 Sam 15,22.
23 Seguendo il suggerimento di Gilbert Murray (in E. H. BLAKENEY,
The epistle to Diognetus, p. 42) traduciamo il testo del ms. F,
intendendolo come un’esclamazione; ma è molto probabile che la
frase sia interrotta a causa di una mutilazione del modello Φ.
60 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

IV . 'Αλλά μήν v i γβ περί τάς βρώσης αύτών ψοφοδεές,


καί τήν π«ρί τά σάδδατα δεισιδαιμονίαν, χαΐ τήν της περι­
τομής άλαζονείαν, χαί τήν της νηστείας χαϊ νουμηνίας
ειρωνείαν, καταγέλαστα καί ούδενδς άξια λόγου, <ού>
νομίζω oc χρήζιιν παρ’ έμοϋ μαθεΐν. 2 Τό τε γάρ των
ύπύ τοϋ θεοϋ κτισθέντων είς χρήσιν άνθρώπων A μέν ώς
καλώς κτισθέντα παραδέχεσθαι, ά δ’ ώς άχρηστα καί
περισσά παραιτεΐσθαι, πώς <οδν > θέμις έστί ; 8 τύ δέ
χαταψεύδεσθαι θεοϋ ώς χωλύοντος έν τη των σαββάτων
ήμίρφ χαλόν τι ποιεΐν, πώς ούχ άσεβές ; 4 τό δέ καί τήν
μείωσιν της σαρκ&ς μαρτύριον έκλογης άλαζονεύεσθαι ώς
S ii τοϋτο έξαιρέτως ήγαπη μένους ύπλ Θεοϋ, πώς ού χλεύης
άξιον ; 6 τό δέ παρεδρεύοντας αύτούς Λστροις καί σελήνη
τήν παρατήρησιν τών μηνών καί των ήμερων ποιεΐσθαι,
χαΐ τάς οικονομίας θεοϋ καί τάς τών χαψών άλλαγάς
<καταδιαιρεΐν > πρύς τάς αύτών ύρμάς, &ς μέν εις έορτάς,
άς δέ είς πένθη * τίς άν θεοσεδείας χαί ούχ άφροσύνης 7τολύ
πλέον ήγήσεται τό δείγμα ; β της μέν οδν κοινής είκαιότη-
τος καί άπάτης χαί της Ιουδαίων πολυπραγμοσύνης χαί
αλαζονείας <ώς> ύρθώς άπέχονται Χριστιανοί, άρχούντως
<σε > νομίζω μεμα&ηκέναι. T i δέ της Ιδίας αύτών θεοσεδείας
μυστήριον μή προσδοκήσης δύνασθαι παρά άνθρώπου μαθεΐν.

IV, 1 ού add. Estienne : om. F.


2 ούν θέμις έστί Otto : ού θέμις έστί F θέμις (om. ού) farri vel
ούχ άθέμιτάν έστι Estienne ούχ άθέμιατον (om. έστι) Gebhardt ού
μέθης έστίν Lachmann.
5 in marg. : : 8τι παρήίρευον ’Εβραίοι ίστροις καί σελήνη χαί τάς
παρατηρήσεις αύτών έφύλαττον
χατα&αιρεΐν b : χ«τα8****ίΐν F κατα^υθμίζειν Estienne κατανέ-
μειν vel χατατάτταν Sylburg χατασχοπεΐν Boehl
ήγήσεται τύ F : ήγήσηται τό Estienne ήγήσαιτο h Lachmann
(lextum ms. F servare maluimus ; de usu futuri indicai, cum fa. cf.
Otto, Corpus Apologtlarum v. Il*, p. 340, n. 8).
β ώς Buneen : om. (sine lacuna ) F βτι b.
σε Estienne : τε F alia manu (Slephanit) in «c corredum.

24 La scelta del termine ειρωνεία (propriamente «affettazione di


debolezza») si spiega col desiderio di stabilire un’antitesi con
A DIO GN ETO 61

C o n tr o i l r it u a l is m o g iu d a ic o

IV, 1. Certo, quanto alla loro scrupolosa paura nei co


fronti dei cibi, alla superstiziosa religiosità rispetto ai sabati, al
vanto per la circoncisione e alla affettata osservanza24 del
digiuno e del novilunio, cose ridicole e che non meritano
alcun discorso, ritengo che tu non abbia bisogno di essere
istruito da me.
2. Infatti, rispetto a ciò che è stato creato da Dio ad u
dell’uomo, come può essere lecito in parte accoglierlo come
creato bene e in parte rifiutarlo come inutile e superfluo? 3. E
non sarà forse empio mentire nei confronti di Dio quasi che
egli comandasse di non fare il bene nel giorno di sabato?25
4. Quanto al menar vanto per una mutilazione della carne
quale segno di elezione, come se per questo fossero partico­
larmente amati da Dio, non è forse degno di riso? 5. E la loro
attenzione agli astri e alla luna in vista dell’osservanza di mesi
e giorni,26 e la distinzione tra le leggi del governo di Dio e le
alternanze dei tempi secondo i loro desideri per determinare
quelli destinati alle feste e quelli destinati al lutto - chi non lo
considererà molto più dimostrazione di stoltezza che di pietà?
6. Ritengo tu abbia appreso abbastanza sul motivo per cui
i cristiani si tengono a ragione lontani sia dalla sconsideratez­
za e dal comune errore27 sia dalla religiosità indiscreta e dalla
vanteria dei giudei. Ma la religione propria ai cristiani è un
mistero: non aspettarti di poterla apprendere da un uomo.28

αλαζονεία, «vanto», che precede: questi sono, secondo Aristotele,


i due estremi opposti rispetto al giusto mezzo che consiste nell’es­
sere veritiero (Eth. Nic., II, 7, 1108a, 19-23); cf. Col 2, 23 (per il
concetto) e 2 Mac 13, 3 (per l’uso del termine ειρωνεία).
25 Cf. Le 6, 9; 13, 14-16; 14, 3-5. G. QuiSPEL pensa qui a CLEMENTE
d’Alessandria, Stremata, 1 ,13,1.
26 Cf. Gal 4, 10. In margine: «[Dice] che gli ebrei osservavano gli
astri e la luna e seguivano le loro indicazioni».
27 Quello, cioè, sia dei pagani che dei giudei.
28 Cf. Gal 1,12.
62 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

V. Χριστιανοί γάρ otti* γη οδτ* φωνή ofire Ισθαη δκχ-


χ«χρ>μένοι των λοιπών clmv άνθρώπων. 8 Οδτβ γάρ
που πύλης 1δίας χατοιχοΰσιν οδτ* διαλέκτφ τινί παρηλ-
λαγμένη χρώνται ο&η βίον παράσημον άσκοϋσιν. 8 Ού
μήν έπινο($ τινί καί φροντΰι πολυπραγμόνων άνθρώπων
«μάθημα > τοϋτ* αύτοΐς iorlv (ύρημένον, ούίέ δόγματος
άνθρωπίνου προεστάσιν ώσπερ fvioi. 4 Κατοικοΰντες δέ
πόλης ΈλληνΙίας τ * χαΐ βαρβάρους ώς έκαστος έκληρώθη,
<χαΙ> τοϊς έγχωρίοις Ιθ(σιν άχολουθοδνης έν τε έσθητι
χαΐ διαίτη καί τψ λοιπφ βίψ, θαυμαστών καί όμολογουμένως
παράδοξον évfcbcvuvrai τήν κατάστασιν της έαυτων πολιτείας.
6 Πατρίδας οίκοΰσιν Βίας, άλλ* ώς πάροικοι * μττέχουσι
πάντων ώς πολϊται, καί πανθ’ ύπομένουσιν ώς ξένοι *
πάσα ξένη πατρίς έστιν αύτων, χαί πάσα πατρίς ξένη.
β Γαμοΰσιν ώς πάντχς, ττχνογονοΰσιν * άλλ’ ού βίπτουσι
τά γ*ννώμ*να. 7 Τράπεζαν κοινήν παρατίθενται, άλλ’
ού «κοίτην >. 8 Έ ν σαρχΐ τυγχάνουσιν, άλλ’ ού κατά σάρκα
ζωσιν. 0 Έ π ί γης διατρίβουσιν, άλλ’ έν ούρανφ πολι-

V, 1 in marg. : (vOcv rapi Xpumxvùv δρχιτιιι.


M ta . F (in marg.: ΙματΙοις) : Miei Estienne.
3 μάθημα τοϋτ' h : μαβήματι τοϋτ’ F μάθημά τι toGt* b μάθημά τι
(oni. τοΟτ') Krenkel μάθημα τοωδτ’ Hengel
in /. in marg. : fin δόγματος ά<νΘρώπου> ol Χριστιανοί ούκ
Αντιλαμβάνονται, άλλά <Χριστοΰ>. Ούίέ γάρ, φησίν 6 άπύστολος
Παύλος, παρά άνθρώπου παρέλαβον αϋτό F.
4 καί Otto : έν F del. Sylburg (et infra ante Stalrj) ponendum
centuit) xtd tv Boehl.
7 xofajv Maran : κοινήν F. .

29 II copista ha scritto a margine: «Qui comincia l’esposizione dedi­


cata ai cristiani».
30 Ancora a margine: «[Dice] che i cristiani non aderiscono a una
dottrina umana, ma a quella di Cristo. Poiché, dice l’Apostolo,
non è da un uomo che l’ho ricevuta» (cf. Gal 1, 12). In base al
contesto, sembra che l’autore se la prenda con la filosofia umana,
troppo umana, non con l’eresia, come vorrebbe C. TlBILETTI,
Aspetti polemici dell’ad Diognetum, in Atti della Accademia delle
Scienze di Torino 96 (1961-1962), pp. 359-364.
31 Cf. Fil 3, 20: La nostra cittadinanza (πολίτευμα, non, come qui,
πολιτεία) è nei cieli. Anche Tertulliano ha inteso questo versetto
A D IOGN ETO 63

Il m is t e r o c r is t ia n o

V, 1 .1 cristiani29 infatti non si distinguono dagli altri uom


ni né per regione né per linguaggio né per abito. 2. Non abita­
no infatti città proprie né usano qualche dialetto inusitato né
conducono una vita fuori del consueto. 3. La loro dottrina non
è certo un ritrovato dovuto a invenzioni e speculazioni di
uomini intriganti; e neppure essi si atteggiano a sostenitori di
una dottrina umana, come altri fanno.30 4. Abitano città gre­
che e barbare, come a ciascuno è capitato, e ne seguono gli usi
nel vestito, nel cibo, nel tenore consueto del resto dell’esisten­
za, ma manifestano la condizione mirabile e realmente para­
dossale della loro cittadinanza [spirituale].31
5. A bitano nella propria patria^ ma da fo re stie ri
Prendono parte a tutto come cittadini e sopportano tutto
come stranieri:33 ogni terra straniera è per loro patria, e ogni
patria è terra straniera.34 6. Si sposano come tutti, generano
figli, ma non espongono i loro neonati. 7. Partecipano tutti di
una stessa mensa, ma non di uno stesso letto.35
8. Si trovano nella carne, ma non vivono secondo la
carne.36 9. Passano la loro vita sulla terra, ma vivono da citta-

di Fil 3, 20 nel senso di «cittadinanza»: De Corona 13, 28.


Possiamo però chiederci se non si debba intendere (dato che
πολιτεία è spesso usato in questo senso): il carattere (meraviglioso
e paradossale) della loro maniera di vivere.
32 Cf. Ef 2, 19; Eb 11,13-16; 1 Pt 2, 11.
33 Nell’italiano abbiamo dato la traduzione letterale che il curatore
francese mette in nota aggiungendo: l’accesso agli onori municipa­
li era riservato, in ciascuna città dell’impero, ai soli cittadini; i
«forestieri» tuttavia non dovevano subire nessun particolare fasti­
dio; perciò il senso sembrerebbe: «I cristiani non si sottraggono al
dovere civico, ma lo compiono con distacco».
34 Cf. Il Pastore di ERMA, Similitudine 1,1; CLEMENTE d’Alessandria,
il Pedagogo, III, 8,1.
35 Così, accettando la correzione di D. Maran; il testo di F darebbe:
«Partecipano di una mensa comune, ma non comune». G. J. De
Vries, Ad Diognetum V 7, VI 10 in Mnemosyne, S. IV, 8 (1955),
approvando anch’egli la correzione κοίτην, giustifica l’impiego
del medio παρατίθενται.
36 Cf. 2 Cor 10,3; Rm 8,12 s.
64 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

τεύονται. 10 Πείθονται τοΐς ώρισμένοις νόμοις, καί τοΐς


ΰίοις βίοις νικωσι τούς νόμους. 11 Άγαπωσι πάντας, καί
ΰπό πάντων διώκονται. 12 Αγνοούνται, χαί κατακρίνονται *
θανατουνται, καί ζωοποιούνται. 13 Πτωχεύουσι, καί
πλουτίζουσι πολλούς * πάντων υστερούνται, χαί έν πδσι
περισσεύουσιν. 14 Άτιμοϋνται, χαί έν ταΐς άτιμίαις δοξά­
ζονται ’ βλασφημοΰνται, καί δικαιούνται. 15 Λοιδοροδνται
χαί εύλογοϋσιν ' υβρίζονται, χαί τιμωσιν. 16 Άγαθοποι-
οΰντες ώς κακοί κολάζονται · κολαζόμενοι χαίρουσιν ώς
ζωοποιούμενοι. 17 'Υπό 'Ιουδαίων ώς άλλόφυλοι πολε-
μοϋνται, καί ΰπό Ελλήνων διώκονται, καί τήν αίτίαν της
(χθρας είπεΐν oi μισοϋντες ούκ έχουσιν.

VI. 'Απλώς δ’ είπεΐν, 6περ έστίν έν σώματι ψυχή, τοΰτ’


είσίν έν κόσμφ Χριστιανοί. 2 Έσπαρται κατά πάντων
των του σώματος μελών ή ψυχή, καί Χριστιανοί κατά
τάς του κόσμου πόλεις. 3 Οίκεΐ μέν έν τφ σώματι ψυχή,
ούκ Ισ η δέ έκ του σώματος * καί Χριστιανοί έν κόσμφ
οίκοϋσιν, ούκ είσΐ δε έκ του κόσμου. 4 Αόρατος ή ψυχή
έν όρατφ φρουρειται τφ σώματι * καί Χριστιανοί γινώσ-
κονται <μέν βντες> έν τφ κόσμφ, άόρατος δέ αύτών ή
θεοσέβεια μένει. 5 Μισεί τήν ψυχήν ή σάρξ καί πολεμεΐ
μηδέν άδικουμίνη, δίοτι ταΐς ήδοναΐς κωλύεται χρήσθαι *
μισεί καί Χριστιανούς ό κόσμος μηδέν άδικούμενος, βπ
ταΐς ήδοναΐς Αντιτάσσονται. 6 Ή ψυχή τήν μισούσαν

VI, 4 μ έν βντες Estienne : μένοντες F.

37 Cf. sempre Fil 3,20; Eb 13,14.


38Cf.Rm 13, l ;T t3 , 1; 1 Pt 2, 13.
39 Letteralmente: «vincono le leggi».
40 Cf. 2 Cor 6 ,9 s.
41 Cf. l C o r 4 ,10. 12.13.
42 Cf. 2 Cor 6, 9 s.
43 Stranieri, e nemici del popolo di Dio: si potrebbe quasi tradurre con
«filistei», secondo il senso che ha assunto 'Αλλόφυλοι nella LXX.
A DIOGN ETO 65

dini del cielo.37 10. Ubbidiscono alle leggi stabilite,38 ma con


il loro modo di vivere sono oltre le leggi.39
11. Amano tutti, ma da tutti sono perseguitati. 12. Sono
misconosciuti e condannati; vengono messi a morte, ma otten­
gono così la vita. 13. Sono poveri, e arricchiscono molti; man­
cano di tutto, ma di tutto sovrabbondano.40 14. Vengono
disonorati, ma col disonore trovano la gloria; vengono
bestemmiati, e sono proclamati giusti. 15. Sono insultati, e
benedicono;41 vengono vilipesi, ed essi onorano. 16. Operano
il bene e vengono castigati come malfattori; castigati, gioisco­
no42 come chi riceve la vita. 17. Dai giudei sono combattuti
come stranieri,43 e dai greci, perseguitati: ma coloro che li
odiano non sanno dire la causa della loro inimicizia.

L ’ a n im a d e l mondo

VI, 1. In una parola, ciò che è l’anima nel corpo, ques


sono i cristiani nel mondo. 2. L ’anima è sparsa44 in tutte le
membra del corpo, e i cristiani nelle città del mondo. 3.
L ’anima abita nel corpo, ma non è del corpo: e i cristiani
abitano nel mondo, ma non sono del mondo.45 4. L ’anima,
realtà invisibile, è custodita nel corpo visibile; anche i cri­
stiani sono conosciuti in quanto sono nel mondo, ma rima­
ne invisibile la loro religione. 5. La carne odia l’anima e le
fa guerra,46 senza averne avuto alcun torto, perché essa le
impedisce di darsi ai piaceri; e il mondo odia i cristiani,47
senza averne avuto alcun torto, perché si oppongono ai pia­
ceri. 6. L ’anima ama la carne che la odia e le sue membra; e

44 «Sparsa», come semente, se si mantiene il verbo greco nel suo


senso primo: cf. IRENEO, Adv. baer., Ili, 11, 11 Harvey. Anche
altrove in Ireneo si ritrova questo significato, familiare alla gnosi:
Adv. haer., II, 50 Harvey.
45 Cf. Gv 15,19; 17,11-16.
46 Cf. Gal 5,17.
47 Cf. Gv 15,18 s .;l G v 3 ,13.
66 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

άγαπ$ σάρκα καί τά μέλη ’ καί Χριστιανοί τούς μισοΰντας


άγαπώσιν. 7 Έγχέχλησται μέν ή ψυχή τφ σώματι, συνέχει
Si αύτή τό σώμα ■ καί Χριστιανοί κατέχονται μέν ώς έν
fpoupf τφ κόσμφ, αύτοί Κ συνέχουσι ti» κόσμον. 8 Α θά­
νατος ή ψυχή έν θνητφ σκηνώματι κατοικεί ' καί Χριστιανοί
παροικοϋσιν iv φθαρτοΐς, τήν iv ούρανοΐς άφθαρσίαν προσ-
δεχόμενοι. 9 Κακουργουμένη σιτίοις καί ποτοϊς ή ψυχή
βελτιουται * καί Χριστιανοί κολαζόμενοι καθ’ ήμέραν
πλεονάζουσι μάλλον. 10 ΕΙς τοσαότην αύτούς τάξιν ίθετο
6 θεός, ήν ού θεμιτών αύτοΐς παραιτήσασθαι.

VII. Ού γάρ έπίγειον, ώς ίφην, εδρημα τοδτ* αύτοΐς παρε-


δόθη, ούίέ θνητήν έπίνοιαν φυλάσσην οβτως άξιοϋσιν
έπιμελώς, ουδέ άνθρωπίνων οίκονομίαν μυστηρίων πεπίσ-
τβυνται. 2 ‘Αλλ’ αΰτός Αληθώς 6 παντοκράτωρ xal παντο­
κτίστης καί άόρατος θεός, αύτός άπ’ ούρανών τήν Αλήθειαν
καί τόν Λόγον τόν Ιγιον καί άπερινόητον άνθρώποις ένίϋρυσε
καί έγκατεστήριξε ταΐς καρόίαις αυτών, ού καθάπκρ άν τις
εΐκάσειεν άνθρώποις υπηρέτην τινά πέμψας ή άγγελον ή
Αρχοντα ή τινα των διεπόντων τά έπίγεια ή τινα των πεπισ-
τευμένων τάς èv ούρανοΐς διοικήσεις, άλλ’ αύτόν τόν τεχνίτην
καί δημιουργόν των βλων, φ τούς ούρανούς fccησεν, φ τήν

48 Cf. Mt 5 ,4 4 ; Le 6,27.
49 Cf. PLATONE, Fedro, 62 b (situazione dell’anima nel mondo); Ps.-
PLATONE, Axiochos, 365 e; C ic e ro n e , T usc., 1 ,30 (situazione del­
l’anima nel corpo). L ’immagine della «prigione» del mondo si
ritrova in T e r t u lli a n o , Ad Martyres, Π, 1-2.
50 Cf. 2 Pt 1,13; 2 Cor. 5 ,1 .
51 Cf. 1 Cor 15,50.
52 Oppure «crescono» (cioè in santità, piuttosto che in numero); ma
questo senso è meno verosimile.
53 Al V, 3.
54 Cf. ancora Gal 1,12; il termine επίγειον viene da Gc 3,15.
55 Cf., per l’accostamento dei termini «dispensazione» e «mistero»,
Ef 3 ,9 ; 1 Cor 4,1; per «dispensazione» e «affidare», cf. 1 Cor 9,17.
56 Παντοκράτωρ: 2 Cor 6,18; Ap 1,8, ecc.
57 Παντοκτίστη?: questo termine pare sia un hapax, il solo che d sia
da segnalare neU’j4 Diogneto. Probabilmente l’autore l’ha costrui­
to sul modello del termine precedente, rifacendosi all’espressione
biblica ό πάντων κτίστη? (2 Mac 1,24; cf. Sir 24, 8).
A DIOGN ETO 67

i cristiani amano quelli che li odiano.48 7 -L ’anima è rinchiusa


nel corpo, ma essa sostiene il corpo; e i cristiani sono tenuti
nel mondo come in una prigione 49 ma sostengono il mondo.
8. L ’anima dimora immortale in una tenda mortale50 e i cri­
stiani abitano come estranei tra le cose corruttibili, ma atten­
dono l’incorruttibilità nei cieli.51 9. Mortificata nei cibi e nelle
bevande, l’anima diventa migliore: e i cristiani, ogni giorno
maltrattati, si moltiplicano52 ulteriormente. 10. Dio ha loro
assegnato un posto tale che non è loro lecito tirarsi indietro.

Il c r is t ia n e s im o c o m e r iv e l a z io n e

V II, 1. Infatti, come ho detto sopra,53 non è stato loro tr


smesso54 un qualche ritrovato terrestre. E non è l’invenzione
di un mortale ciò che essi ritengono giusto custodire con tanta
cura, e neppure, ciò che ad essi è stato affidato è dispensazio­
ne55 di misteri umani. 2. Ma, in verità, è lo stesso Dio onnipo­
tente,56 creatore di tutte le cose57 e invisibile, è lui stesso che
ha fatto scendere dal cielo, tra gli uomini, la Verità,58 il Verbo
santo,59 incomprensibile, e lo ha confermato nei loro cuori.

Il V e r b o sa lv a to r e

Non ha mandato agli uomini, come certuni potrebbero


immaginare, un ministro o un angelo60 o un arconte o qualcu­
no di coloro che sono incaricati degli affari terrestri, o di quel­
li ai quali è affidato il governo dei cieli, ma lo stesso Artefice e
Demiurgo dell’universo,61 mediante il quale Dio ha creato i

58 Cf. Gv 14,6.
59 Cf. Ap 3 ,7 .
60 La menzione dell’«Angelo» ricorda Is 63,9.
61 Cf. i due medesimi titoli, accostati allo stesso modo, ma applicati
a Dio, in Eb 11, 10. Π complemento τών δλων aggiunge una sfu­
matura alla menzione dell’Artefice e Demiurgo: v. gli accostamen­
ti con Filone, gli gnostici e Clemente d’Alessandria segnalati da
C. T ibiletti , Osservazioni lessicali sull’ad Diognetum, in Atti della
Accademia delle Scienze di Torino 97 (1962-1963), pp. 224-226.
68 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

θάλασσαν ίδίοις δροις ένέκλεισεν, οδ τά μυστήρια πιστως


πάντα φυλάσσει τά στοιχεία, παρ* οδ τά μέτρα των της
ήμέρας δρόμων <ήλιος> εϊληφε φυλάσσιιν, φ πειθαρχεί
σελήνη νυχτΐ φαίνειν κελεύοντι, φ πειθαρχεί τά Αστρα τφ
της σελήινης άχολουθοΟντα δρύμφ, φ πάντα διατέταχται καί
διωρισται καί ύποτέταχται, οΔρανοί χαΐ τά έν οδρανοΐς, γη
χαΐ τά έν τη γη, θάλασσα καί τά έν τη θαλάσση, πυρ, άήρ,
άβυσσος, τά έν δψεσι, τά έν βάθεσι, τά έν τφ μεταξύ * τούτον
πρ&ς αυτούς άπέστειλεν. 8 ΤΑρά γε, ώς άνθρώπων άν τις
λογίσάιτο, έπΐ τυραννίδι καί φόβφ καί καταπλήξει ; 4 ού
μέν οδν άλλ’ έν έπιεικείς <καΙ> πραύτητι ώς βασιλεύς
πέμπων υΐύν βασιλέα ίπεμψεν, ώς tteòv {πεμψεν, ώς πρύς
άνθρώπους ίπεμψεν, ώς σώζων (πεμφεν, ώς πείθων, ού
βιαζόμενος ' βία γάρ ού πρύσεστι τφ θεφ . δ Έπεμψεν
ώς καλών, ού διώκων * ίπεμψεν ώς άγαπών, ού κρίνων.
6 Πέμψει γάρ αύτ&ν κρίνοντα, καί τίς αύτοΰ τήν παρουσίαν
ύποστήσεται; * * * * * * * * * · * * · * * · * * · * * * * * * * * * * * * * * * ·
* * * * * * ........................ η <Ούχ όρ$ς>παρα-
βαλλομένους θηρίοις, tva άρνήσωνται τύν Κύριον, καί μή

V II, 2 ήλιος Buneen : om. F 4 ήλιος Hefele.


3 xal πραότη-π Gilderaleeve : πραύτητι F.
6 in marg.: οδτως xal έν τφ άντιγράφψ εδρον έγκοττήν, παλαιοτά-
του ίντος F.
7 ούχ 6ρ$ς tuppl. Estienne.

62 Cf. Sai 103, 9; Pr 8, 27-29; Gb 26, 10; 38, 8-11; I Clem., 33, 3.
63 «Gerarchia» vuole tradurre ύποτέτακται, letteralmente «(lui, dal
quale) tutto è stato sottomesso»: ma «sottomesso» a chi? Al Verbo
stesso, pensava H. Estienne (cf. in questo senso 1 Cor 15, 27, fonte
del nostro passo); agli uomini, propone Otto (cf. sotto, X , 2):
rispettiamo l’ambiguità e la genericità dell’espressione.
64 I due termini sono spesso associati, per esempio: 2 Cor 10, 1;
I Clem., 30, 8; allo stesso modo in Plutarco o Filone.
65 Allusione alla parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,37 par)?
66 Cf. IRENEO, Adv. haer., V, 1, 1, Harvey: «... secundum suadelam
quemadmodum decebat Deum suadentem et non vim inferentem»;
[Origene], Selecta in Ps., PG 12,1133 B.
A DIO GN ETO 69

cieli, e ha racchiuso il mare entro i suoi confini,62 lui, del


quale gli elementi del mondo osservano fedelmente i misteri;
lui, dal quale il sole ha ricevuto da osservare le misure del
corso quotidiano; lui, al quale ubbidisce la luna, che ha rice­
vuto il comando di brillare di notte; lui, al quale ubbidiscono
gli astri che seguono il corso della luna; lui, dal quale tutte le
cose hanno ricevuto la loro disposizione, i loro confini e la
loro gerarchia,63 i cieli e ciò che è nei cieli, la terra e ciò che è
nella terra, il mare e ciò che è nel mare, il fuoco, l ’aria,
l’abisso, ciò che è nelle altezze, ciò che è nelle profondità, e
nelle regioni intermedie: è lui che Dio ha inviato agli uomini.
3. E certamente non - come qualcuno potrebbe pensare
per tiranneggiarci, terrorizzarci e sbigottirci, 4. no, ma nella
clemenza e nella mitezza,64 come un re invia il re suo figlio,65
così egli lo ha inviato come Dio, lo ha inviato come conveniva
agli uomini, lo ha inviato per salvare, per persuadere,66 non
per far violenza: non vi è infatti violenza in Dio.67
5. Lo ha mandato a chiamarci [a sé], non a scacciarci; lo
mandato perché ci amava, non per giudicarci.68 6. Lo man­
derà, infatti, a giudicarci, e chi sosterrà allora il suo avvento?69
' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' i e ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k i e ' k ' k i c k ' k ' i c k ' k ' k ' k ' k ' k i c k ' k ' k ' k ' k ' i e ' k ' k ' k ' k ' k ' k ' k ’JO

La pr o v a data d a i m a r t ir i

7. Non vedi come vengono gettati alle belve perché rin­


neghino il Signore, e come non si lasciano vincere? 8. Non

67 Anche qui si trova un riscontro interessante in un testo di ISENEO,


Adv. haer., IV, 59, Harvey: βία θεω ού πρόσεστιν, «non si
riscontra violenza in Dio» (ma il contesto è diverso: si tratta della
libertà umana alla quale Dio non vuol far violenza); cf. ancora
ibid., IV, 60,1 fine; IV, 64,3.
68 C f.G v 3 ,17.
69 II concetto è in MI 3 ,2 , ma le parole, nella LXX, sono diverse.
70 La lacuna è commentata da una nota a margine: «E così che ho tro­
vato anch’io una interruzione nel modello, che era molto vecchio».
70 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

νικωμένους ; 8 ούχ όρφ; 6σφ πλιίονες κολάζονται, τοσούτφ


πλεονάζοντας Αλλους ; 9 ταϋτα άνθρώπου ού δοκεϊ τά
Ιμγα, ταϋτα δύναμίς ie r i θεοδ ' ταϋτα της παρουσίας άύτοΰ
<δείγματα. >

VIII. Τίς γάρ 6λως άνθρώπων ήπίστατο τί ποτ’ έστί θεός,


πριν αύτόν έλθειν ; 2 ή τούς κενούς καί ληρώδβις έκείνων
λόγους άποδέχη των άξ(οπ(στων φιλοσόφων ; ών οί μέν
τινες πϋρ Ιφασαν είναι τόν θεάν — οδ μέλλουσι χωρήσειν
αύτοί, τοϋτο καλοϋσι θεόν — οΐ δέ βδωρ, οΐ 8* άλλο τι τών
στοιχείων τών (κτισμένων ύπό θεοϋ. 3 Καίτοι γε, εΐ τις
τούτων των λόγων άπόδεκτός έστι, δύναιτ’ Αν καί τών
λοιπών κτισμάτων tv Ικαστον όμοίως άποφοιίνεσθαι θεόν.
4 Ά λλα ταϋτα μέν τερατεία καί πλάνη τών γοήτων έστίν.
5 Ανθρώπων δέ ούδείς οΰτ» <εΙδεν > ούτε έγνώρισεν αύτύς
Si έαυτύν έπέδβιζεν. β Έπέδειξε Si διά πίστεως, ^ μόνη
Θεόν Ιδεΐν συγκεχώρηται. 7 *0 γάρ δεσπότης καί δημιουρ­
γός τών βλων Θεός, 6 ποιήσας τά πάντα καί κατά τάξιν
διακρίνας, ού μόνον φιλάνθρωπος έγένετο ά>λά καί μακρόθυ­
μος. 8 Ά λλ’ οδτος ήν μέν άεΐ τοιοϋτος, καί έστι, καί
ίσται * χρηστός καί άγαθός καί άόργητος καί αληθής, καί
μόνος άγαθός έστιν. 9 Έννοήσας Si μεγάλην καί ίφραστον
(ίννοιαν <άνεκοινώσατο> μόνω τω παιδί. 10 Έ ν βσφ μέν

9 δείγματα Estienne : δόγματα F.


V III, 5 cltcv Estienne : elitev F.
9 άνεκοινώοατο Bunsen : ψ έχ«νώσατο F
παιδί F : laeunam poti hoc verbum tuspicatus a l Estienne indicava
Krenkel
in /. in marg.: &τι έκρύπτττο τοαούτους χρόνους τλ μυστήριον
τής άγ(ας Τριάδος, μέχρι τοϋ βαπΉσματος τού έν Ίορίάνω Κ.

71 H greco presenta lo stesso termine παρουσία (tradotto con «avvento»)


ai §§ 6 e 9: evidentemente là va inteso come riferito alla parusia
escatologica, qui alla presenza attuale di Dio tra i cristiani.
72 II termine αξιόπιστων ovviamente è ironico, e di conseguenza
equivale a αναξιόπιστων (cf. P. Nauttn, Lettres..., p. 174).
73 Eraclito.
74 Cf. sotto, X, 8.
75 Talete.
A DIO GN ETO 71

vedi che quanti più ne vengono condannati e tanto più i cri­


stiani si moltiplicano? 9. Queste non possono certo essere
opere umane, qui c’è la potenza di Dio, qui c’è la prova del
suo avvento.71

Im p o t e n z a d e l l a f il o s o f ia

VOI, 1. E infatti, chi mai tra gli uomini ha saputo chi sia
Dio, prima che egli stesso venisse? 2. Vuoi forse accettare i
vuoti e futili discorsi di certi filosofi tanto degni di fede?72 Gli
uni73 hanno detto che Dio era il fuoco - e se ne andranno a
questo fuoco che chiamano Dio74 altri75 hanno detto che era
l’acqua, o qualche altro degli elementi creati da Dio: 3. Se qual­
cuno di questi discorsi fosse da accettare, ciascuna delle altre
realtà create potrebbe allo stesso modo essere dichiarata Dio!
4. Ma si tratta solo di storie inverosimili e di imbrogli di ciarla­
tani. 5. Nessuno tra gli uomini l’ha visto o conosciuto:76 è inve­
ce lui stesso che si è manifestato.77 6. Ma egli si è manifestato
tramite la fede, alla quale soltanto è concesso di vedere Dio.78

L ’ e c o n o m ia d ell a sa lv ezza

7. Dio, infatti, Sovrano e Demiurgo dell’universo, c


tutto ha fatto e disposto con ordine, non solo è stato pieno di
amore per l’uomo, ma anche paziente.79 8. Egli è sempre
stato tale quale è e sarà: benevolo, buono, alieno dall’ira,
verace: egli solo è buono.80 9. Egli, avendo concepito un
grande e in effab ile disegno, l ’ha com unicato al Fig lio

76 E non «fatto conoscere»; cf. Le 10, 22; Gv 1,18.


77 Cf. Rm 3,25 s.
78 Va notata anche qui una coincidenza con un frammento (limitato
purtroppo a queste parole soltanto) di Antipatro di Bostra, con­
servato nei Parallela Kupefucald., derivati dai Sacra di Damasceno,
PG 96, 533 D: ιτίστις η μόνη δέδοται θεόν είδέναι, «la fede,
alla quale soltanto è dato di conoscere Dio»; vedere anche
I ren eo , Adv. haer., IV, 34, 6, Harvey.
79 Cf. Rm 2 ,4 , ecc.
80 Cf. Mt 19,17; Me 10, 18; Le 18, 19.
72 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

οδν κατιίχεν έν μυστηρίφ xal διττήpet τήν σοφήν αύτοϋ


βουλήν, άμελεϊν ήμων χαΐάφροντιστΰν tt6 x n . 11 'E m i
δέ άπεκάλυψ» διά τοϋ άγαπητοϋ παιδός καί έφανέρωοκ τά
έξ Αρχής ήτοιμααμένα, πάνθ* Αμα παρέσχεν ήμΐν, χαΐ
μετασχεΐν των ευεργεσιών αώτου xal [δεΐν καί <νοήβαι, Λ>
τ ίς άν πώποτ* προσεδόκησεν ήμων ;

IX . Πάντ οδν <ήδη > παρ’ έαυτφ σύν τφ παιδί <οίκονο-


μηχώς>, μέχρι μέν [οδν] τοϋ πρόσθεν χρόνου dotecv ήμάς
ώς έβουλόμεθα άτάχτοις φοραΐς fép eetn , ήδοναϊς καί
έπιθυμίαις άπαγομένους, οδ πάντως έφηδόμβνος τοϊς
άμαρτήμαβιν ήμων, άλλ’ άνεχόμενος, ούδέ τφ ΐύτε της
άδιχίας καιρφ συνευδοκών, άλλά τλν <νϋν> της δικαιοσύνης
δημιουργών, (να έν τφ τότε χρόνφ έλκγχθέντβς έχ των
Ιδίων έργων άνάζιοι ζωής, νϋν δπό τής τοϋ θιοΰ χρηστότητας
άζιωθώμεν, καί τΑ χαθ* έαυτοάς φανερωσαντες άδύνατον
ibcXDtìv είς τήν βασιλείαν τοϋ θεοΰ τη δυνάμει του θεοΰ
δυνατοί γενηθωμεν. 2 Έ π εΙ δέ πεπλήρωτο μέν ή ήμετέρα
άδικία, χαΐ τελείως πεφανέρωτο 8τι ό μισθός αύτης χόλασις
καί Θάνατος προσεδοκδτο, ήλθε δέ ό καιρός &ν θεός προέθηο

11 νοήσαι Λ Lachm ann : ποιήσαι Κ άχοΰσαι A Eslienne ctaaOpiJ


ααι π6αα t c xqiì. πηλίκα t a r i & vel κατανοήσω τήν βώτοϋ μ*γαλ*ιό-
τητα & Sylburg χατανοήβαι Maran ψηλαφήσαι αύΛν ταΰτα Boehl
ποθήσαι Hilgenfeld.
IX, 1 ήβη Lachmann : fj8o Ρ
οΐχονομηχώς Lachmann : — μικως F
οδν del. Lachmann
νϋν Hefele : νοΰν F.

81 Estienne e Krenkel sospettano l’esistenza di una lacuna dopo que­


ste parole.
82 A margine: «[Dice] che durante tanto tempo era restato nascosto
il mistero della santa Trinità, fino al battesimo (di Gesù) nel
Giordano». Questo scolio non si applica al § 10 che riguarda il
«mistero» della salvezza, e non quello della Trinità, ma piuttosto
al § 11: cf. XI, 5 e il commento ad hoc.
83 Cf. Mt 3,17; 17,5 (ulós ό άγαπητό? e non ttcùs).
84 Cf. Ef 3 , 9; Gal 4 ,4 s.
85 Cf. Rm 8,32.
86 A ragione P. Nauhn, Lettres..., p. 174, si è dimostrato più fedele di
noi alla regola stabilita a p. 38 («un’edizione risolutamente conserva­
trice»): mantiene le tre lezioni ηδει, οΙκοΐΌμίκώς·, ουν del ms., e in-
A DIO GN ETO 73

soltanto.81 10. Finché egli ha tenuto racchiuso nel mistero e


custodito il suo sapiente consiglio, pareva che egli ci trascu­
rasse e non pensasse a noi.82 11. Ma quando egli ebbe rivela­
to, tramite il Figlio diletto,83 quando ebbe manifestato ciò che
sin dal principio aveva preparato,84 ci offrì tutto insieme:85 di
partecipare ai suoi benefici, di vedere e di comprendere. E chi
di noi si sarebbe mai aspettato tanto?

Perch é c o s ì t a r d i?

IX , 1. Dio dunque già sapeva tutto in sé stesso, insieme


Figlio, secondo la sua economia,86 ma per tutto il tempo pre­
cedente87 ha permesso che noi ci lasciassimo portare come
volevamo da impulsi disordinati, trascinati da voluttà e concu­
piscenze, non certo perché lo divertissero i nostri peccati, ma
perché tollerava, senza certo approvare, questo tempo di ini­
quità. Anzi, egli andava creando l’attuale regno di giustizia,88
affinché noi, accusati, in quella prima epoca, di essere per le
nostre opere indegni della vita, adesso ne diventassimo degni
grazie alla bontà di Dio,89 e, dopo esserci mostrati incapaci,
quanto a noi, di entrare nel regno di Dio,90 ne divenissimo
capaci per la potenza di Dio.
2. Quando la nostra iniquità raggiunse il colmo, e diven
totalmente chiaro che ciò che poteva attendersi quale merce-
tende: «Sapeva dunque tutto in se stesso insieme al suo Servo, sotto
forma di un piano segreto». [Μ. B. A.: Ho accolto le tre lezioni indica­
te in questa nota, inserita dal curatore dopo la sua precedente edizio­
ne, ma nella traduzione it. mi sono permessa di discostarmi dall’inter­
pretazione data. Non mi sembra necessario parlare di piano «segreto»
(tutti i giudizi di Dio ci sono del resto ignoti finché lui stesso non
voglia manifestarli), ma semplicemente del piano eterno stabilito da
Dio nella sua «economia» relativa, in particolare, all’invio del Figlio e
alla redenzione, senso normale del termine οικονομία quando si tratta
del piano provvidenziale di Dio: lo si trova già così in Ef 1,10].
87 Cf. At 14,15; 17,30.
88 «L’attuale regno di giustizia»: correzione di Hefele. H testo di F signi­
ficherebbe: «creava il senso della giustizia», espressione così parafrasa­
ta da Kayser: «formava la coscienza», ma la correzione proposta offre
un’antitesi armoniosa: τότε .... iw , che sembra molto preferibile.
89 Sotto altra forma, è l’idea espressa da Paolo in Rm 3, 25 s.
90 Cf. Gv 3, 5 e, per il movimento generale del §, IRENEO, Predic.
a p o s t . , 31.
74 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

λοιπόν φανερώσαι τήν έαυτοΰ χρηστότητα καί δύναμιν


— <ώ > της ύπερβαλλούσης φιλανθρωπίας <καΙ Αγάπης> τοΰ
θβοδ * — ούκ (μίσησαν ήμάς ούδέ Απώσατο ούδέ έμνησικά-
κησεν, Αλλά έμακροθύμησεν, ήνέσχετο, <ίλεών> αύτϊς τάς
ήμετέρας Αμαρτίας Ανεδέξατο, αύτύς τΐν Ιδιον utàv Απέδοτο
λότρον ΰπέρ ήμων, τλν Αγιον ΰπέρ <των> άνόμων, τύν
Αχαχον ΰπέρ των καχών, τλν δίκαιον ΰπέρ των Αδίκων,
τόν Αφθαρτον ΰπίρ των φθαρτών, τόν Αθάνατον ύπίρ των
θνητών. 3 Τί γάρ Αλλο τΑς Αμαρτίας ήμων ήδυνήθη
καλόψαι ή έκείνου δικαιοσύνη ; 4 έν τίνι διχαιωθηναι
δυνατόν τούς Ανόμους ή μάς χαΐ Ασεβείς ή iv μόνψ τφ υΐφ
τοΰ θ*οϋ ; 5 ώ της γλυκείας Ανταλλαγής, 2> της άνεξιχ-
νιάστου δημιουργίας, & τών Απροσδοχήτων ευεργεσιών *
Ινα Ανομία μέν πολλών έν δικαίφ ένΐ xputiyj, δικαιοσύνη
δέ ένός πολλούς Ανόμους δικαίωση. 8 ’Ελέγξας ο8ν
έν μέν τφ πρόσθεν χρόνφ τύ Αδύνατον της ήμττέρας φύσβως
εις τύ τυχεΐν ζωής, νϋν δέ τύν σωτηρα δείξας δυνατύν
σώζε ιν χαΐ τά Αδύνατα, έξ Αμφοτέρων έβουλήθη πιστεύειν
ήμάς τη χρηστότητι αύτοΰ, αύτύν ήγεϊσθαι τροφέα, πατέρα,
διδάσκαλον, σύμβουλον, Ιατρόν, νοΰν, φως, τιμήν, δόξαν,
Ισχύν, ζωήν, περί ένδύσεως xal τροφής μή μέριμναν.

2 & Lange : ώς F ώς fati Eslienne ώς ή έζ Sylburg ώ Maran


(ted et. IX , 6).
xod Αγάπης Estienne : μία Αγάπη F ο(α άγάπη Maran (iiqc άγάπ])
Ισωσεν ήμδς Boehl μίας άγάπης Andriessen.
ήνέβχετο... Ανεδέξατο : glostcma tese tutpicalut u t Sylburg, del.
Olio.
έλιών Lachmann : λέγων F om. Hefele έκών vel έθέλων Nolte
λέγω Andriesien. 1
τών add. Otto : om F.

91 Cf. Gal 4,4.


92 «Ormai»: λοιπόν potrebbe anche significare «finalmente».
93 Cf. Tt 3,4.
94 Va segnalato un interessante accostamento con CLEMENTE
d’Alessandria, Protrett., IX, 82, 2, in un contesto dove si tratta
tuttavia della pedagogia divina e non, come qui, della salvezza:
«O la straordinaria benevolenza di Dio per gli uomini!»,
ώ τή? ύττερβαλλοΰσης φιλανθρωπία?.
A DIO GN ETO 75

de erano castigo e morte, allora giunse il tempo91 stabilito da


Dio per manifestare ormai92 la propria bontà93 e la propria
potenza. O straordinaria benevolenza e amore di Dio per
l’uomo!94

M is t e r o d e l l a r e d e n z io n e

Egli non ci ha odiati, né respinti, e non ci ha serbato rancore,


ma è stato longanime, ha tollerato, e, nella sua misericordia,95 ha
preso su di sé egli stesso i nostri peccati;96 ha consegnato egli
stesso il proprio Figlio in riscatto per noi:97 il Santo per gli ini­
qui, l’innocente per i malvagi, il Giusto per gli ingiusti,98
l’incorruttibile per i corrotti, l’immortale per i mortali.
3. E infatti, che altro avrebbe potuto coprire i nostri pe
cati99 se non la sua giustizia? 4. Da chi potevamo essere giusti­
ficati noi,100 iniqui ed empi, se non per mezzo del Figlio di
Dio? 5. O dolce scambio, o imperscrutabile101 operazione, o
benefici inattesi! L ’iniquità di molti è sepolta in un solo giu­
sto, così che la giustizia di uno solo giustifichi molti iniqui.102
6. Dimostrata dunque nel tempo precedente l’impossibi­
lità della nostra natura a ottenere la vita, ci mostra ora il
Salvatore capace di salvare anche ciò che è impotente: con
questi due atti ha voluto che noi potessimo credere alla sua
bontà, e che lo103 considerassimo colui che ci nutre, il padre,
il dottore, il consigliere, il medico, l ’intelligenza, la luce,
l’onore, la gloria, la forza, la vita, non preoccupandoci più del
vestito e del cibo.104

95 Felice correzione, benché molto ardita, di Lachman [Μ.. B. A.


Come mostra l’apparato critico, il ms. porterebbe λέγων],
96 Cf. Is 5 3 ,1 1 .4 .
97 Cf. Rm 8, 32; 1 Tm 2, 6; Mt 20, 28; Me 10, 45.
98 Cf 1 Pt 3,18.
99 Cf. Sai 84,3 L X X da cui 1 Pt 4, 8; Gc 5,20; I Clem., 49,5.
100 Cf. Rm 3, 25, ecc.
101 Termine paolino: Rm 11,33; Ef 3, 8.
102 Cf. R m 5 ,17-19.
103 Dio Padre oppure il Salvatore? Il pronome è ambiguo: si veda il
commento, ad loc., pp. 186 ss.
104 Cf. Mt 6,31; Le 12,28 s.
76 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

X . Ταύτην καί ού τήν πίσην έάν ποθήσ^ς, καί λάβης


πρώτον μέν <έπιγνώση πατέρα >. 2 Ό γάρ θεός τούς
Ανθρώπους ήγάπησε, Si* οΟς έποίησε τόν κόσμον, οίς ύπέταξε
πάντα τά έν <τη γή>, οίς λόγον Ιδωκεν, οϊς νοϋν, οϊς
μόνοις <άνω> πρός ούρανόν όραν έπέτρεψεν, οΟς έκ της
Ιδίας εΐκόνος έπλασε, πρός ους άπέστειλε τόν υιόν αύτοϋ τόν
μονογενή, οίς τήν έν ούρανω βασιλείαν έπηγγείλατο καί
δώσει τοΐς άγαπήσασιν αύτόν. 3 Έπιγνούς δέ, τίνος οϊει
πληρωθήσεσθαι χαρας ; ή πώς Αγαπήσεις τόν οΰτως προαγα-
πήσαντά σε ; 4 άγαπήσας δέ μιμητής ϊσγ] αύτοϋ της
χρηστότητος. Καί μή θαυμάσης εί δύναται μιμητής Ανθρω­
πος γενέσθαι Θεοϋ ■ δύναται, θέλοντος αύτοϋ. δ Ού γάρ τό
καταδυναστεύειν τών πλησίον ούδέ τό πλέον ίχειν βούλεσθαι
τών άσθενεστέρων ούδέ τό πλουτεΐν καί βιάζεσΟαι τούς
ύποδεεστέρους εύδαιμονεΐν έστίν, ούδέ έν τούτοις δύναταί
τις μιμήσασθαι θεόν, αλλά ταϋτα έκτός της έκείνου μεγα-
λειότητος. β Ά λλ’ δστις τό τοϋ πλησίον άναδέχεται βάρος,
δς έν ω κρείσσων έστίν έτερον τόν έλαττούμενον εύεργετεΐν

X, I ποθήσης F : ποθης Estienne έπιποθήσαις Lachmann


καί λάβης F : καί λήψη O tto καταλάβοις Sv Gildersleeve καί λάβοις
Lachm ann κάν λάβοις Schcibe κατάλαβε Gebhardt
έπιγνώση πατέρα Nock : έπίγνωσιν πρς (sci/, πατρός) F έπίγνωαον
(τόν) πατέρα Estienne έπίγνωσιν πατρός σοι παρέξει Sylburg έπί-
γνωσιν προβλήψη vel πληρωΟήση τής τοϋ θεοϋ χρηστότητος Boehl.
2 τή γή Estienne : la c u n a m praebet F in f. lin e a e
άνω b : à * ‘ F άεΐ h.

105 II testo del ms. F non è soddisfacente. La maggior parte degli


editori corregge le parole ποθήσης καί λάβης in modo da inten­
dere: «se desideri questa fede, la riceverai anche», oppure: « - tu
potrai ricevere», « - ricevi», « - possa tu anche ricevere (la cono­
scenza del Padre)»! Preferiamo conservare i due verbi paralleli
ποθήσης καί λάβης per reggere lo stesso complemento πίστιν,
e situare la corruzione del testo alla fine della frase. Abbiamo
accettato una correzione già intravista da Henri Estienne e for­
mulata da Nock: il senso risulta soddisfacente, ma l’ipotesi più
probabile è che anche qui abbiamo a che fare con un testo cor­
retto, ma interrotto da una lacuna. A rigore potrebbe essere
A DIOGN ETO 77

R ic h ia m o a l l a c o n v e r s io n e

X, 1. Se anche tu hai desiderio di questa fede e l’accog


prima di tutto conoscerai il Padre.105

A n t r o p o c e n t r i s m o COSMICO

2. Dio ha infatti amato gli uomini:106 per essi ha fatto il


mondo; ad essi ha sottomesso tutto ciò che è sulla terra;107 li
ha dotati di ragione e intelletto; ad essi soltanto ha dato di
guardare in alto, al cielo; egli li ha formati a sua immagine;108
ha inviato loro il suo Figlio Unigenito;109 ha promesso loro il
regno dei cieli che egli darà a quanti lo avranno amato.

D ia l e t t ic a d e l l a c a r it à

3. E quando lo avrai conosciuto, pensa di quale gioia sarai


colmato! E quanto amerai Colui che per primo ti ha amato!110
4. Amandolo, sarai imitatore della sua bontà, e non ti stupire
che un uomo possa divenire imitatore di Dio:111 lo può, se
Dio lo vuole.112 5. Perché tiranneggiare il prossimo, voler so­
verchiare i più deboli, essere ricco e far violenza agli inferiori
- questo non è vivere felici, né con ciò si può imitare Dio,
anzi, simili azioni sono estranee alla sua maestà.
6. Chi invece prende su di sé il peso del prossimo,113 chi
benefica di cuore chi ha di meno con ciò in cui è più favorito,
e che da Dio ha ricevuto, costui, elargendolo ai bisognosi,

inteso così com’è, supponendo, con Meecham, l’interruzione


voluta dall’autore; si tradurrebbe allora: «Se desideri questa fede
e cominci ad acquisire la conoscenza del Padre...».
106 Cf. G v 3 ,16.
107 Cf. Gen 1,26-30.
108 Cf. ih. 26 s.; I Clem., 33,4.
109 Cf. G v 3 ,16.
110 Cf. 1 Gv 4, 19.
111 Cf. Ef 5,1 .
112 II greco è ambiguo: «se egli lo vuole», Dio, ci sembra, piuttosto
che l’uomo.
113 Cf. Gal 6,2.
78 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

έθέλει, <δς & > παρά του θεού λαβών Ιχει, ταϋτα τοΐς
έπιδεομένοις χορηγών, θε&ς γίνεται των λαμβανόντων,
οδτος μιμητής έβη θεοΰ. 7 T ire θεάση τυγχάνων έπΐ
γης βτι θεός έν ούρανοΐς πολιτεύεται, τότε μυστήρια θβοϋ
λαλεΐν £ρζη, τότ* τούς κολαζομένους έπΐ τφ μή θέλειν
άρνήσασθαι Θεόν καί άγαπήσεις χαί θαυμάσεις, τότε της
άπάτης του κόσμου καί της πλάνης καταγνώση, 6ταν τό
άληθώς έν ούρανφ ζην <έπιγνφς>, ίταν τοϋ δοκοϋντος
ένθάδε θανάτου καταφρονήσης, δταν τύν ίντως θάνατον
φοβηθης, δς φυλάσσεται τοΐς κατακριθησομίνοις- ε(ς τό
πϋρ τό αΙώνιον, 6 τούς παραδοθέντας αύτφ μέχρι τέλους
κολάσει. 8 Τότε τούς ύπομένοντας υπέρ δικαιοσύνης τύ
πϋρ <τοϋτο > θαυμάσεις καί μακαρίσεις, 5ταν έκεϊνο τό πϋρ
έπιγνφς. ........................................................................... ..

X I. 0 6 ξένα ομιλώ ούδέ παραλόγως ζητώ, άλλά άποσ-


τόλων γενόμενος μαθητής γίνομαι διδάσκαλος εθνών, τά
παραδοθέντα <άξ(ως> υπηρετώ γινομένοις άληθείας μαθη­
ταΐς. 2 Τίς γάρ δρθώς διδαχθείς καί λόγφ προσφιλεΐ
γεννηθείς ούκ έπιζητεϊ σαφώς μαθεΐν τά διά λόγου δειχθέντα
φανερώς μαθηταΐς ; οίς έφανέρωσεν ό λόγος φανείς, παρ­
ρησία λαλών, ύπλ άπίστων μή νοούμενος, μαθηταΐς δέ

6 δς & Hengel : 6σα F .


7 έπιγνψς Buneen : έπιγνώση F .
8 τούτο h Cunilz : t o ' F del. Estienne tò πρύσκαιρον O tto'.
in f . in m a rg in e : xotl ω8ε έγκοπήν είχε tò άντίγραφον F .
X I , 1 άξίως Bunsen : άξίοις F.
2 in m a r g in e : βτι ot Αγιοι 4ν8ρες ίγνωσαν μυστήρια τοΰ Π ατρίς
li (eum dem trx iu m , m u tila lu m , p rie b e l F , m a rg in e m u r ib u ì c o r n e a ).

114 Μ. B. A.: La nota del curatore francese a questo punto recita: -


«Regna» piuttosto che «vive», come potrebbe anche significare
il termine πολιτεύεται (cf. Ef 6, 9). - Propongo una traduzione
che lascia al termine il senso che ha in Ef 6, 9, e dà alla frase una
sfumatura leggermente diversa: se Dio non è visibile sulla terra,
egli è ben vivo nei cieli, e il cristiano lo sa e in qualche modo
può vederlo.
115 Μ. B. A.: Il curatore francese rimanda a 1 Cor 14, 2, dove si
trova il termine «misteri» ma riferito a chi parla in lingue, men-
A DIOGN ETO 79

diventa dio per quelli che ricevono, ed è pertanto un imitatore


di Dio. 7. Allora, pur trovandoti in terra, contemplerai Dio e
lo vedrai vivente nei cieli,114 allora comincerai a parlare dei
misteri di Dio.115
Allora amerai e 116 ammirerai coloro che subiscono tor­
menti perché non vogliono rinnegare Dio; allora condannerai
l’inganno e la seduzione del mondo,117 quando conoscerai ciò
che veramente significa vivere nei cieli, quando disprezzerai
ciò che quaggiù è ritenuto morte, quando temerai quella che è
veramente morte, e che è tenuta in serbo per coloro che
saranno condannati al fuoco eterno, che eternamente tormen­
terà quanti gli saranno stati consegnati. 8. Allora ammirerai118
quanti sopportano questo fuoco per la giustizia, e li dirai beati
quando avrai conosciuto l’altro fuoco ***** * * * * * * * * * * ** * 1 1 9

R ic a p it o l a z io n e

X I, 1. Non parlo di cose strane né di questioni paradoss


li, ma, come discepolo degli apostoli, mi faccio maestro delle
genti e amministro degnamente120 quanto ho ricevuto a quelli
che sono divenuti discepoli della Verità. 2. Chi, infatti, è stato
debitamente istruito ed è generato dalla benevolenza del

tre qui l’autore della Lettera a Diogneto non vuole certamente


alludere a un fatto speciale di tipo carismatico, ma a un dono
molto più ampio, e in certo modo più normale, che è proprio
del cristiano divenuto «imitatore» di Dio.
116 Μ. B. A.: Abbiamo qui eliminato il sottotitolo indicato dal curatore
francese «H martirio e l’inferno», perché ci pareva interrompere
troppo il discorso.
117 La stessa espressione si ritrova in Corp. Hermeticum, XIII, 1,
p. 200, Nock-Festugière.
118 V. Martirio di Policarpo, 2,2-4.
119 In margine: «Anche qui il modello presentava un taglio».
120 Qui la correzione άξίως- sembra imporsi. Non è possibile, senza far
violenza al greco, mantenere άξιοι? e intendere (con P. N autin ,
Lettres..., p. 175): «Dispenso ciò che mi è stato trasmesso a quelli
che ne sono degni perché si fanno discepoli della Verità».
80 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

διηγούμενος, οί πιστοί λογισθέντες ύπ* αύτοϋ {γνώσοη


πατρός μυστήρια. 8 οδ χάριν άπέστειλε λόγον, {να κόσμφ
φανη, βς υπό λαοϋ άτιμασθείς, διά άποστύλων κηρυχθείς
ύπό έθνών έπιστεύθη. 4 Ούτος & άπ’ άρχής, & καινός
φανείς καί παλαιός εΰρεθείς καί πάντοτε νέος έν άγίω\
καρδίαις γεννώμενος. 6 Ούτος & άεί, <ό> σήμερον υΐόί
λογισθείς, δι* ού πλουτίζεται ή έκκλησία καί χάρις άπλουμέντ
έν άγίοις πληθύνεται, παρέχουσα νοΰν, φανεροϋσα μυστήρια,
διαγγέλλουσα καιρούς, χαίρουσα έπΐ πιστοΐς, έπιζητοΰσι
δωρουμένη, οίς <βρκια> πίστεως ού θραύεται ούδέ δρια
πατέρων παρορίζεται. 6 ΕΙτα φόβος νόμου $8εται κα)
προφητών χάρις γινώσκεται καί ευαγγελίων πίστις ίδρυται
καί αποστόλων παράδοσις φυλάσσεται καί εκκλησίας χάρις
σκιρτίρ. 7 *Ήν χάριν μή λυπών έπιγνώση £ λόγος όμιλεΐ
δι* ών βούλεται, δτε θέλει. 8 "Οσα γάρ θελήματι τοΐ
κελεύοντος λόγου έκινήθημεν έξειπεΐν μετά πόνου, έξ
fa l e n e των άποκαλυα>θέντων ίιικν Υΐνόιιεθα ΰαΐν κοινωνοί.
δ. 6 add. Lachmann : om . F .
δρκια Lachmann : βρια F .

121 D. P. A n d ressen (RTAM, 1947, p. 134, n. 19) mi ha incoraggia­


to a ristabilire il testo di F che generalmente veniva corretto,
dopo D. P. Maran, in modo da comprendere: «divenuto pieno
d’amore per il Verbo»; cf. infatti 1 Pt 1, 23: «rigenerati... dal
Verbo di Dio».
122 II passaggio è ambiguo perché è difficile stabilire una punteggia­
tura. P. ROASENDA, Aevum , 1935, p. 249, traduce: «libere
loquens - ab incredulis non intellectum, discipulis autem
loquens qui ab ipso fidi habiti (dieta) intellexerunt - Patris
declaravit mysteria».
123 A margine: «[Dice] che i santi hanno conosciuto i misteri del
Padre».
124 Cf. Mari. Polyc., 14, 1.
125 Stesso movimento in 1 Tm 3,16.
126 1 Gv 1,1; 2,13 s.
127 Acta Petri, 20, p. 345 Vouaux.
128 Cf. Sai 2,7.
129 Μ. B. A. Il termine è κοαρό?, «momento stabilito», «circostanza»
ecc.: è dunque probabile che l’autore alluda ai tempi nei quali si
sono compiute in Cristo le profezie (v. il Commento, p. 230,
A DIOGN ETO 81

Verbo121 non cerca forse di imparare con certezza ciò che


mediante il Verbo è stato chiaramente mostrato ai discepoli?

La r iv e l a z io n e d e l V erbo
Il Verbo, manifestandosi, lo ha loro manifestato, parlando
apertamente:122 non venne compreso dagli increduli, ma si
spiegò ai discepoli,123 da lui ritenuti credenti, e questi da lui
conobbero i misteri del Padre.124 3. Per questo [il Padre] ha
inviato il Verbo, perché si manifestasse al mondo: ed egli, diso­
norato dal popolo, fu annunciato dagli apostoli e creduto dalle
genti.125 4. Egli era dal principio,126 si è manifestato nuovo, è
stato trovato antico127 e nasce sempre giovane nel cuore dei
santi. 5. Egli, che sempre è, è oggi riconosciuto come Figlio.128

La v it a d e l l a C h ie s a
Per mezzo di lui si arricchisce la Chiesa; la grazia, dispie­
gandosi, aumenta nei santi, donando intelligenza, manifestan­
do misteri, annunciando i tempi;129 essa si rallegra nei creden­
ti, si dona a chi la cerca, con i quali non infrange le regole
della fede, né sposta i confini messi dai Padri.130
6. Ed ecco che vien cantato il timore della Legge, è ricon
sciuta la grazia dei profeti, è confermata la fede nei vangeli, è
custodita la tradizione degli apostoli, e la grazia della Chiesa
balza di gioia. 7. E se non contristi questa grazia, conoscerai
ciò "che il Verbo predica tramite chi vuole, quando vuole.
8. Infatti, di tutto ciò che il comando del Verbo ci induce a
esporre con zelo,131 noi facciamo partecipi voi, per amore di
quanto ci è stato rivelato.

n. 69) e continuamente si attualizzano nella Chiesa sacramental­


mente: il tempo non è più amorfo e indifferente dopo che il
Verbo è entrato nella storia.
130 H ms. F ripete due volte δρια : «i confini della fede,... i conimi
dei padri», il che appare molto piatto. Abbiamo adottato la cor­
rezione di Lachmann. Il testo che così si ottiene trova un paralle­
lo in G irolamo , Ep., 63, 2: «Scito nobis esse nihil antiquius
quam Cbristi iura servare nec Patrum tratisferre terminos». La
seconda espressione è una reminescenza di Pr 22, 28: «Non spo­
stare il confine antico posto dai tuoi padri» [Μ. B. A.: Il coman­
do è già presente nella Legge: cf. Dt 19,14].
131 «Con zelo», oppure «con fatica», «under stress (Meecham)».
82 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

X II. ΟΤς έντυχόντες καί άκούσαντες μετά σπουδής


εΐσεσθε 6<τα παρέχει 6 θεός τοΐς άγαπώσιν δρθως, οί
γινόμενοι παράδεισος τρυφής, πάγκαρπον ξύλον, εύθαλοΰν,
<άνατε£λαντες > έν έαυτοΐς, ποικίλοις καρποϊς κεκοσμημένοι.
2 Έ ν γ&ρ τούτ(|> τφ χωρίω ξύλον γνώσεως καί ξύλον ζωής
πεφύτευται * βλλ’ ού τλ της γνώσεως άναιρεϊ, άλλ’ ή
παρακοή άναιρεϊ. 3 Ο ύίέ γάρ Ασημα τά γεγραμμένα,
ώς θεύς άπ’ άρχής <ξύλον γνώσεως καΙ> ξύλον ζωής έν
μέσφ παραδείσου έφύτευσε, 8ιά γνώσεως ζωήν έπιδεικνύς.
ΤΗι μή χαθαρώς χρησάμενοι ol àie* άρχής πλάνη τοΰ βφεως
γεγύμνωνται. 4 Ούδέ γάρ ζωή Ανευ γνώσεως, ούδε γνώσις
άσφαλής Ανευ ζωής άληθοΰς * Διό πλησίον έκάτερον πεφύτευ-
ται. 5 *Ην ίύναμιν ένιίών 6 απόστολος τήν τε Ανευ άληθείας
προστάγματος εις ζωήν άσκουμένην γνωσιν μεμφόμενος
λέγει * ή γνώσις φυσιοΐ, ή Sè αγάπη οίκοδομεΐ.
6 Ό γάρ νομίζων ε(8έναι τι Ανευ γνώσεως άληθοΰς καί
μαρτυρουμένης ύπύ τής ζωής, ούκ Ιγνω ' ΰπό τοΰ βφεως
πλανάται, μή άγαπήσας τό ζήν. Ό δέ μετά φόβου έπιγνούς
καί ζωήν έπιζητων έπ* έλπίίι φυτεύει, καρπόν προσδοχών.

X II, 1 άνατιΐλαντες Estienne : άνατιίλα|τε F (λα- in / . lin t u t , -τ


in p rin c ip io sequenii* l i n e a i : -v- in m a rg . e v a n u itte p o lu il).
3 ξύλον γνώσεως x a l a d d . Bunaen : om . F .

132 Cf. 1 Cor 2,9.


133 Salmi di Salomone 14,1 s.; Gen 2,15; 3,23; Gl 2 ,3 LXX.
134 L’anima del fedele o la Chiesa? Senza dubbio entrambi.
135 a . Gen 2 ,8 s.
A DIO GN ETO 83

La v e r a g n o si

ΧΠ , 1. Accostatevi, ascoltate con premura e sapréte cosa


offre Dio a quelli che lo amano veramente.132 Costoro diven­
gono paradiso di delizie,133 e fanno spuntare in se stessi un
albero carico di frutti, rigoglioso, e così essi sono ornati di
frutti d’ogni specie. 2. Ed è in questo terreno,134 appunto, che
sono piantati l’albero della conoscenza e l’albero della vita,
ma non è l’albero della conoscenza ciò che uccide: è la disub­
bidienza che uccide.
3. Non è senza senso ciò che sta scritto: come Dio, in prin
pio, piantò in mezzo al paradiso un albero di conoscenza e un
albero di vita,135 per indicarci la vita tramite la conoscenza. Non
avendone usato con purezza, i nostri progenitori furono denu­
dati tramite l’inganno del serpente.136 4. Poiché non c’è vita
senza conoscenza, né conoscenza sicura senza vita vera: per que­
sto i due alberi sono stati piantati l’uno accanto all’altro.
5. L ’Apostolo, comprendendo questo significato, biasim
quella scienza che viene esercitata senza il precetto verace che
è per la vita,137 e dice: La scienza gonfia, ma la carità edifica.138
6. Chi infatti ritiene di sapere qualcosa senza vera scienza,
la scienza alla quale la vita rende testimonianza, non sa
nulla: è ingannato dal serpente perché non ha amato la
vita. Ma chi conosce con timore e ricerca la vita, questi
pianta nella speranza,139 e può attendersi il frutto.

136 Cf. Gen 3,7.


137 Ancora un passo di costruzione incerta: ho scelto il senso che mi
pare meglio accordarsi con il § 6 che segue e con il riferimento
implicito a Rm 7, 10. Ma si può anche intendere - e così hanno
fatto vari traduttori - sia «la scienza che si esercita senza la verità
della legge di vita», sia «la scienza che si esercita in vista della vita
senza la regola della verità». In seguito, dopo averci pensato, mi
chiedo se non sia preferibile quest’ultima osservazione: «la scienza
che si esercita in vista della vita senza seguire le prescrizioni della
Verità». [Μ. B. A.: Ancora un poco diversa la traduzione scelta
per la versione italiana],
138 1 Cor 8,2.
139 Espressione paolina: cf. Rm 4, 18, ecc.
84 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

7 Ή τω σοι χαρδία γνωσις, ζωή 8έ λόγος άληΟής, χωρούμε-


νος. 8 Ού ζύλον 'φέρων xai καρπόν <έρων> τρυγήσεις άεί
τά παρά Θεψ ποθούμενα, ών δφις ούχ άπτεται ούδέ πλάνη
συγχρωτίζεται ’ ούδέ Εΰα φθείρεται, άλλα παρθένος πισ­
τεύεται. 9 Καί σωτήριον δείχνυται, καί άπόστολοι συνετί-

8 έρών bh : *p£iv F (la c u n a uniuj ta n tu m lille ra e , s u p ra quam cu


secunda manus s e rip til) έκτΛηρών Maran χώρων (uel ουντηρών) Boehl
φανερών Hefele ευρών O lio 1 αίρών O tto* 6ρών Reuss τηρών Andries-
sen.
in m a r g .: 6τι τήν ECav, μή φβηρομένην, παρθένον άποχάλΰ *
φθαρεΐααν S i τής παρακοής πάντως εΐοεδέξατο Ά έπιτίμιον, δηλονότι
φβαρεΐσαν F .

140 Ρ. NAUTIN, Lettres..., ρ. 168, sottolinea opportunamente:


«L’Albero, che è a un tempo vita e scienza, è il Cristo, Parola di
Dio». Dobbiamo molto allo sforzo fatto dal P. Nautin, pp. 168-
172, per far progredire l’interpretazione di questi due difficili
paragrafi, XII, 7 s., anche se noi non riusciamo a deciderci sem­
pre a seguirlo fino in fondo.
141 Cf. ancora P. NAUTIN, L ettres..., p. 169; i termini
συγχρωτίζεται e φθείρεται, che le nostre traduzioni addolci­
scono, hanno un carattere concreto, anzi brutale, e fanno pro­
priamente allusione al commercio carnale.
142 Questo è il passo più oscuro dell’/l Diogneto. Ha già provocato
lo stupore, e forse lo scandalo, del copista bizantino che ha nota­
to a margine: «Per l’autore Èva non sarebbe stata sedotta; egli la
chiama vergine. Ma sedotta lo è stata e ha ricevuto degno castigo
per la sua disubbidienza: oh, sì, è stata sedotta e come!». La
costruzione è ambigua: παρθένο? è attributo o soggetto (o alme­
no apposizione del soggetto)? Πιστεύεται è passivo o medio?
Ci sono almeno quattro sensi possibili: «ora oppure qui (cioè
nella Chiesa), Èva non è più sedotta, ma:
1. è ritenuta vergine,
2. una Vergine (Maria) è oggetto di fede, di fiducia,
3. Èva, sempre vergine, crede,
4. una Vergine (Maria) crede»,
A DIOGN ETO 85

E s o r t a z io n e f in a l e

7. Sia la scienza il tuo stesso cuore, ma il Verbo vera


da te accolto sia vita.140 8. Portando quest’albero e aman­
done il fru tto, raccoglierai sempre ciò che si desidera
ricevere da Dio, ciò che il serpente non tocca e l’inganno
non afferra. Neppure Èva è più corrotta,141 ma restando
vergine, crede.142 9. Si mostra la salvezza, gli apostoli si
riem p ion o d ’in te llig e n z a ,143 la P asqua del Sig n ore è

per non parlare di altre interpretazioni meno probabili (KLEIST, nel


commento alla sua traduzione, coll. ACW 6, p. 221 e J. C. PLUMPE,
Mater Ecclesia, coll. Studies in Christian antiquity, 5, p. 27, tra­
ducono πιστεύεται con «ispira fiducia»). Dopo aver molto esi­
tato abbiamo scelto la soluzione 3. Come mostrerà il commento
(p. 235, n. 81 e aggiunte), essa si appoggia su una importante
serie di testi paralleli (Giustino, Ireneo soprattutto, Tertulliano).
Come già O tto, P. NAUTIN, L ettres..., p. 1 7 0 , vede in
πιστεύεται un passivo e commenta: «Una vergine - Maria - è
oggetto della divina fiducia, perché merita di esserlo: essa non si
è lasciata deturpare e Dio può affidarle la missione di partorire il
Salvatore». Ma il testo non dice tanto e, senza una glossa che
l’espliciti, non è possibile leggere un senso del genere in queste
tre parole greche. Si veda anche A n TIPATRO di Bostra, Om.
sull’incarnazione, 10, PG 85,1781, che sottolineala convenienza
dell’incarnazione, «affinché colui che all’origine era stato ingan­
nato da Èva, fosse salvato dalla concezione della Vergine».
143 Seti, «per predicare la Parola di D io» (P. NAUTIN, Lettres...
p. 170): cf. la stessa espressione applicata ai profeti in IPPOLITO,
In Daniel., III, 2, 3; piuttosto che «sono compresi» ( O t t o ) ,
«sono interpretati» (RADFORD).
86 A ΔΙΟΓΝΕΤΟ

ζονται, -καί τό κυρίου πάσχα προέρχεται, καί <καιροί >


συνάγονται καί μετά κόσμου άρμόζεται, καί διδάσκων
αγίους 6 λόγος ευφραίνεται, δ>.’ ου πατήρ δοξάζεται ' ώ ή
δόξα είς τούς αίώνας. Αμήν.

9 καιροί Sylburg : κηροί F (κηροί sine aecenlu, p a ru in le g ib ile ,


v id it b) χοροί Maran τνηοοί Lachmann κλήροι Bunsen.

144 Cioè «il Cristo Salvatore» (cf. 1 Cor 5, 7), come osserva giusta­
mente P. NAUTIN, Lettres... pp. 171-172; questa menzione non
basta a collegare il nostro scritto alla festa di Pasqua, come qual­
cuno ha pensato (cf. sotto, p. 217, n. 37; si aggiunga M eecham ,
p. 142).
145 Altro locus disperatus: i «ceri» di F (conservati da Otto) si direbbe­
ro un anacronismo; si resta esitanti davanti alle congetture di
Maran (i «cori celesti degli angeli e dei beati»?), di Lachmann
(«gli storpi sono raddrizzati») o di Bunsen: P. NAUTIN, Lettres...,
pp. 168-170, difende quest’ultima e intende: «gli ordini dei chierici
si riuniscono in sinassi» - ma, preso in assoluto, κλήροι può sugge­
rire questo senso? Noi manteniamo la lezione di Sylburg, inten­
dendo καιροί non come una «allusione ai diversi elementi che
devono essere riuniti nella data di Pasqua» (NAUTIN, p. 169), ma
nella prospettiva della teologia della storia: i «momenti», nel senso
paolino del termine, «si riuniscono» conformemente al piano divi­
no deU’oiKOiA^ia.
146 D singolare άρμόζεται sorprende: Sylburg si è chiesto se non vi
fosse qui una lacuna. Molti editori correggono con άρμό£οι/ται
sulla scorta di Beurer. P. NAUTIN, loc. cit., conserva il singolare, ma
A D IO G N ETO 87

vicina,144 i tempi si compiono;145 e il Verbo stabilisce la sua


armonia con il cosmo,146 e si rallegra di ammaestrare i santi,
lui, per il quale è glorificato il Padre: al quale è la gloria nei
secoli. Amen.

suppone una metatesi e collega queste parole a «la Pasqua del


Signore è vicina», intendendo: «si armonizza col mondo, prende le
dimensioni del mondo» - ma μετά col genitivo può significare
solo «con». Noi adottiamo l ’interpretazione di A ndriessen,
L ' É p i l o g u e . . . , dt., pp. 150 s.: questi κώλα vanno due a due e que­

s t’ultim o deve essere collegato al seguente; il soggetto di


άρμό£εται è ό Λόγο?, che è stato spinto verso la fine a causa del
δι’ου che segue. Mancando l’articolo, si sarebbe tentati di prende­
re μετά κόσμου nel senso di «con ordine», «in buon ordine» - ma
il nostro autore, o almeno il suo manoscritto, omette spesso
l’articolo (2, 6; 6, 1; 7, 2, ecc.), e bisogna intendere: «con il
mondo». Andriessen traduce: «e il Verbo si unisce al mondo»,
facendo riferimento a 2 Cor 11, 2 s. per il senso di άρμόζω . Noi
preferiamo seguire un altro dd suoi suggerimenti ( a r t . c i t . , p. 151,
n. 59) e vedere qui un’allusione alla dottrina sviluppata da
Clem ente d’Alessandria, P r o t r e t t . , 1 ,5,2-5 (l’armonia che il Verbo
stabilisce nel mondo; v. al § 3 il termine άρμοσάμενο?); intendia­
mo dunque, letteralmente: «il Verbo si armonizza col mondo»,
stabilisce la sua armonia sul mondo.
89

COMMENTO
I n t r o d u z io n e

Questo breve scritto è «pieno di finezza e di eleganza quanto


di sentimento»,1 il suo «raro pregio»2 ha ispirato ai suoi ammi­
ratori tante espressioni entusiaste: «perla» dell’apologetica del
Π secolo, se non di tutta l’antichità cristiana;3 da annovérarsi fra
«ciò che i cristiani hanno scritto di più brillante in greco»;4 «non
c’è opera cristiana, a parte il Nuovo Testamento, che tocchi
altrettanto il cuore del pubblico moderno».5
Non si dovrebbero tuttavia sopravvalutare i suoi pregi per
non provocare, per reazione, dei giudizi piuttosto sfavorevoli,
come quelli ai quali, per esempio,6 si è lasciato andare J. Gef­
fcken, che nega al suo autore qualsiasi originalità di pensiero e

1 A. PuECH, Histoire de la littérature grecque chrétienne, t. II, Paris


1928, pp. 217 s.
2 I d ., Les apologistes grecqties du IIe siècle de notre ère, Paris 1912,
p. 263.
3 Cf. I. M. SAILER, Der Brief an Diognetus, eine Perle des christlichen
Alterthums, in Briefe aus alien ]ahrhunderten..., I, Miinchen 1800,
p. 37; W . HENZELMANN, Der Brief an Diognet, die Perle des christli­
chen Altertums, uhersetz und gewiirdigt, Erfurt 1896; G. De G h el-
LINCK, Patristique et moyen àge, t. Π, Bruxelles-Paris 1947, p. 71;
t. I li, ibid., 1948, p. 125.
4 E. NORDEN, Die antike Kunstprosa, t. II, Leipzig-Berlin 1909,
p. 513, n. 2.
5 Η. B. SWETE, Diognetus (Epistle to-) in Encyclopaedia Britannica14,
t. V II, p. 395.
6 Si potrebbero anche riportare apprezzamenti piuttosto stizzosi usciti
dalla penna di A. HARNACK, Geschichte der altchristlichen Literatur,
t. Π, Chronologie, 1, Leipzig 1897, p. 515 (apologetica scialba, reto­
rica sdolcinata); Die Mission und Ausbreitung des ChristentumS*,
Leipzig 1924, t. I, p. 186, n. 2 (giudizio che discutiamo sotto,
p. 129, n. 23); de H . LlETZMANN, Histoire de l’Église ancienne, t. Π,
trad. frane., p. 189; stesso pessimismo in E. J. G oodsped, A history
ofearly christian literature, Chicago 1942, pp. 147 s.
90 COMMENTO

giunge sino a trattarlo da giornalista superficiale,7 o, con me­


no anacronismo, da «vero sofista cristiano».8
Una certa divergenza di valutazione è spiegabile: questo
testo può essere piaciuto a lettori diversi per pregi diversi e per
ragioni talvolta opposte. Le persone colte possono essere rima­
ste incantate dall’eleganza e dalla semplicità del suo linguaggio,
dall’abile arte che utilizza senza sforzo le risorse della retorica
tradizionale e, insomma, dalla bellezza dello stile. E comprensi­
bile che un valido giudice come Wilamowitz lo abbia assunto
come testimone scelto dell’ellenismo cristiano per la sua raccolta
di Letture greche? All’umanista poteva far piacere presentare in
poche pagine di facile lettura un sunto dei temi fondamentali
dell’antica apologetica cristiana, mentre, per contro, questo
aspetto di rapido sommario gli varrà lo sdegno dello storico del
pensiero cristiano, che riterrà di non aver nulla di nuovo da
imparare da questa lettura.
Tuttavia, una volta superata questa prima impressione, si
deve convenire che nella Lettera a Diogneto si trovano ben altro
che delle banalità: essa costituisce un’insigne testimonianza
della fede e della mentalità del cristianesimo antico. H teologo
vi ricava - formulate con una nitidezza ed efficacia di espressio­
ne incomparabili - alcune delle tesi capitali sul ruolo del cristia­
nesimo nell’economia cosmica e nella storia: briciole d’oro puro
che, anche da sole, giustificherebbero il lavoro minuzioso speso
nello studio del nostro testo, e nell’esame sempre ripreso del
delicato problema del suo autore e della sua data.

Il t it o l o

È bene, prima di tutto, riconoscerne e precisarne la natura.


Si noterà che il titolo tradizionale, Lettera a Diogneto, è dovu­
to solo a una iniziativa del primo editore Henri Estienne, che
si è preso la responsabilità di aggiungere la parola Lettera al
titolo del manoscritto che portava semplicemente: dello stesso
(san Giustino, filosofo e martire) a Diogneto. Iniziativa gratuita

7 Cf. J. GEFFCKEN, Z w e i g r ie c h is c h e A p o lo g e te n , Leipzig-Berlin 1907,


p. XLI; cf. p. 274.
8 Id., D e r B r ie f a n D io g n e to s , Heidelberg 1928, p. VI.
9 Cf. U. VON W ila m o w itz -M o e lle n d o rf, G r ie c h is c h e s L e s e b u c h b ,

Berlin 1926, II, pp. 357-363; note, pp. 225-227.


INTRODUZIONE 91

e, si direbbe, infelice. Nulla suggerisce che si tratti di una lettera:


la presenza alla prima riga del vocativo Eccellente Diogneto ha
valore di semplice dedica, ma non il carattere di un saluto epi­
stolare.10 È frequentissimo, nell’antichità, vedere la dedica di
un trattato integrata in questo modo alla prima frase dell’ope­
ra: basti ricordare, alle origini della letteratura cristiana, l’ini­
zio del Vangelo secondo Luca (1, 3: «Eccellente Teofilo») e
quello degli Atti degli Apostoli (1, 1). Neppure il fatto che il
nostro autore presenti la sua esposizione come una risposta a
domande di Diogneto è sufficiente per fare della sua opera
una lettera: il trattato Del Cristo e dell’anticristo di Ippolito
comincia, anche questo, facendo riferimento a domande su
questo argomento da parte del dedicatario,11 e nessuno ritiene
necessario concluderne che questo trattato è una Lettera a
Teofilo.
Se Henri Estienne voleva a tutti i costi completare il titolo
del manoscritto di Strasburgo, sarebbe stata cosa più indicata
scegliere il termine Λόγος·, «Discorso», come aveva fatto per
il Discorso ai Greci che, nel ms. F, precede immediatamente il
nostro testo, e che, come questo, è intitolato ellitticamente
«dello stesso (sempre Giustino) ai Greci». Ma era necessaria
questa aggiunta?
Un titolo come A Diogneto non aveva niente di sorpren­
dente per il lettore antico:12 formule del genere si vedono
usate spesso, almeno a partire dal IV secolo prima di Cristo.13

10 E se anche lo avesse, ciò non basterebbe a stabilire il carattere epi­


stolare del nostro testo; cf. TEOFILO di Antiochia, A d A u t o l . , ΓΠ,Ι:
«Teofilo ad Autolico, salute!». Ora, questo libro ΠΙ non è certa­
mente una lettera, indipendente dai libri Ι-Π di questa apologia.
11 Cf. IPPOLITO, De antichr., 1, p. 3, Achelis: «Mi avevi domandato,
carissimo fratello Teofilo, di darti qualche chiarimento sulle que­
stioni che mi avevi sommariamente esposto...». Cf. anche
CIPRIANO, Ad Demetrianum, 1-2, pp. 351 s. Hartel.
12 È per questo che, nonostante P. A ndriessen , in RTAM 13, 1946,
pp. 237 s., non vedo ragione per sospettarlo: l’attribuzione, erro­
nea, a Giustino non implica la condanna della seconda parte, così
naturale, del titolo dato da F.
13 Si veda, per esempio, nella bibliografia di Aristippo di Cirene for­
nita da Diogene Laerzio, II, 85, i titoli «A Lais», «A Poros», «A
Socrate».
92 COMMENTO

Per non allontanarci dal genere letterario al quale, come


vedremo, si ricollega il nostro testo, ricordiamo questi titoli:
Ad Autolico, l’apologia in tre libri di Teofilo di Antiochia, Ad
Scapulam di Tertulliano, Ad Donatum, Ad Fortunatum, Ad
Demetrianum, di Cipriano.14

C a ra tteri g en era li

Dunque, discorso o trattato, Λόγο?, piuttosto che let­


tera.15 Possiamo anche precisare di più, come amava fare la
critica lettera ria antica che disponeva a questo scopo
di una tecn icità tanto rilev an te:16 qui noi abbiam o un
Λόγο? απολογητικός καί παραινετικό?,17 una Apologia che
si sviluppa e si conclude in una Esortazione. Senza pregiudica­
re la soluzione che converrà portare al problema controverso
della sua data, il nostro scritto, di fatto, per il suo contenuto e
le sue caratteristiche generali, può essere ricollegato senza
sforzo a un genere letterario ben noto dell’antica letteratura
cristiana: non c’è nessun lettore, che abbia appena un poco di
familiarità con essa, che non abbia notato fin dal principio gli

14 Su questi opuscoli, cf. M. P e lle g rin o , S t u d i s u l ’a n t i c a a p o l o g e t i c a ,


Roma 1947, III, S a n C i p r i a n o a p o l o g e t a , pp. 107-149.
15 A conferma di questa conclusione, cf. H. G. M eecham , T h e e p i ­
s t l e t o D i o g n e t u s , cit., p. 8 (uso insistente di termini come «dire»,

«sentire, ascoltare», λέγειν, άκούειν, ecc.: I, 2 ; II, 1; 10). Non ne


esageriamo la portata: scrivere una lettera autorizzando il suo
destinatario a comunicarla, e indirizzare un’opera a un dedicata­
rio, erano, nell’antichità cristiana, due atti separati appena da una
sfumatura: cf. a questo proposito il mio articolo L a t e c h n i q u e d e
l ’ é d i t i o n à l ’ é p o q u e p a t r i s t i q u e , in VChr 3,1949, pp. 221 s.

16 Si veda, per esempio, il titolo del R i n g r a z i a m e n t o a d O r i g e n e di


Gregorio il Taumaturgo, E t? Όριγε'νην προσφωνιτικός
καί πανηγυρικός λόγος, oppure il sottotitolo del T r a t t a t o s u l l o
S p i r i t o S a n t o di Basilio, προσφωνιτικως προσερωτήσαντος.

17 Cf. nel nostro ms. F, n. Π, il titolo d è i ’ E s o r t a z i o n e a i G r e c i dello


Pseudo-Giustino, Λόγος παραινετικός πρός Έ λληνας. Si
potrebbe così proporre, con particolare riferimento a Clemente di
Aless., Λόγος προτρεπτικός.
INTRODUZIONE 93

stretti punti di contatto che esistono tra VA Diogneto e la serie


delle antiche Apologie, che comincia verso gli anni 100-110 o
12018 con la Predicazione di Pietro19 e continua lungo tutto il
II secolo con scritti molto noti (anche se non sono tutti inte­
gralm ente conservati) di Q uadrato, A ristide, G iustino,
Taziano, Milziade, Apollinare di Gerapoli, Melitene di Sardi,
Atenagora, Teofilo di Antiochia, oppure, per i latini, di
Minucio Felice e Tertulliano, poi, nel III secolo, di Clemente
di Alessandria, Origene, Cipriano ecc. Gli stessi temi sono
ripresi di nuovo, con sempre maggiore ampiezza, nei secoli
seguenti con A rnobio, Lattanzio, A tanasio,20 Giovanni
Crisostomo,21 Cirillo d’Alessandria, Macario di Magnesia,
Isidoro di Pelusio22 o Teodoreto di Ciro, per non parlare degli
autori più recenti.23 Uno studio più attento metterà ulterior­
mente in evidenza gli stretti rapporti del nostro testo con que­
sta tradizione letteraria, e in modo particolarissimo con i suoi
più antichi rappresentanti, quelli degli anni 120-200.

18 Per la data, si veda più avanti, p. 242, n. 12.


19 Mi permetto di ricordare al lettore che non bisogna confondere la
«Predicazione di Pietro», Κήρυγμα Πέτρου, apologia perduta del­
l’inizio del Π secolo (conosciuta dai frammenti che ci ha conserva­
to in particolare Clemente di Aless.) con le «Predicazioni di
Pietro» Κηρύγματα Πέτρου, uno scritto giudeo-cristiano del
quale si suppone l’esistenza e che sarebbe fonte delle R i c o g n i z i o n i
C l e m e n t i n e · , vedere a questo riguardo H. J. Schoeps, T h e o l o g i e

u n d G e s c h i c h t e d e s J u d e n t u m s , Tiibingen 1949, e A u s f r i i h c h r i s t l i -

c h e r Z e i t , Tiibingen 1950, autore la cui terminologia può prestarsi

a confusione.
20 Per i suoi due libri C o n t r o i p a g a n i , scritti poco prima del 323,
cf. P. Th. C am elot, SC 18, pp. 15 s. (volume riprodotto anche
nel 2006).
21 In particolare con la sua D i m o s t r a z i o n e p e r i g i u d e i e i g r e c i c h e i l
C r i s t o è D i o , PG 48,813-838.

22 Aveva scritto tre libri, perduti, C o n t r o i G r e c i · , cf. E p . , Π, 137 e


288, PG 78,580 e 664.
23 Cf. le indicazioni fomite dalla nostra I n t r o d u z i o n e sulla ricca pro­
duzione dell’apologetica bizantina.
94 COMMENTO

Sottolineiamo sin d’ora che l’associazione dei due temi


dell’Apologetica e dell’Esortazione appartiene proprio a questa
tradizione: in tutti gli Apologisti del Π secolo si può notare la
stessa preoccupazione di porre la loro difesa del Cristianesimo a
servizio della propaganda della vera fede,24 benché in nessuno
di loro questo secondo tema abbia il posto d’onore che ha
nellM Diogneto. Questo fatto, dal punto di vista psicologico,
era del tutto naturale: quale efficacia concreta si poteva spera­
re da questi scritti, ovviamente destinati al pubblico pagano?
Agire sull’opinione pubblica e, di riflesso, ottenere dal potere
imperiale un cambiamento del suo atteggiamento? Forse. Ma
indubbiamente molto meno incerto e più immediato doveva
essere l’altro scopo: quello di condurre il lettore alla religione
cristiana, dopo aver confutato le obiezioni che lo tenevano lonta­
no dalla fede! L ’esortazione appariva come la controparte positi­
va normalmente richiesta dall’argomentazione difensiva. Infatti
questo stesso appello alla conversione si ritrova, appena
abbozzato, nella conclusione delle Apologie di Aristide,25 di
Giustino 26 di ciascuno dei tre libri di Teofilo27 - e in lui già
con maggiore insistenza. Il tema protrettico si afferma in seguito,
in primo piano, in Clemente di Alessandria.

24 Si veda a questo proposito M. P e lle g r in o , S t u d i s u l ’a n t i c a a p o ­


l o g e t i c a , II, U e l e m e n t o p r o p a g a n d i s t i c o e p r o t r e t t i c o n e g l i a p o l o g e t i

g r e c i d e l I I s e c o l o , pp. 1-65 (rifacimento di una memoria apparsa

sulla R i v i s t a d i F i l o l o g i a 69, 1941, pp. 1-18; 97-109). L ’autore,


procedendo lungo la via tracciata per primo da W. Jàger e divenu­
ta cara all’erudizione italiana (E. Bignone, G. Lazzari, L. Alfonsi,
S. Mariotti), cerca di ritrovare nei nostri testi cristiani anche i
«motivi» tradizionali della letteratura di propaganda filosofica
proveniente dal P r o t r e t t i c o di Aristotele. I suoi accostamenti non
si possono dire tutti convincenti, ma questo aspetto particolare
della sua dimostrazione non è importante per il nostro argomento.
Per quanto riguarda in particolare V A D i o g n e t o , cf. le sue pp. 58-61;
63 s.; e poi: L. A lfo n si, S p u n t i p r o g e t t i c i e f i l o s o f i c i n e l l ’ E p i s t o l a a
D i o g n e t o , in R i v i s t a d i f i l o s o f i a n e o s c o l a s t i c a 39,1947, pp. 239-241.

25 Cf. A ristid e, A p o i . , 17,6-8, cf. 15,6.


26 Cf. Giustino, I I A p o i . , 15,4-5, cf. I A p o l . , 18,2; 44,13; 55,8; 56,3-4.
27 Cf. T e o f ilo di Antiochia, A d A u t o l . , 1 ,14; Π, 38; III, 30.
INTRODUZIONE 95

Ma sarebbe inesatto vedere qui il frutto di uno sviluppo


progressivo e, per VA Diogneto, l’indicazione necessaria per
una data relativamente recente, perché fin dal principio del II
secolo la Predicazione di Pietro presentava le stesse caratteri­
stiche. Bisogna intendersi, infatti, quando si colloca quest’o­
pera a capo della serie delle nostre Apologie:28 la Predicazione
di Pietro conteneva indubbiamente l’essenziale degli argomen­
ti che saranno incessantemente ripresi contro i pagani e i giu­
dei, ma, per quel tanto che i frammenti così rari conservati ci
possono permettere di capire quest’opera, sembra proprio
che l’apologetica difensiva non si presentasse allo stato isolato,
bensì come avvolta da un contesto «protrettico», associata a
una professione di fede positiva che l’autore, cosciente della
sua missione apostolica, proponeva, con accenti patetici e
stringenti, all’accoglienza del lettore.29

C o n ten uto e p ia n o

L ’elaborazione di questo duplice tema si compie, nel


nostro testo, sotto forma di uno sviluppo disposto molto abil­
mente, nel quale è possibile, per la praticità del commento,
distinguere quattro parti:
1. Un’apologia propriamente detta contro i pagani e i giudei
am
2. La celebre esposizione sul ruolo dei cristiani nel mondo
(V-VI).
3. Una sommaria catechesi, controparte positiva dell’apologia
(VII-IX).
4. L ’esortazione finale (X e XI-X II).

28 Cf. J. N. REAGAN, T h e P r e a c h i n g o f P e t e r , t h è b e g i n n i n g o f
C h r i s t i a n a p o l o g e t i c , tesi di Chicago 1923, pp. 51-59.

29 Cf. i frammenti raccolti da Dobschutz, TU 11,1: «Sappiate dun­


que che vi è un solo Dio... ( f r a m m . II), non adorate questo Dio
come i greci... (Ili), non lo adorate neppure come i giudei... (IV);
perciò anche voi, istruiti dalla tradizione che vi trasmetto, adorate
Dio in modo nuovo, mediante il Cristo...» (V: questi frammenti
provengono da CLEMENTE d’Alessandria, S t r o m . , VI, 5, 39-41).
Cf. anche, per il piano di evangelizzazione del mondo, fr. VI-VII
( S t r o m . , VI, 5,43; 6,48).
96 COMMENTO

Purché, s’intende, non ci si faccia un’idea troppo rigida di


questa ripartizione: i capitoli V-VI si legano molto natural­
mente con i primi quattro, presentandosi come spiegazione
della risposta riservata a IV, 6; la terza parte è introdotta da
V II, 1 come ripresa di ciò che era stato detto in V, 3, e culmi­
na con un brano lirico (IX, 5-6) che facilita il passaggio alla
patetica esortazione che inizia con X , 1.
L ’autore, peraltro, non si costringe strettamente a limitarsi
al tema che tratta in linea di massima in ogni singola parte.
Fin dalla prima pagina, i §§ 1,2-II, 1 anticipano l’Esortazione,
e in ciò che segue non mancano le riprese: così, V III, 2-4
completa II, 2-7; VII, 7-9, X , 7-8 riprendono VI, 5 e 9; X , 7 e
X I, 5 ritornano sulla questione che prima era riservata a IV, 6;
anzi, è proprio nel corso dell’omelia finale che sono effettiva­
mente trattati due punti di apologetica annunciati fin dal pro­
gramma iniziale (1 ,1, hg) e rimasti fino a quel momento senza
risposta (IX e X , 4-8).
Non è il caso di stupirsi. Abbiamo qui un notevole esem­
pio di «prosa d’arte» antica. All’epoca imperiale, una suddivi­
sione annunciata troppo esplicitamente e perseguita meccani­
camente appariva troppo scolastica30 per poter essere consi­
derata realmente artistica: autore e pubblico conoscevano così
bene le regole della retorica tradizionale che si era reso neces­
sario, per ravvivare l’interesse, alleggerirne l’applicazione, un
po’ come, ai nostri giorni, i pittori ricorrono alla deformazio­
ne volontaria ed «espressiva».31

30 Cf. il mio Saint Angustiti et la fin de la culture antique, Paris 1937,


P· 75.
31 Id. (II) Retractatio, Paris 1949, pp. 665 s.
97

C apitolo 1

APOLOGIA
CONTRO I PAGANI E I GIUDEI
(CAPP. I-IV)

Le dom ande di D io g n e t o ( 1 , 1)

L ’autore presenta la sua apologetica come risposta a una


serie di domande, reali o immaginate, che gli aveva, o gli
avrebbe, rivolto il pagano Diogneto,1 domande che egli ricor­
da all’inizio in un periodo la cui agile complessità è difficile da
esprimere in una lingua moderna. Sono otto domande2 cui
segue la loro risposta, senza naturalmente che l’autore si senta
costretto a seguire metodicamente l’ordine nel quale le ha in
un primo tempo enunciate.
a. Qual è il Dio dei cristiani (Risposta in VII-DQ?
b. Natura del culto che gli rendono (R.: VI).
c. Il loro atteggiamento sdegnoso nei confronti del mondo
(R.: V-VIpiZij.).3
d. Il loro disprezzo della morte (R.: VI, 5; 9-10; VII, 7-9).
e. Rifiuto degli dèi pagani (R.: II).
f. Rigetto delle osservanze giudaiche (R.: III-IV, 5).
g. L ’amore vicendevole dei cristiani (R.: cf. X , 4-8).
h. Comparsa tardiva di questa nuova religione (R.: V ili, 7-IX, 2).

Diogneto è lodato non soltanto per il suo ardore nell’in-


formarsi, ma anche per la «chiarezza», la pertinenza delle sue
domande. E sono infatti le domande fondamentali che ci si

1 Per l’identificazione del personaggio, si veda in fine pp. 250 e 263.


2 Scomponendo, come ha tentato la nostra traduzione, la costruzio­
ne sintetica del periodo.
3 Dove, a dire la verità, l’autore ritorce l’accusa più che confutarla.
98 COMMENTO

potevano aspettare da un pagano incuriosito. Si ritrovano


effettivamente gli stessi problemi negli antichi Apologisti del
cristianesimo, in particolare quelli del II secolo. È interessante
osservare che essi li presentano spesso, proprio come il nostro
autore, sotto forma di domande che sarebbero state loro real­
mente poste. Numerosi testi pagani ci mostrano d’altra parte
che non era una finzione, ma che questi problemi inquietava­
no effettivamente molto l’opinione di quel tempo:
A. H Dio dei cristiani: domanda inevitabile, che già gli Atti
degli Apostoli (17, 18) mettono sulla bocca dei filosofi epicu­
rei e stoici che, ad Atene, prendono contatto con Paolo. E
domanda troppo naturale per non tornare costantemente.4
B. La singolarità del culto cristiano e le sue misteriose
m odalità. In M inucio F elice5 il pagano C ecilio chiede:
«Perché non hanno altari, templi, statue divine come gli
altri?».
C. I cristiani avevano ereditato parte del rimprovero di
od ioso isolam en to nei co n fro n ti del m ondo civile,
άμιξία, μισανθρωπία, che già i pagani rivolgevano ai giudei.6
Tacito, per esempio, ritiene che i martiri della persecuzione di
Nerone «fossero accusati meno del crimine dell’incendio di
Roma che di odio per il genere umano».7

4 Così T e o filo , Ad Autol., I, 2: «Mostrami il tuo Dio»; Celso, in


O rigene, C. Cels., VI, 66; Passio Pauli, 9, p. 32, Lipsius-Bonnet;
AGOSTINO, Enarr. in Ps. 4 1 , 6; 127, 10; Serm. D en is 2 , 4;
Q uodvultdeus, De Symbolo sermo III ad catech., 3, PL 40, 654.
5 Cf. MINUCIO, Oct., 10,2.
6 Cf. M. SlMON, Verus Israel, étude sur les relations entre Chrétiens et
Juifs dans l’empire romain (135-425), Paris 1948, p. 243 e le fonti
raccolte da Th. REINACH, Textes d’auteurs grecs et latins relatifs au
judai'sme, Paris 1895 (cf. l’indice, s. v. Misoxénie); così Diodoro di
Sicilia, X L , 3 (in Photius, Bibl., cod., 244); Giuseppe, C. Apion, II,
14,36; 1 ,34, ecc.
7 T a c ito , Ann., XV , 44, 6. Allo stesso modo M inucio F e lic e , Oct.,
1 2 ,5 ; Celso in O rigene, C. Cels., V ili, 2.
APOLOGIA CONTRO I PADANI E I GIUD EI 99

D. Il disprezzo della morte ostentato dai martiri non aveva


meno colpito e, volta per volta, scandalizzato, stupito o turba­
to l’opinione pagana. Marco Aurelio oppone il suicidio razio­
nale del sapiente a quello dei cristiani dettato da semplice spi­
rito di opposizione, accompagnato da una messa in scena tea­
trale.8 Fra tante altre testimonianze,9 prendiamo in considera­
zione quella dell’apologeta Giustino, che traccia l’itinerario
spirituale che lo ha condotto a Cristo: «Io stesso, quando ero
discepolo di Platone, ascoltando le accuse portate contro i cri­
stiani, vedendoli intrepidi di fronte alla morte e a ciò che gli
uomini temono, mi dicevo che era impossibile che essi vives­
sero nel male e nell’amore dei piaceri».10
E. Il rifiuto di adorare gli dèi del paganesimo aveva provo­
cato l’accusa di «ateismo» della quale, prima dei cristiani,
erano stati oggetto anche i giudei:11 questo rimprovero ritorna
molto spesso; così Minucio Felice: «Soli tra tutti i popoli i cri­
stiani hanno l’audacia e l’empietà di attaccare l’antica religio­
ne».12
F. Si potrebbe credere che il problema sollevato dal rifiuto
delle osservanze mosaiche provenisse dalla polemica tra giu­
dei e cristiani, che ha la sua tradizione letteraria propria,13 ma
non è così. La separazione, molto presto avvertita e rapida­
mente dilatatasi, tra giudaismo e cristianesimo, non era sfuggi­

8 Cf. M a r c o A u re lio , P e n s i e r i , XI, 3; cf. A rrie n , C o l lo q u i d i

E p i t t e t o , IV, 7, 6 ; LUCIANO, P e r e g r . , 11 s.

9 Così L u c ia n o , P e r e g r . , 13; Celso in O rig e n e , C . C e l s . , II, 45;


Vili, 54; Galliano in A b u lfed a, H i s t o r i a a n t e i s l a m i c a , in P l a t o
A r a b u s , 1, London 1949, p. 99.

10 G iu stin o, I I A p o i. , 12,1.
11 Si veda ancora la raccolta di R ein ach , T e x t e s . . . , cit., indice, al ter­
mine E m p i e t à ; GIUSEPPE, C. A p i o n , II, 7; 14; I, 34; PLINIO, H i s t .
N a t . , XIII, 46.

12 MlNUCIO, O c t . , 8, 1-5, e in generale: A. HARNACK, D e r V o r w u r f


d e s A t h e i s m u s in d e n d r e i e r s t e n ] a h r b u n d e r t e n , in TU 28, 4,

Leipzig 1905.
13 Per la storia di questa polemica, si veda M. SlMON, V e r u s I s r a e l . . . ,
cit., pp. 165-213.
100 COMMENTO

ta ai pagani, come si può vedere tramite Celso.14 Anche due


delle più antiche apologie, la Predicazione di Pietro15 e quella
di Aristide,16 uniscono, come la nostra, la polemica adversus
Judaeos a quella contro i pagani.
G. Il reciproco amore dei cristiani insospettiva così tanto i
pagani che dava luogo, da parte loro, alle più infamanti con­
getture.17 Ascoltiamo, per esempio, Tertulliano: «questa prati­
ca di amore che ci bolla d’infamia presso alcuni di loro.
“Guarda - dicono - come vicendevolmente si amano”; ...
anche il semplice fatto di chiamarci fratelli risulta loro del
tutto incomprensibile».18
H. La tardiva apparizione nella storia del mondo di questa
religione di un Dio eterno, della rivelazione, della salvezza sol­
levava difficoltà ben avvertite dai più profondi tra «i maestri
del pensiero anticristiano»,19 da Celso a Porfirio.20

Così, tutti i problemi sollevati da Diogneto appartengono al


programma in qualche modo obbligato dell’antica apologetica.
Se il nostro Discorso presenta qui qualche originalità, essa si
manifesta piuttosto con i suoi silenzi: non vi troviamo rappre­
sentati vari temi familiari agli altri apologisti, e in particolare:

14 In O rigene, C . C e l s . , II, 1, ecc.; Ili, 1.


15 Cf. F r a m m . IV Dobschutz: CLEMENTE d’Alessandria, S t r o m ., VI, 5,41.

16 Cf. ARISTIDE, A p o i . , 14. Le altre apologie del Π e ΠΙ secolo separano


più nettamente la polemica contro i pagani e quella contro i giudei.
Per trovarle di nuovo riunite bisogna attendere, mi sembra,
Giovanni CRISOSTOMO, D i m o s t r a z i o n e , citata più sopra, oppure
quella di uno PSEUDO-CRISOSTOMO, più tardo ancora, C o n t r o i
G iu d e i, i G r e c i e g l i e r e t i c i , PG 48, 1075-1080: cf. M. Simon,

o p . à t . , p. 169, n. 2.

17 Cf. A ten a g o ra , S u p p l . , 32; M inucio, O c t . , 9,2.


18 T e r tu llia n o , A p o i . , 39, 7; 39, 8, trad. it. di A. Carpin, Edizioni
Studio Domenicano, Bologna 2008, p. 333.
19 È il titolo della collezione inaugurata col libro di L. R ou gier,
C e ls e o u le c o n flit d e la c iv ilis a tio n a n tiq u e e t d u c h r is tia n is m e p r i-

m Paris 1925. Su questo punto si veda, in particolare, in


i tif ,

O rigene, C . C e l s . , IV, 7; VI, 78.


20 Cf. A g o stin o , E p ., 102,2 (8).
\

APOLOGIA CONTRO I PAGANI È I G IUD EI 101

a) Nessuna discussione nella debita forma21 riguardo alle


abituali calunnie (incesto e omicidio rituale) che l’autore, tut­
tavia, non pare ignorare.22
b) E neppure traiamo questa accusa, che compare verso la
fine del II secolo e andrà allargandosi fino al V: l’empietà dei
cristiani è la causa delle catastrofi meteorologiche, o di altro
genere, che si abbattono sul mondo romano.23
c) Nulla neppure sul problema della risurrezione, che era
tuttavia una delle maggiori difficoltà che i pagani colti oppo­
nevano alla fede cristiana, come si può vedere dalla brusca
conclusione che gli Atti degli Apostoli danno al discorso di
Paolo all’Areopago (17, 32); anche questo era un argomento
trattato volentieri dagli Apologisti.24
d) Nessun riferimento esplicito25 alla fonte della rivelazio­
ne cristiana, alla Sacra Scrittura, alla sua verità, e alla anterio-

21 Mentre la maggior parte delle Apologie risponde con precisione e


spesso nei dettagli, come: G iu stin o , I A p o i . , 26, 7 (e 27-29,1,
sull’esposizione dei bambini: A D i o g n e t o , V, 6); I I A p o i . , 12, 1-4;
T r i f o n e , 10, 1; cf. 17, 1; T a z ia n o , 25; A t e n a g o r a , 3, 31-35;

T e o f ilo , A d A u t o l . , III, 4-15; T e r tu llia n o , A d N a t . , I, 7; A p o i . ,


7-9; 39, 6-21; M inucio, O d . , 9,2-3; 31; cf. anche A ristid e, A p o i . ,
15,7; O rig en e, C . C e l s . , VI, 27.
22 Cf. V, 7 (se si accetta la correzione proposta da Dom Maran); VI, 5.
23 Cf. T e rtu llia n o , A d N a t . , 1 ,6; A p o i . , 40-41; Cipriano, E p . , 75,10;

A d D e m e t r i a n . , 2-3; O rig e n e , C . C e l s . , Ili, 15, e c c ., fino ad

A g o stin o , L a C i t t à d i D i o , 1 ,36; II, 3; ΙΠ, 31.


24 Cf. G iu s tin o , I A p o i . , 18, 6-19, 6; T a z ia n o , 6; A t e n a g o r a ,
S u p p l . , 36 e n atu ralm en te il suo tra tta to D e R e s u r r e c tio n e - ,

T e o f i l o , A d A u t o l . , I, 13; M in u cio , O c t . , 11, 2-9; 34, 6-12;


T e r tu l lia n o , D e R e s u n e c t . c a m : , O rig en e, C . C e l s . , I, 9; V, 14;
VIII, 49.
25 L ’autore, non c’è dubbio, utilizza costantemente la Scrittura
(e prima di tutto le Lettere paoline): le note che accompagnano la
traduzione non avranno mancato di attirare l’attenzione del letto­
re a questo proposito. Egli però lo fa con estrema discrezione,
ingegnandosi, e spesso riuscendoci molto bene, a integrare nel
suo stile ciò che mutua dal testo sacro, evitando quasi sempre di
fare citazioni esplicite (eccezioni: II, 5; III, 4). Due volte soltanto
egli sottolinea l’origine: XII, 3 («ciò che sta scritto»), XII, 5
102 COMMENTO

rità che per essa viene generalmente rivendicata nei confronti


delle letterature pagane.26
e) Nulla che riguarda i problemi di ordine giuridico, il fo
damento legale delle persecuzioni, la legittimità della proce­
dura che in esse si segue: problemi, è vero, che sono in qual­
che modo propri dell’apologetica latina.27

Da queste note accontentiamoci, per il momento, (riser­


vandoci di trarne più avanti delle induzioni cronologiche) di
ricavare l’impressione che VA Diogneto abbia qualcosa di più
rapido, di più sommario rispetto alle altre apologie, e che,
d’altra parte, si collochi su un piano più interiore, più pro­
priamente religioso, più spirituale che polemico. Impressione
che andrà accentuandosi nella misura in cui procederemo
nella lettura del testo: l’elaborazione rapida, se non tirata via,
del tema propriamente apologetico, cede progressivamente il
posto a quella dell’esortazione dove l’ispirazione dell’autore si
sviluppa più ampiamente e con una visibile compiacenza.

(«L’Apostolo...dice»); ma è nell’Epilogo finale (XI-XII), di carat­


tere così singolare, che ha potuto essere contestata la sua autenti­
cità. In ogni modo anche qui l’autore, chiunque sia, non rimanda
il lettore allo studio delle Scritture, come amano fare gli altri
Apologisti.
26 Cf. Predicazione di Pietro, framm. V, IX, X , cioè CLEMENTE
d’Alessandria, Strom., VI, 5, 41; 15,148; 15,128; ARISTIDE, 16,5;
G iu s t in o , I A poi., 23, 1; 44; 5 9 -6 0 ; T a z ia n o , 29; 31;
Atenagora , Suppl., 9; T eo filo , Ad Autol., I, 14; II, 9-38; III, 1;
26; 29-30, ecc.
LATTANZIO, Instit. div., V, 1, 26-27; 3, 4-8, rimprovererà viva­
mente Cipriano per aver combattuto i pagani ricorrendo alle
«testimonianze delle Scritture» (specialmente nel suo Ad Deme-
trianum, 6; 7; 9, ecc.); ma lo scrupolo che esprime (V, 1, 26:
«quoniam mystica sunt quae locutus est et ad id praeparata ut a
solis fidelibus audiantur...») non era affatto condiviso dagli
Apologisti più antichi, come si vede dalla lunga lista di testi che
abbiamo appena citato.
27 Cf. T ertulliano , Apoi., pass.; C ipriano , Ad Demetrianum, 13.
APOLOGIA CONTRO I PAGANI E I GIUD EI 103

P r e p a r a z io n e s p ir it u a l e ( 1 , 2 -Π , 1)

Ma, senza andare oltre, questo accento propriamente spi­


rituale si afferma già fin dagli inizi dell’esposizione nella
duplice introduzione rappresentata dalla breve preghiera per
chiedere a Dio l’efficacia del discorso (I, 2) e dai consigli a
Diogneto sulle disposizioni preliminari in cui porsi spiritual-
mente (II, 1). Con ciò l’autore mostra bene che intende collo­
carsi meno sul piano polemico dell’apologetica in senso stret­
to che su quello dell’esortazione, che tende a coinvolgere l’in­
tera anima dell’uditore e a condurla fino alla completa con­
versione.
L ’invocazione a Dio non ha nessun equivalènte nella lette­
ratura apologetica del II secolo.28 Si constata, per contro,
un’analogia, che giunge fino alla somiglianza di espressione,
nelle indicazioni parallele che si incontrano nell’introduzione
al trattato L ’Anticristo di Ippolito 29 e nella Esortazione ai
Gentili dello Pseudo-Giustino.30

28 Cf., tutt’al più, l’indicazione fugace di Aristide, 2,1: «aven­


do così parlato di Dio, per quanto ne avevo la capacità»,
καθώς έμέ έχώρησε (ma non dice che Dio la aveva accordata alla
sua preghiera!). Si veda anche, ma il parallelismo non è nemmeno
qui nettissimo: IRENEO, Predic. apostol.,1. Si veda tuttavia l’invito
così netto di GIUSTINO, Dial., 7, 3: «Ma tu, prima di tutto, prega,
perché ti siano aperte le porte della luce, giacché nessuno può
vedere e comprendere se Dio e il suo Cristo non gli concedono di
comprendere».
29 Cf. IPPOLITO, De antichr., 2, p. 5, righe 15-21 Achelis: «Affinché
vi sia da entrambe le parti una comune utilità, per chi parla..., per
chi ascolta..., ecc. Poiché dunque ci vien proposto uno sforzo
comune, per chi parla di esprimersi senza errore, per chi ascolta
di ricevere le parole pronunciate con orecchio pieno di fede, io ti
chiedo, Teofilo, di unirti a me in questa preghiera a Dio, ecc.».
30 Cf. P seudo -G iustino , Cohortatio, 1, p. 18, Otto: «Prego Dio che
accordi a me, di dire ciò di cui avete bisogno; e a voi, di rigettare
la vostra ostinazione inveterata, di abbandonare l’errore dei vostri
avi, e di scegliere ciò che ora vi è utile».
104 COMMENTO

Quanto al pensiero, in una parola «pascaliano», che è


necessario purificare l’anima per renderla disponibile, prepa­
rarla a ricevere la rivelazione della verità cristiana, noi lo ritro­
viamo non solo nello stesso passo della Cohortatio, ma anche
negli Apologisti del II secolo,31 soprattutto, con un rilievo
particolare, in Teofilo di Antiochia.32 Esso però si esprime
nell VI Diogneto in una forma molto originale: abbiamo qui un
buon esempio dell’arte finissima con la quale l’autore ha come
infiorato il suo stile di reminescenze scritturistiche, e in parti­
colare paoline. È da Paolo che proviene l’espressione «divieni
un uomo nuovo»·, essa ci rinvia al passo che descrive il rinno­
vamento interiore del cristiano (Ef 4, 22-24); mentre il segui­
to, «un uomo nuovo come appena nato» implica, se abbiamo
ben capito, un riferimento al colloquio notturno di Gesù con
Nicodemo nel Vangelo secondo Giovanni (3 ,3 ): «Se uno non
rinasce di nuovo, non può vedere il regno di Dio».

C o n tr o l ’ id o l a t r ia (Π , 1 -7 )

La critica del paganesimo è trattata in modo sbrigativo in


un breve capitolo, e si limita a un duplice argomento: contro
l’idolatria (II, 1-7), contro i sacrifìci cruenti (II, 8-9); in seguito
incontreremo una condanna, anch’essa molto breve e sdegno­
sa, dei «vuoti e futili discorsi» dei filosofi, questi «ciarlatani»
(V ili, 2-4). E proprio poco, e significa ridurre al minimo la
polemica che nella maggior parte delle altre apologie cristiane
si estende ampiamente alla critica della mitologia, all’immora­
lità delle leggende attribuite agli dèi, al presentimento che è
possibile far confessare la verità cristiana ai testimoni più rap­
presentativi della tradizione pagana (poeti, filosofi, e gli stessi
oracoli degli dèi falsi). Non prendiamocela per questo con il
nostro autore; dopo tutto, la sua intenzione non era quella di
fornire una confutazione nella debita forma del paganesimo,

31 Cf. G iu stin o, I Apoi., 53, 1; T aziano, 30, init. Esso riappare,


s’intende, nel III secolo: Cf. C lem ente d’Alessandria, Protrett., I,
1 0 ,2 (ma la morale, derivata dalla lingua tecnica dei misteri paga­
ni, è qui tutta diversa).
32 Cf. T e o filo , A d Autol., I, 2 (bisogna purificare gli occhi dell’ani­
ma e le orecchie del cuore).
APOLOGIA CONTRO I PAGANI E I GIU D EI 105

ma soltanto di rispondere qui alla prima delle domande di


Diogneto: perché i cristiani rifiutano di rendere culto agli dèi
tradizionali?33 Un solo argomento poteva bastare, purché
buono.
A dire la verità, la confutazione dell’idolatria che troviamo
qui si mostra davvero sommaria e semplicista. Soprattutto
non ha niente di originale: l’idea che la venerazione dei pagani
sia rivolta a idoli fatti da mano d’uomo, che non sono nulla di
più della materia dalla quale provengono, è un luogo comune
che si ritrova trattato allo stesso modo in tutti gli Apologisti.34
Essi mettono in opera gli stessi elementi del nostro passo:
stessi riferimenti alla Scrittura,35 stessa allusione alle trasfor­
mazioni che un semplice cambiamento di forma fa subire agli
idoli,36 stesse facili ironie sull’impotenza della loro materia
inerte, incapace di sfuggire agli oltraggi,37 o di sfuggire da sé38

33 Buona osservazione di L. B. RADFORD, The epistle to Diognetus


(coll. Early Church classici), London 1908, p. 46.
34 Cf. Predicazione di Pietro, fram m . Ili; ARISTIDE, 13, 1-2;
G iu st in o , I Apoi., 9,1-3; T aziano , 4; M e l it o n e , framm. II
(O tto , Corp. Apolog., t. IX, p. 413); Atenagora , Suppl., 15; 17;
T eo filo , Ad Autol., 1 , 1; 10; Π, 2; Minucio F elice , Oct., 3,1; 23,
9 s.; T ertulliano , Ad Nat., 1 ,12; Apoi., 12,2; 29,2; 29,4; De ido­
lo!., 3; Pseudo-MELITONE, Or., 11 (O t t o , t. IX, pp. 509 s;
cf. p. 431, trad. Renan); CLEMENTE d’Alessandria, Protrett., IV,
50-52; X, 97, 3; ATANASIO, C. Gentes, I, 12-15, c. 28 Ad ; Oracoli
Sibili., V, 81-85; Arnobio , Adv. nat., I, 39; VI, 8-21; LATTANZIO,
Div. inst., II, 2,21-23; ecc.
35 Così: TEOFILO, Ad Autol. I, 10 (termina, come YA Diogneto, con
un riferimento a Sai 113 B, 8); II, 35; Atanasio , I, 14, c. 29 BC;
Recogn. Clement., V, 15.
36 Così: Aristide , 13,2; G iustino , I Apoi., 9,2; Atenagora , Suppl.,
26 fine; TERTULLIANO, Apoi., 12, 2; CLEMENTE d’Alessan
Protrett., IV , 46, 3-47, 1; Atanasio , C. Gentes, I, 13, c. 28 C;
Arnobio , VI, 14-15.
37 Cf. M inucio , Oct., 24, 1; T ertulliano , Apoi., 12, 7; cf. 40, 9;
C lemente d’Alessandria, Protrett., IV, 52-53; Arnobio , VI, 16.
38 Cf. A r istid e , 1, 3, 2; G iu stin o , I Apoi., 9, 5; T ertulliano ,
Apoi., 29, 2; C l e m e n t e d ’Alessandria, loc. cit.·, C ip r ia n o ,
AdDemetr., 14; A rnobio , VI, 20-21; Recogn. Clement., V, 15.
106 COMMENTO

ai ladri. Risulta evidente dove si debba situare il nostro testo


nella serie cronologica di questi scritti, così come la sua dipen­
denza nei confronti della tradizione letteraria che rappresen­
tano perché a partire dal suo primo rappresentante, la Predi­
cazione di Pietro, il «luogo comune» appare nettamente carat­
terizzato.39
H pregio del nostro capitolo, se esiste, non può essere che
di ordine letterario: come ha realizzato la morale di questo
tema obbligato? Si possono mettere al suo attivo una certa
vivacità di tono, un movimento spedito (contropartita positiva
della sua brevità), il pathos delle domande accumulate che si
fanno più pressanti e più brevi e si esprimono a mezzo di pro­
posizioni parallele, κωλα, che, progressivamente abbreviate,
finiscono per venire sensibilmente ritagliate secondo la stessa
misura, ισόκωλα, e fanno rima tra loro, όμοιοτέλ€υτα; e infi­
ne, al termine di questa gradazione ben condotta, il sarcasmo
lirico che esplode in una citazione biblica quasi esplicitata (Π, 5)
e trova compimento in una riflessione di una ironia amara (Π, 6).
Sottolineiamo anche qualche delicatezza attica nel rifacimento
di un argomento abbastanza grossolano: gli oltraggi che
minacciano l’idolo insensibile sono sobriamente evocati in
due parole, «deterioramento, corruzione» (II, 4). Ci vengono

39 Cf. Framm., Ili, in CLEMENTE d’Alessandria, Strom., VI, 5, 40:


«(Adorate questo Dio, ma non come i Greci) che, trascinati dall’i­
gnoranza, e non conoscendo Dio come noi di una conoscenza per­
fetta, hanno fatto, con i beni che egli aveva messo nelle loro mani
per loro uso, delle statue di legno e di pietra, di bronzo e di ferro,
d’oro e d’argento, e, dimenticandone la natura materiale e l’uso,
hanno eretto ciò che era stato messo a loro servizio per adorarlo,
come adorano anche gli esseri che Dio aveva dato loro per cibo,
quelli che volano nell’aria, quelli che nuotano nel mare, quelli che
strisciano sulla terra, le bestie selvagge come i quadrupedi domesti­
ci, donnole e topi, gatti, cani e scimmie; essi sacrificano i loro pro­
pri alimenti a ciò che serve da alimento», ecc. Cf. il riassunto dello
stesso passo dato da ORIGENE, In Johann., XIII, 17.
Ma già la Predicazione di Pietro non faceva che riprendere un «luogo
comune» messo a punto dall’apologetica dell’Antico Testamento:
cf. Sap. 13, 10-15,13 (e specialmente 13, 16 o 15, 7, da accostare
all’i4 Diogneto, Π, 7 e Π, 2-3), per non parlare di testi più antichi.
APOLOGIA CONTRO I PAGANI E I GIUD EI 107

risparmiate le immagini più brutali che altri autori hanno sot­


tolineato con compiacenza a tratti più calcati: topi, ragni, ster­
co di colombi;40 allo stesso modo più sopra ci vengono sugge­
rite con discrezione le reciproche metamorfosi tra dèi e «uten­
sili»: Giustino è più pesante e parla di «vasi d’ignominia».41
Ma torniamo alla sostanza: questa argomentazione poteva
convincere un pagano colto? Non c’era in questo niente che lo
potesse sorprendere. Questa ironia nei confronti dell’idolo non
proviene solo dalla Predicazione di Pietro e, tramite questa, dai
salmisti e dai profeti di Israele: essa appartiene anche alla più
autentica tradizione classica, da Eraclito42 o Erodoto43 fino a
Orazio o Luciano.44 Da molto tempo la pietà pagana aveva pre­
parato la propria risposta (la sorte di ogni apologetica è quella
di provocare la corrispondente contro-apologetica) - la stessa
che Celso oppone ai cristiani: non è alla pietra, al legno, al
bronzo o all’oro che sono rivolti gli omaggi, ma alla divinità alla
quale questi oggetti sono consacrati o che queste immagini rap­
presentano.45

40 Cf. i testi citati sopra, pp. 105 ss, note, di Minucio Felice
(«...mures, hirundines, milui non sentire eos sciunt... araneae uero
faciem eius intexerunt, et de ipso capite sua fila suspendunt...»),
di Tertulliano («statuas... quas milui et mures et aranei intelli-
gunt»), oppure Clemente.
41 G iustino , lApol., 9 ,2 ; cf. Atanasio , C. Gentes, 1 , 13, c. 28 C.
42 Cf. Framm. 5, DlELS, Fragmente der Vorsokratiker*, § 22 (12):
questo frammento proviene dalla Theosophia del ms. F.
43 Cf. II, 172 (aneddoto dell’usurpatore Amasis che trasforma in sta­
tua divina un catino usato per lavare i piedi: è stato ripreso da
Atenagora , Suppl., 26).
44 Cf. O razio, Sat., I, 8; L uciano, Jup. conf., 8; Jup. trag., 7; Somn., 24;
Si veda anche TERTULLIANO, Apoi. 12, 6 (Senecam... de uestra super-
stitione perorantem)·, su questa tradizione, cf. P. T h . CAMELOT,
trad. di Atanasio, C. Gentes, SC 18, p. 136, η. 1, e i libri classici di
P. DECHARME, La critique des traditions religieuses chez les Grecs,
Paris 1904, B. VON BORRIES, Quid veteres philosophi de idolatria
senserint, diss. Gòttingen, 1918.
45 In ORIGENE, C. Cels., VII, 62, pp. 211 s. Koetschau.
108 COMMENTO

È comprensibile l’irritazione di critici come Harnack o


Geffcken46 di fronte a una argomentazione così banale: la
sicurezza insolente dimostrata dal nostro autore (II, 10) ha
qualcosa di fastidioso. Ma è dovuta semplicemente a sufficien­
za o ingenuità? Misuriamo quanto il paganesimo tradizionale
si trovasse in precario equilibrio nella cultura dell’epoca impe­
riale: esso rappresentava la sopravvivenza formale di una vec­
chissima mentalità già abolita dall’evoluzione delle idee e dei
sentimenti. Il politeismo era stato una realtà viva nei secoli
passati, ai tempi di quella «prima religiosità» che era già così
estranea, così inaccessibile ai pagani dei primi secoli della
nostra era quanto può esserlo per noi, perché, come noi, essi
ne erano separati dallo schermo interposto dall’incredulità
ellenistica.47 Un pagano colto e sensibile alla realtà religiosa,
come Diogneto, non poteva realmente - e ragionevolmente -
giustificare il culto degli dèi al quale restava attaccato per tra­
dizione, e si capisce che il nostro autore abbia potuto dare per
scontato in qualche modo il suo accordo.
Resta il fatto, ne convengo ben volentieri, che l’argomenta­
zione del nostro autore ci sarebbe parsa molto più efficace se,
anziché accontentarsi di questi facili e triti sarcasmi, avesse im­
pegnato i suoi sforzi su questo inevitabile superamento del poli­
teismo, aiutando così il suo interlocutore a prendere coscienza
del monoteismo implicito che certamente era anche suo.

C o n tr o i s a c r if ic i (Π, 8-10)
Un interesse più reale offre la seconda parte del capitolo II
dove l’ironia dell’autore, sempre così aggressiva, se la prende
con la pratica pagana del sacrificio cruento: come è possibile
pretendere di onorare gli dèi con questa carne macellata e
questi odori di graticola! Ciò che importa sottolineare qui non
è tanto il rifiuto dei sacrifici come indegni di Dio, altro luogo

46 Citati aU’inizio di questo Commento (pp. 89-90 e note 6 e 7).


47 Sulla distinzione, da una parte e dall’altra del periodo ellenistico,
fra la «prima» e la «seconda religiosità», cf. la mia relazione al IXe
Congrès International des Sciences Historiques, Paris 1950, t. I,
Rapports, p. 338, e Saint Augustin ... cit., (II) R etractatio ,
p. 694, n. 12.
APOLOGIA CONTRO I PAGANI E I GIUDEI 109

comune dell’apologetica cristiana48 (lo troveremo ripreso


poco sotto contro i giudei), quanto il senso di disgusto che
serve a esprimerlo. Visibilmente, anche qui l’Apologista fa
appello a una inconscia comunanza di sensibilità fra il suo let­
tore e se stesso.
Abbiamo qui una testimonianza interessante sull’evoluzio­
ne delle idee religiose nel corso dei primi secoli della nostra
era:49 come il politeismo, la pratica del sacrificio cruento era
un’eredità della mentalità «primitiva», qualcosa di sopravvis­
suto. A poco a poco, sotto l’effetto congiunto di una crescente
delicatezza, di un concetto più alto della divinità, sotto l’in­
fluenza anche della pratica cristiana e già del culto «razionale»
delle sinagoghe della diaspora, i pagani giunsero ad arrossirne
e ad aspirare anch’essi a un sacrificio non cruento, razionale e
puro, λογική θυσία.50 Questo sentimento ebbe modo di deli­
nearsi molto presto nella critica filosofica,51 ma impiegò lun­
ghi secoli prima di imporsi alla coscienza comune e non pare

48 Cf. Predicazione di Pietro, framm. DI, citato sopra; ARISTIDE, 13, 4;


G iu s t in o , I A poi., 13, 1-2; A t e n a g o r a , Suppl., 13; 27;
T ertulliano , Apoi., 30, 6; Ad Scapulam, 2,11; Oracoli Sibili., 8,
390-391; ARNOBIO, VII, 3; 4; 17. Come il precedente, anche
questo tema ha, s’intende, le sue radici nell’Antico Testamento:
cf. Sai 49 (50).
49 Si veda a questo proposito: A. D. NOCK, Prolegom., alla sua edi­
zione di Sallustio, Concerning thè Gods, Cambridge 1926,
p. LXXXIII, n. 191; O. CASEL, Ein orientalisches Kultwort in
abendlandischer Umschelzung, in Jahrbuch fur Liturg. Wiss., t. XI,
1931, pp. 2-19; K. P r OMM, Religionsgeschichtlicbes Handbuch,
Freiburg 1943, pp. 502 s.; G. Q u iS P E L , Com m entaire de
Ptolomée, Lettre à Flora, SC 24, pp. 91 s.
50 Cf. Poimandres (Corp. Hermet., I), 31, p. 19 Nock-Festugière
(λογικά! θυσίαι άγναί); ΧΠΙ, 21, ρ. 209; PORFIRIO, De abstinentia,
Π, 45, ρ. 174 Nauck (voepà θυσία); cf. per i giudei, Test. Levi, 3, 6
((λογική καί άναίματο? θυσία), e, nel Nuovo Testamento,
Rm 12, 1 (λογική λατρεία); 1 P t 2 , 5 (πνευματικοί θυσίαι).
51 L ’argomentazione di Porfirio, De abstin., loc. cit., risale senza
dubbio a Teofrasto, come la documentazione che utilizza nell’in­
sieme di questo libro II: cf. J. BERNAYS, Theophrastos’ Scbrift iiber
Frómmigkeit, pp. 73 s.
110 COMMENTO

fosse divenuto dominante fino al Basso Impero.52 Di questa


evoluzione, il nostro passo dell VI Diogneto si rivela un notevo­
le testimone, tanto per la sua data,53 quanto per la violenza
con la quale esprime la reazione della sensibilità che gli serve
come punto di partenza.54

C o n tro i s a c r if ic i d e i g iu d e i (III, 1 -5 )

Seguendo dunque, come Aristide,55 la via inaugurata dalla


Predicazione di Pietro,56 VA Diogneto fa seguire la sua confuta­
zione del paganesimo da una critica simmetrica della religione
giudaica. Afferma di annettervi più importanza (III, 1) e,
effettivamente, dedica ad essa, fatte le debite proporzioni,57

52 La testimonianza più significativa, perché proviene da un «paga­


no medio» e non da un ambiente filosofico o mistico, è quella di
Ammiano Marcellino, impressionato dall’abuso dei sacrifici nel
suo eroe Giuliano l’Apostata: XXII, 12, 6-8; XXV, 4-17. Cf. a
questo proposito W . ENSSLIN, Zur Gescbichtschreibung und
Weltanschauung des Ammianus Marcellinus, in Klio, Beiheft, XVI,
pp. 54-56; cf. ancora l’epigramma dei buoi bianchi a Marco
Aurelio: «Se tu ritorni vincitore, noi siamo perduti», citato da
Ammiano, XXV, 4,17: ma destava poi, per il suo autore, gli stessi
sentimenti che destava in Ammiano?
53 Senza anticipare la discussione finale che cercherà di precisare
questa data, indichiamo, con una sola parola, che essa si colloca
con certezza fraill20eil210.
54 Al di fuori di questo testo, lo stesso sentimento è ben espresso e
sfruttato da CLEMENTE d’Alessandria, Protrett., IV, 51, 2 e
T eodoreto , Graec. affect. cur., VII, 15, p. 104 Sylb.
55 Cf. A ristide , 14.
56 Cf. Framm., IV, Dobschiitz, cioè CLEMENTE d’Alessandria,
Strom., VI, 5, 41: «Non adorate più come i giudei: credono di
essere i soli a conoscere Dio, eppure non lo conoscono, perché
adorano gli angeli, gli arcangeli, il mese e la lima: se la luna non si
mostra, non celebrano il primo sabato, né gli azzimi, né la festa,
né il grande giorno», ecc.
57 Perché, in assoluto, questi due capitoli ΠΙ-IV non rappresentano
un testo più lungo del solo cap. Π: circa poco più di 40 righe nella
nostra edizione per gli uni come per l’altro.
APOLOGIA CONTRO I PAGANI E I GIU D EI 111

relativamente maggior sviluppo (III-IV) di quanto non faccia


Aristide, nel quale la polemica contro i pagani occupa molto
più spazio di quella contro i giudei.58 Tuttavia, i caratteri
generali della sua esposizione restano simili a quelli del capi­
tolo precedente: è sempre altrettanto rapido, sommario, e per
conseguenza superficiale, quanto al contenuto, appassionato e
violento quanto alla forma e al tono.
Dei temi che erano o dovevano diventare tradizionali nella
controversia cristiana adversus Judaeos,59 il nostro autore con­
serva soltanto quello del rifiuto della Legge mosaica, conside­
rata sotto due aspetti: il sacrificio (c. Ili), le osservanze legali
(c. IV). Egli non dice nulla sul problema del ripudio di Israele
e dell’elezione dei Gentili, del carattere messianico di Gesù,
della responsabilità dei giudei nella crocifissione, né del rim­
provero, rivolto tanto spesso ai giudei dei primi secoli, di
attribuire un’importanza sospetta alla venerazione e al culto
degli angeli.60
All’interno stesso dell’argomento al quale ha scelto di limi­
tarsi, egli procede così in fretta che non si concede la possibi­
lità di precisare, e così di sfumare, il suo pensiero. Il suo atteg­
giamento tutto d’un pezzo nei confronti del giudaismo è stret­
tamente negativo. Al massimo, all’inizio, accetta di riconosce­
re, con una certa condiscendenza, il merito dei giudei per il
fatto di professare lo stretto monoteismo (III, 2),61 ma la sua
benevolenza si limita a questo. Non contiamo su di lui per

58 Ai giudei dedica soltanto il breve cap. XIV, mentre la polemica


contro i pagani, «barbari», Greci ed Egiziani, ne occupa undici,
capp. ΠΙ-ΧΙΠ, di cui quattro contro i Greci, capp. VIII-XI.
59 Si veda l’inventario redatto da A. L. WILLIAMS, Adversus Judeos, a
bird’s eye view o f Christian Apologiae until thè Renaissance,
Cambridge 1935, con le utili integrazioni di M. SlMON, Verus
Israel..., c it., pp. 165-213, e, per gli au tori la tin i, di B.
BLUMENKRANZ, Die Judenpredigt Augustins (Basler Beitràte zur
Geschichtswissenschaft, B. 25), Basel 1946.
60 Quest’ultimo punto era già stato sollevato dalla Predicazione di
Pietro, per quanto breve fosse la sua esposizione: framm., IV, cita­
to sopra.
61 II testo, corrotto in F, è restituito solo in forma congetturale, ma il
senso generale del passo è molto chiaro.
112 COMMENTO

sottolineare la profonda fraternità che unisce, malgrado la sua


persistente incredulità, il giudaismo dei tempi cristiani al
Verus Israel che è la Chiesa del Cristo.62
Egli rifiuta il sacrificio cruento dell’antica Legge, benché
offerto al vero Dio, come indegno di lui: il Creatore non se ne
fa nulla di questi doni - suoi doni! (ΠΙ, 4). Senza dubbio que­
sto è un atteggiamento comune a tutti i polemisti cristiani,63 ma
di solito essi si prendono il tempo di sottolineare che questi
sacrifici, aboliti dalla Nuova Legge, erano giustificati sotto
l’Antica, conformi alla volontà di Dio e rispondenti allora a una
disposizione dell’economia della salvezza, anche se ciò accade­
va solo a titolo di concessione pedagogica alla innata tendenza
degli antichi giudei verso le forme del culto idolatrico.64 Nulla
di simile qui. Non vi è alcuna contropartita positiva alla con­
danna: la condotta dei giudei è, nella sua globalità, solo errore,
follia (ΙΠ, 3), διαμαρτάνουσιν, μωρία, e non pietà, e non diffe­
risce in nulla da quella dei pagani (ΠΙ, 5).

C o n t r o i l r i t u a l i s m o g i u d a ic o (IV , 1- 5)

Lo stesso partito preso, lo stesso tono violento, lo stesso


abuso dell’invettiva, che calcano sull’argomento o ne tengono
il posto, si manifestano nel capitolo seguente, dove l’autore,
allo stesso modo, rifiuta le osservanze legali del giudaismo:
tabù alimentari (IV, 2), sabati (IV, 3), circoncisione (IV, 4),

62 M.B.A.: Π curatore francese sembra esprimere qui una posizione


teologica che si pone oggi in modo diverso: la Chiesa non «sosti­
tuisce» Israele, come una realtà totalmente nuova, ma è piuttosto
lo sbocco previsto dalle Scritture per Israele e le genti insieme: l’e­
lezione di Israele si allarga dunque all’elezione delle genti, nell’u­
nico corpo di Cristo che è la Chiesa. Ciò resta vero anche se
Israele, per ora, ha accettato il Cristo solo in singoli individui, non
come popolo.
63 Cf. H. J. SCHOEPS, Tbeol. und Gesch. des Judentums, cit.,
pp. 220-233: ORIGENE, Hom. in Num., 23, 2, ecc.
64 Così GIUSTINO, Trifone, 19, 6; 22, 1-11, ecc. Anche uno gnostico
come il valentiniano Tolomeo si concede il diritto di riconoscere un
elemento positivo nell’antica Legge: Lettera a flora (in E pifanio ,
Panarion, 33), 4-5, pp. 50-62 Quispel.
APOLOGIA CONTRO I PAGANI E I GIUDEI 113

calendario (IV, 5). Quanto alle idee, qui troviamo solo l’elabo­
razione banale di un altro tema costante nella letteratura anti­
giudaica: anche qui, se c’è un apporto proprio e, se si vuole, un
pregio da riconoscere al nostro autore, va cercato nella forma.
Gli argomenti avanzati appaiono molto sbiaditi di fronte al
fiume di ingiurie che li scorta. Il lessico è di una tale ricchezza
che mette in difficoltà i traduttori: IV, 1: scrupolosa paura
(ψοφοδεές), superstiziosa religiosità (δεισιδαιμονία), vanto
(άλα£ονεία), affettata osservanza (ειρωνεία), cose ridicole
(καταγέλαστα); IV, 2: come può essere lecito (πώς θέμι?...);
IV, 3: empio (ασεβές); IV, 4: menar vanto (άλα£ονεύεσθαι),
degno di riso (χλεύης άξιον); IV, 5 di nuovo (cf. Ili, 3): stol­
tezza (αφροσύνη) e non pietà... Questo è il quadro senza sfu­
mature tratteggiato dal nostro testo.
In queste condizioni, il suo interesse intrinseco resta debole:
il suo solo valore sta nell’essere un testimone della separazio­
ne definitiva che, agli occhi dell’autore, è ormai compiuta tra
la Sinagoga65 e la Chiesa, dell’animosità, se non addirittura,
purtroppo, dell’odio66 che questa separazione aveva portato
con sé. Diciamo di più, un testimone eccezionalmente elo­
quente: negli archivi dell’«antisemitismo cristiano» ci sono
pochi testi che raggiungono questo tono uniformemente
sprezzante e questa violenza nell’insulto.67
Si è cercato di spingersi oltre e, leggendo fra le righe, qu
che commentatore è arrivato a chiedersi se, in questa condan­
na senza appello della Legge giudaica, non si manifestasse
qualche infiltrazione gnostica, qualche eco, diretto o indiretto,
del rifiuto radicale dell’Antico Testamento e del Dio malvagio
che l’avrebbe ispirato.68 Seguendo questa strada si è giunti

65 Cf. sempre M. SlMON, Verus Israel..., cit., 2a parte, pp. 163-274,


«Il conflitto delle ortodossie», che prende precisamente la sua epi­
grafe dal nostro A Diogneto·, cf. ibid., p. 110 sui nostri capitoli ΠΙ-IV.
66 Ostilità reciproca d’altronde, come il nostro testo ricorderà più
avanti, V, 17.
67 II confronto è reso più facile grazie al buon studio di M. SlMON,
Verus Israel..., cit., pp. 239-274, «L’antisemitismo cristiano».
68 Per questo si possono leggere con profitto le analisi minuziose di
A. KAYSER, in T. COLANI, Revue de théologie... cit., pp. 258 s.;
262-266; J. DONALDSON, A criticai history o f Christian Literature,
t. II, cit., pp. 132 s.
114 COMMENTO

sino ad attribuire la paternità della nostra «Lettera» al grande


Marcione,69 ipotesi del tutto inaccettabile in questa forma pre­
cisa, perché, in ultima analisi, VA Diogneto identifica formal­
mente il Dio dei cristiani col Dio dei giudei, unico Sovrano e
Creatore dell’universo (III, 2; 4), il che esclude la ben nota dot­
trina marcionita dei Due Principi. Per questo, si è pensato piut­
tosto a qualche predecessore, ancora timido, di Marcione,70
oppure a qualcuno dei suoi discepoli, come Apelle, che pro­
fessava un dualismo mitigato,71 o anche semplicemente a un
ortodosso più o meno influenzato dall’apporto della contro­
versia gnostica, una specie di «Marcione cattolico».72

G o f f a g g in e d e l l ’ a p o l o g e t ic a

Ecco un buon numero di sottigliezze. Stiamo attenti a non


sprecare ingegnosità e, col pretesto di esaminare la trama, a
non forare la tela! Queste induzioni, di fatto, non si fondano
altro che su una interpretazione molto azzardata dei silenzi
del nostro autore:73 non abbiamo il diritto di vedere in queste
preterizioni l’equivalente di una negazione esplicita. Egli può
qualificare come empia e ridicola la Torah perché polemizza
con i giudei del suo tempo e perché per un cristiano essa è
stata abolita dalla nuova economia instaurata dal Cristo; non
dice nulla dell’antica economia, il che non significa che la con­

69 Cf. C. C. J. B unsen , Hippolytus and his age, London 1854, p. 170;


E. B uonaiuti, Lettera a Diogneto, cit., pp. 17-19.
70 Cf. A. K ayser , art. cit., p. 265.
71 Cf. J. DRAESEKE, Der Brief an Diognetos (estr. dal ]ahrb. f. protest.
Theologie, 1881), Leipzig 1881, pp. 140 s.
72 Cf. A. H arnack, in von G ebhardt , A. H arnack, T h . Zahn ,
Patrum Apost. Opera2, fase. I, 2, cit., p. 152 (cf. ibid., n. 18 per
altre opinioni analoghe).
73 Si tratta ancora di una preterizione - non di una negazione - del
ruolo dei profeti di Israele, che si può osservare al cap. Vili, 8-11
(l’economia della salvezza, nota al Figlio soltanto, è rimasta, fino
all'incarnazione, sotto il velo del mistero).
APOLOGIA CONTRO I PAGANI E I GIUD EI 115

danni, come gli gnostici o Marcione.74 Prima di attribuire al


nostro autore simili secondi fini, bisogna chiedersi se questo
pseudo-marcionismo non si spieghi molto semplicemente col
carattere sommario, affrettato, e di conseguenza insufficiente,
della sua esposizione. Preoccupato, per rispondere a una delle
domande (/) di Diogneto, di ben contrapporre cristiani e giu­
dei,75 l’autore non ha fatto attenzione a che questa affermazio­
ne unilaterale, posta senza correttivi, potesse far sorgere con­
clusioni impreviste nel pensiero di un lettore attento e portato
alle deduzioni, come hanno mostrato di esserlo gli eruditi che
abbiamo appena citato.
Di una simile goffaggine il nostro autore dà molte altre
prove nei capitoli che abbiamo riletto. Così la sua confutazio­
ne dell’idolatria (II, 2-7), che nega implicitamente la possibi­
lità di una iconografia religiosa, avrebbe certamente rallegrato
un iconoclasta del sec. V ili, se gli fosse capitato sotto gli
occhi questo testo. Indubbiamente non possiamo rimprovera­
re al nostro Apologista di non aver previsto lo sviluppo che
avrebbe avuto nella Chiesa il culto delle immagini, ma la sua
critica del sacrificio cruento si spinge a tal punto (III, 5 fine)
da toccare, in ultima analisi, la nozione stessa di sacrificio e di
offerta, e quindi la stessa eucarestia cristiana: non è forse
anch’essa un dono offerto «a Colui che non ha bisogno di
nulla»? Allo stesso modo, la facile ironia che egli prodiga nei

74 Si potrebbe quasi dire, adottando un suggerimento di


D onaldson , loc. cit., che l’autore, nel passo citato alla nota prece­
dente, suggerisce persino il contrario: dire, come fa, che il piano
divino, fino a Gesù, era custodito nel mistero, potrebbe significare
che era nascosto sotto le apparenze dell’economia dell’Antico
Testamento.
75 È chiaro che l’autore non ha la minima nozione di quei Sacrifici di
animali nelle antiche chiese cristiane dei quali l’infaticabile erudi­
zione dei moderni riesce a trovar traccia in certi rituali bizantini
(Vili secolo) armeni o georgiani; si veda sotto questo titolo l’arti­
colo di F. C onybeare in RHR 44, 1901, pp. 108-114. Su questi
sacrifici di animali, G . BARDY, c.r. cit., ci rinvia anche a
J. TlXERONT, Le rite du matal, in Bulletin d’anc. littér. et d’archéol.
chrét. 3, 1913, pp. 81-94; L. GUERRIER, S. TREBAULT, Testament en
Galilée de N.S. J.-C. (PO 9,3), cap. 8.
116 COMMENTO

confronti delle precisazioni astronomiche supposte dall’osser­


vanza delle feste ebraiche colpisce, di rimbalzo, qualsiasi ten­
tativo di fissare un calendario liturgico: eppure l’autore non
poteva ignorare tutto l’interesse che presenta per i cristiani la
difficile questione della determinazione della data della Pa­
squa, a riguardo della quale certe controversie appassionate,
che non dovevano cessare prima di molti secoli, certamente
già avevano cominciato a svilupparsi al suo tempo.76
Questo è un pericolo che minaccia ogni apologetica: a
voler troppo combattere contro il solo avversario che si ha di
mira, ci si lascia trascinare da affermazioni imprudenti. Sareb­
be facile mostrare come molti altri Apologisti, più profondi e
più illuminati del nostro autore, vi siano ugualmente incorsi.
Per fare solo un esempio, Massimo il Confessore, polemizzan­
do anch’egli contro la Legge giudaica, si lasciò portare così
avanti da sembrare che rifiutasse ogni simbolismo rituale,
mentre egli era personalmente legatissimo a quei riti della
liturgia cristiana dei quali la sua Mistagogia celebra la fecon­
dità in maniera ingegnosa e profonda.77
Non annettiamo dunque troppa importanza a queste can­
tonate e non rileggiamo questi capitoli II-IV con più attenzio­
ne di quanta ne abbia messa l’autore a scriverli. E evidente
come per lui tutta questa prima parte, propriamente apologe­
tica, non abbia né grande importanza né reale interesse. Si
sarà notato che a tre riprese egli manifesta, cammin facendo,
come una sorta di impazienza: «ritengo superfluo dire di più»
(Π, 10); «ritengo che tu non abbia bisogno di essere istruito da
me» (IV, 1); «ritengo tu abbia appreso abbastanza» (IV, 6).

76 La più antica controversia pasquale di cui si conserva il ricordo è


quella che si è aperta verso il 167 a Laodicea di Frigia e che provocò
l’intervento di Melitene di Sardi: E usebio , Hist. eccl., IV, 26, 3. Ma
c’erano già state le discussioni tra Policarpo di Smirne e il papa
Aniceto a Roma (154?) di cui parla Ireneo in E usebio , Hist. eccl.,
24, 16-17 (si veda a questo proposito P. Nautin , Lettres..., cit.,
pp. 79-85).
77 Cf. M assimo il C onfessore , Quaest. ad Thalass., 65, PG 90,757
BC e, a proposito di questo testo, l’osservazione di H. URS VON
B althasar, Liturgie cosmique, trad. frane., Paris 1947, p. 229.
APOLOGIA CONTRO I PAGANI E I GIUD EI 117

Egli ci dà l’impressione di trattare un ììema tradizionale senza


grande entusiasmo, solo perché va fatto. Già lo abbiamo sot­
tolineato, egli non fa niente per ringiovanire, rinnovare,
approfondire i «luoghi comuni» che affronta volta per volta:
segue docilmente la strada aperta dalla Predicazione di Pietro,
non aggiunge nulla, si accontenta di alleggerire il suo schema
e va così in fretta, come si è visto, che arriva per preterizione a
prestare il fianco alla critica. Il suo stesso stile, seppure di soli­
to valido, in qualche momento rivela questo ruolo preso a
prestito. Ho messo in rilievo ciò che poteva essere messo al
suo attivo, ma, d’altra parte, bisogna pur constatare qua e là
dei giri di frase un po’ impacciati, che non sono neppure chia­
rissimi se si guarda da vicino la costruzione o il lessico (così II,
3, 8; IV, 5; oppure la conclusione così piatta, IV, 6, init.).
L ’autore, visibilmente, non è del tutto a suo agio, il suo cuore
non è lì, si affretta, si sbarazza alla meglio di un compito, per
venire a ciò che ai suoi occhi è veramente essenziale: e allora
tutto cambia bruscamente, sia il contenuto che la forma.
Giungiamo infatti, come il copista del ms. F aveva notato a
margine, a quel nocciolo prezioso che costituisce l’incompara­
bile valore dell’intera opera, alla famosa esposizione sul ruolo
cosmico dei cristiani, che impegnerà i capitoli V e VI.
118

C apitolo 2

I CRISTIANI NEL MONDO


(CAPP. V-VI)

Il m istero cristiano (V, 1-6)


Osserviamo, per cominciare, la prospettiva secondo la
quale l’autore l’ha disposto. Diogneto aveva chiesto di avere
chiarimenti sulla θεοσέβεια dei cristiani, e questo termine
molto comprensivo - religione, pietà, ecc.1 - sembrava pro­
prio implicare una domanda di informazione sulla «natura del
culto che rendono» al loro Dio, come precisa la seconda delle
proposizioni interrogative: πώς θρησκεύοντες (I, lb )... La
risposta attesa, che viene dopo il rifiuto sdegnoso delle diverse
forme del culto pagano e giudaico, poteva consistere nel
descrivere i riti e le cerimonie della vita religiosa cristiana, sia
pure in modo rapido e discreto, come aveva fatto per esempio
Plinio il Giovane nel suo resoconto d’inchiesta all’imperatore
Traiano.2 Questo l’autore avrebbe potuto farlo, non c’era
alcuna proibizione che glielo impedisse: Giustino, per esem­
pio, non ha esitato, rivolgendosi formalmente alle autorità
pagane, a presentare un’analisi molto dettagliata dei riti del
battesim o e dell’eucarestia come erano celebrati ai suoi
tempi.3
Ma a questo il nostro autore si è rifiutato, facendo una
scelta degna di nota. Egli non dà alla domanda posta quella
risposta che avrebbe soddisfatto con poco la curiosità di
Diogneto: anziché descrivere gli usi dei cristiani, come quelli

1 E . BUONAIUTI, Lettera a Diogneto, cit., p. 25, parafrasava «espe­


rienza religiosa».
2 Cf. P linio il G iovane , Ερ., X, 96,7.
3 Cf. GlUSTCNO, I. Apoi., 61-65; 65-67.
I CRISTIANI NEL MONDO ' 119

di qualche setta eccentrica, egli si colloca e trascina il suo let­


tore, con un considerevole sforzo di correzione, ad un piano
molto più elevato. Ben più che le forme esteriori del culto cri­
stiano, ciò che importava era scoprire le realtà spirituali che le
ispirano e le animano. Ma questo è «un mistero» che le spie­
gazioni del linguaggio umano non possono letteralmente rive­
lare (IV, 6). L ’autore non dice perché: è facile per noi capire
che si tratta di iniziazione sacramentale e di vita.
Tocchiam o qui ciò che resta di quella realtà lasciata
nelle mani dello storico dalla critica di ciò che troppo a
lungo è stato definito «disciplina dell’arcano», espressione e
nozione ugualmente infelici.4 Non si tratta di una discipli­
na, ma di un fatto: la realtà del cristianesimo non può essere
colta dal di fuori, ma soltanto da chi la possiede e la vive
interiormente. È una religione della quale né l’origine né la
fine appartengono a questo mondo, e della quale, di conse­
guenza, non possono pretendere di render ragione le norme
terrene. Si vede bene tutta la portata di una simile presa di
posizione, il cui interesse non è soltanto storico: non è
escluso che il cristianesimo contemporaneo non sia indotto
ad assumerla di nuovo per definire la propria originalità di
fronte ad avversari che pretendono di stabilire «oggettiva­
mente» il valore del cristianesimo in base al suo ruolo nella
città temporale, valutato dal punto di vista di quest’ultima.
Di questo mistero, inaccessibile in quanto tale, l’autore
cercherà tuttavia di far percepire la natura a Diogneto, e così
gli suggerirà l’esistenza di un ordine di valori propriamente
religiosi, autentici e originali nel cristianesimo: a questo
scopo, egli analizzerà la situazione dei cristiani nel mondo,
situazione paradossale e antinomica, perché è sottomessa alle
opposte esigenze dell’incarnazione e della trascendenza.

4 Cf., su questo argomento, le indicazioni fomite dalla mia Histoire


de l’Éducation dans Vantiquité, p. 565, n. 2; si aggiunga Th.
Klauser , in RACh, s. v. Arkan.
120 COMMENTO

T rad izio n e le t t e r a r ia

Molti altri, fra gli antichi Apologisti sono stati indotti a


tracciare anch’essi un quadro della vita cristiana, fatto da un
punto di vista di volta in volta analogo é diverso. E difficile
valutare l’originalità dellVI Diogneto nei loro confronti. Prima
di tutto perché, non avendo potuto risolvere subito il proble­
ma della sua data, non sappiamo esattamente dove situarlo
nella serie cronologica di questa tradizione. La sua esposizione
si allontana sensibilmente dalla maggior parte degli altri, nella
misura in cui costoro, mossi dal desiderio di liberare i cristiani
dai sospetti e dalle calunnie che pesavano su di loro, finivano
per abbandonare il piano eminente dell’esplorazione del miste­
ro per scivolando nella descrizione concreta, e, se così si può
dire, in quella etnografica.5
I contatti più stretti sono quelli che si possono osserva
tra il nostro testo e l’antica Apologia di Aristide che, pur evo­
cando brevemente le virtù dei cristiani, sottolinea nettamente
il valore eminente della loro presenza nel mondo,6 esattamen­
te nella linea dottrinale illustrata dai nostri due capitoli.
Ritorneremo presto su questi accostamenti. Non sono i soli
che si possono fare tra questi due testi.7 Dovunque ci sono
frammenti conservati della Predicazione di Pietro che permet­
tono di stabilire ancora un confronto fra i tre documenti, e si è
portati a concludere che queste rassomiglianze non provengo­
no da un’influenza diretta di Aristide sull’^4 Diogneto, oppure
reciproca, ma da una comune dipendenza nei confronti del
testo più antico della Predicazione.8 Si è tentati di supporre

5 Così G iustino, 1. A p o i . , 13 s., 27 s., ecc.; A ten a g o ra , S u p p l., 3,


33; T e o filo , A d A u t o l . , Ili, 15; T e r tu llia n o , A p o i . , 45 s.
6 Cf. A ristid e, A p o i . , 16.
7 Abbiamo già avuto occasione di stabilirne altri a proposito dei
capitoli II-III, v. sopra, pp. 48 s., 50 s.
8 Cf. a questo proposito la dimostrazione, rapida ma pertinente, di
J. A. Robinson, T h e o r i g i n a i G r e e k o f t h è A p o l o g y o f A r i s t i d e s , in
TSt, I, 1, pp. 95-98, che non mi pare sia stata scossa da R. SEEBERG,
D i e A p o l o g i e d e s A r i s t i d e s , in Th. Zahn, F o r s c h u n g e n z u r G e s c h i c h t e

d e s n e u t e s t . K a n o n s , V, Erlangen-Leipzig 1893, pp. 241-243.


I CRISTIANI NEL MONDO 121

che ciò valga anche per il tema del ruolo cosmico dei cristiani,
che sarebbe così stato fissato, come tanti altri, dal venerabile
iniziatore della tradizione apologetica. Ma, in mancanza di
qualche frammento conservato, questa è solo un’ipotesi.9
Bisogna inoltre tener conto di un altro ordine di cose: non
possiamo conoscere tutti i modelli che 1’A Diogneto può avere
imitato, in quanto siamo ben lungi dal possedere per intero la
letteratura apologetica dei primi secoli, perché ci sono molte
altre opere, oltre alla Predicazione di Pietro, che sono andate
perdute. O ra, è possibile provare che almeno una delle
Apologie scomparse presentava notevoli analogie con i nostri
capitoli V-VI. Abbiamo incontrato, nel corso della nostra
Introduzione,10 gli Atti del martirio di sant’Eustrazio e dei suoi
compagni, per il quale le versioni più anticamente attestate ci
portano almeno agli anni 870-875. L ’autore, un monaco,
E usebio di Sebaste in A rm enia,11 m ette sulla b o cca di
sant’Eustrazio, quando compare davanti al governatore paga­
no Agricola, un lungo discorso che, per il suo contenuto, è
visibilmente affine alla tradizione apologetica antica.12 Per chi
abbia presenti i procedimenti redazionali cari agli agiografi
bizantini, non c’è dubbio che qui si ha a che fare, come nel
romanzo di Barlaam, come negli Atti di santa Caterina o in
quelli di san Filippo di Eraclea, con una riutilizzazione,
testuale o elaborata con nuovi apporti, di materiali provenien­
ti da qualche Apologia perduta.
Dopo aver invocato e utilizzato per i suoi fini la testimo­
nianza del Timeo, poi quella di Esiodo, Eustrazio espone l’e­
conomia cristiana della salvezza, il che lo porta a contrapporre
la vita dei cristiani a quella dei pagani, e lo fa in un modo che,
a tratti, ricorda moltissimo quello dell’yl Diogneto. La morale
che trae, il contesto, il concatenarsi delle idee sono tuttavia
molto diversi. Si tratta di due tradizioni parallele, e non si può
pensare a una reciproca dipendenza:

9 Cf. Robinson, ib id ., p. 97, ad 7.


10 Cf. In tr o d u z io n e , p. 25-26.
11 Così almeno si presenta nella conclusione della vecchia traduzio­
ne napoletana: B i b l i o t h e c a C a s i n e n s i s , t. Ili, F i o r i l e g iu m
C a sin en s e, p. 204 b.
12 Cf. H . DELEHAYE, L e s p a s s io n s d e s m artyrs e t le s g en r es littéra ires,
cit., pp. 266-268.
122 COMMENTO

Cf. A Diogneto Atti di sant’Eustrazio, c. 2713

V, 12: (I cristiani) vengono Il nostro corpo è vinto, ma iì


messi a morte, ma ottengono nostro spirito è vincitore; soc­
così la vita. combiamo alla corruzione, ma
VI, 8: Abitano come estranei questa caduta - la morte - si
tra le cose corruttibili, ma at­ trasforma per noi in incorrutti­
tendono l’incorruttibilità nei bilità. Noi ci distogliamo dal
cieli. vostro genere di vita, perché
vivete come bruti, e aspiriamo
Ibid.: L ’anima che è immortale all’immortalità angelica. Non
dimora in una tenda mortale. teniamo gli occhi fissi a terra
X, 2: Ad essi soltanto ha dato come gli animali e non somi­
di guardare in alto, al cielo. gliamo a quel bestiame che si
dice umano, ma, a testa alta,
V, 9: Passano la loro vita sulla contempliamo il cielo dove si
terra, ma vivono da cittadini trova la nostra città. Noi ci
del cielo; cf. X, 2. sforziamo di vivere come là,
V, 10: Con il loro modo di pur essendo ancora nel corpo,
vivere sono oltre le leggi. e già assumiamo la cittadinanza
VI, 5: La carne odia l’anima e spirituale. Sappiamo che tra
le fa guerra, senza averne avu­ anima e corpo c’è una legge
to alcun torto, perché essa le implacabile e continua; così,
impedisce di darsi ai piaceri. ragionando saggiamente, ci
rifiutiamo di essere complici
VI, 9: Mortificata nei cibi e delle passioni di questo corpo
nelle bevande, l’anima diventa mortale e con le nostre fervide
migliore. preghiere respingiamo le sue
tentazioni e i suoi piaceri. Ci
esercitiamo incessantemente a
elevare il nostro pensiero e a
mortificare le nostre membra
con la forza dell’anima e l’a­
stensione dai piaceri.

13 PG 116,500 AB e C; cf. il testo latino, che in certi punti è piuttosto


diverso da quello greco (ma senza dubbio è il traduttore che di volta
in volta abbrevia o parafrasa), Bibl. Casin., DI, Fior., cit., p. 202 b.
I CRISTIANI NEL MONDO 123

Opponendo poi i vizi dei pagani alle virtù cristiane, il


santo è indotto a concludere così:
X , 7:... quando disprezzerai ciò Voi conoscerete non solo la
che quaggiù è ritenuto morte, m orte del corpo, ma anche
quando temerai quella che è quella dell’anima; noi invece
veramente morte, e che è tenu­ abbiamo imparato dal nostro
ta in serbo per co loro che Signore Gesù Cristo che lo spi­
saranno condannati al fuoco rito animerà di nuovo il corpo,
eterno,... sottomesso per tutti alla stessa
corruzione, e lo renderà eterno.

Q u a lit à d e l l o st il e

In mancanza dell’originalità (ma questa non è il solo pre­


gio che possa presentare un’opera), possiamo almeno apprez­
zare gli intrinseci valori del nostro testo. La forma, per
cominciare. Tutto cambia, come dicevamo, quando si giunge
alla fine del capitolo IV, tutto - e prima di tutto lo stile. Un
nuovo afflato anima l’esposizione: visibilmente l’interesse
passa dai termini alle cose, e ciò va a beneficio dei termini. Lo
stile diventa più semplice,14 le frasi cessano di essere com­
plesse o impacciate: le proposizioni diventano brevi, elemen­
tari, la coordinazione cede ben presto il posto alla giustappo­
sizione pura e semplice.
Certamente questo non significa che in questa semplicità
l’arte sia assente. Si trovano molta varietà e abilità nella disposi­
zione. Il capitolo V si apre, a modo di preludio, con un gruppo
di proposizioni negative: «I cristiani non...» (V, 1-3), poi l’auto­
re imposta la sua tesi fondamentale - il paradosso di questa so­
cietà spirituale che è nel mondo senza essere del mondo (V, 4);
lo sviluppo, o meglio l’illustrazione che segue, adotta con tutta
naturalezza un ritmo antitetico: «I cristiani sono, o fanno... -
ma non come gli altri uomini...». Di qui una lunga serie di
afférmazioni ugualmente bilanciate, ma l’autore ha saputo evi­
tare che vi fosse in esse una qualsiasi monotonia: la serie si svi­
luppa secondo un tempo progressivamente accelerato; le pro­

14 E ad un tratto la tradizione manoscritta diventa più sicura: i suc­


cessivi copisti, aiutati da questa semplicità, e sostenuti dall’interes­
se del testo, sembrano averlo meno alterato. Come mostra l’appa­
rato critico, vi sono esitazioni solo per qualche dettaglio.
124 COMMENTO

posizioni si fanno più brevi, il ritmo più spezzato, il tono cam­


bia, si carica di lirismo, tocca il patetico e, alla fine del cap. V, ci
porta all’apice dell’acutezza.
L ’inizio del capitolo VI porta dapprima un certo placarsi:
scendiamo di nuovo al piano dottrinale. Il pensiero ha fatto
un passo in più e ci propone un’espressione positiva di ciò
che, fin qui, era definito solo come paradosso e mistero, e tro­
viamo perciò la celebre formula: «Ciò che è l’anima nel corpo,
questo sono i cristiani nel mondo». Ma l’esecuzione di questo
tema reintroduce ben presto contrasti e antinomie e, di conse­
guenza, il ricorso all’antitesi. Tuttavia, siccome si tratta di una
proporzione in quattro termini e non di un semplice rappor­
to, questo secondo strato di proposizioni antitetiche, di una
struttura più complessa e di un’espressione più raffinata del
precedente, si sviluppa anche ampiamente e si conclude abil­
mente con una affermazione un po’ imprevista, del tipo delle
cadenze di Mozart, che impedisce alla memoria di fissarsi su
questo ritmo ossessivo dell’opposizione (VI, 10).
Dobbiamo anche noi parlare di retorica? Sì, purché, come
conviene alla storia, noi spogliamo questo termine delle riso­
nanze peggiorative che l’incultura e la sufficienza dei moderni
gli aveva associato.15 La retorica non è una malattia dello stile,
ma una scienza positiva che si deve annoverare, insieme alla
geometria pura e alla teoria musicale, tra le più notevoli con­
quiste dello spirito razionale degli antichi Greci. Essa, in
fondo, non fa altro che analizzare e classificare i procedimenti
più efficaci dell’arte letteraria: qualsiasi buon scrittore applica
le sue leggi senza saperlo, o, se le conosce, le applica senza
che la sua sincerità e spontaneità ne siano necessariamente
diminuite. E ingenuo supporre che il pensiero possa essere
colto al di qua dei suoi mezzi di espressione, e questi possono
sempre essere reperiti nell’inventario, così accuratamente clas­
sificato, dell’antica retorica.
Potremmo continuare con questa nostra analisi e, come
Geffcken che vi si è soffermato,16 osservare, dopo le antitesi,
una paranomasia in V, 7, una epanalessi in V, 16-17, come,

15 Su questo processo da riprendere, si vedano le mie riflessioni in


II, R e t r a c t a t io ,
S a in t A u g u s t in e t la f i n d e la c u lt u r e a n t i q u e ,
cit. pp. 665 ss.
16 Nel suo commento: D e r B r i e f a n D io g n eto s ... cit., pp. 1825, 1910,
2112,25 4 , 2141,2 5 9; 2 5 3 0 . cf. 1742.
I CRISTIANI NEL MONDO 125

più avanti, dei poliptoti in V II, 4-6, IX , 1 ,5 , 6, delle subiezio-


ni in VII, 2 o 3, X , 1, per non parlare delle figure di parole.17
Eccole dette in tutta eleganza, queste cose! Ma, mettendo da
parte ogni pedanteria, questo sforzo non è molto più fecondo
di quello che perseguono, per esempio, i teorici della musica
dodecafonica quando sezionano la più innocente melodia in
«motivi» di tre o quattro note: in entrambi i casi l’analisi non
fa che mettere in evidenza una struttura elementare, inevita­
bilmente sottostante ad ogni espressione organizzata, che non
aiuta per niente, o ben poco, alla comprensione del senso, che
è ciò che importa.
Ma scoprire in un testo una «figura di pensiero», e attaccarvi
l’etichetta appropriata, lascia intatto il problema posto dal pen­
siero stesso che questa figura può essere servita ad esprimere.
Possiamo enumerare, in questi due capitoli V-VI, trentasei anti­
tesi: dobbiamo concludere che si tratta di un procedimento
applicato all’eccesso e aggiungere una scheda al dossier
dell’«asianesimo»? Dietro le parole ci sono le cose: la presenza
dei cristiani nel mondo era realmente un «paradosso» (V, 4), e
l’opposizione dei due poli antinomici era profondamente
inscritta nella realtà? È banale ricordare che l’espressione del
mistero cristiano ha sempre portato i suoi interpreti, da Paolo
ad Agostino, a Kierkegaard stesso, a fondere le loro formule in
uno stampo antitetico, a pensare per antitesi:18 VA Diogneto si
inserisce del tutto naturalmente in questa tradizione.
Filiazione dottrinale e influenze letterarie qui si congiun­
gono e coniugano i loro effetti. Il nostro autore - e questo è
uno degli aspetti che più colpisce - si è molto servito di Paolo:
il suo stile è come intessuto di reminiscenze paoline.19 Questo
aspetto è particolarmente evidente qui quando, verso la fine
del capitolo V (11-16), l ’espressione, così come abbiamo
osservato, tende verso un parossismo lirico: per esprimere
nella sua pienezza questa emozione religiosa, l’autore, molto

17 Si potrebbe anche analizzare il ritmo, rilevare e classificare le


clausole: cf. GEFFCKEN, ibid.., p. V, e in ZK G , 43, 1924, pp. 349 s.;
P. Andriessen in RTAM, 1946, pp. 34 s.
18 Cf. per esempio, a proposito di Paolo, E. NORDEN, Die antike
Kunstprosa, t. II, cit., pp. 507 s.
19 Lo abbiamo già sottolineato sopra, p. 102, n. 25; cf. in generale
l’utile estratto di P. R oasenda , II pensiero paolino nell'Epistola a
Diogneto, in Aevum 9,1935, pp. 468-473.
126 COMMENTO

fedele in questo a una tradizione attestata da tutta la letteratu­


ra patristica,20 si volge alla Scrittura, qui di fatto a Paolo, e ne
assume le formule. Tutto il passo è redatto con espressioni
estratte da 2 Cor 6, 9-13 e 1 Cor 4, 10-13, applicate al caso
presente con l’arditezza abituale ai Padri liell’usare il senso
accomodatizio, perché l’autore intende il ruolo dei cristiani
nel «mondo» come Paolo esprimeva il ministero apostolico, e
specialmente il suo, opponendolo alla vanità dei Corinti.21
Anche in questo possiamo apprezzare la maestria del nostro
autore: ciò che egli trae da qui, per quanto denso sia, non è uti­
lizzato in modo meccanico, al modo di un centone; con grande
sottigliezza, termini ed espressioni paoline sono assimilati al con­
testo e con esso si fondono senza romperne l’unità:
A Diogneto, cap. V: 2 Cor 6:

11. Amano tutti, ma da tutti 9. Come misconosciuti eppure


sono perseguitati. siamo notissimi; moribondi, ed
12. Sono misconosciuti e con­ ecco viviamo; come puniti, ma
dannati; vengono messi a morte, non messi a morte.
ma ottengono così la vita?2
13. Sono poveri, e arricchiscono lOb: Come poveri ma facciamo
molti-, mancano di tutto, ma di ricchi molti-, gente che non ha
tutto sovrabbondano. nulla e invece possediamo tutto.
1 Cor 4:
14. Vengono disonorati, ma col lOc: Voi onorati, noi disonorati.
disonore trovano la gloria-, ven­ 13 a: Bestemmiati, confortiamo.
gono bestemmiati, e sono pro­ 12bc: Insultati, benediciamo;
clamati giusti. perseguitati, sopportiamo.
15. Sono insultati, e benedicono-,
vengono vilipesi, ed essi onorano.
2 Cor 6:
16. Operano il bene e vengono 9c: (Ritenuti) puniti, ma non
castigati come malfattori; casti- messi a morte,
gati, gioiscono come chi riceve 10a: Afflitti, ma sempre nella
la vita. gioia.
20 Cf., per esempio, il mio Saint Augustin..., cit., pp. 498-503.
21 E, in via accessoria, egli applica allo stesso oggetto ciò che la 1 Pt
(cf. nota seguente) dice della passione del Salvatore.
22 L’accostamento antitetico di questi due verbi è una reminescenza
non di Paolo, ma della 1 Pt 3, 18: (Cristo) «messo a morte nella
carne, ma reso vivo nello spirito».
I CRISTIANI NEL MONDO 127

R ic c h e z z a d e l p e n s ie r o

Ma torniamo alla sostanza. Se ci si attarda troppo su questi


procedimenti stilistici, si corre il rischio di dare al lettore l’im­
pressione che il nostro scrittore si interessi più alla disposizio­
ne delle parole che alle idee che esprime. Nulla di più ingiusto
di un simile giudizio.23 A rigore si potrebbe accettarlo per i
capitoli Ϊ Ι -IV, dove, lo abbiamo visto, non c’è in effetti molto
di più di uno sforzo per rivestire di qualche grazia un pensiero
molto povero e, peraltro, preso a prestito da altri, che l’autore
non si mostra capace né di arricchire né di rinnovare.
Nei capitoli V-VI, la situazione è tutt’altra. Lo stile, sobrio
e spoglio, si nasconde dietro alle idee. Sono queste che passa­
no in primo piano: scaturiscono e si affollano, frementi,
nuove, varie. Nello stampo uniforme e molto elementare
dell’antitesi, l’autore getta uno dopo l’altro, seguendo un rapi­
do ritmo, i diversi aspetti in base ai quali si rinnova la sua idea
fondamentale. Non sono solo variazioni intorno a un unico
tema, ma proprio una serie di concetti nuovi, dei quali ciascu­
no sottolinea un aspetto dell’inesauribile mistero della presen­
za cristiana nel mondo.

23 Perciò non mi sento di accettare i giudizi negativi formulati da


Harnack e Geffcken (e citati all’inizio di questo commento).
Harnack però era un grande storico e sapeva esplicitare i suoi
postulati al momento stesso in cui cedeva ai suoi pregiudizi. La
nota di D i e M i s s i o n u n d A u s b r e i t u n g d e s C h r i s t e n t u m S ^ , t. I, cit.,
p. 186, n. 2, che osa dichiarare: «Il tanto vantato quadro dei capi­
toli V-VI della L e t t e r a a D i o g n e t o è un bel brano di retorica, ma
ben poco di più», sottolinea che il nostro autore ha saputo fare la
sintesi di tre temi distinti, l’alto ideale morale del cristianesimo, la
sua lontananza dal mondo, la sua interiorità, che gli permette di
immergersi nel mondo senza contaminarsi, e conclude che per
fare un tessuto coerente di questi temi - «è necessario o essere
all’altezza del IV Vangelo - ma è impossibile collocare così in alto
l’autore della L e t t e r a - , oppure non prendere sul serio nessuno
dei punti esaminati». Ecco il problema posto con tutta chiarezza,
ma io risponderei nel modo opposto: a mio modo di vedere, l’au­
tore dellVL D i o g n e t o prende assolutamente sul serio le proprie
idee, e perciò non esito a concludere che egli è un pensatore
profondissimo.
128 COMMENTO

Tutto ciò, un po’ alla rinfusa, senza un ordine o un piano


sistematicamente ordinato: siamo ben lontani dal «sofista»
che qualcuno vorrebbe farci credere, da un paziente e meti­
coloso compositore di parole! No, è un pensiero ribollente,
ancora vicinissimo al fuoco dell’ispirazione e della scoperta,
che una mano febbrile cerca di annotare: come accade, tutti
gli aspetti convergenti di una tesi feconda si presentano insie­
me alla mente, ed egli, preoccupato prima di tutto di non
lasciar perdere nulla, non ha il tempo di classificare e ordina­
re le sue brevi annotazioni.
E per questo che il nostro commento rinuncerà qui a
seguire, passo dopo passo, lo sviluppo del testo. Per fare l’in­
ventario delle sue ricchezze, conviene procedere raggruppan­
do i suoi diversi aspetti e presentarli ora secondo tona classifi­
cazione più rigorosa.
Scartiamo prima di tutto ciò che dipende dall’anticipazio­
ne pura e semplice: idee buttate di passaggio, perché si sono
presentate alla mente, ma che l’autore, di fatto, riserva a un
tempo successivo e che svilupperà in un altro settore del suo
piano. E quanto accade, per esempio, al V, 3, per la tesi del­
l’origine rivelata, e non umana, della dottrina cristiana, che
sarà ripresa in dettaglio lungo la terza parte (VII, 1-2, con
riferimento a questa anticipazione; V III, 1, 6). Allo stesso
modo, in VI, 9, è suggerita l’idea ben nota che il sangue dei
martiri è seme di cristiani,24 idea che riapparirà più avanti in
uno sviluppo del quale, in seguito a una mutilazione dell’ar­
chetipo, possediamo soltanto la conclusione in V II, 7-9.

S it u a z io n e d e i c r is t ia n i

Quanto a ciò che attiene al tema propriamente trattato dai


nostri due capitoli, sembra possibile farne due parti corri­
spondenti, solo approssimativamente, ai due capitoli V e VI.
Le idee che pensiamo di raggruppare nella prima costituisco­
no un’analisi di ciò che Péguy avrebbe chiamato «la situation
faite» ai cristiani nel mondo, la loro situazione di fatto, che
qualsiasi attento osservatore poteva constatare anche dal di
fuori.

24 Per riprendere la formula di TERTULLIANO, Apoi., 50, 13: «semen


est sanguis christianorum».
I CRISTIANI NEL MONDO 129

Nelle sue domande, Diogneto aveva parlato di quella


«nuova stirpe», καινόν τούτο γένος. L ’autore protesta vigoro­
samente: in mezzo al mondo (con questo termine evidentemen­
te intende non l’universo in senso cosmico, il cielo, la terra e
tutto ciò che racchiudono, ma, volta per volta, sia l’ecumene, la
terra abitata dagli uomini, sia lo stesso genere umano, l’insie­
me dell’umanità, anche se, di fatto, il suo orizzonte si limita
alla società civilizzata, rappresentata25 per lui dall’impero
romano), i cristiani non sono una stirpe, una razza particolare
di uomini, come erano per esempio i giudei, e che potrebbe
essere definita da una etnografia più o meno pittoresca: lin­
gua, abito, habitat e specifici costumi (V, 2-4).26
E importante sottolineare con quale profondità VA Dio­
gneto tratti qui un tema classico dell’antica apologetica. La
Predicazione di Pietro aveva dato l’esempio dividendo l’uma­
nità in tre «popoli» o «stirpi», γένη: a lato dei due «antichi
popoli», greco e giudaico, i cristiani, oggetto della «nuova
alleanza», prendono posto costituendo una «terza stirpe»,
τρίτον γένος.27 Aristide aveva ripreso la nozione28 e il termi­
ne attribuendo a questo la sua accezione più stretta. Per lui i
cristiani form ano veramente un «popolo», una «stirpe»
umana che fa scendere la sua linea genealogica a partire da
Cristo: οί δέ Χριστιανοί γενεαλογοΰνται από του Κυρίου
Ίησου Χρίστου,29 esattamente come i «barbari» discendono

25 Si veda, per il primo aspetto, V, 1-9; VI, 2-4; per il secondo, V,


10-17; VI, 5 s. Questo uso del termine non può sorprendere sotto
la penna di un autore così familiare, come il nostro, con il Nuovo
Testamento: cf. H. Sasse, in TWNT, s.v. κόσμο?, § A 7, C 3-4,
t. Ili, pp. 879, 887-896; cf. già Sap 10,1, Adamo padre del
«mondo», πατέρα κόσμου.
26 Si osserverà come l’«anticipazione» notata in V, 3 interrompa la
continuità dello sviluppo presente.
27 Cf. framm. V (CLEMENTE d’Aless., Strom., VI, 5, 41).
28 Cf. A ristide, Apoi., 2. Sembra che Aristide abbia cercato di per­
fezionare questa classificazione, ma i diversi testimoni del suo
testo si possono difficilmente mettere d’accordo (cf. GEFFCKEN,
Zwei griech. Apolog., cit., pp. 43 s.): secondo il greco ci sono tre
«stirpi» umane, cristiani, giudei e pagani, suddivise a loro volta in
caldei, greci ed egiziani; secondo l’armeno e il siriaco, ce ne sono
quattro: barbari, greci, giudei e cristiani.
29 Apoi., 15,1.
130 COMMENTO

da Crono e Rea,30 i greci da Elleno e i giudei da Àbramo.31


L ’idea poteva essere suscettibile di una utilizzazione apologe­
tica,32 ma il nostro autore, mirando più lontano e con maggio­
re profondità, la rifiuta. Egli non accetta di vedere i cristiani
isolati in qualche modo per la loro stessa specificità, relegati
in un ghetto. La loro religione è universale; i cristiani possono
anche essere soltanto, in concreto, una minoranza nella
società umana, nel «mondo», e tuttavia rappresentano di
diritto una società universale, immanente all’intero universo
(come sarà esplicitato in VI, 2). Questo è un punto di cui
vedremo presto l’importanza e la fecondità.
Le preoccupazioni apologetiche non sono tuttavia al di
fuori dell’orizzonte del nostro autore. Egli si ricollega manife­
stamente a quel settore apologetico della letteratura del II se­
colo, che è prima di tutto una indignata protesta contro le
persecuzioni. Sì, i cristiani sono odiati, perseguitati, messi a
morte; pagani e giudei33 si accaniscono contro di loro (V, 11,
12, 16, 17), ma a torto. Per questo, allo scopo di riscattare i
cristiani dalle terribili accuse che gravavano su di loro, ecco
questi tocchi rapidi, di appena una parola, e in forma così
discreta che una almeno può essere sfuggita all’attenzione del
copista: V, 6, i cristiani non abbandonano i bambini - qui c’è

30 Id., 3, 2 (testi armeno e siriaco).


31 Id., 8 ,1 , pp. 10 s.; 14, l,p p .21 s.
32 Come ha saputo ben osservare M. SlMON, Verus Israel..., cit.,
p. 136: se si riconosce ai cristiani la qualità di «popolo», essi pos­
sono rivendicare il diritto di vivere, come ogni popolo, conforme­
mente alle proprie leggi, τά πάτρια.
33 I giudei (V, 17) come i greci. Testo da aggiungere al dossier di
una questione molto discussa: qual è stata la parte di responsabi­
lità dei giudei nelle persecuzioni dei primi secoli? Mossi da una
passione sia anti- che filosemita, gli storici l’hanno volta a volta
esagerata o negata (si veda la buona discussione di M. SlMON,
Verus Israel..., cit., pp. 144-154). È difficile utilizzare il nostro
testo sia in un senso sia nell’altro, perché l’autore può pensare al
martirio di santo Stefano più che ad avvenimenti precisi della sto­
ria posteriore, come l’ostilità manifestata contro la Chiesa di
Giudea da Bar-Kochba durante la rivolta del 135 (cf. G iustino ,
IApol., 31,5-6).
I CRISTIANI NEL MONDO 131

l’eco attutito di una argomentazione a fortiori (sono dunque


incapaci di giungere persino al crimine rituale) che troviamo
sviluppata in numerosi Apologisti;34 V, 7, i loro pasti fraterni
non conoscono orge incestuose.35 Diogneto indubbiamente
non si era fermato a queste imputazioni grossolane, ma si era
fatto eco dell’accusa non meno diffusa, come abbiamo ricor­
dato, di «misantropia»; «Perché sdegnano il mondo», lo guar­
dano dall’alto ύπ ερορω σιν (I, 1 c). Di qui l’interesse con cui
l’autore tiene a sottolineare che i cristiani adempiono i loro
doveri di cittadini (V, 5 b), che ubbidiscono alle leggi stabilite
(V, 10). Se sembra che essi si oppongano ai costumi ammessi
dall’ambiente in cui sono, in realtà ciò riguarda solo i «piace­
ri» (colpevoli, immorali o crudeli) della civiltà corrotta
dell’impero (VI, 5).
Ma, allora, i cristiani sarebbero solo una categoria di inno­
centi ingiustamente perseguitati? Dato che l’autore nega loro
l’originalità troppo facile che avrebbe loro conferito la qualità
di «popolo» particolare, sarà pur necessario che ne abbiano
un’altra, di natura più sottile: è in questo che sta il «mistero»
annunciato (IV, 6), il loro stupefacente «paradosso» (V, 4). La
situazione dei cristiani nel mondo implica una sintesi di
immanenza e di trascendenza. Da una parte è vero che i cri­
stiani sono presenti al mondo (VI, 2). Al vederli, nulla li
distingue dagli altri uomini (V, 1); ma ciò che li fa cristiani, la

34 Cf. G iustino , I Apoi., 27, 1; A tenagora , Suppl., 35; T e o filo ,


Ad Autol., 3, 15, ecc., fino a T eo doreto , Graec. affect. curatio,
IX, 51 s., p. 131 Sylburg.
35 Non ho esitato ad adottare la correzione di Dom Maran,
κοίτην anziché κοίι/ην, il che dà, letteralmente: «Partecipano tutti
di una mensa comune, ma non di un letto in comune». Il testo di
F darebbe: «Partecipano di una mensa comune, ma non comu­
ne»; si potrebbe vedervi un’allusione agli idolotiti (cf. il testo
parallelo di A ristide , Apoi., 15, 5) piuttosto che all’eucarestia
(come suggerisce A. PuECH, Hist. de la lit. grecque chrét., t.. Π,
cit., p. 220, n. 1); ma Diogneto avrebbe potuto cogliere un’allusio­
ne così velata e così piattamente paradossale? Nulla di più natura­
le, al contrario, che pensare agli «incesti di Edipo» dopo il riferi­
mento di V, 6 ai «festini di Tieste»: le due accuse sono costante-
mente associate.
132 COMMENTO

loro religione, la loro pietà, il culto che rendono a Dio, la spe­


cifica relazione che si stabilisce tra loro e lui, in una parola la
loro θ εο σ έβ εια , proviene da un ordine diverso, quello
dell’invisibile (VI, 4).
Per far percepire a Diogneto questo mistero, l ’autore
sfrutta delle nozioni attinte dalla struttura politica, così com­
plessa, dell’Alto Impero romano. L ’unificazione dello stato
romano aveva lasciato sussistere i quadri della città antica, nel
senso stretto del termine. L ’uomo che lascia il municipio (o la
colonia) nel quale è inscritto per andare a stabilirsi in un altro
non acquisisce normalmente il diritto di cittadinanza in que­
st’ultimo: continua a contare come cittadino nella sua città di
origine, e nel nuovo domicilio è considerato come «straniero»,
πάροικος (V, 5), in latino incoia. D ’altra parte, a prescindere
dai Romani di Roma, i cittadini romani sono contemporanea­
mente inscritti in una delle trentacinque tribù della grande
Roma e nei registri della loro città particolare, municipio o
colonia. Qualche cosa di analogo a questa sorta di duplice
appartenenza si ritrova nella situazione dei cristiani: essi,
certo, dipendono dalle diverse città terrene in cui la nascita li
ha collocati (V, 4), ma allo stesso tempo sono «cittadini del
cielo» (V, 9).36
È chiaro che l’analogia è solo parziale: c’è una distanza
infinitamente maggiore tra il mondo e la Città di Dio che non
tra due municipi dell’impero o anche tra uno di questi e la
grande città romana: i due piani non sono confrontabili.
Benché si comportino da perfetti cittadini della città terrena,
in essa i cristiani si considerano sempre come stranieri di pas­
saggio: la patria terrestre non è la loro vera patria (V, 5), il
loro Regno non è di questa terra (VI, 3).
In una pagina eloquente e perfida,37 Renan ha creduto di
poter trarre dal nostro testo una giustificazione della persecu­
zione pagana:

36 Vi è forse qui un ricordo diretto di Filone, De confus. ling., 77-78,


che parla dei «sapienti secondo Mosè» negli stessi termini dellVl
Diogneto, qui, a proposito dei cristiani.
37 Cf. Marc-Aurèle et la fin du monde antique, cit., p. 428.
I CRISTIANI NEL MONDO 133

«Quando una società di uomini assume un simile


atteggiamento in seno alla grande società, quando
diventa nello Stato una repubblica a parte, anche se
fosse composta di angeli, è un flagello. Non è senza
ragione che venivano detestati questi uomini all’ap­
parenza così miti e caritatevoli. Essi demolivano
veramente l’impero romano. Assorbivano la sua
forza; toglievano alle sue funzioni, soprattutto all’e-
; sercito, i soggetti migliori. Non serve a nulla dire di
essere un buon cittadino, perché si pagano i tributi,
si fanno elargizioni, si è leali, quando in realtà si è
cittadini del cielo e si considera la patria terrestre
soltanto una prigione dove ci si trova incatenati
fianco a fianco con dei miserabili».38

C’è un notevole eccesso di polemica in questa indignazione.


Dei due aspetti del problema, Renan dimentica, o finge di
dimenticare, l’immanenza: i cristiani, lo sappiamo, non si iso­
lano nel loro ghetto in seno alla grande società. L ’A Diogneto
ce li ha mostrati sparsi in tutte le città di cui si compone il
mondo (V, 4) e vedremo la loro presenza paragonata a quella
della forza vitale dell’anima diffusa in tutte le parti del corpo
(VI, 2). Ma resta l’altro aspetto, la trascendenza: è vero che i
cristiani non si considerano primariamente definiti dal loro
inserimento nella città terrestre, dimora provvisoria, tenda o
prigione (VI, 7-8). Di qui il «paradosso» della loro situazione:
poiché di fatto essi regolano la loro condotta in base a una
tavola di valori che non è quella del mondo (V, 9-10), la sorte
che è loro riservata in esso non conta ai loro occhi. Le formule
paoline che abbiamo visto adattate in V, 11-16 assumono così
un significato profondo. Poco importa ai cristiani essere messi
a morte, privati di tutto, disprezzati, calunniati, maltrattati:
nulla di ciò che il «mondo» può fare contro di loro attenta a
ciò che veramente conta per loro, che conoscono la vera vita,
le vere ricchezze, la vera gloria, la vera giustificazione, la vera
gioia...

38 Renan sembra introdurre nell’immagine della «prigione» una sfu­


matura estranea al pensiero antico: se l’anima incontra qui altri
associati alle sue catene, costoro sono degli infelici come lei, dei
fratelli di sventura, non dei «miserabili» di cui arrossire.
134 COMMENTO

Ma, ed è con questo che passiamo insensibilmente al


secondo ordine di considerazioni già annunciate, non vi è
semplicemente giustapposizione antinomica tra il mondo e i
cristiani, tra l’apparenza e la realtà invisibile, ma anzi sintesi
tra immanenza e trascendenza, stretto rapporto e interazione
fra i due piani. Il mondo non è soltanto per il cristiano il
luogo dei falsi valori, è anche uno strumento a servizio dell’ac­
quisizione di quelli veri.
Con molta abilità (perché sotto il disordine apparente si
scopre una progressione, un approfondimento graduale del
concetto), questa nozione viene suggerita a partire da V, 14.
Alle antitesi pure e semplici che si succedono con regolarità
da V, 8, l ’autore sostituisce39 un rapporto più sfumato:
«Vengono disonorati, ma col disonore trovano la gloria», le
prove, cioè, a cui vengono sottoposti sono per loro un’occa­
sione, un mezzo per conseguire il trionfo... L ’idea si esprime,
infine, apertamente in VI, 9, grazie al confronto con l’ascesi:
come l’anima, in lotta con un corpo che resiste alle sue ispira­
zioni superiori, si perfeziona mediante le macerazioni che essa
gli impone, così i cristiani approfittano delle persecuzioni che
fa loro subire il mondo nel quale sono immersi, e ciò, è ben
chiaro, non solo per crescere numericamente.

L ’ a n im a d e l mondo

Questo rapporto di interdipendenza non è a senso unico.


Il mondo non è soltanto utile ai cristiani, ma essi hanno qui
un ruolo positivo da svolgere: è questo che dà tutta la sua
ampiezza al «mistero» cristiano, alla meravigliosa «disposi­
zione» della loro società spirituale. Arriviamo con ciò al cen­
tro stesso del pensiero del nostro autore, a questa tesi giusta­
mente celebre, vero titolo di gloria del nostro breve scritto.
Comincia anch’essa col venire insinuata molto discretamente:
possiamo cogliere la sua prima apparizione molto precisa-
mente in V, 13b nel corso della strofa antitetica ispirata dalle
Lettere ai Corinti. E questa volta c’è una citazione esplicita di
Paolo che la esprime e, ad un tempo, la garantisce. L ’autore,
come già l’Apostolo, non si accontenta di opporre l’apparen­

39 La precisazione non è nel testo di Paolo che gli serve da modello:


2 Cor 6,10 c.
I CRISTIANI NEL MONDO 135

te privazione di tutto dei cristiani alla loro ricchezza spiritua­


le, ma precisa: «Sono poveri, e arricchiscono molti». Come
vediamo, non si tratta solo dei cristiani stessi, del loro felice
destino, del loro progresso, del loro modo di utilizzare il loro
inserimento in questo mondo perverso per il maggior profitto
del loro interesse trascendente; ma questa presenza e azione
dei cristiani nel mondo è realmente feconda per gli altri, per
il mondo stesso. E questo che dà la sua risonanza profonda
all’osservazione finale (VI, 10) sulla proibizione del suicidio:
essere cristiano non significa soltanto essere occupati a cerca­
re la propria salvezza (come ancora dice troppo spesso la
pietà moderna, così facilmente dimentica di queste prospetti­
ve grandiose), ma significa avere un ruolo nel mondo, il pro­
prio ruolo, quello che spetta al cristiano, là dove Dio lo ha
chiamato.
L ’idea viene espressa con una chiarezza e un vigore incom­
parabili, sotto il velo di un paragone, nella bella formula
solenne che apre il capitolo VI, dove l’autore ha realmente
coscienza di essere riuscito a condensare, in un’unica espres­
sione concettuale, tutta una tesi dagli aspetti molteplici: In una
parola, ciò che è l’anima nel corpo, questo sono i cristiani nel
mondo. Il problema per noi è determinare l’esatto significato,
la portata teologica di questa proposizione. La difficoltà sta nel
fatto che essa ci si presenta come un parallelo, un paragone, e
tutti sappiamo che non c’è paragone che non zoppichi: fin
dove si deve spingere l’analogia fra le due tavolette del dittico?
Possiamo almeno apprezzare ciò che questa immagine: evocava
nella mente di un antico lettore: l’autore si è fondato su un
certo numero di nozioni di origine filosofica, divenute da seco­
li familiari a tutti i letterati.
Questo quadro discusso dei rapporti tra anima e corpo,
l’antitesi posta con violenza tra l’una e l’altro, il carattere irri­
ducibile della loro opposizione, si alimenta tutto alla grande
tradizione platonica. Il riferimento è quasi esplicito: chi pote­
va, chi può ignorare che l’immagine del corpo prigione dell’a­
nima (VI, 7) viene direttamente dal Fedone40 e, attraverso

40 Cf. Fedone, 62 b; cf. Axiochos, 365 e; FlLOLAO, framm. 15 (DlES,


Vorsokratikefi, cit., § 44); ATENAGORA, Suppl. 6 ; Corp. Herm.,
Vili, 3, p. 88 Nock-Festugière.
136 COMMENTO

Platone, dalla lingua tecnica dei misteri? E l’immagine della


tenda (VI, 8)41 non era divenuta meno familiare nella stessa
tradizione.42 Invece, la descrizione del ruolo dell’anima ci rin­
via piuttosto all’insegnamento dello stoicismo: niente di più
stoico43 di questo modo di evocare la presenza immanente
dell’anima «sparsa in tutte le membra del corpo» (VI, 2). Ma
le due tradizioni si ricongiungono per descrivere la vita mora­
le come una lotta aspra e accanita contro il corpo e le sue cat­
tive tendenze (VI, 5; 6; 9).
Comunque, nulla di più naturale, per il pubblico antico,
quanto spiegare l’analisi del mondo mediante un accostamento
con i rapporti tra anima e corpo. L ’uomo non è forse come un
microcosmo in stretti rapporti col macrocosmo? Composto
degli stessi elementi, egli riflette la sua struttura come uno spec­
chio fedele, e di conseguenza è atto a simboleggiarlo. La nozio­
ne, se non le parole, si trova già attestata presso gli antichi filo­
sofi del V I secolo, Anassimandro, Eraclito e Pitagora...44
Si tratta di una dottrina che non ha mai cessato di essere pre­
sente al pensiero antico e che costituisce una delle sue basi
fondamentali.

41 Che l’autore ha preso, da parte sua, dal Nuovo Testamento,


2 Pt 1,13 (σκηι/ωμα), 2 Cor 5 ,1 (σκηνη); cf. Sap 9,15 ( i d . ) .
42 Cf. A x i o c b o s , 366 a; l’immagine aveva dietro di sé una lunga storia
che possiamo far risalire fino a D e m o crito , f r a m m . 187 così Dies,
' V o r s o k r a t i k e r 5, cit., § 6 8 ).

43 Cf. E. Z e l l e r , D i e P h i l o s o p h i e d e r G r i e c h e n , III, l 5, pp. 197-203.


Tuttavia, al livello generico al quale il nostro autore si mantiene,
questa descrizione utilizza solo nozioni banali, comuni a tutte le
scuole filosofiche ellenistiche, e d’altronde provenienti da Platone
stesso ( L e g g i , X , 898 e): cf. A. J. FESTUGIÈRE, L a R é v é l a t i o n
d ’H e r m è s T r i s m é g i s t e , t. II, L e D i e u c o s m i q u e , Paris 1949, p. 154,

n. 1 .
44 Cf. R. ALLERS, M i c r o c o s m u s f r o m A n a x i m a n d r o s t o P a r a c e l s u s , in
T r a d i t i o , t. II, 1944, pp. 318-407, e, su questo problema dell’ origi­

ne, specialmente pp. 338-343. Meglio ancora, C. T ib ile tti, S u l l a


fo n t e d i u n n o t o m o t i v o d e l l ’a d D i o g n e t u m , in GIF 16 (1963), ci

rinvia ad Anassimeno, da DlELS, V o r s o k r a t i k e r 6, cit., § 13 (3),


framm. 2 : «Come la nostra anima aerea ci sostiene, così lo spirito
aereo abbraccia il cosmo intero».
I CRISTIANI NEL MONDO 137

Perciò, del tutto naturalmente, si doveva arrivare a pensare


che questo universo, concepito a nostra immagine, fosse anch’es-
so un organismo vivente, e dovesse possedere, come l’uomo,
qualcosa di simile all’anima. E a Platone che risale formalmente
la prima elaborazione della teoria di un’«anima del mondo»;
questa nozione, rimasta per un momento oscurata nell’aristote­
lismo, riprese un vigore nuovo con lo stoicismo.45 Anch’essa si
affermò in modo pressoché naturale tra tutti gli uomini dell’an­
tichità, traboccando ben al di là dei circoli propriamente filoso­
fici, come si può vedere dagli scritti ermetici.46 Il suo prestigio
fu tale da imporsi al pensiero dei Padri della Chiesa, malgrado
resistenze piuttosto forti.47 Continuerà ad assillare in vario
modo quello del Medio Evo, prima di conoscere di nuovo
grande favore presso i pensatori del Rinascimento umanista -
se non vogliamo arrivare fino al Romanticismo tedesco.
Anche qui tocchiamo uno dei pilastri su cui riposa la men­
talità comune degli uomini dell’epoca ellenistica e romana
(lasciando da parte i sostenitori di qualche setta aberrante, epi­
curei o scettici) e si comprende come l’autore dell’^4 Diogneto
abbia a sua volta pensato di fondare su di esso l’espressione
del suo pensiero. Ma c’è almeno un aspetto di questo pensiero
che era di natura tale da sorprendere e stupire i suoi lettori.
Per quanto varie fossero le filosofie antiche, esse in generale
erano concordi nel sottolineare la parentela naturale che uni­
va l’anima universale e le anime umane, e nel mettere in qual­
che modo l’una e le altre in rapporto con uno stesso principio
divino. Per gli stoici, per esempio, è lo stesso pneuma, soffio
igneo, materiale ma sottilissimo, e di fatto divino (lo si identi­
fica con Zeus), che, da una parte, «diffuso in tutte le membra
del corpo» anima ogni uomo, e dall’altra, penetrando in inti­
ma mescolanza in tutte le parti del cosmo, «lo mantiene, lo
sostiene», συνέχει.

45 Cf., in generale, J. MOREAU, L ’àme du monde, de Platon aux


Stoi'ciens, Paris 1939.
46 Così, Corp. Hermeticum, X, 7, p. 116 Nock-Festugière; XI, 4-5,
pp. 148 s.; Asclepius, 16-17, p. 315.
47 Cf. i testi raccolti da R. AlXERS, art. cit., p. 356.
138 COMMENTO

La dottrina, o almeno la terminologia, viene più o meno fis­


sata a partire da Cleante di Asso, anche se ciascuno dei grandi
dottori dell’epoca le imprime il proprio marchio e molti sottili
perfezionamenti.48 Ma, sul piano della volgarizzazione, essa
viene espressa con dichiarazioni semplificate, come quelle di
Seneca: «Che cos’è Dio? L ’anima universale».49 Il posto occu­
pato da Dio nell’universo è lo stesso di quello che l’anima occu­
pa nell’uomo, mentre il ruolo svolto là dalla materia è qui quel­
lo svolto dal corpo...50 Per quanto riguarda il nostro scopo, ha
poca rilevanza ricordare come ogni filosofia, nella sua prospet­
tiva propria, presentasse una dottrina più o meno parallela:
così, in Plotino il ruolo dell’anima universale in seno alla quale
«coesiste la varietà infinita delle anime individuali» sarà attri­
buito alla terza Ipostasi, emanata dal Nous, come il Nous
daU’Uno.51 Occorre semplicemente sottolineare con quale ardi­
mento l’autore dellVl Diogneto invitasse il suo lettore pagano a
riconoscere alla comunità dei cristiani questo stesso ruolo
guida, ήγεμονικόν, che il pensiero tradÌ2Ìonale concordemente
attribuiva a Dio, o almeno a un principio di natura divina.
Trasferire ai cristiani, cioè alla Chiesa, del tutto o in parte il
ruolo di presenza, di animazione e di azione che Dio ha in seno
al mondo può apparire perfettamente naturale a un teologo
cristianó in possesso della dottrina del Corpo mistico (ciò che
si dice di Cristo può, in una certa misura, salve le necessarie
precisazioni, intendersi anche del suo Corpo), e poteva già
sembrare molto naturale a un autore come il nostro, che il suo
stesso stile ci mostra profondamente influenzato e in certo
modo nutrito da Paolo; ma aveva di che riempire di stupore un
lettore ancora lontano dall’insegnamento cristiano, al quale l’i­
dea di una simile trasposizione a beneficio di una società con­
creta composta da uomini reali era profondamente estranea.52

48 Cf. G. VERBEKE, L ’é v o l u t i o n d e l a d o c t r i n e d u P n e u m a , d u s t o t c i s m e
àS . A u g u s t i n , Paris-Louvain 1945, pp. 34-37; 55, 6 8 , ecc. E dello

stesso: K l e a n t h e s v a n A s s o s , nelle V e r h a n d e l i n g e n , dell’Accademia


fiamminga del Belgio, K l . d . L e t t . , t. XI, 9, Bruxelles 1949.
49 N a t u r . Q u a e s t . , I, praef., 13.
50 Cf. L e t t e r e a L u c i l i o , 65,24.
51 Cf. F. CuMONT, L u x p e r p e t u a , Paris 1949, pp. 348 s.
52 Si vedano tuttavia i testi ermetici commentati da A. J. FestugiÈRE,
L a R é v é l a t i o n d ’H e r m è s T r i s m é g i s t e , cit., t. HI, p. 74 (l’uomo, compi­

mento del mondo e preposto all’amministrazione delle cose terrestri).


I CRISTIANI NEL MONDO 139

Esiste però un testo pagano che merita di essere messo in


parallelo con la nostra esposizione, ed è un passo del famoso
trattato pseudo-aristotelico Sul mondo, un prezioso testimone
del sincretismo filosofico dell’epoca romana,53 nel quale si
intrecciano la tradizione di Aristotele e le infiltrazioni stoiche.
Nel corso della bella trattazione dedicata precisamente alla
descrizione dell’azione animatrice di Dio sul mondo, l’autore,
dopo averla successivamente confrontata con quella del re
Achemenide, dell’ingegnere, del burattinaio, del maestro di
coro, del generale d’armata, giunge a proporre una nuova
similitudine per far sentire la possibilità di questa azione reale
benché segreta:

«L’anima che ci fa vivere e abitare nelle case e nelle


città è anch’essa invisibile e tuttavia si rivela con le
sue opere, è grazie ad essa che tutto ciò che regola la
vita è stato scoperto, ordinato, e viene conservato,
συνέχεται, aratura e piantagioni, invenzioni tecniche,
pratica delle leggi, ordine della città, amministrazione
interna, guerre esterne, pace. Altrettanto bisogna
pensare di Dio che per la sua forza è il più potente,
per la sua bellezza il più nobile, immortale quanto
alla vita, eccelso in virtù: invisibile ad ogni natura
mortale egli si rivela nelle opere, perché tutti i feno­
meni che si verificano nell’aria, sulla terra e nell’acqua
sono appunto le opere di Dio signore del mondo».54

Il confronto fra i due testi mette in risalto il contrasto:


certo era veramente uno stupefacente «paradosso» (V, 4) que­
sta dottrina della presenza cristiana in seno al mondo che l’au­
tore dell’y4 Diogneto presentava al suo lettore. Ragione di più
per cercare di penetrarne il «mistero»: come si rappresentava,
di fatto, questo ruolo di elemento guida, ispiratore, unificatore?

53 Si veda a questo riguardo A . J. FESTUGIÈRE, La Kévélation


d’Hermès Trismégiste, t. Π, Le Dieu cosmique, cit., pp. 460-518, e in
particolare p. 479, per la data (inizio del I secolo? In ogni caso, al più
tardi, inizio del Π; ma si tenga conto delle riserve di P. BOYANCÉ, in
REG, 1950, p. 308).
54 De Mundo, 6 , 399 b, 14-25 (ed. W. L. Lorimer, Paris 1933); cf. la
trad. frane, di FESTUGIÈRE, op. cit., p. 473.
140 COMMENTO

Bisogna riconoscere che l’autore è rimasto volontariamente


molto discreto su questo punto (IV, 6), e l’esegeta deve proce­
dere qui con prudenza e precauzione.
Una prima interpretazione si presenta alla mente in modo
molto naturale, e bisogna intanto tenerne conto, benché sia
essoterica e troppo apologetica: si potrebbe dire che i cristiani
«animano» il mondo perché rappresentano, in seno alla
società umana, un tipo superiore di moralità e di virtù. Con il
suo insegnamento e la sua disciplina, il cristianesimo tende a
formare e a fornire al «mondo» soldati disciplinati, buoni cit­
tadini, mariti e mogli, genitori e figli, padroni e servi, re e giu­
dici, per non parlare di contribuenti ed esattori altrettanto
irreprensibili.55
Non esito, come si vede, ad affermare il contrario rispetto
alla tesi sostenuta da Renan: questi ci invita56 a confrontare
«il quadro della repubblica cristiana» presentato dai nostri
capitoli V-VI con la «descrizione della città ideale di Luciano,
Ermotimo 22-24», anch’essa composta da cittadini perfetta­
mente assennati, tutti coraggiosi, giusti, temperanti, ecc. Ma
egli dimentica di sottolineare che non è all’interno della
«repubblica cristiana» della loro πολιτεία celeste che si tro­
vano esercitate queste virtù, ma piuttosto nella città terrena, e
per il suo maggior bene. Il radicale distacco del cristiano
dalla sua patria terrena non è, come quello del cinico,57 fatto
di indifferenza: anche se, in ogni patria, si considerano ospiti
di passaggio, i cristiani tuttavia adempiono in essa ai loro
doveri di cittadini, assumendone tutti gli oneri (V, 5). La
parola decisiva è pronunciata al V, 10: «Ubbidiscono alle
leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere sono oltre le
leggi». Di questa superiorità morale l’autore cita vari casi
concreti: «rendono bene per male (V, 15), amano quelli che li
odiano (VI, 6)», si oppongono con il loro esempio alla corru­

55 Per riprendere la pittoresca enumerazione di AGOSTINO, Ep., 138,


2 (15); cf. già De moribus eccl. cath., I, 30 (63).
56 Cf. Marc-Aurèle..., cit., p. 424, n. 3.
57 Cf. F e s t u g i ÈRE, La Révélation d’Hermès... t. Π, cit., p. 154, η. 1.
I CRISTIANI NEL MONDO 141

zione generale (VI, 5); per non parlare del tratto finale: la proi­
bizione del suicidio, assimilato a una diserzione (VI, IO).58
Non c’è in questo nulla di sorprendente. Il cristianesimo,
fin dalle origini, si è sempre presentato come una religione di
santità, che implica un alto ideale di moralità personale e
sociale,59 e l’antica apologetica, com’è naturale, non aveva
mancato di trarne delle argomentazioni.60 Ma siamo soltanto
alla scorza: è ben evidente che nel pensiero dell’autore il ruolo
dei cristiani non si limita a questa fecondità indiretta e in
qualche modo subordinata.

58 Certo l’idea non era affatto estranea al pensiero pagano: gli stessi
termini di cui si serve qui l’autore ci rimandano a un celebre testo
di Platone ( A p o i . , 29 a); ma, di fatto, questo era proprio uno dei
punti nei quali l’ideale morale dei cristiani superava i costumi e la
mentalità comune nei primi secoli della nostra era. Tuttavia a ra­
gione G. L a z z a ti ( A d D i o g n e t u m V I , 1 0 : P r o i b i z i o n e d e l s u i c i d i o ?
in S t u d i a P a t r i s t i c a ΠΙ, TU 79, Berlin 1961) ci ha rimproverato di
ridurre alla proibizione del suicidio la formula molto più com­
prensiva «non è loro lecito disertare il posto, τάξις, che Dio ha
loro assegnato»; essa va infatti presa in tutta la sua generalità:
C. TlBILETTI, O s s e r v a z i o n i . . . cit., pp. 240-242, sottolinea la com­
ponente dottrinale (mantenere la posizione ortodossa di fronte
all’eresia) del termine, ma non va ridotto a questo, perché evoca
nella sua complessità «la posizione paradossale che i cristiani
occupano - nel senso quasi militare del termine - nel mondo».
59 Cf. A. HARNACK, D i e M i s s i o n u n d A u s b r e i t u n g d e s C b r i s t e n t u m s 4,
1 .1, cit., libro Π, cap. V, «Die Religion des Geistes und der Kraft,
des sittlichen Emstes und der Heiligkeit».
60 Così G iu s tin o , I A p o i . , 12,1-4; T e r t u l l i a n o , A p o i . , 45; A d
S c a p u l., 2 ; ecc. Va osservata, come particolarmente affine all’argo­
m e n ta z io n e d el n o s tro te s to (V, 10), la te s tim o n ia n z a di
CLEMENTE d’Aless., P r o t r e t t . , 10,108, 4-5., e quella di LATTANZIO,
D i v i n . i n s t . , VI, 23, 21: «unus quisque igitur quantum potest for-

met se ad verecundiam, pudorem colat, castitatem conscientia et


mente tueatur; nec tantum legibus publicis pareat, sed sit supra
omnes leges qui legem Dei sequitur».
142 COMMENTO

Il confronto con il ruolo dell’anima nel corpo è affermato


in modo troppo assoluto e troppo generale, sviluppato con
troppa compiacenza (VI, 1-9) perché non si debba cercare di
attribuirgli il significato più profondo: i cristiani adempiono
nel mondo una funzione analoga a quella che, ,nel pensiero
ellenistico, era comunemente attribuita all’anima cosmica, e
che il Libro della Sapienza 1, 7 attribuisce allo Spirito di Dio.
E quanto esprime molto nitidamente la formula così rivelatri­
ce di VI, 7: come l’anima del corpo, i cristiani contengono (in
senso fo rte , etim o lo g ico ), sosten gon o, m antengono,
συνέχουσιν, il mondo, sono per esso un principio di coesione
interna, di unità, di stabilità e di vita. Formula più facile da
parafrasare che da tradurre, tanto è carica di senso:61 essa
suppone acquisito tutto l’apporto del pensiero antico, e parti­
colarmente stoico; συνέχει è infatti un termine tecnico della
filosofia del Portico, che serviva precisamente a descrivere l’a­
zione del pneuma divino che anima il mondo.62 Ma se la dot­
trina è relativamente chiara nella prospettiva materialista e
monista della cosmologia stoica, facciamo molta più fatica a
concepire come un pensatore cristiano potesse realizzare l’i­
naspettata trasposizione che, in un «mondo» creato da un Dio
trascendente e, per di più, inteso prima di tutto come compo­
sto da uomini liberi, affida un ruolo analogo alla presenza im­
manente, in seno a questa umanità, della comunità cristiana.

61 Non posso unirmi allo sforzo di Meecham ( T h e e p i s t l e t o D i o g n e t u s ,


cit., p. 115, ad 7) per affievolire la portata di questo passo: egli vor­
rebbe intendere συνέχει non nel suo senso filosofico, ma nell’acce­
zione materiale «hold in charge, keep under arresi», cioè «detenere»
come un poliziotto detiene un malfattore arrestato (di qui la sua tra­
duzione per la verità molto lontana da questo senso proprio: c u r b s ,
r e s t r a i n , «dominare, trattenere»). Questa interpretazione non pare

accordarsi né al contesto né ai paralleli che citeremo.


A conferma del valore filosofico del termine, si veda ATENAGORA,
6 , p. 124,28-31 Geffcken; Ireneo, A d v . h a e r . , V, 2 ,3 Harvey.
62 Vedere, per esempio, i testi di Crisippo da H. VON ARMIN,
S t o i c o r u m v e t e r u m f r a g m e n t a , t. II, pp. 144 ss., §§ 439-449.
I CRISTIANI NEL MONDO 143

L ’autore qui non ci aiuta per nulla a superare la difficoltà


che rappresenta per noi il suo modo di esprimersi metaforico.
Come leggere al di là della lettera del suo testo? Piuttosto che
servirsi del diritto di ipotesi riconosciuto allo storico, mi sem­
brerebbe indicato cercare di confrontare l’esposizione troppo
misteriosa del nostro A Diogneto con gli antichi testi cristiani
appartenenti all’ambiente culturale nel quale deve essere fiori­
to il nostro autore, e che vediamo esprimere, in una forma
analoga, tana dottrina più o meno affine.

D o t t r in a t r a d iz io n a l e

Un simile confronto con la tradizione risponde d’altra


parte a un’esigenza più generale per un lettore cristiano, per­
ché un testo come il nostro non pone soltanto problemi di
esegesi e di storia letteraria. Come per tutti gli scritti trasmessi
dall’antichità cristiana, giova esaminare se ci troviamo qui di
fronte a una fantasticheria individuale, a una trovata o a un
abbozzo buttato giù un giorno da un pensatore isolato, o se, al
contrario, costui ha espresso a modo suo una dottrina che fa
autenticamente parte del tesoro del pensiero propriamente
cristiano, della tradizione teologica della Chiesa. Per riprende­
re una distinzione classica, questo testo studiato dalla storia
dell’«antica letteratura cristiana» deve essere riconosciuto
come un testimone autorizzato della tradizione «patristica»?

Il N u o v o T e s t a m e n t o

La risposta non può lasciare dubbi. Sotto una forma origi­


nale e ardita, ci viene qui davvero proposta una tesi autentica­
mente cristiana. Utilizzando la duplice similitudine dell’anima
umana e cosmica, l’autore non fa che trasporre, all’intemo di
quadri familiari alla filosofia ellenistica, l’insegnamento stesso
del Signore, come è espresso nelle famose parabole del
«Discorso della montagna»;

«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il


sapore, con che cosa lo si potrebbe rendere salato?
A null’altro serve che ad essere gettato via e calpe­
stato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non
può restare nascosta una città collocata sopra un
144 COMMENTO

monte, né si accende una lucerna per metterla sotto


il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce
a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la
vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le
vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre
che è nei cieli».63

Com’è evidente, si tratta proprio della stessa idea, ma


abbiamo scambiato un confronto con una duplice parabola, la
cui vera portata richiede anch’essa di essere definita con pre­
cisione. «Sale della terra»? Bisogna senza dubbio spiegarlo
accostandolo64 alla prescrizione rituale di Lv 2 , 13:65

«Dovrai salare ogni tua offerta di oblazione: nella


tua oblazione non lascerai mancare il sale dell’al­
leanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta, offrirai
del sale»,

il che dà aU’immagine una portata liturgica: i cristiani sareb­


bero ciò per cui la «terra» (equivalente al «mondo» del nostro
testo) diventa un’offerta accetta a Dio, acquisisce la qualità di
un’offerta sacrificale, e così il loro ruolo è in qualche modo di
carattere sacerdotale. Ma l’allusione suppone una familiarità
con l’ambito paleotestamentario che, al di fuori degli ambienti
giudeo-cristiani, dovette ben presto diventare eccezionale. Di
fatto Agostino, per esempio, pensa ormai soltanto agli usi
comuni del sale, e di conseguenza riconosce ai cristiani il

63 Mt 5,13-16.
64 È un accostamento suggerito dal testo, più o meno parallelo, di
Me 9,4 9 s.: «Poiché ciascuno sarà salato con il fuoco. Buona cosa
è il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salere­
te? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri»;
cf. anche Le 14,34 s.
65 Ripresa da Ez 43 , 24; cf 2 Re 2, 19-22: è con il sale che Eliseo
purifica le acque malsane di Gerico. Si vedano anche Nm 18,19 e
2 Cr 13, 5 [M.B.A.: In entrambi questi testi, sia l’ebraico che la
Settanta parlano di alleanza o patto di sale, là dove le nostre tra­
duzioni usano l’aggettivo perenne o altri simili]; G irolamo , Epist.
120, Praef., commenta in questo senso Mt 5,13: «quia omne sacri-
ficium quod absque sale est, Domino non offertur...».
I CRISTIANI NEL MONDO 145

duplice ruolo di «dare sapore» e «impedire la corruzione» del


mondo, vale a dire, come egli felicemente precisa, dei popoli
della terra, e ciò in particolare mediante la predicazione apo­
stolica.66 La presenza dei cristiani nel mondo dà ad esso un
sapore, un significato e, d’altra parte, gli impedisce di spro­
fondare nel marciume...
L ’immagine della «luce del mondo» è presentata con mag­
giori dettagli da Matteo,67 che insiste sul valore edificante del
buon esempio dato dalla virtù cristiana: il commento puntereb­
be così verso la nozione di testimonianza, e con ciò indiretta­
mente ritroverebbe la nozione di missione apostolica. Ma il let­
tore spirituale, che si preoccupa meno di determinare la portata
propria di ciascuno dei testi evangelici che di accogliere nella
sua totalità il messaggio della Parola di Dio, sarà soprattutto
colpito dall’accostamento che suggerisce molto spontaneamen­
te la comparsa, in un contesto del tutto diverso, della stessa
espressione in Gv 8,1 2 , dove Gesù dice di se stesso:

«Io sono la luce del mondo; chi segue me non cam­


minerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».

Così, da un evangelista all’altro, è lo stesso ruolo di guida,


che si irradia alla creazione intera, quello che viene ricono­
sciuto al Verbo incarnato e al suo Corpo mistico: ima conclu­
sione che viene in qualche modo a giustificare il gesto ardito
del nostro Auctor ad Diognetum, che rivendica, come si è
visto, per i cristiani quel ruolo animatore che il pensiero anti­
co riconosceva, in seno al cosmo, a qualche principio divino.

66 Cf. D e s e r m o n e D o m i n i i n m o n t e , I, 6 , 13-14 PL 34, 1237: «...vos


per quos c o n d i e n d i sunt quodammodo populi... Quomodo dixit
superior sai terrae, sic nunc dicit lumen mundi. Nam neque supe-
rius ista terra accipienda est, quam pedibus corporeis calcamus,
sed homines qui in terra habitant, vel etiam peccatores, quorum
c o n d i e n d i s et e x s t i n g u e n d i s p u t o r i b u s apostolicum salem Dominus

misit». O ancora M e to d io d’Olimpo, S y m p o s i o n , 13, SC 95


[MusuriUo-Debidour], pp. 54-55 («il sale arresta l’umidità, la putre­
fazione e tutti gli agenti di corruzione»). Cf. FILONE, D e o p i f . , 6 6 ;
P l u t a r c o , Q u. c o n v . , V, 10 3; C icero n e, N a t . d e o r . , II, 64, 10;
V a rro n e , R . R . , II, 4,10.
67 Me 4, 21-23 e Le 8,16-18 non aiutano affatto a precisare la porta­
ta della parabola.
146 COMMENTO

Sarebbe facile trovare in altri luoghi altre espressioni,


diverse quanto ai termini, ma convergenti quanto al senso,
della stessa dottrina. Basterebbe estendere la ricerca a tutto il
Nuovo Testamento: le Lettere di Paolo offrirebbero una bella
messe,68 per poco che ci si soffermasse a studiare i prolunga-
menti cosmici della soteriologia paolina.69 E non è forse anco­
ra con la stessa sfumatura liturgica che l’Apocalisse70 e la
Prima Lettera di Pietro71 ci presentano la medesima nozione,
applicando al popolo cristiano, vero Israele, la promessa fatta
un tempo al popolo eletto per bocca di Mosè?

«Sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione


di santi».72

Ma, se in questo modo possiamo verificare il radicamento


dell VI Diogneto nella Rivelazione, continuiamo a non afferrare
altro che il punto di partenza di questo pensiero: questi testi
scritturistici sono essi stessi ambigui o ellittici, e richiedono a
loro volta una esplicitazione. Per trovare un’espressione più
precisa e in qualche modo un commento del nostro testo,
occorre spostarsi nel tempo e, attraversando l’era dei Padri
apostolici, giungere a quella serie di scritti apologetici dove
abbiamo già trovato tanti passi paralleli o equivalenti.

68 Così Fil 2,15 s.: «... figli di Dio immacolati in mezzo a una genera­
zione perversa e degenere (cf. Dt 32, 5), nella quale dovete splen­
dere come astri nel mondo...».
69 Commentati, nella prospettiva teologica che gli è propria, da
M. GOGUEL, L e c a r a c tè r e e t le r ó le d e l ’é l é m e n t c o s m o l o g i q u e d a n s

la s o té r io lo g ie in R e v u e d ’ H i s t . e t d e P h i l o s . r e l i g .
p a u lin ie n n e ,

(della Fac. di teologia protestante di Strasburgo) 15, 1935,


pp. 335-359.
70 Cf. Ap 1, 6 : «Ha fatto di noi un regno di sacerdoti (lett.: «regno,
sacerdoti») per il suo Dio e Padre»; allo stesso modo 5,10; 20, 6 .
71 Cf. 1 Pt 2 , 9: «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la
nazione santa»; cf. 2 ,5.
72 Es 19, 6 ; cf. Is 61, 6 . Naturalmente il pensiero ebraico non ha mai
cessato di intendere questi testi in senso letterale, come riguardan­
ti il solo Israele «secondo la carne». Così FILONE, D e A b r ., 98.
I CRISTIANI NEL MONDO 147

P a r a l l e l i n eg li A pologisti

Ora, già la più antica delle Apologie, il cui testo ci è stato


integralmente conservato,73 quella di Aristide,74 ci offre un
parallelo notevole. Nell’ultima sezione della sua Apologia, l’au­
tore ha voluto dare come una contropartita positiva alla critica
precedentemente formulata contro gli errori del paganesimo e
dei giudei. Qui esalta non soltanto la verità della religione cri­
stiana, ma la nobiltà della sua morale, il che lo porta a tracciare
un quadro, preciso e dettagliato, dei costumi e delle virtù del
popolo cristiano.75 E in seguito a questa evocazione che scrive:

«Conoscendo Dio gli rivolgono preghiere che egli


può esaudire e delle quali essi possono ottenere l’e­
saudimento. Ed è in questo che passano il tempo del­
la loro vita. E poiché conoscono la multiforme bontà
di Dio nei loro confronti, ecco che a causa loro, si
diffondono gli splendori che esistono nel mondo...».76
73 Abbiamo già ricordato la possibilità che il tema risalga alla
P r e d ic a z io n e d i P i e t r o · , sopra, p. 120.

74 La sua data rimane discussa (cf. M. PELLEGRINO, G l i A p o l o g e t i g r e c i


d e l I L s e c o l o , Roma 1947, pp. 25 s.): 124-125 se si accetta la testimo­

nianza di Eusebio ( H i s t . e c c l . , IV, 3; C h r o n . , an. 2140), secondo il


quale l’Apologia è stata presentata all’imperatore Adriano durante il
suo soggiorno ad Atene: ma Eusebio non ha per caso raggruppato in
un’unica notizia, ellittica o ambigua, tutto ciò che sapeva o credeva
di sapere delle due A p o l o g i e di Quadrato - presentata, questa, ad
Adriano ad Atene - e di Aristide? O piuttosto, al contrario, la data
sarebbe 138-161, e, con più precisione, 138-139 (cf. J. GEFFCKEN,
Z w e i g r i e c h . A p o l o g e t e n , cit., pp. 28-31), se si ritiene valida la secon­

da parte del titolo della versione siriaca?


75 Cf. ARISTIDE, A p o i . , 15. Si noteranno gli accostamenti che questo
suggerisce con l’evocazione parallela, ma più breve, dell’j4 D i o g n e t o · .
15, 4, né adulterio né incesto, ecc. ( A D i o g n . , V, 6-7); 15, 5, non
mangiano idolotiti ( A D i o g n . , V, 7, se si mantiene il testo del ms.
F); 15, 6 , purezza delle donne cristiane, ecc. (cf. A D i o g n . , VI, 5).
76 A ristid e, A p o i . , 16, 1 s.: questo passo non è stato conservato in

greco nel romanzo di B a r l a a m e t J o a s a p h ; lo leggiamo nella versio­


ne siriaca tanto fortunatamente ritrovata da J. Rendell Harris: cf.
trad. tedesca di G e ff c k e n , o p . c i t . , pp. 25 s., trad. inglese di
HARRIS: TSt I, 1, pp. 50 s.; devo all’amicizia di Ant. Guillaumont
l’aver avuto accesso al testo siriaco, i b i d . , pp. (25)-(26).
148 COMMENTO

E continua: i cristiani sono i soli a essersi accostati alla


conoscenza della Verità, ma:

«le buone azioni che compiono, non le proclamano


alle orecchie della folla».

Aristide sviluppa questo tema del «mistero» della pietà cri­


stiana e della sua presenza invisibile, così caro all’^4 Diogneto
(IV, 6): i cristiani aspirano a una ricompensa escatologica
nell’altro mondo. Poi, rivolgendosi all’imperatore:

«Questo basta per questa breve esposizione alla


vostra Maestà a proposito del genere di vita e della
verità sui cristiani, poiché realmente la loro dottri­
na appare grande e meravigliosa a chi voglia ben
esaminarla e comprenderla: sì, davvero questo è un
nuovo popolo e vi è in esso qualcosa di divino».

Infine, dopo aver rinviato il suo augusto uditore allo stu­


dio delle Scritture cristiane, egli conclude:

«Non ho alcun dubbio: è grazie all’intercessione


(o alla supplica) dei cristiani che il mondo sussiste».77

Π parallelismo è sorprendente: è proprio la stessa dottrina


espressa in altri termini perché è strutturata secondo un altro
punto di vista, quello del mondo, non, come neWA Diogneto,
quello dei cristiani. La proposizione che là era enunciata (VI, 7)
così: «(I cristiani) sostengono il mondo» diventa qui: «È gra­
zie ai cristiani che il mondo si regge». Aristide dice meglio e
con maggior precisione: «grazie all’intercessione e alle pre­
ghiere dei cristiani, le sole efficaci».
E una precisazione importante, perché con ciò l ’idea
acquisisce una portata concreta, e, se si può dire così, una ra­
zionalità che non comportava l’espressione puramente imma­
ginosa dell’/l Diogneto. Si sarà notato nello stesso senso l’indi­
cazione non meno importante: «è a queste preghiere che con­

77 Siriaco: qoimo, besteht (Geffcken), stands (Harris): M. Gillaumont


mi suggerisce, per l’originale, ΐσταται.
I CRISTIANI NEL MONDO 149

sacrano la loro vita». La funzione sacerdotale dei cristiani78


appare davvero essenziale, e noi siamo ricondotti all’insegna­
mento rivelato dei testi richiamati sopra, il Vangelo secondo
Matteo o l’Apocalisse.
Sulla scorta di Aristide, tutti gli Apologisti riprendono più
o meno espressamente la stessa dottrina, a eccezione di
Taziano, nel quale non trovo nulla di analogo,79 e di Teofilo
di Antiochia, che esprime un modo di sentire diametralmente
opposto (e che tuttavia proviene, anche questo, dalla più
autentica tradizione cristiana): è quello che si evidenzia, per
esempio, nel discorso di Pietro il giorno di Pentecoste, secondo
il racconto degli Atti (2, 40: «Salvatevi da questa generazione
perversa»), oppure in un certo passo di Paolo (2 Cor 6 ,1 7 , che
cita Nm 16, 21:80 «Uscite di mezzo a loro e separatevi, dice il
Signore»). Teofilo, infatti, dopo aver descritto le isole che, in
pieno mare, offrono rifugio ai marinai sorpresi dalla tempesta,
dichiara:

«Così Dio ha dato al mondo, sollevato e sballottato


dai flutti dei peccati, le “sinagoghe” - intendete le
sante Chiese - , dove si trovano, come ci sono nelle
isole dei porti accessibili, gli insegnamenti della
verità, rifugio per quanti vogliono la salvezza, per
quanti amano la verità e vogliono sfuggire alla col­
lera e al giudizio di Dio».81

78 Già alla fine del I secolo, la L e t t e r a (I. C o r ) di C lem en te di Roma


ci dà un esempio di tali preghiere: 59, 2-61, e in particolare 60,4: i
cristiani chiedono la concordia e la pace per sé e per tutti gli abi­
tanti della terra. Dottrina parallela in FILONE, D e s p e c . l e g . , II,
167; I, 97, messa ben in luce da E. P e te rs o n , D e r M o n o t h e i s m u s
a l s p o l i t i s c h e s P r o b l e m , Leipzig 1935, pp. 23 s.

79 C’è in Taziano una dottrina dell’anima del mondo, ma in un senso


banalmente stoico: c. 12: «Vi è dunque del p n e u m a negli astri, negli
angeli, nelle piante e nelle acque, negli uomini e in tutti gli esseri
viventi; p n e u m a che, pur essendo uno, possiede in se stesso differen­
ze...»; Taziano non si discosta dallo stoicismo se non nel fatto che
egli distingue questo p n e u m a cosmico dal P n e u m a divino (c. 4).
80 M.B.A.: Così il curatore francese: ma la citazione letterale nella
Settanta (e praticamente anche nell’ebraico) è Is 52,11.
81 TEOFILO di Antiochia, A d A u t o l . , II, 14.
150 COMMENTO

Per contro, Giustino si ricongiunge completamente, ben­


ché per vie originali, alle preoccupazioni dell VI Diogneto-, così
nella II Apologia:

«Se Dio ritarda ancora lo sconvolgimento e lo sgre­


tolamento dell’universo che annienteranno i malva­
gi - angeli, demoni e uomini - è a motivo della stir­
pe dei cristiani che ai suoi occhi sono responsabili
della natura».82

O, ancora, nel Dialogo con Trifone, dopo aver appe


ricordato la parola di Dio al profeta Elia: «Ho ancora settemi­
la uomini che non hanno piegato le ginocchia a Baal»:83

«Come allora Dio, a causa di questi settemila, non


inviò il suo castigo, così oggi non ha messo o non
mette in atto il suo giudizio perché sa bene che ogni
giorno ci sono uomini che, istruiti nel nome del suo
Cristo, abbandonano le vie dell’errore e ricevono i
suoi doni, ciascuno quanto ne è degno, illuminato o
no da questo Cristo».84

E già, con maggiore nitidezza e a due riprese, nella I Apologia·.


dopo aver parlato del castigo che attende Satana, il suo eserci­
to e gli uomini che lo seguono, Giustino aggiunge:

«Se Dio tarda ancora a compiere questo, è a causa


del genere umano, perché nella sua prescienza sa
che certuni devono salvarsi con la penitenza, anche
tra quelli che neppure sono ancora nati».

82 Verso il 150: II A poi., 7, 1; PAUTIGNY, Justin, A pologies


(coll. Hemmer-Lejay), p. 163, così interpreta le ultime paro­
le (διά tò σπέρμα των χριστιανών) ò γινώσκει έν τη φύσει δτι
αίτιόν έστιν: «in cui vede un motivo per conservare il mondo».
83 3 (1) Re 19,18; cf. Rm 11,4 .
84 Verso il 160: Trif, 39, 2 .
I CRISTIANI NEL MONDO 151

e più avanti:

«Dio, Padre dell’universo, doveva portare il Cristo


in cielo dopo la sua risurrezione e là deve custodir­
lo... finché sia completo il numero dei predestinati,
dei buoni e dei santi a causa dei quali non ha anco­
ra distrutto il mondo con il fuoco».85

L ’idea si presenta qui seguendo un’altra trasposizione: non


è più concepita dal punto di vista dei cristiani né del mondo,
ma di Dio: i cristiani appaiono come i giusti che mancavano a
Sodoma (cf. Gen 18, 24-32). In rapporto alla posizione assunta
daH’A Diogneto, questa rappresentazione potrà apparire molto
negativa (il ruolo dei cristiani consiste essenzialmente nel tratte­
nere il braccio del Dio vendicatore, nell’impedire la catastrofe
finale), ma comporta comunque una contropartita positiva, net­
tamente formulata negli ultimi testi, dove si abbozza una filoso­
fia della storia dei tempi cristiani (il ritardo della parusia legato
allo spazio di tempo richiesto dal reclutamento del popolo dei
santi, alla crescita del Corpo mistico), filosofia della storia
anch’essa fortemente radicata nella più autorevole tradizione,
perché non fa che riprendere l’insegnamento di un testo famo­
so e particolarmente esplicito dell’Apocalisse:

«Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto


l’altare le anime di coloro che furono immolati a
causa della Parola di Dio e della testimonianza che
gli avevano resa. E gridarono a gran voce: “Fino a
quando, o Sovrano, tu che sei santo e verace, non
farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue
sopra gli abitanti della terra?”. Allora venne data a
ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di
pazientare ancora un poco, finché fosse completo il
numero dei loro compagni di servizio e dei loro fra­
telli che dovevano essere uccisi come loro».86

85 Verso il 150: 1 Apoi., 28, 2 e 45, 1, correggendo con έκπύρωσιν


1’ έτηκυρωσιν dei mss., come ha proposto J. Billis fin dal 1585
(cf. II. Apoi., 7 ,3 , dove si legge la stessa parola έκττΰρωσι.?).
86 Ap 6 , 9-11; si aggiunga 2 Pt 3, 9.
152 COMMENTO

Dottrina notevole, che affonda le sue radici molto prima


nella rivelazione dell’Antico Testamento, come suggerisce
Giustino stesso, e della quale sarebbe facile trovare il prolun­
gamento nel giudaismo rabbinico: il Talmud insegna che il
mondo sussiste grazie al merito, Zechuth, di Israele, e più pre­
cisamente dei trentasei giusti sparsi nel mondo, ad ogni gene­
razione, e che «accolgono quotidianamente la Shekinah»P
I successori di Aristide e di Giustino riprendono a loro vo
la tesi del ruolo cosmico dei cristiani che, anche in loro, appare
di volta in volta definito dai due temi della preghiera efficace e
del ritardo apportato alla parusia. Ma più si va avanti, più le
preoccupazioni puramente apologetiche mostrano di deformare
la tesi im poverendola. Uno dei fram m enti conservati88
àé¥Apologia indirizzata da Melitone di Sardi verso il 172 al­
l’imperatore Marco Aurelio esprime bene ciò, e restringe la
sua prospettiva all’interesse personale dell’imperatore al quale
si rivolge: sottolinea la felice coincidenza tra l’espansione del
cristianesimo e la fioritura dell’impero all’epoca, e ne trae un
«buon augurio» per il regno di Marco Aurelio:

«Poiché da allora, la grandezza, lo splendore e la


potenza di Roma sono andati accrescendosi. Tu
stesso ne fosti il desiderato erede; tu lo resterai con
tuo figlio se conservi la filosofia (cioè la religione
cristiana) che è nata con l ’impero, è cominciata

87 Cf. b . S a n h e d r i n , 97 b; b . S u c c a 45 b. Un ulteriore sviluppo della


leggenda ha voluto che questi giusti fossero nascosti e sconosciuti
al resto degli uomini: cf. T h e u n i v e r s a l J e w i s h e n c y c l o p a e d i a , t. VI,
pp. 512 s., s.v. L a m e d v a v Z a d d i k i m . Si ritrova la stessa credenza
negli ambienti mistici dell’islam: il sufismo collega la conserva­
zione del mondo all’esistenza, ad ogni generazione, di un deter­
minato numero di giusti; quando uno di loro muore, Dio suscita
subito uno che lo sostituisca: cf. E n c i c l o p e d i a d e l l ' i s l a m , t. II,
p. 1233 ab, s.v. K u t b ; t. IV, p. 718 b, § 5, b, s.v. T a s a w w u f ; pp.
1168 b-1169 a, s.v. W a l i ; Suppl., p. 37 ab, s.v. B a d a i - ,
L. M assignon, L a p a s s i o n d ' A l - H a l l a j , Paris 1914-1921, pp. 753
s.; E s s a i s u r l e s o r i g i n e s d u l e x i q u e t e c h n i q u e d e l a m y s t i q u e m u s u l ­
m a n e , Paris 1914-1922, pp. 112-114.

88 Cf. F r a m m . , 1,3, O t t o , in Eusebio, H i s t . e c c l . , IV, 26,7-11.


I CRISTIANI NEL MONDO 153

sotto Augusto, e che i tuoi antenati hanno onorata


con le altre religioni. E una grande prova dell’eccel­
lenza della nostra dottrina che essa si sia sviluppata
con tem p oran eam en te alla fe lic e istitu zio n e
dell’impero, e che da allora, a partire dal regno di
Augusto, nulla di spiacevole sia accaduto, ma, al
contrario, tutto sia stato brillante e glorioso, secon­
do i voti di ciascuno...».89

È questo il punto di vista di una apologetica di corte vedute,


perché si tratta di un beneficio soprattutto temporale di cui
l’imperatore e il mondo romano sarebbero debitori ai tempi
cristiani; ma è un’idea che non poteva non presentarsi molto
spontaneamente sotto la penna di un autore cristiano che si
rivolgeva in particolare al potere imperiale. Alcuni l’hanno
ripresa applicandola a eventi particolari, come fa Apollinare di
Gerapoli, per il quale il famoso «miracolo della pioggia»
durante la guerra di Marco Aurelio contro i Quadi sarebbe
stato dovuto alle «preghiere dei nostri», quelle dei soldati cri­
stiani della Legio Fulminata.90 Anche Atenagora, un po’ più
tardi (verso il 177), pensa di raccomandare i cristiani alla bene­
volenza dei co-reggenti Marco Aurelio e Commodo sottoli­
neando alla conclusione della sua Supplica:

«Quali uomini hanno maggior diritto a ottenere


quanto chiedono, di noi che preghiamo per la
vostra autorità (άρχή), affinché voi riceviate, l’imo
dopo l’altro per successione, il figlio dopo il padre,
l’impero, com’è perfettamente giusto, e affinché la
vostra potenza si accresca e si dilati, sottomettendo
tutti alla vostra autorità? Ciò è anche a nostro van­
taggio, per condurre una vita calma e tranquilla e
compiere di cuore tutto ciò che ci è comandato».91

89 Ibid., IV, 26, 7-8 [M.B.A.: il francese dà la traduzione Grapin, 1 .1,


p. 475: noi abbiamo tradotto direttamente dal francese il testo qui
riportato].
90 Sempre in Eusebio, ibid., V, 5,1-4; Apollinare è il primo testimo­
ne come data di questo celebre episodio, perché avrebbe scritto
poco dopo l’evento, verificatosi nel 172: cf. J. Guey, Encore la
pluie miraculeuse, nella Revue de Philologie, 74,1948, p. 17, n. 4.
91 A tenagora , Supplica, 37 (trad. francese Bardy, p. 170).
154 COMMENTO

Qui compare una nuova deformazione della dottrina, sempre


in senso utilitaristico: l’interesse dei cristiani è certamente con­
nesso a quello dei loro sovrani. Si ritrova la stessa combinazione
sotto la penna di Tertulliano, che riprende anch’egli, in particola­
re nel suo Apologeticum, scritto nel 197, il tema della preghiera
efficace,92 e in particolare la preghiera per la salvezza degli impe­
ratori.93 Lungi dall’esser causa di disgrazie per l’impero,94 come
vorrebbero le calunnie dei pagani, i cristiani, con il digiuno, la
continenza, le mortificazioni e la penitenza, assillano letteral­
mente Dio, lo disarmano e gli strappano la sua misericordia95
durante le calamità che egli invia in punizione dei crimini
umani. È un fatto, secondo la sua valutazione, che queste cata­
strofi sono diminuite di intensità

«da quando il mondo ha ricevuto da Dio i cristiani.


Da allora, infatti, l’innocenza ha temperato le ini­
quità del mondo e hanno iniziato ad essere degli
intercessori di Dio».96

Con ciò, Tertulliano si avvicina molto nettamente aR’A Dio­


gneto.97 Come il nostro autore, egli è preoccupato di mostrare
che i cristiani non sono dei nemici del genere umano; una
frase famosa ce li mostra presenti all’intera società:

«Siamo di ieri, e abbiamo già riempito il mondo e


tutti i vostri territori, le città, le isole, le borgate,
i municipi, le piazze, gli stessi accampamenti, le tri­
bù, le decurie, il palazzo, il senato, il foro. Vi abbia­
mo lasciato solo i templi!».98
92 Cf. T e rtu llia n o , A p o l o g e t i c u m , 2 9 ,5 .
93 Cf. i b i d . , 30, 1; 30, 5; 39, 2 ; A d S c a p u l . , 2 , Oehler, t. I, p. 542.
Cf. I C l e m . , 60,4-61,2.
94 Cf. Apoi., 40,1 s.; Ad Nationes, 1,9 (CSEL 20, p. 73).
95 Cf. Apoi., 40,15; cf. 39,2.
96 Ibid., 40,13, trad. it. Difesa del cristianesimo, a cura di A. Carpin,
Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2008, p. 347.
97 Si troverà un confronto sistematico dell’^4 Diogneto con XApolo­
geticum in Lipsius, Ut. Central-Blatt, 1873, p. 1251 e J. D raeseke,
Der Brief anDiognetos, cit., pp. 132-140.
98 A p o i . , 37,4, trad. it. cit. p. 323; cf. 1, 17; A d N a t i o n e s , I, 1 , p. 59;
I, 8 , p. 72.
I CRISTIANI NEL MONDO 155

I cristiani non sono un gruppo a parte, né si ergono a n


mici della società civile con uno spirito di secessione astiosa;
essi partecipano attivamente alla vita economica e sociale del
loro tem po."
Al tema della preghiera efficace Tertulliano associa quello
del ritardo che la presenza e l ’intercessione dei cristiani
impongono alla parusia escatologica, ma in lui la prospettiva
apologetica sfocia in una vera caricatura della dottrina:

«È per noi una necessità più urgente ancora quella


di pregare per gli imperatori, per la prosperità
dell’impero e dello stato romano. Noi infatti sap­
piamo che la grande catastrofe che si abbatterà
sull’universo, e la stessa fine dei tempi che ci minac­
cia orribili calamità, è ritardata soltanto per la tre­
gua accordata all’impero romano. E siccome non
abbiamo voglia di fame esperienza, preghiamo per­
ché sia differita e contribuiamo così alla continuità
di Roma, Romanae diuturnitatifauemus\».w0

Sia pure, ma ci si domanda che cosa ne sia, in questa ingegno­


sa presenta2Ìone, della speranza escatologica e del Màrànà thà,
«Sì, vieni Signore Gesù!».101
Non affrettiamoci tuttavia a scaricare la colpa sul solo
Tertulliano, sul difensore troppo ingegnoso. Il ritorno di
Cristo è anche il «Giorno di Yahvè», β Dies trae, e la sua
venuta è accompagnata da terribili prove. L ’ambivalenza del
suo significato si è sempre mantenuta ben ferma nella tradi­
zione: è così che qualche anno dopo YApologeticum, verso il
202-204, sentiamo a due riprese Ippolito di Roma, nel suo
Commento a Daniele, fare allusione ai giorni terribili dell’An­
ticristo, e raccomandare

«di pregare affinché non ci im battiam o in tali


tempi,102 perché non ci troviamo nei momenti in cui

99 Cf. ibid., 37, 6 ; 42,1-3 (a tratti molto vicino all’A Diogneto V, 1, 2,4:
«noi che viviamo con voi, che abbiamo lo stesso cibo, gli stessi
vestiti, lo stesso genere di vita, ecc.»).
100 Ibid., 3 2 ,1 ; cf. 39,2; 41, 5; AdScapul., 2, p. 541 Oehler.
101 1 Cor 16,22; Ap 22, 20.
102 I ppolito , In Daniel., IV , 5, 4.
156 COMMENTO

ciò avverrà, perché non accada che,, infiacchiti a moti­


vo della grande tribolazione che piom berà sul
mondo, qualcuno di noi sia escluso dalla vita
eterna».103

Ma, a differenza di Tertulliano, egli evoca il ruolo della


preghiera cosmica dei cristiani senza alcuna preoccupazione
ingenuamente interessata, e dice:

«Il diavolo fomenta ogni sorta di persecuzioni con­


tro i santi per impedire che levino nella preghiera
“le loro mani sante” verso Dio: egli sa infatti che la
preghiera dei santi procura la pace al mondo. Allo
stesso modo quando Mosè nel deserto levava le
mani, Israele prevaleva, e quando le abbassava, pre­
valeva Amalec».104

C lem en te e O r ig e n e

L ’idea non ha tuttavia in lui un sensibile rilievo. È nell’am­


biente alessandrino che la vediamo all’improvviso riprendere
vita, approfondirsi ed esprimersi dettagliatamente in una
forma esplicita e nuova, e, per prima, circa alla stessa epoca in
cui scriveva Ippolito, in Clemente d’Alessandria, nella bella
omelia Quis dives salvetur. Dopo aver evocato lo splendore
delle virtù cristiane, egli precisa:

«Così dunque tutti i credenti sono buoni, santi e


degni del nome di cui sono coronati come da un
diadema. Tuttavia, tra gli eletti, ce ne sono fin d’ora
alcuni che sono eletti in modo speciale, e ciò tanto
più quanto meno si distinguono esteriormente. Essi
si traggono fuori in qualche modo dai flutti agitati
del mondo e si rifugiano al sicuro. Non vogliono ap­
parire santi - se si sentono chiamare così ne hanno
vergogna. Nascondono in fondo al loro pensiero i
misteri ineffabili e non degnano il mondo della

103 itó/., IV, 12,2.


104 Ibid., Ili, 24,7-8.
I CRISTIANI NEL MONDO 157

visione della loro nobiltà: sono questi che il Verbo


chiama “luce del mondo” e “sale della terra”. Sono
semente, immagine e somiglianza di Dio, suo vero
figlio ed erede, inviato quaggiù come lontano, in
funzione del piano grandioso di Dio e dell’analogia
del Padre. Per loro sono stati creati tutti gli esseri
del mondo, visibili e invisibili, gli uni per servirli,
altri per esercitarli, altri per istruirli. Per tutto il
tempo della permanenza quaggiù di questa semente,
tutte le cose sono conservate, mentre quando sarà
raccolta, subito tutte le cose saranno dissolte».105

Testo di mirabile densità e ricchezza, del quale non è il


caso di dare qui il commento dettagliato che merita. Vi ritro­
veremo fortemente affermato, nella conclusione, il nesso, già
tante volte proclamato dai predecessori di Clemente, fra il
ruolo dei cristiani e la durata stessa del mondo. Il lettore avrà
osservato, scorrendo il brano, il riferimento, questa volta
esplicito, ai versetti evangelici che fin dal principio ci è parso
ispirassero tutte le espressioni della nostra tesi. Sottolineiamo
infine la comparsa di due tratti originali: per la prima volta
non è a tutti i cristiani indistintamente, ma soltanto a una élite
di santi che è riconosciuta la funzione di «luce del mondo» e
di «sale della terra». Si potrà vedere in questo un’eredità
dell’aristocrazia spirituale degli gnostici,106 ma, come accade
tanto spesso in Clemente,, le sopravvivenze formali dello gno­
sticismo (così appariscenti del resto qui, con la nozione speci­
ficamente valentiniana di semente raccolta) possono essere

105 Quis dives salvetur, 36, 1-3, p. 183 Stahlin (GCS 17); la nozione
di «semente da raccogliere» proviene dagli gnostici valentiniani:
cf. C t .f m f .n t f . d’Alessandria, Excerpta ex Theodoto, 26, 3, pp. 112 s.,
[F. Sagnard] SC 23, Paris 2006.
106 Per i quali queste due metafore evangeliche designavano i
«pneumatici»: IRENEO, I, 1, 11, p. 52 Harvey. Teniamo anche
conto del pensiero filosofico pagano, che non era meno aristo­
cratico: cf. l’importante testo di M assimo di Tiro, Diss., XI, fine,
citato da J. DANIÉLOU, Origine, p. 104 : «D bene non abbonda
tra gli uomini e, tuttavia, l’insieme è salvato da questo poco di
bene...».
158 COMMENTO

state utilizzate per esprimere un pensiero di ordine molto


diverso. Di fatto, come mostrerà lo sviluppo ulteriore della
tradizione che qui analizziamo, questo testo è uno di gufili
che ci permettono di cogliere in germe ciò che diventerà nei
secoli successivi, in seno alla Chiesa, l’ideale monastico.
D ’altra parte, occorre notare lo stretto legame che il pen­
siero di Clemente stabilisce tra il ruolo cosmico dei cristiani e
la struttura stessa del cosmo. Se i cristiani sono fatti per il
mondo, il mondo da parte sua è fatto per loro. Anche qui
Clemente riprende e adatta una nozione tradizionale: quella,
tanto cara in particolare alla tradizione stoica, della finalità
antropocentrica del mondo. Ma la sua portata è molto diver­
sa: il mondo non è ordinato come a suo fine al mondo in
quanto tale, o almeno non soltanto, e neppure principalmente
d ’uomo in quanto tale, ma piuttosto al cristiano e in partico­
lare ai santi, agli «eletti in modo speciale». E questo è a sua
volta germe di tutto un fecondo sviluppo della teologia poste­
riore. Clemente, d’altronde, non ne è il primo testimone: già il
Pastore di Erma dichiarava che Dio «ha creato gli esseri dal
nulla, li ha fa tti m o ltip lica re e cresce re in vista della
Chiesa»,107 che egli fa apparire con l’aspetto di una Donna
anziana, «perché la Chiesa è stata creata come prima fra tutte
le cose: è per essa ch e il m ondo è stato d isp osto»,
κατηρτίσθη.108 Anche questo aspetto della nostra tesi ha,
come i precedenti, i suoi paralleli nella speculazione ebraica:
VAssunzione di Mosè, per esempio, non esitava a insegnare
che il mondo è stato creato per Israele.109

107 Pastore d’ERMA, Vis., 1, 17. Cf. E . H. BLAKENEY, inJThS, t. 42,


1941, p. 193.
108 Id., Vis., 2, 4, 1: l’idea è suscettibile di una interpretazione orto­
dossa (la Chiesa dei Predestinati: cf. Ef 1,4 s.) come anche di una
trasposizione gnostica (l’Eone Chiesa: cf. F. Μ. M. SAGNARD,
La Gnose valentinienne, Paris 1947, pp. 302 s.); è un concetto
che si esprime anche nella II Clem., 14,2-3.
109 Cf. Assunzione di Mosè, 1 , 12, p. 58 Charles: «Creavit enim
orbem terrarum propter plebem suam».
I CRISTIANI NEL MONDO 159

Dopo Clemente, Origene riprende a sua volta lo stesso


tema, che assume in lui un carattere particolare. Nell’opera
immensa del grande dottore alessandrino, sarebbe facile rile­
vare un gran numero di testi nei quali la testi dell’^4 Diogneto
ricompare sotto forme diverse e adattate a contesti diversi:
basterà riportarne qui qualche esempio particolarmente signi­
ficativo.
Il grande trattato apologetico Contro Cebo è particola
mente interessante da rileggere in questo senso. Lì Origene
non difende soltanto, nella linea del testo precedentemente
citato di Clemente, questa concezione antropocentrica del
cosmo, comune al cristianesimo e agli stoici, che Celso aveva
attaccato in una pagina eloquente e giustamente celebre del
suo Discorso verace:

«Giudei e cristiani mi fanno l’impressione di una


massa di pipistrelli, di formiche, che escono dal
loro buco, di rane stabilite presso uno stagno, o di
vermi in assemblea nell’angolo di un pantano che
discutono insieme chi siano fra di loro i più grandi
peccatori. E incredibile sentire queste bestiole dire
tra di loro: “È a noi che Dio rivela e predice ogni
cosa. Del resto del mondo non si cura; lascia che i
cieli e la terra rotolino a caso per non occuparsi
che di noi. Siamo gli unici esseri con i quali comu­
nica tramite messaggeri, i soli con i quali desideri
avere rapporto perché ci ha creati a sua immagine.
Tutto ci è sottomesso, la terra, l’aria, l’acqua e gli
astri; tutto è stato fatto per noi e destinato a nostro
uso. E poiché è accaduto ad alcuni di noi di pecca­
re, Dio verrà in persona, o invierà il proprio Figlio
per bruciare i cattivi e farci godere con lui della
vita eterna”» .110

110 Origene, C. Cels., IV, 23, pp. 292 s. Koetschau (trad. frane, di
L. ROUGIER, Ceke ou le conflit de la civilisation antique et du chri-
stianisme primitif, Paris 1925, p. 377). Si potrebbe credere che la
critica di Celso attacchi molto precisamente la nostra tesi
(il mondo è fatto per i cristiani), ma la risposta di Origene (IV, 24 s.)
mostra che l’idea è più generale: Celso ha di mira l’antropocen-
trismo nel suo complesso.
160 COMMENTO

Ma questo è solo il quadro all’interno del quale si colloca


il preciso punto dottrinale sul quale conduciamo l’indagine.
Più avanti, Origene deve rispondere a Celso che solleva il pro­
blema della salvezza temporale, della sopravvivenza, della
posterità dell’impero e di quella civiltà romana della quale i
cristiani stessi sono di fatto partecipi:111 di fronte al pericolo
barbaro, Celso non si prospetta senza paura ciò che potrebbe
accadere dell’imperatore se tutti i romani, rinunciando al loro
patriottismo tradizionale, aderissero alla fede cristiana. A que­
sto Origene replica spiegando il riferimento alla preghiera di
Abramo per Sodoma, già soggiacente al pensiero di Giustino:

«Ma se, secondo la supposizione di Celso, tutti i


romani adottano la fede cristiana, trionferanno con le
loro preghiere dei loro nemici, o, piuttosto, non
avranno più nemici da combattere trovandosi sotto la
protezione della potenza divina che, per cinquanta
giusti, prometteva di salvare cinque intere città.
Infatti, gli uomini di Dio sono il sale che conserva il
mondo terrestre, e le cose della terra possono mante­
nersi, συνέστηκε, solo finché questo sale non si sna­
tura, perché, se il sale perde il suo sapore, non serve
più né per la terra né per il concime, ma, gettato
fuori, sarà calpestato sotto i piedi degli uomini...».112

Ritroviamo, e quasi con gli stessi termini, la dottrina del-


l’A Diogneto, V I, 7: i cristiani «sostengono il mondo». Più
avanti, nelle ultime pagine della sua grande opera, Origene dà
dettagliate spiegazioni sul modo con cui di fatto è assunta
questa funzione, e questa volta ricompare il tema della pre­
ghiera efficace:

«Celso ci esorta poi a “sostenere il sovrano con


tutte le nostre forze, a prender parte ai suoi giusti
lavori, e, se è necessario, ai suoi combattimenti e al
111 Cf. O rigene , lbid., Vili, 68-69, pp. 284-286 Koetschau.
112 lbid., Vm, 70, p. 287, che cita liberamente Le 14, 35. H seguito di
questo brano non è meno interessante: Origene parla della «pace
che (nell’intervallo tra le varie persecuzioni) gustano paradossal­
mente i cristiani in mezzo al mondo che li odia» (cf. A Diogtt., V,
16; VI, 5-6).
I CRISTIANI NEL MONDO 161

reclutamento nei suoi eserciti”. A questo si deve


rispondere che noi sosteniamo i nostri sovrani ogni
volta che è necessario, con un soccorso in certo
modo divino, avendo rivestito l’armatura di Dio.
Q u esto lo facciam o per u bb id ire alla voce
dell’Apostolo che dice: “Vi supplico, prima di
tutto, che si facciano domande, suppliche, preghie­
re e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e
per tutti quelli che stanno al potere” (1 Tm 2, 1 s.).
Più abbondiamo in pietà, più soccorriamo efficace­
mente i sovrani, molto meglio dei soldati...».113

Ricordando che anche i sacerdoti pagani sono esentati dal


servizio militare per poter conservare pure le loro mani,
Origene sottolinea abilmente questa funzione sacerdotale dei
cristiani:

«Non è ancor più ragionevole che i cristiani, men­


tre altri militano come soldati, militino come sacer­
doti e servi di Dio, conservando pure le loro mani,
e combattano con le loro preghiere per i difensori
delle giuste cause e per i giusti sovrani?».

Il seguito sviluppa a lungo lo stesso argomento: con le lo


preghiere i cristiani trionfano dei demoni che suscitano le
guerre, e sono così molto più utili dei soldati.114 Ma Origene
non si accontenta di una manifestazione oratoria. Spinge il
suo pensiero più avanti e lo arricchisce con un’analisi più
profonda di quanto abbiano fatto altri prima di lui: il ruolo
dei cristiani non si limita alla preghiera, essi non si rendono
utili alla patria soltanto intercedendo per essa in qualità di
sacerdoti nel segreto del loro cuore, ma anche insegnando ai
loro concittadini la vera pietà, la vera religione, aprendo loro
in questo modo l’accesso alla Città eterna.115

113 O r i g e n e , ibid., Vili, 73, p. 290.


114 Cf. ibid., p. 291.
115 Cf. ibid., Vili, 74-75, pp. 291 s. Strada facendo, Origene è con­
dotto, come VA Diogneto (V, 4; 9), a sottolineare l’opposizione
tra le due patrie del cristiano: Vili, 75, p. 292: «Noi sappiamo
che c’è in ogni città un altro genere di patria, fondata dal Verbo
di Dio», άλλο σύστημα πατρίδος.
162 COMMENTO

È un progresso decisivo nell’elaborazione della dottrina:


non è soltanto da un punto di vista temporale che l’intercessio­
ne dei santi è feconda per il mondo, ma anche, e in modo molto
più reale, la loro azione contribuisce alla salvezza eterna, al vero
destino dell’umanità e della creazione. I cristiani lavorano per la
salvezza del mondo con la loro predicazione, con l’esempio
delle loro virtù, - altrove Origene aggiungerà: e con il loro
sacrifìcio, la morte dei martiri, la passione del Cristo.116
In tal modo Origene fa apparire, molto più nitidamente
dei suoi predecessori, compreso Giustino, il legame segreto
che unisce i due temi dell’intercessione cristiana e del ritardo
della parusia finale: ciò accade perché la durata della storia è
subordinata al compimento dell’economia divina della salvez­
za dell’umanità, compimento che non può perfezionarsi se
non grazie alla fatica, all’opera propria della Chiesa, e pertan­
to la sua attività determina, in un certo senso, questa stessa
durata della storia.
È, s’intende, in tale prospettiva, autenticamente spirituale,
che l’aspetto escatologico della nostra tesi è ripreso ed espres­
so da Origene. Lo abbiamo rilevato, discretamente ma ferma­
mente espresso di sfuggita, in uno dei testi citati sopra: in altre
opere Origene vi ritorna e lo sviluppa con ampiezza. È il caso,
per esempio, del Commento al Vangelo di Giovanni dove, tro­
vandosi spinto117 a commentare il testo di Matteo «Voi siete il
sale della terra», Origene dichiara:

1?6 Bisogna rileggere per questo l’ammirabile cap. X X X del-


l’Esortazione al martirio, pp. 26 s. Koetschau (GCS 2); cf. anche
In Joh., VI, 54 (36), p. 163 Preuschen (GCS 10).
117 A proposito di Gv 1,29, «Ecco ΓAgnello di Dio che toglie i pec­
cati del mondo», Origene si mette a spiegare il senso che nella
Scrittura assume il termine κόσμο?. Egli comincia col restringere
alla sola Chiesa questo senso, non senza equivocare sul duplice
significato del greco κόσμο? (l’universo in quanto ordinato, ma
anche semplicemente: abbigliamento, ornamento). Come spesso
accade in Origene, la sottigliezza un po’ vana di questi virtuosi­
smi verbali serve ad esprimere un pensiero profondo e giusto: il
kosm os è la Chiesa che è «l’ornamento del mondo»,
κόσμο? του κόσμου. Ma la Chiesa a sua volta possiede un
«ornamento», κόσμο?, che è il Cristo, prima luce del mondo.
Così il Cristo e i suoi discepoli (ma, come si vede, in modo
subordinato) sono «la luce del mondo». Origene ha preso
I CRISTIANI NEL MONDO 163

«I credenti sono il sale della terra, cioè di tutto l’in­


sieme degli altri uomini. Con la loro fede sono
responsabili della conservazione del mondo. Il
compimento finale giungerà quando il sale sarà
divenuto insipido, quando non ci sarà più nulla per
salare e conservare il mondo».118

Altrove insiste ancora di più, sottolineando in particolare


la responsabilità dei cristiani, e riprendendo così un tema che
gli è familiare (quello della partecipazione attiva che spetta
loro nella realizzazione del piano divino della salvezza) nel
corso di un commento dei prodromi della catastrofe finale,
come sono descritti nella «piccola Apocalisse» del Vangelo
secondo Matteo:119

«Finché coloro ai quali il Signore ha detto: “Voi


siete il sale della terra”, continuano a essere sale
della terra, l’universo continua a sussistere, mante­
nendo la propria coesione grazie al sale, ma quando
il sale stesso sarà divenuto insipido, allora, per par­
lare come la Scrittura, ciò che salava diventerà insa­
pore come gli alimenti senza sale, si corromperà,
imputridirà, si disgregherà.
Così, finché permane la “luce del mondo”, l’univer­
so è sottoposto alla guida di questo luminoso chia­
rore; ma quando questa stessa luce sarà diminuita
nello spirito degli uomini, perché non più alimenta­
ta dal combustibile appropriato, allora l’universo
sarà ricoperto dalle tenebre e sommerso nella tri­
stezza e nelle calamità: subirà una sorta di assalto

coscienza perfettamente, ed esprime molto chiaramente, la dot­


trina che ci è parsa ispirare il testo dellVl Diogneto: poiché la
Chiesa è il Corpo mistico di Cristo, ftoi possiamo riconoscerle
questo ruolo di animazione del mondo che il pensiero pagano
attribuiva a una potenza divina. Cf. ancora In Joh., I, 25 (24),
p. 31 Preuschen; In Lue., 12, p. 236 Rauer (GCS 35); 13, p. 238;
In Gen., 1,5-6, pp. 7 s. Baehrens (GCS 29).
118 O rig en e , In Job., VI, 59 (38), pp. 167 s Preuschen.
119 Cf. Mt 2 4 ,4 ss.
164 COMMENTO

generale da parte delle potenze avverse che non


incontreranno più l’opposizione dei santi e del Cri­
sto in loro, che fino a quel momento si erano loro
opposte. Ma, come nelle tenebre, agiranno senza
ostacolo nel cuore degli uomini pér sollevare “popo­
lo contro popolo e regno contro regno” (Mt 24,7). E
se, come qualcuno pensa, sono queste potenze e gli
angeli di satana che vengono a provocare carestie e
peste, allo stesso modo queste acquisteranno forza
quando i discepoli di Cristo non saranno più sale
della terra e luce del mondo, essi che sono i principi
della divina potenza e che distruggono fra gli uomini
le battaglie che vi suscitano le potenze avverse e tutto
ciò che la loro malizia può seminarvi».120

P e r s is t e n z a d e l l a t r a d iz io n e

Siamo così giunti a un vertice: da nessun’altra parte ritro­


veremo ormai la nostra tesi analizzata più profondamente ed
espressa con più insistenza. Possiamo fermarci qui con la
nostra ricerca, tanto più che, dopo Origene, cominceremmo
ad allontanarci troppo dal periodo nel quale può essere stato
scritto il nostro A Diogneto. E tuttavia importante, per l’esatta
valutazione della sua dottrina, sottolineare che questa nozione
del ruolo positivo dei cristiani nel mondo non cesserà mai di
appartenere al tesoro della tradizione dottrinale della Chiesa:
essa non è mai veramente scomparsa, benché abbia potuto
essere oscurata da una preoccupazione esclusiva per l’aspetto
antropocentrico della salvezza e da un certo disprezzo per le
sue prospettive cosmiche, senza parlare (per l’epoca moderna)
dell’insistenza talvolta eccessiva con la quale è stato sottoli­
neato il carattere personale, se non individualista, del proble­
ma religioso.
D ’altra parte, nel corso dei secoli le circostanze storiche
sono venute a trovarsi completamente cambiate, sicché la pre­
sentazione della dottrina non ha potuto non subire dei muta­
menti. Il più importante da segnalare è quello che consiste nel

120 ORIGENE, Gommentariorum series in evangelium Matth., 37,


p. 70 Klostermann (GCS 38). Cf. anche Framm. in Matth., 90-91.
I CRISTIANI NEL MONDO 165

riservare a una élite di spirituali, di contemplativi e di santi,


quel ruolo di animatori del mondo che VA Diogneto attribuiva
direttamente ai cristiani nel loro insieme. Il fatto è che lo scrit­
to appartiene all’epoca eroica, nella quale la persecuzione
ritemprava incessantemente il «metallo» della Chiesa. La mi­
naccia sempre presente, la sanzione del martirio servivano a
provare in tutti i fedeli la qualità della loro fede. Ma non ap­
pena la situazione storica cambia, ecco verificarsi quella tra­
sposizione che già abbiamo visto delinearsi per la prima volta
in Clemente.121
A partire dal trionfo della Chiesa,122 non è più possibile
identificare l’insieme dei fedeli con il popolo dei santi: l’opera
di Eusebio, testimone di questa grande trasformazione e
primo teologo dell’im pero cristiano, è a questo riguardo
molto significativa. Egli distingue molto nettamente le due
categorie di cristiani che un’analisi tanto sociologica quanto
spirituale non cesserà più di distinguere nella Chiesa, a partire
dal IV secolo fino ai nostri giorni: da un lato la massa che vive
nel mondo, la quale pur cerca di ubbidire, secondo il suo
livello, alle leggi della morale e della religione; dall’altra parte
una élite di spirituali che, con la rinuncia e l’ascesi, si sforzano
di attuare nella sua perfezione l’ideale cristiano, consacrando­
si totalmente al servizio di Dio, mossi soltanto dall’amore per
le cose celesti. Sono i soli in grado di adempiere la funzione
di intercessori e quindi «esercitano una funzione sacerdotale
che va a profitto di tutti i loro fratelli, oltre che di se stessi»,
τήν ΰπερ σφων αύτων καί των σφίσιν ομογενών άποτελουσιν
Ιερουργίαν.123
In pratica questa categoria superiore si identifica con l’am­
biente monastico (chi è il monaco se non il cristiano che sce­
glie la via perfetta?), e sarà ormai appannaggio dei monaci il
ruolo cosmico definito dall VI Diogneto. Dalla metà del IV se­

121 Si ritrova in Origene: nel testo dell’/» Joh., VI, 59 (38) analizzato
sopra, egli distingue e oppone i (veri) discepoli di Cristo e i sem­
plici fedeli («quelli che invocano il nome di Cristo»), dove i
primi sono la luce del «mondo» costituito dal secondo gruppo.
122 Fermo restando che tale trasposizione si delineava già molto
prima, come abbiamo visto, in Clemente e Origene.
123 E usebio di Cesarea, Detnonstr. evangel., I, 8, pp. 39 s. Heikel
(GCS 23).
166 COMMENTO

colo, Serapiòne di Thmuis, amico di sant’Antonio e di sant’A-


tanasio, dunque un testimone della prima grande fioritura del
monacheSimo, non esita, scrivendo ai monaci di Alessandria,
ad applicare a loro la parola del Salvatore: «Voi siete la luce
del mondo», e prosegue così:

«Felice il mondo a causa vostra! A causa vostra, l’uni­


verso è salvato grazie alle vostre preghiere; grazie alle
vostre suppliche la pioggia scende sulla terra, la terra
si copre di verde, gli alberi si caricano di frutti e, ogni
anno, la piena del Nilo irriga l’Egitto intero...».124

Allo stesso modo si esprime più tardi Giovanni Crisostomo,


sempre a proposito dei monaci:

«Essi sono i luminari dell’universo...125 Essi sono


lampade che brillano ovunque sulla terra; essi sono
come bastioni disposti intorno alle città».126

Così anche si esprime, verso il 400, il diacono Timoteo di


Alessandria, se è veramente a lui che va attribuita la redazione
originale della Historia Monachorum, per molto tempo nota
sotto il nome del suo traduttore latino Rufino. Nella sua prefa­
zione, parlando dei Padri del deserto, egli dice:

«È molto evidente che a causa loro il mondo si


sostiene e a causa della loro intercessione la vita
umana si sostiene e assume valore agli occhi di
Dio».127

124 Epist. ad monachos, 3, PG 40, 928 D-929 A.


125 In Matth. Hom., 68,3, PG 58, 644 (ad 674).
126 lbid., 72,4, col. 672 (ad 707).
127 Historia Monach., prol., PG 65, 445 A. La traduzione di Rufino,
PL 21, 389-390 (ad 119-120) riassume: dubitari non debeat ipso-
rum meritis adhuc stare mundum. Si veda nello stesso senso:
C allinicus, Vita di Ipazio, 24,3, p. 41 in FESTUGIÈRE, Les Moines
d’Orient, Π, Paris 1961.
I CRISTIANI NEL MONDO 167

Il lettore avrà notato, d’altra parte, in questo testo, lo ste


so rovesciamento di prospettiva che avevamo sottolineato in
Aristide: l’azione che VA Diogneto descriveva dal punto di
vista dei cristiani è presentata ora in funzione del mondo.
C’è un’altra trasposizione che avevamo trovato esplicitata
per la prima volta in Clemente d’Alessandria e che, proceden­
do nel corso dei secoli cristiani, ebbe notevole fortuna.
Anziché sottolineare Ciò che i santi, le loro preghiere e il loro
ruolo sacerdotale portano al mondo, si analizza questo rap­
porto in funzione dei santi stessi: è per loro che il mondo è
stato fatto. Questa è la dottrina cara ai grandi dottori della
scolastica, e che si può facilmente esprimere con la formula
omnia propter electos,128
Benché rovesciato, è comunque lo stesso rapporto, e,
tanto sotto questa forma come sotto la sua forma diretta, la
tesi deU’^4 Diogneto non cesserà di essere presentata al pensie­
ro e alla spiritualità cristiana lungo tutto il medio evo e fino a
noi. Si potrebbero facilmente moltiplicare le testimonianze,
prendendole dalle più diverse epoche e famiglie spirituali.
Così, verso il 1270, l’autore carmelitano della Ignea sagitta129
dedica tutto un magnifico capitolo a descrivere come tutta la
natura si associ al canto di lode dell’ufficio cantato dai solitari.
Gli astri e le montagne, gli uccelli e i fiori non sono soltanto a
servizio del monaco, un’occasione o un modello: il legame è
più diretto e si tratta proprio di una liturgia cosmica (e questa
volta il cosmo va oltre i confini della sola umanità):

«Q ueste montagne, fratelli miei, si uniscono ai


salmi che cantiamo a gloria del Creatore, come il
liuto accompagna le parole. Quando noi lodiamo il
Signore, le radici crescono, l’erba si fa verde, i rami
e gli alberi a modo loro si rallegrano e plaudono
alle nostre lodi...».130
128 L’espressione, strappata a forza dal suo contesto, viene da 2 Tm
2, 10. Si veda per la dottrina (ma senza riferimento a questo
testo) TOMMASO d ’A q u in o , In ep. ad Romanos, c. 8, lect. 4;
D uns SCOTO, Op. Oxon., ΠΙ, d. 32, qu. 5, n. 6, quarto.
129 Nicola il Francese, secondo priore generale delPOrdine del
Monte Carmelo, in FRANCOIS de Sainte-Marie, Les plus vieux
textes du Carnei, Paris 1945, p. 151.
130 Ignea sagitta, c. 11, trad. frane., ibid., p. 183.
168 COMMENTO

L ’idea che i contemplativi siano realmente «responsabili


della conservazione del mondo» era cara a Taulero, e ritorna
spesso nei suoi sermoni. E davvero degno di nota ritrovare,
sotto la penna di questo domenicano di Strasburgo del X IV
secolo, tutte le variazioni già modulate su questo tema dagli
antichi scrittori cristiani del II e III secolo, la preghiera effica­
ce e la conservazione del mondo:

«Dio riposa su queste persone e tramite loro dirige


e governa il mondo intero e tutte le creature... Essi
portano il mondo intero, sono le nobili colonne del
mondo... Sono i pilastri del mondo e della santa
Chiesa... Queste persone pregano per la santa cri­
stianità e la loro preghiera è sempre esaudita... Ecco
coloro sui quali riposa la santa Chiesa, e se essi non
esistessero nella santa cristianità, la cristianità non
sussisterebbe nemmeno per un’ora. Perché la loro
sola esistenza, il fatto che ci sono, è qualcosa di più
prezioso e più utile di tutta l’attività del mondo...131

Più vicino a noi, si potrebbero citare pensieri analoghi da


santa Teresa d’Avila. Infine, Newman, dedicando nel 1836 un
sermone ζΆ’omnia propter electos, ritrova anch’egli la stessa
filosofia della storia:

«San Paolo dice che il Cristo è venuto [...] per far


scendere un cielo sulla terra... È quanto il cristiane­
simo ha compiuto nel mondo; tale è il risultato
dell’insegnamento cristiano: far nascere, crescere e
maturare i germi celesti che sono nascosti nella
terra, moltiplicare (se così si può dire) delle imma­
gini di Cristo che, anche se poco numerose, hanno
più valore di tutto il resto degli uomini...132

131 TAULERO, Sermons, traduits sur les plus anciens manuscrits alle-
mands par le RR. PP. Hugueney, Théry et A.L. Lorin, t. Π, p. 223,
1.1, pp. 202,343,296; t. Π, p. 247; cf. ancora ibid., p. 192,24,183.
132 N ew m an , Parochialplain sermons, t. IV, n. 10, pp. 177,180 s.
I CRISTIANI NEL MONDO 169

Anche oggi, infine, basta che il teologo mediti sull’anima


stessa della Chiesa o sulla missione della vita contemplativa,
per essere chiamato a mettere in luce sia «Pinterdiffusione
della carità» che «si impadronisce di tutto ciò che si fa di este­
riore nella Chiesa, purché si tratti di cosa in sé buona, allo
scopo di comunicarle uno spirito di vita»,133 sia l’utilità dei
contemplativi «che pregano Dio per il mondo, attirano Dio
con le loro preghiere» sicché essi «aiutano a compiere le loro
opere, delle quali, agli occhi di Dio, sono i veri autori».134

O r i g i n a l i t à d e l l ’A D io g n eto
A questo punto, non dovrebbero esserci dubbi sul fatto
che la tesi, a prima vista paradossale, dei nostri capitoli V e VI
sia autenticamente cristiana, profondamente radicata nella più
costante tradizione. Per giungere a «caratterizzare in quanto
padre della Chiesa» YAuctor ad Diognetum , bisognerebbe
poter situare con precisione il posto di anello che esso occupa
in questa stessa tradizione: di questa dottrina, egli è un testi­
mone fra tanti altri, oppure, se non la fonte, almeno uno dei
primi elaboratori?135 Per rispondere sarebbe necessario poter
preliminarmente risolvere il problema di storia letteraria po­
sto dal nostro testo e averlo collocato con precisione nel suo
tempo. Non sembra che la cosa sia realmente possibile. Af­
fronteremo questo problema alla fine e proporremo un’ipote­
si, ma i risultati della ricerca portata avanti con tanta pazienza

133 Ch. J o ur n et , L ’àme incrée de l'Église, in Nova et Vetera 22,


1946-1947, che cita in particolare Taulero.
134 Francois de Sainte-Marie, La mission de la vie contemplative dans
l’Église d’aujourd’hui, in La vie spirituelle 81, 1949, pp. 67-71, che
cita in particolare Gerson.
135 E, in questa stessa elaborazione, bisognerebbe poter assegnare la
parte che spetta alla meditazione dei dati propriamente cristiani,
e quella che spetta a un’influenza esterna, in particolare quella
del giudaismo, sia alessandrino (Filone) che rabbinico. D lettore
avrà notato, cammin facendo, i punti di contatto così precisi da
noi segnalati tra questa «tesi» e le tradizioni giudaiche sul ruolo
cosmico rivendicato per il popolo d’Israele (cf. pp. 132, n. 36;
146, n. 72; 149, n. 78; 152, n. 87; 158, n. 109)
170 COMMENTO

e ingegnosità dall’erudizione moderna non ci sembra autoriz­


zino una conclusione abbastanza solida per potervi appoggia­
re delle induzioni di carattere dottrinale.
Ferm e restando, s’intende, tutte le sorprese alle quali
potrebbero condurre ulteriori scoperte, lo stato attuale delle
nostre conoscenze permette almeno di precisare l’originalità
propria del nostro autore, che sembra essere prima di tutto di
ordine letterario, poetico (nel senso pieno del greco ποιητικός).
Quanto al pernierò, come abbiamo visto, altri, oltre a lui,
l’hanno conosciuto ed espresso sotto diverse forme. Ma nes­
suno, fra tutti gli scrittori che possiamo rileggere, ha saputo
sintetizzarlo in una forma così netta, così piena nella sua inci­
siva brevità: «Ciò che è l’anima nel corpo, questo sono i cri­
stiani nel mondo».
Si sono prodigati molti sforzi per cercare di contestare que­
sta originalità,136 ma non vedo che siano stati coronati da suc­
cesso. Si mette nel dibattito una frase di Filone137 ripresa più
tardi da Massimo il Confessore e Giovanni Damasceno:138 «Lo
spirito, νους, è nell’anima ciò che è l’occhio nel corpo», o anche
l’immagine analoga di Clemente d’Alessandria:139 «Ciò che l’oc­
chio è nel corpo, la gnosi è nello spirito». Accostamenti senza
alcun peso: l’immagine è diversa, e diversi sono i concetti.140
È la frequentazione delle opere di Origene che fa meglio
risaltare l’originalità dell’^ Diogneto. Origene, come abbiamo
visto, possiede certamente questo concetto: sotto parecchi
aspetti, con molte sfumature e nei più svariati contesti, lo
vediamo espresso in tanti modi. Sembra che la formula debba
scaturire da un momento all’altro sotto la sua penna; cosa
curiosa, lo vediamo all’opera nell’elaborazione della stessa

136 Vedere in particolare il commento di GEFFCKEN, Der Brief an


Diogn... cit., p. 19, righe 32 s., che cita Filone e Clemente.
137 Cf. F ilone , De opif, 53; ibid., 69: il voti? è nell’uomo ciò che è
nel m ondo l’elemento divino che lo dirige (è l’idea stoica che ·
abbiamo commentato sopra, p. 137).
138 Cf. M assim o , De anima, citato da GIOVANNI DAMASCENO,
De fide orthod., II, 12, PG 94, 924 B.
139 Cf. Strom., Ili, 5, p. 216 Stàhlin.
140 Analogia ancor più lontana: CICERONE, De republ., ΙΠ, 27 (37) =
A g o stcn o , C. lulianum, IV, 12 (61): le autorità (imperia) coman­
dano ai cittadini come l’anima (animus) ai corpi.
I CRISTIANI NEL MONDO 171

immagine: il ruolo dell’anima nel corpo gli serve per spiegare


la struttura del mondo, paragonato a un essere vivente e
anch’esso provvisto di un’anima:

«Come le diverse membra del nostro corpo sono


coordinate in unità e sostenute (continetur =
συνέχεται) da un’ionica anima, così mi pare si deb­
ba considerare l’universo intero come un immenso
e gigantesco essere animato, sostenuto, come da
un’unica anima, dalla potenza e dal verbo di Dio
(ratione = λόγω)».141

Lo si sente, Origene non è arrivato a incontrarsi con


VA Diogneto, ma, al momento di concludere, si è ricollegato al
concetto banale, ereditato, come abbiamo visto, dalla tradizio­
ne pagana, e qui cristianizzato soltanto dal riferimento al
Verbo: «è l’azione di Dio che anima il mondo». Senza dubbio
anche Origene afferma, e ce lo ha mostrato, che questa poten­
za divina si manifesta nel mondo mediante i cristiani. Parreb­
be naturale sentirlo concludere: dunque i cristiani sono l’ani­
ma del mondo; e invece non l’ha fatto, né qui né altrove.
L ’immagine dei rapporti dell’anima con il corpo sarà ripresa
verso il 412 da Agostino, e all’inizio del VH secolo da Massimo
il Confessore; ma, quanto al primo, questi l’applicherà allo
Spirito Santo142 che anima il Corpo del Cristo che è la Chiesa; e
l ’altro, alla consumazione escatologica del disegnò di Dio,
quando noi diverremo come le membra del suo corpo ed egli si
unirà a noi in spirito alla maniera di un’anima al corpo.143

141 O rig e n e , D e P rin c ip ili, II, 1,3, p. 108 Koetschau (GCS 22).
142 Cf. AGOSTINO, S e r m o n e 267, 4 (4), PL 38, 1231: «Quod autem
est anima corpori hominis, hoc est Spiritus Sanctus corpori
Christi, quod est Ecclesia...».
143 C f. M a ssim o i l C o n f e s s o r e , A m b i g u a , PG 91, 1097 B:
προωρίσθημεν προ τών αιώνων έν αύτψ είναι ω ς μέλη του
σώματος αύτου, ψυχή? τρόπον προ? σώμα, έν πνεύματι συν-
αρμολογουντος· έαυτω. Il seguito, col. 1100 AB, descrive detta­
gliatamente l’azione dell’anima nel corpo, ma non esplicita l’ap­
plicazione fatta a Dio e agli uomini; cf. più sopra, col. 1092 C, a
proposito della risurrezione: i legami dell’anima con il corpo
diverranno indissolubili «affinché l’anima sia per il corpo ciò che
Dio è per l’anima».
172 COMMENTO

Come vediamo, l’originalità deli’Auctor ad Diognetum resta


totale. Questo vuol dire forse che il suo pregio è unicamente di
ordine letterario? La sua formula non è soltanto felice, ben
coniata, espressiva, ma è anche feconda. Accingendoci al suo
studio, quasi ci dispiaceva che la brevità, per un verso quasi
gnomica, rendesse incerta la sua esegesi. Per contrasto è ne­
cessario vedere che, scegliendo, per esprimere la sua dottrina,
non una serie di proposizioni dogmatiche, ma una metafora -
i cristiani sono Γanima del mondo - , un’immagine della quale
lungo tutto il capitolo V I egli descrive con compiacenza i
diversi attributi e della quale analizza la convenienza, l’autore
si trovava ad adottare un procedimento espressivo di ordine
propriamente poetico: una formula pregnante che suggerisce
più di quanto non dica e che si offre alla meditazione come un
tema capace di variazioni, di trasposizioni e di modulazioni
indefinite.
Ciò significava scegliere il partito che offriva alla tesi il
mezzo di presentarsi nella sua forma più stringata e generale.
Noi abbiamo seguito lo sforzo compiuto dagli Apologisti e
dagli Alessandrini per elaborare con maggior precisione la
nostra dottrina, ma, come si sarà notato, nella misura in cui
ciascuno la precisa, la mutila, la limita a questo o a quello dei
suoi aspetti, la fissa a questo o a quel livello delle sue possibili
applicazioni. Lo stesso grande Origene, che più di chiunque
altro ha scavato profondamente il tufo dottrinale dal quale
scaturisce questa vena d’acqua viva, non ci offre altro che una
serie di formulazioni particolari, di intuizioni isolate, che solo
la brillante immagine dell’^4 Diogneto permette alla mente di
raccogliere in un’unica intellezione.
Funzione sacerdotale dei cristiani, preghiera efficace, in
particolare per gli aiuti che la città terrena attende, esempio e
modello dati dalla virtù cristiana, azione missionaria, santifica­
zione del mondo, compimento della sua storia, raccolta del
popolo degli eletti, ritardo apportato all’ultima parusia, o
meglio, determinazione della durata utile del mondo...: l’afori­
sma del nostro capitolo V I dice ad un tempo tutto questo.
Tutto questo e più ancora, perché la fecondità della sua dot­
trina non si limita solo alle applicazioni che ne hanno potuto
trarre gli autori antichi: il teologo moderno, più attento dei
suoi predecessori al significato spirituale dei valori propria­
mente temporali, si sentirà del tutto naturalmente portato,
I CRISTIANI NEL MONDO 173

argomentando a maioribus ad minora, ad intendere questo


ruolo animatore della presenza cristiana nel mondo al di là
della sfera propriamente soprannaturale. Chi non misura la
fecondità visibile o segreta dell’apporto di verità, sanità,
autenticità che il cristiano, operando nel mondo su un piano
puramente terreno, dà alla civiltà e alla città in cui la storia lo
trova inserito? Ed è per questo che il teologo di oggi si trova
indotto a pregare perché non soltanto la grazia del Signore
moltiplichi nella Chiesa quei grandi contemplativi, quei santi
che, in ultima analisi, danno alla creazione la sua piena ragion
d’essere, ma susciti anche un numero sempre più grande «di
uomini d’azione integri, retti, magnanimi» capaci di far ri­
splendere la verità, la giustizia, la pace e l’amore sul piano
della tecnica e della città, perché Sodoma ha bisogno anche di
questi «giusti dediti all’azione».144
Bisogna infine sottolineare, non direi un altro pregio, ma
un profondo motivo di interesse: il capitolo V fa da preludio
al canto trionfale del seguente mediante un’analisi del «para­
dosso» e del «mistero» cristiano. Questi cristiani, che poi ci
verranno mostrati come l’equivalente di un’anima cosmica,
sono quei pochi uomini sconosciuti, disprezzati o dispersi in
un impero che risponde al loro appello con l’odio e la perse­
cuzione. Il contrasto così fieramente sottolineato impone
all’attenzione del lettore moderno una feconda riflessione. Per
un uomo spirituale del X III ο X IV secolo, che viveva in seno
a una cristianità «sacrale», unanime o quasi nella fede, i cui
limiti d’altronde si identificavano praticamente con quelli
dell’umanità conosciuta, poteva essere naturale rappresentarsi
l’universo, e specialmente la società umana, come un vasto
organismo gerarchizzato, che poggiava, in ultima analisi, su
questi «pilastri» che sono i contemplativi. Come la natura ina­
nimata è al servizio dell’uomo,145 allo stesso modo, in seno
alla società umana, tutto cospirava - le istituzioni sociali come
le tecniche e le arti - a ordinare il «mondo» al suo fine

144 Ch. JOURNET, Exigences chrétiennes en politique, Paris 1945,


pp. 426 s., «La preghiera di Àbramo».
145 Cf. TOMMASO d ’A quino , Summa theol., I, q. 65, a. 2, alla fine:
«Creaturae ignobiliores sunt propter nobiliores, sicut creaturae
quae sunt infra hominem sunt propter hominem, ecc.».
174 COMMENTO

soprannaturale, a ordinare la creazione per ricondurla al


Creatore. Poteva allora sembrare naturale concludere: omnia
propter electos. Ma oggi, per noi che, almeno in Europa,
vediamo chiudersi una parentesi aperta nella storia con la
conversione di Costantino, per noi che ci ritroviamo, pusillus
grex, dispersi in seno a un mondo ostile o indifferente, di gior­
no in giorno sempre più profondamente scristianizzato, è par­
ticolarmente utile udire una voce che viene da tanto lontano,
come quella dell’yl Diogneto, proclamare, con la tranquilla
audacia che infonde la sicurezza della fede - e ciò in un conte­
sto storico tanto ribelle alla speranza qual è ora il nostro, m
mezzo alle persecuzioni e a un mondo ancora tutto pagano - ,
che, benché i cristiani «non si distinguano dagli altri uomini
né per regione né per linguaggio né per abito», tuttavia «ciò
che è l’anima nel corpo, questo essi sono nel mondo. Sono
essi che sostengono il mondo... Dio ha loro assegnato un posto
tale che non è loro lecito tirarsi indietro...» (V, 1; VI, 7; 10).
175

C apitolo 3

INIZIAZIONE
ALLA FEDE CRISTIANA
(CAPP. VII-IX)

Adesso possiamo procedere più rapidamente. Questa


terza parte non si presta per nulla a un commento utilmente
sviluppato. Una volta ancora dobbiamo rammaricarci che i pro­
blemi di storia letteraria riguardanti il nostro testo non abbiano
potuto essere preliminarmente risolti, com’è di regola. Se fosse
datato con certezza e situato con precisione, VA Diogneto sareb­
be un notevole testimone dello stato raggiunto in quel tale perio­
do e in quel tale ambiente dall’elaborazione dottrinale della fede.
Purtroppo, al contrario, è alla storia dei dogmi, quale si è potuta
stabilire peraltro al di fuori di esso, che d dovremo rivolgere per
fissare la situazione cronologica del nostro testo.
Questa terza parte si presenta, lo annunciamo, come una
catechesi elementare: l’autore, dopo aver fatto intravedere al
suo uditore pagano le meraviglie del mistero cristiano, cerca
ora di esporre a grandi linee questa fede, che ben presto lo
solleciterà ad accogliere (X, 1). I capitoli V II-IX portano una
risposta alla prima e alla più fondamentale delle domande
poste all’inizio (I, l a): «Qual è il Dio dei cristiani?» e, strada fa­
cendo, alla domanda d (il loro disprezzo della morte: VII, 7-9) e
poi, con particolare insistenza, alla domanda h (cur tam sero?
V ili, 7 -XI, 2).

L a la c u n a di V ili, 6 -7

È difficile valutare l’ordinamento e la costruzione di que­


sta esposizione, perché la continuità del testo è interrotta alla
fine del § VII, 6 da una lacuna1 segnalata in un’annotazione

1 Les lacunes dell’A Diognète sono state oggetto di un Essai de solution


ingegnoso e ardito da parte di Dom Bernard BlLLET in RecSR, 45
(1957): supponendo un’inversione di fogli nell’archetipo Φ, egli
176 COMMENTO

marginale dal copista del manoscritto F, che la attribuisce


all’antichità del suo modello. Bisognerebbe poter congettura-
re almeno l’estensione di questa lacuna, ma purtroppo lo stato
della serie di concetti nelle parti che l’inquadrano non facilita
affatto la ricostituzione dell’insieme troncato: dopo aver ripreso,
al principio del capitolo V II, il tema abbozzato in V, 3
(la religione cristiana ha un’origine soprannaturale, rivelata),
l’autore passa del tutto spontaneamente a parlare dell’agente
di questa rivelazione, il Verbo salvatore, e della sua missione
sulla terra (VII, 2-5). Poi passa all’annuncio del suo secondo
avvento e della parusia (VII, 6). E qui che il testo si interrom­
pe: riprende per parlarci della fermezza dei martiri, della por­
tata della loro testimonianza (VII, 7-9), e quindi riparte in
V III, 1 per ritornare per la terza volta sull’origine soprannatu­
rale del cristianesimo. E chiaro che i brevissimi paragrafi dedi­
cati ai martiri rappresentano la fine di uno sviluppo comincia­
to nel corso della lacuna, cercando di rispondere dettagliata-
mente alla domanda I, l d, sviluppo che poteva occupare tutta
o parte di questa lacuna, la cui estensione rimane misteriosa.
Non abbiamo altra indicazione a suo riguardo se non la
breve nota del manoscritto F: «È così che ho trovato ancora una
interruzione (lett.: un taglio, εγκοπήν) nel modello, che era
molto vecchio». I critici si sono divisi sul senso da attribuire a
questa indicazione. Tra le ipotesi emerse due sopratutto merita­
no di essere prese in considerazione:2

propone di leggere X, 1-8 immediatamente dopo VII, 6; si ripren­


derebbero dopo X, 8, i §§ VII, 7-IX, 6, poi i capitoli ΧΙ-ΧΠ. Esito
ad accogliere questa soluzione radicale: lo slancio protrettico pro­
gressivo così marcato nel cap. X si capisce meglio letto, come nel
ms. F, tra i capitoli IX e XI-XII. Si rivedano d’altra parte le nostre
osservazioni, p. 25, n. 88; che F fosse crivellato di lacune è cosa
sicura.
2 La discussione approfondita alla quale si è dedicato Dom P.
Andriessen a questo proposito ci dispensa dall’entrare in maggiori
dettagli: L ’apologie de Quadratus conservée sous le titre d'Épztre à
Diognète (I), in RTAM 13,1946, pp. 7 s. e soprattutto 19-24.
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 177

1. Può trattarsi di un brano divenuto illeggibile in seguito


all’usura del manoscritto.3 In questo caso la lacuna potrebbe
essere piuttosto breve. Lo hanno pensato molti, sensibili in
particolare al ripresentarsi, da una parte e dall’altra della lacu­
na, della stessa parola παρουσία; ma essi non prendevano in
considerazione4 il fatto che la parola non ha lo stesso senso da
entrambe le parti, perché in VII, 6 essa designa l’avvento esca­
tologico, il giudizio ultimo, mentre in V II, 9 la «presenza»
continua del Verbo nel suo Corpo mistico. Alcuni si sono per­
ciò azzardati a colmare questa lacuna, come già Sylburg,5
oppure dopo di lui Kihn,6 per il quale la lacuna originale
doveva avere esattamente lo spazio lasciato bianco dal copista
di F, cioè circa una riga e mezzo.7

2. Potrebbe invece trattarsi di un «taglio» nel senso mate­


riale del termine: una parte della pergamena o della carta di Φ
era scomparsa, e questo non può essere un semplice fram­
mento di pagina, perché allora si dovrebbe constatare una
lacuna corrispondente al recto o al verso dello stesso foglio, e
collocata esattamente a una pagina di distanza; ora, il copista
di F segnala una nuova interruzione del suo modello solo in

3 Non può trattarsi, come voleva H. KlHN (Der Ursprung des Briefes
an Diognet, cit., pp. 46 s.), di uno spazio vuoto che si sarebbe già
trovato nel modello Φ, perché allora non si spiegherebbe come F
lo attribuisca al fatto che Φ «era molto vecchio»: cf. ANDRIESSEN,
art. cit., pp. 20 s.
4 Giuste osservazioni a questo proposito da parte di Dom
P. Andriessen , Ibid., pp. 9-11.
5 Ispirandosi a Giustino, Trifone, 110, proponeva: και ταύτην δε την
π α ρ ο υ σ ία ν α υ το υ α ve ν δ ο ια 'σ τω ? π ρ οσ δο κ ώ ν τ α ?
τούς κατά πάσαν την γην έπ’ αύτόν πεπι,στευκότα? ούδεν το πα-
ράπαν έστί το έκφοβείν ή δουλαγωγειν δυνάμενον. Οΰχ ópàs γάρ
πολλαχοΰ κεφαλοτομουμένους τε καί σταυρομενου? καί παρα­
βαλλόμενου? κ.τ,λ. (cf. Otto3, ρ. 188, η. 20).
6 Der Ursprung..., cit., ρ. 162, η. 1: οί γάρ άδικοι κατακριθήσονται,
οί δε πιστεύοντε? εί? αύτόν τεύξονται ζωή?. Διά τοΰτο οί χρι­
στιανοί τοΰ θανάτου καταφρνοΰσιν.Άλλ’ ούχ όράς παραβαλ­
λόμενου? κ.τ.λ.
7 Ibid., ρρ. 45-48.
178 COMMENTO

X I, cioè 750 parole più avanti,8 e ciò lascia dunque presuppor­


re che sia saltato un foglio intero, o anche più fogli. Quindi la
lacuna, come minimo, avrebbe l’estensione di due pagine, e
allora è del tutto inutile cercare di colmarla con congetture.
Con Dom P. Andriessen inclinerei volentieri per la secon­
da so lu zion e, ch e risp etta m eglio il senso del term ine
εγκοπήν (che, propriamente parlando, non significa lacuna in
senso filologico) e che, d’altra parte, ci permette di supporre
che siano andati così perduti sviluppi abbastanza estesi. Ci
voleva infatti non solo lo spazio per avviare la discussione sul
caso dei martiri, ma forse anche una risposta alla domanda I,
lg sul reciproco amore dei cristiani, alla quale nel testo, così
come ci è pervenuto, si trova soltanto una certa risposta, ma
abbastanza indiretta, in X , 4-8,9 e soprattutto alla domanda c
(il disprezzo del mondo), alla quale si fa allusione, ma pro­
priamente parlando, senza rispondere, nel corso dei capitoli V
e VI (cf. V, 5, 8-10; VI, 3 ,5 ). Forse le pagine scomparse con­
tenevano anche altro, dei motivi di credibilità della fede cri­
stiana, delle «prove manifeste», degli «effetti della potenza di
Dio» (cf. V III, 9).10
In questa situazione, bisogna rassegnarsi a prendere così
com’è il contenuto dei nostri capitoli V II-IX. Un’esposizione
che del resto racchiude una materia piuttosto ricca: vi sono gli

8 Seguo sempre ANDRIESSEN, a r t . c i t . , p. 23 (queste 750 parole rap­


presenterebbero di certo il contenuto di circa 4 pagine). Tuttavia
bisognerebbe tener conto della possibilità di altre lacune, suggeri­
te con più o meno verosimiglianza dalla critica interna (cf. I n t r o d . ,
pp. 24 e 25, note) e che potrebbero essere sfuggite al copista di F.
9 Osservazione di F r. OVERBECK, U e b e r d e n p s . - j u s t i n . B r i e f a n
D i o g n e t ( S t u d i e n z . G e s c h . d e r a l t e n K i r c h e , 1.1), pp. 6-9.

10 ANDRIESSEN, a r t . c i t . , pp. 5 s., suggerisce la possibilità che vi si


parlasse dei miracoli del Cristo, ma questa proposta si spiega con
il bisogno dell’autore di introdurre nella lacuna il piccolo fram­
mento di Quadrato conservato da Eusebio, H i s t . e c c l . , IV, 3, 2, e
ciò a motivo della sua tesi: V A D i o g n e t o è V A p o l o g i a di Quadrato.
Discuteremo questa ipotesi più avanti e vedremo le ragioni, a
nostro avviso insormontabili, che vi si oppongono.
IN IZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 179

elementi di una «dogmatica quasi completa»,11 soprattutto se


si uniscono ai dati di questi tre capitoli le allusioni più o meno
esplicite agli articoli della fede che si possono raccogliere nelle
altre parti dell’opera.12 Sforziamoci dunque di raggruppare
l’insieme di queste indicazioni seguendo un piano logico,
guardandoci però bene dall’estrapolare (un rischio dal quale i
nostri predecessori non hanno sempre saputo difendersi) e
dal voler trarre troppo sia dalle proposizioni formulate dal
nostro autore, spesso poco esplicite nella loro banalità, che
dai suoi silenzi.

Il c r is t ia n e s im o c o m e r iv e l a z io n e

A tre riprese, già in V, 3, poi in V II, 1 alle soglie dell’espo­


sizione teologica, e infine, con particolare insistenza, in V ili,
1-5, l’autore afferma il carattere soprannaturale della fede cri­
stiana, che è una conoscenza autentica di Dio, perché viene da
Dio stesso, tramite rivelazione, e l’oppone trionfalmente al­
l’impotenza radicale della ragione umana, incapace di elevarsi
ad una valida intuizione della natura divina. Di qui i suoi sar­
casmi contro gli errori dei filosofi (VII, 2-4).
Eccoci qui riportati in piena apologetica. L ’argomen-tazio-
ne ha senza dubbio una solida base teologica,13 ma qui ha il
ruolo di ritorcere l’accusa comune presso i pagani che, da
Celso a Giuliano l’Apostata, hanno rimproverato ai cristiani

11 Prendo la formula da A. Kayser, a r t . c i t . , p. 268; questo articolo


( i b i d . . , pp. 257 s.) troppo dimenticato merita tuttavia di essere riletto,

in particolare, per l’argomento di cui d occupiamo qui, pp. 268-276.


Ma il migliore degli studi sulla teologia dellVL D i o g n e t o è quello di
J. D o n ald so n , in A c r i t i c a i h i s t o r y o f C h r i s t i a n L i t e r a t u r e , t. Π, cit.,
pp. 127-134; cf. anche L. B. R ad ford , T h e e p i s t l e t o D i o g n e t u s ,
cit., pp. 38-42 (per la cristologia).
12 Per il momento si lascerà da parte l’apporto dei capitoli XE-XII,
la cui autenticità è stata contestata e che è quindi meglio esamina­
re in seguito, a parte.
13 Cf. J. LEBRETON, H i s t o i r e d u d o g m e d e l a T r i n i t i , t. II, Paris 1928,
p. 413, a proposito della stessa dottrina in Giustino.
180 COMMENTO

di essere degli illetterati presuntuosi, che ignorano la nobile


cultura classica e la sua tradizione filosofica.14
Inutile insistere sul carattere ingenuamente elementare
delle allusioni tecniche del § V ili, 2, dove il nostro autore
ricorda la definizione del «primo principio» secondo Eraclito,
Talete, ecc.: la sua scienza in merito può sembrarci limitata
quanto quella di un liceale di oggi, ma bisogna dire a sua
discolpa che la tradizione dossografica non forniva agli antichi
letterati una documentazione molto più ricca di questa!
Ci si può sentire tentati di tacciare di ingenuità anche l’equi­
valenza tra il concetto di Dio e quello di αρχή, principio gene­
rale della natura delle cose nella filosofia ionica. Ma si tratta qui
soltanto dell’espressione stringata e rapida di un tema divenuto
tradizionale e che non mancava del tutto di qualche fondamen­
to ragionevole. Π giudaismo alessandrino, dopo la Sapienza,15 e,
alla sua scuola, l’apologetica cristiana dopo Aristide16 sceglieva­
no volentieri come punto di applicazione della loro polemica
contro l’«idolatria» il culto degli elementi cosmici, e questa
scelta non aveva nulla di arbitrario: avevano il diritto di vedere
in ciò la forma più profonda e in qualche modo l’essenza del
paganesimo. La propaganda stoica17 aveva reso familiare a
tutti i contemporanei l’interpretazione fisica delle divinità del
panteon tradizionale (Era, l’aria; Poseidone, l’acqua, ecc.), e si
poteva a buon diritto vedere qui il risultato dello sforzo più

14 Cf. il materiale raccolto intorno a Minucio F elice, 8, 4 da M. P e l­


le g rin o nella sua edizione commentata d e l l O c t a v i u s , Torino 1947,
pp. 88 s. (coll. S c r i t t o r i l a t i n i c o m m e n t a t i , t. CLXXIII).
15 Cf. Sap 13, 2; si segue la stessa tradizione in Filone, per es.,
D e d e c a l . , 52-55.

16 Cf. A ristid e, A p o i . , 4-6; cf. l’insieme dei testi raccolti da G e f­


fcken, Z w e i g r i e c h . A p o l o g . , cit., p. 50: ATENAGORA, S u p p l . , 16; 22;
Clem ente d’Alessandria, P r o t r e t t . , V, 64-65; Pseudo-M elitone,
O r . , 2 ; Arnobio, A d v . n a t . , Ili, 35; L a tta n z io , D i v . I n s t . , II, 5;

FlRMICO, D e e r r o r e p r o f , r e i , 1-4; ATANASIO, C . G e n t . I, 27; 29;


TEODORETO, G r a e c . a f f e c t . c u r . , DI, 6 s., p. 39 Sylburg; PRUDENZIO,
C. S y m m . , I, 297 s.
17 A te n a g o ra , per es., S u p p l . , 2 2 , fa espressamente riferimento
all’insegnamento degli stoici a questo proposito; e così pure
L a tta n z io , D i v . i n s t . , II, 5, 7 s.; o, implicitamente, Firm ico,
D e e r r o r e , I, p. 3 Ziegler (il fuoco come s u m m u s d e u s ) .
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 181

«scientifico» che fosse mai stato tentato per promuovere sul


piano razionale la vecchia religione pagana: era come l’equiva­
lente di una teologia naturale. Era abbastanza naturale fame
risalire la paternità a quei vecchi filosofi ionici che, per primi,
avevano riconosciuto a questo o a quell’elemento un ruolo
preponderante nella struttura dell’universo. Per chi viveva nei
primi secoli dell’era cristiana in questo ambiente culturale
tutto impregnato di religiosità, e in modo speciale di religio­
sità cosmica,18 questa interpretazione religiosa del loro pensie­
ro poteva apparire come una esegesi benevola e globale, più
che come una maggiorazione o una estrapolazione illegittima.
E degno di nota che VAuctor ad Diognetum ha fatto qui la
stessa scelta di Apologisti tanto considerevoli quali Atenagora
o Clemente di Alessandria.19
Apologetica, dunque. Ritroviamo qui le caratteristiche che
la nostra analisi aveva evidenziato nei primi capitoli (II-V).
Stessa esposizione affrettata e sommaria, stesso stile di pensie­
ro che non cerca di approfondirsi esplicitandosi, stesso atteg­
giamento fiero e intransigente, stesso scatenamento di violen­
za verbale, di ironia sferzante e sarcastica: sogni, immaginazio­
ni (V, 3) umane, troppo umane (V II, 1), vanità, stoltezza,
favola, impostura, ciarlatanerie (VIII, 2; 4). La filosofia greca
non viene trattata meglio di quanto non fosse stata trattata l’i­
dolatria o il giudaismo. Questa intransigenza contrasta con
l’atteggiamento, in generale molto più sfumato e (a eccezione
di Taziano o Erma) almeno parzialmente benevolo, che assu­
mono gli altri Apologisti cristiani di fronte all’insegnamento
della filosofia.
Non esageriamo d’altronde la portata di questo rifiuto
categorico: il nostro autore non giunge sino a negare formal­
mente la possibilità di una certa conoscenza di Dio acquisita
con le forze proprie della ragione umana; afferma soltanto,

18 Cf. FESTUGIÈRE, L a R é v é l a t i o n d ’H e r m è s T r is m é g is te , t. II,


L e D ie u c o s m iq u e , cit.
19 Cf. A te n a g o r a , 22 (rinvia a Empedocle); C le m e n te
S u p p l.,

d’Alessandria, V, p. 64, 1-2 (Talete, Anassimeno, ecc.);


P r o tr e tt.,

Pseudo-GlUSTINO, C o h o r t . a d G r a e c . , 3-4, in particolare 4, p. 30


Otto: Talete, Anassimandro, ecc. sono proclamati dai pagani
«maestri della loro religione».
182 COMMENTO

con il suo abituale vigore, che la rivelazione è indispensabile


per poter accedere alla conoscenza autentica e completa, della
quale l’anima religiosa ha bisogno, e questa è certo un’esigenr
za fondamentale del cristianesimo. Occorre notare come, tra
gli scrittori cristiani di data sicura, il primo ad aver sviluppato
questo dato sia precisamente quello stesso Giustino20 che a
buon diritto è conosciuto come il più conciliante degli antichi
Apologisti, e come uno di quelli meglio disposti nei confronti
del pensiero pagano.21
Che si tratti di concisione o di intransigenza, il bilancio
presentato da questa filosofia, della quale era tanto orgogliosa
la tradizione classica, è dunque rigidamente negativo. Ma nien­
te vieta di trovare in questa negazione anche un valore propria­
mente positivo:22 alla luce della dottrina che troveremo piena­
mente esplicitata a proposito del ritardo dell’incarnazione
(IX, 1-2), possiamo interpretare questo fallimento dello sforzo
dell’intelligenza umana per raggiungere Dio come un’esperien­
za della nostra impotenza, una dimostrazione dell’insufficienza
radicale della ragione, una verifica in qualche modo sperimen­
tale dell’impossibilità di qualsiasi esito positivo da parte di
tutte le vie propriamente umane aperte alla nostra conoscenza,
stabilendo in questo modo, per contrasto, la necessità, inevita­
bile, dell’intervento divino, della rivelazione.

20 Cf. Glt^NO, T r i f o n e , 4, 1: «L’intelligenza umana non potrà mai


vedere Dio se non è rivestita dello Spirito Santo» (cf. A D i o g n e t o ,
Vili, 1; 5-6). Il concetto, ovviamente, dopo di lui è diventato un
possesso comune, un luogo comune: cf. IPPOLITO,
P b i l o s o p h o u m e n a , X, 33, p. 121 Nautin (H i p p o l y t e e t J o s i p e , Paris

1947).
21 Per Ghotino, I A p o i . , 46, 3, quello stesso Eraclito che l ’A D i o ­
g n e to (Vili, 2) vota così allegramente al fuoco eterno è uno di
quei sapienti che, «avendo vissuto con il Verbo», sono stati cri­
stiani senza saperlo.
22 Faccio mia un’ingegnosa analisi di L. ALFONSI, nel suo eccellente li­
bretto E r n i a f i l o s o f o , Brescia 1947 (coll. S c r i t t o r i G r e c i ) , pp. 46 s.; 118;
cf. 36; 84.
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 183

T e o l o g ia : il Pa d r e e il F ig lio

Dovendo ora analizzare ciò che VA Diogneto ci insegna sul


contenuto stesso di questa rivelazione, non potremmo farlo
meglio che seguendo lo schema classico così familiare a tutti i
lettori dei Padri greci: teologia-economia divina. Il termine
«teologia», in senso stretto, designa la dottrina su Dio consi­
derato in se stesso, sulla sua essenza, e, se mai si può dire,
sulla sua intima struttura. Nel caso presente, non possiamo
pronunciare il termine «Trinità» perché VA Diogneto, che
contiene un insegnamento abbastanza dettagliato sulle prime
due Persone divine, non menziona nemmeno una volta lo
Spirito Santo.
Non stiamo ad interpretare questo silenzio come ima testi­
monianza di qualche tappa arcaica dell’elaborazione del dogma,
parlando a questo riguardo di «Binità» e di «binitarismo»,23
come si è fatto, ad esempio, per il Pastore di Erma, che sem­
bra a tratti identificare senz’altro lo Spirito Santo con il Figlio
di Dio, o persino con l’arcangelo Michele.24 Ma qui non c’è
traccia alcuna di simili speculazioni. Non dimentichiamo che
abbiamo a che fare con un’Apologia, non con un equivalente
del Catechismo del Concilio di Trento. L ’A Diogneto non pre­
tende di offrire al suo lettore altro che un primo sguardo sulle
ricchezze della fede (cf. X , 1): non gli si deve chiedere un
commento di tutti gli articoli del Credo. E non si dimentichi
neppure che si è dovuto attendere l’epilogo della crisi ariana
per vedere esplicitamente affermata la divinità dello Spirito

23 Questo termine barbaro è stato messo in circolazione da F. LOOFS,


R e a l e n c y k l o p à d i e f i i r p r o t e s t . T h e o l . u n d K i r c h e * , t. ΙΠ, p. 26, s.v.

C b r i s t o l o g i e , e ha conosciuto una certa diffusione tra gli storici del

dogma (Hamack, Kirk), ma merita di non essere preso in consi­


derazione, perché è decisamente oscuro (cf. le giuste osservazioni
di G. L. P r e s tig e , G o d i n p a t r i s t i c t h o u g h t , London 1936,
pp. X X n -X X IV ).
24 P a s t o r e , P a r . 5 e 8; ma, a uno stadio ulteriore del suo pensiero,

Erma ha rettificato la sua teologia: P a r . 9 (credo basti, per questo,


rinviare a LebretO N , H i s t . d u d o g m e d e l a T r i n i t é , t. II, cit.,
pp. 370 s.; 378; 383 s.).
184 COMMENTO

Santo, la sua uguaglianza con le altre due Persone.25 Fino a quel


momento, e forse anche dopo, lo Spirito Santo è restato, se non
nell’ombra, almeno nella zona più segreta del mistero: si com­
prende senza difficoltà come egli sia lontano da questa cate­
chesi esoterica.
Rinunciamo dunque a scrutare troppo i silenzi del nostro
autore, e prendiamo come si presenta il suo insegnamento
esplicito. Prima di tutto «Dio», cioè il Padre (sarà formalmen­
te menzionato come tale solo in X , 1; cf. già IX , 6), invisibile
(VII, 2, epiteto frequente, com’è noto,26 presso gli anteniceni
a partire da Ignazio di Antiochia, che indica la qualità propria
del Padre che può essere manifestato solo dal Figlio), eterno e
immutabile (V ili, 8); della sua essenza non viene insegnato
formalmente nulla: che sia un «puro spirito» è insinuato in
III, 4 (Dio non ha bisogno di nulla) e V ili, 2-3 (Dio non può
essere paragonato ad alcun elem ento materiale creato).
Considerato nel suo rapporto con il mondo, egli è proclamato
Sovrano e Creatore di tutte le cose (VII, 2; cf. Ili, 4; X , 2),
Demiurgo (V ili, 7), con un’insistenza che ha evidentemente
un secondo fine polemico, antignostico o antimarcionita; in
rapporto agli uomini lo si dirà paziente (V ili, 7), buono,
soave, verace (V ili, 8): non è né tiranno né violento (VII, 3-4;
Di, 6; X , 2).
L ’A Diogneto non pronuncia né il nome di Gesù né quel­
lo di Cristo, il che è una scelta comune agli Apologisti, salvo
Giustino; la seconda Persona divina è di volta in volta desi­
gnata come Verità e Verbo (VII, 2), e più normalmente come
Figlio, Y lós (IX , 4: Figlio di Dio; X , 2: Figlio Unigenito;
cf. VII, 4), oppure Παις· (V ili, 9; 11: Figlio diletto). Non è il
caso di cercare delle distinzioni, i due termini hanno manife­
stamente lo stesso valore: si sa che nel Nuovo Testamento e

25 Si vedano, in questa stessa collezione, le Introduzioni a SC 15 e 17bis:


Atanasio, Lettres à Serapion [J. Lebon], B asilio , Traité du Saint-
Esprit [B. Pruche]. A chi si stupisse del silenzio totale del nostro testo
a proposito dello Spirito Santo, ricordo le omissioni, a prima vista
così sorprendenti, sotto la penna di Ireneo (cf. L ebreton , Hist...,
cit., p. 548, contro HARNACK, Dogmengeschicht£, 1.1, p. 287, η. 1).
26 Cf. ancora L e b r e to n , Hist..., cit., t. I, pp. 5 0 5 , 5 4 4 ; t. II,
pp. 283, n. 3,321 s.,402.
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 185

nei Padri apostolici Παις- conserva spesso il senso di «Servo


di Yahvè» che aveva nella famosa profezia di Isaia (42, 1),
come la si leggeva nella versione dei Settanta;27 ma molto
presto28 è stato applicato anche al Verbo, con il valore di
Figlio (l’uso classico di questa parola autorizzava pienamente
tale ambivalenza,29 e questo uso si è rapidamente generalizza­
to negli scritti dei Padri della Chiesa, ai quali forniva un co­
modo sostituto di Υιός e permetteva di variare l’espressione,
senza con questo indicare necessariamente una sfumatura di
significato)30. Egli è santo (VII, 2; IX , 2),31 incomprensibile

27 Cf. A. H a rn a c k , D ie B e z e ic h n u n g J e s u a h “K n e c h t G o tte s " u n d

i h r e G e s c h i c h t e in d e r a l t e n K i r c h e ,nelle S i t z u n g s b r i c h t e
dell’Accademia delle Scienze di Berlino, 1926, 28, pp. 212-238.
Vedere infine O. CULLMANN, J é s u s , s e r v i t e u r d e D i e u , in D i e u
v i v a n t , fase. 16,1950, pp. 19-34.

28 Fin dal M a r t i r i o d i P o l i c a r p o , 14,1; 20,2.


29 Mentre l’ebraico E b e d non l’autorizzava affatto, e nemmeno il
latino p u e r vi si prestava così perfettamente (cf. HARNACK,
D i e B e z e i c h n u n g . . . , cit., pp. 237 s., § 6).

30 La sfumatura, se c’è, è difficile da discernere. Dalla sua ricerca


molto sistematica, HARNACK ( i b i d . , p. 237, § 4) credeva di poter
concludere che υιό? appartenesse piuttosto al linguaggio teologico,
παις a quello della liturgia e allo stile forbito. La distinzione che
credeva di scorgere P. Nautin, all'interno delle opere comunemente
attribuite ad Ippolito, tra l’uso che ne fa il vero Ippolito, che riserva
irai? «al Verbo dopo la sua incarnazione», e quello che ne fa l’auto­
re dei P h i l o s o p h o u m e n a che lo applica al Verbo preesistente
(Ρ. Ν αιγπν, H i p p o l y t e e t J o s i p e , cit.). Ma non mi sembra molto
documentata (cf. IPPOLITO, B e n e d . J a c o b , 14, πρωτότοκο? ττάι? e
(Pseudo-?) Ippolito, P h i l o s o p h . , X , 34, πρωτόγονο? ποϊί?; cf. d’al­
tra parte i due passi paralleli del C . N o e t . , 11 (p. 253,11 Nautin):
(Λόγο?) ... έδείκνυτοπαι? θεοϋ, e 14 (ρ. 257, 3). (Λόγο?)
υιό? δέ δείκνυται. Ad ogni modo la distinzione non chiarirebbe
l’uso del termine nell’A D i o g n e t o : cf. E. Molland, in Z e i t s c h r i f t
f u r d i e n e u t e s t a m e n t l i c h e W i s s e n s c h a f t , t. 33,1934, p. 301, n. 38.

31 L ’epiteto viene da Ap 3, 7 e non, come pensava Geffcken ( D e r


B r i e f a n D i o g n . , cit., p. 21, riga 8), dalla I C l e m . , 13, 3, dove l’e­

spressione «il verbo santo» designa la Scrittura, e non il Figlio.


186 COMMENTO

(VII, 2),32 innocente, giusto, incorruttibile, immortale (IX, 2):


questi titoli bastano a suggerire che, nel pensiero dell’autore, cer­
tamente il Figlio ha in comune con il Padre l’essenza divina.

N É MODALISMO NÉ SUBORDINAZIONISMO

È possibile chiarire maggiormente e situare con qualche pos­


sibilità di precisione la posizione dellVI Diogneto nel ventaglio
dei teologi trinitari? Non manchiamo di restare stupiti, fin dalla
prima lettura, o per ll’insistenza con la quale l’autore visibilmen­
te si sforza di eliminare ogni concetto di una inferiorità di natura
del Figlio nei confronti del Padre: «Non ha mandato agli uomi­
ni, come certuni potrebbero immaginare, un ministro, o un
angelo...» ecc. (VII, 2). Sembra proprio che il suo pensiero
postuli nettamente l’uguaglianza e la stessa identità di sostanza.
Dobbiamo andare oltre, e sospettare l’A Diogneto di inclinare
verso il modalismo o il monarchianismo?
Certe espressioni, se considerate isolatamente e le prese nel
loro senso più pieno, potrebbero farlo pensare; ad esempio,
quando leggiamo: «Chi mai tra gli uomini ha saputo di Dio,
prima che egli stesso venisse?» (V ili, 1), ci troviamo di fronte a
una audace affermazione davanti alla quale aveva esitato Henri
Estienne.33 Oppure più avanti: «Nessuno tra gli uomini l’ha
visto ο conosciuto (si tratta sempre di “Dio”, del Padre): ma è
lui stesso che si è manifestato» (V ili, 5). Ci si può domandare
se l’autore abbia qui piena coscienza di ciò che noi chiamiamo
«la personalità divina». A tratti, il «verbo» di cui parla (il tra­
duttore esita un momento prima di scrivere «Verbo» con la
maiuscola) rischia di essere poco più che un attributo, una
qualità astratta o un influsso impersonale dell’unico Dio e
Padre: così in V II, 2, a proposito di questo «Verbo santo e
incomprensibile» che egli «ha fatto scendere dal cielo, tra gli
uomini, e confermato nei loro cuori».34 Altrove l’autore sem­
32 Questo termine viene da F ilo n e , De mut. nom., 3 (15), pp. 580 s.
Mangev.
33 Che proponeva di tradurre: «prima che il Figlio di Dio fosse egli
stesso venuto».
34 Cf., a questo proposito, E. MOLLAND, in Zeitschrift fiir die neutest.
Wiss., cit., p. 306. Non posso seguire M eecham (The epistle to
Diogn., cit., p. 118), che vorrebbe intendere Λόγος nel senso di
«insegnamento».
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 187

bra scivolare in un patripassianismo dichiarato: «(Dio) ha


preso su di sé egli stesso i nostri peccati...» (Di, 2).35
Ma si tratta solo di un’apparenza. Formule simili assumono
il loro rilievo quando restano avulse dal contesto: di fatto l’ulti­
ma, per esempio, è subito controbilanciata da ciò che segue:
«(ha preso su di sé egli stesso i nostri peccati); ha consegnato
egli stesso il proprio Figlio in riscatto per noi» ecc.36 Anche
più avanti troviamo: «che altro avrebbe potuto coprire i nostri
peccati se non la sua giustizia (il pronome è ambiguo)?37», ma
sentiamo immediatamente precisare: «Da chi potevamo essere
giustificati se non per mezzo del Figlio di Dio?» (IX, 3-4).
Non si fa fatica a precisare in modo analogo il vero pensie­
ro dell’autore per ciascuna delle frasi incriminate. Il carattere
impersonale della missione del Verbo in V II, 2 è felicemente
corretto dall'immagine di V II, 4: «Come un re invia il re suo
figlio, così egli lo ha inviato...». Lo stesso vale per V ili, 5:
«E lui stesso che si è manifestato», sì, ma, precisa espressamente
la riga successiva, «Egli si è manifestato tramite la fede»
(V ili, 6), evidentemente nella rivelazione del Verbo incarnato
(cf. V ili, 11). Infine la venuta di «Dio» di cui parla il § V ili, 1
non postula altro che la consustanzialità: «Il Verbo era Dio...
e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,1. 14).38
Allo stesso modo non si può evitare di restare colpiti dai ter­
mini equivalenti, e talvolta anche identici, ai quali ricorre l’au­
tore per caratterizzare gli attributi o il ruolo sia del «Padre» che
del Figlio. Si potrebbe metterli in parallelo su una tabella a
due colonne: se i disegni di Dio sono ineffabili (V ili, 9),

35 Da Sylburg a Otto, questa ardita proposizione ha messo in imba­


razzo molti commentatori: Otto ha finito per prendere la decisio­
ne radicale di espellerla interamente dal testo come una glossa che
si sarebbe introdotta erroneamente...
36 Buona messa a punto di DONALDSON, A criticai hist. o f Christian
Liter., cit., t. II, p. 128.
37 La sua giustizia, εκείνου δικαιοσύνη: si tratta della giustizia di
Dio, soggetto delle proposizioni precedenti, o di quella del Figlio
di Dio (ma il nome compare solo dopo)?
38 Anche qui cf. DONALDSON, op. cit., p. 129.
188 COMMENTO

il Verbo è incomprensibile (VII, 2). Dio è il Creatore (VII, 2),


il D em iurgo d e ll’u niverso, C olui che lo ha « fa tto »
(ό ποίησα?: V ili, 7); il Figlio ne è l ’Artefice (τεχ νίτη ς) e
anch’egli il Demiurgo (VII, 2). Dio è il sovrano e l’ordinatore
del mondo (VHI, 7); il Figlio ne è il legislatore e la guida (VH, 2).
L ’uno e l’altro sono Re, sono Dio (VII, 4). L ’autore attinge al
repertorio tradizionale dei nomi divini per applicarli ora all’u­
no, ora all’altro, con una tale indifferenza per la loro adegua­
tezza più o meno specifica che la mente del lettore finisce per
non sapere più esattamente a che cosa attenersi, non appena la
costruzione sintattica si presta all’anfibologia.
E ciò che accade nella lunga enumerazione dei titoli39 che
conclude liricamente l’esposizione soteriologica (IX, 6): «... ci
mostra ora il Salvatore...: con questi due atti (Dio) ha voluto che
noi potessimo credere alla sua bontà, e che lo considerassimo
Colui che ci nutre, il padre, il dottore, il consigliere, il medico,
l’intelligenza, la luce, l’onore, la gloria, la forza, la vita». I prono­
mi personali αύτοΰ, αύτόν sono anche qui ambigui e l’esegeta
esita a lungo prima di sapere se debba intenderli come riferiti al
Padre o al Figlio.40 L ’enumerazione stessa ci lascia in un primo
momento perplessi: «Colui che ci nutre»,41 «Padre», sembrano
attributi poco adatti al Verbo incarnato; «Dottore»,42 «Consi­
gliere»,43 per contro, sembrerebbero escludere il Padre... In un
primo momento non si sa che pensare.

39 L’antica letteratura cristiana offre esempi abbastanza numerosi di


liste più o menò analoghe: si veda per es. ORIGENE, f r a m m . i n
M a t t h . , 83; 252; I n J o h . , I, 9 (11); I, 21-23 (23) (titoli del Cristo);

A t t i d i G i o v a n n i , 109; A t t i (Vercell.) d i P i e t r o , 20; B asilio , D e

S p i r . s a n c t o , 8 (17); cf. 8 (19).

40 Vedere per es. E. H. BLAKENEY, T h e e p i s t l e t o D i o g n e t u s , cit.,


pp. 72 s.
41 Attributo di Dio in Bar 4, 8 (a sua volta ispirato da Nm 11,12).
42 Διδάσκαλο?, equivalente greco di Rab o Rabbi, uno degli appella­
tivi più frequentemente usati nei confronti di Gesù nei racconti
evangelici.
43 Uno dei titoli conferiti al Messia in Is 9, 5 (LXX, testo dei mss.
Sinait., Aless.); cf. P a s t o r e di Erma, S i m . , 9, 12, 2.
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 189

Ma non affrettiamoci a concludere, da un’apparente con­


fusione di linguaggio, a chissà quale confusione delle Persone
divine, a una confusione, coscientemente professata, di quello
che la teologia post-nicena chiamerà le prime due Persone
divine. Per essere messi in guardia nei confronti di questa
conclusione troppo precipitosa, basterà confrontare i passi
citati dell’^4 Diogneto con il modo di procedere proprio degli
antichi scrittori ecclesiastici: si potrà facilmente constatare che
tutte le equivalenze che il nostro autore istituisce così libera­
mente trovano altrove dei paralleli e che, tanto in lui come in
loro, questa comunanza di attributi non implica in alcun
modo una identificazione del Figlio con il Padre, ma sempli­
cemente che le operazioni ad extra provengono dall’azione
comune delle Persone divine, il che è nella linea della più clas­
sica ortodossia.44
Cominciamo dal titolo di Demiurgo: questo termine di
origine platonica, che fa una prima e timida comparsa nel
Nuovo Testamento,45 viene utilizzato da Clemente di Roma,46
e soprattutto dagli Apologisti e dagli Alessandrini: normal­
mente è applicato a «Dio» - al Padre (c’è un contrasto parti­
colarmente netto con l’uso blasfemo che ne facevano gli gno­
stici) - , ma siccome la creazione, per appropriazione, è consi­
derata in funzione del Verbo,47 viene naturale applicarlo tal­
volta a lui. L ’uso che ne fa VA Diogneto può trovare il suo cor­
rispondente in quello, per esem pio, di un Clem ente di
Alessandria.48

44 La dottrina appare già nettamente formulata in I reneo , Adv.


haer., IV, 34, 1 Harvey.
45 Cf. Eb 11,10 (nulla di analogo nell’Antico Testamento: 2 Mac 4 ,1
non l’applica a Dio).
46 Si vedano i testi raccolti da L ebreton , Hist..., cit., t. Π, p. 261, η. 1
(Clemente), n. 4 (Apologisti).
47 Dottrina tradizionale a partire dall’Ep. di Barnaba·, cf. per es.
ancora L ebreton , op. cit., pp. 338 s., 462 s., 489, ecc.
48 Cf. il Register dell’ed. StàhMn, GCS 39, p. 327 b, s.v.: 30 esempi
della parola applicata a «Dio», 4 al Verbo.
190 COMMENTO

La litania finale di IX , 6 si presta a osservazioni analoghe:


per quanto sia strano, non c’è da stupirsi di vedere l’appellati­
vo di «padre» applicato al Figlio;49 così anche Medico,50
Luce,51 Vita52 appaiono di volta in volta applicati all’una o
all’altra Persona, e talvolta negli scritti dello stesso autore.
I termini Onore, Gloria, Forza, per quanto ne so, non si ritro­
vano altrove usati come nomi divini; li trovo applicati a Dio
solo indirettamente in dossologie del tipo «... a lui siano
onore, gloria, forza, ecc.», ed è certamente da formule del
genere che il nostro autore deve averli presi, per ipostatizzarli
in qualche modo. Ma, anche qui, questi termini si presentano
nelle dossologie rivolte in modo equivalente sia al Padre, sia al
Figlio, sia all’uno e all’altro 53
Anche l’uso del termine Νους·, «intelletto, mente», è ambiguo.
Atenagora, per esempio, a tre righe di distanza l’applica al
Figlio e poi al Padre.54 D ’altra parte l’utilizzazione di questo

49 «Padre» è uno dei titoli del Messia in Is 9, 5 («Padre del secolo


futuro» secondo i LXX, e anche l’ebraico dice «Padre eterno»!), e
di qui, II Clem., 1, 4; O rigene , In ]o., 32, 30 (29), p. 476, 6; 31
(29), p. 478, 10; Hom. Clement., 3, 19: il Cristo ha agito «come un
padre per i suoi figli»; SlNEISO, Inno IX, 11; 29; per non parlare
dello gnostico VALENTINO, in Ireneo, I, 1. 1, p. 9 Harvey.
50 Sarebbe impegnativo allineare la duplice fila dei testi (cf. HARNACK,
Die Mission und..., cit. t. I, libro Π, cap. 2): essa comincia, con il
Figlio, in IGNAZIO di Antiochia, Ef., 7 ,2 ; con il Padre, in I Clem.,
59, 4 (dove si trova il concetto espresso dal verbo ϊασαι); e con il
nome ιατρός in TEOFILO di Antiochia, AdAutol., I, 7.
51 Cf. G. P. WETTER, ΦΩΣ, Upsal 1915; quindi F. J. DÒLGER, in
Lumen Christi, AC 5 1936, pp. 1-43; anche qui segnaliamo soltan­
to il principio delle due righe: Dio, 1 Gv 1, 5 (cf. Sap 7, 26); il
Cristo, Gv 8, 12. Va sottolineata anche la portata della famosa for­
mula lumen de lumine, inclusa nel Simbolo di Nicea, ma che è
molto anteriore a questo (Dionigi di Alessandria, metà del III
secolo: cf. D ólger , in AC 1,1929, pp. 283-285).
52 Anche qui: per Dio, 1 Gv 5,20; per il Cristo, Gv 14, 6.
53 Si vedano per es. le dossologie di Ap 5, 12 (al Figlio); 7, 12 (al
Padre); 5 ,13 (ai due insieme).
54 Cf. A tenagora , Suppl., 10, 2: Noùs καί Λόγος τοϋ Πατρός ό
Tìòs του θεου, e più avanti: ό θεός, Νους άίδιος ών ; ibid., 24,
1 (applicato al Figlio).
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 191

nome divino non presenta un carattere così strettamente


ecclesiastico: gli autori cristiani55 lo hanno mutuato dalla tra­
dizione filosofica (da Anassagora a Plotino), dal linguaggio
religioso dei pagani, soprattutto quello degli scritti ermetici,
dove il dio Νους acquista un rilievo particolare56 - e anche dal
linguaggio gnostico, anch’esso tributario del precedente. Ma a
questo livello si trovano le stesse variazioni di significato: tal­
volta, nei Naasseniani, per esempio,57 Νους è il nome del
primo Principio dal quale tutto emana; altre volte (sembrereb­
be più spesso) appare soltanto al secondo rango, come prima
emanazione (Basilide, Valentino, ecc.),58 il che spiega come si
sia potuto applicarlo alla seconda Persona della Trinità 59
Simili accostamenti sono istruttivi: soprattutto per gli scrit­
ti antichi come il nostro, non si può trattare la lingua cristiana
come un mondo chiuso, come una lingua tecnica perfetta­
mente differenziata. Una litania come la nostra riflette le abi­
tudini linguistiche della pietà pagana: gli scritti ermetici asso­
ciano, come VA Diogneto, i nomi divini di Noùs, Vita, Luce,
Demiurgo.60 E questo confronto ci mette sulla pista di osser­
vazioni impreviste: se, per esempio, il titolo «Colui che
nutre», giudicando dai testi dell’Antico Testamento che pote­
vano suggerirne l’utilizzazione al nostro autore, ci è parso da
attribuirsi propriamente a «Dio», al Padre, l’uso che ne fanno
i trattati ermetici mostra che il nostro autore, come loro, pote­
va benissimo intenderlo riferito al Salvatore.61
Che cosa concluderne,62 se non che tutte le affermazioni
del nostro testo, che si potrebbero dire monarchianiste, si
55 E in particolare C lem en te di Aless.: cf. Behm in TWNT, IV, 958
e, i b i d . , pp. 955 (Plotino, Ermete), 956 (gnostici).
56 Cf. C o r p . H e r m e t i c u m , cit., 1,6, p. 8 Nock-Festugière (e la n. 4) ecc.
57 Inno conservato nei P k i l o s o p h o u m e n a attrib. a Ippolito, V, 10, 2
(interpretazione di HARNACK, O o g m e n g e s c h i c h t è * , 1.1, p. 257, n. 2).
58 Cf. IRENEO, A d v . h a e r . , I, 1,1 (Valentino); 1 ,19, 1 (Basilide).
59 Cf. A t t i d i T o m m a s o , TI ; A t t i d i F i l i p p o , 132.
60 Cf. C o r p . H e r m e t i c u m , cit., I, 9, p. 9 Nock-Festugière (e la n. 25).
61 Cf. l d . , XVI, 12, p. 235.
62 Per quanto concerne l’interpretazione di IX, 6, la costruzione
appare più normale se si intende αύτόν come αύτοΰ, in riferimen­
to al Padre; se i titoli di Dottore e Consigliere sembrano più speci­
ficamente attribuibili al Figlio, si può ammettere che il Padre li
riceva per partecipazione, attraverso di lui.
192 COMMENTO

spiegano molto semplicemente con il fatto che il nostro autore


ha professato che il Verbo è Dio? Ciò è così ragionevole che si
potrebbe tentare l’esperienza inversa ed estrarre simmetrica­
mente dal contesto alcune proposizioni che sembrerebbero
suggerire, al contrario, una disuguaglianza, una inferiorità
innata del Figlio nei confronti del Padre: il Figlio non appare
in qualche modo come il suo strumento? E per mezzo di lui
(ω...) che egli ha creato e dirige il mondo (VII, 2), è lui che
egli ha inviato per salvare (V ii, 4), per rivelare (VII, 5; VIII,
11), per giudicare (VII, 6). Meglio ancora: quando ci dice che
«Dio» concepì (in se stesso) un disegno ineffabile e lo comu­
nicò al suo Figlio (VIII, 9), la distinzione delle due frasi non
scivola forse nel subordinazionismo?
Ma anche in questo caso risulterebbe forzato il senso ovvio
del testo. Basta inserire di nuovo queste proposizioni nell’insie­
me dell’esposizione per privarle di ogni veleno: VIII, 9 trova la
sua contropartita in IX , 1: è da tutta l’eternità e in seno alla divi­
nità stessa che si è effettuata questa comunicazione del Padre e
del Figlio. D ’altra parte si forza il valore di un dativo «strumen­
tale» se si vuol vedere una prova di subordinazione nel fatto che
l’azione del Padre nella e sulla creazione si è esercitata mediante
il Verbo - dottrina perfettamente classica, che la tradizione teo­
logica ha trovato già nettamente formulata da Paolo.63 E se il
concetto di «missione» implica una certa dipendenza, ciò va
applicato alla kenosi del Verbo incarnato...
Non accusiamo dunque l’A Diogneto di preparare il terreno
all’arianesimo,64 dopo averlo assolto da ogni sospetto di sabellia-
nesimo. La sua posizione si colloca semplicemente su quell’as­
se stessa in cui si eserciterà lo sforzo di elaborazione tecnica
della teologia nicena e post-nicena. Queste formule, molto
generali e ancora molto imprecise, non fanno che delimitare
in anticipo la zona nella quale si inserirà la chiara definizione
della consustanzialità. Ma tutto ciò rimane molto vago, molto
elementare: non ci sono qui molti elementi che possano aiuta­
re la storia a situare con più precisione il nostro testo nel
tempo, nell’evoluzione teologica e nella diversità delle scuole.

63 Cf. 1 Cor 8,6 ; Col 1,16; e anche Eb 1,2.


64 C. T ib il e tt i , Osservazioni..., cit., p. 229, sottolinea che VII, 4
implica l’uguaglianza del Padre e del Figlio, proclamati entrambi
«Re».
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 193

La sola precisazione un po’ tecnica che è stato possibile


rilevare è contenuta nel passo65 dove l’autore dichiara che Dio
non ha inviato agli uomini «un ministro, o un angelo o un
arconte o qualcuno di coloro che sono incaricati degli affari
terrestri, o di quelli ai quali è affidato il governo dei cieli...»
(VII, 2). C’è qui una punta polemica visibilmente dirètta con­
tro un certo aspetto delle teorie gnostiche. L ’allusione è abba­
stanza precisa:66 il Salvatore non è uno di quegli esseri che, per
quanto soprannaturali e sovrumani, sono comunque molto
inferiori al Dio che li avrebbe inviati, uno di quegli angeli dalla
funzione cosmica ai quali daremmo volentieri il titolo di arcon­
ti, e ai quali, nella Weltanschauung dei primi secoli della nostra
era (condivisa da pagani mistici come da giudei e cristiani),
veniva affidato il goverrio delle cose del mondo, dei regni della
terra come dei pianeti e degli astri.67 L ’autore non se la prende
qui con la consuetudine così diffusa tra i Padri anteniceni di
conferire al Verbo il titolo di Angelo: quest’uso, autorizzato da
certe qualifiche attribuite al Messia dai profeti68 permetteva di
riconoscere già il Verbo che il Vangelo rivelerà incarnato e che
appariva egualm ente inviato in m issione nelle teofanie
dell’Antico Testamento, dove interviene il misterioso Maleak
Yahvè, l’«Angelo del Signore».69 Queste applicazioni non pre­
tendevano di definire la natura, l’essenza del Verbo, ma sol­
tanto la sua funzione, officii, non naturae, vocabulo?0 L ’autore

65 Che, letterariamente, è una reminiscenza di Is 63, 9 (LXX): «Non


un inviato, non un angelo, ma lui stesso li ha salvati...».
66 Benché nella serie i termini «ministro», «angelo», «arconte»,...
siano coordinati da un disgiuntivo, essi sono in realtà collocati su
uno stesso piano: non sono ipotesi distinte.
67 Cf. 1 Cor 2,6-8 e i commenti ad loc.
68 Cf Is 9, 5 (Angelo del Gran Consiglio), MI 3, 1 (Angelo dell’Al­
leanza); il termine Angelo ricorda anche Is 63, 9b.
69 Cf. a questo proposito J. B arbel , Christos Angelos (nella coll.
Theophaneia diretta da F.J. Dòlger e Th.. Klauser, t. Ili), Bonn
1941, pp. 34-180. Questo tipo di interpretazione, utilizzato a
scopo polemico contro i pagani, i marcioniti e i sabelliani, si rive­
lerà pericoloso con l’applicazione che ne fecero gli ariani: da qui si
ebbe una reazione che troverà la sua conclusione in Agostino
(J. L ebreton , in MSCA, t. 2, pp. 821-836).
70 Formula di Tertulliano, loc. cit., infra.
194 COMMENTO

ha qui in mente qualcos’altro. Un testo fortunatamente molto


esplicito di Tertulliano ci permette di precisare l’allusione.
Nel suo trattato De carne Cbrìsti, rivolto contro il docetismo
gnostico, il dottore africano polemizza contro i valentiniani,
secondo i quali, egli dice, il Cristo, nell’opera della salvezza,
avrebbe scelto un angelo per farsi da lui aiutare come da un
servo (satellitem= ύπερέτην).71
È una dottrina, o perlomeno una tendenza, che pare essere
stata abbastanza diffusa. Non era una peculiarità dei soli valen­
tiniani: poteva avere incontrato il favore degli ebioniti, come
ipotizzava Tertulliano.72 Essa ha lasciato svariate tracce nella
tradizione cristiana, nella pietà o nella superstizione: talvolta si
è assimilato più o meno esplicitamente il Cristo all’arcangelo
Michele,73 o a Gabriele, l’angelo dell’Annunciazione,74 oppure
si è incluso il simbolo, o uno dei titoli del Cristo, in una lista di
sette angeli,75 ecc. È in questo contesto che va intesa la reazione

71 Cf. T e r t u ll ia n o , D e c a r n e C h r i s t i , 14 (ben commentato da

B a rb el, C h r is to s A n g e lo s , cit., pp. 284 s.): «Sed angelum, aiunt,


gestavit Christus... Cui igitur rei angelum quoque gestavit, nisi ut
satellitem fortem cum quo salutem hominis operaretur?... An vero
ut per angelum liberaret hominem», ecc.
72 Cf. I b i d . : «Poterit haec opinio Hebioni convenire, qui nudum
hominem et tantum ex semine David, id est non et Dei filium,
constituit Jesum» (cf. M. SlMON, V e r u s I s r a e l . . . , cit., p. 294).
Sull’insieme della «Engelchristologie», si veda anche l’esposizio­
ne, dalle vedute molto personali, di M. W e rn e r, D i e E n t s t e h u n g
d e s c h r i s t l i c h e n D o g m a s , Bem 1941, pp. 321-349.

73 Tendenza attestata dal P a s t o r e di Erma ( S i m . , 8, 3, 3) a Metodio


( S y m p o s i o n , 3, 4: «il primo degli arcangeli»), Cf. BARBEL, C h r i s t o s

A n g e l o s , cit., pp. 230 s., 181 s.

74 Cf. B a rb e l, o p . c i t . , pp. 235 s.; cf. in particolare la notizia di


M arO ta di Maipherkat: secondo i montanisti, Maria avrebbe
avuto rapporti con un arcangelo e ne sarebbe nato il Figlio di Dio:
B arbel, p. 260 (cf. P. DE L a b rio lle , L e s s o u r c e s d e l ’h i s t o i r e d u
m o n t a n i s m e , n. 151 Fribourg-Paris, p. 194).

75 Cf. ancora B arb el, pp. 192 s. Tutto ciò che precede ci lascia fuori
dalle difficoltà sollevate da F. C a v a lle r a (contro Harnack) in
RecSR 2,1911, pp. 57-59.
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 195

dell VI Diogneto, reazione che non è il solo a rappresentare


insieme a Tertulliano. Il nostro passo trova un parallelo quasi
perfetto in una delle pagine rimaste di quello scritto - a dire il
vero molto misterioso - che è YApocalisse di Elia. Vi troviamo
un quadro, tetro quanto il nostro, della corruzione dell’uma­
nità, asservita al peccato e al diavolo, poi si dice:76

«Ed è per questo che il Dio della gloria ha avuto


pietà di noi e ha inviato suo figlio nel mondo per
salvarci dalla schiavitù: non ha inviato un angelo
che venisse verso di noi, né un arcangelo né alcuna
potenza,77 ma ne ha assunto il carico al modo di un
uomo, venendo verso di noi per salvarci78...».

76 Cf. A p o c . d i E l i a , p. 68, Steindorff (TU 17, 3a). Lo stesso testo è


stato più volte citato, e talvolta come se si trattasse di un’opera
diversa, sotto il titolo di A p o c a l i s s e d i S o f o n i a , con il quale lo ave­
vano fatto conoscere i suoi primi editori (Bouriant, Stern).
Quest’opera, adattamento cristiano di un documento giudaico, è
sfortunatamente altrettanto mal datata dellVl D i o g n e t o : come il
nostro testo, Y A p o c a l i s s e d i E l i a risale, al più presto, all’inizio del
II secolo, perché cita la 1 Gv 2,15 (Steindorff, p. 67). Tuttavia l’e­
sistenza di manoscritti antichi non permette di scendere oltre il
III-IV secolo (cf. S. M orenz, in TU 56,1951, p. 86).
77 II testo copto, farcito come al solito di termini greci, usa la parola
άρχή (cf. A D i o g n . , VII, 2: άρχων). Anche in questo caso, devo
all’amicizia di A. Guillaumont la possibilità di presentare al lettore
una traduzione diretta dal testo copto.
78 Si potrebbe anche accostare al nostro passo (ma è un accostamento
più lontano: si tratta dello Spirito Santo, ispiratore della Scrittura)
un testo di Origene, H o m . i n N u m . , 26, 3, p. 247 Baehrens: «qui
haec gesta narrat quae legimus (Nm 32,1 s.) neque puer est...
neque v i r talis aliquis, neque s e n i o r nec omnino aliquis h o m o est;
...nec a n g e l o r u m aliquis aut v i r t u t u m c a e l e s t i u m est, sed Spiritus
Sanctus haec narrat».
196 COMMENTO

L ’ e c o n o m ia d e l l a sa lv ezza

Se passiamo ora alla οικονομία, al piano voluto e seguito


da Dio per intervenire nella storia dell’umanità, ritroveremo le
stesse caratteristiche: un’esposizione sommaria che, per la sua
stessa semplicità, evita i problemi delicati con i quali erano
alle prese le diverse scuole, ortodosse o eretiche.
Questo piano misterioso, che è stato concepito nelle più
segrete profondità dell’essere divino (V ili, 9-10), è frutto
dell’amore e dell’infinita misericordia di Dio (VII, 3-5): l’auto­
re trova accenti di un lirismo esaltato per celebrare la traboc­
cante tenerezza della divina «filantropia» (IX , 2) e i suoi
impensabili benefici (IX, 5): non fa alcuna allusione alla colle­
ra di Dio, forse (ma, ancora una volta, non cerchiamo di scru­
tare troppo la portata di questi silenzi) per non prestare il
fianco a una critica di tipo gnostico; e peraltro l’insistenza79
sul ruolo dell’amore divino come sorgente della salvezza
appartiene alla più fondamentale tradizione cristiana, e non è
mai mancata neppure fra i teologi più «rigoristi».80
Sull’origine del male, del peccato e sulla caduta, i capitoli I-X
non dicono nulla. Sappiamo semplicemente che Dio aveva crea­
to l’uomo a sua immagine, gli aveva dato intelletto e ragione,81 e
aveva messo il mondo a suo servizio (IX, 2). Ma gli uomini sono
diventati peccatori, cattivi, corrotti, empi (IX , 1-5), votati,
appunto per questo, al castigo e alla morte (IX, 2) - e l’autore
intende con ciò la m orte etern a, il fu oco d ell’in fern o
(X, 7-8; cf. V ili, 2). Dio solo, in quanto solo lui è giusto, pote­
va salvarci (IX , 3), ed è qui che interviene la missione del
Figlio di Dio (IX, 4), il Salvatore (IX, 6).
Per parlarne, l’autore si mantiene su un piano teologico
astratto, senza scendere a precisazioni storiche. Senza dubbio
la discrezione dell’Apologista, tenuto a una esposizione esso­
terica, qui si manifesta di nuovo. L ’incarnazione e la passione
sono postulate, più che descritte; l’autore parla della «missione»

79 In questa insistenza si può vedere una punta anti-marcionita;


cf. C. T ibiletti , Aspetti..., cit., pp. 353-355,368-372.
80 Cf. per es. AGOSTINO, De catech. rudibus, 4 (7).
81 Qui λόγος e νοΰς designano le facoltà umane e non, come in
VII, 2, la Persona del Verbo o, in IX, 6, l’azione divina.
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 197

del Figlio di Dio «mandato agli uomini» (VII, 2) «come con­


veniva agli uomini»82 (VII, 4), per salvarli. Il modo della sal­
vezza è descritto in forma rapidissima. L ’autore, fedele più
che mai al suo stile, trae dalla sacra Scrittura formule semplici
e discrete a un tempo: Dio ha assunto i nostri peccati, ha con­
segnato il proprio Figlio in riscatto per noi (IX, 2), ha coperto i
nostri peccati (IX, 2); la giustizia di uno solo ha giustificato il
gran numero dei peccatori (IX, 5).
Meno che mai si può tentare qui di cercare di delimitare
l’esatta portata che queste formule potevano avere nel pensie­
ro dell’autore, che visibilmente si nasconde dietro le sue fonti
ispirate.83 Al massimo si può sottolineare il termine originale
di ανταλλαγή «scambio»,84 questo misterioso «scambio» tra
la giustizia del Figlio di Dio e il peccato degli uomini: più che
un effetto puramente soggettivo della giustificazione, questo
termine sembra proprio designare una trasformazione oggetti­
va della situazione degli uomini in rapporto a Dio.
Il Figlio di Dio non è soltanto il Salvatore (IX, 6), è anche
Verbo e Verità (VII, 2): la sua venuta tra gli uomini ha anche
lo scopo di rivelare loro l’autentica e piena conoscenza di Dio

82 Lachmann faceva dire più precisamente al suo testo: «L’ha inviato


in quanto uomo agli uomini», ma questa è una correzione di cui si
assume da solo la responsabilità, e che introduce, come si vede,
una sfumatura che modifica sensibilmente il pensiero dell’autore.
83 DONALDSON, per es. -(A criticai history..., cit., t. II, p. 131), ha cre­
duto di poter inferire che, in tutto il passo IX, 2-5, l’opera del
Figlio era di carattere puramente morale e non presupponeva né
colpevolezza né castigo. Ma questo significa tenere in poco conto
il termine λύτρον, «riscatto», che è piuttosto chiaro, e le allusioni,
anch’esse molto precise, al castigo che attende i peccatori (IX, 2,
ecc.). Υπέρ ha qui sicuramente il valore di «in sostituzione di - »,
e non semplicemente di «a beneficio di - ».
84 Questo termine, formato molto regolarmente su ανταλλάσσω, è
praticamente un hapax (il Nuovo Testamento ha solo il nome
d’oggetto corrispondente, άνταλλάγμα: Me 8, 37; Mt 16, 26).
Ανταλλαγή non è attestato altrove se non nella lingua tecnica del
diritto romano-bizantino, dove fa la sua comparsa verso il 500
d. C. (Codice di Giustiniano, I, 2, 17, 1; I, 2, 17, 3: Anastasio); ma
allora era stato creato di nuovo, in modo indipendente, per tra­
durre il termine latino permutatio.
198 COMMENTO

(VIU, 1, 5). La dottrina cristiana ha sempre strettamente con­


giunto questi due aspetti della missione del Figlio: la rivelazione
e la salvezza.85 Ciò che potrebbe rendere originale YA Diogneto
è il ruolo esclusivo che l’autore sembra riconoscere qui all’inse­
gnamento di Cristo: si potrebbe credere che égli escluda persi­
no la conoscenza naturale di Dio, come pure il ruolo dei profeti
e di tutto l’Antico Testamento. Ma il lettore sa già entro quali
limiti occorre mantenere la portata di questi silenzi.86
Dopo la venuta del Cristo, è stata inaugurata un’era nuova
nella storia dell’umanità: i cristiani vivono ormai in ciò che
l’autore osa chiamare il regno della giustizia (Di, 1), che è già
una partecipazione, almeno iniziale al regno di Dio: leggendo
la conclusione di IX , 1, ci si deve ricordare di VI, 8 che sotto-
linea felicemente l’aspetto escatologico di questa partecipazio­
ne. E la fede che ce la rende possibile, è mediante la fede, e
solo mediante questa, che conosciamo Dio con una conoscen­
za piena ed efficace (V ili, 6; IX , 6-X, 1); grazie ad essa87 è il
Verbo stesso che viene ad abitare in noi (VII, 2). Degli effetti
meravigliosi di questa presenza, di questa parusia del Verbo, e
dunque di Dio, nel cuore dei cristiani, l ’autore, nello stato
mutilo in cui ci è pervenuto il suo testo,88 ci dà soltanto un
solo esempio, ai suoi occhi eccezionale: quello dei martiri.
Riprendendo un tema a giusto titolo caro alla tradizione apo­
logetica,89 egli mostra che il loro coraggio sovrumano, la
fecondità del loro sacrificio non possono spiegarsi altrimenti
che come una manifestazione della potenza di Dio, che agisce
in loro e tramite loro (VII, 7-9).
85 Cf. Mt 11,27; Gv 1,18; 3,11-13; 6, 46; 8,1 9 ecc., poi Ig nazio di
Antiochia, M a g n . , 8,2; Mart. P o l y c . , 14,1; ecc.
86 Si veda sopra, pp. 113 s.; 184.
87 Non è il caso di avanzare delle assurdità a proposito di questo
passo difficile: l’«inserzione» del Verbo nel cuore degli uomini
potrebbe a prima vista far pensare, nella prospettiva cara a
Giustino (I Apoi., 46, 2 s.; cf. 44, 10), ad una partecipazione al
Verbo mediante la ragione: di ciò, lo si è visto, si tratta in X, 2, ma
qui (VII, 2) questa venuta del Verbo nell’anima è subordinata alla
sua «missione» - all’incarnazione.
88 E abbastanza probabile che questo tema fosse introdotto più
esplicitamente aU’interno della lacuna segnalata prima di VII, 7.
89 Da G iu stino ( T r i f o n e , 110, 4) e T e r tu llia n o ( A p o i . , 50, 13) a
L a tta n z io ( D i v . i n s t . , V, 13,11).
IN IZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 199

Si noterà, a proposito di questo passo, quanto si siano pro­


gressivamente attenuate le preoccupazioni apologetiche nella
mente dell’autore, per far posto a un entusiasmo «protretti­
co»: Diogneto (e qui c’è il senso di una delle sue domande: I,
l d) si stupiva del disprezzo della vita, dell’indifferenza davanti
alla morte che i martiri testimoniavano. Non c’è dubbio che
per lui, come per i pagani in generale,90 fosse uno scandalo,
qualcosa di inesplicabile. Il nostro autore non sembra molto
preoccupato di facilitargli la comprensione di questa psicolo­
gia così nuova: lungi dallo scusare, dallo spiegare il comporta­
mento dei cristiani, lo esalta liricamente, e, con una ritorsione
dell’argomento, fa dello scandalo una prova, sicuro, a quanto
pare, dell’adesione del suo lettore.

P e r c h é c o s ì t a r d i ? ( X , 1 -6 )

Il solo punto sul quale il nostro autore si diffonde in modo


realmente esplicito è quello sollevato dall’ultima delle doman­
de poste da Diogneto (I, l h): Cur tam sero? Troviamo qui uno
sviluppo interessante, originale e di una effettiva profondità di
pensiero. Abbiamo sottolineato tutta l’importanza, tutta la
serietà del problema così posto. Durante il II secolo della
nostra era, il contrattacco pagano aveva ritorto contro il cri­
stianesimo questa qualifica di nuovo che la prima generazione
cristiana, fiera di aver ricevuto e di trasmettere la «Buona
Novella», il Vangelo della salvezza, tendeva inizialmente a
sfoggiare come un titolo d’onore.91

90 Cf. sopra, p. 99, D.


91 Cf. HARNACK, D ie M ission u n d A u sbreitu n g..., cit., 1.1,1. Π, cap. VI,
«il messaggio del popolo nuovo e della terza stirpe»: il concetto fa
la sua comparsa nella L e t t e r a d i B a r n a b a (5, 7; 7, 5) e costituisce
uno dei luoghi comuni dell’apologetica cristiana dopo la
P r e d ic a z io n e d i P ie t r o (fr a m m . V Dobschiitz: CLEMENTE d’Ales-
sandria, S t r o m ., VI, 5, 41). C f. K. PrÙMM, C h r i s t e n t u m a l s
N e u h e i t s e r l e b n i s , Freiburg 1939; A. CASAMASSA, L ' a c c u s a d i
« h e s te r n i» e g l i s c r itto r i c r is tia n i d e l I I s e c o lo , in A n g elic u m , 20,
1943, pp. 184-194.
200 COMMENTO

L ’accusa poteva svilupparsi a due livelli. Si poteva sempli­


cemente rimproverare ai cristiani di portare innovazioni in
materia religiosa: in quella civiltà classica così conservatrice,
dove l’antichità diventava così facilmente un criterio di verità,
la novità del cristianesimo poteva servire per negarle ogni
autorità. Di qui la fatica di tanti Apologisti per stabilire l’anti­
chità della religione cristiana, in quanto erede legittima del­
l’antica religione di Israele; una volta stabilita questa antichità,
al ripresentarsi dèU’argomento, essi cercheranno di dimostra­
re che, al contrario, è la sapienza pagana che, più recente, ha
preso ciò che possiede di vero dalla tradizione rivelata del-
ì’Antico Testamento: Platone ha fatto un plagio dei testi attri­
buiti a Mosè, ecc.92 Questo poi significava riprendere un tema
già ampiamente sfruttato dal giudaismo ellenistico.
L ’altro aspetto dell’accusa, più teologico, riguardava la
teodicea: perché questo Dio buono aveva lasciato per tanto
tempo che l’umanità si smarrisse sulla via del peccato? Come
spiegare che un Dio eterno avesse atteso tanto per rivelarsi e
salvare? In ultima analisi, si trattava della nozione stessa di
οικονομία, di un intervento dell’Eterno nella storia dell’uma­
nità, di una teologia del tempo e della storia, concetto essenzia­
le a un cristianesimo autentico, che la mentalità così profon­
damente a-storica dell’antichità si sentiva spinta a contestare.
E in questo senso profondo che VA Diogneto ha inteso l’o­
biezione. La sua risposta si dispiega in due fasi. Da una parte
egli sottolinea che, benché l’economia della salvezza si sia mani­
festata nel tempo, essa era però la realizzazione di un disegno
concepito da tutta l’eternità e rimasto nella segreta intimità
delle Persone divine (V ili, 9): con ciò viene salvaguardata quel­
la immutabilità della quale il pensiero antico aveva fatto, a
ragione, un carattere essenziale dell’Assoluto. Al tempo stesso
(e questo è l’aspetto di «teodicea» dell’argomento), Dio è giusti­
ficato rispetto a qualsiasi accusa di cattiveria o di indifferenza
(vm , 8).
Ma non ci si poteva fermare qui, perché in questo modo
non si scalfiva il cuore del dibattito: «Perché così tardi»?
Perché l’incarnazione, la rivelazione e la redenzione hanno
atteso il tempo di Augusto e Tiberio? Certi Apologisti del cri­

92 Si veda, tra gli altri testi, G ll^ N O , I Apoi., 44, 8 s.; T aziano, 31;
T eo filo di Antiochia, Ad Autol., 1 ,14; II, 37 s.; ΠΙ, 16 s.
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 201

stianesimo, e fra i più grandi, hanno tentato di eludere la diffi­


coltà negando il fatto. Origene, per esempio, e in modo analo­
go Agostino, insistendo sull’eternità della Chiesa, la mostrano
suscettibile di avere la stessa durata dell’umanità, della sua
storia: dato che la Chiesa di Cristo è cominciata con i patriar­
chi e i profeti, essa non è una novità, perché la Verità era già
rivelata agli uomini dall’Antico Testamento e la salvezza era
accessibile con l’appartenenza al popolo eletto.93 Ma questa
era una posizione polemica che minimizzava l’apporto origi­
nale dell’incarnazione e teneva in scarsa considerazione le
insistenti indicazioni di Paolo sulla «pienezza dei tempi».94
Che cosa bisognava intendere con queste parole? Ireneo,95
Origene stesso, d’altro canto e meglio ispirato,96 e altri stilla
loro scorta97 ne offrirono una interpretazione ottimista con la
famosa tesi della pedagogia divina: Dio ha atteso, prima di
comunicare agli uomini la pienezza del suo messaggio, che
essi fossero divenuti capaci di comprenderlo e di reggerne le
conseguenze pratiche. La storia sacra del popolo d’Israele ci
fa assistere all’educazione progressiva di una élite scelta in
seno all’umanità. La lettura dell’Antico Testamento ci mostra
la rivelazione svilupparsi per tappe, facendosi ogni volta più
precisa e più chiara e conducendo fino al pieno giorno della
predicazione evangelica.
A questa tesi, molto alessandrina con il suo fondamentale
ottimismo e con l’accento posto sull’aspetto della «rivelazione»,
YA Diogneto ne oppone un’altra che insiste di più sul proble­
ma della salvezza e che, per contrasto, possiamo qualificare
come pessimista. È una soluzione originale e profonda,
anch’essa molto solidamente ancorata alla più autentica tradi­
zione dottrinale. Dobbiamo affrettarci a sottolineare che que­
ste due prese di posizione non si escludono a vicenda, e che

93 Cf. O r ig e n e , C. Cels., IV, 7; A g o stin o , Ep., 102, 2 (8-15),


cf. Arnobio , II, 75.
94 Gal 4 ,4 ; Ef 1,10; cf. Me 1,15.
95 Cf. i testi raccolti da H. DE L ubac, Histoire et Esprit, Paris 1950,
p. 248.
96 Cf. H. KOCH, Pronoia und Paideusis, Leipzig-Berlin 1932, pp. 61 s.;
DE Lubac, Histoire..., cit., pp. 254-257.
97 Così E usebio , Hist. eccl., 1,2,17; 21 s.
202 COMMENTO

pessimismo e ottimismo fanno ugualmente parte, ciascuno nel


suo registro, del concerto della tradizione.98
Si vede molto bene come l’autore abbia potuto elaborare
questa soluzione: essa è scaturita (e la cosa non dovrebbe stu­
pire da parte di un uomo che il suo scritto rivela così profon­
damente influenzato dalla lettura dell’Apostolo) da una tra­
sposizione della Lettera ai Galati alla luce della Lettera ai
Romani. Questa lunga attesa, durante la quale è rimasto come
sospeso il compimento del disegno di Dio, non significava da
parte sua abbandono dell’umanità, indifferenza nei suoi con­
fronti (V ili, 7; 10): in essa Dio si è mostrato non soltanto
pieno di amore per gli uomini, ma anche di longanimità, di
pazienza (V ili, 7; IX , 2): la parola e il pensiero vengono da
Paolo, e precisamente dalla Lettera ai Rom ani." Il ritardo che
la prospettiva della rivelazione, in At 17, 30, induce e definire
come «tempi dell’ignoranza» appare a Paolo, nella prospettiva
della salvezza, come tempo della «pazienza di Dio».100 Nel
grandioso affresco con cui si apre, la lettera ci presenta un
quadro duplice della situazione dell’umanità: tutti, giudei e
gentili, sono allo stesso modo sotto il giogo del peccato;101 il
mondo intero (vale a dire, come nell/l Diogneto, l’umanità) è
sotto il peso della giustizia di Dio.102

98 Al punto che troviamo, di sfuggita, la tesi «pessimista» nell’otti­


mista Ire n e o , A d v . h a e r . , Ili, 21, 2, Harvey; IV, 61, 1, p. 291;
V, 3, 1, p. 325. Per una discussione generale del problema, così
come si presenta alla coscienza cristiana del nostro tempo,
cf. P. DuBARLE, O p t i m i s m e d e v a n t c e m o n d e , Paris 1949, e
Η. I. M a rro u , L ’a m b i v a l e n c e d u te m p s d e l ’h i s t o i r e c h e z s a in t A u -

Montréal-Paris 1950 (Conferenza Alberto Magno 1950).


g u s tin ,

99 Cf. Rm 2, 4 (μακροθυμία: V A D i o g n . ha in Vili, 7 l’aggettivo e in


IX, 2 il verbo corrispondenti).
100 Rm 3, 26. Lo stesso concetto di longanimità divina appare altro­
ve, nella 2 Pt 3, 9, ma in tutt’altra prospettiva: applicato cioè al
tempo della Chiesa e non più a quello dell’Antico Testamento, al
ritardo della parusia escatologica e non più a quello dell’incarna­
zione.
101 Cf. Rm 3, 9.
102 Cf. Ih ., 19.
INIZIAZIONE ALLA FED E CRISTIANA 203

È la stessa dottrina ripresa dal nostro autore; ma questi,


con grande finezza, esplicita il concetto di sviluppo che i vigo­
rosi scorci dell’Apostolo non fanno che; suggerire.103 Nel
corso dei secoli precedenti la venuta di Cristo, l’umanità è
progressivamente sprofondata, sempre di più, nell’abisso del
peccato, esaurendo in qualche modo le possibilità del male;
sulla linea che sarà seguita dalla teodicea classica, egli ha
molta cura di precisare che Dio non può in alcun modo essere
considerato la causa del male, che ha soltanto tollerato (Di, 1)
in vista di un fine buono, consistente nel dimostrare, in qualche
modo con l’esperienza, l’impossibilità radicale in cui si trova­
va l’uomo ad accedere da se stesso alla giustificazione; con­
temporaneamente ciò serviva, per contrasto, a mostrare l’im­
periosa necessità di una salvezza procurata gratuitamente
dalla misericordia divina (IX, 1-2). Ma questo altro non è che
la dottrina applicata all’insieme del tempo vissuto dall’uma­
nità, alla suà storia, formulata dalla Lettera ai Galati in rap­
porto al popolo ebraico a proposito del tempo vissuto sotto la
Legge:104

«Ma la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il pec­


cato,105 perché ai credenti la promessa venisse data
in virtù della fede in Gesù Cristo. Prima però che
venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custo­
dia della Legge, in attesa della fede che doveva essere
rivelata. Così la Legge è per noi come un pedagogo
che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustifi­
cati per la fede. Ma appena è giunta la fede, noi non
siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete
figli di Dio per la fede in Cristo Gesù».

Trasposizione legittima, perché le due dottrine sono orien­


tate allo stesso fine, in quanto esaltano entrambe il ruolo della
salvezza mediante la fede in Gesù Cristo:

103 Cf. Rm 1,21 s.; 24; 26.


104 Gal 3,22-26.
105 Cf. anche Rm 3, 9: con questa formula si realizza psicologica­
mente il raccordo e l’accostamento dei due testi.
204 COMMENTO

«Dio ίο ha prestabilito a servire come strumento di


espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al
fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleran­
za usata verso i peccati passati, nel tempo della divi­
na pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel
tempo presente, per essere giusto e giustificare chi
ha fede in Gesù».106

106 Rm 3, 25 s. Cf. Ch. Journet, Introduction à la théologie, Paris


1947, pp. 233 s.: occorre notare come anche un teologo moder­
no sottolinei l’importanza eccezionale che presenta ai suoi occhi
la congiunzione dottrinale di queste due Lettere.
205

C apitolo 4

L’ESORTAZIONE FINALE
(CAPP. X E XI-XII)

D ia let t ic a d e l l a co n v ersio n e ( X , 1 -4 )

La litania con la quale si conclude il capitolo IX , 6 ha quasi


il carattere di una dossologia e caratterizza bene una sorta di
conclusione. Con la frase che apre il capitolo X , 1 si riparte di
nuovo. Il brusco cambiamento del tono, che passa dall’esposi­
zione dottrinale all’esortazione pratica, è evidenziato dal fatto
che l’autore riprende a rivolgersi direttamente al destinatario,
alla seconda persona singolare: una costruzione che era prati­
camente scomparsa dal nostro orizzonte dopo VII, 8 (fa una
comparsa, ma in modo poco significativo e senza insistenza,
una sola volta nel corso della terza parte, in V ili, 2).
L ’autore affronta il suo nuovo tema con un tono incalzante:
«Se (dunque) anche (come già noi cristiani) tu hai desiderio di
questa fede» - di questa fede della quale noi abbiamo impara­
to a conoscere la necessità (V ili, 6) e la possibilità (IX, 6)...
Il resto della frase, nello stato in cui lo troviamo, è difficile da
interpretare, sia che il manoscritto F ci presenti un testo lacu­
noso o corrotto (una volta di più si esita tra le due ipotesi) sia
che l’autore stesso, intrepido imitatore di Paolo,1 abbia fatto
ricorso all’ardita figura retorica dell’«aposiopesi», precisa-
mente per dare un tono più patetico alla sua argomentazione.
Ma, si accetti o no di correggerla come abbiamo fatto noi, il
seguito dei concetti è molto chiaro, purché il lettore ponga
sufficiente attenzione al gioco delle particelle di collegamento,
che presenta un intreccio piuttosto sottile.2

1 Cf., per es., Rm 5,1 2 s.; 9,22-24.


2 M èv... δ ε ... determinano parallelismo e gradazione tra
έπίγνωσιν e έπι,γνούς; γάρ... introduce X, 2 come un commento
del πρώτον diX, 1.
206 COMMENTO

Sembra che si possa ricostruire così il pensiero dell’autore,


che abbozza qui un’analisi del progredire della conversione.
Egli suppone, come punto di partenza, che il suo uditore, per­
suaso dall’esposizione teologica e dogmatica che precede,
senta ora il desiderio della fede cristiana. In qualunque modo
si correggano o si intendano i termini che seguono, è indub­
bio il senso: se Diogneto (o il lettore, chiunque sia) desidera
veramente la fede cristiana, non può non ottenerla. Nella pro­
spettiva ottimista nella quale si colloca il nostro autore, la cosa
è fuori di dubbio: sarebbe un anacronismo evocare qui i pro­
blemi cari all’augustinismo anti-pelagiano sull’elezione e il
piccolo numero degli eletti. Supponendo dunque che il passo
sia già stato fatto, l’autore si mette immediatamente a descri­
vere come avverrà il progredire di Diogneto all’interno della
via cristiana.
Prima tappa: la fede lo introdurrà in una conoscenza più
profonda di Dio, quella che consiste, molto precisamente,
nello scoprire Dio come Padre. Questo titolo, introdotto una
prima volta di sfuggita nell’enumerazione litanica di IX , 6, è
qui ripreso con particolare insistenza: tutto il paragrafo X , 2 è
fatto per spiegarlo. Padre è inteso qui non nel suo senso pro­
priamente «teologico» trinitario, ma in rapporto all’uomo:
conoscere il Padre significa rendersi conto di quanto egli
abbia amato gli uomini. Una volta ben sottolineato questo
punto, il seguito si sviluppa con una logica perfetta: appena
conosciuto l’amore di Dio, la riconoscenza ispirerà a sua volta
l’amore per Dio (X, 3), e questo amore ci porterà a imitarlo,
amando a nostra volta gli uomini nostri fratelli, come egli stes­
so ci ha amati (X, 4), e questa imitazione di Dio nell’amore e
mediante l’amore comporta, in una certa maniera la divinizza­
zione del cristiano (X, 6).

A ntropocentrism o COSMICO ( X , 2 )

Per dare un’immagine completa di questo «traboccante»


amore di Dio per gli uomini (IX , 2), l’autore è indotto a
riprendere, e via via a completare in una prospettiva nuova,
l’insegnamento dei capitoli precedenti. Sapevamo che Dio
aveva creato e dato ordine al mondo (VII, 2; V ili, 7), e adesso
si precisa: è per l ’uomo che il cosmo è stato creato, ed è
all’uomo che è sottomesso. Correggendo ciò che l’allusione
L ’ESORTAZIONE FINALE 207

sprezzante agli errori dei filosofi aveva di umiliante per la


ragione umana, l’autore ora la esalta.
E così egli si trova a riprendere a proprio vantaggio, come
hanno fatto a proposito della stessa dottrina molti antichi
Apologisti,3 un certo numero di concetti e anche di formule
proprie della tradizione dei filosofi pagani. Era una dottrina
cara allo stoicismo, e tramite questo radicata nel pensiero an­
tico, quella di un cosmo organizzato in funzione dell’uomo.4
Per esprimere il concetto dell’uomo dotato di un pensiero
razionale che gli permette di raggiungere la conoscenza di
Dio, l’autore non si accontenta di ricordare la dottrina pro­
priamente rivelata dell’uomo fatto a immagine di Dio, ma uti­
lizza l’osservazione classica: l’uomo, solo tra gli esséri viventi,
sta eretto e può così alzare lo sguardo verso il cielo. Si tratta di
un luogo comune attestato almeno da Senofonte in poi, del
quale la letteratura «protrettica» dei filosofi e, alla loro scuola,
quella dell’apologetica cristiana, avevano fatto un uso fre­
quentissimo.5 Questa menzione non è d’altronde priva di una
portata polemica: non tutti gli antichi erano d’accordo nell’ac­
cettare questo antropocentrismo, e l’anti-apologetica pagana
faceva talvolta uso, contro i cristiani, dell’argomentazione che
già gli epicurei avevano opposto all’ottimismo stoico. Come
non scorgere in questa rapida annotazione una fermissima
presa di posizione del nostro autore nei confronti di obiezioni
del tipo di quelle che abbiamo incontrato in Celso?6

3 Così il P a s t o r e di Erma, M a n i . , 14, 4, 2; ARISTIDE, A p o i . , 1, 3;

G iustino, I I A p o i . 5, 2; T r i f o n e , 41, 1; T e o h lo , A d A u t o l . , 1, 6;
L a ttan zio , D i v . i n s t . , VE, 5, 3 ecc. E già i giudei: A p o c . d i B a r u c ,
14,18-19; I V E s d r a , 6, 55; 59. Si veda E. H. Blakeney, A n o t e o n
e p i s t l e t o D i o g n e t u s X, 1, in JThS 42, a r t . c i t . , pp. 193-195 (oppure,
th è

dello stesso, T h e e p i s t l e t o D i o g n e t u s , commento, pp. 74-77).


4 Cf. ARIO Didimo, in Eusebio, P r a e p . e v a n g . , XV, 15, 3-4, p. 817 d;
Ε ρ π τε το , 1, 6,19.
5 Cf. l’imponente dossier (la lista dei rimandi riempie una pagina) rac­
colto da M. P e lle g rin o , S t u d i s u l ’a n t i c a a p o l o g e t i c a , cit., p. 22, η. 1
(Aristotele), 2 (autori pagani a partire da Senofonte, M e m . , 1,4,11),
3 (autori cristiani). Sempre di M. PELLEGRINO, si veda anche:
«Il Topos dello status rectus nel contesto filosofico e biblico»,
M u l l u s ( M i s c e l l a n e a T h . K l a u s e r ) , Miinster W., 1964, pp. 273-281.

6 Cf. C e lso , in O rigene, C. C e l s . , IV, 23, pp. 292 s. Koetschau, cita­


to sopra, pp. 159 s.
208 COMMENTO

L’«A G A PE» CRISTIANA (X, 2-7)


Il lettore non può non restare colpito dalla differenza
tono tra il capitolo presente e l’esposizione contenuta nei due
precedenti.7 Abbiamo fatto un passo avanti e siamo penetrati
più profondamente all’interno della dottrina cristiana: siamo
passati dal concetto di Dio alla rivelazione del Padre, dalla
«filantropia» divina (V ili, 7; IX , 2) al concetto propriamente
cristiano di amore, all ’ a g a p e . Il termine indubbiamente era già
comparso nello scritto8 del nostro autore, ma quasi di sfuggi­
ta: qui, al contrario, questo concetto diventa centrale, e su di
esso si fonda tutta l’argomentazione.
Come sempre, il nostro testo non si attarda in lunghi svi­
luppi e non pretende di elaborare precisazioni dottrinali: non
chiediamo a una esposizione così succinta una presa di posi­
zione nei confronti dei delicati problemi sollevati, per esem­
pio, dal notissimo e profondo studio, per quanto un po’ falsa­
to dall’uso di una terminologia troppo sistematica, di Anders
Nygren su A g a p e e E r o s . 9 Sarà stato notato che l ’A D i o g n e t o
usa il termine άγάπη sia per descrivere l’amore discendente di
Dio per l’uomo (X, 2) sia l’amore ascendènte che la ricono­
scenza ispira all’uomo nei confronti di Dio (X, 3-4).
E interessante notare il modo in cui l’autore ha concepito
ed espresso la sua dottrina: una volta di più egli manifesta
come sia profondamente pervaso dall’insegnamento dell’inte­
ro Nuovo Testamento, del quale, con perfetta padronanza,
collega insieme l’apporto dei diversi testi. Egli trae la sua fon­
damentale nozione di Dio da una tradizione10 proveniente da

7 È, per contro, inutile sottolineare i paralleli: X, 2 riprende IX, 2


(missione redentrice del Figlio), ecc.
8 Accostato a φιλανθρωπία: IX, 2; cf. il verbo αγαπάω: IV, 4; VII, 5.
9 Si veda in particolare la seconda parte di questa grande opera,
Stockholm 1936.
10 Attestata in particolare da IGNAZIO di Antiochia, E f e s . , 1, 1:
T r a l l . , 1, 2; si vedano i testi raccolti da T. PREISS, L a m y s t i q u e d e

l ’i m i t a t i o n d u C h r i s t . . . c h e z I g n a c e d ‘A n t i o c h e , in R e v u e d ’h i s t . e t

d e p h i l o s . r e l i g i e u s e , 18, 1938, pp. 197-241, é Ad. H eitm ann,

I m ita tio D e i, d ie e th is c h e N a c h a h m u n g G o tte s n a c h d e r V d te r le h r e

d e r z to e i e r s te n SA 10, Roma 1940, pp. 68 s. (e in


ja h r h u n d e r te ,

particolare, per il nostro testo, pp. 93-96); per il tema dell’imita-


L ’ESORTAZIONE FINALE 209

Paolo - E f 5, 1 (cf. 1 Cor 11, 1) - ma la esplicita immettendo­


vi il contenuto della dottrina della carità quale Giovanni l’ha
insegnata nei testi notissimi del suo Vangelo (13, 34 s.) e della
sua Prima Lettera (3, 16; 4, 21). Si noterà d’altronde quanto
questi vari testi si prestassero all’operazione, richiamandosi in
qualche modo l’un l’altro: se in Giovanni il Cristo ha detto:
«... come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli
altri», Paolo da parte sua sottolinea simmetricamente: «Fatevi
dunque imitatori di Dio, come figli amatissimi».
L ’autore sembra prevedere un’obiezione da parte del suo
pubblico, quando sottolinea (X, 4): «Non ti stupire che un
uomo possa divenire imitatore di Dio». Ciò non significa che
un pagano colto e d’animo religioso potesse restare sorpreso,
come da un’inattesa rivelazione, da questo concetto paolino
dell’imitazione di Dio: questo pensiero, infatti, familiare alla
tradizione apologetica giudaica,11 quanto a quella cristiana,
pare fosse entrato nella mentalità pagana dei primi secoli della
nostra era, in particolare per l’influenza dell’insegnamento
stoico.12 L ’A Diogneto, rispondendo all’obiezione «lo può, se
Dio lo vuole»,13 intende piuttosto mettere l’accento sulla cer­
tezza che la rivelazione cristiana offre quanto alla possibilità
concreta di realizzare questa nobile ambizione.
Questa volta, il termine agape non viene pronunciato di
nuovo per esprimere l’amore dell’uomo verso l’uomo, che si
effonde dall’anima cristiana sul prossimo, ma la descrizione
che vien fatta (X, 5 -6 )14 dell’imitazione di Dio non lascia

zione di Dio in C lem en te d’Alessandria, si veda anche C. TlBlLEm,


T e r m in o lo g ia g n o s tic a e c r is tia n a in « a d D io g n e tu m » V I I , 1, in A t t i

d e l l a A c c a d e m i a d e l l e S c i e n z e d i T o r i n o , 97 (1962-1963), p. 106.

11 Cf. H eitm an n, I m i t a t i o . . . , cit., pp. 47-64.


12 Cf. i b i d . , pp. 32-47; cf. pp. 65 s.
13 L ’altra traduzione possibile, «se l’uomo lo vuole», meno soddisfa­
cente grammaticalmente, dà un senso molto più banale.
14 Si sarà notato, leggendo X, 5, l’osservazione che potenza e ric­
chezza non costituiscono la felicità; è una osservazione che appe­
santisce il ragionamento e ne compromette la linea dialettica: si
tratta di un retaggio della tradizione letteraria del genere protretti-
co, di cui costituiva uno dei luoghi comuni a partire da Aristotele
( f r a m m . 59 Rose; R. WALZER , A r i s t o t e l i s d i a l o g o r u m f r a g m e n t a ,

f r a m m . 10 a : Jam blique, P r o t r e p t . , 8, p. 47).


210 COMMENTO

dubbi: per il cristiano si tratta proprio di amare il prossimo


dello stesso amore, della stessa agape fatta di liberalità, di
disinteresse che Dio ha avuto nei nostri confronti. Dobbiamo
dunque, letteralm ente, com portarci al modo di Dio, alla
maniera di un dio, il che realizza paradossalmente, in qualche
modo, la deificazione dell’uomo. Tutta questa argomentazio­
ne trova dei paralleli nell’insieme della letteratura cristiana del
II e III secolo.15 E interessante sottolineare gli accostamenti
che si possono stabiliré tra il nostro passo e l’esortazione che,
conformemente alla tradizione apologetica, forma la conclu­
sione dell’esposizione dogmatica al termine del testo - quale
ci è pervenuto - dei Philosophoumena, comunemente attribui­
ti a Ippolito di Roma:

Cf. A Diogneto Philos., X , 3416

V ili, 2 Non attaccatevi ai sofismi di abili


discorsi, né alle vane promesse di ere-
VII, 2 tici plagiari, ma all’augusta semplicità
della verità senza enfasi. Con questa
X, 3 conoscenza17 sfuggirete all’imminente
minaccia del fuoco del Giudizio, allo
spettacolo senza luce del Tartaro tene­
broso...
X, 2 ... Tu otterrai il regno dei cieli, per-
X, 7 ché da vivo avrai conosciuto18 il re
celeste, sarai famigliare di Dio... Egli
rende nuovo l’uomo vecchio, avendolo
X, 2 chiamato immagine sin dall’inizio... E
X , 3-4 se tu ubbidisci ai suoi ordini e ti fai
buon imitatore di questo buon signo­
re, tu gli sarai simile, ricompensato da
X. 6 lui, perché Dio non è povero, e ti farà
dio a sua gloria.

15 Così G iustino , I Apoi., 10,1; II Apoi., 4 ,2 ; ecc.


16 Riporto, con qualche ritocco, la traduzione di P. NAUTIN,
Hippolyte et Josipe, cit., pp. 124-126. (Così il curatore francese:
nell’italiano seguiamo il suo testo anche in questo caso).
17 Δί fjs επιγνώσεων: cf. A Diogneto, X, 1 e 3.
18 Έπιγνούς (P. Nautin traduce «riconosciuto»): A Diogneto, X, 3.
L ’ESORTAZIONE FINALE 211

11 Protrettico di Clemente di Alessandria, con un tono


senza dubbio più personale e una elaborazione letteraria più
spinta, presenta anch’esso, nei suoi due ultimi capitoli, dei
punti di contatto non meno precisi:19
Protrettico Cf. A Diogneto

X I, 115,1: Riceviamo le leggi della


vita, ubbidiamo all’esor­
tazione di Dio, imparia­
mo a conoscerlo... X; l
Egli ti dona... la terra,...
l’acqua,... l’aria,... il fuo­
co..., il mondo. Di quag­
giù tu puoi ora andare a X, 2
colonizzare fino nei cieli. X, 7
X I, 115,4: Soprattutto ora che il di­
scepolo è giunto a cono­
scere il nome... di questo
buon Padre. X, 1
X I, 115,5: Egli segue Dio, ubbidisce
al Padre suo;... lo ha rico­
nosciuto, ha amato Dio,
ha amato il prossimo. X, 4
X I, 116,1: Il disegno eterno di Dio
è quello di salvare il
gregge umano. X, 2
X I, 117,1: O santa e beata potenza
che fa di D io il nostro
concittadino! X, 7
Val dunque m eglio, è
preferibile divenire ad un X, 4
tempo imitatore e servo
del migliore degli esseri.
ΧΠ, 118, 4: Allora tu contemplerai il X, 7
mio Dio, sarai iniziato a
questi santi misteri, gioirai
dei beni arcani del delo...

19 Cf., per questa doppia serie di accostamenti, la tabella compilata


da P. Andriessen , in RTAM 14,1947, pp. 127 s.
212 COMMENTO

Si sa quale posto abbia occupato il concetto di deificazio­


ne del cristiano nella teologia dei Padri greci,20 soprattutto a
partire dall’Apologista Teofilo di Antiochia,21 e con quale
audacia essi l’abbiano talvolta esplicitato.22 Il nostro testo non
si permette alcuna audacia del genere: qui l ’imitatore di Dio
non è «un dio»,23 se non in un senso del tutto relativo e deri­
vato. Come è accaduto frequentemente agli scrittori cristiani
dei primi tre secoli,24 e anche in pieno IV secolo a un autore
così fedele al classicismo come Gregorio di Nazianzo,25 il
nostro testo prende θεός, «dio», non nel senso univoco che
avrebbe richiesto il geloso monoteismo della fede, ma nell’ac­
cezione molto più «elastica», indebolita dalla decadenza del
senso religioso nel mondo ellenistico, che il termine aveva
assunto nell’uso corrente. Si sa fino a che punto si fosse esteso
il concetto di eroizzazione, quindi di divinizzazione: era
comunemente applicato a qualsiasi uomo eminente per qual­
che qualità fisica (come la bellezza) o morale, in particolare era
usato per i «benefattori», gli evergetes, o sovrani o privati.26

20 Cf. G. W. B u t t e r w o r t h , T h e d e i f i c a t i o n o f m a n i n C l e m e n t o f
A l e x a n d r i a , in JThS, 17,1915-1916, pp. 157-169; M. LOT-BORODBME,

L a d o t t r i n e d e l a d é i f i c a t i o n d a n s l ’É g l i s e g r e c q u e , in RHR 105,1932,

pp. 5-43; 106, pp. 525-574; 107, 1933, pp. 8-55; J. G r o s s ,


L a d i v i n i s a t i o n d u c h r é t i e n d ' a p r è s l e s P è r e s g r e c s (tesi di Strasburgo),

Paris 1938.
21 Cf. Teofilo, A d A u t o l . , II, 27.
22 Così si legge altrove, nello stesso passo dei P h i l o s o p h o u m e n a , X,
34, p. 125 Nautin: «Perché tu sarai divenuto un dio... Dio promet­
te di accordarti tutti gli attributi divini quando sarai divinizzato e
divenuto immortale».
23 Quando 0€Ó9 è applicato in questo modo all’uomo, non bisogna tra­
durlo con «Dio», e neppure con «dio», ma preferibilmente con «un
dio» (cf. le giuste osservazioni di BUTTERWORTnH, a r t . c i t . , p. 169).
24 Si vedano i testi raccolti da BUTTERWORTH, i b i d . , pp. 161 s., e
MEECHAM, T h e E p i s t l e t o D i o g n e t u s , cit., nota B, pp. 143-145.
25 O r . , 14,26-27, PG 35, 892 C.
26 Cf. HARNACK, D o g m e n g e s c h i c h t e ì , t. Ili, pp. 138 s., η. 1; A. D.
NOCK, N o t e s o n r u l e r - c u l t , II, in J o u r n a l o f H e l l e n i c s t u d i e s 48,
1928, pp. 31-33, e in particolare i testi citati n. 51.
L ’ESORTAZIONE FINALE 213

Il nostro autore si attiene all’ingegnoso accostamento c


gli fornisce questo comune uso. Non rimproveriamolo di evi­
tare di spingere più avanti la sua analisi: in tutto questo capi­
tolo egli è visibilmente orientato non alla speculazione dog­
matica, ma piuttosto, come si addice a un discorso protretti­
co, all’applicazione pratica. Si preoccupa molto più di definire
la condotta che un neo-cristiano deve tenere, che di analizzare
le modalità ultime della sua trasformazione soprannaturale.
Senza dubbio, con qualche tocco discreto, egli evoca il
progresso che, fin da questa terra, il cristiano realizzerà nella
conoscenza di Dio. La sua dottrina, per quanto sobriamente
accennata, è d’altronde qui ad un tempo molto sicura e molto
ricca: se una prima conoscenza del Padre mediante la fede è
necessaria per indurci a vivere bene, la vita nella carità, a sua
volta, ci introduce a poco a poco in una conoscenza più com­
pleta e più profonda di Dio (X, 7).

L ’in fe rn o e i l m a rtirio (X, 7-8)


Ma non lasciamo il campo d’azione immediato, che è la
vita terrena: i fini ultimi sono evocati soltanto in una prospet­
tiva lontana, sia che si tratti della promessa del Regno, ricom­
pensa dell’amore (X, 2), o della minaccia del castigo (X, 7-8).
Alcuni si sono talvolta scandalizzati dell’insistenza con la
quale, in questa esortazione che sta a coronare un’opera ani­
mata da tanto fiducioso ottimismo, viene evocato il «fuoco
perpetuo».27 Ma i cristiani di un tempo non provavano nei
confronti dell’inferno la pusillanimità di cui dà prova l’apolo­
getica moderna: più leali di quanto non sia talvolta questa,
non dissimulavano nulla delle severità dogmatiche, ritenendo
senza dubbio che, al contrario, la gravità della posta in gioco
desse all’opzione cristiana tutta la sua serietà.28

27 E. R. B evan , in E. H. B la k en ey , The epistle to Diognetus, p. 82.


28 Così G iu st in o , I Apoi., 18, 1-2; 68, 1-2; II Apoi., 2, 2; 8, 4;
T e o filo , Ad Autol., I, 14; Pseudo-GlUSTlNO, Cohort., 35; si veda,
già nel Martyr. Volte., 2, 2-3; 11, 2, lo stesso accostamento tra m ar­
tirio e fuoco eterno.
214 COMMENTO

In modo un po’ inatteso per il lettore moderno, questi due


paragrafi intrecciano al tema dell’esortazione un ricordo delle
preoccupazioni espresse nella prima parte (cf. I-IV). Con mag-
giori dettagli rispetto al capitolo V E, 7-8 (a giudicare almeno da
ciò che resta del testo, che a questo punto è tronco), l’autore
cerca di rispondere alla domanda formulata, se ricordiamo, da
Diogneto (I, l d): da dove viene questo disprezzo della morte
ostentato dai martiri?
Molto giustamente l’autore sottolinea che il loro atteggia­
mento ha senso solo per chi si pone all’interno della prospetti­
va cristiana. Esso suppone la conoscenza del vero Dio e dei
fini ultimi, della vera vita e della «seconda» morte: allora, ma
allora soltanto, l’eroismo dei martiri diventa comprensibile e
lo stupore scandalizzato del pagano cede il posto all’ammira­
zione e all’amore. Abbiamo insistito abbastanza su ciò che
l’argomentazione apologetica del nostro autore ha talvolta di
ingenuo o di insufficiente, e dunque qui possiamo felicitarci
della solidità e della pertinenza delle sue parole. Come nel
caso del mistero della vita cristiana (cf. V-VI), il problema del
martire non può trovare soluzione finché si resta al di fuori
del cristianesimo e del suo sistema di verità e di valori; è vano,
per chi non crede, domandare al cristiano una spiegazione:
essa non è possibile, ma diventa di un’immediata evidenza per
chi prima si sia inserito nella Chiesa.
Ci si potrebbe stupire di veder trattare qui questo proble­
ma, mentre avrebbe dovuto essere affrontato e risolto molto
prima. Ma questo è uno degli esempi di disposizione comples­
sa dove non dobbiamo affrettarci a vedere una negligenza nel
piano e nell’esecuzione: la retorica antica, che ricercava effetti
inattesi, vi vedeva una sorta di raffinatezza suprema e una
dimostrazione d’arte.29

LA LACUNA TRA X , 8 E X I , 1

Il testo è interrotto, dopo la fine del § X , 8, da una nuo


lacuna30 che il copista di F ha segnalato così come aveva regi­
strato quella dopo V II, 6: mezza riga in bianco e in margine

29 Si veda, su questo argomento, il mio Saint Augustin..., (II)


Retractatio, cit., pp. 665-670.
30 Cf. p. 175 s.
L ’ESORTAZIONE FINALE 215

una nota a inchiostro rosso: «Anche qui il modello presentava


un taglio», termini analoghi alla nota corrispondente del capi­
tolo V II e che mostrano di farvi allusione. Il problema si pone
dunque qui negli stessi termini e, in entrambi i casi, i com­
mentatori sono divisi sull’estensione della lacuna da colmare.
Alcuni la riducono a qualche parola,31 altri, al contrario, pen­
sano sia piuttosto lunga, ipotesi questa alla quale ci atterremo
da parte nostra. Se infatti si accetta la soluzione proposta per
la prima lacuna, cioè la caduta di uno o più fogli in un quater­
nione del modello Φ, dobbiamo supporre qui l’assenza del o
dei mezzi fogli corrispondenti: la lacuna che si aprirebbe tra i
capitoli X e X I sarebbe di almeno due pagine, per cui diven­
terebbe molto rischioso cercare di colmarla.32

31 H. KJHN, D e r U r s p r u n g d e s B r i e f e s a n D i o g n e t , cit., p. 48, suppo­


nendo, come fa anche per la lacuna del capitolo VII, che lo spazio
bianco predisposto dal copista di F dia esattamente l’estensione
della parte troncata di Φ, valuta che la lacuna misuri circa mezza
riga e si accontenta di restituire: Ταΰτα οΰν διδάσκων, «Inse­
gnando dunque in tal modo...».
32 In particolare bisogna considerare vano il tentativo di E. I.
K arpathios , Σ υμπλήρωσις τοΰ χάσματος τή ς πρός Δίογνητόν
έπιστολή?, Γρηγόριος ό Παλαμάς (organo della metropoli
ortodossa di Tessalonica), t. IX, 1925, pp. 117-129: questo autore
propone di colmare il vuoto esistente tra i capitoli X e XI con un
testo pubblicato, in traduzione latina (da una versione araba gia-
cobita, conservata da un ms. del Vaticano, a r a b . 1 0 1 ) , ad opera di
A. M ai, S p i c i l e g i u m K o m a n u m , t. Ili, pp. 704-706. Si tratta di due
frammenti sul Cristo attribuiti dal manoscritto al mitico «Ieroteo,
discepolo degli apostoli e vescovo di Atene» (il preteso maestro
dello Pseudo-Dionigi), che non possono in alcun modo essere
messi in relazione con V A D i o g n e t o , né per il contenuto né per la
dottrina (di una precisione dogmatica che manifesta una data
molto più recente) né per il loro carattere (il primo frammento si
presenta come la conclusione di un’omelia, già provvista della sua
dossologia propria: I e s u s C h r i s t u s r e x a e t e r n u s p e r s a e c u l a s a e c u l o -
r u m , A m e n ) . Si veda già E. MOLLAND, in Z e i t s c h r i f t f ù r d ie

N e u t e s t a m e n t l i c h e W i s s e n s c h a f t , 33,1934, p. 291, n. 15.


216 COMMENTO

L ’ a u t e n t ic it à d e i c a p it o l i XI-XII
Mentre le discussioni sollevate a proposito della lacuna in
VII, 7-8 si sono concentrate soltanto sulle cause e sull’esten­
sione del guasto, e mai nessuno ha sospettato dell’autenticità
dei capitoli V II, 8-X, l’appartenenza al resto dell’^4 Diogneto
dei due ultimi capitoli, dell’«epilogo», è stata molto ampia­
mente contestata: a partire dai primi editori, Estienne e
Sylburg, seguiti d’altronde da Tillemont, fino ai più recenti,
Geffcken, Blakeney, Meecham, passando per Otto, Funk e
Gebhardt-Hamack, la grandissima maggioranza degli studiosi
che si sono occupati del nostro testo ha ritenuto che questi
capitoli X I-X II non facessero parte originariamente della stes­
sa opera come i dieci precedenti, e non si presentassero
attualmente come l’epilogo dell’Apologia, se non come conse­
guenza dell’incidente materiale che, mutilando Φ, ha privato il
copista di F dell’autentica conclusione dell’^4 Diogneto e del
titolo e dell’inizio di questa Appendice,33 che viene general­
mente assegnata34 a una data posteriore e a un diverso autore:
a questo proposito si è fatto spesso il nome di Ippolito.35

33 P. ROASENDA, I n E p i s t u l a e a d D i o g n e t u m X I - X I I c a p i t a A d n o t a t i o ,
in A e v u m 9, 1935, pp. 248-253, ha formulato un’ipotesi un po’
diversa: l’epilogo sarebbe stato aggiunto ai capitoli I-X da una
mano diversa che li avrebbe composti per aggiungere una conclu­
sione conveniente alla «Lettera» propriamente detta.
34 J. Q u arry , in H e r m a t h e n a , t. IX, 1896, pp. 318-357 (v. p. 320), e
R H. CONNOLLY, in JThS 37,1936, pp. 2-15; 36,1935, pp. 347-353,
sono inclini ad attribuire I-X e XI-XII a uno stesso autore, cioè
Ippolito, fermo restando che questi due frammenti appartenevano
originariamente a due opere distinte. Cf. A. HARNACK, G e s c h i c h t e
d e r a l t c h r i s t l i c h e n L i t e r a t u r , t. Π, C h r o n o h g i e , t. Π, cit. p. 233.

35 L’ipotesi è stata formulata per la prima volta da C. C. J. BuNSEN,


H i p p o l y t u s a n d b i s a g e , cit., 1.1, pp. 414 ss. (i nostri capitoli ΧΙ-ΧΠ

. sarebbero la conclusione dei P h i l o s o p h o u m e n a ) , opinione ripresa


da J. DRAESEKE in Z e i t s c h r i f t f i i r w i s s e n s c h . T h e o l o g i e , 1902,
pp. 273 ss., e di altri dopo di lui: G. N. B o n w etsch , in G o e t t i n g .
N a c h r i c h t e n ( p h i l . - h i s t . K l a s s e ) , 1902, pp. 621 ss; 1923, pp. 27 ss.;

D i P a u l i , in ThQ, 1906, p p . 28-36; E d . S c h w a r t z , in


S itz u n g s b e r i c h te d ell’A ccadem ia delle Scienze di M on aco di
Baviera, 1936, 3, p. 33, η. 1; 47, η. 1; vedere infine l’esposizione di
M eecham , T h e E p i s t l e t o D i o g n . , cit., pp. 66-68.
L ’ESORTAZIONE FINALE 217

Non c’è dubbio che, quando si leggono per la prima volta


questi due capitoli dopo i precedenti, si rimane colpiti, tanto
il soggetto e il tono di queste ultime pagine sembrano opporle
alle precedenti. Naturalmente si è cercato di elaborare e pre­
cisare questa impressione iniziale; senza entrare troppo nei
dettagli, raccogliamo le principali obiezioni formulate contro
l’autenticità dei capitoli X I e 2GI in una doppia tabella:36

I capitoli I-X: I capitoli XI-XII:


trattano, ed esauriscono, il pro­ sono senza rapporto con ciò che
gramma tracciato in 1 ,1; precede;
rispondono a domande precise; predicazione di carattere ge­
si rivolgono al singolare a «Sua nerale; parlano al plurale a quelli
Eccellenza Diogneto»; che vogliono divenire «discepoli
della Verità»;
costituiscono un’Apologia è la conclusione di un’Omelia37
ad (e adversus) Paganos, ad Catechumenos,
di un tono molto elementare, dottrinalmente piuttosto avanzata,

usa la terminologia tecnica (tra­


molto essoterica nell’espressione;
utilizza la Scrittura senza mai dizione, apostoli, Chiesa, Van­
citarla esplicitamente, geli, grazia, Padri, Pasqua);
e non la suppone nota; cita 1 Cor 8,1: «L’Apostolo dice...»·,
evoca il racconto dei capitoli 2-3
della Genesi;
evita l’esegesi spirituale; allegorizza sull’albero della co­
noscenza;
atteggiamento negativo nei con­ la Legge e i Profeti sono associati
fronti del giudaismo; ai Vangeli e alla tradizione apo­
stolica;

36 Cf. L. B. Radford , The epistle to Diogn., cit., pp. 31 s. Pur cercan­


do di essere esauriente, ho eliminato le argomentazioni troppo
inconsistenti, come quelle di G. BOEHL, Opuscula Patrum selecta,
Berlin 1826,1.1, pp. 115-123, alle quali F. X. Funk ha creduto di
dover far spazio in Patres apostolici, 1.12, pp. CXVHI-CXIX.
37 Omelia che potrebbe riferirsi sia al tempo di Pasqua, sia al tempo
dell’Epifania: nel primo senso si veda, per es., R adford, op. cit.,
p. 82; Ed SCHWARTZ, Zwei Predite Hippolyts, in Sitzungberichte
delPAccademia delle Scienze di Monaco di Baviera, 1936, 3,
p. 33, η. 1; nel secondo, F ruhstorfer , Weihnachts-Gedanken im
Brief an Diognet, in Theol.-prakt. Quartalschrift, 61, 1908, p. 762;
K. Lake, The apostolic Fathers, t. II, p. 349.
218 COMMENTO

rivelazione oggettiva dell’econo- appello alla gnosi soggettiva;


mia della salvezza;
teologia del Figlio; teologia del Verbo;
parla dei cristiani; parla della Chiesa;
aspetto morale della vita cristia- vita della grazia;
na;
in uno stile semplice, chiaro, capitoli pieni di affettazione,
diretto, scorrevole; ricercati, espressione vaga, fati­
cosa;

Infine, si è potuta osservare una doppia serie di termini e


di circonlocuzioni sintattiche che, usati in I-X , non compaio­
no in X I-X II, e viceversa.38
La requisitoria fa impressione. Ma, riflettendo, devo con­
fessare che tutti questi argomenti, esaminati uno per imo, mi
sono parsi perdere ben presto molto della loro apparente vali­
dità. Forse può essere utile sottolineare che, per quanto sia
stata così generalmente accolta la conclusione a favore della
non autenticità di X I-X II, si trovano pur sempre degli autori
che la rifiutano: Dorner (1839), Birks (1880), Kihn (1882),
Quarry (1896), Karpathios (1925), Connoly e Manucci (1936),
Andriessen (1947)39 hanno continuato ad attribuire l’«Epilo-
go» allo stesso autore40 e alla stessa opera dei capitoli I-X , e
adducendo degli argomenti che meritano più attenzione di
quanta generalmente sia stata loro concessa.41

38 Mi basta rinviare alla ricerca minuziosa di H . G. Meecham , The epi­


stle to Diogn., cit., pp. 65 s.
39 Cf. J. A. DORNER, Entwicklungsgeschichte der Lehre vort der Person
Christi, 1 .1 (2a ed., Stuttgart 1846), pp. 179 s., seguito della n. 32;
E. B. BlRKS, in Smith and Wace, Dictionary o f christian biography,
t. Π, pp. 164, 166; H . KlHN, Der Ursprung des Briefes an Diognet,
cit., pp. 48-55; abbiamo appena citato Quarry, Karpathios e
Connolly; U. M annucci, Istituzioni di Patrologia, 1.1, Roma 1936,
pp. 45 s.; P. Andriessen , Épilogue... cit., pp. 121-156.
40 Tranne Quarry e Connolly, come si è visto sopra.
41 In parecchi di questi autori la difesa dell’autenticità dei capitoli
ΧΙ-ΧΠ è sorretta da delle ipotesi come minimo azzardate. Così,
per Birk l’autore dellVI Diogneto sarebbe lo stesso dell’Oratio ad
Graecos dello Pseudo-Giustino, cioè «Ambrogio»; in Kihn, com­
pare una datazione fantasiosa dell’archetipo di F e l’attribuzione
ad Aristide; in Dorner e Andriessen ci si sforza di stabilire che
L ’ESORTAZIONE FINALE 219

Da parte mia, trovo più rigidezza che rigore nelle difficoltà


formulate. Prendiamo, per cominciare, le obiezioni che sem­
brano più precise e più forti, quelle che riguardano lo stile e il
linguaggio. Vengono opposti ai capitoli X I-X II i capitoli I-X
considerati in blocco, senza prestare sufficiente attenzione alla
varietà di elocuzione che si manifesta già dalle prime pagine,
dove molti diversi temi sono affrontati volta per volta, e cia­
scuno è trattato con il tono e lo stile che propriamente gli si
addice. Di fatto, se si guarda da vicino, si constata che molte
osservazioni elencate nella parte sinistra della tabella non
riguardano tanto l’insieme di I-X , quanto, piuttosto, i soli
capitoli V -V I, le pagine d’oro nel nostro libretto. Ma si
potrebbe molto bene opporre il loro tono, il loro stile, il loro
linguaggio a questo o quest’altro gruppo di capitoli. Con
altrettanta apparente ragione si potrebbe cercare di provare
che i capitoli II-IV , per esempio, non possono appartenere
alla stessa opera o allo stesso autore di V-VI: si potrebbe
opporre il loro stile, a tratti così impacciato, la loro argomen­
tazione fiacca, il loro tono astioso, la loro apologetica dalle
vedute corte, alla mirabile evocazione del mistero cristiano dei
capitoli V-VI, caratterizzati da uno stile così spoglio, da un
linguaggio puro, da un pensiero così fermo e così generoso,
ecc.
Meecham si è preso la pena di rilevare che delle 698 parole
del lessico dell’v4 Diogneto, 93 compaiono soltanto in ΧΙ-ΧΠ.42
Ma isoliamo allo stesso modo altri due capitoli, per esempio
quelli che hanno attinenza al giudaismo (III-IV), e osservere­
mo anche qui tutta una serie di termini rari e caratteristici che
l’autore non ha usato altrove, perché non ne aveva l’occasione.
L ’obiezione sollevata verrebbe a dire che i capitoli ΧΙ-ΧΠ non
ripetono i precedenti: parlando d’altro, parlano altrimenti. Non
trovo nulla di significativo nel fatto che X I-X II non usino ter­
mini come ϊδιο?, λοιπό?, θεοσέβεια, mentre I-X , per contro,

VA Diogneto sia stato pronunciato davanti ad Adriano, che era


stato appena iniziato ai misteri eleusini, e che i capp. XI-XQ sono
pieni di allusioni a questi misteri. Ma, insisto, questi autori produ­
cono anche ottimi argomenti che non sono in alcun modo legati a
queste ipotesi.
42 Cf. H. G. M eech am , The epistle to Diognetus, cit., p. 9.
220 COMMENTO

ignorano άπλόω, έξειπ εΐν , συγχρωτίζω,43 συνετίζω... Allo


stesso modo non vi è nulla di sorprendente se l’evocazione
lirica degli splendori della vita della Chiesa di questi capitoli
X I-X II non ha dato all’autore l’occasione di usare l’opposizio­
ne antitetica μέν... δε... oppure l’ottativo con αν! Infine,
un’analisi più scrupolosa rileverà, nella lingua di questi due
gruppi di capitoli, tanti parallelismi quante opposizioni: alle
osservazioni di Meecham opporrei quelle di Andriessen,44
dove si troveranno sottolineate numerose analogie in materia
di sintassi e di locuzioni stilistiche.
Analogamente, sarebbe necessario sfumare molti degli
argomenti formulati. Già nella prima parte, l’autore aveva
abbandonato a tratti la seconda persona singolare per rivol­
gersi, usando il plurale, all’insieme dei pagani (II, 1; 5-9). Più
significativo ancora45 è il ritornare dal plurale al vocativo sin­
golare a due riprese nell’epilogo (XI, 7; X II, 7).
Si fa spesso notare il ritmo che si trova nei passi lirici (Χ
7-8, e anche X I, 5-6), e che fa pensare a una «sorta di versi»
irregolari,46 sottolineati da rime interne;47 e s’intende che, se si
rapportano questi fatti all’ulteriore sviluppo della lirica religio­
sa bizantina, si tenderà a vedervi l’indizio di una data relativa­
mente recente. Ma basta parlare greco per intendersi: che cosa

43 Μ. B. A.: H curatore francese scrive συγγρωτίζ, che è chiaramen­


te una svista.
44 Cf. P. A ndriessen , art. dt., pp. 122-126.
45 Poiché, come nota J. A. KLEIST, The Didache, ecc., in Andent
christian writers, t. VI, p. 213, n. 6, nel cap. II, l’uso del vocativo
plurale può anche essere solo una precauzione oratoria: per
addolcire la crudezza dei rimproveri rivolti a Diogneto, l’autore
finge di confonderlo con la massa anonima dei pagani.
46 Cf. J. L. JACOBI, Zur Geschichte des griechischen Kirchenliedes, in
ZKG 5, 1881-1882, pp. 199 s.; Jacobi, seguito da J. B. P itra ,
Analecta Sacra, II, pp. X -X I, si è sforzato di scandire questi
«versi» in funzione dell’accento.
47 Cf. W. MEYER, Anfang und Ursprung der lateinischen und griechi­
schen rythmischen Dichtung, in Abhandlungen dell’Accademia
delle Scienze di Monaco di Baviera (phil.-hist. Klasse), 17, 1885,
p. 378.
L ’ESORTAZIONE FINALE 221

sono questi quasi versi ritmici, questa prosa rimata, se non


degli ισόκωλα όμοιοτέλευτα, delle figure che, alméno a parti­
re dal sofista Gorgia, appartengono al normale repertorio dei
procedimenti della retorica più autenticamente «antica»? E
perché fare del loro uso un tratto caratteristico del nostro epi­
logo? I capitoli V-VI ci hanno offerto anch’essi degli analoghi
slanci lirici che si traducono anch’essi in un ritmo quasi rego­
lare di piccoli membri paralleli, sottolineati da rime. Stupisce
che Jacobi non abbia pensato a fare per V, 6-16 la stessa espe­
rienza che ha tentato solo per X II, 6-8. Sia l’uno che l’altro di
questi due passi si presta ad essere disposto su righe parallele,
costituendo delle specie di «versi», e vi sono tante «rime» in -
ονται o in -ουνται, in questo frammento del capitolo V, quan­
to quelle in -εται ο -ονται che W. Meyer ha sottolineato come
caratteristiche in X I, 5-6 ο X II, 6-8.48
D ’altra parte occorre stare attenti a non estrapolare: nei
capitoli III-IV, l’opposizione al giudaismo, a prima vista così
rigida, così assoluta, si spiega largamente con la brevità dell’e­
sposizione. L ’autore esprime le sue critiche nei confronti del
culto giudaico senza pretendere di formulare, in tutta la sua
ampiezza, una presa di posizione teologica nei confronti del­
l’antico Israele. E, come abbiamo ben stabilito, non è pensabi­
le fare del nostro autore un discepolo di Marcione; pertanto,
come tutto il cristianesimo ortodosso, egli doveva accettare
nella sua integrità l’Antico Testamento, affiancare, nella sua
venerazione, la Legge, i Profeti, i Vangeli e la tradizione degli
Apostoli, come fa nel passo incriminato di X I, 6.
Ma veniamo all’essenziale. Ai capitoli X I-X II si oppongo­
no in blocco i capitoli I-X senza prestare abbastanza attenzio­
ne a tutte le novità e le diversità che il capitolo X già presenta.
Come abbiamo ricordato all’inizio di questo commento, era
normale che un’apologia si concludesse con una esortazione,
un «protrettico»: era la legge di questo genere letterario, ed
era normale che, dopo aver sbaragliato le obiezioni e i pregiu­
dizi del lettore pagano, lo si invitasse a impegnarsi in un cam­
mino di conversione. Ora, come abbiamo visto, questa secon­
da parte comincia col capitolo X , e questo capitolo, del quale

48 Si veda anche IX, 2, ούκ è μίσησε v κ.τ,λ.: F. Probst (in Otto3,


p. 195, n. 9) ci vedeva un frammento di inno.
222 COMMENTO

nessuno contesta l’autenticità,49 presenta già, almeno in forma


iniziale, tutti i caratteri originali che tanto spesso ci si compia­
ce di sottolineare nei capitoli X I-X II.
Soltanto la menzione artificiale50 del tema dei martiri
(X , 7-8) collega questo capitolo X alle domande poste da
Diogneto in I, 1. Tutto il resto è molto più vicino a ΧΙ-ΧΠ
che a I-IX: c’è già il tono della predicazione, un richiamo alla
piena conversione; la catechesi si fa più interiore, più tecnica;
la vita cristiana è evocata nel suo progresso; e se non si parla
ancora di «gnosi», si parla con una certa insistenza di
επίγνω σή (X, 1 ,3, 7, 8; cf. X I, 7; X II, 6).
Lo stesso vale per il contenuto e lo spirito della dottrina: si
è molto portati a ritenere che la teologia dell’epilogo sia più
recente di quella dell’apologia, e per questo si è spesso pensa­
to di attribuire questi capitoli X I-X II a Ippolito. Ma si è abba­
stanza insistito sul rapporto evidente che già si manifesta tra il
capitolo X e l’ultima pagina conservata, di tono altrettanto
«protrettico», dei Philosophoumena?51 C. Bonner e Meecham
hanno sottolineato i punti di contatto che si stabiliscono tra il
nostro epilogo e YOmelia sulla Passione attribuita a Melitone
di Sardi:52 abbiamo segnalato un accostamento più preciso
ancora tra la prima frase dell’^4 Diogneto (I, 1) e l’esordio di
un’altra opera, certamente autentica, dello stesso Melitone.
Come si vede, non resta molto da opporre ai partigiani
dell’autenticità. Un verdetto definitivo dipenderà dalla posi­
zione assunta circa la questione, così discussa, della datazione
del nostro A Diogneto. Se si fa risalire la composizione di I-X
abbastanza indietro nel II secolo, diventa più difficile adottare
la stessa data per ΧΙ-ΧΠ , a causa dei loro contatti così stretti

49 E la ragione è evidente: non vi è alcuna sutura visibile nel mano­


scritto; a tre righe di distanza, la nozione di «fede» collega X, 1 e
IX, 6.
50 Artificiale, benché artistica, £ι/τεχνος.
51 Per non parlare di tutti gli altri accostamenti che si possono fare
tra I-X e l’insieme del corpo di Ippolito: si veda in appendice il
nostro Indice dei Loca parallela.
52 Cf. C. B o n ner , The homily on thè Passio by Melito, hishop o f
Sardis, London 1940, pp. 60-62; H.G. M eech am , The epistle to
Diognetus, cit. pp. 66-68.
L ’ESORTAZIONE FINALE 223

con Ippolito, o almeno con la sua epoca;53 se invece - e que­


sta, come vedremo presto, sarà la nostra convinzione -
YA Diogneto appartiene a un’epoca più recente, allora non si
capisce più che cosa impedisca di assegnare l’epilogo alla stes­
sa data, allo stesso autore e alla stessa opera dei capitoli I-X.
Naturalmente non si potrà mai «dimostrare» che i capitoli
X I-X II non possano costituire la conclusione di un altro testo,
V bis, inserito dal compilatore tra YA Diogneto propriamente
detto (testo V) e i «Versi della sibilla Eritrea» (VI), testo del
quale l’inizio sarebbe scomparso nello stesso tempo della con­
clusione autentica della nostra Apologia... Ma entia non sunt
multiplicanda praeter necessitatem, e si potrà raccomandare la
soluzione dell’autenticità come altrettanto verosimile e più
economica.
Non accettiamo per il momento questa soluzione se non a
titolo di ipotesi di lavoro: se la lacuna esistente tra X , 8 e X I, 1
si spiega, come quella del capitolo VII, con la caduta di uno o
più fogli, ci mancano due pagine, se non quattro o sei, ed è
sufficiente perché il cambiamento di soggetto, di tono e di
stile, già così nettamente abbozzato al X , ci porti a ciò che
constatiamo in X I-X II: in una conclusione il movimento
tende a diventare più rapido, l’esposizione più concentrata, lo
slancio più vivace, come la «stretta» di una fuga musicale.54

A m p l if ic a z io n e d e l l ’ e s o r t a z io n e

Se non vuole ripetersi in modo monotono, l’autore deve


necessariamente, per continuare la sua esortazione, ampliarla
progressivamente, ed è proprio quello che ci offrono i capitoli

53 Di qui il carattere paradossale della posizione assunta da Dom


P. Andriessen, loc. cit., che vuole ad un tempo mantenere l’unità
dei ΧΠ capitoli dell’^4 Diogneto e, attribuendolo a Quadrato, far
risalire l’insieme a una data tanto remota come la primavera del 125.
54 [Nota aggiunta dopo la prima edizione]. L ’argomentazione di
queste pp. 216-223 sull’autenticità dei capp. ΧΙ-ΧΠ non ha con­
vinto la maggior parte dei nostri critici (così G. BARDY, c.r. cit.,
p. 243; C. T ibiletti , Aspetti..., cit., pp. 385 s.; Osservazioni... cit.,
pp. 245-247). Si è visto con quale prudenza sia stata portata avanti
questa conclusione: la manterrò - in mancanza di una ragione più
determinante - a titolo di ipotesi economica.
224 COMMENTO

X I-X II: un’amplificazione oratoria del tema protrettico del


capitolo X ; lo stesso appello alla conversione, arricchito con
l’evocazione delle meraviglie che attendono il convertito. Di
qui viene, come già nel capitolo X , una tendenza a costellare
l’esposizione di piccoli sviluppi dogmatici.
Questo insegnamento non si oppone mai a quello dei capi­
toli I-X. Non lo ripete (come sarebbe facilmente successo se
X I-X II provenissero da altra mano o appartenessero a un’o­
pera diversa) ma lo completa nel senso di una precisazione e
una interiorità crescenti. L ’epilogo si colloca bene nel prolun­
gamento del capitolo X che, fin dall’inizio, supponeva già
acquisito il desiderio della conversione. E pertanto naturale
che X I-X II trattino come catecumeni uditori e lettori. Per due
volte (XI, 1; X II, 2) si ritorna sull’invito di X , 1, sulla promes­
sa che il desiderio affermato sarà ricompensato dall’acquisi­
zione di una conoscenza più profonda e completa: X I, 2
riprende X , 1, έπι£ητεΐ corrisponde a ποθήσης. Ma facciamo
un passo ulteriore: X , 1 faceva allusione solo a un primo sta­
dio di iniziazione, quello che conferisce l’e πί γνώ σις del
Padre, mentre qui raggiungiamo la piena conoscenza, la
Γνώσις che fa penetrare nei «misteri del Padre» (XI, 2).55
Vi. è progresso, ma anche continuità. La terminologia lo
mostra bene: questo titolo di Padre, che compare qui (XI, 2) e
nella dossologia finale (ΧΠ, 9), era già stato usato - e con quale
rilievo! - in X, 1; e ancora, la seconda Persona della Trinità è
chiamata Verità in X I, 1 come in VII, 2; Salvatore, in ΧΠ, 9
come in IX , 6; Figlio, in X I, 5 come già in IX , 4 o in X , 2.

55 Tra έπίγνωσις e γνώσις esiste una sfumatura di significato abba­


stanza difficile da specificare (cf. BULTMANN, in TWNT I, pp.
705-708): propriamente parlando, i due termini non si oppongo­
no, perché non si collocano sullo stesso piano; Γέπίγνωσι? è una
conoscenza propriamente religiosa orientata alla salvezza, la cono­
scenza, si potrebbe dire, delle verità della fede, una conoscenza
già piena, nel suo ordine; la γνώσις è la «Gnosi», la conoscenza
dell’insieme delle verità più profonde su tutti i segreti del mondo
dell’invisibile, sulla natura intima di Dio (cf. J. Dupont, Gnosis,
la connaisance religieuse dans les épìtres de saint Pauls, Louvain
1949, in particolare pp. 48, n. 3; 410 s.).
L ’ESORTAZIONE FINALE 225

C o m plem en ti a l l a t e o l o g ia d e l V erbo (X I, 2 -5 )

Ma ecco dove si manifesta la differenza: mentre in tutta l’e­


sposizione precedente questo titolo di Verbo non appare che
una sola volta, e in un contesto, come si ricorderà, che lo rende
quasi ambiguo, qui il suo uso diventa regolare (fino a sei volte
nel capitolo X I, e di nuovo nella dossologia di ΧΠ, 9). Tuttavia,
più che una opposizione tra i due insegnamenti, c’è uno spo­
stamento del centro di insistenza.
Collochiamoci ora nella prospettiva dell’economia. La mis­
sione del Verbo incarnato è già stata oggetto di una prima espo­
sizione in X , 2; il tema è ripreso nell’epilogo (XI, 3-5), ma que­
sta volta si insiste meno sulla salvezza56 procurata dal Figlio di
Dio agli uomini per porre maggiormente l’accento sulla pie­
nezza della rivelazione che viene loro assicurata dal suo inse­
gnamento. Anche qui, non c’è contraddizione, ma precisazione
complementare, perché questi sono di fatto due aspetti insepa­
rabili dell’opera compiuta dal Verbo incarnato.57 Ritroviamo
qui la dottrina, cara all’autore, della conoscenza di Dio trami­
te le fede (confrontare X I, 2 con VI,58 1, 5; IX , 6; X , 1), ma
allo scopo di sottolineare che questa fede che permette di rag­
giungere Dio ci è data dal Verbo: è il suo insegnamento che
rivela, che manifesta, in tutta chiarezza59 e nella loro pienezza,
i misteri di Dio.
Accanto a questa nuova analisi dell’economia dell’Incama-
zione, troviamo delle importanti precisazioni relative a ciò che
si chiamerà propriamente la teologia del Verbo: la sua preesi­
stenza, la sua eternità - quindi, implicitamente, la sua divinità -
sono nuovamente oggetto di insistenti affermazioni (XI, 4-5).
Come più sopra, ci imbattiamo nel mistero fondamentale del
Verbo eterno manifestato nel tempo. Mistero che l’autore
cerca, se non di esprimere, almeno di evocare, affinando il suo

56 Benché il titolo di «Salvatore» sia applicato, come si è visto, del


tutto naturalmente al Verbo in XII, 9 come già prima in IX, 6.
57 E l’aspetto della rivelazione non era assente dall’esposizione teo­
logica dei capp. VII-IX, come abbiamo sottolineato sopra, p. 197.
58 Μ. B. A.: Questo rimando al capitolo VI sembra strano: forse è
ima svista, perché pare trattarsi piuttosto del capitolo Vili, 1, 5-6.
59 Quattro volte φαίνω in XI, 2-5; e in più φανερώς in XI, 2.
226 COMMENTO

linguaggio, ricorrendo sempre a delle antitesi ardite e concate­


nate: egli è sempre stato ed è apparso come nuovo - e in que­
sta novità si è rivelato «antico» - , il che non gli impedisce di
rinascere sempre giovane nell’anima dei cristiani (cf. X I, 4)...
È qui che la critica ha trovato modo di esercitarsi, e ha
rimproverato all’autore di queste ultime pagine uno stile con­
fuso e oscuro. Senza dubbio, si tratta di esprimere l’inesprimi­
bile, e in una tale materia la chiarezza è una falsa apparenza.
Bisogna tuttavia ammettere che almeno una di queste formule
è densa di ambiguità dottrinale: «Egli, che sempre è, è oggi
riconosciuto come Figlio» (XI, 5). Se si isola questa espressio­
ne e la si vede in tutta la sua valenza, ritroviamo qui la dottri­
na comunemente attribuita a Ippolito di Roma, secondo la
quale il Verbo, il Logos, si manifesta come «Figlio» soltanto
con, e nell’incarnazione,60 dottrina ritenuta così caratteristica
del dottore romano61 che la sua presenza qui equivarrebbe a
una firma.

60 Cf. IPPOLITO, C. Noet., 4, p. 241, 26, Nautin (passo difficile:


cf. Nautin, p. 119); 14, p. 257, 3 (e il passo parallelo, 11, p. 252,
11, dove ΤΤαΐς sostituisce Ylós); cf. anche Bened. Jacob, 26;
De Antichristo, 8, e lo studio di D. B. CAPELLE, Le Logos, fils de
Dieu chez Hippolyte, in RTAM 9,1937, pp. 109-124.
61 Dom CAPELLE, art. cit., p. 122, n. 46, non trova altro testo che il
nostro da accostare a Ippolito. P. NAUTIN tuttavia non ha cessato di
ricordare - dopo il suo primo studio: Je crois à l'Esprit Saint..., Paris
1947 [ Unam Sanctam 17], p. 48 - che ima tale prospettiva, lungi dal­
l’essere propria di Ippolito, era comune ai Padri del Π e ΙΠ secolo.
Il teologo moderno si colloca «immediatamente nell’ordine delle
processioni», questi Padri invece «vedevano nel Padre il “Creatore
del cielo e della terra”; nel Figlio, Gesù nato dalla Vergine...: erano
nell’ordine delle missioni». Allo stesso modo in Hippolyte, Contre les
hérésies, fragment, étude et édition critique, Paris 1949, pp. 196-204 e
in Le Dossier d’Hippolyte et de Méliton dans les Florilèges dogmati-
ques et chez les Historiens modemes, Paris 1953 (Patristica I), si vede
quanto siano inconsistenti gli accostamenti che si è preteso di stabili­
re tra Ì’A Diogneto e i Pbilosophumena (p. 124, n. 6) e le (altre) opere
di Ippolito (pp. 125 s.).
L ’ESORTAZIONE FINALE 227

Ma bisogna raddoppiare la prudenza: si dovrebbe prima


di tutto essere sicuri che questa dottrina è stata veramente
professata da Ippolito stesso,62 e poi stabilire se la formula
rilevata nel presente passo (XI, 5) debba proprio essere inter­
pretata in questo senso «ippolitiano». Ora, nulla ci obbliga a
questo: Dom Andriessen ha ben mostrato che la formula
«è oggi riconosciuto come Figlio» si può intendere in modo
molto più semplice: non si tratta di un divenire interno al Ver­
bo, ma della vita del Cristo nell’anima dei fedeli.63 A sostegno
di questa interpretazione, egli allega al dibattito due testi
m olto significativi, uno di G iustino,64 l ’altro di Metodio
d’Olimpo,65 che, ciascuno a modo proprio, tendono ad espri­
mere lo stesso concetto: il Figlio è veramente conosciuto, rico­
nosciuto come tale dagli uomini, al momento in cui egli è
generato nei loro cuori tramite la grazia del battesimo. Se si

62 Nel suo libro Contra Noetum (Hippolyte, Contre les bérésies, frag-
ment ... cit., pp. 198 s.) il P. Nautin proponeva precisamente
tutt’altra interpretazione delle formule di Ippolito: esse non
riguarderebbero più un divenire interiore al Verbo, ma soltanto
l’insegnamento relativo «a Gesù nato dalla Vergine che è di fatto
l’oggetto immediato proposto all’intelligenza cristiana». Interpre­
tazione ortodossa, che in fondo si ricollega a quella che, sulla scor­
ta di Andriessen, intendiamo adottare noi per il passo XI, 5; ma,
in questo caso, la convergenza tra questi due autori non ha più la
stessa valenza, perché non si tratta, alla fine, che di una dottrina
normale, direttamente proveniente dall’insegnamento evangelico e
dalla tradizione ecclesiastica.
63 Cf. P. A ndriessen , art. cit., in RTAM, 14,1947, pp. 135 s.
64 Cf. GlUSTINO, Trifone, 88, 8 (si parla del battesimo di Gesù e
della voce che proclama dall’alto dei cieli: «Tu sei il mio Figlio
diletto, oggi ti ho generato»): «Π Padre dichiarava che egli veniva
generato per gli uomini al momento in cui si doveva cominciare a
conoscerlo».
65 Cf. METODIO, Symposion, V ili, 9, e in particolare: «Colei che par­
torisce e ha partorito il Logos nel cuore dei credenti... è la Chiesa
nostra madre». Suppongo sia questo accostamento che ha suggeri­
to ad Hamack di attribuire i nostri capitoli ΧΙ-ΧΠ o a Metodio
stesso o alla sua cerchia: Geschichte der altchristlichen Literatur, I,
Oberlieferung, cit., p. 758; Π, Chronologie, cit.,1, p. 515.
228 COMMENTO

rilegge tutto il contesto di X I, 4-5, si vedrà come, senza dub­


bio, questa interpretazione benigna sia proprio quella che si
impone. E la sola che rispetti la successione dei concetti:
il Verbo eterno, che si è manifestato una prima volta in tutta
la novità della sua Incarnazione, «nasce sempre giovane nel
cuore dei santi» nel presente storico vissuto dalla Chiesa
(è questo il senso della parola «oggi»). Incessantemente, nuovi
cristiani ritrovano in lui il Figlio di Dio, lo riconoscono come
tale, e in questo modo la Chiesa si arricchisce di santi che si
moltiplicano. Scompare di colpo una delle ragioni maggiori
che si potevano avere per opporre X I-X II a I-X 66 e per attri­
buire a Ippolito la paternità di questo epilogo. L ’ambiguità
della formula interessa unicamente per confermare di nuovo il
carattere ancora molto arcaico della teologia trinitaria del
nostro autore. Altro tratto di arcaismo: proprio come i capp.
I-X , il nostro epilogo non menziona lo Spirito Santo, e c’è
voluta molta buona volontà da parte di certuni67 per ricono­
scere qualche allusione alla terza Persona nel modo con il
quale il nostro autore parla della grazia che «si rallegra»,
«è riconosciuta», «si rattrista» (XI, 5-7).

L a VITA DELLA C h ie s a (XI, 5-8)


L ’interesse dottrinale di questi capitoli X I-X II è altrove,
vale a dire nella teologia della Chiesa: qui si trova il loro
apporto propriamente originale. L ’esposizione dei capitoli
teologici (V II-IX ) ignorava in qualche modo il dato della
Chiesa, mettendo semplicemente uno di fronte all’altro l’ani­
ma e Dio, il Salvatore e la fede. Ora passiamo al piano della
realizzazione pratica, e l’autore, considerando quale dovrà

66 Perché l'interpretazione che abbiamo appena scartato introduce­


va una contraddizione radicale tra XI, 5 e l’insegnamento dei
capp. VII-X, e in particolare Vili, 9 e IX, 1: dal profondo dell’e­
ternità, la seconda Persona divina appariva come Figlio, TTals,
termine che abbiamo mostrato come rigorosamente sinonimo di
Υιό?.
67 Cf. R adford , op. cit., pp. 41 s., seguito da M eech a m , ed. at.,
p. 50.
L'ESORTAZION E FINALE 229

essere la condotta da tenere da parte di un futuro catecume­


no, è indotto, del tutto naturalmente, a sottolineare l’impor­
tanza del ruolo che spetta alla Chiesa.
Egli esprime in modo degno di nota la continuità che si
stabilisce tra la missione del Verbo incarnato e l’attuale mis­
sione della Chiesa. Il Verbo, come abbiamo visto, è venuto a
portare agli uomini la rivelazione chiara e completa dei mi­
steri di Dio (XI, 2). Questo insegnamento ricevuto dai primi
discepoli si prolunga oggi in seno alla Chiesa. In modo molto
esplicito l ’autore sottolinea i fondamenti dottrinali di tale
insegnamento: proprio in quanto erede degli Apostoli, egli
può farsi evangelista dei pagani; insiste sulla sua rigorosa
fedeltà alla tradizione (XI, 1) esplicitando l’aspetto di auto­
rità che implica la nozione di magistero: «regole di fede»,
«confini messi dai Padri» (X I, 5) - espressione figurata e
d’altronde tradizionale di ciò che chiameremmo «definizioni
dogmatiche». Di questo insegnamento egli enumera le norme
in modo preciso e tecnico: la Legge, i Profeti, i Vangeli, la
tradizione degli Apostoli, la Chiesa (XI, 6).
Tuttavia non è l’aspetto istituzionale, gerarchico della Chiesa
che gli interessa: più che l’aspetto di società organizzata, egli
cerca di mostrare in essa il luogo privilegiato nel quale si pro­
lungano tra gli uomini l’azione del Verbo, la rivelazione e la
salvezza. Ci fa sentire il mistero di questa presenza continuata
del Verbo, e quindi di Dio (XI, 7-ΧΠ, 1), una presenza sem­
pre nuova, sempre ringiovanita (XI, 4-5).
È in questa prospettiva ecclesiale che riprende l’evocazione
di ciò che deve essere la vita dell’anima cristiana. L ’autore pre­
cisa la dottrina della fede sommariamente accennata in VIII, 6 e
IX , 6-X, 1: questa fede, alla quale l’anima di buona volontà
aspira, va cercata nella Chiesa, accogliendo l’insegnamento ere­
ditato dagli Apostoli (XI, 1-2). Benché ci troviamo sempre nella
prospettiva ottimista che è caratteristica dell 71 Diogneto (la gra­
zia della fede si offre a quanti la cercano: X I, 5), la dottrina
paolina dell’elezione, e quindi, implicitamente, della predesti­
nazione, è sottolineata di passaggio con una nota discreta, e
vengono ricordati i doveri verso la grazia: non resistere al
tocco divino (XI, 7), cercare la fede nell’ambito della Chiesa
(XI, 5), perché è integrandosi ad essa che il fedele partecipa a
questi doni.
230 COMMENTO

In tutto questo epilogo l’accento sembra posto sul concet­


to di progresso: progresso collettivo realizzato dalla Chiesa
(XI, 5-6; X II, 9), progresso personale. La prima parte dell’e­
sortazione, al capitolo X , aveva un carattere isagogico: trovava­
mo il futuro catecumeno alle soglie della fede, e lo si invitava
ad acquisire una prima conoscenza dei misteri di Dio; adesso,
con ancor maggiore insistenza, lo si esorta a penetrare più a
fondo, ad acquisire questa conoscenza in tutta la sua ricchezza
e pienezza (X I, 2; 5; 7). Il nostro testo sembra distinguere
bene due tappe nell’evoluzione cristiana, due categorie di
anime: da una parte quelli che sono soltanto sulla strada per
diventare discepoli del Verbo (XI, 1), e dall’altra parte i fedeli
«confermati» (XI, 2), i santi (XI, 4; 5; X II, 9); non traduciamo
semplicemente i catecumeni e i battezzati, o, almeno, sottoli­
neiamo che nel pensiero dell’autore i veri «fedeli» sono coloro
che, non contenti di raggiungere la completa iniziazione, cer­
cano di trarre il massimo da questo dono e proseguono il loro
cammino ascendente fino alla perfezione, alla santità.68

U na g n o si o r t o d o s s a (XII, 1-7)
Nell’immagine che abbozza di questo stato, il nostro auto­
re mette l’accento esclusivamente sull’aspetto della conoscen­
za. Ciò che il Verbo conferisce ai suoi santi con la grazia è l’in­
telligenza dei misteri divini, i segreti dell’economia della sal­
vezza69 (XI, 2; 5; 7). Allo stesso modo, come ricorderemo, ciò
che ora viene particolarmente messo in luce è l’aspetto di
«rivelazione» della missione di Cristo. Veramente il concetto
di scienza, di Gnosi, domina tutto l’epilogo. Dovremo dire

68 Sottolineiamo sempre la continuità tra ΧΙ-ΧΠ e X: mi-pare che


XI, 8-XII, 1 si collochino bene nel prolungamento della «dialetti­
ca dell 'agape» quale l’abbiamo analizzata in X, 3-7: Dio ci ha
amati per primo, noi a nostra volta lo amiamo, ed ecco come egli
ricompensa questo amore con un sovrappiù di liberalità.
69 Questa è la portata della formula di XI, 5, «annunciando i tempi»,
dove il termine καιροί ha un’accezione tecnica, ben evidenziata da
O. C ullmann , Christ et le temps, ed. frane., pp. 27-31: i «momenti»
della storia ai quali la volontà di Dio conferisce un ruolo determi­
nato nell’esecuzione del suo piano di salvezza.
L ’ESORTAZIONE FINALE 231

che l’autore è uno gnostico? Ne è ben lontano: la distinzione


dei due gradi nella conoscenza cristiana, l’invito ad andare più
a fondo nei misteri della fede, tutto ciò deriva direttamente da
Paolo e dalla Lettera agli Ebrei: la «sapienza di cui parliamo
tra i perfetti»,70 quel «nutrimento solido» che non è tollerato
dai «neonati in Cristo» che ancora bevono «latte spirituale».71
Non che lo gnosticismo sia estraneo all’orizzonte dell’epi­
logo, si direbbe anzi che l’autore l’abbia avuto molto ben pre­
sente: parecchie precisazioni che egli fa hanno una portata e
senza dubbio uno scopo recondito di polemica antignostica.
Si veda la cura con la quale egli respinge ogni sospetto di eso­
terismo tanto nel suo insegnamento personale (X I, 1) che
nell’economia della rivelazione (XI, 2; 7). Il cristianesimo non
ha nulla di una dottrina segreta, astrusa e gelosamente riserva­
ta a una élite·, riconoscere nella loro integralità i misteri più
segreti è solo azione della grazia, grazia offerta liberalmente
(XI, 5), e della buona volontà (XI, 7). Quasi tutto l’ultimo
capitolo (X II, 1-8), dove il concetto o il termine stesso di
gnosi appaiono in primo piano (il termine γνώσις ritorna
addirittura dieci volte), è teso a precisare la natura esatta e il
ruolo che le va attribuito in una prospettiva autenticamente
cristiana.
La dottrina è presentata con un’arte consumata nell’uso del
senso accomodatizio, sotto forma di un’allegoria riguardante i
due alberi del Paradiso. Secondo una tradizione iniziata dall’au­
tore giudeo (fariseo o esseno?) dei Salmi di Salomone,72 egli
paragona l’anima dei santi al «Giardino di delizie» dove spun­
tano l’albero della conoscenza e l’albero della vita (XII, l).73
L ’albero della conoscenza, e non, come dice il testo della G e­
nesi, l’«albero [della conoscenza] del bene e del male». Que­
sta trasposizione ottimista permette al nostro autore di trarne
argomento per difendere ed esaltare il concetto di gnosi.

70 1 Cor 2, 6; cf. FU 3, 15.


71 l C o r 3 , l s ; E b 5 , 11-14.
72 Cf. Ps. Sai., 14, 2: «I santi del Signore vivranno in lui per sempre:
il Paradiso del Signore, gli alberi di vita, sono questi santi». Tema
ripreso in particolare da ΙΚΕΝΕΟ, V, 10, 1, p. 345 Harvey; V, 20,2,
p. 379; Pred. apostol., 99.
73 Cf. C lem en te di Alessandria, Pedagogo, III, 25,3.
232 COMMENTO

Anche qui egli non è il solo: lo stesso adattamento e lo stesso


impiego compaiono, in termini molto simili in Teofilo di
Antiochia, seguito a sua volta da una numerosa e continua tra­
dizione:74

«L ’albero della conoscenza era buono in sé, come


pure il suo frutto; non era l’albero, come credono
alcuni, che conteneva la morte, bensì la disubbi­
dienza. Non c’era altro nel frutto se non la cono­
scenza, e questa è un bene quando ce ne serviamo
come si deve, ma l’età reale di Adamo era quella di
un bambino...».75

Contemporaneamente, tuttavia, il ricordo del racconto


della caduta e l’esempio dei nostri progenitori vengono a limi­
tare questo ottimismo. Come Teofilo, anche il nostro testo
introduce la nozione feconda di un possibile uso buono o cat­
tivo. La conoscenza non è più un assoluto, un principio che
basta a se stesso e che si deve perseguire per se stesso: alla
gnosi va unita la vita. Attento a sfruttare la sua allegoria, l’au­
tore affianca in un primo momento i due concetti, come
nell’Eden i due alberi vicini, ma, approfondendo il suo pen­
siero, si affretta a mostrare questi due concetti così inscindi­
bilmente legati l’uno all’altro (§§ 4-6) che, in definitiva, essi ci
sembrano più o meno confondersi l’uno con l’altro (§ 7).

74 Cf. Andriessen, in RTAM, 1947, pp. 144-146 (ma i testi di Ireneo,


Clemente di Aless., Teodoreto, ai quali rinvia sulla scorta di
Maran, riguardano lo stato di infanzia di Adamo, non l’interpreta­
zione dell’albero della vita): soprattutto due sono i testi da tener
presenti: G re g o rio di Nazianzo, O r . , 45, 8, PG 36,632 D: «A mio
avviso, questo albero era la contemplazione»; AMBROGIO, E x p o s i t i o
P s . 1 1 8 , I, 2, p. 5 Petschenig: «Bisogna prima di tutto cercare la

vita, e in seguito la scienza (d o c t r i n a )», ecc. E per finire, una for­


mula letterariamente equivalente a quella del nostro § XII, 4:
«La perfezione esige che tu non possieda né la vita senza la cono­
scenza, né la conoscenza senza la vita», i t a u t . . . n e c v i t a s i n e c o g n i -
tio n e , n e c c o g n itio s in e v ita s it.

75 T e o f i lo di Antiochia, d A u t o l . , II, 25, trad. frane. Sender,


A

p. 161. L ’immagine era diversa in Giustino, T r i f o n e , 28,3.


L ’ESORTAZIONE FINALE 233

Tutto dò non risulta esente da qualche oscurità o confusione.


Un lettore malevolo dirà che il nostro autore non ce la fa a far
filare la sua metafora. Ma queste ultime frasi sono scritte da ima
mano nervosa, entusiasta, trascinata da un rapido movimento.
Ciò che importa al nostro autore è la punta della fessura dove
tutto converge, sia la conoscenza che la vita, il cuore del cristia­
no e l’azione feconda del Verbo: si potrà allora scusarlo se
perde di vista l’allegoria, se fa una certa confusione (il cristia­
no76 sulla via della perfezione è un giardino come l’Eden, ma
che, si direbbe, contiene solo un albero, ecc.).
Benché l’espressione sia talvolta maldestra, imprecisa, non
si direbbe che il pensiero, quanto alla sua linea fondamentale,
possa essere messo in discussione. Il concetto di «Vita» è dato
senz’altra esplicitazione: e ciò perché qui, come in tutto
YA Diogneto, l’uso dei termini da parte dell’autore implica un
riferimento costante alla lingua e ai concetti fondamentali del
Nuovo Testamento. Questa «Vita» viene qui direttamente da
Giovanni. Non si tratta della vita quotidiana, empirica e natu­
rale, e neppure della vita morale: da nessuna parte l’autore
precisa che i frutti che da essa attende (§ 1; 8) sono.le virtù o le
buone opere. Non è nemmeno la vita «soprannaturale», per­
ché sarebbe un senso anacronistico e ancora troppo stretto.
Piuttosto, la «vita» è ciò che Giovanni chiama la vita «eterna»,
una Vita che l’autore non esita a ipostatizzare (§ 6: «costui non
ha amato la Vita»), e infine a identificare con la Persona stessa
del Verbo (§ 7), colui che è la via, la verità77 e la vita...
Una volta esplicitato questo rapporto, ci si rende conto
che non c’è soltanto un uso buono o cattivo della conoscenza,
ma proprio una Gnosi «sicura» (§ 4), «vera» (§ 6), opposta a
quella falsa: l’ideale dell’autore è veramente la conoscenza,
la Γνώσις, secondo Paolo,78 come sottolinea felicemente il

76 II cristiano, ma anche, contemporaneamente, la Chiesa: i due


punti di vista, personale (quello dell’esortazione) e collettivo, sono
contenuti l’uno nell’altro. P. N autin , Lettres... cit., p. 168, scrive
molto bene: «Il Paradiso è la Chiesa (sono infatti i cristiani stessi
che formano il Paradiso, XII,1)».
77 II lettore avrà notato l’uso, ugualmente ipostatizzato, del termine
Αλήθεια applicato al Verbo in XI, 1 e, ci sembra, in XII, 5,
come già in VII, 2.
78 Cf. l’ottimo studio di D. J. DUPONT, Gnosis, la connaisance reli-
gieuse dans les Épìtres de saint Paul, Louvain 1919; per quanto sia
234 COMMENTO

riferimento esplicito al famoso versetto di 1 Cor 8, 1 che, colle­


gando una volta di più l’epilogo all’esortazione del capitolo X,
ricorda come la linfa che anima la conoscenza e la vita del cri­
stiano sia l’amore.
Così questa esposizione si presenta come una rivendicazio­
ne ortodossa del concetto di gnosi, liberato dalle sue possibili
deformazioni e integrato al complesso della sana teologia. La
portata polemica di una simile presa di posizione è evidente.
Il nostro autore è uno «gnostico» cattolico appassionatamente
attaccato a questa parola prestigiosa e a questo ideale, preoc­
cupato d’altra parte di strapparlo agli gnostici eretici, a coloro
che possiedono una gnosi che non ne m erita il nome,
ψευδώνυμου γνώσεως.79 Con ciò questo testo si mostra vici­
nissimo all’atteggiamento adottato dai grandi Alessandrini,
Origene e, forse ancora di più, Clemente prima di lui.

L ’e s o r t a z i o n e f in a l e (XII, 8-9)
Ma l’interesse di questo testo non è soltanto storico. Meno
ricco, forse, quanto all’apporto dogmatico, rispetto al noccio­
lo centrale dei capitoli V-VI, l’epilogo non gli è inferiore nel
tono patetico, nel valore propriamente religioso, e anche
quanto al pregio letterario. Indubbiamente, non tutto è asso­
lutamente chiaro, né sempre accuratamente coordinato, ma,
benché a tratti oscuro, lo stile dell’autore resta comunque di
una rara potenza. In contrasto con la semplicità attica, un po’
nuda e spoglia dei capitoli V-VI, questi capitoli X I-X II sono
forse meno sobri, ma il loro tono è intensamente appassionato!
Ho usato prima il termine musicale della «stretta»: si tratta
davvero di un movimento finale, trasportato da uno slancio
caloroso che, secondo un tempo rapido, esprime sotto una
forma velata tutti i sentimenti che si agitano ancora nel cuore
dell’autore, tutto ciò che vorrebbe ancora dire e che dispera
di poter esprimere chiaramente nel dettaglio.80
così paolino, il nostro testo esprime tuttavia qualcosa che è perso­
nalmente suo, per la sintesi che opera, come abbiamo appena
visto, tra la «gnosi» di Paolo e la «Vita» secondo Giovanni.
79 1 Tm 6, 20.
80 Insisto, perché G. BARDY (c.r. cit.) sembrava stupirsene: in queste
ultime righe abbiamo a che fare con una modalità di espressione
propriamente poetica, dove oscurità e densità vanno di pari passo.
L ’ESORTAZIONE FINALE 235

Questa pagina non ha perduto nulla della sua freschezza e


del suo valore: il suo messaggio consiste nel farci provare nel
suo splendore, nella sua ricchezza indicibili, il mistero della
presenza divina nell’anima dei santi, l’effusione delle grazie
messianiche nella vita della Chiesa. Per due volte ritroviamo la
natura caratteristica dei capitoli V-VI: un soffio di lirismo sol­
leva l’eloquenza dell’autore, il ritmo si fa incalzante, l’espres­
sione diviene molto immediata e procede per piccoli κώλα di
costruzione simmetrica, accostati senza subordinazione, quel­
la «sorta di versi» sottolineati dalla rima che abbiamo segnala­
to in precedenza. Prima di tutto, in X I, 5-6, troviamo l’inno
alla grazia pieno di tante felici trovate, di tratti dal tocco leg­
gerissimo: questa grazia che «dispiegandosi aumenta» e infine
«balza di gioia».
Da ultimo, e meglio ancora, sono le righe finali (ΧΠ, 8-9),
così dense, dove le allusioni appena esplicitate al ricordo dei rac­
conti biblici della caduta e dell’Incamazione costituiscono come
la trama del tessuto, e dove l’espressione raggiunge pienezza e
densità, quelle che sfidano il commento: il misterioso progresso
della grazia nel cuore del cristiano è suggerito dalla metafora
dell’albero, un albero della conoscenza che sarebbe anche l’albe­
ro della vita, e del quale la vita è il Verbo divino - un albero dai
frutti eterni e immarcescibili.
Ma, come è normale per questo testimone dei primi secoli
cristiani, la sorte dell’anima individuale non può essere consi­
derata a parte rispetto a quella della comunità. E la Chiesa
che diventa nuovo Paradiso di delizie, e nel cuore di questa
Chiesa di santi, dove il seduttore non può più trionfare, l’ani­
ma cristiana non imita più l’Èva peccatrice, bensì la nuova
Èva, la Vergine Maria.81 E, prima della dossologia finale rivol­

81 Se almeno abbiamo interpretato bene l’allusione. Questo passo,


oscuro e ambiguo quando lo si considera isolatamente, si illumina
se messo in relazione con una serie di testi antichi che collegano e
oppongono la corruzione di Èva alla verginità di Maria: GlUSTTNO,
Trifone, 100,5: «Èva era vergine, senza corruzione. Concependo la
parola del serpente, partorì disubbidienza e morte. Ora, la Ver­
gine Maria concepì fede e gioia quando l’angelo Gabriele le
annunciò la buona novella...»; l’opposizione Eva-Maria, seduzio­
ne-fedeltà compare in vari testi di IRENEO: Adv. haer., ΙΠ, 32, 1,
pp. 123 s. Harvey; V, 19,1, pp. 375 s.; Dem. apost. 33, Froidevaux,
SC 62 (Μ. B. A.: Il volume è ora sostituito da SC 406 [A. Rousseau]
236 COMMENTO

ta al Padre mediante il Figlio,82 lo slancio zampillante termina


in un fascio di immagini scintillanti, capaci di evocare, nella sua
ambivalenza e complessità, il mistero inesprimibile del presente
della Chiesa, già illuminato da un’aurora escatologica.
Paris 1995); T e rtu llia n o , A d . M a r d o n . , Π, 4, p. 338 Kroymann;
D e c a r n e C b r i s t i , 17 (si veda a questo riguardo anche H. KOCH,

V ir g o È v a , V ir g o M a r i a , in Hirsch-Lietzmann, A r b e i t e n z u r

K i r c h e n g e s c h i c h t e , t. XXV, Berlin 1937, e i b i d . , p. 8, η. 1, la biblio­

grafia anteriore e soprattutto le reazioni cattoliche al suo A d b u c


V i r g o , in B e i t r à g e z u r h i s t o r i s c h e n T b e o l o g i e , 2, Tiibingen 1929).

Ma non si può vedere qui una semplice professione di fede nella


verginità di Maria: infatti (per non parlare di quella costruzione un
po’ strana: «Èva non è più sedotta, ma una Vergine è creduta»),
questa affermazione categorica verrebbe a interrompere il concate­
narsi dei pensieri. Il nostro passo viene illuminato da un riferimento
a Paolo, 2 Cor 11, 2 s.: «...poiché vi ho promessi a un unico sposo,
per presentarvi quale vergine casta a Cristo. Temo però che, come il
serpente con la sua malizia sedusse Èva, così i vostri pensieri venga­
no in qualche modo traviati». Tutto il nostro cap. ΧΠ analizza la
vita dell’anima cristiana in seno alla Chiesa: qui, (o quando sarà
divenuta perfetta), l’anima cristiana non si lascerà più tentare dal
serpente come Èva; conservando la propria verginità, essa affermerà
la sua fede, come la Vergine Maria - modello del cristiano e tipo
della Chiesa - ha creduto nella parola dell’angelo. L’allusione a
Maria è certa, ma indiretta.
82 Si veda la classificazione dei diversi tipi di dossologie proposta da
E. C. E. O w e n , Δ Ο Ξ Α a n d c o g n a t e w o r d s , § X I V , in JThS 33,1932,
pp. 139-146. La nostra appartiene al tipo C1 (dossologia rivolta al
Padre mediante il Figlio), un tipo che, attestato fin dal Nuovo
Testamento e da Clemente di Roma, conobbe nuova fortuna a par­
tire da I p p o l it o , T r a d . a p o s t o l . , 28: «Noi ti lodiamo, o Dio, median­
te il tuo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale sia a
te la gloria, nei secoli dei secoli, così sia»; D e A n t i c b r i s t o , 67:
«Attendendo la beata speranza e la manifestazione del nostro Dio e
Salvatore ( s e t i . Gesù Cristo: cf. Tt 2,13), quando egli, dopo aver
risuscitato i suoi santi, si rallegrerà con loro, glorificando il Padre, al
quale la gloria nei secoli dei secoli, così sia». Si è spesso messa in
parallelo questa conclusione del D e A n t i c b r i s t o con quella del-
l ’A D io g n e to (cf. HARNACK, G e s c h i c h t e , I I , C h r o n o l o g i e , I I , cit.,
p. 232): va tuttavia tenuto presente che il parallelismo non è rigoro­
so se non per l’ultima proposizione, di per sé poco caratteristica.
C a p it o l o 5

LA DATA E L’AUTORE

Per terminare questo studio, bisogna ora esaminare il pro­


blema dell’origine e dell’attribuzione del nostro scritto. Il let­
tore sa quali difficoltà ci attendono. Il problema della Lettera
a Diogneto occupa un posto tutto speciale tra quelli che ci
pone la storia letteraria dell’antichità, classica o cristiana. Si è
potuto dire che è stato discusso quanto quello della nascita di
Om ero, e più ancora, perché il ventaglio delle ipotesi si
dispiega lungo cinque secoli interi. Parecchi storici non hanno
esitato a far risalire YA Diogneto alla primissima generazione
cristiana, si è persino pensato ad Apollo, il compagno di apo­
stolato e, in una certa misura, l’emulo di Paolo. All’altro estre­
mo, si è trovato un erudito almeno che ha preso in considera­
zione, più o meno seriamente, l’ipotesi di un falso del X V I
secolo (dichiarando anche paradossalmente il nome del primo
editore, Henri Estienne). Tra i due estremi, di volta in volta
sono state tentate soluzioni interm edie, come attesta la
seguente tabella, che non vuole certamente essere completa.

D ata A u to re P r o p o s t i d a - (N e l -)
(Il carattere corsivo distingue le ipotesi che si riferiscono soltanto
all’Epilogo, capp. ΧΊ-ΧΠ)

Prima del 70 Tillemont (1694)


Apollo Gallandi (1765)
Clemente di Roma Baratier (1740), Lumper
(1783)
98-117 Moehler (1825), Hefele
(1839), Permaneder (1842),
Alzog (1876)
Fine dell’era
apostolica Boehl (1826)
238 COMMENTO

Inizio II secolo Langen (1875)


110-125 Nitzsch (1870)
110-135 Krueger(1895)
110-150 Snoeck (1861), Niccoli
(1931)
117 Westcott (1881)
117-180 Lightfoot (1889)
117-138 Thoenissen, Stelkens (1860)
120 Luebkert (1854)
120-130 Ewald (1859)
125 Quadrato Dorner (1845), Andriessen
(1945)
133-135 Otto (1852), Luthardt
(1874)
134-136 Bunsen (1852)
Marcione Bunsen (1852), Buonaiuti
(1921)
135 Uhlhom (1866)
135-150 Heinzelmann (1896), Baljon
(1900).
Aristide Doulcet (1880), Kihn
(1882), Krueger (1894)
140 Credner (1860)
Chiamatoli Draeseke (1881)
Marcionita
Verso il 150 Semisch (1855),
Bardenhewer (1902),
Lightfoot (1935), Meecham
(1949)
150-160 Grossheim (1818),
Tzschimer (1829)
Giustino Cellier (1730), Kestner
(1819), HofEmann (1851),
Otto (1852)
150-200 Gass (1875)
150-175 Radford (1908)
150-310 Uhlhom (1898)
150-200, forse Funk (1878)
III sec.
161-180 Hilgenfeld (1873), Hase
(1877), Molland (1934)
LA DATA E L ’AUTORE 239

161-177 Ambrogio Birks (1880)


l’Apologista
160-200 Alfonsi (1946)
Melitone di Sardi 'Bonner (1940)
170-180 Schoelten (1867)
170-310 Harnack (1875)
178-180 Keim (1873), Gildersleeve
(1877), Renan (1881)
Ogara (1944)
Verso il 180 Teofilo d’Antìochia Lipsius (1873)
Dopo il 180 Zdler (1845)
Fine del Π
secolo
Pant'eno Harmer (1891), Batiffol
(1909)
Fine li-inizio Puech (1912)
III secolo
Ippolito di Roma Bunsen (1852), Quarti
(1896), Draeseke,
Bonwetsch, Bardenhewer
(1902), Di Pauli (1906),
Connnolly (1935,1936),
Schivarti (1936)
Fine Π sec. ο IH Jordan (1911)
ΠΙ o fine Π Hamack (1897)
ΙΠ secolo Jacobi (1881), Goodspeed
(1942)
Un discepolo di
Clemente Geffcken (1907)
250-300 Seeberg (1893)
250-310 Zahn (1873)
257-311 Luciano d’Antiochia Chapman (1909)
Metodio d’Olimpo Hamack (1893)
IV-V secolo Overbeck (1872)
Dopo il V sec. Pseudo-Hieroteo Karpathios (1925)

* E. I. K arpathios, in Γρηγόριο? ό Παλαμά?, 1925, p. 117, non ha


dubbi sulla storicità del suo «Ieroteo, discepolo degli Apostoli e
vescovo di Atene», ma è molto evidente che l’idea di collocare un
testo sotto questo nome non poteva venire che posteriormente
alla diffusione degli scritti dello Pseudo-Dionigi.
240 COMMENTO

VIII-IX sec., al più Cottérill (1877)


tutto il ΧΠ secolo Thomsen (1930)
Fine XIII- Niceforo Callisto Cottérill (1879)
inizio XIV sec.
XV secolo Un greco emigrato Donaldson (1866)
XVI secolo Henri Estienne Donaldson (1866)

C’è di che restare sgomenti! Di fatto, si può rapidamente *


sgombrare il terreno e ridurre in modo considerevole il
campo di una discussione utile.

T e r m in u s a q u o : 1 2 0

Per cominciare, il terminus a quo sembra oggi stabilito


senza alcuna possibilità di contestazione: l’immenso lavoro dei
moderni ha proiettato sulle origini della letteratura cristiana
una luce della quale non poteva disporre il buon Tillemont.
Nessuno degli argomenti sui quali egli si fondava1 per far risa­
lire il nostro testo a prima del 70 resiste all’esame, a partire
dal più specioso: la critica dei sacrifici giudaici al capitolo III,
che non suppone in alcun modo l’esistenza del tempio di
Gerusalemme e, quindi, che il nostro testo sia stato scritto
prima della sua distruzione da parte dell’imperatore Tito.2 Il
giudaismo non ha mai considerato abolita nessuna delle pre­
scrizioni della Torah, anche se le circostanze ne rendevano in
pratica impossibile l’osservanza: il sacrificio, in particolare,
non è mai uscito dal suo orizzonte. Lo dimostra bene il
Talmud che consacra tutto un trattato, Pesabim (in Moéd), al
sacrificio pasquale dell’agnello,3 e un altro, Zebahim (in
Kodaschim), al sacrificio in generale, e ciò in previsione della
ricostruzione del Tempio, almeno ai tempi messianici.4 Anco­

1 Mémoires pour servir à l’histoire ecclésiastique, t. II, Paris 1694,


2a ed. 1701, pp. 371 s. e soprattutto 493 s., η. 1.
2 E nemmeno, come altri hanno pensato, intorno al suo ripristino da
parte di Bar-Kochba, al momento della rivolta del 132-134.
3 Rito che d’altronde ha continuato ad essere praticato, passando dal
culto ufficiale al culto domestico: cf. M. SlMON, Verus Israel...,
cit., p. 376, n. 2.
4 Si veda ancora SlMON, cit., pp. 25-27 e (sul tentativo di restaurazio­
ne abbozzato da Giuliano l’Apostata), pp. 141-144.
LA DATA E L ’AUTORE 241

ra ai nostri giorni, l’eventualità della ripresa dei sacrifici nel


tempio ricostruito è stata seriamente discussa negli ambienti
ortodossi dello sionismo.5 La polemica del nostro capitolo III
conserva dunque un senso anche dopo il 70 (o il 135).
Gli altri argomenti di Tillemont non hanno maggior valore:
il tema del «popolo nuovo» (I, l h) è, come abbiamo visto, un
luogo comune dell’apologetica antica e si riferisce alla relativa
novità della religione cristiana nei confronti del giudaismo e del
paganesimo, e non alla data recente della sua comparsa. Infine,
l’espressione αποστόλων γενό μένος· μαθητή?, che leggiamo
all’inizio dell’epilogo (XI, 1), non implica in nessun modo che
l’autore sia,6 o pretenda di essere7 un discepolo dei primi
Apostoli: chiunque prenda la parola a nome della Chiesa, una,
santa, cattolica, apostolica, può rivendicare per sé, in qualun­
que secolo viva, il titolo di «discepolo degli Apostoli».
Non c’è d’altronde, né qui né altrove, alcuna ragione seria
per mettere in relazione VA Diogneto con i Padri Apostolici.8
Sicuramente il nostro autore - e l’abbiamo debitamente sotto-
lineato nel corso del nostro studio9 - non è privo di affinità
con loro, ma si tratta di poca cosa; mentre tutto, il tema fon­
damentale, il piano, l’argomentazione, la dottrina, il lessico,
rivela che esistono delle affinità molto più strette fra VA Dio­
gneto e l’insieme degli scritti conservati degli Apologisti.10

5 Cf. M.-J. L ag ran g e, L ’ é v a n g i l e d e J é s u s - C h r i s t , Paris [Μ. B. A.: Il


curatore non indica la data dell’edizione da cui cita: forse il 1948],
p. 468, n. 1.
6 Come l’evangelista (e Apologista) Quadrato: EUSEBIO, H i s t . e c c l . ,
Ili, 37,1; C b r o n . (arm.) anno Abraham 2140.
7 Come lo Pseudo-Ieroteo dei frammenti Karpathios, o lo Pseudo-
Dionigi l’Areopagita.
8 Dato che alcuni editori e storici cattolici hanno la tendenza a con­
servare V A D i o g n e t o nel c o r p u s dei Padri Apostolici (Bihlmeyer,
Bosio, Casamassa), è forse bene ricordare che questa «tradizione»
risale soltanto aU’oratoriano veneziano Andrea Gallandi (1765), la
cui «autorità» non è proprio l’equivalente di quella di un Papias!
9 Si veda in Appendice il nostro indice dei L o c a P a r a l l e l a , § IV.
10 I b i d . , § V, gli articoli corrispondenti.
242 COMMENTO

Ora, nulla permette di pensare che egli sia il testimone più


antico di questa tradizione così omogenea: si è concordi nel
collocare in capo alla serie il testo noto come Predicazione di
Pietro, Κήρυγμα Πέτρου. L ’A Diogneto mostra con esso dei
contatti strettissimi. Ma, in qualunque modo si possa render­
ne conto,11 certo nessuno penserà, dopo aver confrontato
VA Diogneto con i frammenti conservati del Kerygma, che
questo dipenda da quello: è del tutto evidente come sia vero il
contrario; VA Diogneto è posteriore alla Predicazione di Pietro
e, per conseguenza,12 risale al massimo al tempo di Adriano,
per essere più precisi, a partire dal 120 al più presto.

T erm in u s ad q u e m : a l m assim o 3 1 0

Passiamo al terminus ad quem. I risultati raggiunti nel­


l'introduzione a proposito della tradizione manoscritta del
nostro testo ci permettono di liquidare rapidamente un buon
numero di ipotesi fantasiose. L ’esistenza stessa del manoscrit­
to F e la sua data (X IV secolo) escludono l’insinuazione ridi­
cola di Donaldson:13 non può trattarsi di un falso del X V o

11 Come si è visto, V A D i o g n e t o può dipendere dal K e r y g m a sia


direttamente, sia attraverso Aristide; la prima soluzione è la più
probabile: si veda sopra, p. 120 (e J. N. Reagan, T h e P r e a c h i n g o f
P e t e r . . . , cit., pp. 45 s.).

12 La P r e d i c a z i o n e d i P i e t r o risale certamente al principio del Π seco­


lo: E. J. GOODSPEED, A h i s t o r y o f t h è e a r l y c h r i s t i a n l i t e r a t u r e ,
Chicago 1942, p. 131, ritenendola già nota a Ignazio di Antiochia,
la fa risalire al 100-110; REAGAN, T h e P r e a c h i n g o f P e t e r . . . , cit.,
p. 80, parlava del 100; altri la avvicinano il più possibile alle
Apologie conservate, ma non mi pare si possa scendere al di sotto
del 120-125, come faceva HARNACK, G e s c h i c h t e , Π, C h r o n o l o g i e ,
I, cit., pp. 472 s.: 100-130 (140) o anche 150.
13 Indubbiamente egli la formula con circospezione, per poi ritirarla
subito ( A c r i t i c a i h i s t o r y . . . , cit., t. Π, p. 142): ma non trova ancora
giustificazioni in un autore che scriveva all’epoca in cui il manoscrit­
to di Strasburgo, riportato in luce da Otto, era perfettamente
accessibile.
LA DATA E L ’AUTORE 243

X V I secolo! Un falso del X III-X IV ,14 o del X II secolo allora?


Neppure:15 conosciamo i metodi di lavoro degli Apologisti
bizantini del tempo dei Comneni,16 molto più preoccupati di
compilare, se necessario anche di seconda o terza mano, un
dossier di autorità riconosciute che cercarne di nuove! Un
falso più antico ancora, tra l’V III e il IX secolo? Ma, anche
qui, sappiamo come lavoravano allora i falsari, se di falsari si
trattava: lungi dal cercare di produrre dello pseudo-antico
componendo delle imitazioni, essi componevano dello pseu­
do-nuovo intercalando materiale apologetico antico nelle loro
composizioni «originali».17
Siamo così riportati a far risalire la composizione del-
VA Diogneto prima ancora della copia dell’archetipo Φ, cioè
fuori dal periodo bizantino, fino all’epoca propriamente patri­
stica. Fino a dove? Il modo con cui l’autore parla delle perse­
cuzioni, la cui minaccia è visibilmente considerata attuale
(I, l d; V, 17; V II, 7; X , 8), il modo, anche, con cui parla dei cri­
stiani in blocco, senza distinguere i comuni fedeli da quanti,
nel monacheSimo, scelgono uno stato di perfezione,18 situa con
certezza VA Diogneto anteriormente alla Pace della Chiesa
(312-313).

14 Ne discuto solo la possibilità a p r i o r i : l’ipotesi di J.M. Cottérill


non merita di essere presa in considerazione (dopo averla abboz­
zata nel suo articolo anonimo della C b u r c h q u a r t e r l y r e v i e w , 4 ,
1877, pp. 42-76, egli l’ha poi sviluppata nel suo libro P e r e g r i n u s
P r o te u s , a n in v e s tig a tio n in to c e r ta in r e l a t i o n s , ecc., Edinburgh

1879): egli immagina V A D i o g n e t o come uscito dalle mani di


Niceforo Callisto Xanthopoulos (v. 1256-v. 1335), insieme a tutta
una serie, eteroclita, di altri «falsi»: le due L e t t e r e di Clemente di
Roma, il D e m o r t e P e r e g r i n i di Luciano, il V a n g e l o d i T o m m a s o ,
V A d E p ig e n e m di Galliano, i capp. 29-30 del T r a t t a t o s u l l o S p i r i t o
S a n t o di Basilio, ecc. A sostegno di affermazioni così strane, egli

non invoca altro che vaghi accostamenti di lessico o di espressioni.


15 Cf. P. THOMSEN, nel suo resoconto dell’ed. di Geffcken, in PhW
50,1930, c. 561-563.
16 Si veda sopra, I n t r o d u z i o n e , pp. 16-22.
17 I b i d . , pp. 25 s.
18 Cf. sopra, nel nostro commento ai capp. V-VI, le pp. 165 s., ma
già prima, p. 156.
244 COMMENTO

Franz Overbeck è il solo storico che abbia seriamente con­


siderato la possibilità di riportare il nostro scritto dopo
Costantino. Ma quando si legge attentamente la sua volumino­
sa memoria,19 si constata, non senza sorpresa, che la sua argo­
mentazione non verte direttamente su questo punto. Infatti,
egli cerca semplicemente di mostrare che YA Diogneto non
può essere stato scritto nel II secolo. Una volta dato questo
come acquisito, Overbeck, tralasciando il ΙΠ secolo,20 conclude
in favore del IV e V, senza apportare alcuna valida ragione per
questo 21 Quando poi giunge a pretendere che YA Diogneto sia
più vicino alla polemica adversus paganos di Atanasio, Criso­
stomo o Teodoreto che non a quella degli Apologisti del II
secolo, il teologo di Basilea non fa che provare la propria man­
canza di competenza in materia patristica: non c’è nessuno
che, dopo aver letto l’insieme della letteratura in questione,
non concluda precisamente in senso contrario!22
Infine, pare impossibile che un autore del IV-V secolo che
si sia sforzato di imitare gli Apologisti del II non si sia lasciato
sfuggire, nel corso di questi dieci o dodici capitoli, un solo
concetto, una sola espressione, anche solo un termine capace
di denunciare la frode e rivelare l’epoca nella quale realmente

19 U e b e r d e n D i o g n e t , in S t u d i e n
p s e u d o ju s tin is c h e n
B r i e f a n z u r

G e s c h ic h te d e r I, Schloss-Chemnitz 1875, pp. 1-92


a lte n K ir c h e ,

(ristampa, con qualche aggiunta, pp. 75 s. di un P r o g r a m t n di


Basel 1872).
20 Si accontenta di scartarne sommariamente gli accostamenti, tutta­
via così precisi, che si possono stabilire con Clemente di
Alessandria: pp. 44 s., 51.
21 O p . c i t . , pp. 58 ss.
22 Altri accostamenti più precisi - con Eusebio, per es. - vertono su
luoghi comuni dell’apologetica cristiana, tratti che si mantengono
costanti dal II al V secolo, e persino, come abbiamo visto, lungo
tutta la tradizione bizantina. Avendo rilevato (in VIII, 6; ΧΠ, 8)
due paralleli piuttosto inattesi con Antipatro di Bostra, mi sono
chiesto per un momento se non vi fosse qui una pista da seguire,
ma una lettura attenta delle R e l i q u a e di questo autore (seconda
metà del IV sec.) non mi ha apportato niente di più: questi due
riscontri sono in sé troppo banali per essere significativi.
LA DATA E L ’AUTORE 245

scriveva: ebbene, non si è potuto segnalare nessun anacroni­


smo di questo genere.23
Anche tutti gli autori che hanno tenuto conto dell’argo­
mentazione di Overbeck si sono ben guardati dal seguirlo
nella sua conclusione positiva e hanno avuto cura di precisare
che, contro la sua opinione, essi ritenevano VA Diogneto ante­
riore al 310.

L’A D i o g n e t o può e s s e re d e l II s e c o l o
Da parte mia mi spingerò molto più lontano. Allorché
Zahn24 o Seeberg25 dichiarano di collocare VA Diogneto nella
seconda metà del III secolo, allorché Harnack, nel 1875, fa
arrivare sino al 300-310 il possibile terminus ad quem }b essi
m ostrano chiaram ente di rim anere sotto l ’influenza di
Overbeck. La sua argomentazione, che poteva fare impressio­
ne negli anni 1870-1880, mi pare vada demolita, quanto al­
l’essenziale, a partire dalla scoperta AéNApologia di Aristide,
così fortunatamente ricuperata da J. Rendei Harris nel 1891:
abbiamo con essa un testo certamente anteriore al 161, nel
quale la polemica contro giudei e pagani, così vicina a quella
dell’A Diogneto, presenta più o meno tutte le caratteristiche
delle quali si scandalizzava Overbeck, dichiarandole inconce­
pibili sotto la penna di un autore del II secolo!

23 H commento che abbiamo presentato sulla teologia dell’^4 Diogneto


ci dispensa dal confutare nei particolari le insinuazioni di
Overbeck (che vedeva per es., op. cit., p. 69, il punto di vista
dell’homoousion niceno riflesso dalla cristologia del cap. VII).
Io vedo soltanto un caso nel quale si potrebbe formulare l’accusa
precisa di anacronismo: l’uso del termine ανταλλαγή in IX, 5;
questa parola non compare altrove (come ho fatto notare sopra,
p. 197, n. 84), se non verso il 500, ma mi sembra molto più proba­
bile che si tratti di una creazione originale del nostro autore, ispi­
rata dairdvTàXXcry^a dei sinottici.
24 Cf. T h . ZAHN, resoconto del Programtn di Overbeck, in
Góttingische gelehrte Anzeiger, 1873, pp. 106-116.
25 C f. R. SEEBERG, Die Apologie des Aristides, in T h . ZAHN,
Forscbungen... cit. p. 243.
26 In G ebhardt , H arnack, Z ahn , Patrum Apostol. Opera, cit., II, 1,
pp. 149-152.
246 COMMENTO

Indubbiamente, altri hanno continuato a sostenere l’ipote­


si del III secolo, ma in questo caso si sono fondati su un ragio­
namento di altro genere, di ordine letterario più che propria­
m ente d o ttrin a le .27 G e ffck e n ha espresso con m olta
insistenza28 l’idea che YA Diogneto non potesse essere il pro­
dotto di un autore cristiano del II secolo, perché era scritto
troppo bene: questo stile così «brillante», questa padronanza
così perfetta dei procedimenti della retorica, questa visibile
ricerca dell’arte, che si manifesta in particolare nelle clausole
metriche, tutto ciò ci riporterebbe a un’epoca più tarda, quel­
la di un cristianesimo pienamente integrato con le tradizioni
della cultura «antica».
Ci sarebbe molto da dire sulla pertinenza di un simile
argomento. Ancora una volta, non bisogna esagerare i pregi
letterari di questo piccolo scritto che, salvo gli ammirevoli
capitoli V-VI (e certi passi dell’epilogo), non è sempre così
«brillante» come lo si vuol definire. D ’altro canto, per quanto
artistica sia la sua prosa, essa non ha un colore «antico» quan­
to la lingua neo classica della quale, a partire da Metodio
d’Olimpo, tenderanno sempre più a far uso i Padri greci del­
l’età d’oro.29 Ma anche qui, il progresso della nostra docu­
mentazione permette oggi di semplificare il dibattito: la sco­
perta delYOmelia sulla Passione dell’Apologista Melitone di
Sardi30 priva l’argomento di Geffcken di tutto il suo peso.

27 L ’argomento è stato abbozzato da SEEBERG, cit., seguito da


Harnack nel 1897, G e s c h i c h t e , I, C h r o n o l o g i e , I, op. cit., pp. 514 s.
(l’usura dell’argomentazione apologetica che si manifesta nei
primi capitoli dell·’^4 D i o g n e t o ci colloca molto tempo dopo
Aristide: e sia, ma quanto?). Harnack, a differenza di Seeberg, ha
certo accusato il colpo portato dalla scoperta del testo di Aristide.
28 Cf. J. Geffcken, Z w e i g r i e c h u c h e A p o l o g e t e n , dt., pp. XLT-XT.TI; 273 s.;
D e r B r i e f a n D i o g n . in ZKG 43, pp. 348-350; in E. H ennecke,

N e u t e s t a m e n t l i c h e A p o k r . , cit., p. 619; D e r B r i e f a n D i o g n e t o s , cit.,

pp. IV-VI.
29 Cf. le giustissime osservazioni di Chr. M ohrmann, nella RSCI 4,
1950, p. 156.
30 Ed. C. BONNER, in K. e S. L ak e, S t u d i e s a n d D o c u m e n t s 12,
T h e h o m i l y . . . , cit.
LA DATA E L ’AUTORE 247

Ecco infatti un testo che va proprio collocato31 tra il 170 e il


190, e nel quale troviamo già in uso tutte le risorse della
«prosa d’arte», tutte le tecniche dell’eloquenza classica. Ecco
dunque uno scrittore cristiano che non scrive con minore
ricercatezza e competenza tecnica dei suoi contemporanei
pagani, di Massimo di Tiro o Favorino d’Arles!32
In definitiva, abbiamo qualche ragione per optare per il III
secolo piuttosto che per il II? L A Diogneto, insisto, presenta
punti di contatto strettissimi e numerosissimi con tutti gli
scritti a noi pervenuti degli Apologisti del II secolo, sia che si
tratti della Predicazione di Pietro, oppure di Aristide, di Giu­
stino, di Melitone, di Atenagora, di Teofilo, di Minucio Felice
o di Tertulliano, per non parlare di Ireneo.33 Oggi non è più
possibile opporre obiezioni valide alla forza di questi accosta­
menti: questo testo può essere del II secolo.34

T erm in us ad q u em : C l e m e n t e d ’A l essa n d r ia

Senza dubbio, osserviamo anche dei contatti non meno pre­


cisi con scrittori un poco più recenti, con i quali raggiungiamo
l ’inizio del I I I secolo: Ip p o lito di Rom a, C lem ente
d’Alessandria e il Discorso ai Greci dello Pseudo-Giustino. Gli
accostamenti cominciano a diventare molto più vaghi e meno
significativi con gli autori più recenti, Origene, Cipriano,35 ecc.

31 P. N au tin , L ' b o m é l i e d e « M é l i t o n » s u r l a P a s s i o n , in RHE 1949,


pp. 429-438, non mi è sembrato apportasse nessuna buona ragio­
ne per aver dubbi rispetto all’attribuzione a Melitone di Sardi.
32 Cf. C. B o n n e r , e d . c i t . , pp. 20-27; A. WlFSTRAND, T h e h o m i l y o f
M e l i t o o n t h è P a s s i o n , in VChr 2,1948, pp. 201-223.

33 Si vedano, per ciascuno degli autori menzionati, le indicazioni


fomite in Appendice dal nostro indice dei L o c a p a r a l l e l a .
34 Questa conclusione si trova rafforzata dall’apporto delle tre memo­
rie di C. TlBILETn che sottolineano come l’esposizione dei capp. V-
X e il lessico dell’^4 D i o g n e t o riflettano la polemica antignostica
(l’avevamo segnalato, almeno di sfuggita, alle pp. 179, 183 ss.;
G. A. Van Den Bergh, c . r . c i t . , rileva anche «eine gnostische
Farbe» nei §§ VII, 2; Vili, 8; X, 11).
35 J. Chapman, art. D i o g n e t u s ( E p i s t l e t o -), in C a t h o l i c E n c y c l o p a e -
d i a , V, p. 9a, ritiene che il nostro scritto assomigli meno alle Apo­

logie «pubbliche» del II sec. che a l l A d D o n a t u m di Cipriano,


248 COMMENTO

Ma per persuaderci a situare di preferenza la data del nostro


autore all’interno del III secolo, bisognerebbe portare ragioni
di un certo peso. È quanto Geffcken credeva di poter tentare:
per lui YAuctor ad Diognetum era, nei confronti di Clemente
di Alessandria, in un rapporto di stretta dipendenza, era un
«satellite dell’astro Clemente».36 Certamente, come si è visto,
VA Diogneto presenta molte affinità con quest’ultimo, e parti­
colarmente con il suo Protrettico, ma ci vuole ben altro per
poterne concludere che VA Diogneto si è ispirato a Clemente:
la soluzione inversa è altrettanto verosimile. E logicamente, è
possibile anche una terza soluzione: che questi due scritti,
indipendenti, siano testi paralleli, e non affiliati, della stessa
tradizione.
Bisogna dunque vedere le cose più da vicino. Incontriamo
almeno una coincidenza verbale: l’esclamazione ώ της ύπερβαλ-
Χούσης φιλανθρωπία? si legge tanto nell’A Diogneto (IX , 2)
quanto nel Protrettico (IX, 82, 2).37 È un riscontro notevole,
nel quale si può esitare a vedere un caso: ma come stabilire
che è l’uno che l’ha copiata dall’altro e non viceversa? Questo
accostamento non ha nulla di decisivo. Restano le analogie
dottrinali, ma i concetti espressi dall’A Diogneto sono, per gli
otto decimi, sia luoghi comuni della tradizione apologetica sia
un’eco diretta dell’insegnamento più comune proveniente
dalla tradizione apostolica: a queste due tradizioni i due auto­
ri possono aver attinto in modo indipendente.

indirizzato anch’esso a un «inquiring pagan» (donde l’attribuzio­


ne proposta al martire Luciano di Antiochia).
Il giudizio d’insieme non merita che se ne discuta; l’argomentazio­
ne formulata trascura il caso di Teofilo di Antiochia che, già dagli
anni 180, dedica la sua apologia «Ad Autolico», anch’egli un
pagano colto interessato al problema cristiano.
36 È con questa formula che Geffcken conclude la sua nota della
ZKG 43, cit., p. 350: «...in der Hauptsache, glànzt er nur als
Trabant des Sterns Clemens».
37 Anche Pedagogo 1, 62,2; Strom., VII, 8,1; la formula passerà ad autori
più recenti: CIRILLO di Gerusalemme, Catech. 20 (Mystag. 2), 5,
p. 20 Cross.
LA DATA E L ’AUTORE 249

C’è solo un settore nel quale VA Diogneto esprime un pen­


siero di accento personale, vigorosamente elaborato, ed è la
famosa tesi sul ruolo cosmico dei cristiani (cf. V-VI). Qui, e qui
soltanto, si può tentare un confronto con Clemente con qualche
possibilità di successo. Il lettore ritorni al nostro commento:38
mentre l’esposizione deWA Diogneto si colloca del tutto natu­
ralmente a lato o al seguito dei testi corrispondenti delle
Apologie del Π secolo, è molto chiaro che il capitolo parallelo
del Quis dives salvetur ci mette alla presenza di uno stadio
molto più evoluto dello stesso genere dottrinale: il pensiero fa
qui molti passi avanti ed elabora prolungamenti originali.
Questo progresso ΓA Diogneto lo ignora e ci presenta la tesi
tradizionale in una forma senza dubbio piena di splendore,
ma ad uno stadio di sviluppo teorico molto meno avanzato. In
queste condizioni la cosa è chiara: non è possibile rappresen­
tarsi YAuctor ad Diognetum come un «satellite» che rifletta la
luce emanata dal centro costituito dal pensiero di Clemente.
O una cosa o l’altra: o il nostro Auctor è anteriore a lui o
è sensibilmente contemporaneo, dato che l’irradiamento del
pensiero di Clemente, ben presto sostituito su questo punto da
quello di Origene, fu così grande che un autore che avesse scrit­
to dopo di lui non sarebbe stato possibile sottrarsi a lungo alla
sua influenza. Posteriore alla Predicazione di Pietro, al massimo
contemporaneo di Clemente, VA Diogneto è stato scritto tra il
120 e il 200-2 IO.39
Questa è la conclusione che mi si permetterà di ritenere
saldamente stabilita; proporre una data più precisa all’interno
di questi limiti è, al contrario, un’impresa incerta che, allo
stato attuale della nostra documentazione, non può pretende­
re altro che risultati ipotetici.

38 Si veda sopra, pp. 156 s.


39 È difficile datare con precisione il Quis dives salvetur (si veda
H arnack , Geschichte, II, Chronologie, 2, p. 19), ma sembra si
ammetta di comune consenso che l’attività letteraria di Clemente
cessa con la sua partenza da Alessandria, verso il 203. Accettiamo
come ipotesi questa data limite e concediamoci qualche anno di
margine per permettere la diffusione dei suoi scritti.
250 COMMENTO

C hi è « S ua E c c e l l e n z a D iogneto » ?

Una volta scartata come insostenibile40 l’attribuzione a


Giustino, suggerita dal manoscritto F, il solo indice preciso
che avrebbe p otu to guidare l ’ind uzione è la dedica
κράτιστε Διόγνητε. Ma è possibile identificare questo perso­
naggio? Molti l’hanno pensato e hanno proposto41 di ricono­
scere in lui quel Diogneto del quale Marco Aurelio parla con
commossa riconoscenza quando evoca i maestri che hanno
contribuito alla sua formazione morale 42
L ’ipotesi si presentava con qualche apparenza di verosimi­
glianza, tanto che lo storico era indotto a fondarsi prima di
tutto sulla tradizione letteraria che ci faceva conoscere una
ventina di personaggi chiamati Diogneto,43 tutti vissuti prima
dell’era cristiana, salvo il maestro di Marco Aurelio e il nostro:
non era allettante l’idea di identificarli? Ma in seguito, con le
scoperte papirologiche che si sono andate moltiplicando,
siamo venuti a sapere che questo nome non era così eccezio­
nale. Conosciamo oggi almeno altri due Diogneto vissuti in

40 Già Tillemont ha dimostrato che né lo stile né la dottrina del­


ibi D i o g n e t o si accordano con Giustino; Otto stesso, che aveva de­
dicato la sua tesi a difendere questa attribuzione, ha formalmente
rinunciato ad essa nella terza edizione del suo C o r p u s a p o l o g e t a r u m ,
t. ΠΙ, cit., p. VII. Cf., se necessario, il riassunto della discussione
dato da MEECHAM, T h e e p i s t l e t o D i o g n e t u s , cit., pp. 61 s.
41 L ’ipotesi è stata formulata per la prima volta, sembra, da
P. HALLOIX, I l l u s t r i u m e c c l e s i a e o r i e n t a l i s s c r i p t o r e s , t. II, Douai
1636, p. 281, e spesso ripresa: cf. OTTO, E p i s t u l a a d D i o g n e t u m ,
2a ed., cit., p. 52, n. 2; Otto stesso e dopo di lui DRAESEKE, o p . c i t . ,
pp. 130-132, M o l la n d , a r t . c i t . , pp. 303-305, H . L ietzm an n ,
H i s t o i r e d e l ' É g l i s e a n c i e n n e , t. II (trad. frane.), p. 189.

42 MARCO A u r e li o , P e n s i e r i , I, 6; la S t o r i a a u g u s t a , M a r c . , 4, 9, crede
di sapere in più che Diogneto era stato anche professore di pittura
del futuro imperatore, ma cosa vale mai questa testimonianza?
43 Nel 1845, Otto ( D e e p i s t o l a a d D i o g n e t u m , cit., pp. 73 s.) ne enu­
merava venti, oltre a quello di Marco Aurelio e al nostro; si
aggiungano poi i nn. 6, 7, 9, 14, 15 dell’articolo D i o g n e t o s del
Pauly-Wissowa, t. V, 1,784-786.
LA DATA E L ’AUTORE 251

Egitto nei primi secoli della nostra era,44 e ne sono esistiti in


altre province greche dell’impero, perché incontriamo questo
nome anche su una iscrizione di Efeso.45 Stando così le cose,
ogni identificazione che si fondi sul nome soltanto è destinata
all’insuccesso.
Almeno il titolo di κράτιστος, «Eccellenza», orienta la
scelta. Non bisogna giustapporre tutte le accezioni possibili
che il termine può assumere nel corso dei secoli,46 benché
all’epoca in cui siamo, tra Adriano e Settimio Severo, l’uso
onorifico di questo epiteto sia suscettibile di una certa elasti­
cità (in Egitto lo si applica volentieri al «governatore»,
ήγεμών, il potente Praefectus Aegypti, ma talvolta anche a un
semplice centurione).47
Tuttavia resta sicuro che, quando era applicato in questo
modo, cioè aggiunto a un nome proprio, l’uso normale ne fa­
ceva la traduzione ufficiale del titolo romano di Egregius Vir,
che portavano i personaggi appartenenti ai gradi inferiori
dell’ordine equestre.48 È estremamente probabile che il nostro
Diogneto - chiunque egli fosse - fosse un procurator che, nella
gerarchia delle funzioni amministrative, non aveva raggiunto
le cariche più alte che conferivano il rango di Perfettissime.

44 Si veda il materiale raccolto da PREISIGKE, N a m e n b u c h , c. 88, s.v.:


un Diogneto compare in un documento dell’anno 77 d. C.
(P. O x y . , 263, 3 e 17-18); un altro, sul quale ritorneremo alla fine,
è attestato tra il 197 e il 202-3. Da altra fonte siamo anche venuti a
sapere di almeno tre nuovi Diogneto di epoca tolemaica.
45 C/L 3,6087.
46 Si veda, s.v., Liddell-Scott (-Stuart Jones), G r e e k - E n g l i s h l e x i c o n ,
I, pp. 991 b-992 a, e PREISIGKE, W ó r t e r b u c b d e r g r i e c h i s c h e n p a p y -
r u s u r k u n d e n , t. Ili, pp. 192 a-193 a.

47 BGU, 390, 3 (inizio del ΠΙ sec.): ό κράτιστος εκατόνταρχος.


48 Rinvio il lettore alla memoria classica di O. HlRSCHFELD, D i e
R a n g tit e l d e r r ò m is c h e n K a i s e r z e i t , in K l e i n e S c h r i f t e n , Berlin

1913, pp. 646-681 (ripreso dalle S i t z u n g s b e r i c h t e , dell’Accademia


delle Scienze di Berlino, 1901, pp. 579-610), soprattutto pp. 651-
654; ma l’uso del titolo E g r e g i u s V i r risale non solo ad Antonino
(Hirschfeld) ma già ad Adriano, come ha stabilito J. Carcopino
pubblicando la celebre iscrizione di Αϊη el Djemala, CIL 8,25943.
252 COMMENTO

Conclusione del tutto insufficiente. Siamo dunque ricondot­


ti ai soli indici di ordine dottrinale o letterario, e di questi si sa
quanto siano vaghi e di incerta interpretazione. La tabella che
abbiamo compilato attesta come la critica sia restata divisa: pra­
ticamente è stato proposto di attribuire 1’A Diogneto a tutti gli
Apologisti dei quali sono state conservate le opere.49 Ma basta
confrontare queste diverse ipotesi per vedere che si escludono a
vicenda: ciascuno dei loro propugnatori ha insistito unilateral­
mente sulle rassomiglianze che potevano esistere tra una deter­
minata Apologia e il nostro autore, senza fare attenzione a
come altre affinità, come minimo altrettanto marcate, lo colle­
gavano ugualmente ad altri scritti appartenenti alla stessa cate­
goria; e, allo stesso modo, senza badare a differenze non meno
clamorose che stridevano con l’equiparazione proposta.50
Si è anche pensato di identificare l’A Diogneto con una de
Apologie perdute, la cui esistenza è storicamente attestata.51
Riprendendo un’ipotesi prospettata un secolo prima da
Dorner,52 Dom Andriessen ha proposto di attribuirlo a Qua­
drato di Atene che, come sappiamo da Eusebio, dedicò all’im­
peratore Adriano un’Apologia della religione cristiana, discor­
so che gli avrebbe rivolto durante il suo soggiorno ad Atene,
all’inizio dell’anno 125.53 Questa ipotesi è stata presentata,

49 Salvo Atenagora, mi pare.


50 Cf. il giudizio severo, ma giustificato, di Dom B. B o t t e sull’ipote­
si di OGARA ( V A D i o g n e t o sarebbe di Teofilo di Antiochia, in
G r e g o r i a n u m , 1944, pp. 74-102), dal B u l l e t i n d e th é o l. a n c . e t

m é d . , 5, n. 383.

51 Non sembra si sia pensato agli altri autori della stessa categoria:
Milziade, Apollinare di Gerapoli o il martire Apollonio che sotto
Commodo pronunciò un'Apologia davanti al Senato - almeno
secondo EUSEBIO, H i s t . e c c l . , V, 21 ,2 -5 .
52 Cf. A. DORNER, E n t w i c k l u n g s g e s c h i c h t e d e r L e b r e . . . , cit., t. I,
p. 178, n. 32.
53 S i c , e non 126, come scrive per inavvertenza A n d r ie s s e n , in
RTAM, 1947, cit., p. 131. Accetto invece l'identificazione, difesa
dallo stesso autore, contro i dubbi di Harnack (seguito da
G. BARDY, M é l a n g e s H . G r é g o i r e , I, pp. 75-86), tra il Quadrato
«onorato dallo spirito di profezia» di cui parla Eusebio ( H i s t . e c c l . ,
LA DATA E L ’AUTORE 253

messa a punto e difesa con molta cura e un forte accento di


convinzione.54 Benché mi costi molto per l’amicizia che mi
lega all’autore, sono costretto a constatare che Dom Andries­
sen accumula degli argomenti che potrebbero servire a rinfor­
zare la sua posizione, se questa potesse essere considerata
come acquisita, ma in nessun momento egli ha fornito la
ragione decisiva che avrebbe potuto conquistare l’adesione.55
In realtà egli si trova, di fronte a Quadrato, nella situazio­
ne in cui si trovavano Doucet e Kihn quando, prima della sco­
perta del testo autentico άζΆ’Apologia di Aristide, tentavano di
riconoscerla nell’^4 Diogneto: non mancavano di buoni argo­
menti, ma, una volta ritrovato il vero Aristide, ci si è accorti
che questi non comportavano altro che la parentela fra i due
testi, non la loro identità. Ci sono molte probabilità che
YApologia di Quadrato, se mai un giorno la si ritrovasse, ci
metta in presenza di ima situazione analoga: Eusebio ci dice
espressamente che YApologia di Aristide era «quasi simile» a
quella di Quadrato56 - e dunque era anche simile all’^4 Diogneto,
così vicino ad Aristide, come si è visto.

Ili, 37, 1; V, 17, 2-4), il Quadrato «vescovo» di Atene (Id., IV,


23,3) e il Quadrato autore di un’Apologia indirizzata ad Adriano
(Id., IV, 3,1).
54 Nella serie di articoli che abbiamo enumerato nella nostra
Bibliografia (v. sopra, p. 43): RTAM, 1946, pp. 5-39; 125-149;
237-260; 1947, pp. 121-156; ecc.
55 Non è il caso di discutere qui dettagliatamente tutta questa argo­
mentazione; prendiamo per esempio la prima memoria di D. An­
driessen: si sa che Eusebio (Hist. eccl., IV, 3, 2) ci ha conservato
un frammento dell’Apologia perduta di Quadrato. Dom Andries­
sen mostra che queste poche righe potrebbero trovar posto nella
lacuna del nostro cap. VII, 6-7: niente di più! Le laboriose indu­
zioni tratte dal contenuto dottrinale e dallo stile (art. cit., 1946,
pp. 27-39) non possono convincere: la base sulla quale sono collo­
cate è troppo stretta, in quanto si tratta di un frammento che,
nell’ed. Schwartz, non conta in tutto nient’altro che cinque righe e
una parola!
56 EUSEBIO, Hist. eccl., IV, 3, 3; gli argomenti più convincenti evocati
da Dom Andriessen (così, art. cit., 1946, p. 142 o 144) non postu­
lano di più di questa parentela, ma non ne impongono l’identità.
254 COMMENTO

Ma c’è molto di più. L ’ipotesi di Dom Andriessen solleva


una difficoltà insormontabile, della quale l’autore non sembra
aver misurato la portata: bisognerebbe cioè ammettere che,
con le parole κράτιστε Διόγνητε, Quadrato si rivolgesse
all’imperatore Adriano! Nessuno storico, per quanto poco
familiare con le usanze così precise del protocollo e dei titoli
imperiali del tempo degli Antonini, non sarebbe d’accordo
con me per dichiarare impossibile la cosa.57 Adriano non si
chiamava Diogneto, ma Imperator Caesar Traianus Hadrianus
Augustus·. supponendo anche che un’ulteriore scoperta ci per­
metta un giorno di stabilire che egli, fra gli altri occasionali
soprannomi, avesse ricevuto anche quello di Diogneto, certa­
mente esso non avrebbe potuto essere usato qui in modo iso­
lato per designarlo. D ’altra parte, rivolgendosi a un imperato­
re il cui nome di persona fosse stato proprio Diogneto, nessun
oratore del II secolo si sarebbe azzardato a interpellarlo con
un κρά τιστε Δ ιόγνη τε, ma lo avrebbe chiamato Cesare,
Sovrano, Signore, o, più probabilmente, visto il carattere ora­
torio del testo, avrebbe fatto uso del termine letterario di
«Re», ώ βασιλεύ,58 ma certamente non di questo titolo di
Eccellenza, che sarebbe parso un oltraggio nei confronti della

57 La terza memoria di Dom Andriessen, in RTAM, 1946, pp. 237-


260, cerca di dimostrare che è possibile «intendere Diogneto non
come un nome proprio, ma come il titolo d’onore col quale
Quadrato designava l’imperatore», ma tutto ciò che dice è o fanta­
sioso o inverosimile; così (excursus, pp. 253-260), è Adriano che
Marco Aurelio avrebbe menzionato tra i suoi educatori sotto il nome
di Diogneto; evidentemente è possibile de potentia Dei absoluta, ma
perché, volendo manifestare la sua riconoscenza verso il suo avo
per adozione, l’imperatore filosofo lo avrebbe designato con que­
sto misterioso soprannome, anziché chiamarlo semplicemente con
il suo nome, come fa per il suo «nonno Verus» (I, 1), oppure con
l’appellativo corrispondente al grado di parentela, come fa per
suo padre secondo il sangue (I, 2), per sua madre (I, 3), o per il
bisnonno (1,4)?
58 Cf., per non citare gli oratori pagani, Aristide, I, 1 (Βασιλεύ);
ATENAGORA, Supplica, I (μεγάλοι Βασιλέων).
LA DATA E L ’AUTORE 255

maestà imperiale,59 perché più o meno equivalente al nostro


«Signor Sottoprefetto»...60

D ata p r o b a b il e : intorno a l 2 0 0

Abbandonata questa pista, siamo condotti a cercare di


precisare dapprima non l’autore, ma la data del nostro scritto.
Anche qui non c’è poca esitazione. Per parte mia, nel corso
dei sei anni di preparazione di questo lavoro, ho a lungo oscil­
lato all’interno dei confini fissati, tentato di volta in volta
dall’una e poi dall’altra delle soluzioni prospettate dai miei
predecessori. Non credo sia utile riprendere in dettaglio tutti
gli aspetti del dibattito, che sono stati successivamente ben
illustrati dall’immensa fatica di chi mi ha preceduto. Si può
ritenere chiusa la discussione e, come il giudice al momento di
pronunciare la propria sentenza, mi accontenterò di riassume­
re, prima di valutarli, i fatti essenziali emersi dall’inchiesta.
E certo che VA Diogneto presenta un’incontestabile affi­
nità globale, e punti di contatto, parziali ma numerosi, con
l’insieme della letteratura apologetica e protrettica degli anni
120-210, ma questi rapporti sono particolarmente stretti con i

59 Non si trova mai il titolo di κράτιστε per interpellare un impera­


tore dell’antichità. La L e t t e r a 365 di Basilio (PG 32, 1109 AB) è
un falso bizantino, come pure la lèttera 81 di Giuliano (= Basilio,
E p . , 40, i b i d . 344 B): cf. M. BESSIÈRES, L a t r a d i t i o n m a n u s c r i t e d e

la c o r r e s p o n d a n c e d e S . B a s i l e , Oxford 1923, pp. 161 s., 164;

Sr. L. DlNNEEN, T i t l e s o f a d d r e s s i n C h r i s t i a n g r e e k e p i s t o l o g r a p h y ,
Washington 1929 (PSt 18), p. 99.
Al massimo, ma è tutt’altra cosa, si trova (e per giunta solo nei
papiri del VI secolo) l’aggettivo κροπΊστο? come qualificativo dei
termini che designano il sovrano, per es. ό κράτιστο? καί
καλλίνικο? ημών Βασιλεύ? (Ρ. C a i r o M a s p . , 67031, 9) oppu­
re κράτιστοι Δεσπόται ( Ρ . Μ ο η . , 1,45).
60 Chiaramente lo dico per scherzo, ma mi pare in qualche modo
preferibile alla parafrasi etimologica di Andriessen, a r t . c i t . ,
p. 239: «Per poco che si conosca Adriano, non si resterà stupiti nel
vedere Quadrato rivolgersi all’imperatore usando un titolo onorifico:
κράτιστε Διόγνητε, potentissimo virgulto dell’Altissimo!».
256 COMMENTO

due gruppi estremi, cioè, da una parte, con le più antiche


Apologie conservate, i frammenti della Predicazione di Pietro
e Aristide, e, dall’altra, con gli scrittori più tardi del periodo
preso in considerazione, vale a dire con Ippolito di Roma e
Clemente di Alessandria.
Con il primo gruppo, sono soprattutto i capitoli propria­
mente apologetici (II-IV ) che presentano analogie, spesso
molto precise: è la stessa polemica rapida, che raggruppa in
un’unica esposizione la confutazione delle obiezioni poste dai
pagani e dai giudei;61 è la stessa argomentazione sommaria,
dove non si trova nessuno degli sviluppi o delle precisazioni
di cui la tradizione si è progressivam ente arricchita tra
Giustino e Tertulliano. Chi si lasciasse troppo attirare soltanto
da questi contatti sarebbe tentato di collocare VA Diogneto a
una data ancora non troppo lontana dal Kerygma, e vicinissi­
ma a quella di Aristide, immediatamente prima o immediata­
mente dopo. Il testo dei capitoli V-VI non si presterebbe a
delle obiezioni inconfutabili: la tesi «cosmica» è così solida­
mente abbozzata già in Aristide (può essere che risalga alla
Predicazione di Pietro) che ci si potrebbe figurare benissimo
l’autore dcWA Diogneto al lavoro su questa base, fino a perve­
nire, con uno sforzo originale, al risultato che conosciamo...
Sì, ma c’è un’altra serie di paralleli, con Ippolito e la Scuola
di Alessandria. Questi paralleli cominciano già a moltiplicarsi
nei capitoli catechetici della terza parte (capp. VII-IX). A più
riprese abbiamo definito «arcaica» la teologia che vi troviamo
espressa, ma questo significava parlare dal punto di vista dei
moderni. Si tratta di una teologia che ignora ancora le precisa­
zioni che verranno apportate al dogma in seguito alla crisi ariana
e ai suoi strascichi, ma, per quanto possa apparire arcaica, essa
ha tuttavia raggiunto uno stadio che si comprende meglio negli
ultimi anni del Π secolo che nella prima metà. Per non citare
altro che il caso più puntuale, la polemica contro la dottrina
gnostica del Messia-Angelo (VE, 2) ci presenta come parallelo

61 Bisognerà attendere Giovanni Crisostomo (cf. sopra, p. 93, n. 21)


per trovare questa duplice polemica trattata non soltanto da uno
stesso autore (come Giustino o Tertulliano), ma in una stessa
opera.
LA DATA E L ’AUTORE 257

datato62 soltanto il De carne Christi di Tertulliano, che ci porta


agli anni 208-211.
Ma, più nettamente ancora, è nella parte propriamente
protrettica che si manifestano questi sintomi tardivi. Lasciamo
provvisoriamente da parte l’epilogo (XI-XII), del quale nessu­
no contesta gli strettissimi legami con il tempo di Ippolito e di
Clemente.63 Il tema dell’esortazione, e con esso i paralleli in
questione, compaiono fin dall’introduzione (I, 2), prima di svi­
lupparsi al capitolo X: qui, come là, i paralleli con Ippolito e
Clemente si impongono con una evidenza quasi ossessiva...
Ora, se vi riflettiamo bene, manca poco a che i due gruppi
di fatti si presentino con una forza eguale e in qualche modo
contraddittoria. Le analogie tra l’A Diogneto e gli scrittori che
fiorivano intorno all’anno 200 non sono costituite soltanto
dalle idee o dalle formule che un autore avrebbe potuto scri­
vere due o tre generazioni prima e che poi i suoi eredi avreb­
bero potuto assumere tali e quali, salvo interpretarle male.64
No, si tratta anche, e soprattutto, di paralleli contemporanea­
mente meno precisi e più estesi, che hanno analoga concezione,
atmosfera spirituale o teologica, analoghi movimenti di pen­
siero. Non si tratta tanto di ispirazioni mutuate o di echi pro­
priamente parlando, quanto piuttosto di una comunanza di
atmosfera, di ima partecipazione a uno stesso Zeitgeist.
L ’ipotesi più semplice consiste, di conseguenza, nel supporre
di trovarci a che fare con un autore che, riprendendo alla fine
del II secolo il piano tradizionale delle Apologie, abbia voluto,
per farla breve, seguire molto da vicino l’esempio venerabile
della Predicazione di Pietro, libro che la sua antichità e la pater­

62 Abbiamo certamente un parallelo, più stretto ancora, con


XApocalisse di Elia, ma la data di questo testo, conservato soltanto
in copto, è incerta e, per precisarla, si ritorna all’A Diogneto
(cf. sopra, pp. 195 s., n. 76 e, per la data, l’ed. Steindorff, pp. 19 s.).
63 Escluso Andriessen, ma qui, come abbiamo sottolineato, sta
appunto l’aspetto più paradossale della sua posizione: chi potreb­
be ammettere che, nell’anno 125, ci si potesse rivolgere all’impe­
ratore stesso con un discorso cristiano dal tono così ecclesiastico e
con una dossologia come conclusione?
64 Come vorrebbe Andriessen , art. cit., 1947, p. 136, n. 25, a proposito
della formula «il Verbo è oggi riconosciuto come Figlio» (XI, 5), di
cui abbiamo sottolineato l’equivalente in Ippolito.
258 COMMENTO

nità apostolica che gli si riconosceva65 raccomandavano come


un modello, prima di sviluppare con un tono più personale e
più attuale i punti di vista che gli importavano maggiormente.
Questo è infinitamente più verosimile che supporre uno scrit­
tore della prima metà del secolo, predecessore o contempora­
neo di Aristide, che, in maniera veramente miracolosa, avrebbe
anticipato come per caso un gran numero di idee, di modi di
pensare e di sentire, ovvero abbozzato degli sviluppi, destinati
ad attendere Ippolito o Clemente per trovare degli ammiratori
e degli imitatori! La prima ipotesi rende conto molto natural­
mente del tratto che, nel caso del nostro studio, d ha tanto colpi­
to: il contrasto fra il carattere impersonale, superficiale, affret­
tato della parte propriamente apologetica, della quale l’autore
si sbarazza per sgravio di coscienza, sollecito di venire a ciò
che veramente gli sta a cuore: l’evocazione dei misteri della
Chiesa, l’appello alla conversione.
In queste condizioni, dopo avere ancora una volta tutto sop­
pesato, sono arrivato alla convinzione, con una matura riflessio­
ne, che l’A Diogneto non può appartenere alla prima parte del Π
secolo e che, per spiegare con naturalezza tutte le sue caratteri­
stiche, occorre trasferirlo verso l’altra metà del periodo preso in
considerazione,66 intorno all’anno 200: l’autore è cronologica­
mente un contemporaneo di Ippolito e di Gemente.
Una volta ammessa questa conclusione, si constaterà che
essa risolve del tutto naturalmente il problema dell’epilogo e
dispensa da qualsiasi ipotesi particolare a suo riguardo: non c’è
più ora alcuno iato cronologico tra il gruppo dei capitoli I-X e
quello dei capitoli X I-X II. Poiché tante buone ragioni ci invi­
tano a ciò, e in particolare l’esame del capitolo X , non bisogna
più esitare a considerare l’epilogo del ms. F come la conclu­
sione autentica dell’-A Diogneto: la sensibile discordanza nel
leggerlo si spiega con l’estensione della parte mancante, per­
duta in seguito alla mutilazione dell’archetipo Φ.

65 Clemente di Alessandria ancora non dubita della sua autenticità:


«Come dice Pietro nella Predicazione...» (Strom., II, 15, 68; VI, 5,
39; VI, 5, 43; VI, 7, 58; VI, 15, 128; Eclog. proph., 58); Origene
sarà più chiaroveggente: In Joh., XIII, 17.
66 Lo studio dei tanti punti di contatto, come abbiamo visto (cf.
Loca parallela, § VI), tra l’A Diogneto e Ireneo, porta alla stessa
conclusione: C onnolly , in JThS, art. cit., 1935, pp. 351 s.
LA DATA E L ’AUTORE 259

Più vicino a C l e m e n t e c h e a Ippolito

Devo osare andare ancora più avanti? È senza dubbio


pericoloso collegare le ipotesi alle ipotesi (e soprattutto pensa­
re con ciò che esse si confermino a vicenda: di fatto l’incertez­
za cresce in proporzione geometrica); tuttavia, trovandoci
indotti a proporre al lettore una conclusione ipotetica, abbia­
mo nei suoi confronti il dovere di cercare di formularla con la
massima precisione possibile.
h ’Auctor ad Diognetum deve essere, diciamo, un contempo­
raneo di Ippolito e di Clemente: bisogna cercare di determinare
maggiormente il rapporto che lo lega a questi due autori.
Facciamo di nuovo, questa volta con Ippolito, un confronto
analogo a quello che abbiamo tentato in precedenza con
Clemente:67 il lettore farà riferimento in particolare all’antologia
da noi composta dei testi patristici riguardanti la tesi caratteristi­
ca del ruolo cosmico dei cristiani. Mentre per il resto gli accosta­
menti con il corpus ippolitiano sono tanto numerosi quanto
quelli che presenta VA Diogneto con Gemente, e testimoniano
anch’essi, nel loro modo, una certa comunanza di spirito, su
questo terreno decisivo essi diventano invece molto più vaghi.
Ippolito, come abbiamo notato,68 non accorda una particolare
attenzione alla famosa «tesi» che, per noi e per il suo autore,
rappresenta davvero 1’άκμή dell’^4 Diogneto; egli la riceve dalla
tradizione, ma non ne fa oggetto di uno sforzo personale di ela­
borazione e di approfondimento analoghi a quelli del nostro
autore, e dei quali testimoniano peraltro Clemente e Origene.
Su questo punto decisivo, il nostro misterioso autore è
dunque più vicino a Clemente che a Ippolito.69 D ’altra parte,

67 II lettore riprenda ancora una volta i passi rilevati nel nostro indi­
ce dei Loca Parallela.
68 Si veda sopra, Commento, p. 155.
69 È forse bene sottolineare, adesso, che nessuno dei paralleli rilevati
da tutti quelli che attribuiscono a Ippolito sia i capp. ΧΙ-ΧΙΙ
(Bunsen, Draeseke, ecc.), sia l’insieme dell’opera (Quarry,
Connolly) è di per sé molto significativo: l’abbiamo sottolineato a
proposito della dossologia (sopra, p. 236, n. 82), che aveva dato
luogo all’accostamento considerato come il più valido (a giudizio
di Harnack, Geschichte, II, Chronologie, II, cit., p. 232). Va man­
tenuta la conclusione che VA Diogneto è più vicino a Clemente
260 COMMENTO

ora che siamo stati portati ad accostarli nel tempo, questa


parentela induce a farci nuove domande: è verosimile che alla
stessa epoca si sia trovato, al di fuori di Alessandria, un secon­
do centro di pensiero cristiano dove, parallelamente, si sia
ravvivato un eguale interesse per questa vecchia tesi tradizio­
nale?

S c r i t t o a d A l e s s a n d r i a v e r s o i l 1 9 0 -2 0 0

Vicino a Clemente quanto al tempo, e vicino per il pensie­


ro, YAuctor ad Diognetum deve essere vicino anche come
ambiente. Geffcken qui aveva visto giusto quando rilevava in
lui un accento «autenticamente alessandrino».70
Ma questo ci fa riprendere, per precisarla, la nostra con­
clusione cronologica. Se YAuctor ad Diognetum è vissuto nella
stessa cerchia di Clemente, non ha potuto ignorare il Quis
dives salvetur a partire dal momento stesso in cui è stato pubbli­
cato, e visto che non ha approfittato del suo apporto, allora
vuol dire che gli è anteriore. H terminus ad quem dell’^4 Diogneto
è dunque fissato al 203 e, dato che il Quis dives può benissimo
essere stato scritto sensibilmente prima di questa data limite,
VA Diogneto deve risalire, senza cercare ulteriori precisazioni
illusorie, agli anni 190-200.
Faccio notare qui che, in definitiva, una volta liquidati gli
strascichi dell’infelice tentativo di Overbeck, e una volta scar­
tata l’ipotesi di Andriessen, è di fatto verso una soluzione di

che a Ippolito, nonostante gli sforzi tentati in senso opposto da


C. TlBILETn, Aspetti..., cit., pp. 356-359: con Connolly, egli para­
gona il nostro testo alla conclusione dei Philosophoumena, X, 34;
noi l’abbiamo fatto prima di lui (v. pp. 210 ss.), ma mostrando
anche i punti di contatto con il Protrettico di Clemente. Il metodo
dei paralleli testuali ha valore probante soltanto se si rispetta scru­
polosamente la regola cartesiana dei «computi interi».
70 Nella sua ed. Der Brief an Diognetos, pp. V-VI; 20, riga 28, ecc. Si
potrebbe, come sempre, orchestrare l’ipotesi rilevando con cura
molti altri «sintomi alessandrini»: l’antisemitismo implicito dei
capp. ΠΙ-IV, l’affermazione rigorosa dell’eguaglianza del Padre e
del Figlio; in paesi di lingua greca, questa teologia già «nicena»
trova la sua migliore collocazione in Egitto, ecc. Ma bisogna guar­
darsi dal voler leggere troppo tra le righe...
LA DATA E L ’AUTORE 261

questo genere che inclinava a poco a poco il consensus


omnium. La maggior parte degli storici più recenti e più auto­
revoli inclinava, per esprimere un giudizio, verso formule
quali: «fine del II secolo o inizio del ΠΙ», «primi anni del III
secolo, o, a rigore, fine del II», ecc.71 Precisando il rapporto di
anteriorità immediata dell’^4 Diogneto rispetto a Clemente, noi
non avremmo fatto quindi altro che ultimare la messa a punto
di una soluzione già ampiamente accolta, quanto all’essenziale.

L ’ a u t o r e : Pa n t e n o ?

Possiamo tentare di fare ancora un passo. L ’ultimo argo­


mento di cui ci siamo serviti è a doppia entrata: se sono vissuti
insieme ad Alessandria negli anni 190, né Clemente né il
nostro misterioso Auctor hanno potuto ignorarsi a vicenda. Si
mostrano così vicini che un’influenza diretta dell’A Diogneto
sull’autore del Protrettico diventa altamente verosimile.72
UAuctor ad Diognetum sarebbe allora uno dei maestri di Cle­
mente... Senza dubbio conosciamo solo molto imperfettamen­
te l’ambiente, allora così vivace, di Alessandria, e conviene
tenere in serbo la possibilità che si tratti di una person£(lità
finora ignorata dalle nostre fonti,73 ma se è necessario identifi­
carla con un nome noto, non esiterei a pronunciare qui quello

71 Prendo l’osservazione da MOLLANO, in Z e i t s c h r i f t f i i r d i e n e u t e -


s t a m . W i s s e n . , 1934, a r t . c i t . , p. 290.

72 Ci tengo a sottolineare il carattere sempre più ipotetico che assu­


mono questi spunti. Qui, farei mie le conclusioni, così prudenti e
sfumate, di L. A l f o n s i , in A e v u m , 1946, a r t . c i t . , p. 108: «Non
disponiamo di argomenti abbastanza forti per affermare con cer­
tezza che il tale passo del P r o t r e t t i c o dipende dalla L e t t e r a a
D i o g n e t o , benché non manchino concordanze abbastanza signifi­

cative per giustificare almeno il sospetto che Clemente l’abbia


conosciuta, come deve averla conosciuta Origene».
73 La storia letteraria è ben lontana dall’averci conservato il ricordo
di tutti gli scrittori dell’antichità cristiana. Di tanto in tanto ci ven­
gono rivelati nuovi nomi, come quello dell’Apologista Ambrogio
fornito da un rimaneggiamento del D i s c o r s o a i G r e c i dello
Pseudo-Giustino (testo IV del ms. F), conservato in traduzione
siriaca. Benché la notizia del manoscritto sia molto confusa (con­
tamina il suo ricordo con quello di Apollonio), non c’è motivo di
dubitare dell’esistenza di questo autore; si tratta forse dell’amico,
262 COMMENTO

di PANTENO,74 l’illustre e misterioso dottore al quale Clemente,


come sappiamo, ha reso un omaggio tanto vibrante quando,
all’inizio degli Stremata, enumera i maestri che lo hanno forma­
to: «L’ultimo che ho incontrato, ma il primo per potenza, l’ho
scoperto in Egitto dove era nascosto... Era uiia vera ape di
Sicilia: coglieva i fiori nella prateria dei profeti e degli apostoli e
generava nelle anime dei suoi uditori un puro miele di gnosi!».75

discepolo e mecenate di Origene: cf. HARNACK, nelle


S itz u n g s b e r ic h te dell’Accademia delle Scienze di Berlino, 1896, 27,
pp. 627-647, e in particolare 642.
74 Leggendo J. QUASTEN, P a t r o l o g y , II, Utrecht 1953, p. 11, e
F: L. CROSS, E a r l y C h r i s t i a n F a t h e r s , London 1960, p. 28, sono
venuto a sapere con stupore che Η. I. Marrou aveva attribuito V A
D i o g n e t o a Panteno. Personalmente ho avanzato questo nome con

infinite precauzioni (si veda il punto interrogativo e le note in


questa p. 261), in qualche modo e x e m p l i g r a t t a , per dare una
forma concreta alla nostra ipotesi finale: che l’autore apparterreb­
be cioè all’ambiente alessandrino di Clemente e sarebbe legger­
mente anteriore a quest’ultimo. Invito dunque di nuovo il lettore
a pesare con cura i nostri argomenti e a misurare i diversi gradi di
certezza ai quali possono aspirare. Che V A D i o g n e t o appartenga
alla letteratura apologetica pre-nicena è assolutamente incontesta­
to; che sia il caso di situarlo preferibilmente alla fine della serie
delle A p o l o g i e classiche, ovvero alla cerniera tra il II e il III secolo,
è una conclusione che può passare come ragionevolmente fondata.
Ma ci si espone e si rischia di più se lo si colloca (nonostante
C. Tibiletti e con l’aiuto di P. Nautin) più vicino a Clemente che a
Ippolito. Un poco anteriore al P r o t r e t t i c o ? Scritto ad Alessandria?
La parte ipotetica aumenta. Soltanto al limite può presentarsi alla
mente il nome di Panteno. Non mi attarderò dunque ad orche­
strare l’ipotesi: bisognerebbe contestare il dogma, accettato a par­
tire da Harnack, che Panteno non abbia lasciato scritti, valorizza­
re al massimo il tale sottile accostamento (cf. J. DAniÉLOU,
T h é o l o g i e d u ] u d é o - C h r i s t i a n i s m e , Paris 1958, p. 129: Anastasio il

Sinaita nomina Panteno tra i Padri che hanno interpretato


V E s a m e r o n e del Cristo e della Chiesa, come qui X II, 1-8).
Esercizio ingegnoso, ma perfettamente sterile!
75 C lem en te d’Alessandria, S t r e m a t a , I, 1, 11 (riportato in parte da
Eusebio, H i s t . e c c l . , V, 11, 4): il nome di Panteno qui non è pro­
nunciato, ma l’identificazione pare sicura.
LA DATA E L ’AUTORE 263

La sua candidatura era già stata proposta da Harmer come


possibile autore dei capitoli X I-X II,76 ma per noi questi non è
più distinto dall’autore dell’insieme, e io, in ciò che la tradi­
zione, fondata essenzialmente sui ricordi di Clemente, ci rife­
risce di Panteno,77 non vedo nulla che si opponga a questa
attribuzione.

Il pro cu ra to re C l a u d io D io g n e t o

Infine, sempre se il nostro testo è stato scritto ad Alessan­


dria negli anni 190-200, diventa possibile proporre con qual­
che verosimiglianza una identificazione del suo destinatario.
Un importante gruppo di testi, sei papiri e un ostrakon 78 ci fa
conoscere, proprio là e allora, un procuratore equestre - al
quale i documenti attribuiscono il titolo dovuto di κράτιστος
- di nome Claudio Diogneto. Lo troviamo nel 197 «facente
funzione» di Gran Sacerdote d’Egitto, prima di divenire colla­
boratore nel 202 del rationalis Aegypti.79

76 Cf. U. B. L i g h t f o o t ] - J. R. H a rm e r, T h e a p o s to lic fa th e r s

(ed. minor), pp. 488 s., che fa appello in particolare alla testimo­
nianza di ANASTASIO S in aita, in H e x a m e r o n , VII, PG 89, 962 A
(Panteno è nel numero degli antichi autori che avevano interpre­
tato spiritualmente, intendendoli come riguardanti la Chiesa, i
racconti della Genesi a proposito del Paradiso: allusione al nostro
passo XII, 1-8?). Si potrebbero ancora moltiplicare qui le «conve­
nienze»: Panteno aveva cominciato come filosofo stoico, e le trac­
ce dello stoicismo appaiono bene nell’^4 D i o g n e t o . L ’ipotesi di
Harmer è stata accettata da P. BATIFFOL, L ' É g l i s e n a i s s a n t e e t l e
c a t h o l i c i s m e , Paris 1909, pp. 213-216.

77 Si veda il materiale raccolto da H arn ack , G e s c h i c h t e d e r a l t c h r i s t l i -


c h e n L i t e r a t u r , cit., 1, pp. 291-296. L’ultimo stadio della ricerca [al

tempo dello scrivente] è rappresentato dall’ipotesi di A. W.


PARSONS secondo la quale Panteno discenderebbe da «una fami­
glia di filosofi di Atene» che l’epigrafia ci ha fatto conoscere:
M é l a n g e s T h . L . S h e a r , H e s p e r i a , S u p p l . Vili, 1949, pp. 268-272.

78 P . P a r i s , WlLCKEN, C h r e s t . , 81; P . F i o r . (II), 278; P . G i e s s e n , 48,


W iLCKEN , C h r e s t . , 171; P . H a m b . , 11; P . O x y . (V ili), 1113;
P . R y l a n d s (IV) 596; O . A b e r d e e n (I) 50.

79 Sulla carriera di questo Diogneto, si veda E. GROAG, A. STEIN, P r o -


s o p o g r a p h i a I m p e r i R o m a n i , II2, p. 193, n. 852, e H. G . P fla u m ,
264 COMMENTO

In questa metropoli alessandrina dove si sviluppavano


fianco a fianco tanti culti, sotto il regno di Settimio Severo,
durante ciò che qualcuno ha voluto talvolta chiamare «la pic­
cola pace della Chiesa», thè minor peace o f thè Church, che
cosa ci sarebbe di sorprendente nel trovare un amministratore
romano che, portato dalle sue stesse funzioni a prendere in
considerazione gli affari religiosi,80 fosse persona abbastanza
interessata al cristianesimo da cercare informazioni a suo
riguardo con competenza e simpatia, tanto da far nascere in
un amico cristiano la speranza di una conversione? Qualche
anno più tardi, la stessa imperatrice-madre, Julia Mammaea,
avrebbe fatto appello, con altrettanto interesse, se non anche
simpatia, all’insegnamento di Origene.81

L e s c a r r i è r e s p r o c u r a t o r i e n n . e s é q u e s t r e s , Paris 1960, n. 246. Può

darsi che sia lo stesso personaggio che ritroviamo sull’iscrizione di


Pergamo già citata, CIL 3, 6087: essa allora ci fornirebbe il suo
nome completo, incluso il p r a e n o m e n · . Tiberios Claudios
Diognetos.
80 L ' A r c h i e r e u s A e g y p t i era essenzialmente incaricato dell’amministra­
zione dei beni del clero e dei templi pagani d’Egitto che, a partire da
Augusto, era stata assunta dall’imperatore: cf. H. STUART JONES,
F r e s b lig h t o n R o m a n a d m i n i s t r a t i o n , Oxford 1920, pp. 26-33;

questa carica era di preferenza affidata a un letterato.


81 Cf. EUSEBIO, H i s t . e c c l . , VI, 21, 3-4 (Julia Mammaea è la madre
dell’imperatore Severo Alessandro); sulla ulteriore corrispondenza
indirizzata da Origene all’imperatore Filippo e alPimperatrice
Otacilia Severa, cf. i b i d . , VI, 36,3.
265

L oca pa rallela

Questo Indice non raccoglie tutti i testi citati nel


Commento, ma soltanto quelli che presentano punti di
contatto precisi, di ordine letterario ο dottrinale, con
YA Diogneto e che possono servire a chiarire sia i meto­
di di redazione seguiti dall’autore, sia l’ambiente di ori­
gine e la data del nostro scritto. Per completare i nostri
rilievi, volontariamente limitati ai casi più probanti, il
lettore potrà essere interessato a far riferimento ai diver­
si studi citati nel Commento e ai quali rinviamo qui
facendo menzione del nome dei loro autori.

A u t o r i c it a t i A D iogneto C o m m en to 1
cap. e § p.

I. ANTICO TESTAMENTO
(SETTANTA)
Genesi
1,26-30 10,2
2 ,8 -9 12,3
3 ,2 3 12,1
3 ,7 12,3
Esodo
20,1 1 3 ,4
Deuteronomio
4 ,2 8 2 ,2
I Re (I Samuele)
15,22 3 ,4
Giobbe
2 6 ,1 0 7 ,2
38, 8-11 '7,2

1 Quando non si fa nessun rinvio al Commento, il lettore è pregato


di far riferimento alle note che accompagnano la traduzione del
passo in questione.
266 IN DICE

Salmi (n. dei LXX)


2; 7 11,5
49, 8-14 3 ,4 108
84; 3 9 ,3
103,9 7 ,2
113B, 4-8 2 ,5
145,6 3 ,4
Proverbi
8,27-29 7 ,2
2 2 ,2 8 11,5
Sapienza
7 ,2 6 9 ,6
9,1 5 6 ,8 136
13,2 8 ,2 180
13,10 s. 2 ,2 105
13,11 d 2 ,2
13,16 2 ,2
15,7 2 ,2
15,15 2 ,5
Ecclesiastico (Sir)
2 4 ,8 7 ,2
Gioele
2 ,3 12,1
Abacuc
2,18 -1 9 2 ,3
Malachia
3 ,2 7 ,6
Isaia
9 ,5 9 ,6 189-
44,9-20 2 ,2
5 3 ,4 9 ,2
53,1 1 9 ,2
6 3 ,9 7 ,2 193
Geremia
10,3-5 2,2-3
Baruc
4 ,8 9 ,6 189
LOCA PARALLELA 267

Lettera di Geremia (Baruc, 6)


7 s. 2 ,3
11 2 ,2
17 2 ,2 ; 2 ,7
19 2 ,2
44 s. 2 ,3
56 2 ,2
58 2 ,2
’i
1,24 7 ,2
13,3 4 ,1

II. NUOVO TESTAMENTO

Matteo
3 ,1 7 8,11
5,13-16 5-6 144
5 ,4 4 6 ,6
6 ,31 9 ,6
17,5 8 ,1 1
19,17 8 ,8
2 0 ,2 8 9 ,2
2 1 ,3 7 7 ,4
Marco
10,18 8 ,8
10,45 9 ,2
Luca
1,3 1,1 91
6 ,9 4 ,3
6 ,2 7 6, 6
10,22 8 ,3
12,29 9 ,6
13,14-16 4 ,3
14,3-5 4 ,3
18,19 8 ,8
268 INDICE

Giovanni
I ,1 ; 14 8 ,1 188
1, 18 8 .3
3 .3 2 ,1 104
3 ,5 9 .1
3 .1 6 10,2
3 .1 7 7 .5
8,12 9 .6 190
1 4,6 7 ,2 ; 9, 6 190
15,18-19 6 ,5
15, 19 6 .3
17,11-16 6 .3
Atti degli Apostoli
1,1 1.1 91
4 .2 4 3 .4
14,15 9 .1
17,24-25 3 .4
17,30 9 .1
Romani
1,21-26 9, l s . 203
2 .4 8 ,7 ; 9 ,2
3 .9 9, l s .
3 ,1 9 9, l s .
3 .2 5 9, l s .
3,25 -2 6 8 ,5 -6 ; 9 ,1 203-204
4, 18 12.6
5.12-13 10.1 205
5,17-1 9 9 .5
7 .1 0 12.5
8.12-13 5 ,8
8,32 8 ,1 1 ; 9 ,2
9,21 2 ,3
9, 22-24 10,1 205
I I ,3 3 9 .5
12,1 2 ,8 -9 109
13,1 5 ,1 0
LOCA PARALLELA 269

I Corinti
2 ,9 12,1
4,1 7,1
4,10 5,14 126
4,12-13 5,14-15 126
8,1 12,5 233
9,17 7,1
14,2 10,7
15,27 7,2
15,50 6,8
II Corinti
5,1 6,8 136
6, 9-10 5,11-13; 5, 16 126; 134
6,13 5,14 126
6,18 7,2
10,1 7,4
10,3 5,8
11,2-3 12,8
Galati
1,12 4,6; 7,1
3,22-25 9, l s. 203-204
4,4 9,2 201
4,4-5 8,11
4,10 4,5
5,17 6,5
6,2 10,6
Efesini
2,19 5,5
3,8 9,5
3,9 7,1; 8,11
4,22-24 2,1 104
5,1 10,4
6,9 10,7
Filippesi
2, 15-16 5-6 146
3,20 5,4; 5,9
Colossesi
2,23 4,1
3,10 2,1
270 IN DICE

I Timoteo
2,6 9, 2
3, 16 11,3
II Timote ?
2, 20 2,3
Tito
3, 1 5, 10
3,3 9,1
3 ,4 9,2
Ebrei
11,10 7, 2 ; 8,7 189
11, 13-16 5, 5
13,14 5,9
Cf. ROASl
Giacomo
3,15 7,1
5, 20 9,3
I Pietro
1,23 11,2
2, 5 2, 8-9 109
2,13 5, 10
3, 18 5 , 12; 9, 2 126
4, 8 9,3
II Pietro
1,13 6 ,8 136
2,11 5 ,5
i
1,1 11,4
1,5 9, 6 190
2 , 13-14 11,4
3,13 6,5
4, 19 10,3
5, 20 9, 6 195
Apocalisse
1,8 7 ,2
3, 7 7, 2; 9,2 186
5 , 12-13 9, 6 190
7,12 9, 6
LOCA PARALLELA 271

I I I . L E T T E R A T U R A G IU D A IC A
(N O N -C A N O N IC A )

Apocalisse di Baruc
14; 18-19 1 0 ,2 206
Assunzione di Mosè

1 ,1 2 5 -6 159
IV Esdra
6 ,5 5 ; 5 9 1 0 ,2 206
Salmi di Salomone
1 4 ,1 -2 1 2 ,1 231
Testamento di Levi
3 ,6 2 ,8 - 9 119
G iu s ep p e , Cantra Apionem
1 ,3 4 l,l c 9 8 -9 9
2 , 7 ; 14; 3 6 1, i c 98 -9 9
F il o n e , De Abraham
98 5 -6
De confus. lirig.
7 7 -7 8 5 ,9 132
De decal.
5 2 -5 5 8 ,2 180
De mut. nom.
3 (15) 7 ,2 181
De opif. mundi
5 3 ; 69 6 ,1 180
De spec. legibus
1 ,9 7 5 -6 149
II, 167 5 -6
272 INDICE

IV. PADRI APOSTOLICI

Ps.-Baenaba, Lettera
5 ,7 ; 7 ,5 9, ls. 200
C lemente di Roma, I Clem.
3 0 ,8 7 ,4 .
3 3 ,3 7 ,2
3 3 ,4 10,2
4 9 ,5 9 ,3
5 9 ,4 9 ,6 190
I gnazio d’Antiochia, Efesini
1,1 10,4 209
7 ,2 9 ,6 190
Trallesi
1 ,2 10,4 209
Martirio di Policarpo
2 ,2 - 3 ;ll,2 10,7-8 213
14,1 8 ,9 ; 11 198
Pastore di ERMA
Mand., 1 4 ,4 ,2 10,2 206
Sim., 1, 1 5 ,5
Vis.. 1,17; 2 ,4 5-6 158

V. A P O L O G O D E L II SEC O LO

A ris tid e , Apologia


1,3 10,2 206
2 1, l h;5 , l s . 129
2 ,1 1 ,2 103
3 ,2 2 ,7 ; 5 ,2 -4 105; 130
4-6 8 ,2 180
13,1-2 2 ,2 s. 105
13,4 2, 8-10 108
14 1, l b; 3 ,1 s. 109 ss.
15,1 1, l h; 5 ,1 s. 130
1 5,4 5 ,6 -7 147
15,5 5 ,7 147
1 5 ,6 6 ,5 ; 10-12 95; 147
16,1 s. 6 ,7 147
17,6-8 10-12 95
C f. Robinson (p. 121, n. 8 ), Seeberg (ibid.), Meecham , op. cit.,
p. 2 9 ; 59-61.
LOCA PARALLELA 273

A ten a g o ra , Supplica
6 6 ,7 135
10 9 ,6 190
13 2 ,8 - 1 0 108
15 2 ,2 104
16 8 ,2 180
17 2 , 2 s. 104
22 8 ,2 180 ss.
24 9 ,6 190
26 1 1 ,3 -4 105; 107
27 2 ,8 - 1 0 108
32 1, le 100
35 5 ,6 131
37 6 153
Cf. O gara (p. 4 3 ).
G iustino , I Apologia
9 .1 - 3 2 , 2 s. 105; 106
9 ,5 2 ,7 105
1 0 .1 1 0 ,4 s. 209
1 2 .1 - 4 5 ,1 0 141
1 3 .1 - 2 2 ,8 - 1 0 108
1 8 .1 - 2 1 0 ,7 - 8 95; 213
2 7 .1 5 ,6 131
2 8 .2 6 151
3 1 ,5 -6 5 ,1 7
4 4 ,1 3 10-12 94
4 5 .1 6 151
5 3 .1 2 ,1 1 104
5 5 ,8 10-12 94
5 6 .3 - 4 10-12 94
6 8 , 1-2 1 0 ,7 -8
II Apologia
2 .2 1 0 ,7 -8 213
4 .2 1 0 ,4 s. 209
5 .2 1 0 ,2 206
7 .1 6 150
8 ,4 1 0 ,7 - 8 213
1 2 .1 1, l d 99
1 5 .4 -5 10-12 94
274 INDICE

Dialogo con Trifone


4 ,1 8, l s . 182
3 9 ,2 6 151
4 1 ,1 1 0 ,2 206
8 8 ,8 1 1 ,5 228
1 0 0 ,5 1 2 ,8 235
1 1 0 ,4 7 ,7 - 9 199

Cf. O tt o (p. 45.· tesi2, p. 9 -4 1 ), M eec h a m , pp. 61 -6 2 .

Kerygma Petrou v. Predicazione di Pietro.


M e l it o n e di Sardi, Apologia, framm. Otto 222
1,3 6 153
II 2 , 2 s. 104
Eklogai 1,1 222

Cf. B o n n er (p. 2 2 2 , n . 5 2 ), M eec h a m , pp. 6 6 -6 8


M in u cio F e l ic e , Octavius

3 ,1 2 , 2 s. 104
8, l s . 1 ,1 ' 99
8 ,4 7 ,2 - 4 180
9 ,2 1 ,1 * 100
1 0 ,2 l ,l b 98
1 2 ,5 1 ,1 ' 98
2 3 , 9 s. 2 , 2 s. 104

Predicazione di Pietro, framm. Dobschiitz


II 2, 8 -1 0 ; 10-12 95
III 2 , 2 s.; 10-12 96 ; 1 0 5 -1 0 7 ; 109
IV 1, lb; 3 , 1 ; 10-12 95 ; 100; 110
V 1, l h, 5 , 1 s.; 9,
1 s.; 10-12 95 ; 129; 2 0 0
VI-VII 10-12 95
LOCA PARALLELA 275

Cf. R obinson (p. 120, n. 8), Reagan (p. 2 4 6 , n.12), M eech a m ,


pp. 5 8 -5 9
TAZIANO, Oratio ad Graecos
4 2 , 2 s. 105
12 6 ,1 149
30 2 ,1 104

T er tu llia n o , Ad Nationes

I, 1; 8; 9 5 -6 154
1 , 12 2 , 2 s. 105
Ad Scapulam
2 2 , 8; 5 , 1 0 109; 144; 159
Adv. Marcionem
Π, 4 1 2 ,8 244
Apologeticum
1 ,1 ; 8 6 ,2 154
1 2 ,2 2 , 2 s. 105
2 9 ,2 ; 4 2 , 2 s. 105
2 9 ,5 6 154
3 0 ,1 ; 5 6 154
3 0 ,6 2 , 8-1 0 109
3 2 ,1 6 155
3 7 ,4 6 ,2 154
3 7 ,6 5 155
3 9 ,2 5 -6 155
3 9 ,7 ; 16 1 ,1 8 100
4 0 ,1 ; 13; 15 6 154
4 1 ,3 5 -6 155
4 2 , 1-3 5 155
45 5 ,1 0 141
5 0 ,1 3 7 ,7 - 9 128; 199
De carne Christi
14 7 ,2 194
17 1 2 ,8 235
De idololatria
3 2 , 2 s. 105
276 INDICE

Cf. L ipsius (p. 154, n. 9 7 ), D ra eseke (ibid.).


TEOFILO d’Antiochia, Ad Autolycum

1,1 2 ,2 s. 105
1,2 1,1·; 2 ,1 98; 104
1,6 10,2 206
1,7 9 ,6 190
1 ,10 2 ,5 106
1 ,14 10-12 95; 213
II, 14 5-6 150
11,2 2 ,2 s. 105
11,25 12,1 231
II, 27 1 0 ,6 212
II, 35 2 ,2 s. 106
Π, 38 10-12 95
ΠΙ, 1 1,1 91
III, 15 5 ,6 131
III, 30 10-12 95
Cf. O gara (p. 43)

V I. A L T R I A U T O R I E C C L E S I A S T I C I P R E -N I C E N I

Acta Pauli
Passio, 9 I, i a 98
Acta Petri
20 11,4
Acta Pbilippi
132 9 ,6 191
Acta Thomae
27 9 ,6 191
Apocalisse d’Elia
p. 68 Steindorff 7 ,2 195
ARNOBIO, Adversus nationes
1 ,39 2 ,2 s. 105
111,35 8 ,2 180
VI, 8-21 2 ,2 s. 105
VII, 3; 4; 17 2, 8-10 109
LOCA PARALLELA

CLEMENTE d’Alessandria, Protrettico


1 ,1 0 ,2 2 ,1 104
4 ,4 6 ,3 -4 7 ,1 2 ,3 -4 ; 2 ,7 105
4,50-52 2 ,2 s. 105
4 ,5 1 ,2 2 ,8 -9 110
5,64-65 8 ,2 180-181
9, 8 2 ,2 9 ,2
10, 97 ,3 2 ,2 s. 105
1 0,108,4-5 5 ,1 0 141
11,115 ,1 -5 ; 116,1; 10,1-7 211
1 1 7 ,1 ,1 2 ,1 1 8 ,4 10, 1-7 211
0
3 ,8 ,1 5 ,5

1 ,13,1 4 ,3
111,5 6 ,1 170

Quis dives salvetur


36.1-3 5-6 157
Cf. A lfonsi (p. 44), Meecham pp. 62-64.
P s.-C lem ente di Roma, II Cletn.

1 ,4 9 ,6 189
14.2-3 5-6

CIPRIANO di Cartagine, Ad Oemetrianum 240


1-2 1,1 91
14 2 ,7 105
Ps. -G iustino , Cohortatio ad Graecos

1 1,2 103
4 8 ,2 181
35 10,7-8 213
Cf. BlRKS (p. 218, n. 39).
278 IN DICE

Ip po l it o di Roma, De Antichristo
1 1,1 91
2 1,2 103
8 11,5 227
67 12,9 236
Bened. Jacob
26 11,5 226

In Daniel.
111,2,3 12,9
III, 2 4 ,7 -8 5-6 156
IV, 5 ,4 5-6 155
IV, 12,2 5-6 156
Contra Noetum
4; 14 11,5 227
Philosophoumena
V, 10,2 9 ,6 191
X , 33 8 ,1 a. 182
X , 34 7 ,2 ; 8, 2; 10,2-7 212

Cf. Q akry , C o n n o l l y (p. 2 2 0 , n. 2 )


I e e n e o di Lione, Adv. Haereses (ed. Harvey) 259
1 ,1 ,1 9 ,6 191
1,1,11 5-6 157
1 , 19,1 9 ,6 191
in, i l , i l ■ 6 ,2
ΙΠ, 3 2 ,1 12,8 235
IV, 3 6 ,6 8 ,6
IV, 59 7 ,4
IV, 60 ,1 7 ,4
IV, 61 ,1 9, l s . 202
IV, 64 ,3 7 ,4
V .1 ,1 7 ,4
V, 3 ,1 5-6 202
V, 10, 1 12,1 231
V, 20, 2 12,1 231
Predicazione apostolica
1 1 ,2 103
31 9 ,1 231
99 12,1
LOCA PARALLELA

Cf. C o n n o l l y (p. 2 5 8 , n. 66)

LATTANZIO, Divinae institutiones


Π, 2,21-23 2 ,2 s. 105
II, 5 8 ,2 180
V ,3 ,1 1 7 ,7 -9 199
VI, 23 ,2 1 5 ,1 0 141
V II, 5 ,3 10,2 206
P s.-M e l it o n e , Oratio
2 8 ,2 180
11 2, 2 s. 105
M et o d io d ’Olim po, Symposion
8 ,9 11,5 227
ORIGENE, Contra Celsum
11,2 1, i f;4 , i
V II, 41 1, l f; 4 ,1
V ili, 70 5-6 160
V ili, 73 5-6 161
V ili, 74-75 5-6 162
V. anche § V ili, s. v. Celso.
Hom. in Num.
2 3 ,2 3 ,4
2 3 ,5 1, i f; 4 ,1
2 6 ,3 7 ,2 195
Comm. ser. in Matth.
37 5-6 163
Fragm. in Matth.
90-91 5-6 163
Comm. in Joh.
VI, 59 (38) 5-6 164
X X X II, 30-31 9 ,6
De principiis
Π, 1,3 6 ,1 171

VALENTINO, in Ireneo, Adv. haer.


1 ,1 ,1 9 ,6 191
280 IN DICE

V I I. A U T O R I E C C L E S I A S T I C I
P O S T E R I O R I A L L A P A C E D E L L A C H IE S A

Atti di sant’Eustrazio e compagni


27 5 ,6 122
A m brogio di Milano, Expos. Ps. 118
12 12,4 231
A ntipa tro di Bostra 244
Fr. P G 96,533 D 8 ,6
Hom. in Incam.
10 1 2 ,8
ATANASIO d’Alessandria, Contra gentes
1 ,12-15 2 ,2 105; 107
1,27-29 8 ,2 180
AGOSTINO d’Ippona, De catech. rudibus
4 ,7 7 ,9 1%
Enarr. in Psalmos
4 1 ,6 1,1* 98
127,10 1,1* 98
Epistulae
8 ,1 -6 101; 201
102,2 (8-15)
138,2 (15) 5 ,1 0 140
Sermones
26 7 ,4 (4) 6 ,1 171
Denis 2 ,4 1,1». 98
Ps.-CLEMENTE di Roma, Hom. Clem.
3 ,1 9 9 ,6 189
Recogn. Clem.
V, 15 2 ,2 s. 105
EUSEBIO di Cesarea, Demonstr. evang.
1,8 5-6 165
FlRMICO Materno, De errore prof. rei.
1-4 8 ,2 180
G regorio di Nazianzo, Orat.
14,26-27 10,6 212
4 5 ,8 12,1 232
GIOVANNI Crisostomo, Demonstr. I,if 93; 100; 255
In Matth. hom.
6 8 ,3 ; 7 2 ,4 5-6 168
G irolam o , Epist.
6 3 ,2 11,5
LOCA PARALLELA 281

O raco li Sibillini
V, 81-85 2 ,2 s. 105
V ili, 390-391 2, 8-10 109
PRUDENZIO, Contra Symmachum
1 ,297 s. 8 ,2 180
Q uo d vu ltd eu s , De Symbolo
ΙΠ, 3 1,1* 98
R u fin o , Hist. monach.,
Prol. 5-6 168
Serapione di Thmuis, Epist. ad monachos Alex.
3 5-6 168
SlNESIO d i C ire n e , Inni
IX , 11; 29 9 ,6 189
T eo d o r eto di C iro, Graec. affect. cur.
111,6 8 ,2 180
VII, 15 2 ,8 -9 110
IX , 51 s. 5 .6 131
T im o teo d ’A le ssa n d ria (?), Hist. monach.
Prol. 5 ,6 168
V ili. A U TO R I PR O FA N I

A mm iano M arcellino
X X I I , 12,6-8 2 ,8 -9 110
X X V , 4 ,1 7 2 ,8 -9 110
A rio Didim o 10,2 206
A r ist o t ele , Ethic. Nicom.
Π, 7 ,1 1 0 8 a 4 ,1
Frammenti (Rose)
59 10,5 209
Ps.-A r is t o t e l e , De mundo
6 ,3 9 9 b 6,4-7 139
C e l s o , in Origene, Contra Celsum
π ,ι 1, i f 100
Π, 45 1 ,1 * 99
ΠΙ, 1 1, i f 100
IV, 7 1, i h 100; 201
IV, 23 5-6; 10,2 208
VI, 66 1, i a 98
V I, 78 1, i h 100
V ili, 2 1, i c 98
V ili, 54 1, i d 99
282 IN D ICE

C icerone , Repubblica
Π Ι, 2 5 (37) 6 ,4 170
Tusculanes
1 ,3 0 6 ,7
D em o crito , fram m . Diels
187 6 ,8 136
D iodoro di Sicilia
XL, 3 l,l c 98
E pit t e t o , Dialoghi
1 ,6 ,1 9 1 0 ,2 206
IV , 7, 6 l,l d 99
G allian o l,l d 99
E rm ete T rism egisto , Corp. hermet.
1 ,6 9 ,6 191
1 ,9 9 ,6 191
1 ,3 1 2 ,8 - 9 109
V ili, 3 6 ,7
X, 7 6 ,1 137
X I , 4-5 6 ,1 137
Χ Η Ι ,Ι 1 0 ,7
xm ,2i 2 , 8 -9 109
X V I, 12 9 ,6 191
Asclepius
16-17 6 ,1 136
G iustiniano , C o & e
1 ,1 ,2 7 , l e 3 9 ,5 197
LUCIANO, Peregrinus
l l s .; 13 1, i d 99
M arco -A u r e lio , Pensieri
1 ,6 1 ,1 245
X I, 3 I ,i d 99
M assimo di T iro, Diss.
XI 5 ,6 157
FlLOLAO, framm. Diels
15 6 ,7 135
P l a t o n e , Apoi.
29 a 6 ,1 0 141
Leges
X , 898 e 6 ,2 136
Phaedo
62 b 6 ,7 135
LOCA PARALLELA 283

P s.-PLATONE, Axiochos
365 e 6 ,7 135
366 a 6 ,8 136
P o rfirio , De abstinentia
Π, 45 12, 8-9 109
framm. in Agostino, Ep., 102,2 1, i h 100
Se n e c a , Ep. ad Lucilium
65 ,2 4 6 ,1 138
Natur. quaest.
I, pr., 13 6 ,1 138
I n d ic e d e i s o g g e t t i

Agapè e Èros: 208 ss., Barlaam e Joasaph: 25,121


Agiografia bizantina: 25-28, Biblico (stile): 101, 125, 197,
243 202-205,209,231,234 ss.
άλαζονεία: 61 Binitarisme: 183
A lbero della scienza: 230-231 BOSSUET: 40
A l fo n si (L .): 9 4 , 1 8 2 , 261 B u n sen (C . C . J.): 32, 114,
A m br o g io l’apologeta: 2 2 0 , 217
261
A nastasio il Sinaita : 19 C alu nn ie c o n tro i cristiani:
A n d riessen (P .): 3 6 , 4 1 , 80, 1 01,129,133, 180
1 2 5 , 1 7 6 -1 7 7 , 2 1 9 , 2 2 2 , C o it e r il (J. M.): 243
2 3 2 ,2 5 3 ss.
D eificazione del cristiano:
A n dronico C am ateros : 18
210,212
A n g e lo (il C ris to co m e - ) :
δεισιδαιμονία: 53
1 9 4 -1 9 6
α ν τα λ λ α γ ή : 1 9 7 ,2 4 5
Demiurgo: 188-189
D iogneto : 250 ss., 263
Antisem itism o: 9 9 -1 0 0 , 1 ΙΟ­
Ι 14, 130
D onaldson : 1 1 4 ,1 7 9 ,1 8 7 ,
Antitesi: 126
197,242
Antropocentrism o: 158 ss., D uns Scoto : 167
206-207
ειρωνεία: 60
Apocalisse d’Elia: 195,256 έπίγνωοις: 222,224
Apologetica, antica: 92-95,
Eucaristia: 131
97-103
E utimio Zigabenos: 18
- bizantina 16-22,25-30,243
Èva e Maria: 84,235-236
- contemporanea 119, 174,
213; i suoi pericoli 105, F unk : 32
114-117,152-157,181
Apostolato: 95,144 G e f f c k e n : 8 9 , 1 0 8 , 125,
Arcano: 119 127,246
Aristotelismo: 6 1 ,1 3 6 ,1 3 9 Ghetto: 128 ss.
A tti d i San E ustrazio: 2 7 , G iudaism o: 11 0 -1 1 4 , 129,
121-123 146, 149, 151, 159, 169,
Atti di San Filippo: 2 9 ,121 219,221
Atti di Santa Caterina: 26,121 Γνωοις: 2 2 4 ,2 3 0 ss.
286 Indice dei soggetti

G orgiane (figure): 106,222 MASSIMO il Confessore: 116,


G u illau m o n t (A.): 148,195 171
M eec h a m (H. G.): 142, 217,
H arm er (J. R.): 35,273 221
H a r n a c k : 6, 8, 2 3 -2 6 , 30, M ercati (G.): 4 ,2 1 ,3 0
8 9 ,1 0 8 ,1 1 4 ,1 2 7 ,1 4 1 Mistero cristiano: 118-119,
1 4 8 ,2 1 3 ,2 3 1 ,2 3 5
Idolatria 104-107
MonacheSimo: 158 s., 165 s.
Idolotiti: 130 s.
Morale cristiana: 138 ss.
Imitazione di Dio: 209,230
Immanenza e trascendenza: N autin (P.): 186,227,233
131-133 NlCETA Acominatos: 18
Inferno: 213-214 Νους: 190-191
Islam: 152 N ovità del cristian esim o :
10 0 ,1 2 9 ,2 0 0
J o urn et (Ch.): 169,17 3 ,2 0 4
Omnia propter electos·. 167-169
K arpathios : 216,239
O ttim ism o e pessim ism o:
K ayser (A.): 40, 73, 113-114,
201-202
179
OVERBECK: 17 8 ,2 4 4 ,2 4 6
K ih n (H.): 177 ,2 1 6 ,2 2 0
K oin é dottrinale: 137, 190 «Padre» applicato al Figlio:
ss., 194,230 189-191
κόσμος: 129,162 Παΐς, Υίός: 184-185,226,228
κράτιστος: 251 ss., 253 s. Παντοχτίοτης: 66
KRUMBACHER: 19 πάροιχος: 6 3,132
Patriottismo: 131-133, 140,
L achm ann : 3 2 ,3 7 ,7 5 ,1 9 7
162
Lettera o discorso?: 90-92
P ellegrino (Μ.): 94,180,208
L u c e d el m o n d o : 143, 145,
P ersecu zio n i: 130-131, 134,
157,190
164
λύτρον: 197
Platonismo: 135-137
M acrocosm o, microcosmo: πολιτεία: 6 3 ,1 4 0
134 ss. Predicazione di Pietro·. 93, 95,
Marcionismo: 115-116 105-106, HO, 120, 129,
M artiri: 162, 199, 213-214, 1 4 7 ,2 4 2 ,2 5 6
223 ss. Protrettico: 94,105,205-206,
M assimo (l’astrologo): 14-15 222
Indice dei soggetti 287

Religiosità: 104,108-110 στοιχεία: 180


Renan : 4 1 -42,1 3 3 ,1 4 0 STOJKOVIC: 5
Retorica: 96, 105-107, 116, Storia (della teologia): 152,
123-126, 128-129, 214, 154 ss.
221 ss. Suicidio: 141,173 ss.,
συνέχω: 139,142,171,
Sacerdote dei cristiani: 143 ss.,
148 ss., 1 5 2 -1 5 4 , 156- Teodicea: 200,202-203
158,161,166-168 T eo d o ro Skutariotès: 20
Sacrificio cruento: 108-110, θ εό ς in senso in d eb o lito :
240-241 214-215
Sale della terra: 143 ss., 148 ss., Teosofio di Tubinga: 10,27
160-161 T o m m a s o d ’A quino: 167,
Sibilla Eritrea: 10 173
Simeone Metafraste: 26 T rattato su l m artirio d ei
Spirito (Santo): 183,228 santi: 4 ,3 0
Stoicismo; 137 ss., 142, 149, τροφεύς: 188,193
158-159, 180 ss., 206 ss.,
209 Universalismo cristiano: 130
I NDI CE

P r e fa zio n e a l l ’ed izio n e italiana

IN T R O D U Z IO N E
1 I I m a n o s c r it t o d i S t r a s b u r g o ............................p. 3
2 N a t u r a d e l m a n o s c r it t o f .................................... p. 8
3 O r ig in e d e l m a n o s c r it t o f ................................... p. 16
4 A l l a r ic e r c a d e l l ’ a r c h e t i p o .............................. p. 23
5 L o s t a t o d e l t e s t o ......................................................p. 3 0
6 L e e d i z i o n i ..........................................................................p. 32
7 L a p r e s e n t e e d i z i o n e .................................................p. 37
8 L e t r a d u z io n i .................................................................. p. 39

B iblio g rafia ....................................................................................p. 43

A bbreviazioni ................................................................................. p. 4 6

T E S T O G R E C O E T R A D U Z IO N E

A D io g n e t o ..............................................................................p. 5 2
L e domande di D iogneto ................................................p. 53
Preparazione spirituale ................................................... p. 53
C ontro l’idolatria ...............................................................p. 55
C ontro i sacrifici c r u e n ti.................................................p. 57
C ontro i sacrifici dei giudei ...........................................p. 57
C ontro il ritualismo g iu d a ico ........................................ p. 61
Il mistero cristiano ............................................................p. 63
L ’anima del m o n d o ...........................................................p. 65
Il cristianesimo com e rivelazione.................................p. 67
Il V erbo sa lv a to re .............................................................. p. 67
L a prova data dai m artiri .............................................. p. 69
Im potenza della filosofia ............................................... p. 71
290 INDICE

L ’econom ia della salvezza ........................;................... p. 71


P erch é così tardi? .................................................. .......... p. 73
M istero della redenzione .............................................. p. 75
Richiamo alla conversione .............................. ............. p. 77
A ntropocentrism o cosm ico ......................................... p. 7 7
Dialettica della carità ......................................................p. 77
Ricapitolazione .................................................................. p. 79
L a rivelazione del V erbo ................................................p. 81
L a vita della Chiesa ..........................................................p. 81
L a vera gnosi ....................................................................... p. 83
Esortazione fin a le ...............................................................p. 85

CO M M EN TO

I n tr o d u z io n e .................... ..................................................... p. 89
Il titolo .................................................................................... p. 90
Caratteri g e n e ra li................................................................ p. 92
Contenuto e p i a n o ............................................................. p. 95
C a p . 1. A po lo gia - C ontro i pagani e i giudei
(C a pp . I - I V ) ........................................................................... p. 97
L e domande di D iogneto ( 1 , 1) .................................... p. 97
Preparazione spirituale (1 ,2 -II, 1) ..............................p. 103
C ontro l’idolatria (II, 1-7) .............................................. p. 104
C ontro i sacrifici (II, 8-10) .............................................p. 108
C ontro i sacrifici dei giudei (III, 1 - 5 ) ......................... p. 110
C ontro il ritualismo giudaico (IV , 1-5) ..................... p . 112
Goffaggine dell’apologetica ...........................................p. 114
C a p . 2 . 1 cristiani n e l m ondo (C a pp . V -V I).............p. 118
Il m istero cristiano (V, 1-6) ............................................p. 118
Tradizione letteraria ..........................................................p. 120
Q ualità dello s tile ................................................................p. 123
Ricchezza del pensiero .....................................................p. 127
Situazione dei cristian i......................................................p. 128
L ’anima del m ondo ........................................................... p. 134
D ottrina tradizionale ........................................................ p. 143
Il N uovo T e sta m e n to ........................................................ p. 143
Paralleli negli Apologisti .................................................p. 147
INDICE 291

Clem ente e O r ig e n e ...........................................................p. 156


Persistenza della tra d iz io n e ............................................p. 164
Originalità dellM Diogneto ............................................p. 169
C a p . 3. I n iziazio n e a lla f e d e cristiana
(C a pp . V I I -I X )...................................................................... p. 175
L a lacuna di V ili, 6-7 ....................................................... p. 175
Il cristianesimo com e riv elazio n e.................................p. 179
Teologia: il P adre e il Figlio .......................................... p. 183
N é modalismo né subordinazionismo .......................p. 186
L ’econom ia della salvezza .............................................. p. 196
P erch é così tardi? (X , 1-6) ............................................. p. 199
C a p . 4. L ’eso rtazion e fin a le (C a pp . X e X I-X II )..p . 205
Dialettica della conversione (X , 1-4) ......................... p. 205
Antropocentrism o cosm ico (X , 2) .............................. p. 2 0 6
L ’«agape» cristiana (X , 2-7 ) ...........................................p. 2 0 8
L ’inferno e il m artirio (X , 7 -8) ......................................p. 213
L a lacuna tra X , 8 e X I , 1 ................................................p. 2 1 4
L ’autenticità dei capitoli Χ Ι - Χ Π ..................................p. 2 1 6
Amplificazione dell’e so rta z io n e ................................... p. 223
Complementi alla teologia del V erbo (X I, 2 - 5 ) ..... p. 225
L a vita della Chiesa (X I, 5 -8 ) ........................................ p. 228
U n a gnosi ortodossa (X II, 1-7) .................................... p. 230
L ’esortazione finale (Χ Π , 8 - 9 ) .......................................p. 234
C a p . 5 . L a data e l ’a u t o r e .......... ................................... p. 2 3 7
Term inus a quo: 1 2 0 ..........................................................p. 2 4 0
Term inus ad quem : al massimo 3 1 0 ............................p. 2 4 2
L ’A Diogneto può essere del II secolo .................... p. 2 4 5
Terminus ad quem: Clem ente d ’A lessan dria.......... p. 2 4 7
Chi è «Sua Eccellenza D iogneto»? ............................. p. 2 5 0
D ata probabile: in tom o al 2 0 0 ......................................p. 2 5 5
Più vicino a Clem ente che a Ip p o lito ......................... p. 2 5 9
Scritto ad Alessandria verso il 1 9 0 - 2 0 0 ..................... p. 2 6 0
L ’autore: Panteno? ............................................................ p. 2 6 1
Il p rocu ratore Claudio Diogneto .......... ......................p. 2 6 3

L o ca p a r a l l e l a ............................................................................ p. 265

I n d ice d ei so g g et ti .....................................................................p. 285

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