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L’uso

della vena femoro-poplitea nel trattamento delle protesi


vascolari infette: Trattamento di un pseudoaneurisma femorale rotto
in paziente in shock emorragico

Cinà C S, MD, FRCSC

Introduzione
Le infezioni delle protesi vascolari sintetiche, sia in Dacron sia in PTFE, sono rare 0.6%-5%, ma rappresentano una
complicanza devastante delle rivascolarizzazioni degli arti inferiori perché, se trattate in modo conservativo,
hanno una mortalità del 25%-88% e un rischio di perdita d’arti del 5%-25% (1). Dal momento che le protesi
sintetiche infette non consento la guarigione delle ferite e si associano a rottura dell’anastomosi, il trattamento
chirurgico tradizionale si basa sulla completa rimozione della protesi e la rivascolarizzazione degli arti inferiori
utilizzando bypass extra-anatomici. La strategia consente di evitare il posizionamento di una nuova protesi
sintetica nell’alveo infetto (2,3). Quest’approccio non è sempre applicabile per la mancanza di aree extra-
anatomiche dove fare passare la nuova protesi e, quando eseguibile, richiede interventi complessi, spesso in due
tempi, che hanno dimostrato risultati deludenti: elevata mortalità (fino al 27%), bassa pervietà a lungo termine
(40% -73% a 5 anni), alti tassi di amputazione (fino al 24%), e rischio di esplosione del moncone aortico o
arterioso dove la protesi infetta era inserita (2% -30%) (4, 5, 6).

Le protesi ideali per ricostruire il sistema arterioso sono quelle biologiche autologhe che, anche in queste
situazioni, hanno dimostrato la loro superiorità rispetto ad altre possibili soluzioni. Negli ultimi 18 anni, abbiamo
utilizzato le vene profonde degli arti inferiori in pazienti con infezioni protesiche aorto-ilio-femorali con una
strategia di rimozione completa delle protesi infette e ricostruzione in situ. Riportiamo un caso clinico di un
pseudoaneurisma femorale rotto secondario ad un’infezione di una protesi ileofemorale e i risultati della nostra
esperienza.

Caso clinico
Un uomo di 72 anni è stato ricoverato presso il Policlinico Morgagni in terapia intensiva a causa di una severa
insufficienza respiratoria. Nell’anamnesi troviamo che il paziente era iperteso, ipercolesterolemico, e diabetico.
In altri istituti, aveva subito diversi interventi di chirurgia vascolare. Nel 2008 era stato sottoposto a riparazione
di un aneurisma toracoaddominale descritto come tipo III, ma trattato con ricostruzione tipo I di Crawford
(protesi tagliata a becco di flauto dell’anastomosi distale). Questo intervento era stato complicato da
un’ischemia midollare parziale per cui il paziente lamentava ancora difficoltà a camminare e si sottoponeva a
regolari autocateterizzazioni vescicali. Nel 2012 a causa di un pseudoaneurisma dell’anastomosi prossimale della
precedente riparazione, era stato sottoposto all’inserzione di una protesi endovascolare toracica (Gore TAG
45x100). Nel 2015, una tomografia computerizzata con mezzo di contrasto mostrava la presenza di un endoleak
di tipo I, associato ad un aumento del diametro dell’aneurisma toracico. Questo è stato trattato, con l‘inserzione
di uno stent endovascolare (Medtronic 30x100). Nel 2016 a causa della persistenza dell’endoleak tipo I, e di
un’ulteriore dilatazione dell’aneurisma, il paziente è stato sottoposto senza successo, a un tentativo di
embolizzazione della sacca aneurismatica con colla cianoacrilica. A maggio del 2018, l’aneurisma toracico era
cresciuto fino a raggiungere un diametro di 11 cm. In un altro Istituto, sono state inserite due nuove protesi
endovascolari (Medtronic Valiant 38x15 e Valiant 42x15) per via transfemorale sinistra. Nel corso di quest’ultimo
intervento, a causa di una lesione dell’arteria femorale comune, il chirurgo riporta di avere eseguito
un’angioplastica dell’arteria femorale con patch bovino e un bypass da questo, all’arteria femorale profonda con
una protesi in PTFE di 6 mm di diametro. A giugno 2018 la ferita era infetta ed è stata sottoposta a debridment
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e trattamento con V.A.C. therapy. Alcuni giorni dopo tuttavia, la ferita ha sanguinato richiedendo trasfusioni e
un’ulteriore esplorazione chirurgica. Il 5 luglio del 2018, a causa di un pseudoaneurisma femorale e
sanguinamento, il paziente è stato trattato d’urgenza introducendo due stent coperti nella precedente protesi
in PTFE ed estesi nell’arteria iliaca esterna. Il 12 luglio, sempre in un’altra istituzione, la ferita femorale è stata
riesplorata chirurgicamente per la presenza di secrezione purulenta ed ematica e un nuovo debridment è stato
eseguito con chiusura della ferita ed apposizione di drenaggi. Dopo rimozione di questi ultimi il paziente era
stato dimesso (Figura 1).

Figura 1. Ricostruzione del sistema iliaco sinistro eseguito in un altro istituto. Bypass Ileo-femorale in PTFE, in azzurro; e stent
coperto, in giallo

A livello dell’incisione femorale, tuttavia, la guarigione della ferita non progrediva fino a completa risoluzione e
il paziente riferiva sin dalla dimissione, un’area da cui fuoriusciva una modesta secrezione siero purulenta. Al
momento del ricovero presso il nostro istituto, il paziente era severamente tachipnico e con respirazione
laboriosa. All’esame fisico era afebbrile, con 25-30 atti respiratori al minuto e ritmo cardiaco sinusale a 90 bpm.
I polsi femorali erano palpabili bilateralmente, ma quelli infra-inguinali erano assenti. Era presente un edema
periferico degli arti inferiori più marcato a sinistra e una cicatrice verticale a livello della regione inguinale sinistra,
con al centro una soluzione di continuità di 8-10 mm di diametro con modesta secrezione siero-purulenta. Gli
esami di laboratorio esibivano una normale conta bianchi 5500 mm³ e una modesta neutrofilia (79%), un normale
equilibrio elettrolitico e una normale funzione renale, la PaO2 era 80 mmHg, CO2 32 mmHg e un pH 7,44.
All’esame radiografico del torace, era presente un edema congestizio, l’elevazione del diaframma di sinistra ed
una grossa massa a livello del campo polmonare inferiore sinistro. Una TAC fatta senza mezzo di contrasto
dimostrava la presenza di un aneurisma dell’aorta toracica distale con un diametro di 11 cm dentro il quale si
riconoscevano diverse protesi endovascolari. All’ecocardiogramma la frazione di eiezione era moderatamente
ridotta (50%) senza asimmetrie ventricolari. In terapia intensiva, con una diagnosi di insufficienza respiratoria
multifattoriale (sovraccarico di fluidi, restrizione parenchimale da compressione da parte dell’aneurisma e
ridotta mobilità diaframmatica) e possibile sepsi cronica, il paziente è stato trattato con diuretici e terapia
antibiotica empirica con piperacillina-tazobactam e teicoplanina. Dopo 10 giorni, il paziente è stato dimesso
dalla terapia intensiva, ed è stata iniziata una terapia antibiotica con Meropenem sulla base dell’antibiogramma
della secrezione inguinale che mostrava la presenza di Proteus Mirabilis. Due giorni dopo il trasferimento in
degenza si è manifestata una severa emorragia a livello della regione inguinale nella sede della fistola (Figura 2).
La compressione manuale ha consentito di arrestare l’emorragia, mentre il paziente veniva trasfuso e trasferito
urgentemente in sala operatoria. Mantenendo compressione manuale nella sede di sanguinamento, l’addome
e le due gambe sono state disinfettate con clorexidina al 3%. Un’incisione obliqua nel quadrante addominale
inferiore sinistro ha consentito un approccio retroperitoneale all’origine dell’arteria iliaca esterna che è stata
controllata con una pinza emostatica, arrestando così l’emorragia. A questo punto un’incisione verticale è stata

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effettuata nella regione inguinale con escissione di un tratto fistoloso. La protesi in PTFE non era incorporata nei
tessuti e l’anastomosi con l’arteria femorale profonda prossimale era parzialmente separata. Prossimalmente la
protesi in PTFE appariva anastomizzata all’arteria iliaca esterna distale e in continuità con l’arteria iliaca esterna
prossimale tramite stent endovascolari coperti (Figura 3). Il controllo del sangue refluo dall’arteria femorale
profonda è stato ottenuto con l’inserzione di un catetere di Fogarty N. 4, mentre l’arteria femorale superficiale
presentava un’occlusione aterosclerotica cronica. Il controllo dell’emostasi ha consentito la rimozione della
protesi e dello stent coperto, che sono stati inviati per esame culturale ed antibiogramma. L’arteria femorale
profonda è stata dissecata fino a livello della seconda branca collaterale e chiusa con una pinza emostatica tipo
bulldog. A questo punto, l’incisione è stata estesa medialmente lungo la coscia e la vena safena è stata esplorata.
Questa si è rivelata di calibro troppo piccolo e abbiamo deciso di prelevare un segmento della vena femoro-
poplitea del sistema venoso profondo (Figura 4). L a vena è stata invertita ed anastomizzata in termino terminale
all’arteria iliaca esterna prossimale e all’arteria femorale profonda (Figura 5).
La protesi venosa è stata poi coperta creando un flap muscolare con il muscolo sartorio (Figura 6); due drenaggi
in silicone sono inseriti nella ferita e questa chiusa a strati con suture in PDS 3-0, mentre la cute è stata suturata
con punti staccati a materassaio verticale in Prolene 3-0.

Figura 2. Immagine della sede dell’incisione e del livello in cui si è manifestata l’emorragia

Figura 3. Disegno schematico della separazione della protesi in PTFE dall’arteria femorale profonda.

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Figura 4. Sistema venoso dell’arto inferiore. In blu scuro il segmento di vena prelevato per la ricostruzione

Figura 5. Ricostruzione della continuità arteriosa con vena femoro-poplitea invertita ed anastomizzata prossimalmente e
distalmente in termino-terminale (A); protesi in PTFE e stent coperto rimossi (B)

A B

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Figura 6. Mioplastica con il muscolo Sartorio. Inserzione prossimale del muscolo sulla spina iliaca anteriore superiore (A);
Rotazione ed ancoraggio del segmento prossimale del muscolo sartorio sui vasi femorali.

L’esame culturale della protesi ha confermato la crescita di Proteus Mirabilis sensibile al Meropenem che è stato
continuato per un periodo di altri 10 giorni. Il decorso postoperatorio è stato senza complicanze con una buona
guarigione delle ferite e una circolazione periferica compatibile con l’occlusione pre-esistente delle arterie
femorali superficiali (Figura 7).

Figura 7. Ferite chirurgiche dopo l’intervento

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Discussione
L’infezione delle protesi vascolari sintetiche utilizzate per le ricostruzioni aorto-ileo-femorali, sono rare, ma
rappresentano una complicanza severa per il paziente e un problema formidabile per il chirurgo che deve
confrontarsi con esse. La premessa fondamentale di qualunque trattamento è la rimozione totale della protesi
infetta, senza la quale nessuna guarigione può essere anticipata e la rottura dell’anastomosi è inevitabile. Le
soluzioni diverse riguardano le modalità di ricostruzione della continuità arteriosa dopo rimozione della protesi:
bypass extra-anatomici con protesi sintetiche, o bypass in situ con protesi sintetiche impregnate con antibiotici
o con argento, allograft crioconservati o vene femoro-poplitee. Il nostro paziente esemplifica come, in presenza
di una ferita inguinale che non guarisce, laddove è stata inserita una protesi vascolare sintetica, il sospetto
d’infezione della protesi deve rimanere sempre molto alto. Le metodiche diagnostiche da utilizzare, includono
l’ecografia e la tomografia assiale computerizzata, che possono mostrare fluido periprotesico (cardine della
diagnosi d’infezione della protesi) e la scintigrafia con leucociti marcati. In presenza di una protesi infetta,
trattamenti limitati con antibiotici, debridment, lavaggi, e V.AC. therapy, sono associati sempre a esiti negativi,
particolarmente se l’infezione è ricorrente e nella stessa sede chirurgica. Il successo della nostra strategia di
trattamento in presenza di un aneurisma femorale rotto secondario ad un’infezione protesica, esemplifica come
la rimozione della protesi e la ricostruzione in situ con vena femoro-poplitea sia una soluzione perfettamente
disponibile anche in estrema urgenza. Negli ultimi 18 anni abbiamo operato nove pazienti con protesi aorto-
ileo-femorali infette e ricostruzioni in vena (Table 1).

Table 1 Esperienza personale nel trattamento di protesi infette aorto-ileo-femorali con la rimozione di queste e la ricostruzione
con vene femoro-poplitee.

Paziente Intervento Età Sopravvivenza, Deceduto Cause di morte Complicanze


anni
1 BABF 76 3 Si Cachessia
2 BABF 72 2 Si Ischemia cardiaca
3 BABF 77 2 Si Cirrosi Fasciotomia

4 BABF 61 4 Si Sconosciuta
5 BIF 70 2 Si Insufficienza renale
6 BABF 69 1 Si Ischemia cardiaca
7 BABF 71 1 Si Ischemia cardiaca
8 BABF 70 3 No Fasciotomia
9 BIF 72 0.3 No
*BABF = Bypass aorto-bifemorale; **BIF= Bypass ileo-femorale;

Tutti i pazienti sono sopravvissuti all’intervento e le ferite chirurgiche sono guarite regolarmente senza
complicanze. Un edema postoperatorio di grado moderato, e facilmente controllabile con un appropriato uso
di calze elastiche, è stato presente in tutti i pazienti. In due di questi, in cui l’intervento si associava a un’ischemia
severa preoperatoria, si è resa necessaria una fasciotomia del compartimento anteriore e laterale di una gamba,
da 24 a 48 ore dopo l’intervento. Nessuno ha subito una ricorrenza dell’infezione o un’amputazione di gamba
durante il follow up. La sopravvivenza media, ad eccezione del caso riportato che non è stato incluso nell’analisi
perché troppo recente, è stata di 2,5±0.8 anni. La curva di Kaplan Meier (Figura 8) mostra che la sopravvivenza
a lungo termine è bassa (20% a 4 anni), riflettendo la severità della malattia vascolare e delle comorbidità che
spesso sono anche un fattore predisponente alle infezioni.

Dal punto di vista della tecnica chirurgica, allo scopo di limitare le complicanze e in particolare l’edema della
gamba, il prelevamento delle vene femoro-poplitee deve seguire il principio di ottenere solamente la lunghezza
minima necessaria a completare la ricostruzione. Inoltre, ove possibile, la vena deve essere prelevata
distalmente alla confluenza della vena femorale profonda (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.)
prossimalmente alle vene genicolate superiori. Quando la ferita inguinale è superficiale o si associa a una
distruzione notevole dei tessuti, noi favoriamo una copertura della protesi, confezionando una mioplastica con
il muscolo sartorio. Questa manovra, previene un’eventuale esposizione ed essiccamento della protesi venosa
e apporta tessuto riccamente vascolarizzato che favorisce la guarigione e potenzialmente riduce il rischio di
infezioni (7).

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I nostri risultati riflettono quelli della letteratura e mettono in discussione il trattamento tradizionale con bypass
extra-anatomici. Una recente meta-analisi (8) mostra che le ricostruzioni con vene femoro-poplitee, sono
associate a una migliore sopravvivenza, una riduzione di reinfezioni, e una superiore pervietà a lungo termine,
non solo rispetto ai bypass extra-anatomici, ma anche all’uso di protesi trattate con antibiotici o con argento.
Queste ultime, in particolare, sono quelle che hanno il più alto rischio di reinfezioni.

Figura 8. Curva di sopravvivenza e 95% Intervallo di confidenza (area ombreggiata) in pazienti con per protesi aorto-femorali
infette, operati con rimozione della protesi e ricostruzione arteriosa utilizzando le vene femoro-poplitee.

Gli allotrapianti crioconservati rappresentano una possibile alternativa alle vene femoro-poplitee, in quando
sono associati a un’incidenza di reinfezioni di poco superiore e a una simile mortalità a lungo termine. Entrambe
queste due ultime tecniche di ricostruzione hanno sopravvivenze superiori a tutte le altre strategie di
trattamento (8). Gli allotrapianti crioconservati, tuttavia, sono delle protesi fragili e richiedono una particolare
attenzione alla tecnica chirurgica d’impianto. Un’alta incidenza di complicanze locali e sistemiche (23%) è stata
riportata con il loro uso. Un ulteriore svantaggio è che essi non sono sempre disponibili nelle urgenze e in
particolare nelle lunghezze e nei diametri necessari (9). Le limitazioni all’uso delle vene femoro-poplitee sono
essenzialmente rappresentate dall’ostruzione della vena secondaria ad episodi pregressi di trombosi venosa
profonda. A tale scopo, nei casi operati elettivamente, è sempre consigliabile eseguire un accurato studio
ultrasonografico per valutarne l’anatomia. Inoltre l’uso delle vene profonde spesso richiede interventi complessi
e prolungati (10). La nostra serie è stata operata da un solo chirurgo, tuttavia un doppio team, uno per il prelievo
della vena ed un altro per la rimozione della protesi e chiusura del moncone arterioso, potrebbe abbreviare i
tempi chirurgici. L’edema, raramente rappresenta un problema significativo a meno che non ci siano fattori
concomitanti: sindrome da ischemia riperfusione, infezioni persistenti, pregressi interventi sulla safena, e
radioterapia.

Noi crediamo che quando ci si confronta con problemi complessi, bisogna sempre tenere in mente tutte le
strategie di trattamento e scegliere quella su misura per un particolare paziente. I bypass extra-anatomici per
esempio potrebbero essere utilizzati quando le vene femoro-poplitee non sono disponibili o in pazienti in età
avanzata, con un’aspettativa di vita breve, in cui la pervietà del bypass a lungo tempo e la ricorrenza delle
infezioni sono di minore importanza (11). Nel caso siano disponibili allotrapianti crioconservati, questi
potrebbero rappresentare un’alternativa per semplificare l’intervento. Tuttavia, bisogna ricordare anche che
nella scelta del trattamento, il tipo e la virulenza dei microrganismi richiedono un'attenta valutazione,
soprattutto in caso d’infezioni da MRSA e batteri gram-negativi (12,13). Gli allotrapianti crioconservati sono
forse più resistenti alle infezioni rispetto agli altri innesti protesici, ma non resistenti come le vene (14).
Sfortunatamente, gli allotrapianti vanno anche incontro a degenerazione nel tempo e formazione di aneurismi o
rottura, probabilmente a causa di una risposta immunitaria (15). Di conseguenza, essi sono meno durevoli
rispetto ad altri innesti protesici (10). Di contro la stabilità tessutale delle protesi autogene in vena, la pervietà
a lungo termine e la resistenza alle infezioni, anche da gram-negativi, come nel caso presentato in questo lavoro,
è ben documentata (16).

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Concludendo, la nostra preferenza, sulla base della letteratura e dei nostri risultati, è quella di utilizzare
preferenzialmente le vene femoro-poplitee per le ricostruzioni dopo rimozione di protesi infette,
particolarmente se si anticipa una aspettativa di vita prolungata e quindi un rischio più elevato di fallimento
dell'innesto a lungo termine.

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