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La nuova oggettività scientifica

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... e la democrazia controllata dalla "fallacia epistemologica"

di Francesco Maimone
1 “… Nella scienza possono dire la loro
solo quelli che per anni hanno sudato sui
libri, hanno sottoposto le loro ipotesi a una
rigorosa procedura di esperimenti e
controlli, possiedono un metodo che
consente di distinguere la verità dalla
bugia …”. E di seguito, “… il nostro intuito
non è sufficiente a stabilire un rapporto di
causa-effetto. Per stabilirlo ci vuole la
scienza, con i suoi numeri, il suo metodo, il
suo rigore e soprattutto la sua statistica…”
[pagg. 2 e 26]. Esplicitata la questione in
tal modo a dir poco riduzionostico, per il
popolo dei “somari” sembra all’apparenza non esservi davvero alcuno scampo. Ma è
proprio così? Il Blog si è già occupato del problema della scienza con riferimento specifico
ai vaccini obbligatori; il presente lavoro deve intendersi un approfondimento anche di quel
post nel tentativo di dare, a beneficio dei lettori, una compiuta coerentizzazione sia dal
punto di vista storico che filologico.

1.1 In generale, bisogna avvertire che il pensiero testualmente sopra riportato non è che un
cascame di quella più generale tendenza del pensiero filosofico degli ultimi secoli di
affrancarsi da ogni discorso ontologico sull’essere , sulla sua specificità e sulle sue
determinazioni categoriali (nel nostro caso, sull’uomo “lavoratore sociale” con i suoi reali
bisogni e che con il lavoro produce e si riproduce):

“… gli ultimi secoli di pensiero filosofico sono stati dominati da gnoseologia, logica e
metodologia e il loro dominio è ben lontano dall’essere sorpassato. La preponderanza della
prima di queste discipline è divenuta talmente forte da far dimenticare all’opinione pubblica
che la missione storica della gnoseologia…consisteva…nel fondare e garantire il diritto alla
egemonia scientifica della scienza naturale sviluppatasi a partire dal Rinascimento, ma di
farlo in termini tali che restasse salvo… lo spazio ideologico che l’ontologia religiosa si era
storicamente conquistato.

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In questo senso storico si può considerare padre della moderna gnoseologia il Cardinal
Bellarmino…Il moderno positivismo al suo apogeo ha dichiarato ANACRONISTICA
ASSURDITÀ NON SCIENTIFICA OGNI DOMANDA INTORNO ALL’ESSERE, addirittura ogni
presa di posizione circa il problema se qualcosa sia o non sia …” [G. LUKÁCS, Prolegomeni
all’ontologia dell’essere sociale, Napoli, 1990, 1].

Domanda che perciò, in nome dell’oggettività, è stata relegata semplicemente nel campo
della “metafisica”.

2 Sappiamo, tuttavia, che qualunque pensiero non nasce come Minerva dalla testa di Zeus,
ma ha carattere storico-sociale, ha le proprie radici “nei rapporti materiali dell'esistenza… e
che l'anatomia della società civile è da cercare nell'economia politica”, come il pensiero
liberista ha ben compreso (qui, p.4). In tal senso:

“… Soltanto la produzione capitalistica ebbe profonde motivazioni economiche e attitudini


sociali per elaborare ai propri scopi in maniera consapevole la scienza particolare nel senso
odierno. Nelle crisi spirituali del periodo di transizione, comunque, fu ancora molto forte il
legame delle scienze con le questioni generale della concezione del mondo. Se non avesse
liquidato quei conflitti, la scienza non sarebbe mai pervenuta all’autonomia necessaria
all’industria. Una volta però ottenuta questa autonomia, quell’iniziale legame con le questioni
della concezione del mondo poté sempre più attenuarsi…

Questa situazione si accentua per l’indissolubile vincolo con alcune tendenze ideologiche
che emergono nel dispiegarsi della società e dell’economia capitalistiche…Non va mai
dimenticato…che la prima grande avanzata, non più reversibile, della scientificità moderna
si situa nel momento in cui la produzione capitalistica comincia a diventar dominante. La
sua classe dirigente, dunque, e per conseguenza gli ideologi di quest’ultima non potevano
essere ancora in grado di imporre un dominio integrale di una ideologia che corrispondesse
al loro essere sociale. Una tale ideologia si dispiega solamente nel secolo XVII … Si trattava
perciò di trovare per intanto forme, infrastruttura, fondazione ecc. per la prassi che, da un
lato si adeguassero agli interessi del capitalismo nascente (scientificità inclusa) e,
dall’altro lato, non suscitassero conflitti irrisolvibili con la monarchia assoluta, con i residui
feudali in essa molto potenti e con l’ideologia cristiana…” [G. LUKÁCS, Prolegomeni, cit., 28-
30].

2.1 Il compromesso venne trovato nella ideologia c.d. “ doppia verità”, ben riassumibile dalle
parole che B. Brecht nel suo dramma su Galileo fa esporre al cardinal Bellarmino:

“Perché non dovremmo adeguarci ai tempi, Barberini? Se l'uso di carte costruite sulle nuove
ipotesi facilita il compito ai nocchieri delle nostre navi, tanto vale adoperarle. Dobbiamo solo
confutare quelle dottrine che contraddicono la Sacra Scrittura” [B. BRECHT, Vita di Galileo].

Dalla rivoluzione scientifica del ‘600 (che segna, è bene ricordarlo, il passaggio dal modo di
produzione agricolo a quello industriale e manifatturiero), con la sua matematizzazione
della realtà, il suo interesse per i meri aspetti formali-quantitativi a discapito di quelli
sostanziali-qualitativi, si dipanerà un percorso che, in coincidenza con l’imporsi del
capitalismo come forma di produzione dominante completamente dispiegata, porterà alla
separazione definitiva della gnoseologia da ogni aspetto ontologico , segnando così quel
predominio a vocazione scientista che la prima conserverà via via fino ai nostri giorni.
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3 Non è possibile in questa sede addentrarsi, se non per cenni, nell’analisi specifica delle
singole correnti di pensiero che hanno sostanziato quel percorso di divorzio a cui si è fatto
riferimento. Ciò che bisogna sottolineare è tuttavia il tratto comune del pensiero filosofico
che corre dal XVII al XIX secolo, ovvero la sua sostanziale e costante “RIMOZIONE DELLA
PRAXIS”, la scissione tra pensiero ed essere, quella “… insopprimibile distanza tra soggetto
ed oggetto che ovunque incontriamo nella vita moderna… ” [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di
classe, Milano, 1967, 209], e che invece sappiamo non sussistere perchè: “… alla fine del
processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nell’idea del
lavoratore…” (qui, p. 1.2).

3.1 I dualismi soggetto conoscente-oggetto conosciuto ( res cogitans e res extensa) in


Cartesio, fenomeno-cosa in sé (quest’ultima inconoscibile ed immutabile) in Kant devono
essere letti già agli esordi dell’epoca moderna come la volontà di non attribuire alcun
significato ontologico alle conoscenze sul mondo materiale. La filosofia del XIX secolo
incrementerà tale effetto:

“… Le correnti dominanti della filosofia borghese restano fedeli al compromesso


bellerminiano, anzi lo consolidano nella direzione di una teoria della conoscenza pura,
risolutamente antiontologica; si pensi a come i neokantiani sempre più energicamente
espugnano dalla gnoseologia la kantiana cosa in sé non volendo ammettere neppure una
realtà ontologica inconoscibile per principio…il dominio esclusivo della teoria della
conoscenza, l’allontanamento sempre più risoluto e raffinato di tutti i problemi ontologici …
Per quanto il neokantismo sia riscontrabile nelle filosofie fuori della Germania, il positivismo
lo sopravanza largamente in ubiquità…E’ importante rilevare come le diverse correnti di
questa tendenza (empiriocriticismo, pragmatismo ecc.) mettono sempre più da parte
l’oggettivo valore di verità della conoscenza … e tentano di sostituire la verità mediante
finalità PRATICO-IMMEDIATE.

La sostituzione della conoscenza della realtà con la manipolazione degli oggetti


indispensabili nella prassi quotidiana va molto più in là del neokantismo …Si può quindi
tranquillamente parlare di una tendenza generale dell’epoca che in ultima analisi mira alla
DEFINITIVA ELIMINAZIONE DI OGNI OGGETTIVO CRITERIO DI VERITÀ e tenta di sostituire
questa con procedimenti che rendano possibile una libera manipolazione, correttamente
funzionante, dei fatti praticamente importanti [G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale,
Roma, 1976, I, 20-21].

3.2 Il neopositivismo rappresenta sicuramente la tappa più avanzata di tale parabola. La


sempre più larga matematizzazione e la simbolizzazione diventano così la chiave ultima
per decifrare i fenomeni:

“… il linguaggio della matematica qui non è semplicemente lo strumento più preciso, la


mediazione più importante per interpretare nell’ambito della fisica (cioè che esiste
fisicamente, essente in sé), ma l’espressione semantica ultima, puramente ideale , di un
fenomeno significativo per gli uomini mediante cui questo può ormai essere manipolato
praticamente all’infinito. Quesiti che, al di là di questo, muovano verso la realtà essente in
sé, secondo tale teoria non hanno dal punto di vista scientifico alcun significato. LA
SCIENZA DI FRONTE A TALI PROBLEMI – QUELLI ONTOLOGICI – HA UN ATTEGGIAMENTO
DEL TUTTO NEUTRALE…la formulazione più elegante, matematicamente più semplice, più
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probabile in quanto ipotesi, esprime tutto quello di cui la scienza ha bisogno per dominare
(manipolare) i fatti al loro rispettivo grado di sviluppo. La generalizzazione di questi concetti
in una “immagine del mondo” esce completamente fuori dall’ambito della scienza…”[G.
LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, cit., 30].

Con questi risultati:

“… la gnoseologia [ha] acquista[to] una doppia funzione: da un lato quella di dare saldo
fondamento al metodo della scientificità (anzitutto nello spirito delle rigorose scienze
particolari), dall’altro lato quella di allontanare dalla realtà riconosciuta come la sola
oggettiva, a causa della sua non-fondabilità scientifica, le eventuali basi e conseguenze
ontologiche dei metodi e risultati scientifici. Questa impostazione ideologica è … una
IMPOSTAZIONE CONDIZIONATA DALLA STORIA DELLA SOCIETÀ …” [G. LUKÁCS,
Prolegomeni, cit., 31].

4 La separazione tra ontologia e gnoseologia indica che la scienza moderna sino ai nostri
giorni ha operato il proprio distacco dalla vita materiale , disinteressandosi della “priorità
ontologica” dell’essere sociale e concentrandosi invece sull’immediatezza della realtà
quantificabile fino a perdere di vista la complessità al di là dei propri campi specialistici:

“…Quando Engels nel discorso funebre per Marx parla del “fatto elementare che gli uomini
devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto, e vestirsi…” non sta parlando di
nient’altro che di questa priorità ontologica…” [G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, cit.,
288].

4.1 Husserl, negli anni ’30, intuì molto bene detta traiettoria:

“… Adottiamo come punto di partenza il rivolgimento, avvenuto allo scadere del secolo
scorso, nella valutazione generale delle scienze. Esso non investe la loro scientificità bensì
ciò che esse, le scienze in generale, hanno significato e possono significare per l'esistenza
umana. L'esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione del mondo
complessiva dell'uomo moderno accettò di venir determinata dalle scienze positive e con cui
si lasciò abbagliare dalla «prosperity» che ne derivava, significò un allontanamento da quei
problemi che sono decisivi per un'umanità autentica…Nella miseria della nostra vita…questa
scienza non ha niente da dirci.

Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l'uomo , il quale,
nei nostri tempi tormentati, si sente in balìa del destino…Questi problemi, nella loro generalità
e nella loro necessità, non esigono forse, per tutti gli uomini, anche considerazioni generali e
una soluzione razionalmente fondata? In definitiva essi concernono l'uomo nel suo
comportamento di fronte al mondo circostante umano ed extra-umano, L'UOMO CHE DEVE
LIBERAMENTE SCEGLIERE, L'UOMO CHE È LIBERO DI PLASMARE RAZIONALMENTE SÉ
STESSO E IL MONDO CHE LO CIRCONDA. Che cos'ha da dire questa scienza sulla ragione e
sulla non-ragione, che cos'ha da dire su noi uomini in quanto soggetti di questa libertà?
Ovviamente, la mera scienza di fatti non ha nulla da dirci a questo proposito …” [E.
HUSSERL, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale , Milano, 1983,
33-34].

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4.2 Operato detto divorzio (che abbiamo definito “ rimozione della praxis”), ci si trova di
fronte ad uno scenario onirico: da una parte il mondo della realtà posto fuori dalla sfera del
soggetto conoscente, postulato come inconoscibile e, dall’altra, la ragione che vaga tra
parvenze intellegibili, tra rappresentazioni astratte ed ipotetiche, tra mere ombre di quella
realtà che viene colta solo in modo quantitativo e con linguaggio matematico-simbolico. G.
Gentile non aveva torto allorché denunciava già nei primi anni del ‘900 che in tal modo

“… il progresso della scienza …non può essere se non il vano sogno di un’ombra : un
dileguarsi apparente di vana apparenza senza consistenza e senza significato
nell’immutabile scena del mondo, in un teatro deserto…” [G. GENTILE, La dialettica del
pensato e la dialettica del pensare, 1912, 6].

5 Ci si è dilungati nella ricostruzione di un tale quadro perché è nell’ambito dello stesso che
bisogna cercare di capire come si atteggia quella presunta “OGGETTIVITÀ” non
democratica della scienza, tutta fondata sul suo metodo fatto di “ipotesi”, “esperimenti” e
“numeri” declinati dai suoi operatori specialistici con così tanta sicumera.

5.1 E’ nota, al riguardo, la lunga controversia sul metodo scientifico che, dal ‘600 in poi, ha
visto fronteggiarsi induttivisti (metodo induttivo) e razionalisti (metodo deduttivo): i primi
procedono empiricamente dal particolare all’universale, sostenendo che la conoscenza
trae origine dai fatti dell’esperienza e dalle osservazioni; i secondi procedono in modo
logico dall’universale al particolare, muovendo invece dal presupposto che l’esperienza sia
significativa solo a partire da idee che consentono di interpretarla, di comprenderla e che,
quindi, devono necessariamente precederla.

Ciò che tuttavia interessa rimarcare nell’economia del discorso è che la prospettiva che
caratterizza il pensiero moderno nella teoria della conoscenza è la centralità del soggetto
nel processo conoscitivo (la c.d. “rivoluzione copernicana” di Kant). Si tratta di una
caratteristica che accomuna sia l’empirismo con Locke, che si propone di studiare non il
mondo, ma l’intelletto umano, sia il razionalismo da Cartesio in poi [Kant, ad onor del vero,
opererà una sintesi tra razionalismo ed empirismo salvaguardando così sia l’universalita`
della conoscenza sia il suo arricchimento mediante l’esperienza, cfr. I. KANT, Critica della
Ragion pura, Roma-Bari, 2000, I, 77-78].

5.2 Ora, a parte lo sterile dibattito che contrappone i sostenitori del metodo induttivo e
quelli – come K. Popper - del metodo deduttivo (sterile, anche perché l’approccio
scientifico è diverso in base al campo di applicazione, essendo per esempio il campo delle
scienze naturali diverso da quello delle scienze umane), e salvi quindi gli aggiustamenti che
riguardano appunto lo specifico ambito, possiamo rappresentare il metodo scientifico
classico “galileano” nella seguente sequenza:

1) osservazione di un fatto fenomenico →2) formulazione di ipotesi (o teorie o


congetture)→ 3) messa alla prova sperimentale delle ipotesi (falsificazione
popperiana)→4) costituzione della legge scientifica (in caso di esito sperimentale positivo;
oppure nuova ipotesi)

Nella versione metodica dei “razionalisti” manca addirittura il punto 1), dal momento che
per loro la ricerca scientifica, di fronte ad un problema, prende direttamente le mosse dalla
formulazione di una congettura. Proprio così. Scrive Popper:
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“… Non sappiamo, possiamo solo tirare ad indovinare…Come Bacone, potremmo descrivere
la nostra scienza contemporanea - “il metodo di ragionamento che oggi gli uomini applicano
ordinariamente alla natura” - come consistente di anticipazioni “affrettate e premature” e di
pregiudizi (a proposito della vittoria della scienza sui “pregiudizi” affermata dall’ ex ministro
Lorenzin)…” [K. POPPER, Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970, 306].

6 Ora, quanto alla metodica della “ scienza razionalista”, non è possibile esporre in modo
specifico le irrisolvibili contraddizioni che la animano e che Husserl, nel suo menzionato
Crisi delle scienze europee, ha esposto analiticamente in modo esemplare. Si rimanda,
perciò, oltre che integralmente all’opera citata, a questo interessante lavoro di V. De Palma
che sul punto ne compendia bene i tratti essenziali. E’ però sufficiente qui ricordarne la più
evidente stravaganza evidenziata da Marcuse:

“… Paradossalmente…il mondo oggettivo , rimasto con la sola dotazione di qualità


quantificabili, viene a dipendere sempre più, nella sua oggettività, dal soggetto
[conoscente]… avvenimenti, relazioni, proiezioni, possibilità [espressi in forma matematica e
postulati logici] possono essere oggettivamente significanti soltanto per un soggetto…In
altre parole, il soggetto di cui si tratta ha funzione costitutiva ; è un soggetto possibile, per il
quale alcuni dati devono o possono essere concepibili come eventi o relazioni…” [H.
MARCUSE, L’uomo a una dimensione, Torino, 1999, 156-158].

Veniamo così a scoprire che la presunta “oggettività” scientifica, ad una attenta analisi, si
rivela nient’altro che un “un soggettivismo mascherato” il quale, con i propri costrutti
astratti, logici e simbolici, finisce per impingere proprio in quella metafisica dalla quale
aveva inteso emanciparsi. D’altronde è sempre Popper, da convinto razionalista, a
ricordarci che “…i nostri tentativi di indovinare sono guidati dalla fede non-scientifica,
metafisica, nelle leggi che possiamo svelare, scoprire… ” [K. POPPER, Logica della scoperta
scientifica, cit.].

6.1 Tuttavia, si intende insistere sul fatto che tende a passare sempre in secondo piano la
circostanza per cui le ipotesi,

“… l’osservazione e l’esperimento, l’organizzazione e la coordinazione metodiche di dati,


proposizioni e conclusioni NON PRECEDONO MAI IN UNO SPAZIO NON STRUTTURATO ,
NEUTRALE … L’intento conoscitivo implica operazioni su oggetti, o astrazioni da oggetti che
si succedono in un universo dato di discorso e d’azione. La scienza osserva, calcola,
teorizza a partire da un punto determinato di questo universo …” [H. MARCUSE, L’uomo a
una dimensione, cit., 165].

6.2 Gramsci era stato più esplicito quando si domandava in modo retorico: “… Pare che
possa esistere una oggettività extrastorica ed extraumana? Ma chi giudicherà di tale
oggettività? Chi potrà mettersi da questa specie di “punto di vista del cosmo in sé e che cosa
significherà un tal punto di vista?”. E a tali domande così rispondeva:

“… oggettivo significa sempre “UMANAMENTE OGGETTIVO”, ciò che può corrispondere


esattamente a “STORICAMENTE OGGETTIVO” …” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, a cura
di V. Gerratana, Torino, 1975, 1415-1416].

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Pertanto, la più volte menzionata divaricazione tra gnoseologia ed ontologia, in termini
metodologici, non ha segnato in assoluto alcun punto a favore dell’oggettività scientifica;
anzi, non poteva che finire necessariamente per svelarne l’ipocrita contraddizione:

“… il concetto di oggettivo… pare voglia significare una oggettività che esiste anche
all’infuori dell’uomo, ma quando si afferma che una realtà esisterebbe anche se non
esistesse l’uomo o si fa una metafora o si cade in una forma di misticismo. Noi conosciamo
la realtà solo in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è divenire storico anche LA
CONOSCENZA E LA REALTÀ SONO UN DIVENIRE, ANCHE L’OGGETTIVITÀ È UN
DIVENIRE…ANCHE LA SCIENZA È UNA CATEGORIA STORICA …” [A. GRAMSCI, Quaderni del
carcere, cit., 1416, 1456].

6.3 Come conseguenza di quanto detto, è parimenti una pia illusione pensare che la
scienza sia “neutra”; come ci ricorda Marx “… il mulino a braccia vi dà la società con il
signore feudale; il mulino a vapore la società con l’industriale capitalista…”. Gramsci, in
linea con Marx, prendendo spunto da una riflessione sul concetto di “materia”, specificherà:

“… la materia [è da considerare] come socialmente e storicamente organizzata per la


produzione e quindi LA SCIENZA NATURALE COME ESSENZIALMENTE UNA CATEGORIA
STORICA, UN RAPPORTO UMANO. L’insieme delle proprietà di ogni tipo di materiale è mai
stato lo stesso? La storia delle scienze tecniche dimostra di no. Per quanto tempo non si
curò la forza meccanica del vapore? E si può dire che tale forza meccanica esistesse prima
di essere utilizzata dalle macchine umane?...” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit.,
1442].

Il modo sociale di produzione è sempre il fattore storico di base, ed ogni oggettività


rimanda ad una soggettività altra storicamente connotata che – lo si voglia ammettere o
meno - provvede a fissare scopi.

6.4 Marcuse, ancora, esprime bene tale concetto quando assume come ovvio il fatto che la
matematica sia neutrale e che la sua oggettività non rechi in sé uno scopo; “… ma è
precisamente il suo carattere neutrale che rapporta l’oggettività ad UNO SPECIFICO
SOGGETTO STORICO, cioè alla coscienza che prevale nella società dalla quale e per la
quale la neutralità è stabilita …” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, cit., 164]. E’ persin
banale rammentare che le rappresentazioni matematiche di R. Oppenheimer e dei suoi
colleghi, la loro “scienza”, erano “oggettive” e “neutre”, ma ciò nonostante l’energia atomica
venne utilizzata da qualcuno per scopi non del tutto umanitari.

6.5 L’oggettività, insomma, è sempre storicamente “ umana, troppo umana: “… la scienza,


nonostante tutti gli sforzi degli scienziati, non si presenta mai come nuda nozione obiettiva;
essa appare sempre rivestita da una ideologia e concretamente è scienza l’unione del fatto
obiettivo con un’ipotesi o un sistema di ipotesi che superano il mero fatto obiettivo…” [A.
GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., 1458]. Ma tant’è, Marx ci ricorda che “ non si può
giudicare un uomo dall'idea che egli ha di sé stesso” e gli scienziati, anche quelli in buona
fede prigionieri ideologici del loro metodo, non fanno alcuna eccezione.

7 Se si rivolge l’attenzione al “momento empiristico” del metodo scientifico, i risultati sono


altrettanto poco lusinghieri. Anche l’empirismo, innanzi tutto, è ovviamente intriso di quel
soggettivismo sopra denunciato. Si consideri quanto segue:
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“…ogni conoscenza della realtà prende le mosse da fatti. Il problema è soltanto quello di
sapere quale dato della vita … meriti di essere preso in considerazione come fatto rilevante
per la conoscenza. … l'empirismo più ottuso nega che i fatti siano in generale tali soltanto
all'interno di una simile elaborazione metodologica che può essere diversa secondo lo
scopo che si persegue nella conoscenza.

Esso crede di poter trovare un fatto importante in ogni dato, in ogni statistica, in ogni factum
brutum… [e] non si rende conto che l'enumerazione più semplice, la catalogazione di “fatti”
più scarna di commenti è già una “interpretazione”: che già sin d'ora I FATTI SONO APPRESI
A PARTIRE DA UNA TEORIA, secondo un metodo, SONO STATI STRAPPATI AL CONTESTO
DELLA VITA, nel quale in origine si trovavano, E INSERITI NEL CONTESTO DI UNA TEORIA ...
Gli opportunisti più raffinati - nonostante la loro istintiva e profonda ostilità verso ogni teoria -
non negano affatto ciò. Essi s'appellano tuttavia al metodo delle scienze della natura, al
modo in cui queste sono in grado di esibire, attraverso l'osservazione, l'astrazione,
l'esperimento, fatti “puri” e di giustificare le loro connessioni …” [G. LUKÁCS, Storia e
coscienza di classe, cit., 7-8].

Nel procedimento scientifico, quindi, c’è sempre qualcuno che cataloga e sceglie quali
siano i fatti empirici degni di essere conosciuti, cioè di essere sottoposti ad osservazione e
(quando sia possibile) ad esperimento/falsificazione. Tuttavia, già quell’atto di scelta e
quella ricreazione di un ambiente artificiale, in cui gli scienziati sperimentano “indisturbati”,
sono tutto fuorché oggettivi, perché rimandano ancora una volta ad un soggetto
conoscente determinato che opera in uno spazio storico già strutturato:

“… i processi di validazione e di verifica …non avvengono mai nel vuoto, e mai hanno termine
in una mente privata, individuale. Il sistema ipotetico di forme e funzioni viene a dipendere
da un altro sistema – un universo di scopi prestabilito, nel quale e per il quale esso si
sviluppa. Ciò che appariva estraneo, alieno al progetto teorico, si mostra come parte della
sua stessa struttura (metodo e concetti); l’oggettività pura si rivela quale oggetto PER UNA
SOGGETTIVITÀ CHE PREVEDE IL TELOS…” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, cit.,
175].

7.1 Mentre il razionalismo astrae dall’esperienza, l’”empirismo ottuso” ha quella tendenza


congenita ad atomizzarla. Esso, infatti, fedele alla fattualità, lascia però i fatti nel loro
splendido isolamento, pur continuando a illudersi di rappresentare il massimo della
oggettività e della concretezza. E così:

“… Sorgono fatti “isolati”, complessi isolati di fatti, settori parziali (economia, diritto, ecc.)
con leggi proprie, che sembrano essere già ampiamente predisposti nelle loro forme
fenomeniche immediate ad un'indagine scientifica di questo genere. Cosicché assume
necessariamente un valore particolarmente “scientifico” sviluppare conseguentemente
questa tendenza elevandola alla scienza. La non scientificità di questo metodo,
apparentemente così scientifico, risiede dunque nel fatto che esso non tiene conto e
trascura il carattere storico dei fatti che si trovano alla sua base … LA TOTALITÀ CONCRETA
È… LA CATEGORIA AUTENTICA DELLA REALTÀ …” [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe,
Milano, 1967, 9].

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L’empirismo volgare è solo capace di predicare la conoscenza di fatti considerati tra di loro
in modo disconnesso ed al di fuori di ogni contesto, impedendo la comprensione del reale
ed occultando così l’ordine esistente. La scienza, in questo modo, “… finisce…per avere una
funzione stabilizzatrice, statica, conservatrice…” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione,
cit., 172].

7.2 E cosa dire dei libri sui quali “ per anni hanno sudato ” gli scienziati? Anche quei libri sono
un prodotto storico:

“… Può sembrare persino banale ripetere che ogni nuova “scoperta” di leggi scientifiche o
nuova formulazione di teorie è frutto tanto “cumulativo” quanto “rivoluzionario” delle
modalità con le quali gli operatori scientifici si appropriano del sapere ad essi precedente .
Fondamentali sono…i metariali didattici entro i quali viene strutturata l’attività di ricerca:
attraverso i testi, i manuali, le pubblicazioni, i convegni, infine lo stesso insegnamento,
vengono veicolati contenuti e forme di un sapere già costituito che viene successivamente
sttratificandosi fino a porsi…come “scienza…” [G. BARLETTA, Marx Engels Lenin – Sulla
scienza, Bari, 1977, 15].

Ed anche quei “libri”, quel sapere “specialistico” sono condizionati dai rapporti di
produzione e di forza che storicamente si sono costituiti, se è vero che da più di
quarant’anni – per esempio, in campo economico - l’analisi keynesiana è stata
praticamente bandita dall’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado.

8 Non ci si illuda che quanto appena esposto sia meramente casuale. Dovrebbe invece
essere lampante che, se la scienza è una categoria storica, anche il metodo scientifico -
come forma di rappresentazione operativa della prima - è a sua volta una categoria storica
condizionata in concreto dallo sviluppo del modo di produzione e dai corrispondenti
rapporti di forza: “… ogni metodo è necessariamente collegato con l'essere delle classi
corrispondenti… [e il] valore conoscitivo dei metodi appare un problema storico-sociale,
come una necessaria conseguenza dei tipi di società” [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di
classe, Milano, cit., 216]. Marx illustra bene il concetto quando afferma che: “ …Cartesio,
nella sua definizione degli animali come macchine pure e semplici, vede con gli occhi del
periodo manufatturiero, ben diversi da quelli del Medioevo, quando l’animale era
considerato come ausiliare dell’uomo…” [K. MARX, Il Capitale, Edizioni Newton a cura di E.
Sbardella, 2016, 290].

Si vuole cioè affermare che la variazione delle modalità con le quali l’uomo si relaziona con
la natura ed il mutamento della forma e dei rapporti di produzione modellano anche il tipo
di conoscenza e l’aspetto della realtà conosciuta, riflettendosi sul corrispondente “metodo”:
“… i rapporti di forza e i conflitti da essi suscitati determinano in definitiva ogni volta il
contenuto, ogni volta la forma, IL METODO E’ IL RISULTATO DELLE GNOSEOLOGIE così
venute in essere…” [G. LUKÁCS, Prolegomeni, cit., 31].

8.1 E “… ciò che colpisce a prima vista in un metodo di questo genere è il fatto che lo stesso
sviluppo capitalistico tende a produrre una struttura della società che asseconda
ampiamente una simile impostazione di pensiero…” [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di
classe, cit., 7], cioè favorisce una specifica organizzazione della società secondo i rapporti
di forza delle classi antagoniste: “… I principi della scienza moderna furono strutturati a
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priori in modo tale da poter servire come strumenti concettuali per un universo di controllo
produttivo…Il metodo scientifico che ha portato al dominio sempre più efficace della natura
giunse così a fornire i concetti puri …per il dominio sempre più efficace dell’uomo da parte
dell’uomo…” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, cit., 164].

8.2 Non è per niente difficile rendersi conto in che modo, storicamente, razionalismo ed
empirismo metodologico si siano trasferiti dall’universo della scienza a quello della vita
quotidiana, in particolar modo nel campo del lavoro, attraverso la divisione e gestione
scientifica dello stesso:

“…dall'artigianato sino all'industria meccanizzata, attraverso la cooperazione e la manifattura,


si può vedere una crescente razionalizzazione, mentre vengono sempre più messe da parte
le proprietà qualitative, umano-individuali, del lavoratore… il processo lavorativo viene
sempre più frazionato in operazioni parziali astrattamente razionali… Con il frazionamento
moderno, “psicologico”, del processo lavorativo …questa meccanizzazione razionale giunge
al punto di penetrare all'interno della stessa anima del lavoratore: anche le sue proprietà
psicologiche vengono separate dalla sua personalità complessiva, obbiettivate di fronte ad
essa … le qualità e le peculiarità umane del lavoratore appaiono sempre più come mere
fonti di errori di fronte al funzionamento calcolato in anticipo di quelle leggi parziali
esatte…” [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit., 113-116].

La fuga della scienza dalla Lebenswelt husserliana o priorità ontologica marxiana, a partire
dal lavoratore-macchina di Cartesio sino quello precarizzato odierno, che si vorrebbe
tacitare con improbabili redditi di cittadinanza, ha prodotto mercificazione umana ed
alienazione.

8.3 Questo è, a valle, il risultato di quel divorzio tra gnoseologia e ontologia che ha
interessato tutti i campi del sapere (scienza economica in primis) in nome di una
oggettività scientista e reazionaria messa al servizio dei soliti scopi della classe dominante
ed €uro-globalizzata. Non si tratta, beninteso, di una demonizzazione ideologica della
scienza (alla quale vanno invece attribuiti enormi meriti nel miglioramento delle condizioni
di vita umane), dal momento che:

“… In condizioni storiche favorevoli la scienza può … compiere una grande opera di


chiarificazione … Possono tuttavia verificarsi costellazioni storiche nelle quali il processo
si svolge in direzione inversa: LA SCIENZA PUÒ OSCURARE, dare una torsione scorretta… [a
proposito della vittoria sulla “visione oscurantista” affermata dall’on. Martina] Che tali
deformazioni nel campo dell’essere sociale abbiano luogo con maggiore frequenza e
intensità rispetto a quanto accade nel campo della natura, fu visto con chiarezza già da
Hobbes, il quale indicò [nel Leviatano] anche la causa di tale fatto: L’AGIRE INTERESSATO…
La specificità della relazione fra essenza e fenomeno nell’essere sociale arriva fino all’agire
interessato, e quando questo, come accade di solito, riposa su interessi di gruppi sociali, È
FACILE CHE LA SCIENZA ESCA FUORI DAL SUO RUOLO DI CONTROLLO E DIVENTI INVECE
L’ORGANO CON CUI SI COPRE, SI FA SCOMPARIRE L’ESSENZA…” [G. LUKÁCS, Ontologia
dell’essere sociale, cit., I, 273-274].

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Non si ritiene necessario spiegare con approfondito dettaglio ai lettori del Blog cosa tutto
ciò significhi in un contesto globalizzato interamente assoggettato al modo di produzione
capitalistica. Solo una notazione generale che ci si auspica possa fungere da base per una
seria riflessione già ben declinata (qui, p.1) da Bazaar: in un contesto storico-istituzionale
in cui gli scopi della Costituzione (art. 3, comma II) sono stati interamente sostituiti con
altri scopi esattamente contrari previsti nei Trattati ordoliberisti (“economia sociale di
mercato”, art. 3, parag. III, del TUE), davvero si può pensare che la scienza sia così
“oggettiva” e “neutrale” da non mettersi al servizio di questi ultimi? Basterà ricordare la
vicenda farsesca degli OGM portata all’attenzione della CGUE o l’istruttiva storia
raccontata dal prof. Bagnai.

9 A questo punto del discorso, si può ipotizzare che lo scienziato di turno, pervicacemente
aggrappato al “metodo” e alla “oggettività” come sopra tratteggiati, non esiterebbe a
strabuzzare gli occhi e ad insistere ancora più rabbiosamente che “La scienza non è
democratica. La velocità della luce non si decide per alzata di mano, come ha detto Piero
Angela. Una palla di ferro gettata in mare andrebbe invariabilmente a fondo anche se un
referendum popolare stabilisse che il peso specifico del ferro è inferiore a quello
dell’acqua…” [pag.1]. Siano allora consentite alcune chiose conclusive per evitare
fraintendimenti spiacevoli e bassamente strumentali.

10 Allorché si parla di “Scienza”, è bene enunciare sempre con precisione a quale


“epistemologia” (intesa come “teoria della conoscenza”) ci si intende riferire. In questa
sede, e per estrema chiarezza, preferiamo al riguardo prendere le mosse dalle parole di G.
Barletta:

“… l’epistemologia quale noi la intendiamo non può che porsi COME CAMPO
INTERDISCIPLINARE che inscriva in sé le due seguenti aree: a) gnoseologia; b) metodologia
o epistemologia di “grado debole”, non risultando però la pura somma aritmetica di a) e b),
bensì un prodotto qualitativamente nuovo…Accettiamo, per primo, la divisione fra i due livelli
di epistemologia.

Infatti, mentre, da un lato, riteniamo la dimensione epistemica “interna” ad ogni disciplina ,


cioè la dimensione metodologica della particolare scienza di cui l’epistemologia si pone
come logica, d’altro lato crediamo remunerativo lo sforzo di definire l’epistemologia maior o
“forte” perché essa sola, data la sua interdisciplinarità, delimita il campo della riflessione
scientifica, identificandosi con la sua stessa costituzione…” [G. BARLETTA, Per
un’epistemologia materialista, Bari, 1976, 17-18].

10.1 Nessuna persona sana di mente oggi metterebbe in dubbio che il prodotto di 2x2 sia
4, che l’acqua raggiunga l’ebollizione a 100 °C o che la velocità della luce (per la tranquillità
dell’ottimo Piero Angela) si misuri attraverso talune procedure e non per alzata di mano.
Davvero non è questo il problema. E’ chiaro, infatti, che “… l'isolamento astrattivo degli
elementi sia di un intero campo di ricerca sia dei particolari complessi problematici o dei
concetti all'interno di un campo di ricerca è certamente inevitabile…” [G. LUKÁCS, Storia e
coscienza di classe, cit., 36].

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Lo stesso A. Gramsci, senza nulla concedere al positivismo “neutralista” e con le dovute
precisazioni, rivendicava sin dagli scritti giovanili il carattere scientifico e non meramente
mitico dello sperimentalismo galileano:

“… Il metodo sperimentale e positivo, come metodo di ricerca scientifica spassionato e


disinteressato è anche del materialismo storico, ma non è dipendente da esso: è il metodo
proprio delle scienze e il primo a dargli una sistemazione logica è stato Galileo Galilei…Il
materialismo storico… ha integrato il metodo sperimentale e positivo applicato allo studio e
alla ricerca degli accadimenti umani, dei fenomeni sociali, e non si confonde neppure con
esso come non si confonde col positivismo filosofico…” [A. GRAMSCI, Scritti giovanili: 1914-
1918, Torino, 1958, 328].

Pertanto, eliminare la “dimensione epistemica interna” ad ogni disciplina (quella, per


intenderci, entro cui si muove esclusivamente ed in modo bigotto la maggioranza degli
odierni “scienziati”) è impensabile e, allo stesso tempo, nemmeno auspicabile.

10.2 Dovrebbe però essere altrettanto comprensibile che quella “dimensione epistemica
interna” ad ogni disciplina, quella gnoseologia positivo-sperimentale e metodologica - che
nel suo “isolamento astrattivo” abbiamo esaminato e definito “epistemologia di grado
debole” - rappresenta solo il primo livello per un ragionamento non dogmatico in materia
scientifica. Si rivela infatti:

“… una tesi dogmatica ritenere che l'unico modo possibile…di apprendere la realtà, in
contrasto con la datità a “noi” estranea dei fatti, sia quello di una conoscenza razional-
formalistica…”, mentre “… il fatto decisivo è se si intende questo isolamento soltanto come
mezzo per la conoscenza dell'intero, cosicché esso resta sempre integrato nel corretto
contesto complessivo che presuppone e richiede, oppure se si pensa che la conoscenza
astratta del campo parziale isolato mantenga la propria “autonomia”, resti fine a sé
stessa…” [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit., 159 e 36-37].

11 Si badi bene che non si tratta qui della vexata quaestio dei rapporti fra episteme e doxa.
Al di là delle suggestioni positivistiche, è piuttosto da riconoscere che il contesto teoretico
entro il quale si giustifica una “legge scientifica” risulta in modo ineliminabile interconnesso
con il contesto storico-culturale il quale fa sorgere dal suo interno la disciplina che
procede a costituirsi come scienza (metodo incluso, come detto). Perciò:

“… A torto Popper ritiene indifferente il punto di partenza dell’indagine positiva…lo schema


di conoscenza proposto da Popper (P1 – TT – EE – P2: problema – teoria provvisoria –
verifica falsificativa della soluzione – nuovo problema), risulta impraticabile qualora non
venga inserito in un meccanismo diacronico e sociale in grado di sottrarre all’arbitrarietà
del ricercatore…la formulazione di EE, per inserirlo, invece, nel quadro della storicità degli
apparecchi di conoscenza (tecniche, linguaggio, strumenti) di cui si dispone al momento
considerato.

Ma tale storicità diventa a sua volta comprensibile solo se intesa non come pura diacronia
ma…come socialità e/o produzione sociale di quel complesso di credenze ideologiche (miti,
religioni, filosofia), che, lo si voglia o meno, sono alla base della produzione scientifica in
senso proprio e sono generate a loro volta DALLA PRODUZIONE DELLA VITA MATERIALE…”
[G. BARLETTA, Marx Engels Lenin – Sulla scienza , cit., 11-12].
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12 Di conseguenza, assunta la piena legittimità e necessarietà di quella “ epistemologia di
grado debole”, è però indispensabile che il ragionamento teorico si innalzi ad un livello
superiore, integrando la prima con una “epistemologia maior o “forte” che sia eminente
luogo di incontro fra scienza, logica e storia. Non è per nulla un caso, giustappunto, che
tale integrazione - cioè il punto di vista della totalità concreta - manchi pressochè
completamente negli odierni dibattiti pubblici intorno alla scienza:

“… L’interazione più essenziale, il rapporto dialettico tra soggetto ed oggetto nel processo
storico NON VIENE MAI MENZIONATO NELLA CONSIDERAZIONE METODICA … il metodo
dialettico… tende alla conoscenza della società come totalità ” mentre “… la scienza
borghese attribuisce con ingenuo realismo una “realtà effettiva” … un'autonomia [alle]
astrazioni utili e necessarie dal punto di vista metodologico delle scienze particolari…” [G.
LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit., 4 e 36].

Ma nonostante tali enormi deficienze teoriche, dimenticando che “ il vero è l’intero”, con
presunzione “Lascienza” si arroga il compito di spiegarci ciò che è verità e ciò che è bugia!

13 Finché “Lascienza” continuerà a distinguere metodologicamente tra pura teoria e storia,


separando empiricamente, per principio, i problemi singoli gli uni dagli altri e perseverando
nel rimuovere il problema della totalità concreta (ovvero, della prassi, che per il Popolo
italiano è necessariamente PRAXIS COSTITUZIONALE), in nome di questa sorta di
“gnoseologia assoluta”, “… la storia del problema diventa… un'inutile zavorra di dati
espositivi; qualcosa che può avere interesse solo per gli specialisti , che può estendersi
all'infinito mascherando così sempre più la vera sensibilità verso i problemi reali ed
alimentando uno specialismo senza idee…” [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit.,
46]. Ovvero, un orwelliano materiale per Talk show. Con tifosi al seguito.

13.1 Tale è difatti la manovra che sta portando avanti l’indottrinato circolo degli “scientisti”
il quale, forte di una ostentata aurea specialistica e spalleggiato, come al solito, dai media
asserviti, non vede l’ora di snocciolare ad ogni occasione quella “ inutile zavorra di dati
espositivi” (quasi sempre a senso unico) per zittire qualunque dissenziente “laico” tacciato
come somaro. Nel frattempo, però, “Lascienza”, dietro la facciata di un progresso
disinteressato e competente, e per conto dei suoi mandanti che continuano a fissare
scopi, mira ad imporre una democrazia controllata da una simile fallacia epistemologica ,
vale a dire: “Razionalità scientifica e manipolazione sono saldate insieme in nuove forme di
controllo sociale” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, cit., 154].

Attualmente, dunque, la seguente proposizione:“ La scienza non è democratica ” - con i suoi


cosmetici corollari (neutralità, oggettività e fantasie assortite) e nella cruda epifania
semantica - non rappresenta che una delle voci con le quali si esprime l’Antisovrano.

14 Agli “scientisti” nemici della Costituzione ci preme però rammentare, come viatico per
ulteriori e più propizie riflessioni, queste note di un immenso ed imperituro A. Gramsci:

“… Porre la scienza a base della vita, fare della scienza la concezione del mondo per
eccellenza, quella che snebbia gli occhi da ogni illusione ideologica, che pone l’uomo dinanzi
alla realtà così come essa è, significa ricadere nel concetto che la filosofia della prassi
abbia bisogno di sostegni filosofici all’infuori di sé stessa. Ma in realtà anche la scienza è
una superstruttura, una ideologia. Si può dire, tuttavia, che nello studio delle superstrutture
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la scienza occupi un posto privilegiato, per il fatto che la sua reazione sulla struttura ha un
carattere particolare…” [A. GRAMSCI, Scritti giovanili: 1914-1918, Torino, 1958, 1457-1458].

Di fronte ai modelli di cui si ammanta l’ideologia liberal-borghese della scienza a trazione


liberista per coprire le sue sempre più profonde contraddizioni, si tratta di proporre un
modo diverso di fare Scienza, un modello alternativo che non si ha alcuna remora a definire
“materialista”. Un modello che – in linea con il Telos della Costituzione – si assuma il
carico di un progetto di riappropriazione sociale della Scienza e del suo prodotto in grado
di spezzarne l’odierna privatizzazione. Tale argomento, però, potrà semmai formare
oggetto di un separato post.

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