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L’URBANISTICA
Prof. Luigi Di Francesco

STORIA DELL’URBANISTICA
Parte 1a – L’u. da Ippodamo al 2° dopoguerra

Sommario
INTRODUZIONE ...................................................................................................................................................... 2

L’URBANISTICA GRECA E ROMANA ....................................................................................................................... 3

La centuriazione ................................................................................................................................................... 6
IL MEDIOEVO ......................................................................................................................................................... 7

Il borgo e la fortezza medievale di Vairano .............................................................................................................. 8


IL RINASCIMENTO ................................................................................................................................................ 11

Ferrara .............................................................................................................................................................. 14
LO SPAZIO BAROCCO .......................................................................................................................................... 16

Covent Garden................................................................................................................................................... 17
La Ricostruzione Di Cerreto Sannita ..................................................................................................................... 19
Bath .................................................................................................................................................................. 22
S.Pietroburgo (Terza Roma) ................................................................................................................................ 23
La costruzione di Washington D.C. ..................................................................................................................... 29
LA CITTA’ INDUSTRIALE ....................................................................................................................................... 31

L’URBANISTICA E LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE IN INGHILTERRA. ................................................................... 32

Le proposte urbanistiche di Owen ........................................................................................................................ 33


Francia .............................................................................................................................................................. 34
Mulhouse........................................................................................................................................................... 35
Germania .......................................................................................................................................................... 36
Il villaggio Crespi d’Adda ..................................................................................................................................... 37
FIRENZE CAPITALE .............................................................................................................................................. 40

LE CITTÀ GIARDINO ............................................................................................................................................. 43

Milton Keynes .................................................................................................................................................... 44

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INTRODUZIONE
Per urbanistica possiamo intendere qualunque attività di pianificazione che abbia attinenza con la sistemazione di un
aggregato umano, in rapporto alle esigenze di sicurezza, vivibilità e confort degli abitanti, dal villaggio di capanne alla metropoli.

Figura 1 -Organizzazione di un villaggio


palafitticolo
In senso più prossimo alle attuali
necessità di organizzazione del territorio,
l’urbanistica è il controllo preventivo delle future
costruzioni e dell’uso del suolo in una data zona.

Mentre fino alla metà dello scorso


quest’attività si limitava principalmente al progetto
delle strutture fisiche meglio convenienti ai bisogni di
una comunità, l’urbanistica oggi viene sempre intesa
come strumento di politica sociale. Questa
concezione dell’urbanistica, diffusasi verso la fine
del XIX, si sostituì alle precedenti concezioni di
espansione radiocentrica. Tra i suoi vari aspetti, le
misure prese per eliminare le condizioni insane di
Figura 2‐ Villaggio di Mesa Verde (Colorado USA) vita sono chiamate risanamento e quelle per porre
rimedio alla scarsità di aree.
Una tale concezione della crescita urbana nel
senso di «sviluppo comunitario», implica la coordinazione
tra la fornitura di case e la politica programmatica degli
investimenti, unitamente alla creazione di un’infrastrutture
economica, di trasporto, di integrazione sociale etc.. Di
conseguenza, i poteri legali conferiti a un ente di
pianificazione comprendono da un lato l’uso del suolo (e in
base ad essi l’ente dispone, in ampio dettaglio, gli usi cui
deve essere adibito il suolo che rientra nella sua
giurisdizione); dall’altro, lo sviluppo pianificato, mediante il
quale l’ente dispone che cosa vada costruito e dove, e si
predispongono tutte le misure necessarie a garantire i
servizi necessari alla comunità.
Figura 3‐ Villaggio Neolitico

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L’URBANISTICA GRECA E ROMANA


Nell'età Neolitica un naturale processo sociale, accompagnato
dall'acquisizione di basilari conoscenze tecniche, induce l'uomo ad abbandonare i
rifugi naturali per dare vita a forme embrionali di insediamenti, cioè alla necessità di
costruire uno "spazio" fisico, in quei luoghi dove è più facilitata la coltura e lo
"sfruttamento" di risorse naturali (corsi d'acqua, terreni coltivabili,....), organizzando
così una struttura proto-urbana formata da capanne che, come detto, ha una
ubicazione nel territorio non rispondente a regole geometriche precise, ma ad
esigenze di adattabilità al terreno.
La prima prova che abbiamo di edificazione di città risale a un’epoca tra il
7000 e il 5000 aC. In Mesopotamia, la pianura alluvionale bagnata dal Tigri e dall'
Eufrate, si crea una fase evolutiva del rapporto sociale; il fabbisogno alimentare è
ampiamente soddisfatto dalla coltivazione intensiva e specializzata del territorio
(bonifiche, canali di irrigazione,...), tanto da creare un'eccedenza, oltre all'accumulo di
riserve stagionali, utilizzabile per scambi commerciali. La produzione di risorse
alimentari superiori alle proprie esigenze crea nella società diverse classi operative:
agricoltori che producono direttamente il bene primario in eccedenza, artigiani che
creano accessori ed utensili e che beneficiano delle eccedenze in cambio delle loro
prestazioni contribuendo così indirettamente alla produzione, commercianti che
scambiano altrove i prodotti ottenendone in cambio materie prime o lavorate, militari,
classe non produttiva, ma importante per la difesa del territorio ed i sacerdoti che
insieme al potere spirituale amministrano i beni prodotti.
In questa nuova condizione economia si assiste al passaggio tra
l'autosufficienza e l'integrazione urbana con le differenziazioni tra città e campagna e
tra le varie stratificazioni della società; con un ambiente naturale che produce (la
campagna) e uno urbano che gestisce (la città) . Nella conformazione urbanistica si
delineano centri con diverse finalità, si ha la distinzione tra zona sacra, zona
Figura 4 ‐Mileto
residenziale e centro della gestione del potere (spesso coincidente con quello sacro
data la connotazione religioso-temporale del "capo").
Alcuni esempi ci vengono dalla città di Uruk (Warka) del III millennio a.C., dove il tempio si eleva su una piattaforma e
dall'alto domina la città. Intorno sorgono i magazzini e le residenze dei sacerdoti, fuori dal recinto sacro la zona residenziale.
Ma le prime città di cui si abbia conoscenza dettagliata sono quelle sulle rive del Mediterraneo, specie dell’antichità geca e
romana, destinate a lasciare un’orma durevole sulla civiltà occidentale. Fortezze e insieme insediamenti, le prime città greche.
seguivano per la maggior parte l’esempio delle città-acropoli (costruite, cioè, sulla cima di alture) del Peloponneso e dell’Asia Minore
(Micene, Troia) nella scelta del luogo. Successivamente l’acropoli venne integrata da ulteriori quartieri abitati sulle pendici o al piede
della collina (come ad Atene).
Non soltanto l’occasionale fondazione ex novo di città sul continente comporta la realizzazione di una planimetria
organizzata (Pireo), ma questo accade pure, in misura notevole, nelle città coloniali fondate nell’Italia meridionale., in Sicilia e sulla
costa dell’Asia Minore: Selinunte, Priene, Mileto .
Mileto era un ‘antica città dell'Asia Minore,
nella Caria, presso la costa del Mar Egeo, alla foce
del fiume Meandro, in una posizione atta a
controllare il percorso che dal mare porta
direttamente all'altopiano della Frigia e tale da
costituire tappa importantissima del commercio
nell'entroterra. Centro agricolo, industriale (celebri i
tessuti e le lane milesie) e commerciale, fu abitato
dagli Ioni già prima del 1000 aC. Conobbe poi il suo
massimo splendore fra i sec. VIII e VI. Nel sec. VII
dette l'avvio a un'intensa opera di colonizzazione:
fondò Abido nell'Ellesponto e Cizico lungo la costa
meridionale della Propontide.
Nella seconda metà del secolo intraprese
la colonizzazione del Ponto: sulla costa meridionale
Figura 5‐ Ubicazione della città di Mileto del Mar Nero fondò Sinope; suoi coloni giunsero poi
in Tracia sino quasi alla foce del Danubio, dove
fondarono Istro. Fu proprio in questo periodo che raggiunse il suo massimo sviluppo anche la scuola filosofica definita comunemente
ionica. Di Mileto è anche il logografo Ecateo.

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Fu governata, dal sec. VIII, da un'aristocrazia: nel corso del sec. VI cadde
sotto i re Lidi (Aliatte e Creso) e dal 546 aC sotto la Persia, che dette il governo della
città a un tiranno di sua fiducia, Istieo. Egli si distinse nella spedizione scitica di Dario
e fu poi accolto alla corte persiana. In questo periodo Mileto diede l'avvio alla rivolta
della Ionia contro la Persia. Costretta a capitolare dopo circa due anni di resistenza,
Mileto fu quasi completamente distrutta e i suoi cittadini furono ridotti in schiavitù (494
aC).
Fu ricostruita secondo lo schema ideato dall’architetto Ippodamo1 dopo la
vittoria greca di Micale (479 aC) Ippodamo è il primo architetto, di cui ci sia giunto il
nome, a sfruttare l'opportunità di costruire le città secondo schemi planimetrici regolari,
introducendo nel mondo greco la pianta "a griglia", cioè con le strade che si
intersecano ad angolo retto, delimitando ordinatamente i quartieri residenziali, gli
edifici pubblici e i mercati. Figura 6‐ Siracusa Greco‐romana
Lo schema attribuito a Ippodamo, detto appunto schema o impianto
ippodameo, si basava su tre assi longitudinali chiamati plateiai (in latino decumani), orientati in direzione est-ovest, intersecati da assi
perpendicolari chiamati stenopoi (cardines), orientati in direzione nord-sud: l'intersezione di questi assi veniva a formare isolati
rettangolari di forma allungata.
La scacchiera ippodamea, così venne denominata, si basò su tre assi longitudinali, detti decumani, che procedendo in
direzione est-ovest, venivano intersecati da assi perpendicolari, -cardi-, secondo l'orientamento nord-sud. Inoltre ad Ippodamo di Mileto
si deve la dottrina della distribuzione funzionale, per cui le aree venivano diversificate in relazione all'uso cui erano preposte.Questo
schema tipico fu applicato nella costruzione di numerose città antiche: se fino a quel momento in Grecia le case venivano edificate per
prime, e successivamente lo spazio tra loro diveniva strada, con la nuova pianificazione urbana venivano prima disegnate le strade, e
successivamente tra loro venivano edificate le case.
Le strade secondarie variavano di larghezza da tre a cinque metri, ed erano un numero più elevato rispetto alle strade
principali, che erano larghe da cinque a dieci metri. Le strade minori erano distanziate più o meno trenta metri l'una dall'altra, le strade
maggiori da cento a duecento metri. Una generale impostazione urbanistica come questa era già stata inventata prima di Ippodamo,
ma fu grazie a lui se essa trovò una teoria corretta e coerente per essere realizzata. Pericle, uno statista dell'epoca, affidò a Ippodamo
le redini per la ristrutturazione del porto di Pireo, una
città dell'Attica, in Grecia.
Lo spazio edificato secondo la concezione di
Ippodamo doveva essere diviso in tre zone, una
dedicata alla venerazione gli dei, una pubblica e una
riservata alle proprietà private. E doveva essere
edificata secondo schemi planimetrici regolari, in
questo modo Ippodamo introdusse nel mondo greco la
pianta "a griglia", con le strade che si intersecano ad
angolo retto, delimitando ordinatamente i quartieri
residenziali, gli edifici pubblici e i mercati. Secondo
questo schema di pianificazione la realizzazione di
strade, piazze e luoghi pubblici, precede la costruzione
delle case e non viceversa.
Figura 7‐ AOSTA Romana
Lo schema di Ippodamo fu seguito in diverse colonie: Siracusa; si ha un sistema urbanistico caratteristico, attribuito. a
Ippodamo, di strade che si intersecano ad angolo retto, sia in zona piana che accidentata. Il nucleo di tali città, spesso dominate da un
recinto sacro con tempio, era l’agorà, o piazza del mercato cinta di portici. Le strade, su cui le case (dotate di cortile posteriore)
affacciavano col retro, erano semplicemente arterie di traffico, e non comportavano insiemi pianificati.
L’urbanistica romana apportò a questo schema un mutamento decisivo: le città romane mantengono una regolarità
planimetrica ippodamea, che s’incentra sul cardo e sul decumanus (castrum), ma le strade, le piazze, i templi, o i fori principali
rispondono a una distinzione interamente nuova mediante la simmetria e l’assialità, specialmente nel periodo tardo-romano (Roma
stessa, Palmira, Baalbek)

                                                            
1  In realtà schemi urbanistici basati su strade perpendicolari secondo questo sistema di assi principali si ritrova tra gli etruschi già alla fine
del VII secolo a.C. a Gonfienti, nei pressi di Prato e dalla prima metà del VI secolo a.C. a Marzabotto, sull'Appennino Tosco-Emiliano.
Questo architetto è comunque l'autore della sistemazione della zona portuale del Pireo ad Atene su incarico di Pericle. Nel 443  a.C.,
partecipando alla fondazione di Thurii (la nuova Sibari) nell'Italia Meridionale da parte dei coloni Ateniesi. Nel 408  a.C. fu sovraintendente alla
costruzione della nuova città di Rodi e realizzò il progetto sulla base del quale venne costruita nel 331 a.C. Alessandria d'Egitto alla foce del Nilo. 

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Sono di origine Romana molte delle capitali e delle maggiori città europee come Londra, Parigi, Barcellona,
Saragossa,Strasburgo, Colonia, Chester, Bath, Bonn. In Italia tra le alktre Torino, Aosta, Firenze. Tutte queste città conservano nel
nucleo storico la caratteristica organizzazione a scacchiera della città romana.
Il rettangolo caratteristico dell'abitato dipende dai limiti naturali segnati a nord dal pendio della montagna, a est dal corso del
Buthier e a sud da quello della Dora Baltea. Il decumano massimo costituiva l'asse principale della città e la inseriva nella direttrice
preminente del traffico. Il cardine massimo incrociava il decumano ad angolo retto ai tre quarti della lunghezza verso occidente, un
decentramento a cui corrispondeva quello dell'area forense. Il tracciato regolare delle strade, che si intersecavano
perpendicolarmente, suddivideva lo spazio interno in insulae (isolati) rettangolari

 
Figura 8‐Pianta di Augusta Praetoria  (AOSTA)(anno di  Figura 9‐ Schema "urtbano" di un castrum romano 
fondazione 25 a. C.)  

 
Figura 10 ‐LONDINIUM
Gli inizi di Londra possono essere datati con una
certa esattezza con l'invasione dei Romani avvenuta nel 43
d.C.. Prima di questa data non vi era alcun nucleo di
abitazioni permanenti nell'attuale sito dove si trova l'odierna
città. Il Tamigi scorreva attraverso un terreno paludoso con
piccole isole di ghiaia e sabbia.
Londinium (LONDRA) venne fondata come accampamento
dai romani circa sette anni dopo la conquista della Britannia.
Il primo insediamento romano copriva una piccola area
equivalente alla superficie di Hyde Park. Il comandante delle
truppe romane era un certo Aulus Plautius, la loro avanzata
in Britannia si fermo su Tamigi. Fu costruito per questo il
primo ponte sul fiume. Da recenti scavi si è visto che Figura 11 ‐Organizzazione della Londra Romana
questo primo ponte, era distante pochissimo dal moderno
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London Bridge. Il ponte romano dimostrò di avere una posizione ideale per la nuova rete di strade che di lì a poco si sarebbe
sviluppata per la rapida circolazione delle truppe. Vicino al ponte si sviluppò il primo insediamento della futura città Londinium che
divenne rapidamente un importante centro commerciale per le merci che transitavano sul Tamigi.
Fra il 190 ed il 225, i romani costruirono il London Wall attorno alla città. Le mura erano lunghe circa 3 chilometri, alte 6 metri
e spesse 2,50 metri.
Intorno al 60, la città venne saccheggiata dagli Iceni guidati dalla loro regina Boudica. Successivamente la città venne presto
ricostruita, secondo il progetto delle città romane, e nel volgere di un decennio incrementò moltissimo la sua popolazione. Nel corso
del II secolo Londinium fu al massimo del suo splendore e sostituì Colchester come capitale della Britannia romana. In quel tempo la
sua popolazione era intorno ai 60.000 abitanti. Essa disponeva di una serie di edifici pubblici quali la più grande basilica esistente a
nord delle Alpi, il Palazzo del Governatore, templi, terme, anfiteatro e un grande forte che ospitava la guarnigione a difesa della città. A
partire dal III secolo, instabilità politica e recessione portarono la città ad un lento quanto inesorabile declino.
Nel tardo III secolo, Londinium venne attaccata e razziata
diverse volte dai pirati Sassoni. Questo fatto determinò la decisione di
costruire delle altre mura presso la riva del Tamigi. Le mura
sopravvissero per 1.600 anni e definirono i confini della città per i secoli
a venire. Sei delle tradizionali sette porte di Londra sono di origine
romana e portano il nome di Ludgate, Newgate, Aldersgate, Cripplegate,
Bishopsgate e Aldgate. (Moorgate è una eccezione essendo stata
costruita in epoca medioevale).
Dal V secolo, l'Impero romano subì un rapido declino e nel 410
l'occupazione romana della Britannia ebbe termine. A seguito di questo
evento la città andò incontro ad un periodo di lenta decadenza e prima
della fine del secolo venne pressoché abbandonata.
Londra continuò a svilupparsi durante tutto il periodo
Figura 12 ‐Model of London in AD 85‐90 on display in the   dell'impero romano, durante il suo massimo splendore la popolazione
Museum of London, depicting the first bridge over the  raggiunse probabilmente il numero di 45.000 individui. Alla caduta
Thames dell'impero le truppe romane vennero richiamate, la città in un certo
senso lasciata a se stessa. Londra entro in un lungo periodo di
decadenza dal quale poteva certamente non riprendersi più, alla storia successiva insegna che fu tutt'altro che così.

La centuriazione

 
Figura 13 ‐ Centuriazione Romana intorno a Caserta
Ma l’organizzazione del territorio fissata dai romani non si limitava all’ambiente costruito ma investiva anche le campagne.

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La centuriazione era il sistema con cui i romani organizzavano il territorio agricolo, basato sullo schema che già adottavano
nei castra e nelle città. Si caratterizzava per la regolare disposizione di appezzamenti, strade e canali.
La centuriazione romana dà al paesaggio, l’aspetto di un vero e proprio "piano regolatore", che comporta vere e proprie
azioni di disboscamento o di bonificazione dell’ambiente sul quale si vuole effettuare il lavoro.
La centuriazione consisteva nella misurazione e nella divisione regolare di un territorio in grandi appezzamenti quadrati di
duecento "iugeri", che equivalgono a circa sessanta ettari, che si chiamavano CENTURIE; queste venivano segnate mediante incroci
di assi ortogonali.
Le centurie costituivano la base catastale per l’assegnazione di terre da parte dello Stato romano. Essenzialmente la
centuriazione costituiva allora un sistema di organizzazione e di controllo dello Stato sulla proprietà privata dei suoi cittadini.
E' un aspetto del nostro territorio che non si ferma ai confini della città, ma investe un'area piuttosto estesa della provincia di
Caserta. Una vista a volo d'uccello ci consentirebbe, in un solo colpo d'occhio, di percepire una cospicua serie di strade parallele che,
attraversando centri abitati e campagne, si interseca con una seconda serie di altre, perpendicolari alle prime. Sono appunto gli antichi
cardi e decumani che formavano quel sistema reticolare con il quale si suddivideva l'agro pubblico delimitando un certo numero di
appezzamenti quadrati, di circa 710 metri di lato, con una superficie dunque, poco piu' grande di 50 ettari; un'estensione che, se
espressa in unita' di misura di quell'epoca, era di due iugeri.
Lo stesso corso Trieste e tutta la via appia fino a SantaMaria C.V., questo non sono' altro che una delle strade di quest'area
parcellizata.
E' interessante osservare come tale antico tracciato abbia condizionato, fino ai giorni nostri quest'ampia porzione di territorio,
non solo per quanto attiene la suddivisione dello spazio agricolo, ma per lo stesso orientamento degli insediamenti urbani, delle ville,
delle chiese e delle case coloniche.

IL MEDIOEVO
La vita urbana europea soffrì il declino dell’Impero romano, tanto da scomparire quasi del tutto quando le conquiste arabe
troncarono il commercio all’interno del Mediterraneo. Dove le città romane continuarono ad essere abitate, ciò accadde per opera di
popolazioni fondamentalmente rustiche, che si accalcavano caoticamente all’interno delle loro mura; tanto che raramente
l’impostazione planimetrica originaria sopravvisse (per es., a Torino).
Uniche forme di insediamento umano divennero le fortezze e i monasteri. Il commercio, e con esso la vita urbana non rifiorì
fino al X s. Città prive di piano sorsero alle intersezioni delle vie commerciali e alla foce dei fiumi, spesso come puri assembramenti
fuori delle mura delle abbazie, dei castelli delle antiche città.

 
Figura 14‐ Pianta della città di Torino 

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Le fondazioni monastiche benedettine, che, dal VI secolo con Montecassino, Subiaco e Farfa, nel VII secolo con San
Colombano, nell.VIII con Novalesa, Nonantola, Pomposa, San Salvatore nel Monte Amiata e San Vincenzo al Volturno, ecc.,
contrassegnarono l.alto Medioevo, svolsero un importante ruolo nella rivitalizzazione culturale ed economica del territorio
Allora il castello (o villaggio rurale fortificato localizzato quasi sempre in posizione di sommità o sul versante collinare)
divenne, con le città episcopali che, a causa della loro decadenza, poco si distinguevano dai castelli maggiori, l.elemento basilare
dell.organizzazione militare del potere statale o personale (di signori laici ed ecclesiastici) e soprattutto il punto di riferimento
essenziale della geografia economica e socio-insediativa. In altri termini, i castelli . con la loro definizione funzionale come modo di
organizzarsi in comunità locali specialmente contadine . elaborarono una forma di vita molto diffusa che portò alla riconquista delle
sommità collinari, assumendo importanza e funzioni tali da incidere decisivamente sulle forme del popolamento e dell’ utilizzazione e
distribuzione delle risorse, sulle gerarchie tra i luoghi e sui modi in cui i potenti creavano le loro capacità di controllo e di governo del
territorio.
La realizzazione di migliaia di insediamenti fortificati non comportò sempre nuove fondazioni:spesso, anzi, il processo
consistette nel potenziamento di villae e casalia (piccoli villaggi aperti o aggregati minimi curtensi), mentre tanti altri villaggi e casali
furono abbandonati per fornire popolazione ai nuovi insediamenti.
In tal modo l.incastellamento significò una diversa dislocazione spaziale delle sedi e della popolazione, una ristrutturazione
delle vie di comunicazione ed un diverso uso delle risorse agro-silvo-pastorali, minerarie, idriche (per forza motrice e comunicazione,
irrigazione e pesca), la costruzione di una nuova geografia sia amministrativa (distretti di castello, base delle nuove comunità,
espropriazione dei poteri delle pievi isolate da parte delle nuove chiese castrensi) sia economica (realizzazione di nuovi equilibri e
gerarchie territoriali).
Il castello divenne centro di mercato: tale valenza arricchiva il signore con «dazi» e «gabelle» sulle merci e finiva col
beneficiare bottegai e artigiani, contribuendo così alla differenziazione sociale di questo ceto nei confronti degli agricoltori asserviti e
creando le premesse per l.accumulazione dei capitali da investire nella terra quando . con la crisi e disgregazione del sistema curtense
. si sarebbero create le condizioni di un.intensa mobilizzazione fondiaria.

Il borgo e la fortezza medievale di Vairano


L'esistenza del Castrum Vairani è documentata dall'epoca del sovrano normanno Guglielmo II (circa 1188), ma
probabilmente risale ai secoli IX e X. Nel 1193 il castello, difeso da Ruggero di Chieti, seppe resistere e scoraggiare definitivamente le
offensive dell'esercito combinato di Enrico VI e di Roffredo dell'Isola (Vairanum acriter impugnans in nullo profecit). Nel 1437 Vairano
fu saccheggiato dall'esercito del Patriarca Vitellesco mandato dal papa Eugenio VI. Nel 1461 i casali e il castello conobbero la furia
distruttrice dell'esercito di Marino Marzano che lasciò Vairano, secondo le cronache dell'epoca, “depopulata et dehabitata”.
Tra il 1491 e il 1503 il Castello fu completamente ristrutturato ad opera del feudatario Innico II d'Avalos.
La fortezza è composta da 4 torri, di cui la più massiccia è detta torre “mastra”. L'interno è ormai completamente diruto, però
ancora sono visibili la suddivisione dei piani, le cucine, le carceri e l'antica cisterna. Il borgo è circondato da mura intervallate da 14
torri. Tre porte consentono l'accesso al borgo: Porta Oliva, Porta di Mezzo o Mezzogiorno e Porta Castello o S. Andrea. All'interno è
visitabile l'antica chiesa di S. Tommaso Apostolo (XIV sec.), mentre appena fuori delle mura, da poco restaurata, è ubicata la chiesa
di S. Maria di Loreto (XVI sec.).

 
Figura 15 ‐ Castello di Vairano

Il castello e' stato costruito nel secolo XI secolo da Ripandolfo VI Solo nel XII secolo si trovano fonti certe che si riferiscono al
Castrum Vayrani. L'aspetto ben diverso dai resti attuali, si presume che fosse stato costruito per riuscire a resistere agli attacchi
dell'Abate di MonteCassino, con poche abitazioni sparse sulla pendice e circondate da una cinta muraria relativamente stretta.

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Difatti il 20 maggio del 1191 l'imperatore Enrico VI di Svevia concesse il castello a Roffredo dell'Isola, abate di Montecassino. I
vairanesi rifiutarono il vassallaggio e nel 1193, al comando del conte Ruggero di Chieti, respinsero l'assedio dell'abate Roffredo.

 
Figura 16 ‐ La cittadella fortificata di Vairano

Nel 1193 sotto la guida del castellano Rugero di Chieti, seppe restistere all'assedio dell'esercito di Enrico VI di Svevia e di
Roffredo dell'Isola. Successivamente a queste vicende il castello perse man mano importanza a favore di quello di Presenzano
considerato piu' strategico.
Nel 1229 il Castello di Vairano fu visitato dall'imperatore Federico II
Un documento del 1271 pero' ne prova una rivalutazione del castrum che fu racchiuso in nuove mura e fa supporre che in
questo periodo la sua configurazione passo' da quella di torrione isolato all'aspetto quadrilatero con torri angolari che, nonostante i vari
danni subiti da terremoti, guerre e conseguenti restauri e potenziamenti, ha sostanzialmente conservato fino ad oggi.
Nel 1437 Vairano fu saccheggiato dall'esercito del Patriarca Vitellesco mandato dal papa Eugenio VI. Nel 1461 i casali e il
castello conobbero la furia distruttrice dell'esercito di Marino Marzano che lasciò Vairano, secondo le cronache dell'epoca, “depopulata
et dehabitata”. Tra il 1491 e il 1503 il Castello fu completamente ristrutturato ad opera del feudatario Innico II d'Avalos.
Il borgo è circondato da mura intervallate da 14 torri. Tre porte consentono l'accesso al borgo: Porta Oliva, Porta di Mezzo o
Mezzogiorno e Porta Castello o S. Andrea.

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Figura 17 ‐ Pianta di Vairano
Il ciclo di vita dei castelli entrò in crisi poi a causa del risveglio politico-economico delle città, con la disgregazione delle
signorie rurali che ne seguì.
Mentre il sistema feudale, che trova il suo centro nel castello, si evolve a poco a poco, la città, che in Europa, e soprattutto in
Italia non era mai completamente scomparsa, lentamente e faticosamente dal sec. x in poi risorge e si sviluppa. Con la rinascita delle
città, rifioriscono le industrie, i traffici, i commerci, si forma e prospera una nuova classe sociale, la borghesia, che ad essi è legata.
Tra la seconda metà del '200 e il '300 in Italia si assiste alla trasformazione delle città a causa di una grande fioritura
dell'attività edilizia e degli interventi urbanistici.
Le città si ingrandiscono, in seguito ad un forte incremento della popolazione, molti contadini, abbandonata la campagna, si
trasferiscono in città, alcuni avviano attività artigianali, la gran parte (popolo minuto) si dedica a lavori molto umili. Mercanti, artigiani,
banchieri, professionisti, formano una nuova classe sociale, via via più ricca: la borghesia, si organizzano con le associazioni di arti e
mestieri, che diventano potentissime.
Quindi nelle città si concentra molta ricchezza, che permette la realizzazione di tutte queste opere.
Con iniziative sia private che pubbliche, le città si allargano, rinnovano le cinte murarie, le fortezze, i sistemi difensivi.
Compaiono numerose le torri, camminamenti e muri merlati.
Caratteristica fondamentale della città Medioevale è la cinta di muraria che la protegge da eventuali attacchi esterni
(soprattutto di Ungari e Normanni, i nuovi "barbari" del tardo Medioevo). Le torri sono quadrate o tonde, merlate, spesse, a più cinte,
con cammino di ronda che, in tempo di pace, è anche luogo di passeggio pubblico. Con il crescere della potenza della città le mura si
fanno via via più larghe e fortificate, ad includere i nuovi borghi sorti intorno ad essa.
La pianta della città medioevale è varia, per lo più, si adatta al luogo in cui sorge, presentando così salite e discese sia nelle
strade sia nelle piazze. Le strade sono strette, sinuose sboccano all'improvviso davanti a chiese e a palazzi. Spesso sono
fiancheggiate, su entrambi i lati, da portici che formano la parte anteriore della bottega, riparano i banchi degli artigiani e dei mercanti,
che lavorano sovente all'aperto. Fino al '600, infatti, le botteghe non hanno vetrine, perché il vetro è un articolo di lusso. Particolare
cura si ha per la pavimentazione stradale, per cui si adotta il lastricato (grandi lastre di pietra) o il selciato (piccoli selci di pietra
squadrati o ciottoli rotondi).
La pavimentazione stradale, la manutenzione e la pulizia delle strade sono compito dei cittadini.
Il nucleo civico della città medioevale, quello cioè in cui si svolge la vita sociale e politica della comunità urbana, formata da
liberi cittadini i cui doveri e diritti sono regolati dagli statuti e che svolgono la loro attività nell'ambito delle associazioni, corporazioni
delle arti e dei mestieri, è costituito da un complesso di edifici che spiccano sugli altri per la loro imponenza e per la funzione cui
debbono assolvere. Anzitutto la cattedrale in cui, nei primi tempi soprattutto della struttura urbana, la gente si raduna più
frequentemente. Davanti alla cattedrale o nelle sue vicinanze si apre la piazza del mercato, la cui importanza, con l'evolversi della città,
cresce di continuo. Nella piazza del mercato, che può avere forme diverse, si contratta ma si tengono anche riunioni pubbliche ed
assemblee. Edificio caratteristico delle città comunali è il Palazzo di Città variamente denominato, dove si tengono le riunioni e le
assemblee per il governo della città, che nei primi tempi si tenevano nelle chiese, e per l'amministrazione della giustizia.
Sorgono nuovi edifici, pubblici e privati e oltre a chiese e cattedrali, sorgono numerosi palazzi. Si fa molta più attenzione alla
loro collocazione e al loro inserimento nel tessuto urbano, nascono i primi piani urbanistici, regolamenti come quello della Piazza del

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Campo di Siena del 1309 che riguardava una certa conformità delle finestre e degli sporti verso la piazza, ma anche la regolarità delle
strade cittadine, che vengono modificate, raddrizzate.
La piazza assume un ruolo fondamentale, che rimarrà praticamente invariato fino ad oggi: è il centro della città, inteso come
centro di aggregazione sociale, di attività commerciale e politica. È il luogo dove ci si incontra nelle occasioni informali, ma anche dove
i cittadini si riuniscono nelle occasioni importanti, dove si svolgono i mercati, le feste, i comizi politici, le cerimonie religiose. In genere
le città italiane si arricchiscono di due piazze: la piazza della cattedrale e la piazza del Comune, davanti ai rispettivi edifici, e indicano
simbolicamente i due poli del potere: religioso e civile di questo periodo storico.

   

IL RINASCIMENTO
Nei secoli XI e XII, governanti illuminati riconobbero e favorirono le città, specialmente lungo il Canale della Manica e il Reno
mediante la concessione di particolari libertà e privilegi, mentre, in Italia, i comuni si conquistavano l’indipendenza. Alcuni governanti,
fondarono città in ragione del benessere che esse avrebbero prodotto, ma non si pensò affatto a pianificarne l’impianto.
Col Rinascimento, le concezioni nuove della prospettiva favorirono la presa di coscienza della strada come «veduta» e della
piazza come luogo di aggregazione: E’ l’epoca in cui vengono realizzate importanti studi e realizzazioni urbanistiche, come l’addizione
Ercule a di Ferrara dovuta A Biagio Rossetti o Pienza di Bernardo Rossellino. O vengono create ex novo alcune città come
Grammichele o come Palmanova nata con funzioni miltari.

   
Figura 18‐ Grammichele ( CT)  Figura 19‐ Grammichele 
Dopo appena tre mesi dal terremoto dell’11 gennaio del 1693 che distrusse insieme a molti altri centri della Val di Noto
anche Occhiolà, il principe Carlo Maria Carafa Branciforti fondava un suo feudo a circa 2 Km dalla collinetta di Occhiolà
“Grammichele”.
Opera dello stesso principe, coadiuvato da frà Michele da Ferla, la pianta esagonale della nuova città, unico esempio di
architettura razionale in Italia insieme alla fortezza di Palmanova.
Il perimetro è costituito da un esagono avente al centro una piazza anch’essa esagonale con gli angoli chiusi estesa mq.
8.164,80. Cinque arterie anulari si snodano attorno alla piazza centrale, sede della Chiesa Madre e del Palazzo Municipale, e da
questa si irradiano altre sei arterie perpendicolari alle prime che si immettono in altrettante piazze rettangolari ad angoli chiusi con
accesso al centro dei lati.
Queste piazze sono a loro volta generatrici di altrettanti quartieri rettangolari periferici a rete viaria ortogonale disposti

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tutt’intorno alla zona centrale esagonale. 


 

Figura 20‐ Palmanova 
Palmanova. Città fortezza costruita dai veneziani nel 1593, è chiamata la città stellata per la sua pianta poligonale a stella
con 9 punte.
Alla realizzazione del progetto partecipò un’equipe di ingegneri, trattatisti ed esperti architetti militari dell’Ufficio
Fortificazioni di Venezia fra cui il soprintendente generale Giulio Savorgnan. Il 7 ottobre 1593 fu posta la prima pietra per la
costruzione della nuova fortezza
Concepita come macchina da guerra, la sua progettazione e quindi la sua forma di stella a nove punte fu determinata da
motivi di ordine militare.Palmanova fu dotata di tre cerchie di fortificazioni: due furono realizzate durante il dominio veneto, la terza fu
invece opera dei Francesi. 

Sermoneta - La città di s.fu fondata da Vespasiano Gonzaga Colonna tra il 1554/1556 e il 1591, anno della sua morte, nel
luogo in cui sorgevano una rocca e un antico insediamento.
Posta tra i fiumi Po e Oglio, lungo il tracciato dell'antica via Vitelliana, occupava una posizione strategica nel cuore della
Pianura padana. Per Vespasiano Gonzaga Sabbioneta doveva essere soprattutto una fortezza e la potenza del suo circuito murario
la rendevano sicuramente, a quei tempi, una delle fortezza meglio munite della Lombardia.
Sabbioneta fu la capitale di un piccolo stato posto tra il Ducato di Milano ad ovest, retto in quell'epoca dal governatorato
spagnolo, il Ducato di Mantova ad est oltre il fiume Oglio, governato dai cugini di Vespasiano, e il Ducato di Parma e Piacenza dei
Farnese a sud del Po. Il territorio del piccolo stato di Sabbioneta, nella zona orientale della diocesi di Cremona, costituiva un
crocevia obbligato sia per i traffici commerciali nel medio corso del Po, sia per le comunicazioni tra la piana bresciana e l'Emilia.
La cittadina, costruita in base ai principi umanistici della città ideale, ospita al suo interno diversi monumenti tracui Teatro
Olimpico (1590) progettato da Vincenzo Scamozzi, primo edificio teatrale dell'epoca moderna costruito appositamente per tale
funzione.

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Questa è l’epoca anche di alcune interessanti sistemazioni urbanistiche come la sistemazione di Pienza e soprattutto quella
di Ferrara.
La città di Pienza, non era che un piccolo borgo fino al 1462, conosciuto col nome di
Corsignano. L'evento che cambiò le sorti di Pienza fu la nascita nel 1405 di Enea Silvio Piccolomini,
che 53 anni dopo divenne Papa Pio II. Proprio un viaggio del pontefice verso Mantova lo portò ad
attraversare il luogo di nascita e il degrado che trovò lo portò a decidere la costruzione sopra l'antico
borgo, affidandone il
progetto all'architetto
Bernardo Rossellino:
costruzione che durò
circa quattro anni e portò alla luce una cittadina
armoniosa e con forme tipicamente quattrocentesche.
La morte prematura di papa Pio II chiuse anche la

storia del comune che da allora è rimasta pressoché invariata.


Originariamente chiamata Corsignano, deve il suo aspetto alla volontà del Papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini, e al lavoro di
Bernardo Gambarelli detto il Rossellino. Il futuro Pio II infatti era nato a Corsignano-Pienza nel 1405 e quando fu eletto Papa nel 1459
decise di abbellire il suo paese natale,
Nel 1462 il Papa visitò la città, dove i lavori erano in fase avanzata, e nell'agosto dello stesso anno la elesse a città con il
nome di Pienza. Alla morte di Pio II, nell'agosto 1464, i lavori che non erano ancora terminati, furono abbandonati. Fu così che Pienza
divenne, anche se incompiuta, l'unico esempio di città del '400 costruita con piano prestabilito, la sua pianta è rettangolare.
La città fu realizzata da BERNARDO ROSSELLINO tra il 1460 e il 1464. L’architetto progettò la piazza e gli importanti edifici
affacciati su di essa - una chiesa e tre grandi palazzi - su richiesta di papa Pio II Piccolomini.
Enea Silvio Piccolomini, umanista raffinato e insigne, intrapresa la carriera ecclesiastica e divenuto Papa, volle che in questo
luogo, che aveva visto la sua nascita, sorgesse una città il cui nome ricordasse il suo papato. II Piccolomini non voleva una città
qualunque ma un centro urbano fortemente che seguisse i canoni della città ideale immaginata dagli architetti e dagli umanisti
rinascimentali. Difficile dire che cosa sarebbe diventata Pienza, se il Papa non fosse prematuramente scomparso.
Bernardo deve lavorare su un territorio relativamente piccolo ed è quindi costretto
a trovare diversi accorgimenti:in primo luogo la pizza su cui si costruisce la città è a forma di
trapezio con il lato minore che da sulla strada principale stretta da un lato dalla via
principale, che segna una lieve curva, e dal lato opposto da un dirupo.Lo spazio a
disposizione lo condizionò fortemente: un'area di piccole dimensioni, lo indusse a costruire
il Palazzo Pubblico al di là della strada e di fronte, in corrispondenza del dirupo, il Duomo.
In Pienza. Tale costruzione fa sembrare la piazza più grande perché se il nostro
campo visivo tende a convergere su un punto la forma a trapezio storto contrasta questa
tendenza. In secondo luogo le strade sono in leggera curva in modo che chi le percorre non
veda la fine di esse e quindi abbia la sensazione che siano più lunghe.
Tra i due edifici rimane uno spazio ampio poco più di 20 metri. Decide allora di
dare alla piazza non una forma quadrata ma trapezoidale, ponendo sui lati divergenti i
Palazzi Piccolomini o Papale (3) e Vescovile (4).
Per chi viene dalla via principale, perciò, la prospettiva è capovolta. Sappiamo
che secondo l'ottica naturale le parallele appaiono congiungersi all’infinito e quindi, a
Pienza, i palazzi laterali avrebbero dato l'impressione di convergere verso il Duomo,
riducendo ulteriormente le già ridotte dimensioni della piazza e 'allontanando' il Duomo sul fondo. Rovesciando la prospettiva, per
correggere la deformazione ottica, Rossellino allarga illusionisticamente la piazza e 'avvicina' il Duomo, che acquista inoltre imponenza
e monumentalità.
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Pienza è stata inserita nel 1996 nella lista dei siti patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO.

Ferrara
Si deve Ercole I d’Este il primo progetto urbanistico di ampia portata che
interessa un’intera città di medie dimensioni, un vero e proprio raddoppio della città su
principi razionali, di cui affidò la realizzazione all'architetto Biagio Rossetti. Gli scopi
principali erano essenzialmente quello di espandere l'area cittadina e quello di rinforzare
il sistema difensivo delle mura.
Il duca Ercole, ritenendo in pericolo le ville e i monasteri fuori delle vecchie
mura, a Nord della città, ritiene necessario creare una fortificazione che li proteggesse.
Successivamente, considerato il forte popolamento della città stessa e l’enorme area a
disposizione, incarica l’architetto Biagio Rossetti di impostare quello che poi darà a
Ferrara la fama di prima città moderna d’Europa.
L'opera, che fu realizzata tra il 1492 e il 1510, esaltava il prestigio della corte
estense e la metteva in competizione con le più importanti corti europee.
Il risultato urbanistico, una struttura ortogonale composta da angoli retti e linee
dritte, è rimasto ad oggi intoccato nella sua logistica e razionalità moderna. La nuova Figura 21 Palazzo Prosperi Sacrati, sul 
situazione urbanistica ferrarese fu infatti, nel panorama italiano ed europeo del tempo, la quadrivio 
più moderna e anche la più duratura
Innanzitutto fu interrato il fosso della Giovecca, facendone una larga strada che facesse da cerniera con la parte antica della
città: in corrispondenza degli sbocchi delle vie medievali fece infatti prolungamenti regolari, fondendo il vecchio e il nuovo. La nuova
parte, rifacendosi all'urbanistica romana, aveva una rete viaria ortogonale che si articolava su due assi principali.
• Un lungo viale, detto via degli Angeli, che correva da Sud verso Nord e collegava il Castello degli Este
con la Porta degli Angeli alle mura verso Belfiore (l'attuale Corso Ercole I d'Este).
• Una via lunghissima che correva da Est a Ovest collegando Porta Po e Porta a Mare presso i bastioni
delle mura, chiamata via dei Prioni e via degli Equinozi (oggi divisa in Corso Biagio Rossetti, Corso Porta Mare e Corso
Porta Po).
Il secondo asse venne particolarmente enfatizzato con una grande piazza alberata, l'attuale piazza Ariostea
Le due arterie si incrociavano, e si incrociano tutt'oggi nel celebre "Quadrivio degli Angeli" dove si affacciano il Palazzo dei
Diamanti, il Palazzo Turchi di Bagno e il Palazzo Prosperi-Sacrati

Figura 23 ‐ Palazzo dei diamanti 

L'edificio di maggior pregio era il palazzo dei Diamanti,


affacciato sul quadrivio, che deve il nome al rivestimento a bugne
appuntite, che creano un suggestivo effetto di chiaroscuro. Esso
presenta lastre decorate da candelabre in corrispondenza
dell'angolo sul quadrivio, dove si imposta anche un balcone. Gli
altri edifici sul quadrivio non ne eguagliarono l'imponenza,
concentrandosi piuttosto sulla ricerca di effetti di variazione, con
grandi portali o pilastrate d'angolo (rivestimenti marmorei
Figura 22  Scorcio del Palazzo dei Diamanti. 

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decorati, posti sugli spigoli degli edifici).

 
Figura 24 ‐ Pianta di Ferrara

Questi aspetti monumentali dell’urbanistica colpirono l’immaginazione dei principi assoluti dell’Europa sett. nel XVII e XVIII
Benché in Germania città e quartieri continuassero ad essere creati ex novo, per ricevere rifugiati religiosi come generatori di nuovo
benessere e attività (Erlangen Neuwied, Kassel; e le vane proposte di Defoe per New Forest), altrove la crescita urbana avveniva in
modo in gran parte asistematico.

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LO SPAZIO BAROCCO
Nel Quattrocento le più grandi città d'Europa non erano le capitali, ma piuttosto i grandi centri manifatturieri e commerciali
che costituivano i poli di maggiore concentrazione demografica. Nel Cinquecento, durante una fase di sviluppo economico generale, le
capitali crebbero di pari passo con le grandi città commerciali. Nel Seicento la crescita economica procede invece più spezzata, e in
molti casi si deve parlare di stagnazione o addirittura di regresso economico. Questo processo però non riguarda lo Stato
centralizzato, la cui presa sulla società si rafforza in maniera indipendente dal ciclo economico. Di conseguenza le capitali tendono a
diventare nel corso del XVII secolo le prime vere megalopoli d'Europa. Questa mutazione porta una complessa attività di
riorganizzazione urbanistica nella quale si combinano la pressione demografica, la necessità di difesa militare, l'organizzazione
funzionale dei servizi amministrativi e, non ultimo, le esigenze di rappresentazione scenografica del potere assoluto del monarca.
Nella concezione dello spazio urbano, in epoca barocca, non c’è un’idea della città come organismo unitario, la cui
organizzazione deve essere rivoltà a migliorare le condizioni di vita degli abitanti, il lavoro degli architetti è volto alla celebrazione ed
all’esaltazione dell’autorità regia o palale, i palazzi e le chiese testimoniano la potenza delle famiglie che hanno fatto la storia di Roma,
e la grandezza degli artisti a cui le hanno commissionate. Le leggi prospettiche sono usate iper moltiplicare i punti di vista. L'infinità
dell'estensione spaziale che ne risulta non è il frutto di una ricostruzione razionale, ma diviene oggetto di una sensazione indotta
nell'animo dello spettatore.
Nel colonnato di San Pietro l'osservatore è spinto dalla struttura dell'insieme a cercare un punto di vista unificante, ma non lo
può trovare perché i due bracci hanno due centri distinti, sono le porzioni di due circonferenze che si intersecano. Il linguaggio
dell'architettura in Bernini è legato all'espressione del messaggio universale della Chiesa. Il colonnato di San Pietro, come dice lo
stesso artista, doveva dimostrare di "ricever a braccia aperte maternamente i Cattolici per confermarli nella credenza, gli Heretici per
riunirli alla Chiesa, e gl'Infedeli per illuminarli alla vera fede".

   
Figura 25 Piazza del Popolo 
Figura 26  Piazza Navona 
   

   

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Covent Garden
Covent Garden, quartiere di Londra, disegnata da Inigo Jones per il conte di Bedford nel 1630, fu il primo progetto a facciate
uniformi.

 
  Figura 28‐ Inigo Jones ritratto da Anthony van Dyck
Figura 27‐  La Chiesa di St. Paul al  Covent Garden 

La chiesa di S. Paolo al Covent Garden


La chiesa di St Paus domina il lato ovest della Piazza di Covent Garden Nel 1631 , Francis Russell, conte di Bedford ,
commissionò ad Inigo Jones per progettare una piazza, circondata da palazzi nobiliari, con una cappella e quattro vie che vi
convergessero .
Jones progettò una Piazza all’Italiana, ma l'intero progetto non fu mai completato . I fondi della famiglia Russell erano scarsi
e si narra che il conte invitato da Inigo Jones a discutere della costruzione della cappella sul lato occidentale., gli disse che non
deveva costare troppo - "In breve, non voglio molto più di un fienile . " "Ebbene ", rispose Inigo , "avrete il più bel fienile in Inghilterra!”
I lavori per la costruzione della chiesa iniziarono nel 1631 , con la costruzione del Portico tuscanico sul fronte est della
Piazza. Tuttavia,poiché il vescovo di Londra , William Laud , insisté che l'altare dovesse essere contro la parete est, il portico non fu
mai stato usato e due piccole porte furono aperte su entrambi i lati. L'ingresso principale è dalla porta ovest , aprendosi nel cimitero
retrostante che affaccia sulla strada di campagna che più tardi sarebbe diventato Bedford Street.

 
Figura 29L'ingresso ovest di San Paolo e il suo giardino Figura 30 ‐ La facciata di S. Palu's su Covent Garden Piazza

   
Figura 31 ‐ St Paul's Church and the Piazza, by Wencelaus  Figura 32 ‐ Piazza Grande a Livorno in una stampa antica
Hollar

La Piazza di Covent Garden è la prima vera piazza di Londra, concepita all’italiana, come lo stesso toponimo attesta:
Covent Garden Piazza, e non square.. Una piazza intesa all’italiana, cioè pavimentata, circondata da edifici porticati, arricchita dalla
presenza di un edificio pubblico, definita in maniera unitaria. D’altra parte, il progettista della piazza ha largamente visitato l’Italia, è

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rimasto colpito dalla bellezza delle sue architetture, dei suoi Palazzi e dei suoi spazi pubblici. E questi spazi, chiaramente derivati dal
Foro Romano, volle riproporli in Gran Bretagna, fino ad allora regno incontrastato del costruire in stile gotico.

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La Ricostruzione Di Cerreto Sannita


Intorno alle ore 18,30 del 5 giugno 1688, un terribbile terremoto, classificato fra il X el'XI grado della Scala Mercalli, rase al
suolo Cerreto e la maggior parte dei paesi del Sannio
L’arcidiacono Magnati riferisce una vera strage fu tra i religiosi: “ di 80 monache francescane ve ne perirono 59; il resto di
esse tutte, sepolte nelle pietre, son rimaste storpie; dei padri conventuali, dei 12 che colà si ritrovavano in quel convento, solo due si
salvarono (…) e morti 8 tra canonici e dignità, perita la maggior parte dei preti, frati e monache, essersi salvati i cappuccini, i
seminaristi e la gente che rattrovasi pei lavori agricoli in campagna”.
Il tragico evento, se da un lato portò morte e distruzione, dall'altro consentì la nascita della nuova Cerreto Sannita con delle
caratteristiche innovative eccezionali.
I feudatari dell'epoca erano i Carafa di Maddaloni. Marzio Carafa, suo fratello Marino ed il vescovo De Bellis Essi presero una
decisione radicale: ricostruire questa cittadina più a valle rispetto al vecchio castrum. La scelta fu il frutto di una decisione molto ben
ponderata; infatti il luogo dove poi fu costruita la nuova Cerreto Sannita fu selezionato dopo un accurato esame del terreno della
zona, avvalendosi delle cognizioni scientifiche dell’epoca: alcuni periti tecnici sondarono i vari terreni e trovarono che quello dove
sorge l’attuale Cerreto Sannita fosse il più adatto, il più ricco di pietre; decisamente il nuovo luogo apparve più sicuro rispetto alla
zona del vecchio Castrum.
I Carafa quindi decisero di costruire la nuova Cerreto Sannita nella zona localizzata dai tecnici ed imposero la loro decisione
alla popolazione della vecchia Cerreto Sannita; come spesse accade in queste tragedie, la popolazione vittima del terremoto avrebbe
preferito non spostarsi, privilegiando la ricostruzione sul luogo della città andata distrutta.

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La scelta del luogo più adatto alla nuova costruzione fu dettata anche dal fatto che la vicina Cusano, che sorgeva su
banchi di roccia calcarenitica aveva subito ben pochi danni a confronto dei paesi limitrofi. Furono scelti pertanto terreni sul fondovalle,
approfondendo le fondazioni oltre gli strati argillosi superficiali, fino ad incontrare la pietra calcarea.
Da notare che non tutta la vecchia Cerreto Sannita fu distrutta direttamente dal terremoto; molte case crollarono non per le
scosse del sisma ma perché, stando più a valle, furono abbattute dal crollo delle altre case situate più in alto sulla collina, venute giù,
queste sì, per il terremoto.
Il feudatario volle costruire la nuova Cerreto Sannita chiamando i migliori tecnici dell'epoca e in particolare il regio ingegnere
Giovan Battista Manni: era nell'intenzione dell’illuminato principe barocco voler ricostruire il centro della sua contea in modo innovativo.
Il centro storico di Cerreto Sannita si presenta in tardo stile barocco, ricco di scorci suggestivi, e con una regolare pianta
urbana a scacchiera.
Tre furono gli isolati base che il Manni tenne presente, destinati ad altrettante tipologie abitative:
isolati a corte, nati per ospitare i palazzi dei signori;
isolati a spina, lunghi e stretti, per gli artigiani, gli operai ed il ceto meno abbiente;
isolati a blocco, per ospitare gli edifici di culto e del clero.
Si notano, diversi accorgimenti antisismici nella costruzione della nuova Cerreto: murature molto spesse, larghe fino a circa
un metro, capaci di resistere agli spostamenti di tipo orizzontale di una scossa sismica;; una particolare distribuzione degli ambienti
interni delle case, con la cucina al piano superiore e le camere da letto al pianoterra, in modo che fosse più agevolata l'uscita in caso di
sisma notturno; infine, le strade larghe, e la dislocazione di tre grandi piazze nelle parti centrali, meridionale e settentrionale della
cittadina

Figura 33 Le strade "squadrate" della nuova Cerreto Sannita 
in una mappa parziale del '700 della cittadina

Cerreto Sannita fu quindi costruita sfruttando le cognizioni architettoniche più all'avanguardia all'epoca: l’architetto Manni
tracciò pertanto tre strade parallele, una delle quali riprendeva il percorso della strada che provenendo dalla Cerreto medioevale
arrivava poi sino a Telese e quindi a Napoli. Queste strade venivano poi intersecate da stradine perpendicolari.
Questa struttura costituita da strade ampie e parallele e da larghi era in netto contrasto con la struttura del vecchio castrum
medievale che era stato, alla pari di tutte le cittadine medioevali, costituito da strade strette e affiancate da grossi e alti palazzi.
Le strade sono di due tipi: strade principali di 10-12 m e strade secondarie di 6-7 m.
Nel 1696, solo otto anni dopo il terribile terremoto, il Vescovo Mons. De Bellis scrisse che gran parte della cittadina era
completata e che ogni cittadino aveva la propria casa In caso di sisma il nuovo disegno prometteva ben altra resistenza e sicuramente
danni minori.
Nella costruzione dei palazzi si pose grande attenzione: le case furono costruite con un solo piano superiore a quello a
piano terra. Quello di terra era costruito con mura perimetrali fatte da pietre squadrate; il secondo piano invece presentava pareti
costruite da tufi per dare una minore pesantezza allo stabile.
Le raccomandazioni dei trattatisti dell’epoca consigliavano di tenere basso il centro di gravità ed alla stessa altezza sui fronti
opposti , agendo opportunamente sulla disposizione delle aperture. A dare maggior resistenza si è osservato che le murature di testa
degli isolati mancano in di aperture.

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Dal punto di vista architettonico, provenendo molti di questi periti, tecnici e ingegneri da Napoli, molti palazzi della nuova
Cerreto Sannita rispecchiano poi, in piccolo, i palazzi napoletani di stile barocco.
Gli isolati erano composte da case con diverse tipologie secondo il ceto sociale del proprietario, case a corte per i possidenti
ed unità minime per i lavoratori, il cui piano terra era destinato ad ospitare i telai. In genere queste unità sono poi state accorpate nel
tempo modificando l’organizzazione dell’abitato.
Successivamente alla ricostruzione il feudatario dovette affrontare un problema "sociale": infatti, come già accennato prima, i
pochi sopravvissuti, circa 2.000 rispetto ad altrettanti morti, non volevano trasferirsi, perché intendevano ricostruire le proprie
abitazioni nella stessa zona dove sorgeva la vecchia Cerreto Sannita. Ma il feudatario s'impose anche con la violenza arrivando a
incarcerare i più i riottosi.
Ci si può domandare perché il
feudatario fu tanto deciso: sicuramente per un
motivo etico, da principe illuminato che
intendeva ricostruire seguendo nuove
tecniche e nuove idee; ma fu mosso
probabilmente anche da interessi economici.
Nella Cerreto Sannita medioevale l’economia
era imperniata sulla lavorazione dei panni di
lana; nella cittadina vi erano quartieri dove
si producevano questi panni, così come vi
erano diverse tintorie che li lavoravano:
questi opifici erano gestiti da semplici cittadini
di Cerreto Sannita, si direbbe oggi da privati,
e si affiancavano a quelli gestiti dal
feudatario. Nella nuova Cerreto il feudatario
stabilì invece che la produzione e la
successiva lavorazione dei panni dovessero
essere gestite solo da lui!
La stessa cosa avvenne anche per
le "osterie", una specie di alberghi presenti
nella vecchia Cerreto, anche queste a gestione privata. Nella nuova, invece, il feudatario stabilì che le osterie sarebbero state gestite
solo da lui.
Da sottolineare che con la ricostruzione si riversò a Cerreto una gran quantità di maestranze dai comuni vicini, da Napoli,
dall’hinterland napoletano, e addirittura da Como (gli stuccatori): questo perché gli operai e artigiani locali erano in gran parte
scomparsi a seguito del sisma.
Gestire le osterie e offrire alloggio agli ospiti si rivelò pertanto un ottimo business per l'illuminato e accorto principe!
 

 
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Bath
A Bath, i Woods arricchirono il vocabolario di piazze e
strade col Circus e col Crescent.
Nell'antichità la città di Aquae Sulis, oggi Bath, era
conosciuta per le sue terme costruite dai romani intorno al 43 d.C.,
anche se sembra esistesse un insediamento precedente: infatti da
alcuni scavi compiuti risulta che delle terme più antiche fossero
state costruite dai Celti e che nelle loro adiacenze fosse stato
costruito un santuario dedicato al dio Sole. Pertanto è possibile
pensare che le acque sulfuree che scorrono sotto la città siano
utilizzate da oltre 2500 anni. Le acque di queste terme vengono
chiamate Aquae Sulis. Nel corso degli anni, la città passò per vari
conquistatori, finendo infine sotto il dominio dei Sassoni che le
diedero il nome attuale. Le Terme di Bath Spa (altro nome della
città) sono le più importanti di tutta la Gran Bretagna.
Le terme romane furono costruite ai tempi
dell'imperatore Vespasiano, nel 75 d.C, erano conosciute in tutto
Figura 34 ‐ Il Crescent
l'Impero Romano e frequentate da gente di ogni classe sociale.
La costruzione dell'attuale centro storico avvenne nel XVIII secolo, in stile Georgiano, per soddisfare il crescente bisogno di
benessere e comfort da parte dei visitatori delle terme. Aspetto caratteristico della nuova Bath è il Royal Crescent con il vicino Circus,
ideati da John Wood il Vecchio e realizzati da John Wood il Giovane tra il 1754 ed il 1774. Essi rappresentano il sogno visionario del
suo progettista di dare un aspetto neo-classico e palladiano alla città di Bath.
Figura 35 ‐ Uno scorcio del Crescent 

Fig
ura 36 ‐ La città romana di Bath

 
Figura 37‐ veduta del Crescent 

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S.Pietroburgo (Terza Roma)


La città di San Pietroburgo è nata nel 1703 per decisione di Pietro il Grande costruita dal nulla con criteri urbanistici
completamente diversi dalle altre città russe.
San Pietroburgo venne fondata per divenire la nuova capitale della Russia zarista. In virtù della sua posizione sul Mar Baltico
era una finestra sull'occidente, che permetteva gli scambi commerciali e culturali. L'obiettivo era tra l'altro quello di fare della Russia
uno dei principali partners commerciali della Gran Bretagna. La città si prestava inoltre a divenire la principale base della marina di
Pietro il Grande, protetta dall'isola-fortezza di Kronstadt. Prima di San Pietroburgo la base per il commercio verso il resto dell'Europa
era la città di Arcangelo.
L'edificazione della città, che avvenne contestualmente alla bonifica delle paludi, venne affidata ad architetti torinesi, come
testimoniano d'altronde le notevoli somiglianze tra le due città. Secondo alcune stime morirono per l'intera esecuzione dell'opera circa
30.000 persone.
Pietro il Grande che vedeva la Russia e Mosca come capitale del mondo ortodosso in un ideale successione al ruolo svolto
da Bisanzio fino all’invasione Turca, immagino la nuova città come una terza Roma, dopo la caduta di Roma Imperiale e della caduta
di Costantinopoli. Nel 1724, per l'incoronazione a imperatrice della moglie Caterina, Pietro fa coniare medaglie in cui è effigiato in veste
di antico romano
La lontananza geografica, la diversità del percorso storico e l'episodicità dei contatti diretti non avevano impedito alla Russia
di avere anch'essa Roma tra i suoi modelli culturali e di sviluppare un proprio mito romano.
Il legame con Roma si rafforza dopo la caduta di Costantinopoli, allorché viene formulata la teoria di 'Mosca Terza Roma',
che porta ad adottare alcuni segni della romanità, quali l'appellativo di zar (car'), che etimologicamente deriva da caesar, l'insegna
imperiale dell'aquila bicipite, simbolo di matrice romana (l'aquila monocipite era l' insegna delle legioni durante l'età repubblicana)
adottato sia dall'Impero Romano d'Oriente, da cui trapassa in Moscovia dopo la caduta di Costantinopoli e il matrimonio di Zoe
Paleologo con Ivan III, sia dal Sacro Romano Impero. Dal Seicento in poi la cultura russa sarà sempre più sensibile e ricettiva nei
confronti del mito di Roma.
La sua ferrea volontà di europeizzare il Paese trovò l'espressione più durevole in Pietroburgo (Sankt-Peterburg), la città da
lui fondata nel 1703 e voluta come nuova capitale. Doveva essere il segno, reso perenne dalla pietra, ma vivo e dinamico, della
volontà sua e della Russia di voltare le spalle alla tradizione anticorussa. E doveva essere una Terza Roma
Nella sua biblioteca personale figuravano testi tecnici di architettura militare, di giardini e di architettura civile, tra gli altri,
anche testi di Vitruvio, Palladio e Leon Battista Alberti. Nel 1709, al fine di formare il gusto artistico-architettonico della società russa,
egli fa tradurre in russo il trattato del Vignola Regola delli cinque ordini d'architettura (1562), che codificava e sintezzava il lessico
architettonico classico in una sorta di prontuario, e fa allegare alla traduzione un foglio con un dizionario bilingue italiano-russo dei
termini architettonici, approntato dall'architetto Giovanni Maria Fontana .
La natura urbanistica della città è rimasta pressoché immutata fino ai fatti rivoluzionari del '17, che hanno determinato una
redistribuzione degli abitanti
nel contesto abitativo dato.
Il PALAZZO D’INVERNO
L'attuale palazzo
venne disegnato da diversi
architetti, di cui il più
notabile fu indub-biamente
Bartolomeo Rastrelli che
inaugurò il termine di
Barocco elisabettiano per i
lavori che svolse proprio qui
per conto della zarina
Elisabetta. Il palazzo ha la
forma di un rettangolo
bianco e verde e si è
calcolato che esso dispone
di 1.786 porte, 1.945
finestre, 1.500 stanze e 117
armadi. La sua facciata
principale è lunga 500 metri
e larga 100 metri. La
ricostruzione del 1837
Figura 38 ‐ S.Pietroburgo  lasciò gli esterni illesi, ma
gran parte degli interni vennero ridisegnati con varietà di gusti e stili, lasciando che però a prevalere fosse un recupero di stile Rococò,
seguendo il progetto del Rastrelli."

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Bartolomeo Francesco Rastrelli (nato nel 1700 circa) era figlio di uno scultore veneziano Carlo Bartolomeo Rastrelli (1675-
1744). che aveva già lavorato per la corte russa. L'architetto dopo alcune brevi esperienze in Italia, Francia, Austria ecc. si trasferì in
Russia su richiesta di alcuni nobili dove giunse in Russia nel 1715. La prima importante commissione arrivò nel 1715 quando gli
venne chiesto di costruire un palazzo per il principe Dmitri Kantemir, originariamente il governatore della Moldavia. Rastrelli fu scelto
come architetto principale di corte nel 1730. Ebbe il favore dei monarchi di sesso femminile del suo tempo, così mantenne l'incarico
durante i regni delle imperatrici Anna (1730-1740) ed Elisabetta (1741-1762).
Ciò accadeva poco prima dell'avvento della zarina Elisabetta che successivamente lo nominò architetto ufficiale.
L'artista, oltre che da Elisabetta, ebbe poi incarichi anche dalla zarina Caterina II (la principessa di origine tedesca che riuscì
a prendere il potere con un colpo di stato ai danni del marito Pietro III ).
Rastrelli, tenendo conto delle particolari tradizioni locali che aveva approfondito durante alcuni viaggi, introdusse in Russia
forme barocche occidentali sviluppando tuttavia un nuovo stile: il c.d. "barocco russo" o "barocco petrino"
I suoi più importanti lavori, oltre al Palazzo d'Inverno a San Pietroburgo, il Palazzo di Caterina a Carskoe Selo, celebri per la
stravaganza del lusso e per l'opulenza delle decorazioni.
Ma l’Imperatrice Caterina II considerava l'architettura barocca come una "panna montata" fuori moda, così il vecchio
architetto dovette ritirarsi in Curlandia dove supervisionò la decorazione dei palazzi ducali. I suoi ultimi anni trascorsero nell'oscuro
commercio con i trafficanti d'arte italiani. Fu accolto all'Accademia Imperiale delle Arti alcuni mesi prima di morire. Dal 1923, una
piazza prospiciente il convento Smolny porta il suo nome.
 

Figura 39 ‐ Il Palazzo d'Inverno 

 
Figura 40 ‐ Prospetto del palazzo d'inverno

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Nella capitale nordica, negli anni Settanta del Settecento viene realizzato un secondo 'tridente' sull'Isola Vasilij, nella
Peterburgskaja Storona, orientato verso la Fortezza dei Ss. Pietro e
Paolo. Si crea così un sistema simmetrico di due 'tridenti', il cui asse
coincide con la Neva.
L'imperatrice Caterina si faceva mandare dall'Italia vedute su
vedute di Roma e disegni e riproduzioni di monumenti celebri, tra cui
moltissimi romani: la Farnesina, Villa Madama, Villa Adriana, le Logge di
Raffaello. Nel Palazzo di Carskoe Selo un decoratore italiano, il Volpato,
le aveva decorato una stanza con richiami alle Logge vaticane. Caterina
volle anche avere copia a grandezza naturale degli originali raffaelleschi
delle Logge, che fece porre, nella medesima disposizione degli originali, in
una galleria costruita ad hoc: le celebri Logge di Raffaello, corpo aggiunto
al Palazzo d'Inverno (25). Ivan Starov (1745-1808), il primo vero e proprio
architetto neoclassico russo, fu sostituito, "perché non abbastanza
romano" (26), da Charles Cameron, un architetto scozzese che era stato
a Roma nel 1768 e aveva pubblicato una raccolta di progetti di
ricostruzione e di incisioni delle terme imperiali: The Baths of the Romans
(1772).

Il modello 'romano' a cui si ispira la nuova capitale risulta


talmente evidente agli occhi dei poeti dell'epoca, che questi iniziano a
celebrarla come "nuova Roma": non solo i mediocri panegiristi, ma anche
i migliori talenti letterari. Ancor prima che si dispiegassero i fasti Figura 41  Il tridente di  S. Pietroburgo 
architettonici 'romanizzanti' di Caterina II, nel 1756 il poeta Michail Lomonosov (1711-1765) aveva cantato all'indirizzo di Elisabetta
Petrovna:
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"Senza distruggere regni, Tu edifichi Roma in Russia,


Un esempio è il Palazzo Reale: chi lo vede ne stupisce
E dice: presto Roma si vergognerà di fronte a noi" (28).
Il modello architettonico romano fu attualizzato a Pietroburgo non solo dalle realizzazioni dei nostri connazionali, ma anche
da quelle di architetti di altre nazionalità, molti dei quali ammiratori della Città eterna che a Roma avevano o ricevuto la formazione, o
fatto esperienze di lavoro. La 'romanizzazione' della capitale era vista dai sovrani come fattore di europeizzazione della città e del
paese e come tale promossa e incoraggiata.
Nel 1768 Caterina II commissionò a Antonio Rinaldi, suo architetto di corte, nato a Palermo e formatosi a Roma, il progetto
del Palazzo di Marmo (Mramornyj dvorec)

 
Figura 42 A. Rinaldi, Il Palazzo di Marmo, San Pietroburgo

Il palazzo, completato solo nel 1785, aveva come modello il Palazzo Chigi-Odescalchi di Piazza Ss. Apostoli, a Roma,
realizzato tra XVI e XVIII secolo. Ai lavori si erano succeduti gli architetti Giacomo della Porta (1533-1602), Carlo Maderno (1556-
1629), Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), Nicola Salvi (1697-1751) e Luigi Vanvitelli (1700-1773). La facciata a cui il Bernini aveva
applicato una soluzione formale nuova, rivoluzionaria per il palazzo gentilizio barocco, era destinata a diventare un autentico 'motivo
vagante' architettonico. Ad essa si erano ispirati, nel 1693, l'architetto Fischer von Erlach per un progetto del castello di Schönbrunn a
Vienna; nel 1721, il palladiano Giacomo Leoni per la Queensberry House di Londra, e, nel 1738, Giacomo Sacchetti per il Palazzo
Reale di Madrid (33). La similarità del palazzo Chigi-Odescalchi e del Palazzo di Marmo è evidente tanto negli elementi strutturali
quanto in quelli decorativi: la facciata monumentale si erge sopra uno zoccolo di bugnato; sopra il primo ordine, contrassegnato da una
serie di finestre, si sviluppa un secondo ordine scandito da lesene di ordine gigante, tra le quali si aprono due file di finestre. Sopra la
cornice aggettante corre una balaustra

 
Figura 43 Palazzo Chigi‐Odescalchi, Roma 

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Figura 44 Voronichin, la Cattedrale della Madonna di Kazan', San Pietroburgo Acquerello di B. Paterssen 

  
Figura 45 L. Rusca, progetto della chiesa del Reggimento 
Belozerskij.  Figura 46 Roma : il Panteon 

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Figura 47 Arco di Costantino, Roma  Figura 48 Arco di Narva, San Pietroburgo. Acquerello di K. Beggrov 

Figura 49 A. Montferrand, Colonna di Alessandro, San 
Pietroburgo .   Figura 50 Colonna Antonina, Roma,   

Figura 51  R. Klejn, Ponte Borodino, Mosca (particolare)  Figura 52 Tempio di Vesta nel Foro, Roma.    

 
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La costruzione di Washington D.C.


Dopo la Dichiarazione di Indipendenza, le controversie esistenti tra i diversi stati (Philadelphia e New York in primis)
imposero la creazione di una nuova capitale che non facesse torto a nessuna delle città esistenti. Il Mariland e la Virginia donarono
parte del loro territorio per un totale di 179 km quadrati, per la creazione del District of Columbia, sul quale sarebbe sorta la nuova
capitale degli intitolata a George Washington, primo presidente degli Stati Uniti d'America.
Dopo la Dichiarazione di Indipendenza, le
controversie esistenti tra i diversi stati (Philadelphia e New
York in primis) imposero la creazione di una nuova capitale
che non facesse torto a nessuna delle città esistenti. Il
Mariland e la Virginia donarono parte del loro territorio per
un totale di 179 km quadrati, per la creazione del District of
Columbia, sul quale sarebbe sorta la nuova capitale degli
intitolata a George Washington, primo presidente degli
Stati Uniti d'America.
Nel 1791, il Presidente Washington scelse
L'Enfant per progettare la nuova capitale federale sotto la
supervisione di una commissione di tre membri. L'incarico
prevedeva lo sviluppo di una città su un territorio di circa
dieci miglia quadrate che successivamente sarebbe stato
battezzato Distretto di Columbia. L'Enfant arrivò per i
sopralluoghi a Georgetown il 9 marzo 1791 e presentò
Figura 53 La mappa di L'Enfant. Progetto iniziale di Washington 
ufficialmente il suo progetto a George Washington il 19
agosto dello stesso anno. Nel novembre del 1791 firmò un
contratto per la fornitura di marmi e pietre dalle cave di Wigginton Island e di Aquia Creek in Virginia, con l'intenzione di cominciare i
lavori per il Campidoglio.  

   
Figura 54 ‐ Colonna di Washington a Baltimora  Figura 55 Washington Park (New York) 

Il suo carattere difficile e la sua ostinazione sul fatto che il progetto della città si dovesse sviluppare come un insieme
organico, misero ben presto L'Enfant in conflitto con la commissione che sovraintendeva i lavori. In particolare i membri della
commissione volevano avere il controllo dei fondi stanziati per la costruzione degli edifici federali. Thomas Jefferson si schierò a favore
della commissione e, come risultato del conflitto, George Washington licenziò L'Enfant nel marzo 1792, prima che l'architetto franco-
americano potesse dare alle stampe il suo progetto.
In ogni caso Washington possedeva una copia del piano originale di L'Enfant, che ora è conservata alla Biblioteca del
Congresso. Il piano è firmato con il nome “Peter Charles L'Enfant” racchiuso in un ovale nell'angolo superiore sinistro, come
prescrivevano le consuetudini del tempo. Subito dopo il licenziamento di Pierre L'Enfant i membri della commissione incaricarono del
progetto urbanistico per la capitale i topografi Andrew e Joseph Ellicott che si erano occupati delle prospezioni per i confini del Distretto
di Columbia. Andrew Ellicott compì una revisione del progetto di L'Enfant e poi lo fece pubblicare e distribuire. La versione di Ellicott
divenne dunque la base definitiva per lo sviluppo di Washington D.C.

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L'Enfant non fu mai pagato per il suo lavoro e cadde in disgrazia, sprecando gran parte del resto della sua vita nel tentativo
di convincere il Congresso a pagare quello che pensava gli fosse dovuto per il progetto. Nel 1812, gli fu offerto in contropartita un
posto da professore di ingegneria all'accademia di West Point, ma egli preferì declinare. L'Enfant morì in povertà e fu seppellito nei
possedimenti di un amico a Prince George County, nel Maryland.

     
Figura 56 ‐ Pantheon  (Washington)  Figura 57 Bramante  Figura 58 Basilica S. Pietro 
Tempietto di S. Pietro in 
Montorio (Roma) 

 
Figura 59 Obelisco di Washington D. C. Figura 60 L'obelisco  Figura 61 Obelisco di piazza S. Pietro 
Lateranense

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Figura 62 a Casa Bianca  Figura 63 Villa Capra detta La Rotonda di A. Palladio; Vicenza 

LA CITTA’ INDUSTRIALE
Minimi erano i provvedimenti impliciti in tali schemi per le numerosissime folle, sempre crescenti, di proletari urbani, attirati
dalla campagna dalla rivoluzione industriale, o respinti dalla modernizzazione dell’economia agricola, e costretti all’occupazione
sempre piú intensiva dei quartieri piú antichi delle città. Gli industriali potevano offrire case e costruire persino città nuove
(Middlesbrough, Decazeville) per procurarsi mano d’opera; ma costruivano per standards, o dimensionamenti, minimi, creando file di
case sovrapposte e l’una all’altra addossate, prive di spazio. Per i pensatori più progrediti, come Robert Owen (che aveva cercato di
costituire una comunità presso l’insediamento industriale da lui acquisito a New Lanark) e Fourier, l’unico rimedio sembrava quello
della creazione di comunità del tutto nuove in campagna, pianificate fino all’ultimo dettaglio, autosufficienti e a proprietà collettiva.
Nessuno di questi tentativi riuscí mai a sopravvivere all’attuazione pratica.
Le ferrovie, specialmente in Inghilterra, favorirono la fuga delle classi privilegiate, dalla sporcizia e dall’affollamento delle città
industriali alle ville nei suburbi e nelle tenute. La necessità di spazio e di un ambiente più piacevole per tutti venne riconosciuta nella
creazione di parchi pubblici nonché dalla creazione di intere città in aperta campagna, con profusione di spazi e addirittura giardini per
i propri dipendenti, da parte degli industriali piú illuminati
La nascita e lo sviluppo dei villaggi operai in Europa, specie quelli che si raccolgono attorno ad un’unica attività industriale e
nel nome di un capitalista titolare, caraterizzanonon solo la crescita industriale inglese, ma anche lo sviluppo industriale di molte città
Europee, e tra queste la costruzione del borgo di S. Leucio in Caserta precorse i tempi, intendendosi con esso porre in pratica ai
principi umanitari dell’Illuminismo.
San Leucio era sede di un casino di caccia dei conti Acquaviva di Caserta noto come Palazzo del Belvedere, oggi restaurato.
Quando, nel 1750, i possedimenti degli Acquaviva passarono ai Borbone di Napoli, San Leucio divenne sede delle seterie reali.
Il re Carlo di Borbone, consigliato dal ministro Bernardo Tanucci, pensò di formare i giovani del luogo mandandoli in Francia
ad apprendere l'arte della tessitura, per poi lavorare negli stabilimenti reali. Venne così costituita nel 1778, su progetto dell'architetto
Francesco Collecini, una comunità nota come Real Colonia di San Leucio, basata su uno statuto apposito del 1789 che stabiliva leggi
e regole valide solo per questa comunità. Alle maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi, piemontesi e
messinesi che si stabilirono a San Leucio richiamati dai molti benefici di cui usufruivano i lavoratori delle seterie. Ai lavoratori delle
seterie veniva infatti assegnata una casa all'interno della colonia, ed era inoltre prevista anche per i familiari la formazione gratuita e
qui il re istituì difatti la prima scuola dell'obbligo d'Italia femminile e maschile che includeva discipline professionali, e le ore di lavoro
erano 11, mentre nel resto d'Europa erano 14. Le abitazioni furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell'epoca,
per far sì che durassero nel tempo (infatti ancora oggi sono abitate) e fin
dall'inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici. Le donne
ricevevano una dote dal re per sposare un appartenente della colonia,
anche se a disposizione di tutti vi era una cassa comune "di carità", dove
ognuno versava una parte dei propri guadagni. Non c'era nessuna
differenza tra gli individui qualunque fosse il lavoro svolto, l'uomo e la
donna godevano di una totale parità in un sistema che faceva perno
esclusivamente sulla meritocrazia. Era abolita la proprietà privata,
garantita l'assistenza agli anziani e agli infermi, ed era esaltato il valore
della fratellanza.
Si trattò di un esperimento sociale, nell'età dei lumi, di assoluta
avanguardia nel mondo, un modello di giustizia e di equità sociale raro
nelle nazioni del XVIII secolo e non più ripetuto così genuinamente
nemmeno nelle successive rivoluzioni francese e marxista.

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Il re Ferdinando IV di Borbone aveva molto a cuore la colonia e progettò di allargarla anche per le nuove esigenze industriali
dovute all'introduzione della trattura della seta e della manifattura dei veli, quindi per costruirvi una nuova città da chiamare
Ferdinandopoli concepita su una pianta completamente circolare con un sistema stradale radiale ed una piazza al centro per farne
anche una sede reale, non vi riuscì ma nei quartieri annessi al Belvedere mise in atto un codice di leggi sociali particolarmente
avanzate, ispirate all'insegnamento di Gaetano Filangieri e trasformate in leggi da Bernardo Tanucci.
Il progetto si interruppe a causa della rivoluzione del 1799, della discesa di Napoleone Buonaparte in Italia e della nascita
della Repubblica Partenopea. Tuttavia durante il governo francese di Gioacchino Murat dal 1808 al 1815 San Leucio ebbe comunque
un ulteriore sviluppo industriale.
In seguito alla Restaurazione il progetto della neo-città venne accantonato, anche se si continuarono ad ampliare industrie
ed edifici, tra cui il Palazzo del Belvedere. Il progetto utopico del re Ferdinando finì con l'unità d'Italia quando tutto venne inglobato nel
demanio statale.
Il progetto per lo sviluppo dell’Edificio della Seta va direttamente collegato al complesso ed ambizioso programma
urbanistico promosso da Ferdinando IV con la creazione di Ferdinandopoli.
Tale programma, che rispondeva ad un preciso piano regolatore, prevedeva l’allargamento dell’esperimento sociale e
produttivo della Colonia di San Leucio, e la sua espansione a livello territoriale, prefigurando nella vagheggiata Ferdinandopoli una
vera e propria grandiosa città operaia gravitante attorno all’industria serica. Aveva il suo centro in una gran piazza circolare da cui a
raggio partivano tutte le strade, nella parte settentrionale era prevista una cattedrale e, nella parte opposta, il teatro.
Esecutore materiale del piano è Francesco Collecini che, dopo la morte del Vanvitelli, rimane, assieme a Carlo Vanvitelli,
l’architetto e la figura più autorevole nell’ambiente disciplinare napoletano.

L’URBANISTICA E LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE IN INGHILTERRA.


Con lo sviluppo delle industrie nelle vicinanze delle fonti di energia o nei luoghi di reperimento della materia prima, gli strati
più bassi dei lavoratori agricoli cercano di permanere in campagna dove nasce la tipologia edilizia delle future città operaie. “Il fiorire in
quegli anni di una vasta pubblicistica sul tema dei cottages documenta la trasformazione strutturale in atto in Inghilterra concomitante
al movimento di riforma della agricoltura connesso alle ‘enclosures’, alla vendita dei beni comunali e alla realizzazione di campi”.
Le fabbriche sorsero in tutta l'Inghilterra, in particolare nelle regioni settentrionali e occidentali, più ricche di carbone e di
ferro. Intorno alla fabbrica prosperavano tutte le attività utili per il sostentamento e per le necessità quotidiane di un numero sempre
crescente di operai, impiegati, addetti ai servizi (cioè persone che, si dedicano non alla produzione, ma all'organizzazione). Nei pressi
si stabilì una folta schiera di artigiani (sarti, calzolai, panettieri), piccoli e grandi commercianti. Il settore impiegatizio, in forte
espansione, richiedeva personale sempre più qualificato e preparato a rispondere alle esigenze di una città che si ingrandiva. Lo stile
di vita cambiò completamente, ma le città non erano strutturate in modo da ricevere un numero sempre crescente di abitanti.
All'incremento demografico urbano non corrispose un adeguato sviluppo urbanistico: vennero occupati tutti gli spazi liberi (piazze e
giardini compresi) e costruiti nuovi quartieri formati da una massa disordinata di edifici con strade strette, contorte e sporche, quasi
sempre prive dei più elementari servizi igienici. Le case erano abitate dalle cantine sino alle soffitte, e spesso in una sola stanza si
affollavano tre generazioni. Tuttavia, nonostante le pessime condizioni degli alloggi, gli affitti erano altissimi a causa dell'enorme
richiesta, conseguente al continuo afflusso di lavoratori che abbandonavano la campagna per la città.
Il dibattito sull’abitazione operaia ebbe inizio in area anglosassone. Origini e sviluppi dei villaggi operai sono interessati da un
insieme di studi sul cottage, in cui viene affermata la bontà della soluzione della casetta unifamigliare con orto.
Fin dal 1781 John Wood il giovane aveva pubblicato A series of plan for cottages or habitations of the labourer, e nel 1849 -
50 C.
La strategia di intervento considerata ottimale era, infatti, quella del cottage a tre stanze costruito in periferia dove le aree
erano meno costose. E’ soprattutto sul tema del cottage e su tutte le sue possibili variazioni in pianta, in alzato, i diversi tipi di lotto e i
diversi posizionamenti dell’edificio nel lotto stesso, la forma dell’orto - giardino, gli affacci che si esercitano manuali e trattati .
Cronologicamente, ancor prima degli scritti degli utopisti, di cui Owen è il principale esponente, e di cui si tratterà nel seguito,
ci fu la prassi dei numerosi capitani di industria inglesi che costruirono villaggi operai dalla fine del sec. XVIII, per attrarre la
manodopera necessaria al funzionamento delle fabbriche e per garantirne la stabilità. Uomini in grado di guardare lontano in un
periodo di rapido cambiamento sociale ed economico, in una fase di eccezionale sviluppo dell’industria tessile, che però richiedeva
una nuova disciplina di lavoro per maestranze che avevano abitudini, attitudini e mentalità preindustriali. Nei fondatori britannici il
dualismo città - campagna è sempre presente, e sono particolarmente sensibili all’esigenza di coniugare, in un ordinato assetto
urbanistico, industria e agricoltura, forse anche perché avevano sotto gli occhi, più di quanto potesse accadere in qualsiasi altro Paese
europeo, le conseguenze dello sviluppo urbano – industriale.
Il caso inglese più noto è il villaggio operaio di Saltaire (1851) dell’industriale laniero Sir Titus Salt.

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Figura 64 ‐ La fabbrica e il villaggio di Saltaire

L’impianto elementare, che farà da modello per i villaggi operai successivi, era formato da circa ottocento case e da un
insieme di servizi quali la scuola, l’ospizio, bagni pubblici, lavanderia, parco pubblico e chiesa, inframmezzati da alcune piazze alberate
che rendevano l’insieme più variato. Fabbrica e residenze erano divise dalla linea ferroviaria, e dal parco. Sul versante destro erano
posti i servizi. I nastri di maggior traffico tenuti sul perimetro, e la rete viaria interna all’abitato era loro ortogonale.

Le proposte urbanistiche di Owen


Robert Owen (1771-1858) è il primo e il più significativo tra i socialisti utopisti. Comincia a lavorare a dieci anni come
commesso di negozio a Londra; nel 1789 apre una piccola industria tessile. Il successo di questa gli permette di acquistare dieci anni
dopo, nel 1799, le filande di New Lanark in Scozia.
La sua mentalità è strettamente legata alla sua esperienza di dipendente prima, e di capitano d'industria poi; si rende conto
che il modello di self-made man teorizzato dagli economisti è un'astrazione, in quanto le condizioni ambientali non possono non
influenzare gli individui: l'ambiente quindi deve essere costruito a servizio dell'uomo, prima di pensare a qualsiasi vantaggio
economico, individuale e collettivo.
Owen sperimenta questa sua idea nella gestione delle filande di New Lanark, iniziata simbolicamente il 1° gennaio del 1800.
Queste diventano una fabbrica modello grazie all'introduzione di nuovi
macchinari, buoni salari, abitazioni salubri e alla costruzione presso la fabbrica
un asilo infantile, il primo in tutta l'Inghilterra; una parte dei profitti industriali
viene destinata al miglioramento delle condizioni di vita degli operai. Egli
istituisce inoltre nel 1816 un singolare centro di servizio, chiamato Istituzione
per la Formazione del Carattere.
Il modello fisico proposto da Owen nel 1817 consiste in un
insediamento di circa 1.200 persone, circondato da 1.000-1.500 acri di
terreno. La pianta del villaggio è costituita da una grande unità edilizia
quadrilatera, diviso al suo interno in settori dagli edifici pubblici (cucina
pubblica, depositi, scuola e biblioteca). Tre lati del quadrilatero perimetrale
sono destinati alle case, il quarto ai dormitori per tutti i bambini che eccedano i
due per famiglia, o che abbiano più di tre anni. All'esterno del quadrilatero orti
e giardini, circondati da strade e «al di là di questi, abbastanza distanti per
essere schermati da una zona alberata, sorgeranno i laboratori e le industrie».
Il piano viene ulteriormente illustrato nel 1820 (R. Owen, Report to the County
of Lanark, 1820). Questa proposta di Owen è il primo piano urbanistico
moderno sviluppato in ogni sua parte, dalle premesse politico-economiche al
programma edilizio e al preventivo finanziario.
Quanto alla realizzazione effettiva di queste proposte, Owen sostiene che esse possano interessare i singoli imprenditori, le
società industriali, ma anche le stesse autorità pubbliche. Egli quindi si impegna in un'assidua opera di propaganda, presentando le
sue proposte a tutti i grandi personaggi del suo tempo: al futuro zar Nicola I in visita a New Lanark, a Napoleone I confinato all'isola
d'Elba, all'imperatore di Russia Alessandro I durante il congresso di Aquisgrana, oltre che ai governanti del suo paese. Ma il mancato
successo dei suoi tentativi lo convince a tentare di persona.

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Al corrente delle esperienze già condotte negli Stati Uniti, decide di fondare una comunità cooperativa in America. Nel 1825 acquista
da una setta protestante un terreno di 30.000 acri nell'Indiana, per 190.000 dollari. Il villaggio viene ribattezzato New Harmony. Owen
vi attira molti uomini di cultura americani ed un gruppo di scienziati e di educatori. Tuttavia ben presto si aprono dissidi e contrasti nella
gestione, dovuti in parte all'intransigenza di Owen, che
sfociano nella secessione di individui e gruppi che fondano
una comunità autonoma chiamata Macluria. Owen abbandona
quindi la colonia nel 1828, lasciandone la direzione ai figli.
Contemporaneamente vedono il fallimento anche le iniziative
prese da seguaci di Owen a Orbiston in Scozia (nel 1826), ed
a Ralahine in Irlanda (nel 1831).

Tornato in patria impoverito, Owen si avvicina al


vero pubblico delle sue teorie, la classe operaia e le nascenti
organizzazioni sindacali. In seguito a ciò le sue idee vengono
definitivamente messe al bando. Anche per questi motivi
Owen si dedica principalmente all'organizzazione del
movimento cooperativista (Grand National Consolidated
Trades Union), ed in questa prospettiva tornerà in seguito a
proporre associazioni comunitarie modello: una comunità owenita funziona dal 1939 al 1946 a Queenswood nell'Hampshire, ma si
dissolve per i contrasti sorti tra operai e finanziatori del progetto.

Francia
In Francia, a differenza del caso inglese, furono gli architetti ad elaborare le forme di pianificazione industriale al servizio dei
grandi monopoli di stato. La prima fabbrica ad essere interamente concepita, progettata ed eseguita da un architetto illuminista furono
le Salines Royales di Chaux, commissionate nel 1773 a Claude Nicolas Ledoux e entrate in funzione circa sei anni più tardi.
Le Salines insieme a San Leucio vicino a Caserta sono anticipazioni settecentesche del fenomeno della pianificazione totale
tipico dell’800. Va però detto che hanno matrice economica diversa sorgendo intorno a industrie di stato
La pianta del complesso era semicircolare, con la casa del direttore posta in posizione centrale, insieme alla cappella, per
rafforzare il controllo secolare con quello religioso. La casa del direttore costituisce dunque il centro ottico e geometrico dell’intero
impianto ed è situata tra i due stabilimenti di lavorazione, collegati fra di loro con un corridoio che passa sotto di essa. Allineati lungo il
semicerchio stesso ed affacciatesi sul cortile centrale si trovavano prima le residenze degli operai e quindi gli edifici per i fabbri, i
ramaioli con i relativi magazzini officine e ambienti di soggiorno e, sul fronte opposto, prospiciente la casa del direttore, una portineria,
una cisterna, un panificio, una sala per le attività giudiziarie, una prigione e un corpo di guardia, Tra questi edifici e la circostante cinta
muraria c’erano gli orti degli operai che, insieme al salone comune al centro di ciascuna dimora, servivano a tenere lontano dalle
distrazioni la forza lavoro durante il tempo libero. Gli elementi della salina erano in tal modo “separati in unità funzionali suscettibili di
diverse caratterizzazioni planimetriche mentre la forma semicircolare permetteva a ciascuna parte di essere elemento costitutivo di un
tutto”.

 
Figura 65 C. N. Ledoux: città ideale a Saline de Chaux, secondo progetto, 1770 circa.

Tra gli esempi francesi più noti c’è ancora il villaggio operaio di Noisel, interamente concepito per l’industria della cioccolata
Menier (1862), con le villette date in affitto agli operai, senza possibilità di riscatto, e quello di Mulhouse (1853 - 1858).
A Noisiel, per la prima volta in Francia, gli edifici industriali sono ordinati ed integrati per seguire il processo di fabbricazione.

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Il villaggio operaio è posto vicino su un terreno pittoresco di circa 3 ettari, è attraversato da strade di 10 metri di larghezza,
fiancheggiate da abitazioni separate tra loro da un giardino di 22 metri tra i due locatari. Le costruzioni sono disposte in modo che
quelle sul lato destro della strada si affacciano sui giardini che separano le case sul lato sinistro, creando una vista gradevole e una
migliore circolazione dell’aria. Le case sono isolate e a due alloggi indipendenti ciascuna. Ogni alloggio ha accesso indipendente dal
giardino, dove i bambini possono giocare senza uscire sulla strada, è dotato di cucina con forno, di un water closed, che chiuso e ben
aerato, è collegato ad una canalizzazione sanitaria che sfocia a 2 km di distanza per l’utilizzazione agricola.

   
Figura 66 Città operaia di Noisel

Noisel mette insieme tutti gli elementi costitutivi del villaggio tradizionale: le piazze, i caffè, la chiesa, abitazioni
semindividuali.
Il villaggio è organizzato lungo l’asse principale che va dall’entrata alla fabbrica all’ospizio. Le sue abitazioni, tutte
uguali, raggruppate a due a due, sono ripartite lungo l’asse centrale a due assi paralleli orientati verso la fabbrica, in
un’organizzazione nella quale ogni abitante viene considerato come un elemento della macchina produttiva.
La chiesa e il castello di Emile Mènier situati in disparte, su di un’altura al di fuori di quel sistema assiale, riproducono lo
schema feudale del potere localizzato fuori dal villaggio e dominante i soggetti sottomessi

Mulhouse

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Figura 67 ‐ Abitazioni operaie di E. Muller  a Mulhouse, 1860.

Piccola Repubblica indipendente, grazie allo spirito d’iniziativa dei suoi abitanti, diventa nel 1700 il centro più importante in
Europa per la stampa dei tessuti che arrivavano vergini dalle Indie. Ricca e borghese decide, per motivi economici, di unirsi alla
Francia pochi anni dopo la Rivoluzione Francese. La scelta si rivelò giusta: una forte espansione economica trasformò questo piccolo
centro in una delle città industriali più floride di Francia guadagnandosi il soprannome di “Manchester Francese”.
Di questo passato ha conservato un patrimonio importante: un centro storico valorizzato da lussuose dimore private costruite
dagli industriali di Mulhouse e stabilimenti industriali dalle forme eleganti trasformati in grandi magazzini. Un’altra testimonianza del
passato è costituita da la Citè, il quartiere degli operai: allo scopo di migliorarne la vita, nel 1800 ad ogni famiglia veniva assegnata
un’abitazione indipendente, spaziosa e con giardino, e, grazie ad un particolare sistema di pagamento, tutti gli operai potevano nel
tempo divenire proprietari dell’abitazione.
Il villaggio di Mulhouse venne progettato dall’ ingegnere Emile Muller che progettò a tal fine il primo prototipo di casetta a due
alloggi accostati, a uno o due piani fuori terra, di pianta quadrata, tagliata a metà da un muro divisorio a tutta altezza, che divideva due
alloggi accostati, ciascuno con tre arie, e un orto-giardino proprio.
Mulhouse, prototipo celebre per almeno tutto l’Ottocento, aveva di nuovo il fatto che l’iniziativa era partita dall’associazione
degli industriali locali: la Société Mulhousienne des citée ouvrières, costituita il 30 novembre 1853, che imitava nelle villette il modello
di casa operaia fatto realizzare dal Principe Alberto per l’esposizione universale di Londra del 1851.
Attraverso le case che “venivano date a riscatto (in un tempo di quindici anni) agli operai, che pagavano, con gli interessi,
circa 4500 franchi per una casetta che inizialmente costava 3300 franchisi raggiungeva il duplice scopo di legare l’operaio al posto di
lavoro garantendo contemporaneamente la redditività dell’operazione.

Germania
In Germania si ha l’esperienza più vasta, quella degli industriali Krupp a Essen. Le colonie operaie Krupp, i cui lavori di
costruzione iniziarono nel 1870, contenevano nel 1910 46.000 persone in cinque città satelliti attorno all’impero degli industriali
dell’acciaio.
Le case per operai Krupp sono inizialmente edifici a tre piani per consentire economie sui suoli, situati in uno spazio verde e
in una maglia regolare. Solo successivamente per le colonie venne adottata la tipologia a casette sotto l’influsso inglese.
I Krupp organizzano interamente la vita dei loro operai, offrendo loro un sistema di assicurazioni contro le malattie, ospedali,
previdenze, ospizi, strutture per il tempo libero, la cultura, per la formazione professionale. Le abitazioni sono riservate agli operai
specializzati e in caso di licenziamento vanno restituite entro due settimane Nel 1898 è aperta, per tutti, una sala di pubblica lettura, da
cui Krupp esige però siano banditi i testi di carattere politicizzato e di contenuto “agitatorio” Per contro non vi era disoccupazione, non
vi erano scioperi.

Figura 68 Tipo di casa operaia “Krupp” a quattro Figura 69 Piano di Margarethen-hohe, villaggio operaio per 16.000 abitanti
alloggi su due piani. costruito dai Krupp nei dintorni di Essen nel 1912

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Il villaggio Crespi d’Adda


Il Villaggio di Crespi d’Adda è certamente la più importante testimonianza in Italia del fenomeno dei villaggi operai: ha
costituito una delle realizzazioni più complete ed originali nel mondo e si è conservato perfettamente integro – mantenendo pressoché
intatto il suo aspetto urbanistico e architettonico.
Il villaggio fu costruito per volontà di Cristoforo Benigno Crespi e il figlio Silvio Benigno industriali cotonieri che vollero
costruire sulle rive dell'Adda un villaggio ideale del lavoro, un piccolo feudo dove il castello del padrone fosse simbolo sia dell'autorità
sia della benevolenza, verso gli operai e le loro famiglie."
Nato nel 1878 sulla riva dell'Adda, in provincia di Bergamo, anche questo esperimento paternalista ebbe inesorabilmente
termine - alla fine degli anni Venti - con la fuoriuscita dei suoi protagonisti e a causa dei mutamenti avvenuti nel XX secolo.
Crespi d'Adda è un autentico modello di città ideale, autosufficiente dove la vita dei dipendenti, insieme a quelle delle loro
famiglie e della comunità intera, ruotava attorno alla fabbrica in una città-giardino a misura d’uomo, al confine tra mondo rurale e
mondo industriale.
L'idea era di dare a tutti i dipendenti una villetta, con orto e giardino, e di fornire tutti i servizi necessari alla vita della
comunità: chiesa, scuola, ospedale, dopolavoro, teatro, bagni pubblici...
Oggi il villaggio di Crespi ospita una comunità in gran parte discendente degli operai che vi hanno vissuto o lavorato; e la fabbrica
stessa è rimasta in funzione fino al 2004, sempre nel settore tessile cotoniero.

Il villaggio è inserito in un’area triangolare alla


confluenza dell'Adda e del Brembo. L'isolamento
geografico è poi accentuato dal fatto che il villaggio è
collegato all'esterno soltanto in direzione Nord,
caratteristiche geografiche che spiegano perchè Crespi
d'Adda si sia potuta conservare intetta restando estranea
allo sviluppo caotico dell'area circostante.

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Una strada, orientata da nord a sud, che scende da Capriate parallela sostanzialmente al corso del fiume Adda, divide il
settore produttivo dal settore abitativo. Su questa arteria s'inseriscono, con linee ortogonali, tutte le altre strade
La fabbrica è situata lungo il fiume; accanto il castello della
famiglia Crespi, simbolo del suo potere e monito per chi vi giunge da
fuori.
Le case operaie, di ispirazione inglese, sono allineate
ordinatamente a est dell'opificio lungo strade parallele; a sud vi è un
gruppo di ville più tarde per gli impiegati e, incantevoli, per i dirigenti. Le
case del medico e del prete vigilano dall'alto sul villaggio, mentre la
chiesa e la scuola, affiancate, fronteggiano la fabbrica.
Segnano la presenza e l'importanza dell'opificio le sue altissime
ciminiere e i suoi capannoni a shed che si ripetono in un'affascinante
prospettiva lungo la via principale, la quale, quasi metafora della vita
operaia, corre tra la fabbrica e il villaggio, giungendo infine al cimitero.
La villa padronale ripropone lo
stile medioevale trecentesco mentre la
chiesa è copia esatta della
rinascimentale S.Maria di Busto Arsizio,
paese d'origine dei Crespi. Le altre
costruzioni sono tutte di gusto
neomedioevale, con preziose decorazioni
in cotto - care al romanticismo lombardo -
e finiture in ferro battuto. Neomedioevale
anche l'opificio, che esprime la massima
celebrazione dell'industria nell'ingresso
centrale, tra le fastose palazzine degli
uffici dirigenziali
La villa padronale dei signori Crespi,
è simile a un imponente castello medioevale,
trionfale e tempestivo monito della presenza
del padrone

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I capannoni della fabbrica Le case operaie


Le file di case operaie disposte ordinatamente, con i loro orti e giardini,
imitano gli esempi di abitazioni operaie visti nei suoi viaggi in Inghilterra.
Le ville
Le case operaie non sono l'unico tipo di abitazione presente nel Villaggio: a
queste si aggiungono le ville volute dai Crespi nella seconda metà degli anni Venti, in stile
eclettico. Estrose, eleganti, incantevoli, erano assegnate principalmente a direttori,
capireparto e impiegati.

La chiesa
La chiesa di Crespi è la perfetta
copia di quella di Busto Arsizio, edificio di
scuola bramantesca. La famiglia Crespi la
volle infatti riproporre nel villaggio, segno di
affetto verso il paese d'origine e verso la
cultura italiana: presenta infatti, armoniosi e
puliti, i caratteri tipici dell’architettura
rinascimentale.

La scuola
La presenza della scuola nel villaggio era motivata dal
desiderio di fornire un servizio educativo alla comunità che via via si
formava, e dall’esigenza di formare i futuri dipendenti, elevandone il
livello della preparazione tecnica. Insomma, si imparava a leggere e
scrivere e far di conto ma non solo.

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Il dopolavoro
Il dopolavoro fu voluto allo scopo di promuovere la
ricreazione della popolazione. Qui gli operai trovavano un
punto d'incontro dopo le fatiche del lavoro: vi erano sale
attrezzate per attività culturali, sportive, educative e
assistenziali.

Il lavatoio
Il lavatoio permetteva alle lavandaie di lavare i panni vicino
alle case, senza dover raggiungere il fiume con le pesanti ceste colme
di panni.

Il cimitero
Il cimitero di Crespi si trova al
termine della via principale. Vi è al suo
interno una sorta di piramide a gradoni:
questa costruzione eclettica, imponente e
maestosa, è il famedio della famiglia
Crespi. Il monumento funebre si erge
possente sulle tombe dei dipendenti,
piccole lapidi poste in ordine nel prato,
simboleggiando, con le esedre che si
aprono ai suoi lati, un grande abbraccio.
Le piccole lapidi a forma di
croce erano messe a disposizione
gratuitamente ai dipendenti dalla ditta dei
Crespi.

FIRENZE CAPITALE
Tra il 1865 e il 1895 col trasferimento della capitale da Torino a Firenze (dal 15 settembre 1864 al 20 settembre 1870)
furono eseguite grandi opere di trasformazione ed ampliamento della città : il cosiddetto “Risanamento di Firenze” in seguito al quale
una larga fetta del centro storico subì drastiche modifiche, dettate da nuove esigenze economiche e sociali.
La città che era ancora circondata dalle mura un repentino mutamento di funzione, che mise una serie di inadeguatezze
funzionali .
Con una certa urgenza il comune affidò la realizzazione di un Piano di ampliamento all'architetto Giuseppe Poggi, che venne
consegnato il 18 febbraio 1865.
Sempre per rispondere alle esigenze dell'arrivo della capitale in soli due mesi l’architetto Giuseppe Poggi presenta il progetto
"di massima per l'ampliamento" urbano, commisurato alla previsione di cinquantamila nuovi abitanti. [All'inizio del XIV secolo Firenze
aveva circa centomila abitanti; nel 1865, dopo cinque secoli e mezzo, quando diviene capitale, ne conta centocinquantamila.]

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Figura 71 ‐Piazza Beccaria ‐ Porta delle 
antiche mura abbattute

 
Figura 70‐ Firenze piazza delle libertà

Figura 72 ‐piazza Beccaria nel progetto di Poggi  
Il piano di Giuseppe Poggi doveva rispondere a una serie di questioni impellenti:
Provvedere a nuovi alloggi e servizi per l'aumento della popolazione dovuto all'arrivo di impiegati per gli uffici della capitale;
• Difendere la città dalle piene dell'Arno (memori della recente alluvione del 3-4 novembre 1864 e di quella
disastrosa del 1844)
• Dare alla città un volto moderno, in linea con le contemporanee evoluzioni di altre città europee ed adatto alla
nuova funzione di capitale.
Gli elementi fondamentali del piano furono:
• Abbattimento delle mura (almeno nella parte a nord dell'Arno) per realizzare dei nuovi boulevard, lungo il percorso
delle mura in maniera non dissimile dal Ring di Vienna.;
• Nuove opere di difesa idraulica;
• I Viali di Circonvallazione
I lavori iniziarono nel maggio 1865 e furono terminati cinque anni dopo. Per realizzare il piano si procedette massivamente
all'esproprio. I fondi vennero reperiti con un piano di prestito pubblico di trenta milioni di lire, da ammortizzare in cinquant'anni.
Al posto delle mura abbattute il Poggi realizzò i cosiddetti viali di Circonvallazione, una serie di viali alberati di grandi
dimensioni che circondavano ad anello il centro della città.
Lo scopo dei viali non era puramente estetico, né era dettato ancora da esigenze del traffico veicolare. La loro principale
funzione fu quella di saldare il tessuto urbano del centro con i nuovi quartieri semicentrali, in chiave di celebrazione della capitale e di
decoro borghese.
In corrispondenza delle antiche porte di accesso alle mura, quasi tutte risparmiate, vennero create delle grandi piazze dalle
quali si diramavano razionalmente strade ampie e rettilinee.

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Figura 73 Viale dei Colli e panorama di Firenze in una foto ottocentesca 

Il Viale dei Colli era una sorta di immagine speculare sulla riva dell'Oltrarno dei viali di Circonvallazione, anche se meno
ampi, con ampie zone verdi ai lati della carreggiata per il passeggio panoramico e costellati dai lussuosi villini rappresentativi dell'alta
borghesia cittadina.
Il percorso venne coronato dal piazzale Michelangelo, terrazza-belvedere aperta sul panorama cittadino, destinata a
diventare una delle immagini della città più apprezzate dal mondo internazionale.
Il piano urbanistico prevedeva la realizzazione di interi nuovi quartieri a ridosso dei viali, improntati a criteri moderni Questi
quartieri avevano tipologia abitative varie, dai villini a schiera di modeste dimensioni ai grandi blocchi di appartamenti da affittare.
Fu anche il periodo dell'ampliamento e regolarizzazione delle strade del centro storico: la creazione dei lungarni

 
Figura 74 ‐ La città di Firenze prima dell'ampliamento Figura 75 ‐ Il piano di ampliamento di Poggi

Lo "sventramento" del Mercato Vecchio e del Ghetto [modifica]


Il Mercato Vecchio era il centro geografico della città, dove anticamente i romani avevano posto il foro. Nel tempo si era
coperto di minuscoli edifici popolari, che ne aveano mutato l'aspetto. Il progetto definitivo venne approvato il 2 aprile 1885: entro
giugno tutta la popolazione della zona era stata evacuata e tutte le proprietà erano state espropriate.
I lavori procedettero con solerzia dopo il 1888, demolendo i miserabili edifici del mercato riscoprendo la piazza
cinquecentesca, con la Loggia del Vasari . L’intervento di demolizione non si limitò all’essenziale, ma forti interessi economico
speculativi, portarono alla demolizione di diverse strade vicine e molte furono le antiche testimonianze architettoniche del passato che
vennero sacrificate senza troppa esitazione: chiese antiche, case-torri, sedi di Arti. Anche il vecchio Ghetto, con due sinagoghe, venne
raso al suolo.
Subito dopo cominciano i giudizi negativi e i rimpianti. Ricordiamo l’acuto sonetto di Telemaco Signorini: “ Fosti per tutto de’
toscani autori/ sorgente viva di linguaggio usato/ ed ora t’hanno ucciso i professori!.../ Addio per sempre, povero Mercato/ addio studio
di forme e di colori/ dal secolo dei dotti inesplorato”

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LE CITTÀ GIARDINO
L’esperienza del villaggio operaio si pone tra la politica statale, l’utopia e le città – giardino.

L'idea di Città Giardino ha origine in Inghilterra durante la metà del XIX secolo. In quel periodo, il crescente sviluppo delle industrie e
l'aumento della popolazione nei centri urbani avevano creato un forte degrado alle città con conseguenti disagi e abbrutimenti che mal
si conciliavano con la vita dell'uomo.

Lo scopo era raggiungere contemporaneamente due vantaggi: gli agi e le comodità della vita urbana e gli aspetti sani e
genuini della vita di campagna. La progettazione di questo nuovo tipo di città doveva quindi tener conto di tutti gli aspetti della vita
umana, rispettando le esigenze primarie dell'individuo. Si pensò quindi a nuclei abitativi formati da residenze unifamiliari, attorniate dal
verde, collegate tra loro, con servizi, negozi, teatro, chiesa, zone produttive e zone amministrative, in modo tale da rendere questi
centri completamente autosufficienti.
Questa originaria idea fu ripresa e sviluppata da Ebenezer Howard, che aveva come principale obiettivo quello di salvare la
città dal congestionamento e la campagna dall'abbandono.
Letchworth Garden City, o più comunemente Letchworth, è una città dell'Inghilterra fondata da Raymond Unwin che mise
in pratica le idee di Ebenezer Howard nel 1903, la cui collocazione nel verde dell'Hertfordshire le valse il soprannome di Garden City
(città giardino).
Situata a 50 chilometri a nord di Londra, fu meta delle ricche
famiglie londinesi in fuga dalla caotica capitale inglese. Nel 1915 venne
fondata la St Christopher School situata in St. Christopher road, per anni
questo college fu uno dei più importanti in Inghilterra. Proprio in una
casa poco distante da lì nacque e visse durante la sua infanzia il grande
attore Laurence Olivier. La casa si chiamava Arunwood. Nella speranza
che nascessero altri attori come lui, gli abitanti della cittadina costruirono
altre case con lo stesso prefisso di Arunwood chiamate Arunbank,
Arunside, Arundale e Little Arundale. Non nacquero attori in queste
case, ma venne dall'Italia la giovane Maria Montessori a studiare in una
di queste. Una volta diventata famosa venne aggiunto al nome della
casa Arundale l'acronimo MD che sta per Montessori Department. Oggi
queste case sono di proprietà del college e ospitano studenti stranieri nel periodo estivo.
La strada principale della cittadina si chiama Broadway ed è un viale somigliante a quelli alberati statunitensi. Nella piazza
principale c'è il municipio con lo Science museum (museo della scienza). La città è ben collegata con quelle vicine con la sua stazione
ferroviaria e con l'autostrada M1. La sua vicinanza con l'aeroporto di Luton (solo 10 km) favorisce il turismo dai paesi stranieri.
La comprensione crescente della necessità di vedere la crescita delle comunità urbane all’interno di un contesto territoriale
più ampio e di una pianificazione regionale, portarono all’idea di una città articolata, organizzata, inserita nell’ambiente circostante e
nel sistema infrastrutturale, hanno dato un contributo durevole non soltanto alla ricostruzione e all’espansione delle città dopo il 1945,
ma anche alla progettazione delle new towns inglesi.
Sul continente, considerazioni di prestigio e di sicurezza nazionale condussero al «risanamento» di intere zone urbane e alla
realizzazione di grandi arterie di traffico, nell’ambito di piani di sviluppo urbanistico (hausmann a Parigi, 1853-69 Poggi a Firenze 1864-
77); spesso le arterie presero il posto di ingombranti fortificazioni, a Vienna le mura vennero convertite nel rappresentativo Ring (in.
1858)

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Milton Keynes

Le new towns, dette anche "città giardino" (in realtà "figlie" della città giardino), sono sorte in Inghilterra a partire dal 1947 per
controllare la crescita preoccupante di Londra. Le new towns inglesi sono ben collegate con la capitale tramite servizi ferroviari ed
autostradali provviste di tutti i servizi, dai cinema alle università. Vi vivono attualmente circa un milione di persone. Le new town
seguono generalmente lo stesso schema urbanistico: al centro si trova un'area amministrativa-commerciale, circondata interamente da
quartieri residenziali, separati da parchi e piccole aree agricole caratterizzati da colorate villette a schiera con il tradizionale giardino
(da cui il nome; in verità Ebenezer Howard, inventore della "città giardino", intendeva, usando tale termine, qualcosa di più sostanziale
e complessivo). Le new towns hanno conosciuto un successo internazionale e il loro modello è stato esportato in tutto il mondo.
Il concetto di città-giardino fu usato per la prima volta a New York, nel 1869 per indicare un sobborgo caratterizzato da case
con giardino e venne teorizzato con precisione da Sir Ebenezer Howard, che lo applicò concretamente con la costruzione di
Letchworth (1903) e Welwyn (1919). A partire dagli anni quaranta venne applicato nella costruzione delle new town inglesi, fra cui
possiamo annoverare la città di Harlow. Il successo di quest’ultime ha diffuso nel mondo il progetto delle new town. Tra le più famose i
"goroda-sputnika" di Mosca, finanziate dall’ex Unione Sovietica, il "forstader" in Svezia, in Danimarca e in Giappone. Oltre alle singole
Città di Radburn negli Stati Uniti, Hilversum in Olanda, Hellerau e Francoforte sul Meno in Germania, ecc.

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Nel 1960, il governo ha deciso che una nuova generazione di nuove città nel sud-est dell'Inghilterra era necessaria per
risolvere il previsto aumento della popolazione di Londra , dopo l'ondata iniziale 1940s/1950s. Bletchley era già stata considerata
come una nuova città in questa prima ondata, e aveva successivamente nel 1950 il London County Council costruito alloggi per alcuni
quartieri di Londra.

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Milton Keynes è un grande città in Buckinghamshire, Nel sud-est dell'Inghilterra, A circa 49 miglia (79 km ) a nord- ovest di
Londra. Ha preso il nome dal villaggio di Milton Keynes a pochi chilometri a
est del nuovo centro urbano.E 'stata fficialmente destinata a divenire new town
il 23 gennaio 1967.
Nei suoi 89 km2 incorpora le città
preesistenti di Bletchley, Wolverton e Stony
Stratford insieme a quindici altri villaggi e
terreni agricoli.

Il sito è stato deliberatamente


ubicato in posizione equidistante da
Londra, Birmingham, Leicester, Oxford e
Cambridge, con l'intento di renderlo
autosufficiente e diventare in seguito un
importante centro regionale a sé stante.
La città è impostata secondo un reticolo viario principale a maglia
quadrangolare di circa 1 Km di lato con un verde di rispetto di circa 100 m di
profondità, tale da sovrapporsi con una certa libertà all'orografia,. le strade a
griglia corrono tra i distretti con impianto estensivo , i laghi e i parchi , che sono
Figura 76 In senso orario da sinistra in alto : Il  stati conservati e valorizzati.
cinema Point e complesso per il tempo libero  Le strade distributrici sono conosciutei localmente come le strade della
, le opere ex ferrovia e nuovi alloggi in  rete e gli spazi tra di essi - i quartieri - sono conosciuti come quadrati della griglia.
Wolverton, il Central Milton Keynes skyline , 
Cristo pietra angolare della Chiesa e Milton  Gli intervalli di 1 km sono stati scelti in modo chegli abitanti avessero
Keynes Stazione centrale.  sempre a pochi passi una fermata del bus . Di conseguenza, ciascun quadrato
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della griglia è una comunità semi-autonoma, dotato di servizi, negozi attrezzature locali, integrati nelle strutture generali destinate a
servire l’intera città. Questo piano non gerarchico di città aperta prevede a una vasta gamma attività economiche ed industriali in una
diversità di stili abitativi.
Il sistema di griglia è composta da 11 strade allineate approssimativamente in direzione nord-sud e 10 allineate
approssimativamente in direzione est-ovest..Tutti i principali incroci della griglia sono dotati di rotatorie , efficienti per la circolazione, le
strade principali sono a doppia carreggiata, le altre sono sola carreggiata.unica. Lungo un lato di ogni strada della griglia a carreggiata
singola vi è una fascia erbosa, destinata ad un eventuale allargamento della strada. I bordi di ogni quadrato della griglia sono
attentamente manutenuti e curati, altri presentano dei terrapieni, che hanno lo scopo di ridurre il rumore del traffico per i residenti
adiacenti.
Il rischio per i pedoni incauti è ridotto al minimo, poiché raramente devono attraversare le strade di griglia a raso , essendo
stati realizzati sottopassi in diversi punti lungo ogni tratto di tutte le strade di griglia.
La maggior parte delle piazze della griglia sono centri locali, intesi come centri locali di vendita al dettaglio e la maggior parte
con servizi comunitari. Nei macroisolati che ne risultano trovano collocazione, in prossimità agli assi infrastrutturali principali (ferrovia,
autostrada, strada nazionale verso Londra) le funzioni principali ( il centro urbano impostato sul centro commerciale e le attrezzature
del tempo libero).e le attività produttive. Le unità di vicinato residenziali, tutte a bassa densità, appaiono separate dalla strada da
spesse zone a verde, accuratamente progettate, che riducono l'impatto del traffico e tendono a dare una quantità di verde superiore a
tutti gli standard generalmente applicati.

La rete di piste ciclabili


Vi è una rete separata di piste ciclabili, lunga 200 km,pavimentata con asfalto rosso (le " redways ") che attraversa le
piazze delle griglia e corre, a volte, lungo la rete stradale griglia. Questa rete è stata progettata per separare lento movimento e il
traffico ciclo-pedonale dal flusso più rapido del traffico a motore. In pratica, è utilizzato principalmente per incentivare l'uso della
bicicletta nel tempo libero.

Malgrado le perplessità della critica, Milton Keynes ha goduto di un notevole successo economico e sociale. La popolazione della
città nuova è salita dai 40 mila residenti del 1967 agli oltre 160 mila del 1990, Nel gennaio 2004, Vice Primo Ministro John Prescott ha
annunciato l'intenzione del governo di raddoppiare la popolazione di Milton Keynes entro il 2026 .

Figura 77 Caldecotte Lake, Milton Keynes  Figura 78 Del 1815 mulino a vento vicino al  villaggio di  New Bradwell  

 
Figura 80 ‐ Un'altra strada del centro urbano 
 

Figura 79 Stony Stratford High Street in festa   

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Figura 81  Tipiche abitazioni della città di M.K.  Figura 82 ‐ Sistemazione urbana all'interno dei quadrati di gliglia 

Città nel bosco


All’interno della griglia urbana sono sistemate delle aree versi in cui le guardie forestali hanno piantato milioni di alberi ,tanto
che nel 2006, l'area urbana contava 20 milioni di alberi.
Le pianure alluvionali del Ouse Grande e dei suoi affluenti sono stati protetti, come parchi lineari, che corrono proprio
attraverso Milton Keynes.Il Grand Union Canal è un altro percorso verde; il Milton Keynes redway, il sistema di piste ciclabili e sentieri
pedonali utilizza questi e altri percorsi.

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