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SOMMARIO:
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Gli albori dell’apprendistato: ragioni giustificative della nascita della tipologia
contrattuale
E’ a partire dagli inizi del secolo scorso che il legislatore ha ritenuto di dover emanare
provvedimenti legislativi al fine di regolare la figura dell’apprendista, in campo previdenziale
e assistenziale, equiparandola a quella del lavoratore subordinato.
Nello specifico, il Testo Unico n. 51 del 1904 in materia di infortuni di lavoro degli operai
precisava, all’art. 2 n. 3 che agli effetti dell’applicazione della legge era considerato operaio
anche “l’apprendista con o senza salario che partecipa all’esecuzione di lavoro”; l’art. 1 del
R.D. 30 dicembre 1923, n. 3184, per l’assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia, citava
espressamente gli apprendisti tra le persone che, prestando l’opera alle dipendenze di altri,
erano tenute obbligatoriamente a tale assicurazione; l’art. 1 del R.D. 27 ottobre 1927, n. 2055,
sull’assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, rendeva obbligatoria tale assicurazione
per tutte le persone assicurate contro l’invalidità e la vecchiaia.
Nel sistema corporativo, il tirocinio è stato preso in considerazione dalle norme di attuazione
della legge 3 aprile 1926 n. 503, sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro, la
quale affidava agli organi corporativi la facoltà di “regolare il tirocinio o il garzonato
emanando a tale scopo norme generali obbligatorie” ed il compito di “ invigilare sulla loro
osservanza”, mentre l’opera maggiore è stata compiuta dai contratti collettivi corporativi, che
hanno fissato le regole fondamentali in materia: hanno stabilito i limiti di età e di durata
massima, nonché la percentuale di apprendisti sul totale dei dipendenti, le condizioni per
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l’assunzione, la misura della retribuzione, lo svolgimento e la cessazione del rapporto, le
modalità e le forme di sostegno alla formazione professionale.
La specialità del rapporto stava nel fatto che sul datore, accanto all’obbligo retributivo,
gravava anche quello di impartire all’apprendista l’insegnamento professionale necessario, sia
sul fatto che il lavoratore prestava la sua attività, non solo a vantaggio del datore, ma anche al
fine di apprendere, derivandone non solo un obbligo ma anche un suo diritto di lavorare.
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La legge, all’art. 16, specificava le modalità di attuazione della formazione professionale,
stabilendo che essa si attuava sia mediante l’addestramento pratico sul lavoro, sia mediante la
formazione teorica svolta all’esterno dell’azienda.
L’addestramento pratico, ovvero quello svolto in azienda, aveva “ il fine di far acquisire
all’apprendista la richiesta abilità nel lavoro al quale deve essere avviato, mediante graduale
applicazione ad esso”, i corsi complementari avevano “lo scopo di conferire all’apprendista le
nozioni teoriche indispensabili all’acquisizione della piena capacità professionale”.
L’art. 11 della legge imponeva ai datori di lavoro l’obbligo di non assegnare all’apprendista
mansioni non attinenti alla lavorazione o al mestiere per il quale era stato assunto o a
mansioni di manovalanza.
Le ore destinate alla formazione esterna erano equiparate, altresì, a ore di lavoro con
conseguente obbligo retributivo. La gestione dei corsi era affidata al Ministero del Lavoro, il
quale, d’intesa con il Ministero dell’Istruzione, poteva utilizzare le sedi delle scuole statali o
anche limitarsi a sovvenzionare iniziative didattiche di terzi.
Al termine dell’addestramento pratico e dell’insegnamento complementare gli apprendisti
sostenevano le prove di idoneità all’esercizio del mestiere che aveva formato oggetto del
tirocinio. Chi aveva compiuto i 18 anni poteva sostenere le prove dopo due anni di
apprendistato e la qualifica così ottenuta doveva essere scritta sul libretto di lavoro.
A metà degli anni ’80, è stata avvertita dal legislatore e dalle parti sociali la necessità di
rivitalizzare l’istituto dell’apprendistato. Le norme dirette ad attuare tale fine erano racchiuse
nell’art. 21 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, il quale, prima di tutto, stabiliva- in deroga
all’art. 2 della legge del 1955, come modificata dall’art. 1 della legge del 1968- che
l’imprenditore, che non avesse alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati o
ne avesse meno di tre, poteva assumere apprendisti non superiore a tre (comma 1).
In secondo luogo, veniva estesa al tirocinio la generalizzazione delle assunzioni nominative,
per cui gli apprendisti potevano essere assunti con richiesta nominativa, senza limitazioni, per
le aziende con numero di dipendenti non superiori a dieci e nella misura del 25% degli
apprendisti da assumere, per le aziende con numero di dipendenti superiore a dieci.
Inoltre, veniva generalizzato il principio secondo il quale i lavoratori assunti con contratto di
apprendistato erano esclusi dai limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi di lavoro,
per l’applicazione di particolari normative ed istituti.
Con disposizione tipicamente promozionale, era stabilita la prosecuzione delle agevolazioni
contributive fino a un anno dopo la stabilizzazione del rapporto e la possibilità di assumere
come apprendisti, nel settore artigiano, giovani di età fino a 29 anni per le qualifiche ad alto
contenuto professionale, qualora tutto ciò fosse previsto dai contratti collettivi.
Risulta evidente che tale legge dimostrava la volontà del legislatore di conservare
l’apprendistato come figura contrattuale di carattere generale, anche se prioritariamente
destinata al settore artigiano, rispetto al quale non si era mai pensato di abolire l’istituto,
tant’è vero che le parti sociali, già nel 1983, erano addivenute ad un importante accordo
interconfederale, poi prorogato, al fine di rilanciarlo.
Tale intento, ha provato, successivamente, una puntuale conferma nel Protocollo sulla
politica dei redditi e dell’occupazione del 23 luglio 1993, che, in uno specifico punto,
stabiliva che “il contratto di apprendistato va mantenuto nella funzione tradizionale di accesso
teorico-pratico a qualifiche specifiche di tipo tecnico. Ne va comunque valorizzata la funzione
di sviluppo della professionalità, anche mediante l’intervento degli enti bilaterali e delle
Regioni, e la certificazione dei risultati. I programmi di insegnamento complementare
potranno essere presentati alle Regioni per il successivo inoltro al fondo sociale europeo. In
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relazione all’ampliamento dell’obbligo scolastico sarà consentito, attraverso la contrattazione
collettiva, uno spostamento della soglia di età”.
Un’ulteriore rivalutazione dell’apprendistato si è avuta con il Patto per il lavoro siglato il 24
settembre 1996 tra il Governo e le parti sociali, con il quale si è auspicata una riforma della
materia tesa a valorizzare il profilo formativo del contratto di apprendistato e a prevedere un
utilizzo più diffuso, modulato e flessibile che renda verificabile ed esplicita la quantità e la
qualità dei contenuti formativi.
Le problematiche inerenti ai contratti di apprendistato sono state riprese dal “Libro Bianco sul
mercato del lavoro in Italia” dell’ottobre 2001, che ha ipotizzato una valorizzazione del ruolo
dell’istituto come strumento formativo per il mercato che ne farebbe “una tipologia
contrattuale funzionale alle esigenze effettive del mercato del lavoro, logica che dovrebbe
essere imposta anche dall’applicazione del principio innovativo introdotto dalla stessa legge
n. 196/1997, consistente nella subordinazione del riconoscimento dei benefici contributivi alla
partecipazione dell’apprendista alle iniziative di formazione esterna alle aziende”.
Tali indicazioni di massima sono state trasfuse in un disegno di legge delega, n. 848,
comunicato alla Presidenza del Senato il 15 novembre 2001. Nel corso del suo iter
parlamentare e nel contesto delle aspre lotte sociali che ha suscitato è stato, poi, scisso, in due
disegni ed il primo di essi è divenuto la legge delega del 14 febbraio 2003 n. 30.
La suddetta legge, all’art. 2, nel dettare i principi di riordino degli speciali rapporti di lavoro
con contenuti formativi, ha indicato al Governo il criterio per la conservazione
dell’apprendistato come strumento essenzialmente formativo, da utilizzarsi anche nel quadro
di una formazione superiore in alternanza, tale da garantire il raccordo tra i sistemi di
istruzione e quelli di formazione ed il passaggio da un sistema all’altro.
Tale indicazione è stata fatta propria dal D.Lgs. n. 276/2003, che agli artt. 47 e ss., nel
disciplinare il contratto di apprendistato, lo ha indicato quale unico strumento di formazione
vera e propria per il mercato del lavoro, ma diversificando l’unica fattispecie sino ad ora
prevista in tre nuove tipologie di rapporti lavorativi con finalità formative
- apprendistato per l’espletamento del diritto dovere di istruzione e formazione
- apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso
una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale
- apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione o
specializzante.
Il Legislatore nazionale ha disciplinato solo alcuni aspetti delle nuove forme di apprendistato,
rimettendo la regolamentazione dei profili formativi alle Regioni e alle Province autonome e
la regolamentazione della durata dei contratti collettivi.
Lo stesso art. 47, comma , del D.Lgs. 276/2003 stabilisce che, in attesa della
regolamentazione del contratto di apprendistato, continua ad applicare la vigente normativa in
materia, mentre l’art. 53, comma 4, conferma l’applicazione anche alle nuove fattispecie di
apprendistato della disciplina previdenziale e assistenziale prevista dal Titolo VI della legge
25/55.
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La durata del contratto, originariamente compresa tra i due e i sei anni, è stata modificata di
recente dalla legge 133/2008. Non esiste più una durata minima del contratto che potrà durare
anche meno di due anni ma, in ogni caso, non può comunque essere superiore ai sei anni.
Il limite legale della durata minima del contratto di apprendistato professionalizzante è
venuto meno in funzione della piena valorizzazione della capacità di autoregolamentazione
della contrattazione collettiva, nazionale o regionale, che potrà ora individuare percorsi
formativi di durata anche inferiore ai due anni nel rispetto della natura formativa del contratto
in questione e, dunque, in ragione del tipo di qualificazione da conseguire.
Con riguardo agli aspetti formativi, anche per l’apprendistato professionalizzante, il
legislatore individua soli i principi direttivi, rimettendo la specifica regolamentazione alle
Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, le quali dovranno disciplinare la
materia d’intesa con le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano regionale nel rispetto dei seguenti criteri:
- previsione di un monte ore di formazione formale, interna o esterna all’azienda, di
almeno centoventi ore per anno, per l’acquisizione di competenze di base e tecnico-
professionali;
- rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o
aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative per la determinazione, anche all’interno degli Enti Bilaterali, delle
modalità di erogazione e dell’articolazione della formazione, esterna e interna alle
singole aziende, anche in relazione alla capacità formativa interna rispetto a quella
offerta dai soggetti esterni;
- riconoscimento sulla base dei risultati conseguiti all’interno dei percorsi di
formazione, esterna o interna all’azienda, della qualifica professionale ai fini
contrattuali;
- registrazione della formazione effettuata sul libretto formativo;
- presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze adeguate.
In Umbria, il Legislatore è intervenuto con la legge 18/2007 cui ha fatto seguito il
regolamento di attuazione del 18 settembre 2008 n. 5.
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LA DISCIPLINA NORMATIVA DEL NUOVO APPRENDISTATO
La giurisprudenza ha colto questa specialità riferendola alla causa negoziale, che nel contratto
di apprendistato sarebbe mista, nel senso che, mentre nel comune rapporto di lavoro la causa
negoziale è data dallo scambio tra lavoro e retribuzione, nel contratto in esame è costituita
dallo scambio tra prestazione lavorativa, da un lato, e l’addestramento professionale
accompagnato dalla retribuzione, dall’altro (2).
Il Ministero del Lavoro, con la circolare 153-bis/1955, ha precisato che, nel rapporto di
apprendistato, l’insegnamento non è fine a se stesso, in quanto si svolge pur sempre in
funzione dell’attività produttiva dell’azienda, consentendo all’imprenditore di trarre dalle
prestazioni dell’apprendista una utilità crescente in relazione alla progressiva formazione
professionale di quest’ultimo. Di conseguenza, essendo un rapporto sinallagmatico, il
lavoratore ha diritto ad una retribuzione a fronte delle sue prestazioni lavorative.
Il contratto di apprendistato si differenzia nettamente dai rapporti instaurati nell’ambito dei
corsi di addestramento e perfezionamento professionale, che hanno per oggetto il mero
insegnamento ai fini formativi e non comportano attività lavorativa vera e propria, il rispetto
di orari e ritmi di produzione nonché la corresponsione di una retribuzione (3).
Sulla base delle considerazioni appena esposte, la giurisprudenza ha ritenuto che competa al
giudice verificare che il rapporto di formazione professionale non dissimuli un vero e proprio
contratto di apprendistato, dovendosi escludere comunque la rilevanza, a tal fine, di indennità,
premi, borse di studio eventualmente corrisposte agli allievi.
Infine va precisato che l’apprendista non è un normale lavoratore subordinato, per cui non
può essere ritenuto, in senso tecnico, né un operaio né un impiegato. La distinzione tra
l’apprendista e il lavoratore subordinato non va ricercata sulla base della qualifica formale di
assunzione, né dell’età del lavoratore, né della retribuzione, ma risiede in capo
all’apprendista, contestualmente all’obbligo di prestare la propria collaborazione nell’impresa,
del diritto di ricevere l’insegnamento professionale.
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Le deroghe più significative verranno evidenziate in seguito.
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V. Corte Cost. 4 febbraio 1970, n. 14, in Foro Italico, 1970, I, 702; Corte Cost. 28 novembre 1973, n. 169,
MGL, 1973, 426; Cass. 21 ottobre 1986, n. 6180, in Foro Italico, 1986, I, 3013.
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Cass. Sez Un. 28 luglio 1986 n. 4814
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A seguito della riforma del mercato del lavoro, il contratto di apprendistato diventa l’unica
tipologia di contratto di lavoro a contenuto formativo nel settore privatistico.
Limiti di età.
Nell’ambito delle disposizioni sancite dall’art. 48 del D. Lgs. n. 276/2003, vengono stabiliti
dei nuovi limiti di età a favore della tipologia contrattuale dell’apprendistato.
Invero viene stabilito per l’apprendistato per l’espletamento del diritto dovere di istruzione ai
soggetti di età compresa fra i 15 e i 18 anni; mentre per l’apprendistato professionalizzante e
quello finalizzato all’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione è stipulabile
con soggetti di età compresa fra i 18 e i 29 anni. Al riguardo giova ricordare che il Ministero
del lavoro nella Circolare n. 30 del 15 luglio 2005 ha precisato che il tetto massimo dei 29
anni deve essere inteso come 29 anni e 364 giorni.
Solo nei casi in cui la nuova disciplina non è ancora operativa trovano applicazione le
disposizioni dell’art. 16, comma 1, legge 196/1997, in base al quale possono essere assunti
come apprendisti i giovani di età non inferiore a 16 anni e non superiore a 24, ovvero 26 anni
nelle aree di cui agli obiettivi nn. 1 e 2 del regolamento CEE n. 2081/1993.
Nel caso in cui l’apprendista sia portatore di handicap, i limiti di età sono elevati di 2 anni (e
quindi rispettivamente a 26 e 28 anni). Il Ministero del lavoro ha avuto modo ha avuto modo
di precisare che per soggetti portatori di handicap, nei cui confronti è possibile costituire
rapporti di lavoro con apprendistato, si devono intendere i possessori del requisito di
invalidità richiesto per aver diritto al collocamento obbligatorio. Tali lavoratori sono
computati ai fini della copertura del collocamento obbligatorio.
Il limite massimo di età deve essere riferito al momento della costituzione del rapporto.
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A norma dell’art. 4 della legge 25/1955, la costituzione del rapporto è subordinata
all’espletamento della preventiva visita medica del giovane da assumere diretta ad accertare
che le condizioni fisiche del soggetto ne consenta l’occupazione nel lavoro per il quale deve
essere assunto.
Il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 11 del 17 gennaio 2001, ha fornito le istruzioni per
la corretta applicazione dell’obbligo imposto ai datori di lavoro dalla vigente normativa ( art.
4 L. 25/1955; art. 16 e 17 D. Lgs. n. 626/1994; art. 9 D.Lgs. n. 345/1999) delle visite mediche
preventive e periodiche, che devono avere cadenza almeno annuale.
In particolare: gli apprendisti minorenni sono soggetti a visita medica preventiva e periodica
nel caso di sottoposizione ad attività che richiedono la sorveglianza sanitaria in base al D.Lgs.
626/1994 ed in particolare: a) accertamenti preventivi finalizzati a constatare l’assenza di
controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro
idoneità alla mansione specifica; b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei
lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. Entrambi gli
accertamenti sono effettuati dal medico competente, individuato nel dipendente di una
struttura esterna pubblica o privata convenzionata con l’imprenditore per lo svolgimento dei
compiti di sorveglianza sanitaria o in un libero professionista o in un dipendente del datore di
lavoro.
Per gli apprendisti minorenni non soggetti alla sorveglianza sanitaria ai sensi degli art. 16 e
17, D.Lgs. 626/1994, le visite mediche preventive sono di competenza di un medico del
servizio sanitario nazionale, a cura e a spese del datore di lavoro;
Per gli apprendisti maggiorenni occorre distinguere i casi in cui gli apprendisti maggiorenni
siano adibiti ad attività soggette a sorveglianza sanitaria in base agli artt. 16 e 17 del D. Lgs.
626/1994, da quelli in cui si svolgano altre attività. In quest’ultimo caso si deve applicare la
L. n. 25/1955 che prescrive l’obbligo di una visita medica preventiva gratuita presso la
struttura pubblica territorialmente competente.
Viceversa, nel primo caso, sussiste l’obbligo di due accertamenti, volti entrambi a verificare
l’idoneità della mansione specifica alla quale devono essere adibiti: un primo accertamento da
eseguirsi presso le competenti strutture pubbliche; un secondo accertamento effettuato dal
medico competente.
L’esito dell’accertamento sanitario va trascritto sulla scheda professionale del lavoratore.
L’art. 9, comma 3, del D. Lgs. n. 345/1999 prevede che nel caso in cui la visita si concluda
con un giudizio di non idoneità temporanea al mestiere prescelto, il sanitario dispone una
ulteriore visita, decorso un congruo periodo di tempo, senza dar luogo ad alcuna trascrizione
nella scheda professionale.
L’assunzione dell’apprendista senza l’espletamento della preventiva visita medica non pare
comportare sanzioni per il datore di lavoro. Tuttavia, il datore che assuma un apprendista
minorenne senza che quest’ultimo sia stato sottoposto alle visite stabilite dalla legge che
tutela il lavoro minorile, è soggetto alle sanzioni previste da tale legge.
Per effetto dell’abrogazione dell’art. 2, comma 2 della L. 25/1955, nonché dell’art. 21,
comma 3, della L. n. 56/1987, per poter assumere un apprendista non è più necessaria
l’autorizzazione della Direzione provinciale del Lavoro ( Sezione Ispettiva) territorialmente
competente e l’assunzione può avvenire direttamente senza il tramite del centro per l’impiego
dato che è venuto meno sia l’obbligo della richiesta nominativa che l’obbligo, per chi intende
essere assunto come apprendista, di iscriversi negli appositi elenchi tenuti dal suddetto ufficio
(art. 85, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003).
Con la dichiarazione di assunzione si instaura il rapporto di apprendistato.
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Tale dichiarazione, che rimane in possesso di entrambe le parti, deve precedere l’inizio della
prestazione lavorativa.
La forma scritta non è più obbligatoria, poiché la legge sull’apprendistato non la prevede
espressamente. Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che la forma scritta sia necessaria ad
probationem ( Cass. 17 aprile 1982, n. 2358).
Nella dichiarazione di assunzione può essere inglobato il patto di prova che deve essere
redatto, a pena di nullità, in forma scritta. E’ possibile stipulare il patto di patto di prova
mediante sottoscrizione, da parte dell’apprendista, di un atto unilaterale del datore di lavoro.
Inoltre, in essa devono essere indicati la durata del contratto, la sede, l’orario di lavoro, il
trattamento economico, le mansioni, la qualifica ed il livello di inquadramento
dell’apprendista ed il nome del tutor che durante il periodo di tirocinio è tenuto ad affiancare
l’apprendista.
La dichiarazione va, poi, sottoscritta da entrambe le parti e, nel caso di apprendista
minorenne, occorre anche la sottoscrizione da parte di chi esercita la potestà genitoriale.
Al momento dell’assunzione, a norma dell’art. 4 bis, comma 2, del D.Lgs. n. 181/2000, come
inserito dall’art. 6, comma 1, del D. Lgs. n. 297/2002, è stabilito che i datori di lavoro sono
tenuti a consegnare ai lavoratori una dichiarazione, sottoscritta, contenente i dati della
registrazione effettuata nel libro matricola in uso, nonché la comunicazione di cui al D. Lgs.
n. 152/1997.
Per la costituzione di una delle nuove tipologie di apprendistato introdotte dal D. Lgs. n.
276/2003 viene richiesta la forma scritta ad substantiam ed all’interno del contratto dovranno
essere indicati: la prestazione lavorativa a cui il lavoratore verrà adibito; la qualifica
professionale che potrà essere conseguita al termine del rapporto sulla base degli esiti della
formazione aziendale ed extraziendale; il patto di prova; la sede di lavoro; la durata del
contratto; le mansioni; la qualifica ed il livello attribuito all’apprendista; il nome del tutor; la
retribuzione; l’orario di lavoro; il contratto collettivo applicato; gli estremi della registrazione
nel libro matricola.
La mancata consegna al lavoratore della suindicata dichiarazione è punita con la sanzione
amministrativa corrispondente ad una somma da euro 250 a euro 1500 per ogni lavoratore
interessato, come indicato dall’art. 19, comma 2, del D. Lgs. n. 276/2003.
Con la medesima sanzione è punita l’omessa esibizione del libro matricola nel caso in cui
quest’ultima consegua l’impossibilità di accertare che il registro sia stato compilato
antecedentemente all’assunzione.
Alle violazioni riferite al periodo antecedente al 24 ottobre 2003, anche se l’accertamento è
avvenuto in data successiva, si applica la sanzione da euro 258 a euro 1549, prevista dall’art.
9 bis, comma 3, del D. L. 510/1996, convertito nella L. n. 608/1996.
Patto di prova
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La giurisprudenza di merito è unanime nel ritenere che il contratto individuale di lavoro può
solo ridurre il periodo stabilito dal contratto collettivo; in caso contrario, in applicazione
dell’art. 2077 c.c., la disposizione collettiva si sostituirà automaticamente a quella del
contratto individuale.
Allo stesso modo, nell’eventuale contrasto tra contratto collettivo di diritto comune e
contratto con efficacia erga omnes, si applicherà il contratto che prevede una durata minore
(4). L’eventuale previsione di un periodo di prova di durata superiore ai due mesi mon rende
nulla la relativa clausola, ma ha come conseguenza la riduzione automatica della durata al
periodo massimo consentito dalla legge.
Al patto di prova inserito nel contratto di apprendistato si applica la disciplina generale
dell’istituto ( art. 2096 c.c.), salvo deroghe specifiche disposte dalla disciplina speciale ( art.
10 della L. 15 luglio 1966, n. 604, che rende applicabile ai lavoratori in prova la disciplina
limitativa dei licenziamenti dal momento che l’assunzione diviene definitiva ed in ogni caso
una volta trascorsi 6 mesi dalla data di inizio rapporto, e la L. 29 maggio 1982, n. 297, che,
nel riformare il trattamento di fine rapporto, ha stabilito che il lavoratore ha diritto a tale
trattamento “in ogni caso di cessazione del rapporto”, comprendendo quindi, anche la
cessazione nel corso o al termine del periodo di prova).
La giurisprudenza ha dato applicazione rigorosa a questo principio, affermando la nullità di
eventuali clausole del contratto individuale di lavoro volte a prorogare il perido di prova oltre
la durata massima di sei mesi, poiché il legislatore ha valutato a priori come sfavorevole al
lavoratore un esperimento di durata superiore (5).
In applicazione dell’art. 2096 c.c., l’assunzione con patto di prova del lavoratore deve
risultare da atto scritto ad substantiam ossia, “ come estrinsecamente documentale della
volontà di entrambe le parti”(6) ed il patto deve essere stipulato in un momento anteriore o
coevo alla costituzione del rapporto.
L’orientamento largamente prevalente è quello che considera la forma scritta come richiesta
per la validità del patto.
La Cassazione, dopo pronunce contrastanti, ha riconosciuto che il requisito di forma adempie,
anche nel caso in esame, “a quella caratteristica funzione di freno all’autonomia privata che è
propria della forma costitutiva ed essenziale” (7) ed ha precisato che il requisito di forma può
dirsi osservato solo se l’atto scritto contiene la specifica indicazione delle mansioni affidate al
lavoratore e che costituiscono l’oggetto dell’esperimento.
L’eventuale malattia intervenuta nel corso dell’esperimento determina la sospensione del
rapporto con la conseguente proroga del termine di scadenza.
Nel corso o al termine del periodo di prova il recesso è libero (8), senza obbligo di
giustificazione, di preavviso o indennità, fermo il rispetto della durata minima eventualmente
pattuita dalle parti.
La giurisprudenza di merito si è allineata a questo orientamento, ribadendo che il recesso,
durante o al termine del periodo di prova non necessita di motivazione, ma sottolineando che
l’esercizio del potere di recesso da parte del datore di lavoro “non può essere caratterizzato da
una discrezionalità assoluta, ma deve essere coerente con la causa del patto” (9).
Va precisato che il recesso non può essere esercitato arbitrariamente, tant’è che il lavoratore
può invocare l’illegittimità del recesso “ogni volta sia in grado di dimostrare che non sia stata
consentita l’effettuazione dell’esperimento (10) oppure l’esperimento non abbia avuto durata
4
Trib. Milano 22 luglio 1982; Pret. Milano 23 settembre 1982; Cass. 15 settembre 1981, n. 5115.
5
Cass. 13 marzo 1992, n. 3093, DL, 1992, II, 334
6
Cass. 5 maggio 1979, n. 2574
7
Cass. S.U. 9 marzo 1983, n. 1756, OGL, 1983, 837
8
Corte Cost. 22 dicembre 1980, n. 189
9
Pret. Bari 2 marzo 1989, DL, 1989, II, 133
10
Cass. 8 febbraio 2000, n. 1387, OGL, 2000, 193
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adeguata o sia stato positivamente superato dal lavoratore, nonché tutte le volte che sia
imputabile ad un motivo illecito”.
Dall’eventuale illegittimità del recesso deriva la nullità del patto di prova. Pertanto, il
contratto di apprendistato prosegue tra le parti fino alla scadenza del periodo originariamente
previsto.
Una volta compiuto il periodo di prova, l’assunzione dell’apprendista diventa definitiva ( art.
13, D.P.R. n. 1668/1956) ed il servizio prestato dall’apprendista si computa nella durata
complessiva del relativo contratto di lavoro.
Un problema degno di nota concerne l’idoneità del contratto di apprendistato ad escludere il
patto di prova in caso di nuova assunzione del medesimo lavoratore da parte dello stesso
datore di lavoro.
La giurisprudenza, al riguardo, si è espressa nel senso dell’illegittimità dell’apposizione del
patto di prova nel caso di assunzione successiva a corsi aziendali di formazione professionale
conclusi positivamente o in caso di riassunzione del giovane lavoratore da parte dello stesso
datore di lavoro, qualora ciò avvenga per lo svolgimento di mansioni attinenti alla
qualificazione acquisita come apprendista(11).
La richiesta del parere di conformità circa il profilo formativo va comunicata agli Enti
Bilaterali di settore ( ove la contrattazione collettiva e le legge regionale così disponga), i
quali sono chiamati a verificare la conformità del contratto con la normativa nazionale e
regionale nonché con le prescrizioni derivanti dalla contrattazione collettiva in punto di profili
e oneri formativi. L’eventuale non conformità non proibisce all’azienda di assumere
l’apprendista, ma così facendo si espone a eventuali controlli della DPL nonché ad azioni
giudiziali del dipendente finalizzate ad accertare la natura del contratto quale lavoro
subordinato tout court.
Il datore di lavoro che assume apprendisti ha l’obbligo di comunicare all’Inail il codice fiscale
dei lavoratori assunti contestualmente alla instaurazione del rapporto. In caso di omessa o
errata comunicazione è applicata una sanzione amministrativa di 51 euro per lavoratore.
Ai sensi dell’art. 32, comma 7, L. n. 56/1987, i lavoratori apprendisti sono esclusi dal
computo dei dipendenti occupati ai fini dell’applicazione di istituti contrattuali subordinati ad
11
Pret. Napoli 15 luglio 1992, D&L, 1993, 559; Pret. Milano 27 aprile 1993, D&L, 1993, 832
12
una determinata dimensione aziendale, fermo restando per il settore artigiano quanto disposto
dalla legge n. 443/1985.
Così, ad esempio, gli apprendisti non vengono computati nel numero dei lavoratori richiesto
dalla legge per l’applicazione della tutela reale contro gli i licenziamenti illegittimi. Una
pronuncia della giurisprudenza di merito ha, tuttavia, compreso gli apprendisti tra i lavoratori
da conteggiare ai fini dell’applicazione della normativa sui licenziamenti. L’art. 1, comma 1,
della legge 223/1991 ha previsto il computo degli apprendisti ai fini dell’applicazione della
normativa in tema di intervento straordinario di integrazione salariale.
Durata.
12
Cass. 18 febbraio 1995, n. 1745
13
causa di sospensione si cumula con quello prestato al termine della stessa ai fini della
determinazione della durata massima di apprendistato.
Anche la giurisprudenza ha espresso l’orientamento secondo cui il termine deve essere
prorogato in misura pari alla durata di sospensione, al fine di salvaguardare l’esito positivo
del processo di formazione in corso. Si è detto, infatti, che affinché il contratto possa
perseguire l’obiettivo della crescita professionale del lavoratore è necessario lo svolgimento
effettivo sia della prestazione lavorativa, sia dell’insegnamento per il periodo di tempo
stabilito (13).
Inoltre l’art. 7, D.P.R. 1026 del 1976 stabilisce che i periodo di astensione obbligatoria o
facoltativa dal lavoro delle lavoratrici madre non si computano ai fini della durata del periodo
di apprendistato.
Prima del termine del periodo di apprendistato, il lavoratore non può essere licenziato nelle
imprese cui si applicano le leggi n. 604/1966 e n. 300/1970, se non per giusta causa o per
giustificato motivo.
Il datore di lavoro, tuttavia, può avvalersi della facoltà della facoltà di dare disdetta, ex art.
2118 c.c. allo scadere del suddetto termine, dando il preavviso nei modi stabiliti dai contratti
collettivi. Tuttavia, alcune sentenze della giurisprudenza di merito si sono espresse in favore
dell’applicabilità della tutela in materia di licenziamenti individuali anche al termine del
rapporto. Al termine del periodo di apprendistato, in mancanza di disdetta, il lavoratore viene
mantenuto in servizio. In tal caso, il periodo di apprendistato è considerato utile ai fini
dell’anzianità di servizio del lavoratore.
Sul piano regolamentare, si applica la disciplina dettata per il lavoro subordinato in quanto
compatibile purché non derogata da disposizioni di legge speciali ( art. 2134 c.c.)
Il contratto di apprendistato può essere stipulato sia per qualifiche operaie che impiegatizie.
Di regola tale tipologia contrattuale non può avere ad oggetto l’espletamento di mansioni
umili o estremamente semplici e neppure è ammissibile tale schema negoziale nel caso in cui
il giovane sia già in possesso di una qualifica o di un titolo adeguato alle mansioni che è
incaricato di svolgere.
Tuttavia, si osserva come rilevi, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, non già la
natura delle mansioni, ma il modo in cui le stesse sono espletate e la necessità che il corretto
svolgimento dell’attività lavorativa necessiti o meno dell’insegnamento(14).
E’ ammissibile la configurabilità dell’apprendistato presso aziende esercenti attività turistica
di tipo stagionale e persino con riguardo a lavoratori del settore agricolo.
La giurisprudenza ha, infine, escluso la configurabilità del tirocinio per le segretarie degli
studi professionali, mentre l’ ha espressamente ammesso nel caso di addetti al commercio, i
commessi ed aiuto-commessi, all’esercizio del tirocinio.
Orario di lavoro
Ai sensi dell’art.2, comma 4, del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, di attuazione delle direttive
93/104/CE e 200/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro,
gli apprendisti maggiorenni sono equiparati agli altri lavoratori.
Con la nuova disciplina sull’orario di lavoro è stata superata la previsione dell’art. 10, comma
1, L. 25/1955 che stabiliva un orario di otto ore giornaliere e non superiore a 44 ore
13
Cass. 12 maggio 2000, n. 6134
14
Cass. 11 dicembre 1991, n. 13364
14
settimanali e sono stati eliminati i limiti in materia di straordinario e di lavoro notturno
previsti dalla legge sopra richiamata.
Viene stabilito che:
- l’orario di lavoro è di 40 ore settimanali e non può, comunque, superare le 48 ore comprese
le ore di lavoro straordinario;
- l’orario giornaliero non ha una durata prestabilita, ma può essere al massimo di 13 ore,
avendo diritto ad almeno 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore;
- nel caso in cui l’orario giornaliero ecceda il limite di 6 ore, il lavoratore deve beneficiare di
un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di
lavoro;
- il lavoro notturno, intendendosi come periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti
l’intervallo tra la mezzanotte e le 5 del mattino, non può superare le 8 ore in media nelle 24
ore, salva l’individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di
riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite ( art. 11 D.Lgs.
66/2003 per quanto riguarda le limitazioni al lavoro notturno).
Ferie
Disciplina contrattuale
15
orario di lavoro; ferie; insegnamento complementare; iniziative di formazione esterne alle
aziende o al luogo di lavoro; età dell’apprendista, nel rispetto dei limiti minimi e massimi;
prove di idoneità).
La mancanza di una specifica regolamentazione da parte dei contratti collettivi non esclude la
possibilità che il rapporto di apprendistato sia legittimo.
In mancanza di disposizioni contrattuali specifiche si ritiene che, in linea di massima, possa
farsi riferimento, per gli istituti comuni, alle clausole dello stesso contratto collettivo
riguardante altri lavoratori.
Nel CCNL del Commercio , i livelli di inquadramento e il trattamento economico sono i
seguenti: due livelli inferiori a quello cui è inquadrata la mansione professionale per cui è
svolto l’apprendistato per la prima metà del periodo, un livello inferiore per la seconda metà
del periodo. In merito alla durata occorre distinguere in relazione alle qualifiche da
conseguire: per il II III e IV livello 48 mesi, per il V 36 mesi e per il VI 24 mesi.
16
conseguimento di alcuna qualifica professionale (17), così come non può essere adibito a
mansioni che richiedono una completa professionalità.
L’adibizione a mansioni umili è ritenuta compatibile con il tirocinio, purché il contratto
adempia effettivamente alla funzione di addestramento del lavoratore (18).
- collaborare con gli enti preposti all’organizzazione dei corsi di istruzione integrativa
dell’addestramento pratico.
- osservare le norme dei contratti collettivi di lavoro e retribuire l’apprendista in base ai
contratti stessi.
E’ pacificamente ammesso nella giurisprudenza della Cassazione che tale norma non
modifica la normale efficacia soggettiva dei contratti collettivi post-corporativi, limitata ai
soggetti aderenti alle associazioni sindacali stipulanti i contratti stessi.
Ciò vale per quanto riguarda la retribuzione dell’apprendista, che l’attuale contrattazione
collettiva fissa in misura inferiore rispetto ai minimi salariali dei lavoratori qualificati ed
adulti coerentemente con i caratteri propri dell’apprendistato e, in particolare, con l’incidenza
dell’addestramento e della capacità professionale ancora da eseguire.
Tali scelte della contrattazione collettiva hanno posto un problema di coerenza con i precetti
di cui all’art. 36 della Cost. Tuttavia, l’applicabilità di tale norma all’apprendistato è stata
sempre ammessa dalla Cassazione, la quale, in alcune occasioni, ha giustificato la minore
retribuzione con il fatto che l’apprendista, in quanto inesperto, ha un rendimento inferiore
rispetto a quella del lavoratore qualificato (19).
Inoltre, la giurisprudenza di merito ha stabilito, ormai da tempo che le ore dedicate
all’insegnamento teorico, ai fini della retribuzione, sono da considerarsi ore lavorate.
- Non sottoporre l’apprendista a lavori superiori alle sue forze fisiche o che non siano attinenti
alla lavorazione o al mestiere per il quale è stato assunto.
L’esigenza della corrispondenza delle mansioni a quelle per le quali è stato assunto è stata
affermata anche dalla giurisprudenza (20), ma a difesa del lavoratore la stessa Cassazione ha
ammesso la possibilità che il datore di lavoro muti le mansioni dell’apprendista in caso di
comprovata inidoneità delle stesse.
E’ ormai del tutto pacifico e ribadito dall’art. 1, comma 2, del D.P.R. 30 dicembre 1956, n.
1668, che può essere assunto come apprendista anche un giovane destinato a svolgere attività
impiegatizia. Ciò è ammesso anche nel caso in cui il giovane sia fornito di un diploma e
svolga mansioni semplici, perché le nozioni scolastiche non sono, in genere, ritenute
sufficienti al pratico e concreto espletamento dei compiti lavorativi.
- Concedere un periodo di ferie retribuite.
- Non sottoporre l’apprendista a lavorazioni retribuite a cottimo, né in genere a quelle a
incentivo.
- Accordare all’apprendista senza operare alcuna trattenuta sulla retribuzione, i permessi
occorrenti per la frequenza obbligatoria dei corsi di insegnamento complementare e di vigilare
perché l’apprendista stesso adempia l’obbligo di tale frequenza. La norma, secondo la
giurisprudenza di merito, va intesa nel senso che il datore di lavoro non è tenuto ad
organizzare lui stesso i corsi complementari, non solo a consentire al lavoratore di
frequentarli.
- Non adibire gli apprendisti a lavori di manovalanza e di produzione in serie.
A quest’ultimo riguardo si deve rilevare che per espressa previsione dell’art. 22, comma 2,
D.P.R. n. 1668 citato non sono lavori di manovalanza quelli attinenti alla lavorazione nella
quale l’addestramento si effettua in aiuto all’operaio qualificato o specializzato, sotto la cui
17
Cass. 24 agosto 1955, n. 8988
18
Cass. S.U. 12 dicembre 1988, n. 6764
19
Cass. 18 febbraio 1987, n. 1782; Cass. 29 gennaio 1987, n. 829
20
Cass. S.U. 12 dicembre 1988, n. 6764
17
guida l’apprendista è addestrato, quelli di riordino del posto di lavoro e quelli relativi a
mansioni normalmente affidate al fattorino, semprechè l’esplicazione di queste attività non
diventi prevalente ed in ogni caso rilevante in rapporto ai compiti affidati all’apprendista
stesso.
Inoltre, il Ministro del lavoro, con circolare 145 del 1971, ha specificato che il divieto di
adibire l’apprendista a “produzione in serie” si riferisce non al genere di attività svolta
dall’azienda, ma ai particolari lavori eseguiti nella produzione, con la conseguenza, quindi
che l’apprendista può essere assunto da un’azienda che esegua lavorazioni in serie, purché
venga adibito ad altre lavorazioni.
La formazione professionale dell’apprendista si attua mediante l’addestramento pratico e
l’insegnamento professionale. L’addestramento pratico si compie nell’azienda mediante
adibizione dell’apprendista a lavori attinenti alla specialità professionale verso cui è
indirizzato. L’insegnamento professionale che ha lo scopo di dare all’apprendista le nozioni
teoriche indispensabili all’acquisizione della piena capacità professionale, viene di solito
impartito presso appositi centri.
21
Cass. 24 ottobre 1986, n. 6236
18
- favorire l’integrazione tra le iniziative esterne all’azienda e la formazione sul luogo di
lavoro;
- entrare in contatto con la struttura di formazione esterna al fine di valorizzare il percorso di
apprendimento esterno ed interno all’azienda dell’apprendista;
- esprimere le proprie valutazioni sulle competenze professionali acquisite dall’apprendista,
affinché il datore di lavoro possa di conseguenza darne comunicazione alla struttura
territorialmente competente.
La formazione esterna
19
eventuali accordi a livello regionale tra le organizzazioni datoriali e sindacali
comparativamente più rappresentative.
Allo scopo di consentire l’organizzazione dell’attività di formazione, le imprese comunicano
all’amministrazione pubblica competente i dati dell’apprendista e quelli del tutor aziendale
entro 30 giorni dalla data di assunzione dell’apprendista stesso.
Al termine del rapporto di apprendistato, il datore di lavoro certifica le competenze
professionali acquisite dal lavoratore, dandone comunicazione alla struttura pubblica
territorialmente competente e rilasciandone copia al lavoratore. Inoltre, deve conservare per
cinque anni la documentazione sull’attività formativa svolta.
La formazione esterna all’azienda, purché certificata, ha valore di credito formativo ed è
evidenziata nel “curriculum” del lavoratore.
Quest’ultimo, se riassunto come apprendista per lo stesso profilo professionale presso altro
datore di lavoro, è esentato dalle attività formative trasversali già svolte, previa dimostrazione
dell’avvenuta partecipazione ai corsi.
L’impegno dell’apprendista deve essere normalmente pari ad almeno 120 ore medie annue.
Al termine del periodo di tirocinio l’apprendista sostiene di regola le prove di idoneità per
l’acquisizione della qualifica. Qualora il datore di lavoro non provveda all’attribuzione della
qualifica, gli apprendisti possono rivolgersi direttamente alla Direzione provinciale del lavoro
competente a chiedere di essere ammessi a sostenere la prova di idoneità.
La qualifica conseguita al termine del periodo di apprendistato viene annotata sulla scheda
professionale. All’apprendista, mantenuto in servizio per tale speciale rapporto di lavoro, va
riconosciuto l’inquadramento nella categoria e nella qualifica in vista delle quali il contratto
di apprendistato era stato a suo tempo stipulato, anche nei casi in cui non abbiano avuto corso
prove di idoneità professionale (22).
In altre parole, l’attribuzione della qualifica professionale avviene
- o attraverso un positivo giudizio di idoneità al compimento del tirocinio;
- o durante il periodo di tirocinio in modo implicito o esplicito attraverso l’attribuzione
effettiva all’apprendista delle mansioni che spettano al lavoratore qualificato.
Le prove hanno carattere teorico-pratico mediante le stesse deve essere accertato il grado di
capacità tecnico raggiunto dall’apprendista ai fini del riconoscimento della qualifica
corrispondente.
Tali prove si svolgono dinanzi alla Commissione provinciale per l’accertamento della
qualifica.
Ai sensi dell’art. 24, comma 2, D.P.R. n. 1668/1956, le modalità di esecuzione delle prove
sono stabilite dai contatti collettivi o, in mancanza, dalla Direzione provinciale del lavoro.
L’apprendista che ritiene di aver conseguito la professionalità necessaria può a norma dell’art.
25, comma 1, D.P.R. n. 1668 citato, inoltrare domanda al suddetto organo tecnico, operante
presso la Direzione provinciale del lavoro per essere sottoposto alla prova.
Il Centro per l’impiego trascrive nella scheda professionale ( o, in mancanza, nell’attestato
sostitutivo) degli apprendisti che hanno conseguito l’idoneità la qualifica ottenuta e compie,
nello stesso tempo, le conseguenti operazioni di aggiornamento delle liste di collocamento.
La Commissione giudicatrice redige, in ogni caso, apposito verbale indicante il giudizio
complessivo attribuito a ciascun apprendista. Il verbale è firmato da tutti i membri della
Commissione e controfirmato dal legale rappresentante dell’ente gestore.
Inadempimento
22
Cass. 30 gennaio 1988, n. 845
20
Inadempimento del datore di lavoro
Retribuzione
L’art. 2131 c.c. si limita a disporre che la retribuzione dell’apprendista non può assumere la
forma del cottimo, nulla precisando sia sull’an che sul quantum del corrispettivo. L’art. 11,
23
Cass. 28 gennaio 1987, n. 829
24
Cass. 28 gennaio 1995, n. 1052
21
lett. c), della legge 25/1955 ha introdotto il principio della obbligatorietà della retribuzione
all’apprendista disponendo che il datore ha l’obbligo di retribuire il giovane “ in base ai
contratti collettivi di lavoro in quanto compatibili”.
Il rinvio è alla contrattazione collettiva di diritto comune, pertanto, tali previsioni operano per
i soli aderenti alle organizzazioni di categoria (25).
L’art. 19 del D.P.R. n. 1668/1956 ha, poi, stabilito che la retribuzione può essere determinata
dall’accordo tra l’apprendista e il datore di lavoro in mancanza di contratti collettivi che
disciplinino la misura della retribuzione spettante all’apprendista.
In tale ultimo caso, la retribuzione concordata individualmente non si può discostare
notevolmente dal trattamento economico stabilito dal contratto collettivo del settore al quale
appartiene l’azienda.
Le norme internazionali ( Carta Sociale europea) riconoscono il diritto dei giovani lavoratori
e apprendisti a “un’equa remunerazione o a un assegno adeguato”.
La giurisprudenza ha affermato l’applicabilità del principio della retribuzione proporzionata e
sufficiente sancito dall’art. 36 della Costituzione anche al rapporto di apprendistato, rilevando
che il richiamo all’art. 2099 c.c. contenuto nell’art. 19, d.p.r. 1668/1956, determina ex necesse
il rinvio ai suddetti principi, che sono criteri applicabili a qualsiasi tipo di attività lavorativa,
dovendosi semmai considerare, nella concreta determinazione della retribuzione, che la
prestazione dell’apprendista è inferiore sia qualitativamente che quantitativamente a quella di
un normale lavoratore subordinato.
In conformità dell’art. 13, L. n. 25 predetta, l’ammontare della retribuzione potrà essere
graduato anche in relazione all’anzianità di servizio.
Possono essere accordati premi in danaro o in natura agli apprendisti che dimostrino
particolare diligenza nell’apprendimento o sul lavoro, purché non commisurati alla quantità
della produzione.
Va, infine, segnalato che la Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegittimo
l’art. 10, L. n. 604/1966, nella parte in cui non prevede gli apprendisti tra i beneficiari
dell’indennità di anzianità ( ora Tfr) dovuta in caso di risoluzione del rapporto.
Adempimenti contributivi.
Il trattamento contributivo per gli apprendisti si differenzia da quello stabilito per la generalità
dei lavoratori, in quanto:
- l’ammontare dei contributi è inferiore;
- i contributi a carico del datore di lavoro sono dovuti in misura fissa;
- nelle imprese artigiane i contributi sono ( salvo che per la tutela per la maternità) a carico
delle Regioni o – per alcune Regioni a Statuto speciale- del Ministero del lavoro anziché del
datore di lavoro, fermo restando l’obbligo contributivo a carico dell’apprendista;
- gli apprendisti non sono soggetti a tutte le forme assicurative.
In particolare, la L. n. 25/1955, agli artt. 15 e 21, prevede per gli apprendisti solo le seguenti
forme assicurative: infortuni sul lavoro e malattie professionali, invalidità, vecchiaia,
superstiti, cassa unica assegni familiari, malattia, maternità. Tali prestazioni competono ai soli
apprendisti eccetto che l’apprendista sia considerato capofamiglia.
Per quanto riguarda gli assegni familiari, il rapporto di apprendistato non fa cessare per tutta
la sua durata l’erogazione degli assegni familiari corrisposti per i minori.
Laddove sia l’apprendista stesso capofamiglia avrà diritto a ricevere gli assegni familiari per
le persone a carico a norma del Testo Unico sugli assegni familiari.
25
Cass. 10 luglio 1991, n. 7621
22
In giurisprudenza è stato affermato che il genitore capofamiglia può percepire gli assegni
familiari per il figlio apprendista ( infra- ventunenne) a condizione che lo stesso conviva a
carico del genitore (26).
All’apprendista non spettano, invece, trattamenti di integrazione salariale ( ad eccezione della
cassa integrazione in deroga) fondo di garanzia per il T.f.r.
Per la parte a carico dei datori di lavoro l’obbligo contributivo è stabilito in misura fissa
settimanale. A carico degli apprendisti è posta una aliquota contributiva per l’assicurazione
I.v.s. calcolata in percentuale sulla retribuzione imponibile, ma in misura ridotta rispetto a
quanto previsto per la generalità dei lavoratori.
La riduzione è stata stabilita dall’art. 21, L. 28 febbraio 1986, n. 41, in 3 punti percentuali. Le
aziende artigiane sono esonerate dal pagamento dei contributi a loro carico e l’onere è
trasferito alle Regioni.
Devono però pagare un contributo di maternità ( 0,02 euro) settimanale, in ogni caso, i
contributi dovuti dagli apprendisti.
Dal 1° gennaio 2007 la contribuzione a carico delle imprese per gli apprendisti è stata fissata,
per la generalità dei casi, al 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.
Sono stati previsti contributi ridotti per i datori di lavoro che occupano alle dipendenze un
numero di addetti pari o inferiore a nove, con aliquota di 8,5 punti per i periodi contributivi
maturati nel primo anno di contratto e di 7 punti percentuali per i periodi contributivi maturati
nel secondo anno di contratto, restando fermo il livello di aliquota del 10% per i periodi
successivi.
Rientrano nella norma i soggetti, operanti in qualsiasi settore di attività, assunti con contratto
di apprendistato, sia quello regolato dagli articoli 47 e seguenti del dlgs n. 276/2003 (“Legge
Biagi”), che in forza della normativa precedente (legge n. 196/97).
La Finanziaria 2007 ha disposto anche l’aumento dell'aliquota contributiva a carico
dell'apprendista (0,30% in più), ora fissata in 5,84%.
La nuova aliquota del 10% viene così ripartita tra le varie gestioni:
9,01% al fondo pensioni lavoratori dipendenti;
0,11% alla cassa unica per gli assegni familiari;
-0,53% all'assicurazione per l'indennità giornaliera di malattia;
-0,05% per l'assicurazione nei casi di maternità ;
-e dello 0,30% per la copertura Inail contro gli infortuni sul lavoro.
A decorrere dal 1° gennaio 2007, agli apprendisti sono estese le disposizioni in materia di
indennità giornaliera di malattia secondo la disciplina generale prevista per i lavoratori
subordinati.
In proposito, l'Inps ha di fatto chiarito che anche agli apprendisti si applica ora la disposizione
che prevede l'onere del lavoratore di presentare o inviare all'Inps e al datore di lavoro, entro il
termine perentorio di due giorni dal rilascio, rispettivamente, il certificato e l'attestato di
malattia compilati dal medico curante. In caso di ritardo o mancata presentazione o invio,
trova applicazione la sanzione della perdita dell'intera indennità relativamente alle giornate di
ritardo, salvo serio e apprezzabile motivo giustificativo del ritardo addotto e adeguatamente
comprovato dal lavoratore. Ora, anche per gli apprendisti valgono le disposizioni in materia di
fasce orarie di reperibilità e di controllo dello stato di malattia, con la possibilità di
effettuazione di visite domiciliari e/o ambulatoriali volte ad accertare la sussistenza dello stato
di incapacità lavorativa. Eventuali assenze ingiustificate a visita di controllo domiciliare e/o
26
Cass. 27 febbraio 1989, n. 1074; Cass. 29 gennaio 1990, n. 566
23
ambulatoriale, verranno quindi sanzionate secondo i criteri e le modalità già applicati per i
lavoratori subordinati.
Il fatto che una parte dell’aliquota (0,30%) sia destinata all’INAIL, da una parte introduce il
principio che tutti gli apprendisti devono essere assicurati contro gli infortuni e le malattie
professionali ma dall’altra, come in passato, conferma che nell'autoliquidazione Inail si
continuerà a non versare il premio assicurativo ordinario sulla retribuzione corrisposta agli
apprendisti
La nuova contribuzione apprendisti del 10% (senza l'applicazione delle riduzioni contributive
previste per le imprese con 9 e meno dipendenti) si applica, con decorrenza 1.1.2007, anche ai
rapporti di lavoro per i quali il legislatore, per incentivarne l'assunzione, ha fissato gli obblighi
contributivi nella misura stabilita per gli apprendisti.
In particolare si tratta di: assunti dalle liste di mobilità; lavoratori frontalieri divenuti
disoccupati in Svizzera iscritti nelle liste di mobilità; lavoratori in Cigs da almeno 3 mesi
provenienti da aziende in Cigs da almeno 6 mesi; contratti di inserimento per i quali risulta
possibile l'applicazione della contribuzione apprendisti, ex disposizione per i Cfl; giovani in
possesso di diploma e attestato di qualifica; apprendisti trasformati a tempo indeterminato;
giovani assunti per effetto di un contratto di solidarietà espansivo.
A seguito dell’intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza 28 novembre 1973, n.
169, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 10 della l. 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui
escludeva gli apprendisti dall’applicabilità delle tutele contro il licenziamento previste dalla
legge stessa solo con riferimento nel corso del rapporto, anche al rapporto di apprendistato si
applica l’art. 10 della L. 604/1966. Conseguentemente, durante il rapporto di apprendistato, il
datore di lavoro può recedere solo per giusta causa o per giustificato motivo.
Il datore di lavoro non può, invece, recedere dal rapporto di lavoro per mancato superamento
da parte dell’apprendista della prova di idoneità all’esercizio del mestiere che ha formato
oggetto dell’apprendistato, ove tale prova venga effettuata prima della scadenza del termine
dell’apprendistato stesso. Il datore di lavoro, in tal caso, è tenuto a proseguire l’addestramento
fino a tale termine ed a ripetere la prova.
Al compimento del termine di durata previsto dalla legge o del più breve termine stabilito
dalla contrattazione collettiva il rapporto di apprendistato cessa a seguito della disdetta che il
24
datore di lavoro ha la facoltà di comunicare ad nutum , ossia a prescindere dalla sussistenza di
una giusta causa o di un giustificato motivo ai sensi dell’art. 2118 c.c.
La disdetta deve, però, avvenire in forma scritta altrimenti è inefficace.
Al riguardo, la Corte Costituzionale, con sentenza 28 novembre 1973, n. 169, nella quale ha
dichiarato l’illegittimità dell’art. 10 della L. 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui
escludeva gli apprendisti dall’applicabilità delle tutele contro il licenziamento previste nella
legge stessa solo con riferimento al corso del rapporto, ha affermato che mentre non è
ragionevole che l’imprenditore possa troncare ad libitum il rapporto di apprendistato,
interrompendo l’addestramento ed impedendo, altresì, il realizzarsi del relativo fine, per
contro, coerentemente alla natura del rapporto di apprendista, resta integra la facoltà del
datore di lavoro di avvalersi del diritto di cui all’art. 19 della L. 25 citato e di dare disdetta ex
art. 2118 c.c. al termine del periodo di apprendistato.
La giurisprudenza della Cassazione, sulla base delle indicazioni fornite dalla Corte
Costituzionale, è del tutto unanime nel ritenere che alla fine dell’apprendistato la disdetta del
lavoratore sia del tutto libera, non richiedendo la sussistenza di una giusta causa o di un
giustificato motivo di licenziamento.
La questione più delicata che la giurisprudenza ha dovuto affrontare consiste nello stabilire il
momento in cui il datore di lavoro deve provvedere a comunicare la disdetta. A questo
proposito la Suprema Corte ha precisato che qualora la disdetta non sia comunicata nei modi e
nei termini stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, essa non può comportare
l’effetto risolutivo, con la semplice insorgenza del diritto all’indennità sostitutiva, ed impedire
la trasformazione del rapporto in un normale contratto di lavoro subordinato con la qualifica
conseguita.
Da ciò deriva la necessità di una corrispondenza tra scadenza del contratto di apprendistato e
scadenza del termine del preavviso: ove, infatti, il preavviso si consumi il giorno successivo
alla scadenza del contratto, il rapporto dovrebbe intendersi trasformato in contratto a tempo
indeterminato; se invece il preavviso ha termine prima della scadenza naturale
dell’apprendistato, il recesso sarebbe sottoposto al vaglio di legittimità sotto i profili di
sussistenza della giusta causa di risoluzione; il rapporto di apprendistato si trasforma in un
normale rapporto di lavoro subordinato.
In base all’art. 19 della L. 25/1955, l’apprendista è mantenuto in servizio con la qualifica
conseguita mediante le prove di idoneità ed il periodo di apprendistato è considerato utile ai
fini dell’anzianità di servizio.
Non si ha, invece, continuazione del rapporto, ma instaurazione di un nuovo e distinto
rapporto di lavoro nel caso in cui l’apprendista, superate le prove di idoneità, venga adibito a
mansioni diverse da quelle per le quali abbia ottenuto la qualifica.
D’altra parte, se il datore di lavoro, al termine del periodo di apprendistato mantiene in
servizio il giovane senza fargli svolgere le prove finali, il rapporto di tirocinio si trasforma in
normale rapporto di lavoro, con saldatura dell’anzianità, ed al lavoratore spetta, di diritto, la
qualifica che avrebbe potuto conseguire mediante il superamento delle prove.
Se, invece, l’apprendista è mantenuto in servizio dopo aver fallito le prove, il rapporto di
tirocinio si trasforma in un normale rapporto di lavoro, ma non vi è diritto all’inquadramento
nella qualifica per la quale si è svolto l’apprendistato; è anche scontato che, pur avendo
superato le prove di idoneità, l’apprendista non ha alcun diritto alla conservazione del posto
alla fine del periodo di tirocinio.
25
- autonomamente, in qualunque tempo durante il tirocinio, in modo esplicito o implicito, ossia
mediante l’attribuzione effettiva dell’apprendista alle mansioni che spettano al lavoratore
qualificato.
Se a seguito dell’attribuzione della qualifica professionale il lavoratore rimane in servizio il
rapporto di apprendistato si trasforma in un normale rapporto di lavoro a tempo indeterminato
ed il periodo di apprendistato deve considerarsi utile ai fini dell’anzianità di servizio.
La qualifica ottenuta al termine del periodo di apprendistato dovrà essere iscritta nella scheda
professionale.
All’apprendista mantenuto in servizio dopo il periodo massimo previsto dai contratti
collettivi per tale speciale rapporto, deve essere riconosciuto l’inquadramento nella categoria
e nella qualifica in vista della quali il contratto di apprendistato era stato originariamente
stipulato, anche nell’ipotesi in cui non abbiano avuto corso le prove di idoneità professionale.
Obblighi di comunicazione
.
Il datore di lavoro ha, altresì, l’obbligo di comunicare entro cinque giorni al Centro per
l’impiego competente la trasformazione del contratto di apprendistato a contratto a tempo
indeterminato. Dovrà altresì comunicare i nominativi e la qualifica degli apprendisti di cui sia
cessato il rapporto per qualsiasi motivo. La mancata comunicazione è punita con sanzioni
amministrative da 100 a 500 euro per lavoratore.
Nel settore del terziario ( ambito nel quale come in premessa viene posta l’attenzione dello
scrivente) le imprese non potranno assumere apprendisti qualora non abbiano mantenuto in
servizio almeno l’ 80% dei lavoratori il cui contratto di apprendistato sia già venuto a scadere
nei 24 mesi precedenti ( Accordo del 18 luglio 2008). A tal fine non si computano i lavoratori
che si siano dimessi, quelli licenziati per giusta causa, quelli che, al termine del rapporto di
apprendistato, abbiano rifiutato la proposta di rimanere in servizio con rapporto di lavoro a
tempo indeterminato e quelli i cui rapporti di lavoro siano risolti nel corso o al termine del
periodo di prova. La limitazione di cui sopra non si applica quando nel biennio precedente sia
venuto a scadere un solo contratto di apprendistato.
Il CCNL del Commercio sottolinea espressamente l’importanza della bilateralità nel sistema
delle relazioni sindacali ai vari livelli. L’Osservatorio nazionale, in particolare, è lo strumento
dell’Ente Bilaterale nazionale per il Terziario per lo studio e la “realizzazione di tutte le
iniziative ad esso demandate sulla base di accordi tra le parti sociali in materia di
occupazione, mercato del lavoro, formazione e qualificazione professionale. A tal fine, l’
Osservatorio attua ogni utile iniziativa” e in particolare “ riceve ed elabora, anche a fini
statistici, i dati forniti dagli Osservatori Provinciali sulla realizzazione e l’utilizzo degli
accordi in materia di contratti di inserimento e di apprendistato, nonché dei contratti a
termine”.
La disciplina del contratto di apprendistato è infatti frutto sia di discipline normative e
regolamentari, nazionali e regionali, sia soprattutto di contratti collettivi.
26
Nel settore Commercio, infatti, come si è potuto leggere in precedenza, agli Enti Bilaterali
Territoriali è attribuita la competenza circa la verifica della conformità del contratto di
apprendistato alla normativa nazionale e regionale.
Infatti i datori di lavoro che intendano concludere un contratto di apprendistato, debbono
presentare domanda, corredata di piano formativo, predisposto sulla base di progetti standard,
alla specifica Commissione dell’Ente Bilaterale, la quale esprimerà il proprio parere di
conformità in rapporto alle “ norme previste dal CCNL in materia di apprendistato, ai
programmi di formazione indicati dall’azienda ed ai contenuti del piano formativo, finalizzato
al conseguimento delle specifiche qualifiche professionali.
Ai fini del rilascio del parere di conformità, la Commissione è tenuta alla verifica della
congruità del rapporto numerico fra apprendisti e lavoratori qualificati, della ammissibilità del
livello contrattuale di inquadramento. Ove la Commissione non si esprima nel termine di 15
giorni la domanda si intende accolta ( silenzio-assenso).
La richiesta del parere di conformità è pertanto obbligatoria e determina la nullità del
contratto di apprendistato eventualmente concluso senza suddetta istanza.
27
L’esperienza di questi anni trascorsi ci porta a sottolineare come, alla base del mancato
decollo dell’istituto, ci sia in realtà una totale frammentazione delle competenze tra parti
sociali, Stato e Regioni, con queste ultime che, nell’ambito delle rispettive competenze, hanno
nella maggior parte dei casi “partorito” norme difformi e di difficile applicazione: tutto questo
in un quadro regolatorio ove la Corte Costituzionale, intervenendo su moltissimi aspetti della
legge 30/2003 e del D.Lgs. n. 276/2003, ha auspicato, in un sistema di “concorrenza di
competenze”, un principio di leale collaborazione. Gli attriti tra Amministrazione Centrale e
Enti locali, sin dal momento in cui le competenze in materia di lavoro sono state delegate a
questi ultimi, sono stati nell’ultimo decennio una costante che, spesso, ha portato ad una
voluta disattenzione rispetto a certi indirizzi amministrativi dettati per uniformità di
comportamento come , ad esempio, in una serie di questioni che hanno riguardato
l’avviamento al lavoro dei disabili.
Per ovviare alle lentezze delle procedure in essere, il legislatore ha ipotizzato un nuovo e più
agile canale attraverso il quale è possibile disciplinare la formazione dell’apprendista ( art. 49
comma 5-ter del D.Lgs. n. 276/2003).
Tale canale è, in un certo senso, “parallelo” rispetto a quello regionale, destinato a vivere del
tutto autonomamente. La contrattazione collettiva nazionale, territoriale o aziendale o gli Enti
Bilaterali possono regolamentare, in maniera integrale, i profili formativi dei giovani destinati
a svolgere la formazione per l’apprendistato professionalizzante esclusivamente all’interno
dell’azienda. Ovviamente, sia gli accordi collettivi che le determinazioni della “bilateralità”
debbono definire la nozione di formazione aziendale, i profili formativi, la durata e
l’erogazione, le modalità del riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e
la registrazione sul libretto formativo.
Nei chiarimenti espressi in una circolare, il Dicastero del lavoro ha ripreso i contenuti di una
risposta fornita ad un interpello della Confcommercio in data 7 ottobre 2008: questa
organizzazione chiedeva di conoscere se la previsione del nuovo art. 49, comma 5-ter, fosse
di immediata applicabilità per le aziende del settore terziario, alla luce del Ccnl siglato il 17
luglio 2008. Nell’art. 60 dell’Accordo, infatti, è prevista l’istituzione di una commissione
paritetica con il compito di applicare quanto demandato alla contrattazione collettiva dalla
disposizione appena citata: in attesa delle decisioni di detto organo paritetico, il contratto
collettivo conferma, anche per la formazione esclusivamente aziendale, i profili formativi
individuati dal protocollo Isfol del 10 gennaio 2002.
Il Ministero del lavoro ritiene che il nuovo Ccnl del terziario sia perfettamente allineato con i
nuovi principi regolatori introdotti, in via definitiva, dalla legge 133/2008 e che, quindi, la
formazione esclusivamente effettuata all’interno dell’azienda si possa applicare da subito nel
rispetto, per ciascun profilo formativo, della individuazione della durata e delle modalità di
erogazione della formazione, del riconoscimento della qualifica e della registrazione sul
libretto formativo.
Sulla base delle considerazioni appena effettuate si rendono necessarie alcune delucidazioni.
La prima è rappresentata dal fatto che la norma appare dotata di una caratteristica di estrema
flessibilità, potendosi legittimamente stabilire percorsi formativi all’interno dell’azienda sulla
base di accordi che, attesa la tipicità di alcune imprese, possono essere prettamente a rilevanza
locale.
La soluzione adottata appare coerente con l’indirizzo espresso dal legislatore del 2008: se
sono le parti sociali a definire i contenuti di norme che hanno la loro rilevanza sotto l’aspetto
contrattuale, è giusto che ciò avvenga anche a livello più basso, ma più vicino alla realtà
dell’impresa.
Ciò potrebbe portare ulteriori oneri interpretativi agli organi di vigilanza chiamati a
controllare i rapporti di apprendistato, anche alla luce del dettato dell’art. 53 del D.lgs. n.
276/2003.
28
Tale flessibilità appare, come si diceva, in linea coerente con un sistema che individua negli
accordi delle parti sociali l’elemento fondante per la gestione dei rapporti di lavoro all’interno
dell’azienda. Ciò non è assolutamente nuovo, sol che si pensi, ad esempio, alla possibilità
derogatoria, rispetto ai termini di legge, che le parti sociali hanno in materia massima di
durata dei contratti a termine, dei diritti di precedenza.
Il secondo chiarimento riguarda l’assenza di finanziamenti pubblici: tale canale formativo
intanto può avere una propria piena legittimità, in quanto l’Ente pubblico ( Regione o
provincia autonoma) non concorra con alcun finanziamento. Nulla toglie, tuttavia, che le
singole Regioni, in modo del tutto autonomo, possono decidere di finanziare, comunque, la
formazione: la nota ministeriale non ritiene la previsione di legge preclusiva, ma la
formazione resta “aziendale”.
La terza riflessione riguarda il concetto di formazione interna all’azienda.
La nota ministeriale pone l’accento sul fatto che non necessariamente la formazione deve
essere svolta nei locali all’interno dell’impresa, ma può essere svolta anche all’esterno ( e,
quindi, con altri soggetti) ma sotto il controllo della stessa che ne assume, sotto la piena
responsabilità. Si pone il problema se questi soggetti, cui incombe l’onere della formazione
interna, debbano essere qualificati o meno: la risposta è positiva nel senso che, ferma restando
la responsabilità del datore di lavoro per tutta la formazione, gli stessi devono essere
professionalmente in grado di impartire la dovuta formazione, ma ciò non significa che
debbano essere iscritti ad un albo o avere un riconoscimento pubblico.
Il quarto chiarimento concerne la piena operatività della disposizione nelle ipotesi in cui il
contratto collettivo vigente abbia già disciplinato la materia sulla scorta del preesistente
quadro normativo: la risposta del Ministero del lavoro è positiva, sulla base delle
considerazioni esposte nell’interpello della Confcommercio sopra citato. Ciò significa, ad
esempio, che anche nel settore del credito la norma può già trovare applicazione.
La quinta delucidazione riguarda i controlli degli organi di vigilanza alla luce delle novità
introdotte. L’art. 53 del D.Lgs. n. 276/2003 afferma che “in caso di inadempimento
nell’erogazione della formazione di cui si esclusivamente responsabile il datore di lavoro e
che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità di cui agli artt. 48, comma 2, 49, comma
1 e 50, comma 1 il datore di lavoro è tenuto a versare la differenza tra la contribuzione versata
e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe
stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%.
La maggiorazione così stabilita esclude l’applicazione di qualsiasi altra sanzione prevista in
caso di omessa contribuzione”. Sul punto, la circolare 40/2004 fece alcune riflessioni circa
l’imputabilità della mancata formazione al comportamento del datore di lavoro, osservando
che lo stesso doveva essere valutato dagli organi ispettivi sulla base del percorso di
formazione previsto nel piano e della regolamentazione regionale. Alla luce di quanto sopra,
la circolare 27/2008, afferma che, in caso di carenza dell’offerta formativa pubblica ( es. per
mancanza di corsi specifici, il datore di lavoro può assolvere l’obbligo formativo anche
all’interno dell’azienda utilizzando percorsi alternativi previsti dal Ccnl o, in alternativa,
ricorrendo ai profili predisposti dall’Isfol, come precisato dalla circolare 30/2005. Il
personale ispettivo, anche sulla base della direttiva di indirizzo del ministero del lavoro del 18
settembre 2008, deve valutare concretamente sulla base di differenti percorsi ( regionale,
aziendale, ex lege 196/1997 per quelle situazioni in cui ancora si applica l’art. 16 di
quest’ultima norma), se la formazione c’è stata, se ci si trova di fronte ad un comportamento
datoriale colpevolmente omissivo e , ricorrendone le condizioni, agire con la sanzione
individuata dall’art. 53.
La sesta questione riguarda le comunicazioni obbligatorie on-line dei contratti di
apprendistato professionalizzante la cui formazione è effettuata completamente all’interno e a
spese dell’azienda. La Direzione generale per l’innovazione e la comunicazione del Ministero
29
del Lavoro, in data 17 settembre 2008, ha sottolineato come l’erogazione diretta della
formazione sulla base dei percorsi definiti dagli Enti Bilaterali o dalla contrattazione
collettiva, porti il datore di lavoro a svincolarsi dalla definizione regionale dei profili
formativi. Ciò ha, come diretta conseguenza, il fatto che non c’è più l’obbligo di comunicare
l’assunzione dell’apprendista ( che effettua, si ripete, la formazione “esclusivamente
aziendale”) al sistema informativo in uso in ogni singola Regione, ma tute le comunicazioni
potranno essere accentrate su un unico sistema informatico prescelto secondo le modalità già
definite con la nota del 21 dicembre 2007.
La settima riflessione riguarda il concetto di qualificazione professionale che è diverso da
quello di qualifica professionale. La circolare n. 27/2008 ricorda che l’apprendistato
professionalizzante è finalizzato alla acquisizione di una qualificazione rilevante “ ai fini
contrattuali”: in tale logica, anche la durata del monte ore destinato alla formazione deve
essere coerente con l’obiettivo finale.
Ciò significa che sia la durata che le modalità della formazione devono essere strettamente
correlate con le qualifiche e le declaratorie contrattuali previste nei Ccnl. Ciò è
completamente diverso dal titolo di studio o dalla qualifica professionale spendibile
nell’ambito del sistema nazionale di formazione ed istruzione a norma della legge 53/2003, in
materia di diritto-dovere all’istruzione e formazione, come disciplinato dall’art. 48 del D.Lgs.
n. 276/2003, ancora non attuato, in mancanza di una serie di elementi fondamentali come
l’accordo nella Conferenza Stato-Regioni. Quest’ultimo appare strettamente correlato al
successivo art. 52 sul riconoscimento dei crediti formativi che tuttora è rimasto sulla carta. La
circolare sembra, pertanto, fornire una risposta anticipata ai rilievi che alcune Regioni hanno
avanzato nei confronti dell’art. 23 della legge 133/2008, con il ricorso avanzato alla Corte
Costituzionale sulla base della “non spendibilità” della qualifica acquisita in ambito aziendale
sull’intero territorio, atteso che la materia delle qualifiche appartiene alle competenze
regionali in materia di istruzione.
30
Si precisa inoltre che i profili formativi individuati dall’intesa recentemente sottoscritta non
esauriscono l’insieme delle professionalità presenti nel CCNL del Terziario e che, pertanto, i
contenuti formativi a carattere professionalizzante ed a carattere trasversale e di base potranno
essere applicati anche ad altre qualifiche afferenti al profilo non espressamente comprese
nella predetta elencazione.
Si sottolinea, infine, che il documento è stato elaborato a fini formativi e la delimitazione
delle aree di attività, l’individuazione dei profili tipo, i raggruppamenti delle qualifiche e la
declinazione delle relative competenze non producono alcun effetto sui contratti individuali e
collettivi di lavoro.
I contenuti formativi si distinguono in:
1) formazione trasversale, di base omogenea per tutti gli apprendisti, e articolata in cinque
aree di contenuti:
- accoglienza, valutazione del livello di ingresso e definizione del piano formativo
- competenze relazionali;
- disciplina del rapporto di lavoro;
- organizzazione ed economia;
- sicurezza sul lavoro.
2) formazione professionalizzante i cui contenuti si distinguono in tre aree: di settore, di area,
di profilo, persegue i seguenti obiettivi formativi:
- la conoscenza dei prodotti, dei servizi e del contesto aziendale;
- la conoscenza delle basi tecniche e scientifiche della professionalità;
- conoscere e saper utilizzare gli strumenti e le tecnologie di lavoro ( attrezzature, macchinari,
strumenti di lavoro, ecc.)
- la conoscenza e l’utilizzo delle misure di sicurezza individuali e di tutela ambientale
specifiche del settore;
- la conoscenza delle innovazioni del prodotto, di processo e di contesto.
31
annualità successive. Le ore di formazione trasversale di base e quelle professionalizzanti
sono comprese nell’orario normale di lavoro.
Sono stati definiti i nuovi contenuti formativi, relativi a ciascun profilo professionale ed
articolati in attività formative a carattere trasversale di base e contenuti a carattere
professionalizzante.
Nel rispetto di quanto previsto dall’art. 50, lett. d), Ccnl Terziario in relazione all’orario di
svolgimento dell’attività formativa ed in materia di registrazione della formazione erogata, la
formazione sia a carattere trasversale di base che a carattere professionalizzante può essere
svolta in aula, in the job, nonché tramite lo strumento della formazione a distanza ( FAD) e
strumenti di e-learning ed in tal caso l’attività di accompagnamento potrà essere svolta in
modalità virtualizzata e attraverso strumenti di tele-affiancamento o video-comunicazione da
remoto.
Qualora l’attività formativa venga svolta esclusivamente all’interno dell’azienda, fermo
restando quanto previsto dall’art. 47 del vigente Ccnl Terziario, la stessa dovrà essere in
condizione di erogare formazione ed avere risorse umane idonee a trasferire conoscenze e
competenze richieste dal piano formativo, assicurandone lo svolgimento in idonei ambienti,
come indicato nel piano formativo.
In relazione a ciò, risulta determinante la presenza di un referente per l’apprendistato, interno
od esterno, che dovrà essere individuato all’avvio dell’attività formativa ed avrà il compito di
seguire l’attuazione del programma formativo.
Il referente interno per l’apprendistato, ove diverso dal titolare dell’impresa stessa, da socio
ovvero da familiare coadiuvante, è il soggetto che ricopre la funzione aziendale individuata
dall’impresa nel piano formativo e dovrà possedere un livello di inquadramento pari o
superiore a quello che l’apprendista conseguirà alla fine del periodo di apprendistato e
competenze adeguate.
In caso l’azienda intenda avvalersi, per l’erogazione del la formazione, di una struttura
esterna, quest’ultima dovrà mettere a disposizione un referente per l’apprendistato provvisto
di adeguate competenze.
Al termine del rapporto di apprendistato il datore di lavoro certificherà l’avvenuta formazione
e darà notizia all’interessato, nei tempi definiti dall’art. 50, ultimo comma, CCNL Terziario
del 18 luglio 2008, dell’eventuale acquisizione della qualifica professionale.
Il datore di lavoro, inoltre, è tenuto a comunicare entro 5 giorni al competente Centro per
l’impiego di cui al D. Lgs. n. 469/97 ed all’ente bilaterale i nominativi degli apprendisti ai
quali sia attribuita la qualifica.
Il datore di lavoro è tenuto, altresì, a comunicare al competente Centro per l’impiego i
nominativi degli apprendisti di cui per qualunque motivo sia cessato il rapporto di lavoro,
entro il termine di 5 giorni dalla cessazione dalla stessa.
In assenza di libretto formativo del cittadino, la predetta certificazione sulla formazione
svolta, varrà anche ai fini dell’attestazione sul percorso formativo.
32
Per la prima nel 2007 il numero di occupati con contratti di apprendistato in Italia ha superato
la quota delle 600.000 unità e, compiendo un balzo di oltre 50.000 contratti, ha raggiunto la
media annuale di 638.807 unità.
Si conferma quindi il trend di crescente utilizzo dello strumento che si registra nel Paese
ininterrottamente dal 1998, ossia dalla prima riforma dell’istituto operata dalla L. 196/97, e
tale risultato segna anche una ripresa significativa nella diffusione dell’apprendistato dopo il
rallentamento registrato nel periodo 2004-2006.
Infatti, l’incremento percentuale rispetto all’anno precedente per il 2007 segna un + 8,9% di
apprendisti occupati, percentuale che risulta più che doppia nel confronto con quella registrata
fra il 2005 e il 2006.
Rispetto al dato del 1998, poi, la performance del 2007 indica che si è quasi raggiunta la
soglia del raddoppio dell’utenza dell’apprendistato nell’arco temporale di un decennio circa.
Infatti la variazione percentuale rispetto al 1998 si attesta all’84%.
Di contro i dati definitivi per il 2008 sembrano indicare l’avvio di una nuova fase di
rallentamento nella diffusione dello strumento, in parallelo con le criticità che si registrano
sull’intero quadro macro-economico, pur se per il 2008 permane una variazione positiva
rispetto all’anno precedente. Infatti, la media annuale per il 2008 si attesta a 644.592, con una
crescita rispetto all’anno precedente pari a poco meno dell’1%.
Gli andamenti descritti non hanno interessato allo stesso modo le diverse macro-aree del
Paese. Se pressocchè tutte le circoscrizioni hanno registrato una variazione positiva
dell’occupazione in apprendistato nell’ultimo biennio e rispetto al 1998, l’incremento si è
caratterizzato diversamente sui vari territori.
Storicamente l’apprendistato ha avuto una ampia diffusione nelle regioni settentrionali, dove
si è sviluppato a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso sulla scorta dei cambiamenti
della struttura industriale del Paese, con la nascita delle PMI a seguito delle trasformazioni
della grande impresa, favorito dalla definizione della legge del 1955, che ne agevola il
radicamento sull’onda dell’entità degli sgravi contributivi concessi alle imprese .
In questo contesto, lo strumento ha acquisito e consolidato un ruolo strategico nell’ambito
dell’occupazione, subendo poco la concorrenza del vecchio contratto di formazione e lavoro
e/o di altri strumenti pensati per favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
Pertanto guardando la composizione percentuale della macro-area degli apprendisti occupati
con riferimento al biennio 2007/2008, nell’area settentrionale rimane concentrato il 55% circa
dei contratti, ovvero più della metà dell’aggregato complessivo; tuttavia questo dato, se
confrontato con la composizione registrata con riferimento all’anno 1998, indica un
riequilibrio della distribuzione territoriale dell’occupazione con contratto di apprendistato.
Infatti, pur in presenza di una crescita diffusa, la variazione percentuale dell’occupazione
rispetto all’anno base 1998 evidenzia che l’incremento registrato per l’area settentrionale si
attesta intorno al 60% ( dati ISFOL), mentre per le altre macro-aree l’incremento risulta a tre
cifre.
Nel 1998 gli apprendisti impiegati in Umbria erano pari a 6.347. Nel 2002, il numero è salito
vertiginosamente a 11.696. I dati del 2008 confermano il trend ascendente: gli apprendisti
sono infatti 16.933.
E’ noto, in base a quanto sopra detto, che l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 276/03
per le parti relative alla riforma dell’apprendistato era subordinata all’emanazione di
regolamentazioni (leggi) ad opera delle Regioni e Province Autonome.
33
A distanza di quattro anni dall’approvazione del dgs. 276/2003, l’apprendistato che fa
riferimento al quadro normativo della legge 196/97 risulta essere quello maggiormente in
uso, tanto che quasi un contratto su due è stipulato all’insegna della legislazione precedente.
I dati disponibili per il 2008 ( fonte ISFOL) testimoniano come invece il contratto di
apprendistato professionalizzante si afferma finalmente come prima forma di apprendistato in
uso sul territorio nazionale, pur se rimangono circa un terzo di contratti stipulati nella forma
della L. 196/97.
Con riferimento al 2007 l’analisi per settore economico individua l’edilizia come l’ambito in
cui è maggiormente diffuso il contratto di apprendistato ( 22,8%). Tale primato si conferma
nei tre anni considerati, anche se appare più ridotto il gap con il settore commercio. E’ solo
nell’area del Nord-ovest che le prime due posizioni si invertono per tutto il periodo, con una
presenza maggiore di apprendisti nel commercio al minuto e all’ingrosso che nell’edilizia
( 22,8% contro il 20%).
I dati del 2008 ( ultimo anno rilevato) sembrano invece segnalare un’inversione nelle prime
due posizioni anche nella media nazionale: il numero di contratti accesi nel commercio supera
di circa 6.000 unità quelli dell’edilizia.. A ben vedere, rispetto all’anno precedente, mentre è
proseguito il trend espansivo del commercio, l’edilizia ha fatto un arretramento, perdendo
circa 7000 contratti di apprendistato.
Il dato nazionale, quindi evidenzia una forte concentrazione del fenomeno: i tre settori
dell’edilizia, del commercio e del metalmeccanico occupano circa i tre quinti del totale degli
apprendisti. Un altro quinto si colloca in altre aree del terziario, ripartito fra il turismo e i
servizi alla persona; la quota rimanente, pari a meno del 20%, si ripartisce fra una molteplicità
di altri ambiti economici.
Esaminando infine le variazioni percentuali da un anno all’altro nel periodo 2005-2008 si
rileva che è in vari settori del terziario che l’incremento è sempre stato non solo positivo, ma
anche superiore all’incremento complessivo sul totale dell’occupazione; si fa riferimento non
solo al settore commercio, ma anche a quello degli studi professionali e soprattutto del
credito, che rimane però attestato su una numerosità residuali in valori assoluti.
Dai dati forniti dalle Regioni nell’ambito dei rapporti di monitoraggio risulta che nel corso del
2006 e 2007 sono stati rispettivamente 38.060 e 39.068 i tutor aziendali che hanno preso parte
agli appositi interventi formativi.
Rispetto al 2005, il numero di tutor formati nel corso del 2006 sul territorio nazionale è sceso
del 18, 9%, con un rapporto fra tutor aziendali e apprendisti formati di 1:2.
Nel 2007 il limitato incremento di tutor aziendali in formazione non riesce a tenere il passo
con gli apprendisti inseriti in attività formative ( 19,5%) e conseguentemente il rapporto fra
tutor aziendali e apprendisti scende a uno a tre.
Specularmente a quanto registrato in relazione alle attività formative per apprendisti, anche la
distribuzione degli interventi per i tutor aziendali non è omogenea sulle diverse macro-aree:
nel settentrione si concentra oltre l’80% degli interventi. L’aumento totale dei partecipanti ai
percorsi per tutor aziendale interessa oggi solo le aree settentrionali, e in particolari due
amministrazioni: Lombardia e Veneto.
Escludendo tali territori, le restanti Regioni ( Umbria compresa) evidenziano una contrazione
delle attività formative destinate a tale utenza. Addirittura Puglia e Abruzzo non hanno
organizzato alcuna attività formativa per i tutor.
In Umbria i tutor partecipanti alla formazione sono stati, nel 2006, 934 e nel 2007 solo 200
con un –80% di formazione rivolta ai formatori. V’è da chiedersi, e la domanda è più che
scontata, che tipo di formazione venga erogata agli apprendisti se chi deve formare non è a
34
sua volta “formato”. Senza dimenticare che nel settore commercio, in Umbria, solo il 5%
degli apprendisti viene effettivamente formato all’esterno della azienda presso Enti Formatori
Accreditati ( vedi ITER). Tali osservazioni testimoniano, quasi ve ne fosse bisogno, che il
contratto di apprendistato è uno strumento per introdurre al mercato del lavoro della
manovalanza giovane, sotto inquadrata, con gran risparmio per le aziende.
Nonostante le previsioni regionali abbiano in molti casi stabilito una durata della formazione
obbligatoria superiore alle 8 ore, la maggior parte degli interventi realizzati nel corso del 2006
ha continuato a fare riferimento al minimo previsto dal DM n. 22/2000. Evidentemente in
molti casi si tratta di interventi realizzati in attuazione di programmazioni effettuate prima
dell’entrata in vigore della nuova regolamentazione regionale.
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valutazione, attività di formazione degli operatori di sistema. I decreti ministeriali di
ripartizione delle risorse regionali prevedono che alle attività di supporto sia destinata una
minima parte degli impegni, comunque non superiore al 10% dello stanziamento totale.
Analizzando i dati del 2006 e del 2007 relativi agli impegni fra attività formative e azioni di
sistema, si rileva un sostanziale allineamento da parte delle Regioni alle previsioni
ministeriali: infatti in entrambe le annualità il 93,0% delle risorse impegnate a livello
nazionale viene destinato alle attività di formazione.
36