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Nicola Zitara

Lunit truffaldina
Lorigine politica del capitalismo padano e del disastro meridionale Capitolo settimo La cavalcata della Banca Nazionale sarda

7.1 Nel 1859 la Banca contava due sedi, Genova e Torino, e cinque succursali: Alessandria, Cagliari, Cuneo, Nizza e Vercelli. Quellanno, gi prima che gli austriaci fossero battuti da Napoleone III, il capitale sociale venne portato a 80 milioni, in modo da concederne un quinto al padronato lombardo[1]. I trentamila caduti a Solferino e San Martino erano ancora insepolti, quando fu istituita la sede di Milano. La minaccia del dissesto, conseguente al run dei possessori di banconote, si dissolse fra i vapori agostani della Palude Padana, merc loro che i lombardi portarono in dote. Non so se Wagner si sia mai interessato alle banche, certo che il dilagare della Banca Nazionale per le cento citt dItalia ricorda limpeto incalzante de La cavalcata delle Valchirie. Bombrini corse pi veloce dei bersaglieri. Tra il giugno del 1859 e il settembre 1860 venne praticamente realizzata loccupazione dellEmilia, delle Romagne, dellUmbria, delle Marche. Crollate anche le Due Sicilie, furono immediatamente istituite altre due sedi, Napoli e Palermo. Ma non la Toscana. Nel 1860, Bombrini inaugur succursali ad Ancona, Bergamo, Bologna, Brescia, Como, Messina, Modena, Parma, Perugia, Porto Maurizio (lattuale Imperia) e Ravenna; nel 1862 sinsedi a Catania, Cremona, Ferrara, Forl, Pavia, Piacenza, Reggio Calabria e Sassari; nel 1863 a Bari e Chieti; nel 1864 allAquila, Catanzaro, Foggia, Lecce e Savona. Nel 1865, i toscani scesero a patti, cosicch Bombrini pot aprire la sede di Firenze. Quellanno inaugur succursali anche ad Ascoli Piceno, Carrara, Lodi, Macerata, Pesaro, Reggio Emilia, Siracusa e Vigevano. Nel 1866 sinsedi a Caltanissetta, Cosenza, Girgenti (Agrigento), Novara, Salerno, Teramo e Trapani. Nel 1867, acquisito il Veneto ai Savoia, compr una banca veneziana e la trasform nella propria sede di Venezia. Apr inoltre le succursali di Padova,

Mantova, Udine e Verona. Al Sud inaugur la succursale di Avellino. La penetrazione locale prosegu dopo lannessione di Roma (1870). Una diffusione cos ampia, ad opera di una banca privata, che si era messa in campagna con appena cinque milioni doro in cassa, si spiega soltanto con la fanfara dei bersaglieri. Questa espansione privata, e tuttavia munita del sigillo dello Stato, fu una cosa da Compagnia delle Indie, indegna di un Regno che si autoproclamava fondato sulla volont della nazione, oltre che sulla grazia di Dio. Evidentemente in quel momento il Sud era coperto di nubi e sfuggiva alla vista e alla grazia di Dio! Per giunta, la consorteria cavourbombrinesca inchiod al remo gli altri istituti di credito esistenti, alcuni dei quali - sicuramente il Banco delle Due Sicilie e la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde avrebbero potuto fare dessa un solo boccone. Persino laccomodante Di Nardi costretto ad ammettere che "l'espansione [della Banca Nazionale] non avvenne senza contrasti e difficolt. Negli antichi Stati italiani esistevano altre banche [] e potenti isti tuti di credito radicati nella tradizione locale, che mal volentieri vedevano l'insediamento nelle loro citt di un istituto concorrente, che sembrava [sic, zucchero patriottico!, ndr] godesse appoggi e protezioni del governo. Alcune di quelle banche si arresero subito alla rivale piemontese, convinte di non poter reggere a lungo alla lotta con essa sulle stesse piazze. Fu il caso della Banca Parmense e della Banca delle Quattro Legazioni a Bologna, entrambe [da poco, ndr] autorizzate all'emissione di biglietti, che concordarono presto la loro fusione con la Banca Nazionale, per cui gi nel marzo 1861 le rispettive sedi erano trasformate in succursali della Banca Nazionale. Atteggiamento di resistenza assunsero invece la Banca Nazionale Toscana ed i banchi meridionali. A Firenze la Banca Nazionale ci and solo nel 1865, quando la sede del governo s trasfer nella capitale toscana. Nelle provincie meridionali si insedi pi presto, ma dov vincere forti resistenze locali e proced con ritardo nella fondazione di alcune succursali, per le precarie condizioni dell'ordine pubblico in quelle provincie, che per alcuni anni furono infestate dal brigantaggio borbonico" (Di Nardi, pag. 46 e sgg.)[2]. Come annotato da Di Nardi nel passo riportato, la Banca Nazionale entr in Toscana soltanto nel 1865, cio sette anni dopo lannessione del Granducato, insieme al re, al governo e al parlamento, allorch la capitale dItalia venne trasferita da Torino a Firenze. La citt dei Bardi e de Medici fu lultima e sofferta conquista di Bombrini prima della terza guerra cosiddetta dindipendenza e della conquista del Veneto. In precedenza i toscani, avendo capito tutto, non avevano permesso che aprisse una delle sue prosciuganti sedi nella loro capitale e delle succursali nelle loro citt, insofferenti di dominio forestiero. I banchieri toscani erano consapevoli che per loro sarebbe stato impossibile resistere allaggressione di un concorrente ammanicato con lo Stato, perci si difesero sul terreno politico. Gli storici patrii non sono riusciti a tenere nascosto il contrasto tra toscani e piemontesi. E persino divertente il visibile affanno per cercare di addolcirlo con parole melliflue. Non si possono offendere i toscani, perch nessuno in Italia pi italiano dei toscani, ma neppure si pu dire male dei piemontesi, essendo essi i padri

della patria. Tuttavia fra le contorsioni lessicali, emerge chiaramente che qualcuno, capace di imporre la sua volont persino al colendissimo e venerato Cavour, viet a Bombrini di calcare una terra rinascimentale, sacra a ogni forma di usura. E allusura come opera darte. Infatti la Toscana, fra tante primogeniture, vanta quella daver tenuto a battesimo la banca moderna. Tuttavia, spenti gli antichi splendori, una sua banca demissione era arrivata ad averla soltanto nel 1858: la Banca Nazionale Toscana, che era il prodotto della fusione tra la Banca di Sconto di Firenze e la Banca di Livorno. Plebano e Sanguinetti, gli storici di cose finanziare pi accreditati dellepoca, considerano la Nazionale Toscana una copia della Nazionale Sarda (pag. 114), che laveva preceduta di un buon decennio. Si tratta di un giudizio che mi appare tarato di sabaudismo, in quanto sorvola sul fatto che i biglietti della Banca Toscana erano garantiti dallo Stato, allo stesso modo delle fedi di credito duosiciliane; cosa che non di poco conto, se si ha presente la funzione sociale e politica della dalla Banca ligure-piemontese, consistente nel drenaggio del circolante metallico. Qualche anno dopo la morte di Cavour, si mise a fare la ruota del gran ministro delle finanze il napoletano Giovanni Manna, uno dei tanti utili idioti che il sistema padano andava mobilitando al suo servizio. E probabile che alquanto ingenuamente questi considerasse lItalia-una una specie di Tavola Rotonda di tutti gli italiani, cosicch immagin di poter creare un istituto unico demissione, pi o meno controllato dal padronato di tutte le regioni. Ovviamente Bombrini, sulle idee dei ministri, specialmente se napoletani, ci faceva la pip. Daltra parte, piegata la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, non aveva altro avversario degno dessere veramente temuto se non il Banco delle Due Sicilie, al cui confronto la Banca Toscana era un ringhioso botoletto aizzato da Ricasoli e dal suo avido contorno. I giochi di Bombrini ormai erano fatti: Firenze si sarebbe data per amore o per altro, e Napoli, prima o poi, si sarebbe arresa per fame. Comunque, alle insistenze del ministro Manna il governatore della Nazionale non pot opporre un aperto rifiuto. Fu cos che tra la Banca Nazionale ex sarda e la Banca Nazionale Tosacana si arriv a un reclamizzato accordo. Manna port in senato il disegno di legge governativo. Dopo lunghe e ampollose discussioni, il senato lo approv, ma, quando pass alla camera, questa lo lasci dormire fra le altre scartoffie, finch non sopraggiunse la scadenza della legislatura. In apparenza, sia alla camera sia al senato, la maggioranza era contraria alle bramosie della Banca Nazionale; nella sostanza era Bombrini a fomentarle perch si perdesse tempo, in attesa che la Banca Toscana gli cadesse in grembo come una pera matura. Bombrini voleva mangiare, e non accordarsi sul men. Tra attacchi e resistenze, la partita tra Juventus e Fiorentina si protrasse dal 1859 al 1865 - cio un incalcolabile numero di tempi supplementari. Alla fine la cosa ebbe la sua naturale conclusione: il governo, spostando la capitale del Regno da Torino a Firenze, pretese che la sede centrale della Banca bombrinesca (che era sempre una banca privata) lo seguisse nella nuova capitale. Bombrini assorb la Banca Toscana in cambio di

15 milioni di azioni della Banca sarda: 10 a copertura del capitale sociale e 5 come regalia, per tappare la bocca ai verbosi discendenti di Savonarola. 7.2 Il grande ministro, che aveva fatto il possibile per fare di Bombrini un uomo del tesoro (o forse al contrario, il tesoro una cosa di Bombrini), prima ancora che i bersaglieri mettessero piede a Napoli, onde prendere il posto delle camicie rosse, ordin al luogotenente del re sedente a Napoli di prendere possesso del Banco (che raccoglieva ben 50.000 ducati, pari a 212,5 milioni di lire sabaude) per conto del tesoro torinese. Ma pochi mesi dopo esso venne emancipato dalla diretta dipendenza al nuovo re. In base al decreto 6 novembre 1860, divenne unistituzione pubblica (nominalmente) autonoma. Rimase, cio una banca di diritto pubblico[3], in teoria autonoma, in pratica sottoposta alla direzione politica del governo. Stessa sorte tocc alla sezione siciliana del Banco delle Due Sicilie, che si fondava su due casse di sconto autonome, Palermo e Messina. Il Banco di Sicilia ebbe unincardinazione formale e pratica identica a quella del Banco di Napoli. Nonostante Francesco II avesse attinto con pochi riguardi alle riserve metalliche, per condurre la guerra contro i garibaldini, nel 1860 il Banco aveva ancora, nelle sue casse, argento e oro quaranta volte che la Banca Nazionale. Ovviamente una persona di indole fortemente venale non poteva disinteressarsi al malloppo, cosicch, appena le inclemenze stagionali gli permisero un viaggio per mare, Bombrini simbarc a Genova (non da escludere che lo facesse su una fregata del defunto Regno delle Due Sicilie, pi grande e sicura) e sbarc a Napoli, dove lordine pubblico era saldamente in mano alla patriottica e garibaldina camorra. Siamo nellautunno 1860. Il vittorioso Vittorio ha appena varcato il confine del Tronto. A Napoli Bombrini incontr i membri del governo luogotenenziale, per spiegare loro che in alto si era convinti che la conquista di Napoli non poteva fermarsi alle sciabole. I patriottici (sotto)-ministri annuirono. Il suo progetto fu fatuo e civettuolo. Prevedeva lincorporazione del Banco e lapertura a Napoli di una sede allo stesso livello di quella milanese. Per far posto ai 200 milioni che Napoli avrebbe portato in dote (ai suoi 80 milioni), si dichiar disposto a un aumentato del ca pitale sociale fino a 100 milioni (proprio cos!). Una parte delle nuove azioni sarebbe stata attribuita ai vecchi azionisti della Nazionale e unaltra dodici milioni e spiccioli - assegnata a napoletani e siculi commisti. Come si vede Bombrini, merc la mancia di una banca che aveva cinque volte il giro daffari della sua, concedeva ai fratelli dItalia lussuose quote di larga minoranza e lambito onore di lustrargli le scarpe. Ahi, Genovesi, maestri dogni magagna. Ciliegina finale, il progetto comportava la fine dei banchi meridionali, che sarebbero stati assorbiti e messi in liquidazione dalla Nazionale. Lo Stato avrebbe dovuto garantire le passivit pregresse e pagare gli interessi. Colpo scuro: La Banca Nazionale si offriva di assumere, gratuitamente, il servizio di Tesoreria del governo, come praticava attualmente il Banco di Napoli (ibidem). Difficile essere pi generosi. Come si sa, i napoletani chiacchierano. Non sanno tenere un segreto. E poi quelli di un tempo forse non erano tanto

fessi quanto i loro posteri. E neppure sempre disinformati. Qualche notizia circa i pregi di Bombrini doveva pur essere arrivata, o per mare, dalla non lontana Livorno, o dalla Sardegna, o forse del tutto da Genova, o da Milano, attraverso gli aspri sentieri appenninici. Sta di fatto che si spaventarono. Se, in materia di sciabole, quelle piemontesi andavano bene, perch ricacciavano in gola ai contadini le loro pretese, in materia di soldi i napoletani preferivano far da s. Bombrini era certamente una persona simpatica quando raccontava barzellette, ma quando entravano in ballo le palanche i suo baffi si rizzavano come quelli del gatto che sente il topo. Poco patriotticamente, laccordo non fu raggiunto. Il Banco continu la sua strada e la Nazionale apr una sua sede/tesoreria anche a Napoli per incettare largento con cui venivano pagate le tasse e per distribuire biglietti nei pagamenti che faceva per conto del governo della nobilissima Torino. 7.3 Domenico Demarco**, che ha il merito di aver esaminato per i molti decenni della sua attivit professionale gli archivi del Banco di Napoli e di aver ricostruito, con dovizia di particolari, la lunga storia dei banchi pubblici napoletani, ha anche riscoperto una vicenda napoletana che non riguarda il Banco. Lavvocato Antonio Scialoja, ex professore di economia politica a Torino[4] e deputato subalpino, ma napoletano di origine e di rimpatrio, proprio a ridosso del viaggio napoletano di Bombrini, scrisse a Cavour: [Conforti, il direttore del ministero delle finanze del governo luogotenenziale a Napoli] venne in mia casa, accompagnato ad un comune amico, per dimandarmi se io approvava che il Governo concedesse a taluno, che facevane dimanda, la facolt di stabilire in Napoli una Banca di Circolazione e di Sconto. Io risposi francamente che queste concessioni generiche non mi parevano lecite; e soggiunsi che la via da tenere si era quella di formare una societ, stendere uno statuto, stipulare uno strumento, e quindi fare una dimanda di autorizzazione. Il Conforti e lamico si convinsero della giustizia delle mie osservazioni; ed una lettera del primo al Dittatore (la quale ora nella pratica) prova che egli second il disegno da me suggerito, schivando la concessione a priori, che sarebbe stato un privilegio esorbitante. Il fatto sta che la proposizione era in realit assai pi che io non credeva. Dopo qualche giorno fui pregato a nome di rispettabili commercianti di consigliarli [] intorno alla compilazione degli statuti. Comunicai loro quelli della Banca nazionale, e quando li ebbero in massima adottati, mi restrinsi a consigliarli dintrodurre qualche modificazione accessoria per migliorarli, e la riserva di aprire sedi alle altre Banche italiane e fare accordi per lo mutuo scambio de biglietti. Le condizioni locali del paese motivarono qualche aggiunta agli statuti di cotesta Banca. Fin dallora per richiamai lattenzione di que Signori sulle difficolt di accordare la fondazione di una Banca privata, colla nostra Banca governativa (il Banco di Napoli, ndr.) e colla cassa di sconto (dello stesso, ndr), che ora pure del Governo. Le quali due istituzioni, quantunque condannate a perire, non pu negarsi che per ora rendono importanti servigi, e fanno parte della macchina nostra finanziaria. In ogni modo quattro o cinque case, tra cui una o due delle principali del paese, e tra queste specialmente una casa che non aveva mai versato in imprese arrischiate, il che mi pareva di buono augurio,

stipularono uno strumento per la fondazione della Banca con sei milioni di ducati di capitale [in lire, pi di 25 milioni, ndr], prendendo esse un terzo di azioni, riserbandone un terzo per collocarlo nella rimanente Italia, presso case o istituzioni di credito, e un terzo per via di sottoscrizione, con obbligo di prendere esse medesime le azioni che non si collocassero altrimenti. Questo istrumento fu presentato al Ministero Dittatoriale per lapprovazione. Ma il Ministero si sciolse prima dimpartirla. Frattanto corse voce che la Banca nazionale aveva da Lei (Cavour, ndr) ottenuto formale promessa di estendere a Napoli una succursale. Bast questa voce perch le altre case che prima non avevano sottoscritto, dimandassero di apporre al contratto la loro sottoscrizione. [La paura faceva 90! ndr] Di maniera che pu affermarsi che oggi sono sottoscritte a quel contratto tutte le case pi importanti di questa citt, sieno del paese o straniere, e le minori vi hanno anche preso interesse (citato da Demarco**, pag. 142, nota). Aggiunge Demarco (ibidem): Lidea di creare un nuovo istituto bancario era stata agitata, a Napoli, subito dopo la caduta dei Borboni, proprio dal ceto commerciale della citt. Ed esso mostrava preferenza per la creazione di un istituto indipendente, per una Banca Napolitana [] fin dal novembre del 1860, promotori alcuni banchieri e commercianti meridionali, si era costituita una societ anonima per la creazione, in Napoli, di una Banca indipendente di circolazione e di credito, con capitali propri, e diretta da uomini noti al paese e conoscitori delle sue condizioni e bisogni , che aveva presto raccolto il vistoso capitale di sei milioni di ducati, e presentato la domanda di autorizzazione e lo statuto al. governo luogotenenziale. Sicuramente Bombrini avvert liniziativa come una pugnalata al fianco. Mentre prima - al tempo in cui Cavour era favorevole alla banca unica demissione - aveva difeso lautonomia della sua impresa privata, adesso, siccome voleva tutto, si era trasformato in un assertore della banca unica demissione. A tal riguardo scriveva: I disordini monetari e commerciali, che troppo di frequente si ripetono e che sconcertano anche attualmente gli Stati Uniti, ove le banche e i biglietti possono moltiplicarsi allinfinito, non sembrano possibili in Francia e in Inghilterra ove una sola banca, ricca di forze materiali e di fiducia, non mai soverchiata dagli avvenimenti, e trova sempre in s vigore bastante a dominare la situazione (citato da Demarco**, pag 144). Tutto giusto. Il fatto che, nelle sue idee, la banca unica, soltanto lui poteva farla, in prosecuzione di quella che gi aveva. Anche se i libri di storia sorvolano sullargomento, in realt Bombrini si sentiva un bersagliere vittorioso, come Lamarmora, e agiva da padrone allo stesso modo del patriottico generale e dei suoi eroici sciabolatori. La vittoria gli conferiva larghi diritti, in primis larricchimento in esclusiva. La situazione creatasi a Napoli metteva sul chi vive i politici. Un cavourrista DOC, Costantino Nigra, inviato da Cavour a Napoli nel vano tentativo di mettere fine alla buriana inaugurata da borbonici traditori, fuorusciti rientrati, camorristi impiegati come

gendarmi, garibaldini fregati, mazziniani ricattati, sciabolatori sabaudi e luogotenenti imbelli, relazionando a Cavour circa la pretesa della Nazionale dinsediarsi a Napoli ebbe a scrivere che una banca, la quale avesse surrogato il Banco delle Due Sicilie, avrebbe trovato, nelle vecchie consuetudini, non lievi difficolt per accreditarsi, mentre la diffidenza che regnava verso il biglietto di banca, che sarebbe stato considerato carta [senza alcun valore, ndr], poteva solo vincersi col tempo, e quando alla testa dellistituto fossero stati preposti gli uomini pi conosciuti della citt per esperienza, probit e influenza finanziaria (cit. in Demarco**, pag. 146). Pi chiaro di cos! Daltra parte solo un Nigra, intimo collaboratore del grande ministro nella presa per i fondelli di Napoleone III, poteva dire papale papale che i napoletani non avrebbero accolto con entusiasmo un bandito come Bombrini n la sua banca, il cui fine risaputo consisteva nel depredare il prossimo. Il progetto di una banca napolitana non ebbe seguito a causa di tre reazioni convergenti: quella di Bombrini che apr a Napoli uno sportello pomposamente chiamato sede, bench mancante dei soldi occorrenti per operare commercialmente su una piazza che era la pi ricca nellItalia del tempo; quella dello stesso Banco, che intendeva continuare la sua vecchia attivit di banca di deposito e di sconto; quella di Cavour, ormai padrone di Napoli, che ovviamente non autorizz la richiesta. Intanto la penetrazione della Banca Nazionale nel Napoletano e in Sicilia incontr seri ostacolati. Ne elenco quattro. Primo: mentre altrove il numerario esistente era stato rastrellato rapidamente, con la conseguenza che le imprese, volenti o nolenti, erano costrette a impiegare i biglietti della Nazionale, nel Meridione il numerario era ancora abbondante. Mancando la costrizione delle cose a usare il biglietto piemontese, la gente lo rifiutava: gli preferiva largento, dotato certamente di ben altra eloquenza. Secondo: il nuovo Stato coni monete in quantit insufficiente per sostituire i coni borbonici. Terzo: il governo di Torino, ispirandosi alla riserva mentale che le antiche monete avrebbero dovuto essere cambiate con carta - e solo con carta della Nazionale - le lasci in circolazione, riconoscendo ad esse potere liberatorio nei pagamenti. Per cui la patriottica speranza che i napoletani si sarebbero autospogliati del proprio danaro non ebbe corso. Quarto: anche se qualche ingenuo poteva immaginare di ottenere lire oro in cambio di ducati, in quella fase avveniva che, a causa del maggiore afflusso doro di cui si parlato, il rapporto di scambio fra oro e argento si era modificato a favore dellargento. Chi aveva ducati, che di regola erano coniati in argento, ci lucrava sopra, e non solo nel cambio con la carta, ma anche nel cambio con le lire oro. Il disegno governativo di fregare i sudditi prosciugando largento in cambio di carta ed eccezionalmente di oro, ebbe buon corso nella Padana, ma non lo ebbe nelle Due Sicilie. In pratica la coniazione delle moneta dargento cess. Le poche coniazioni realizzate in questa fase furono in oro. Ci cre disagi dovunque, persino nelle regioni ex sabaude. Ma nelle regioni ex duosiciliane i disagi furono condivisi da Bombrini. Quantomeno gli resero faticoso realizzare il suo progetto. Le popolazioni difesero largento che avevano in mano, imponendo un aggio tanto sulla cartamoneta quanto sulloro monetato. Daltra parte,

dovunque in Italia, largento faceva aggio sulloro e loro sul biglietto. Al Sud, la Banca Nazionale dovette piegarsi a un compromesso. Pur dincassare i ducati, Bombrini e i suoi soci liguri decisero di remunerare i depositi con un interesse del 2,5 per cento - una cosa che a quel tempo non rientrava nella pratica corrente in alcuna regione italiana. Ci nonostante il primo bilancio della sede napoletana della Nazionale si chiuse in perdita. In effetti solo la mano violenta del governo nazionale avrebbe imposto litalianit monetaria del Sud. A distanza di un anno da quando la Banca Nazionale aveva aperto una sede a Napoli, quali risultati aveva conseguiti? Non cerano stati quei progressi che limportanza della piazza poteva lasciare presumere, e le sue operazioni erano ben lontane dal presentare quello stato soddisfacente sul quale si aveva diritto di contare ad onta della introduzione del corso legale delle monete doro, commenta Demarco (**, pag. 146) citando il direttore della sede napoletana della Nazionale. E prosegue: Il del Castillo poteva ripetere quanto aveva detto nel suo rapporto dell11 gennaio [1862], circa le cause che ancora ostacolavano lo sviluppo della Banca Nazionale nelle provincie meridionali. Lesperienza, aggiungeva ora, aveva provato la necessit di adottare una misura che assicurasse al paese uno stabilimento di credito serio e prospero, mentre lasciando andar le cose da per loro si finir per non ritirare nessun vantaggio n dalla Banca Nazionale, n dal Banco di [Napoli]. Se il Ministro non riteneva, per il momento, opportuna una soluzione radicale, egli chiedeva che si prendesse un temperamento, che la giustizia e linteresse stesso dello Stato richiedevano. E quale doveva essere questo temperamento? Richiamare il Banco di [Napoli] allorigine della sua istituzione, col vietargli le operazioni di sconto, e disporre che tutte le casse del governo, nonch quelle del Banco di [Napoli], fossero obbligate a ricevere i biglietti della Banca Nazionale, come era avvenuto nelle altre provincie del Regno. In realt ecco che cosa accadeva. Mentre la fede di credito era ricevuta da tutte le casse governative e dalla stessa Banca Nazionale, il biglietto di questultima era rifiutato e dalle casse governative e dal Banco di Napoli. Il biglietto della Banca Nazionale era quindi ignorato dai pi , o in completo discredito, perch si riteneva che governo e banco rifiutassero di accettarlo nelle loro casse, per poca fiducia. Lesistenza della Banca, senza la congiunta circolazione del biglietto unimpossibilit, diceva il del Castillo, mentre ognuno rammenta che, con lincalzare degli avvenimenti del 59, una delle fonti, cui il governo si rivolse con maggiore successo, fu la Banca Nazionale, rendendone forzoso il corso del biglietto. Il governo continuando ad operare in tal modo finiva per privarsi di una risorsa. Ma non si trasformano dun colpo le abitudini di un popolo, n si pu soddisfare a tutti i suoi bisogni con unordinanza del potere il meglio assodato e sicuro. Cambiare violentemente non moralizzare, ma perpetuare le idee della violenza (Il Commissario Governativo, del Castillo, al Ministro dellAgri coltura, a Torino. Napoli, 25 ottobre 1862). Limpotenza finanziaria ex sarda, quantunque accompagnata dalla forza politica dello Stato, e la potenza finanziaria duosiciliana, bench scompagnata a una qualunque forza politica, resero dura e pesante la vita al governo nelle

nuove province merdionali. Ci convinse Bombrini - e lo Stato suo succubo - a piegarsi e a rimandare la cancellazione dei Banchi meridionali a un momento pi propizio. Dal canto suo, il ceto mercantile della citt di Napoli, o forse una parte soltanto, cominci machiavellicamente a ponderare lidea di allearsi con un nemico che non aveva la forza di abbattere. Guidato credo dallindustriale Mauricoffe, tent di salvare il salvabile buttandosi nelle braccia del vincitore e parteggiando per la Banca Nazionale. Ma, come vedremo, al punto in cui giunse il rapporto Sud/Nord il gruppo dirigente del neo-Banco di Napoli prefer salvare s stesso, anche se in posizione subordinata al governo nazionale e servile degli interessi emersi nel paese padano. 7.4 Identica cosa avvenne in Sicilia. Con decreto del 7 aprile 1843 il Governo borbonico estese alla Sicilia lapparato bancario napoletano istituendovi due Casse di corte, una a Palermo e una a Messina, alle dipendenza della Reggenza del Banco delle Due Sicilie avente sede a Napoli. In base allatto sovrano del 2 settembre 1849 con cui fu stabilito che lamministrazione civile, giudiziaria e finanziaria della Sicilia fosse per sempre separata da quella dei domini continentali, la due Casse di Corte siciliane furono rese indipendenti dal Banco napoletano e costituirono un nuovo istituto che con decreto del 13 agosto1850 assunse la denominazione di Banco regio dei reali dominii al di l del Faro e fu posto alle dipendenze del Luogotenente generale in Sicilia (Giuffida, pag. 6). Il Banco siciliano funzionava allo stesso modo del Banco napoletano, cio accettava danaro in deposito, a fronte del quale rilasciava una fede di credito, commerciabile in Sicilia e nel Napoletano. Inoltre effettuava sconti commerciali. Anche in questo caso si ha il raddoppio del danaro depositato, e per giunta nella forma elegante che gi abbiamo segnalato. In pi si ha un aumento del circolante pari allammontare degli sconti effettuati. Caduta la Sicilia in mano alle regioni toscopadane, alcuni banchieri e imprenditori siciliani[5] chiesero e ottennero dal governo prodittatoriale (decreto del 18 ottobre 1860) di fondare un banco di emissione simile alla Banca Nazionale del Regno di Sardegna, che prese il nome di Banco di circolazione per la Sicilia, con sedi a Palermo, Messina e Catania. Listituzione assunse (o avrebbe dovuto assumere) la forma della societ per azioni, con un capitale iniziale di sei milioni di lire sabaude. Naturalmente liniziativa mor appena partorita. Da una parte cal in Sicilia la Banca Nazionale sarda, dallaltra il Banco borbonico divenne il Banco di Sicilia. In merito allaborto, il Trasselli[6] si posto alcune domande: Perch il Banco di Circolazione non entr mai in attivit? forse perch i promotori non riuscirono a collocare nei sei mesi previsti le 6.000 azioni? o perch il Governo italiano, dopo la breve parentesi dittatoriale e prodittatoriale, prefer mantenere in vita il decrepito Banco Regio? O perch, cos come per le ferrovie, erano calati subito Adami e Lemmi, per i servizi bancari cal la Banca Nazionale, con le succursali in ogni capoluogo di provincia e con i suoi privilegi? [...]. Noi comprendiamo bene che in quel momento favorire il Banco di Circolazione od anche soltanto lasciarlo vivere, avrebbe significato annullare un

decennio di politica bancaria del Cavour [...]. Allora, tollerare una banca siciliana avrebbe significato disfare sul piano bancario quellunit che era stata faticosamente e non perfettamente raggiunta sul piano politico, un andar contro quel corso storico pel quale da cinque secoli almeno le due Sicilie erano sotto il dominio finanziario ligure e toscano. Resta che lunica grande banca moderna promossa in Sicilia, allinfuori delle banche locali e della Cassa di Risparmio, non venne realizzata. Frattura tra la borghesia siciliana e quella continentale? Questione meridionale? Purtroppo non sappiamo. [...]. Resta il fatto che si presta a troppe interpretazioni diverse . (Cfr. Premessa del Trasselli a: M. Taccari, I Florio, Caltanissetta - Roma, 1967, pp. XXIX-XXX, cit. da Giuffrida, pag. 5). Avendo seguito debbo dire con grande amarezza - lo svolgimento della doppiezza cavouriana e penetrato lavida concezione che Bombrini ebbe a proposito dellItaliauna, sono ben lontano dal dubbio (forse soltanto retorico) che affligge lo stimato autore. Infatti Bombrini reag sempre con grande energia contro chi tentava di rubargli la greppia. Nella circostanza, egli dichiar che non ci stava. In quanto vincitore e unificatore dItalia, tutto quel che poteva concedere ai napoletani e ai siciliani (i quali avevano una ventina di volte i suoi soldi) era una quota pari a meno di un sesto del capitale sociale della sua banca, 12,5 milioni su ottanta. E comunic il diktat al Luogotenente palermitano. Tutto ovvio. Meno ovvio che a Palermo, come a Napoli, mercanti e banchieri - giunti a questo passaggio e intravista la faccia truce di quellunit da loro inizialmente auspicata - si arrocchessero in difesa del Banco borbonico. Con il senno di poi, bisogna dire che si tratt di una scelta oltremodo sbagliata. Orami il guaio lavevano fatto, ergo: o disfacevano la mala unit o stavano al gioco bombrinesco, nel tentativo dinserirvisi con vantaggio. La mezza misura, impersonata dai due banchi, non salv leconomia meridionale dal blocco coloniale, n salv il loro capitalistico potere di comandare lavoro. In precedenza lattivit dei banchi meridionali era sottostata alla direzione politica del governo borbonico. Passati allItalia-una, divennero dei corpi senzanima, mani dirette dal cervello di unaltra persona. Allinizio, i napoletani riuscirono a condizionare limperio padano. Ma pi di questo non seppero fare. In Sicilia nemmeno a questo riuscirono. In generale il governo della Destra non riusc a impedire (o almeno a nascondere) il conflitto tra il futuro Triangolo industriale e lex Granducato di Toscana, ma soffoc dimperio tutti gli altri regionalismi, che lopinione del tempo defin come municipalismo. In questa fase fortemente repressiva di altri interessi che non fossero quelli toscopdani, la bussola che orient lazione dei banchi furono gli interessi della burocrazia interna, che si batt per conservare la mangiatoia per quanto magra essa fosse. La condizione per rifornirla era costituita dalla possibilit di continuare a praticare lo sconto cambiario. Solo gli interessi attivi avrebbero assicurato le entrate necessarie a pagare gli stipendi e tenuto in vita gli istituti. Ma la difesa della greppia non pu essere contrabbandata per amor di patria (o meridionalismo), come accade presso certa storiografia. Storicamente, dopo la malaugurata unit, i banchi meridionali di meridionale o meridionalistico ebbero soltanto la sede.

Spettava al governo accordare o negare linvocata facolt di praticare lo sconto cambiario. Abilmente la manovra dinterdizione bombrinesca si concretizz proprio sulla negazione di tale facolt. Michele Avitabile, neodirettore del Banco di Napoli, avendo capito finalmente di quale pasta erano fatti gli uomini del nuovo Stato, nel 1863 si rec a Torino e incontr i ministri competenti in materia bancaria, Giovanni Manna, napoletano, e Marco Minghetti, toscopadano, convincendoli dicono le storie patrie - che leconomia napolitana avrebbe potuto giovarsi grandemente dellopera del Banco. Pi verosimilmente ( questa lunica spiegazione logica) promise dei forti acquisti di cartelle del debito pubblico. Probabilmente aggiunse che la chiusura del Banco avrebbe messo sul lastrico un congruo numero di illustri patrioti. I ministri, convinti o meno, accordarono la vita al Banco. Si tratta di un passaggio nodale nella storia del paese che, sotto i Borbone, era uno Stato con una sua inconfondibile identit, un paese autorevole e rispettato, e che a partire dalla disfatta militare si chiama - copiando la Francia - Meridione o Mezzogiorno, o copiando gli USA, il Sud; un paese commiserato e effettivamente da commiserare. Similmente allaristocrazia che laveva preceduta nel dominio etico-poltico del paese, la parte seduta della borghesia meridionale[7], pur di salvare s stessa, svendette il proprio popolo. Linvereconda morale mostr al padronato toscopadano attonito[8] il pertugio (o se preferite, lalleato, o lascaro) attraverso cui passare per ilotizzare le popolazioni meridionali. Il Banco, che era stato unefficiente istituzione cittadina in mano ai Borboni, una volta italianamente santificato, divenne il mostro che ha oberato la vita economica delle popolazioni meridionali per pi di 100 anni. Postesi le regioni del futuro Triangolo industriale a baricentro della vita dellassurda nazione, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia ebbero lidentica funzione della classe sociale di volta in volta deputata dallo Stato nordista ad esercitare legemonia politica sulle popolazioni meridionali. I banchi, bench spesso detentori di ingenti risparmi provenienti specialmente dallestero, non servirono allevoluzione della manifattura verso lindustria macchinistica, e neppure al progresso agricolo. Nella fase della genesi nazionale, lo scontro con Bombrini serv soltanto a esacerbare gli animi, a innalzare il livello dellinimicizia tra Nord e Sud e a imbalsamare questultimo. 7.5 Prima di ricordare qualcuno degli scandali della finanza padana, i quali mettono a nudo il volto veramente scalcinato del gruppo dirigente uscito dal Risorgimento, utile soffermarsi sulla finta unificazione monetaria. Si tratta di una vicenda contorta, incomprensibile a lume di ragione e inaccettabile moralmente. Di regola gli storici sorvolano su questo tema, sebbene alla fosca operazione abbia fatto seguito il caos nel paese; il classico bordello toscopadano stigmatizzato da Dante ben sei secoli prima. La non unificazione monetaria non fu un accidente collegato alla povert del nuovo Stato e/o allimmaturit degli uomini al comando, come si lascia credere (agli italiani), ma una polpetta ben preparata con tossici e veleni. Il caos serviva alla Banca Nazionale, che si era collocata in posizione di medium (di fatto, non di diritto) tra i coni metallici degli ex Stati e il tesoro statale. Infatti, in quanto fiduciaria

del tesoro avrebbe incassato (ed effettivamente incass) i metalli in circolazione e avrebbe emesso (e in effetti emise) biglietti. Fece il tutto come se il fatto fosse un accidente mentre era la regola. E di fatto in fatto, di accidente ad accidente, trasform loro e largento incassati nella propria riserva. Fu il perfezionamento del patriottico imperialismo di Cavour. Utilizzando la massa doro e dargento non suoi - incassati come per caso la Banca Nazionale dellex Regno di Sardegna pot emettere moneta (in pratica fare credito) tre volte tanto: per altro un limite vigente solo fino al 1866, e dopo questa data, a volont. Insomma, pur rimanendo una banca privata, la Banca Nazionale oper come se fosse una banca pubblica e la banca centrale. La sua banconota fiduciaria/sfiduciata continu formalmente a essere emessa a debito di oro o argento - convertibile si continu ad affermare - ma fu da subito un biglietto inconvertibile, che la gente ritenne dello Stato sabaudo. Il capitalismo padano nasce e cresce su questi soldi falsi. Per dirla con la categoria smithiana pi volte citata, secondo cui il capitale altro non che il potere di comandare lavoro, gi prima che fosse decretato il corso forzoso dei suoi biglietti, la Banca Nazionale aveva emesso il 95 per cento delle banconote in circolazione e aveva in mano una quota elevatissima del potere di comandare lavoro in Italia. Traducendo altrimenti il concetto, essa, in quanto erogatrice della carta monetaria, pot realizzare unincontrastata egemonia sui processi capitalistici in atto, subordinando a s tutto il padronato nazionale, in particolare la speculazione sul debito pubblico, le banche commerciali, il commercio interno e internazionale, la manifattura, la poca industria che cera, lagricoltura capitalistica e lo stesso Stato. Negli anni immediatamente successivi alla malefica unit, le monete metalliche rappresentavano ancora il versante mobiliare della ricchezza italiana - o meglio degli italiani. Essendo fatte doro e dargento, allorch venivano accantonate come riserva per il futuro, configuravano un risparmio rigorosamente privato e anche stabile nel tempo. Bisogna inoltre aggiungere che erano valuta internazionale in mano ai privati, come qualunque altra merce[9]. Le nazioni che non possedevano miniere doro e/o dargento, o non avevano colonie ricche di miniere o una svelta pirateria, ottenevano i metalli da coniare cedendo altre merci ai paesi produttori e/o ai mercanti di metalli nobili. Circa la quantit doro e dargento coniati e circolanti al tempo, ci sono giunte parecchie stime fatte sia al momento della conversione sia risalenti ai decenni precedenti. Tali valutazioni si fondavano su dati certi (o quasi): i registri delle zecche statali che monetizzavano le barre di metallo importato o fondevano e riciclavano loro o largento delle monete ritirate dalla circolazione. Fra dette stime, gli storici danno la palma a quella di Giuseppe Sacchetti, un funzionario della zecca milanese. Questi produsse due elaborati. Il primo risale al 1858, il secondo fu fatto nel 1862, proprio nella circostanza dellunificazione mancata, e comprende anche la Venezia Euganea, Roma e Mantova, non ancora passate allo Stato sabaudo.

Tab. 7.5a Circolazione metallica in Italia Stime del Sacchetti Prima stima (milioni) Regno di Sardegna Ducato di Parma Ducato di Modena Stato Pontificio (a) Toscana Lombardo-Veneto Due Sicilie Lombardia (b) Nizza e Savoia Veneto Roma e Lazio Totale 182,2 20,3 18,5 97,1 71,8 223,5 464,1 Rettifica (milioni) 176,5 19,9 18,0 98,8 73,0 457,5 112,3 26,6 99,9 29,7 1.112,2 Circolante capite rispetto. 50 -10,1 -10,5 -20,1 -10,0 -10,1 = -10,0 -10,0 -10,0 -10,0 pro

Due Sicilie = lire

1.077,5

Mia elaborazione su De Mattia, pag. 72 a) Bologna, Romagna, Umbria, Marche b) Esclusa Mantova c) Popolazione residente secondo il Censimento 1861 * Le prime due colonne numeriche riportano i dati forniti da Sacchetti. La terza colonna contiene un indice, che ha a parametro la circolazione pro capite le Due Sicilie, in quanto lo Stato duosiciliano ha un dato pi alto (ma forse soltanto il dato pi attestato da pubbliche registrazioni).

Questa stima contrasta con un dato che si vuole certo; una di quelle certezze, per, tipicamente italiane, di cui preferibile dubitare. Si tratta della registrazione, a cura del ministero delle finanze, del rastrellamento di tutti i coni preunitari, concluso nel 1894.

b. 7.5b Circolazione monetaria negli ex Stati calcolata Media pro capite (lire)

base alle monete successivamente rastrellate Stati Milioni di lire

Milio lire

tiche provincie (Regno di Sardegna) ovincie parmensi ovincie modenesi ovincie ex pontificie ovincie toscane ovincie lombarde

27,1 1,2 0,5 55,3 85,3 8,1

Provincie meridionali Provincie venete Provincie romane (dopo 1870, ndr) Valute estere Verghe del Banco di Napoli Monete decimali Monete italiane a 835 mill.

tale De Mattia, pag. 72. Il problema dellunificazione dei sette sistemi monetari esistenti venne affrontato un anno dopo lunificazione dei debiti pubblici degli ex Stati. In ossequio alla logica da cui non si pu prescindere neanche nel dare giudizi sul passato - tratter prima il tema della (non) unificazione monetaria e poi quello cronologicamente precedente del debito pubblico. A provvedere all'unificazione monetaria, il governo Rattazzi impegn il ministro dellagricoltura, che aveva competenza anche sul commercio e sullindustria. Ed questa unulteriore stranezza, in quanto logica avrebbe voluto che fosse il ministro delle finanze, al tempo Quintino Sella, a occuparsene. Siamo a met anno del 1862. Cavour era morto lanno prima. Gli era succeduto Ricasoli, ma il bacchettone laico era stato costretto a lasciare la mano perch inviso al luminoso re piemontese. Fra i componenti del ministero Rattazzi, entrato in carica allinizio dellanno, c Gioacchino Napoleone Pepoli, un aristocratico bolognese, figlio della figlia di Gioacchino Murat pertanto cugino di Napoleone III - nonch marito di una congiunta del re di Prussia e, bisogna doverosamente aggiungere, appassionato patriota, drammaturgo, narratore, buon conoscitore dei problemi economici e infine gi parrocchiano del defunto Cavour. In teoria loperazione non presenta problemi. Si tratta puramente e semplicemente di copiare lassetto francese, a cui volente o nolente lItalia deve uniformarsi, per una convenzione internazionale in itinere e per agevolare i suoi traffici internazionali, come peraltro avevano fatto per mezzo secolo il Regno Sardo e da trentanni il Regno duosiciliano. Nel Piemonte e nel Ducato di Parma vigeva il sistema decimale (quello che noi posteri usiamo), mentre negli altri ex Stati lunit monetaria aveva multipli e sottomultipli di tipo tradizionale e non sempre il sistema decimale. Nonostante le contrarie affermazioni dei ballerini di fila, ingaggiati nelle patrie universit in occasione del centenario della conquista sabauda (per mostrare allinclito vulgo quanto grande e forte e bello e civile fosse il Piemonte di Cialdini e Lamarmora e quale schifo facessero gli altri italiani), nel Regno delle Due Sicilie il sistema monetario era perfettamente decimale, anche se circolavano ancora dei coni non coordinati con il dieci e con i multipli di dieci.

433,7 12,8 35,4 13,9 4,6 17,3 27,0 722,2

Il ducato, lunit monetaria napoletana, non era coniata; il conio minimo era di quattro ducati (taglio per i benestanti). Al posto dellunit mancante era coniato, per, un dieci carlini dargento, in pratica un ducato. Difatti il ducato si divideva in 10 carlini, un carlino in 10 grana[10], un grano in 10 cavalli o calli; in et precedente il cavallo si divideva in tornesi. In Sicilia i nomi cambiavano ma il sistema era lo stesso. Lunit monetaria era lo scudo avente il valore esatto di tre ducati. Quanto alla moneta divisionaria, un tar era lo stesso che un carlino, un baiocco lo stesso che un grano e un picciolo lo stesso che un cavallo. Uno scudo 30 tar 300 baiocchi 3000 piccioli. La convivenza di una moltitudine di nomi e di segni monetari pu sembrare la fonte di una gran confusione. Ma pi che una divisione del valore delle monete cera, in questa variet di nomi e di tagli, una divisione orizzontale delle classi di reddito. Loro era riservato ai ricchi e ai potenti, largento alla generalit della borghesia, il rame e il bronzo al proletariato. In effetti la molteplicit dei nomi aveva una valenza classista, mentre la irregolarit di multipli e sottomultipli era il prodotto del succedersi dei dinasti e delle dinastie[11] e della longevit dei metalli. Internazionalmente le monete dei vari Stati trovavano una scorrevole coordinazione mentale e contabile nella diffusa conoscenza del contenuto in metallo fino di ciascun conio. Nellarea padana, i ricchi e coloro che stavano negli affari avevano un riferimento fisico e contabile internazionale rappresentato dal franco francese, che veniva impiegato non solo nelle transazioni commerciali, ma era considerato anche una specie di moneta di conto. Linfluenza francese non raggiungeva le Venezie e le regioni centromeridionali. Per il fiorino austriaco e il ducato napoletano erano monete largamente note, perch le corrispondenti regioni avevano larghi traffici. Pertanto il loro valore al cambio non doveva essere calcolato di volta in volta dai privati, ma dava luogo a una specie di cambio fisso, che restava tale fin quando non mutava lintrinseco delle monete o il prezzo relativo dei metalli. Allepoca, le popolazioni meridionali (i ricchi, o i non poveri) usavano prevalentemente monete dargento, mentre circolava soltanto qualche pezzatura doro. Dopo lunit, la rivalutazione dellargento sulloro coinvolse anche i meridionali. Le monete doro, con leffigie del vittorioso Vittorio, che il governo torinese cercava di rifilare in cambio dei ducati in argento, furono disdegnate. C da aggiungere che i coni postunitari del Regno dItalia ebbero un minor titolo dargento, mentre per il ducato, che non era pi coniato, il titolo dellargento rimase quello di prima. Cosicch neanche largento padano si scambi scorrevolmente con largento napoletano. Si deve, infine, annotare che il cambio ufficiale di un ducato per lire 4,25 era leggermente fregatorio; cosa che nelle transazioni commerciali pi consistenti risultava penalizzante. Daltra parte - labbiamo gi ricordato - in Piemonte la convivenza di monete doro e dargento, tra loro permutabili in base a un rapporto fisso (bimetallismo), aveva provocato e provocava la fuga dellargento, nonch linsorgere di un aggio dellargento sulloro (la moneta di minor valore intrinseco scaccia dalla circolazione quella migliore, che si propende a non

spendere). Ergo, fatta lunit, i ducati dargento presero a far gola sia a Bombrini, che li cedeva alla Francia, dove venivano valutati per il contenuto di fino. In conclusione, Pepoli non cambi alcunch, bench la conversione fosse agevole da fare avvalendosi delloro e dellargento in circolazione, la cui massa era tale che qualcuno pot stimare quella italiana una circolazione pi abbondante della francese. Il ministro si limit a determinare una parit cambiaria tra lira piemontese e ciascuno degli altri coni circolanti. Peraltro questa tariffa di cambio era gi in vigore. Lavevano fissata, luogo per luogo, nel corso della guerra, i dittatori, i prodittatori, i luogotenenti regi, cio i funzionari di Cavour, travestiti da rivoluzionari, che si andavano acquartierando nelle citt assoggettate. Con la legge Pepoli la lira fu proclamata lunica moneta ufficiale, ma solo sulla carta, perch le antiche monete conservarono per legge un potere liberatorio presso i privati e presso lo Stato italiano, pari al loro cambio ufficiale. In buona sostanza la lira fu, per lungo tempo, una vera moneta soltanto negli ex Stati sabaudi, in Lombardia ed Emilia. Altrove si configur come una vessazione e uningiuria del conquistatore. Al Sud, per pi di un decennio, fu scarsamente accettata. La gente calcolava in lire limporto delle tasse da pagare, ma le pagava, per, con la moneta storica (cosa che piaceva al potere padanista). Qualche mercante che accendeva un debito con la sede locale della Banca Nazionale, per utilizzarlo, doveva compiere tre operazioni in perdita. Prendeva biglietti, che trasformava in oro pagando un aggio; e pagava un aggio per cambiare le lire oro in vecchi ducati e carlini. Nientaltro ditaliano, neppure le private e pubbliche imprecazioni alla faccia di Vittorio, ovviamente profferite in dialetto. Si potrebbe aggiungere che lintroduzione della lira come moneta di conto, invece che rendere pi agevoli gli scambi, li complic. Ad esempio, tra un ducato napoletano e un fiorino austriaco il cambio, prima, era diretto, mentre adesso bisognava fare (quantomeno negli atti pubblici) un conto triangolare con la lira sarda. La cosa fu lamentata in parlamento, ma in modo banale. Non si trattava soltanto del disagio personale di chi viaggiava, nel caso i deputati e i senatori, a cui toccava attraversare la penisola per raggiungere la nuova capitale, ma molto pi. Ovviamente il deputato siciliano, che passando per Ancona voleva mangiare e comprare un sigaro, non poteva farlo se prima non aveva cambiato la sua valuta nella moneta locale. Nella realt sociale, la gente subiva bel altro disagio, in quanto la vecchia moneta veniva incassata dallo Stato (e in misura notevole rispetto al passato), mentre il numerario di Vittorio continuava a latitare. Anche peggio per lo spezzato di rame o di bronzo, risucchiato a Torino per fare anchesso da riserva ai biglietti della Nazionale. Pi che di disagi, bisogna parlare di una crisi di notevoli dimensioni, puntualmente registrata dai contemporanei, ma quasi ignorata dalle gloriose storie patrie per le scuole. Nel Napoletano, dove la gente aveva un gran rispetto per la moneta e dove prima correva una quantit notevole di spezzato metallico, la crisi non fu soltanto economica, ma anche morale (e forse spirituale), perch Stato e popolo realizzarono una contrapposizione prima inesistente[12].

7.6 Il fatto che il caos monetario dipese dallingordigia della Banca Nazionale emerge senza ombra di dubbio, se ci prendiamo la pena di confrontare il circolante stimato e il circolante rastrellato entro 1894. Tab. 7.6c Vuoto contabile tra circolazione e ritiro delle monete Ex Stati 2 Stima Monete Differenza (vuoto Sacchetti rastrellate contabile) entro il 1892 (milioni) Regno di Sardegna 176,5 27,1 -149,4 Ducato di Parma 19,9 1,7 -36,2 Ducato di Modena 18,0 Stato Pontificio 98,8 90,7 -8,1 Granduc. di Toscana 73,0 85,3 +12,3 Lombardo-Veneto 212,2 20,9 -191,3 Due Sicilie 457,5 443,3 -14,2 Totale -386,9 Mancano allappello 387 milioni in oro e argento, un terzo della circolazione stimata. Il vuoto maggiore si registr in tre aree politiche, il Regno di Sardegna, il Lombardo-Veneto, i Ducati, il nucleo cinquantonovesco del Regno dItalia. Si trattava delle le regioni agricole pi ricche dItalia e non immaginabile che le popolazioni potessero svolgere i normali scambi con 50 milioni appena. Daltra parte il vuoto non si produsse in trenta anni, ma in tre soli anni, infatti venne rilevato gi nel 1862. In sostanza Bombrini, in tre anni, riusc a far sparire dalla circolazione ben 387 milioni di numerario. In questo lasso di tempo la Banca Nazionale sirrobust con il numerario dei nuovi sudditi e venne a trovarsi nella fortunata condizione di partecipare attivamente alla collocazione dei prestiti nazionali, accanto ai grossi finanzieri internazionali. In buona sostanza, non era pi una banca provinciale, ma una banca che aveva vinto il SuperEnalotto dellunificazione nazionale. Cavour defunto, Bombrini non era pi un attach, ma un potente che stava pi in alto del governo, del parlamento e del re. La legge morale, quella che tutti conosciamo guardando il cielo stellato, per lui era il lucro; un sentimento comune a quasi tutti gli uomini, e anche legittimo, anzi encomiabile nellassetto capitalistico vigente per gli uomini del suo tempo e del nostro, ma sicuramente un sentimento da non contrabbandare per patriottismo. La retorica capital-patriottica mette sullo stesso altare i fratelli Cairoli e Carlo Bombrini, i ragazzi di Curtatone e la Banca Nazionale. Ci serve a confondere le idee in testa alle popolazioni meridionali. Infatti, indiscutibile che tanto Bombrini quanto la Banca Nazionale hanno dato allItalia padana molto pi di tanti giovani generosi. Ma n gli eroi n i martiri santificano le scostumatezze del capitalismo padano nel governo del Meridione quelle del passato, quelle attuali e quelle future. N lItalia di Bombrini pu essere decentemente lItalia di tutti. Il busto di Sella, che sta nel salotto dei ministri del tesoro, in Via XX Settembre, a Roma, e le celebrazioni

giornalistiche e accademiche di un ambivalente e controvertibile uomo di Stato, vanno considerati uno schifoso plagio della coscienza dei meridionali. Quanto alla circolazione, la legge Pepoli stabil che in futuro i nuovi coni avrebbero recato la faccia impudente del re Savoia. Tuttavia, nel corso dei decenni successivi, le nuove coniazioni della lira ascesero in tutto a 416 milioni, cio a un terzo del numerario necessario per assicurare una soddisfacente circolazione. Assolto il compito, Pepoli, che probabilmente non era dotato della faccia tosta che Dio aveva regalato ai suoi colleghi, cambi mestiere e and a fare lambasciatore prima in Russia e poi in Germania. Evidentemente si rese conto dessere stato un pupazzo, bassamente strumentalizzato in unazione contraria allinteresse nazionale. Gli italiani badarono poco al suo destino politico, invece dovettero piangere per decenni a causa della baraonda monetaria voluta da Bombrini e dalla speculazione al comando. Esaminando le cifre, chiunque capisce che in un paese in cui il circolante metallico era considerato pi che sufficiente, e forse del tutto abbondante, anche senza i 400 milioni confiscati proditoriamente da Bombrini, la massa dargento disponibile avrebbe consentito di far partire, senza forzature, anzi nel modo pi tranquillo, una circolazione metallica sufficiente per lintera Italia, sulla quale innestare limpiego della banconota convertibile per dilatare il credito. Invece il governo non a caso o non per ignoranza - scelse la soluzione pi odiosa e meno corretta, infliggendo agli italiani trenta anni di caos monetario. Sempre non a caso, si arriv al punto che anche i milionari si trovavano in difficolt quando compravano un sigaro (sicuramente toscano). I coni minori e gli spiccioli non scarseggiarono per una stagione o per un anno, ma per interi decenni. Da tutte le regioni del paese un po meno dal Sud, che difese la sua moneta - i prefetti spedivano allarmati telegrammi alle autorit centrali, in quanto le aziende non riuscivano a cambiare le banconote bombrinesche nella moneta necessaria per pagare i salari. Clamoroso - ma non isolato, anzi alquanto comune e dovunque rilevato - il caso di Firenze dove, per anni, circolarono bigliettini monetari emessi dai macellai. In verit, il vero macellaio dItalia fu Bombrini, avido e arrogante. E inutile chiedersi se fu insipienza o una scelta. Manovrato dietro le quinte dal grande banchiere, il governo rese stabile lincertezza. Artefice del disastro non fu, dunque, linesperienza, come raccontano untuosamente gli storici unitari, ma la guerra del capitalismo, che in quanto capitalismo apolide, contro gli italiani e la speranza di fare dellItalia una nazione. E non basta neppure definire il passaggio con un succinto riferimento allo scontro di classe; fu anche uno scontro allinterno della classe vittoriosa tra produzione reale e parassitismo bancario, nonch scontro aperto per lutilizzazione delle risorse centralizzate dallo Stato, fra municipi ex rinascimentali e le aree prive di tradizioni municipalistiche. In tale quadro, molto articolato, ha unimportanza decisiva che, dopo la morte di Cavour, la gran regia delle finanze italiane fosse tenuta concretamente dai soliti genovesi il duca di Galliera, Bombrini, Balduino e da qualche toscano. Senza anticipare eventi posteriori, basti qui ricordare che i ministri delle finanze andavano e venivano, e cos pure i presidenti del consiglio dei ministri, e che invece Bombrini rest inchiodato al

suo posto di amministratore di una societ privata, quanto ai suoi interessi, ma pubblica quanto al potere di comando. LItalia dei ladri si form sotto la sua regia. Come risultato non accessorio dellarricchimento gratuito della Banca Nazionale si ebbe lenorme dilatazione della disponibilit di capitale liquido, sotto forma di credito bancario, per la clientela degli speculatori. Sulla base dei 400/500 milioni di riserve auree, Bombrini pot spargere su quella parte della Padana che oggi chiamano il Nordovest, quasi fosse un punto cardinale di tipo morale, ben un miliardo di crediti bancari, cio sestuplicare il potere di comandare lavoro che i capitalisti dellarea avevano in precedenza. Con forzature del genere si d luogo non a una, ma a quattro o cinque questioni meridionali. Gli storici hanno limpudenza di non spiegare che, nei seimila e pi Comuni del nuovo Regno, non si present mai un funzionario pubblico a convertire loro e largento recante leffigie di un antico sovrano, con loro recante il laido profilo di Vittorio secondo, come avrebbe voluto un minimo di funzionalit e patriottica correttezza. Le nuove coniazioni di numerario arrivarono in tutto a 416 milioni, nonostante che le importazioni doro dalla Francia ovviamente pagate dalle esportazioni di tutta lItalia arrivassero a 800 milioni in appena sette anni. La contraddizione patente, ma facile da spiegare; cosa che ci permette di preparare il lettore alle maraviglie che incontrer da qui a poco, quando tratteremo del debito pubblico. Loro veniva acquistato solo in parte per la monetazione, come si vorrebbe far intendere, e neppure veniva portato in Italia fisicamente, sebbene alloperazione si dia il nome rallegrante di importazioni. Le triangolazioni sono e sono sempre state una buona occasione di profitto. In antico quelle dello zucchero americano, al tempo di Bombrini quelle delle cartelle della rendita, oggi quelle tra banche patrie e banche off shore. Facciamo lipotesi verosimile dellemissione di un prestito pubblico di 500 milioni al 5 per cento annuo: cinque lire dinteresse sulla cartella standard da 100 lire. Poniamo inoltre che lo Stato, ormai sfiduciato, pur dincassare una parte dei 500 milioni, collochi le cartelle a 50 lire cadauna. Le cartelle vengono sottoscritte da banche nazionali e da case finanziarie straniere. Entrambe, per, se ne disfano subito, rivendendole ai piccoli risparmiatori a un prezzo inferiore. Per esempio a lire 45. In tal modo fomentano, anche se a proprie spese, un clima ribassista. Il risparmiatore qualunque le compra in un suo momento di prosperit, per assicurasi una rendita annua o per non tenere inoperoso il danaro. Poi, o si presenta loccasione per un affare migliore, o sopravviene unimprevista esigenza di liquidit o la paura daver sbagliato linvestimento. Di fronte a situazioni simili, la prima cosa che il piccolo ricco fa quella di rivendere i titoli che tiene in portafoglio. In tal modo il titolo ribassa ancora. Scende ( storia patria) a 35, 30, 25, 23 lire. A questo livello le banche e le case bancarie ri-comprano. Incassare una rendita diviene pi vantaggioso che prestare a interesse. Quatto cartelle, comprate al prezzo di una, danno 20 lire di interessi annui. Cio, non pi il 5,

ma il 20 per cento di interesse annuo. In pratica, in un solo anno, gli interessi pagano il capitale. Nei nove anni successivi, 10 lire frutteranno gratis 9 volte x 10, cio 90 lire; in venti anni moltiplicano il capitale diciotto volte. Insomma la patriottica unit un affare di palanche. Il capitalismo cosiddetto nazionale, quando non nasce rubando direttamente allo Stato, nasce da una banca che regala ai patrioti padani loro che lo Stato le consente di confiscare alle classi subalterne con la violenza, la paura, linganno, la sopraffazione. Questoro lo moltiplica fittiziamente molte volte, attraverso un automatismo bancario e creditizio che sposta verso le centrali regionali di comando dellaltro oro, e poi, una volta esaurito loro nazionalmente disponibile, una quota consistente del surplus sociale prodotto nelle restanti regioni. Sembra sviluppo, ma fattualmente capitale confiscato alla produzione Il meccanismo bombrinesco trov il suo carburante nellimpoverimento delle masse contadine e manifatturiere e nella confisca della rendita padronale ad opera della fiscalit statale. Storicamente, attraverso limpoverimento delle popolazione, il capitalismo speculativo e intrallazzistico toscopadano impose, in primo luogo, la formazione di surplus da astinenza e, in secondo luogo, la ruralizzazione di una vasta parte del paese, in particolare del Sud, le cui attivit extragricole crollarono in poche settimane e continuarono a essere tenute sotto mazza, in modo che non potessero riprendersi. Il sottosviluppo del Sud incontrovertibilmente funzionale alla formazione di un comando padano. 7.7 Un meccanismo collaterale dellaccumulazione originaria il debito pubblico. Parigi la borsa guida per i titoli italiani. Ma l, le banconote di Bombrini non hanno corso. Si compra pagando in oro, altrimenti che Parigi sarebbe! Ma da dove arriva loro con cui gli italiani acquistano cartelle del debito pubblico italiano a Parigi? Dalla stessa Parigi, dove decine di migliaia di importatori francesi di seta, di vino, di zolfo, di olio, di marmi, di fichi secchi acquistano con oro sonante valuta italiana, con cui pagare lesportatore italiano. Per trentanni, questoro resta fisicamente a Parigi, anche se contabilmente entra in Italia e viene impiegato a tradire patriotticamente gli interessi dItalia (ente fumoso) e degli italiani (esseri viventi). E nonostante queste carognate, c ancora chi, riferendosi agli uomini della Destra storica, si esalta, e definisce gli anni in cui fu fatta lItalia e furono disfatti gli italiani come lera del buongoverno. In conclusione, le importazioni doro non servirono granch a coniare monete; furono prevalentemente atti contabili, apparentemente del settore pubblico, in effetti del settore privato, collegati al patriottismo bancario, lo stesso che infervora gli attuali cantori dellInno di Mameli. Tab. 7.7 Importazioni di oro prima del corso forzoso del 1866 Fonte: Atti I, p. 32

1860 1861 1862 1863

49.366.000 111.832.715 118.360.200 171.790.190

1864 1865 1866 In totale

151.579.900 152.497.400 43.094.000 798.490.405

Per 35 anni, la confusione monetaria e contabile regn sovrana. Il numerario scompariva dalla circolazione senza altra spiegazione se non questa: loro esce dal paese perch, a ondate, i possessori stranieri (leggi le grandi case parigine, in pratica Rothschild) si disfano dei titoli del debito pubblico in loro possesso. Ma ci si guarda bene dallaggiungere che dietro quelle vendite si sviluppava il patrio intrallazzo. Chi compra alle svendite parigine sono quei fondatori della patria che stampano banconote o le ricevono facilmente in prestito al 5 per cento. E non solo loro. Parecchi ministri padani (dei governi italiani) partecipano allo scialo. Molte grandi fortune padane nascono da questa disonesta prassi. Il re nomina conti e marchesi gli avventurieri pi fortunati, i loro palazzi illustrano tuttora le pi belle vie delle capitali padane, le loro ville nobilitano gli eredi, i libri di storia e le enciclopedie ne illustrano i meriti. Gli italiani pagavano e pagano. Non solo loro importato non viene effettivamente importato, ma il circolante metallico degli ex Stati viene esportato a fiumi con la copertura di Bombrini e il beneplacito dei patrioti che reggono le sorti dello Stato. La Commissione dinchiesta parlamentare sul corso forzoso non volle (ovviamente) affondare il coltello nella piaga, n il patriottico regista della colossale speculazione sul pane quotidiano degli italiani, mai, ne dette le cifre. E facile dedurre che lomessa conversione del circolante metallico non ebbe altro scopo che quello di coprire con una fitta cortina fumogena la subdola e bieca espropriazione del popolo nazionale da parte di una societ privata, che colse il momento propizio per realizzare superprofitti di regime. A passarsela male furono i poveri particolari. Se a qualcuno venisse in mente di fare unantologia degli interventi parlamentari svolti tra il 1861 e il 1915 sulla condizioni create fra la gente dallingordigia bancaria, dovrebbe prevedere unopera in dieci volumi. In Italia si arriv al punto che avere un pezzo doro da venti lire bisognava darne venticinque di carta e per cambiare un biglietto da cento lire in venti monete da cinque lire si pagava un pizzo di venti lire; e come gi ricordato, mancavano i pochi centesimi necessari per pagare un caff, perch la Nazionale speculava anche sul rame e sul bronzo . 7.8 E interessante osservare la dilatazione, tra il 1859 e il 1866, della cassaforte di Bombrini, la quale conteneva appena 5, 7 milioni nel 1858 oro, ma si ritrov con ben 400 milioni oro nel 1866. E ciononostante pretese il corso forzoso dei suoi biglietti.

Tab. 7.8 Drenaggio operato dalla Banca Nazionale

prima e dopo lunificazione politica Argento 2,918

(milioni di lire italiane dellepoca) Anni Oro 1858 2,791

= 5,709

1859 1860 1861

11,183 24,245 16,493

1,194 2,421 4,815

Periodo: Regno sardo Diritto di emissione = 17 milioni Regno dItalia (Ex provincie sarde + Lombardia. Emilia, Romagne, Umbria, Marche) Rastrellati Oro Argento 8,430 51,921

Diritto emissione = 11,080 11,762 9,184 14,123 14,554 15,408 181 milioni Precedenti + Napoletano e Sicilia. Rastrellati: Oro 83,997

1862 1863 1864

Argento 52,515 Diritto di emissione: 18,187 15,250 28,003 19,928 181 milioni Precedenti + Toscana. Rastrellati: Oro Argento 117,434 100,446

1865 1866

1867 55,226 19,895 1868 58,899 39,758 Drenaggio 1858-68 231,509 160,099 In totale 392,506 Diritto di emissione 1.177,5 Dal 1866 sar in vigore il Corso forzoso, per la Banca Nazionale un diritto demissione teoricamen mitato Crescita del diritto di emissione tra il 1858 e il 1868: 145 volte Secondo Carlo M. Cipolla - che esagera - nel 1874 la circolazione era interamente passata alla carta bancaria. Attraverso cordiali e non casuali facilitazioni dello Stato, la Banca Nazionale simpadron di tutto loro e di tutto largento italiano in cambio di carta accettata dal tesoro. E tuttavia il suo guadagno maggiore non fu loro, che prima o poi dovette cedere ai creditori

Diritto di emissione: 651 milioni Precedenti + Mantovano e Venezia Euganea.

stranieri, ma il meccanismo in base al quale il temporaneo incasso di numerario (oro, argento, rame, bronzo, fedi dei banchi meridionali) si trasformava riserva legale su cui effettuare nuove emissioni. Ci le permise di moltiplicare la carta, in pratica il credito. E c una seconda apparenza da smitizzare: non fu la Banca Nazionale in prima persona a ottenere un duraturo vantaggio. Nel lungo periodo, furono i suoi clienti finali quei padani che operavano nella produzione reale - a realizzare un consistente aumento del potere di comandare lavoro e a incanalare i loro affari in una spirale positiva; cosa che li condusse senza affanni al controllo di tutto il mercato nazionale. Ripeto, la conversione delle monete avvenne con una semplice procedura: i privati, se non avevano carta di cui liberarsi, pagavano imposte e tasse con il vecchio numerario. La tesoreria di Stato, alias Bombrini, pagava con i suoi biglietti. Loro incamerato faceva da riserva ai biglietti. I biglietti dati a credito facevano, a loro volta, laccumulazione originaria del capitalismo padano. Al principio la cosa sconvolse limmaginario collettivo e la vicenda venne stigmatizzata con lespressione il carnevale bancario. Poi, una volta scavato il solco e trascorsi i decenni, lacqua prese a scorrere normalmente nellalveo, sicch il giudizio cambi e il carnevale si trasform nel capitalismo italiano e nel salotto buono di Milano. Si dice a Napoli: pure o scarafone bello a mamma sua. 7.9 Nelle pagine iniziali di questo lavoro, ho cercato di riassumere il generale percorso dalla banconota, che parte timidamente dalla convertibilit in numerario, affronta le guerre napoleoniche con la copertura del corso forzoso (il quale ricordo - nasconde unimposta sul patrimonio), torna poi alla convertibilit, ma questa volta (bench la forma rimanga ancora quella del titolo cambiario privato) nella sostanza gi una moneta emessa e garantita da una banca centrale - effettivamente dallo Stato. In Gran Bretagna e in Francia i vari passaggi si snodano su un percorso che dura un secolo e mezzo circa. Invece in Italia si bruciano le tappe. Lo Stato italiano nasce prima della sua buffonesca inaugurazione ufficiale del marzo 1861. La data di partenza il 1859, allorch lamministrazione sabauda prende sotto di s mezza Italia. Tra questo momento e il maggio del 1866, data della decretazione del corso forzoso dei biglietti, corrono appena sette anni, nel corso dei quali viene perfezionato il meccanismo dellaccumulazione originaria padana. Di fronte alla ricchezza reale, effettiva, si erge lo Stato, il quale lassorbe e la ridistribuisce attraverso il fumo di una banconota praticamente inconvertibile. Il corso forzoso del 1866 rappresenta il primo assestamento della manovra, la prima tappa del drenaggio, dalla quale il meccanismo riparte con maggiore sicurezza di s e con pi vaste pretese. In apparenza niente era cambiato rispetto a prima, chi aveva una casa ce laveva ancora, chi aveva un fondo ce laveva ancora, chi aveva un opificio continuava a portarlo avanti. Ma nel paese era nato un nuovo equilibrio, si era creata una ricchezza, ambiguamente infondata e vera, che poteva comprare le case, i terreni, gli opifici, le navi, gli animali, con i danari di chi vendeva. Dal punto di vista degli equilibri nazionali, era soprattutto avvenuto che la fatica della gente (il comprare e il comandare lavoro) si poteva ottenere con danari che non cerano, ma che in futuro

sarebbero volati via dalle tasche di qualcuno, per approdare nelle tasche di un altro. Questo fumo di valore, nelle mani della banca demissione assurge a potere di erogare credito. E il credito, una volta in mano al produttore, diventa capitale, potere di comandare lavoro. LItalia, che prima dellunit, se non era un paese politicamente unito, era quantomeno un paese uniforme, adesso si divide: avvia una sua singolare storia di disparit nazionale, avendo come displuvio economico e civile il potere della carta. Legemonia parlamentare e governativa della propriet agraria una favola di cui siamo debitori alla malafede degli storici. Indubbiamente lestrazione degli asini e dei malfattori, che sedevano in parlamento, era di tipo agrario e municipalistico; non altrettanto lindirizzo governativo, che fu ispirato da ammiragli incompetenti e ribaldi, da generali inetti e sanguinari, da speculatori impancatisi a cavalieri dindustria e da usurai che si autodefinivano banchieri, fra loro, in combutta aperta o in tacito consenso. Certo il Rinascimento ha lasciato ai toscopadani grandi opere darte e insigni monumenti, ma anche un vocazione allingordigia, al cinismo, allusura. Lanimus spoliandi sta alle radici della cultura corrente. Genovesi, fiorentini, veneziani, per pi di mezzo millennio erano stati seduti assieme agli angioini, agli aragonesi, ai castigliani, a banchettare alla tavola che i meridionali erano costretti a imbandire. I Borbone li avevano ricacciati trecento miglia lontano, ma ora tornavano trionfanti e con un gagliardo appetito. Nellinseguire la sua ambizione di dominio, la Banca Nazionale ignor la lezione di prudenza e autocontrollo che veniva dalle banche demissione di Francia e Regno Unito. Diversamente che in quei paesi, dove la banca centrale condivideva il disegno governativo di unificare le varie regioni, la politica bancaria di Bombrini mir a realizzare - e realizz - una forte non comunicazione tra le borghesie delle regionali sottoposte unitariamente alla stessa sovranit politica. Loro e largento, che Bombrini intasca, rendono, prima di tutto, una somma pari al loro valore, e poi il loro valore moltiplicato per tre. Insomma 0 capitale iniziale + 100.000 uomini in armi = zero per zero fa quattro: uno in cassa e tre dati a credito. La procedura agevole. Lincasso statale di tributi fa due beneficiari: i settori delleconomia padana verso cui fluisce la spesa pubblica e la Banca Nazionale che agguanta il numerario metallico, e con questo edifica un potere fittizio di comandare lavoro a favore della sua clientela. Sarebbe interessante appurare se Bombrini ebbe la consapevolezza dei risvolti propriamente rivoluzionari delle sue intriganti operazioni. Comunque, la sopraffazione evidente in tutte le operazioni che va compiendo. Spesso si tratta di azioni che il codice penale configura come reato, ma che restano impunite in quanto hanno lavallo del potere statale. Gli stessi ministri e i pubblici funzionari sanno di commettere un reato allorch traducono nella sua carta le somme riscosse come tributi allo Stato, ma l ordine nuovo sta nella carica di violenza e sopraffazione che il nuovo Stato incorpora ed emblematizza.

Accanto alle fonti pi larghe e cospicue di arricchimento, ce n una riassuntiva ed emblematica della legale spoliazione del Sud (o viceversa del patriottico uso padanista del Sud): i pagamenti sulle piazze estere delle esportazioni meridionali. Chi, allestero, paga unimportazione dallItalia, regola che lo faccia acquistando moneta italiana o un credito sullItalia. Lesportatore meridionale otterrebbe oro straniero, se di mezzo non ci fosse la banca italiana, la quale fornisce le lire richieste sulle piazze estere e incassa la valuta straniera che ne il controvalore. In sostanza il Sud esporta, ma loro che lucra se lo pappa Bombrini. Il sistema bancario media tutte le operazioni valutarie. Bombrini, in quanto banca demissione, ottiene due lucri: la mediazione bancaria e loro che incamera il cambio dei pagamenti allestero delle fatture italiane. Siccome le esportazioni meridionali sono pi di un terzo delle esportazioni dellItalia unita, esse diventano una fonte gratuita di arricchimento per la Banca Nazionale e per lintero sistema padano. Ottenere il valore delle merci e dare carta in cambio, al momento, costituisce un passaggio decisivo della colonizzazione padana del Meridione[13]. Traducendo quanto sopra in storia dellItalia unita, non solo si ripete un concetto generalmente esplicitato, e cio che a padroneggiare lo Stato la borghesia toscopadana, ma si individuano anche i processi tuttaltro che encomiabili, anzi propriamente (e regionalmente) ladroneschi, attraverso cui si realizza la padronanza. Infine il caso di ricordare (lo vedremo meglio in appresso) che per agevolare lespansione della Banca Nazionale, i banchi meridionali furono bloccati per parecchi anni e vennero riammessi a operare quando i buoi erano fuggiti dalla stalla e in subordine alla Banca Nazionale. Insieme con altri provvedimenti cavourristi, la sterilizzazione del sistema bancario meridionale sterilizzo anche la borghesia produttiva (De Matteo**, cit.), anzi la riport indietro al 1825. La fine della borghesia attiva del Sud la causa efficiente del dualismo italiano, la conseguenza tragica della guerra regionale inaugurata con lunit. La politica bancaria cavourrista fu, per il Sud, una batosta pi catastrofica delliniquit erariale; volle dire in pratica lilotizzazione del paese meridionale. 7.10 Nella sua velocissima corsa verso le cento citt dItalia, Bombrini non piant le tende solo nelle citt ricche di commerci e daffari, ma anche in luoghi in cui il giro commerciale aveva un tono alquanto dimesso. Il fatto riceve il suffragio degli storici, i quali affermano che tale procedura era il frutto della volont politica di diffondere il credito bancario dove non esisteva. Unaffermazione capziosa, ovviamente! Al tempo, la massa delle operazioni creditizie veniva effettuata dalle case bancarie, diffuse anche in provincia. Ma le carte vengono rimescolate abilmente, in modo che venga fuori, immancabilmente, il sette di coppe. Da sempre si detto o lasciato intendere che la parte dItalia carente di una buona geografia creditizia fosse il Sud. Falso anche questo! Carte alla mano, fino al 1858il Regno di Sardegna ebbe soltanto due sportelli bancari, e solo a partire da quella data cinque. Nel 1859, la Toscana aveva due banche e in tutto tre sportelli, la Lombardia una banca con

due sportelli. A Parma, Modena e Bologna esisteva una banca per citt. In tutto il Triveneto operavano due sportelli bancari. La Due Sicilie dal 1849 avevano due banchi fra loro coordinato, e nel 1858 tre sedi aperte e due in via di apertura. Non si capisce quindi dove fosse il relativo ritardo del Sud. Gli storici lamentano che, al Sud, la Banca Nazionale incontr una rilevantissima freddezza. Ma perch avrebbe dovuto non incontrarla? I colonizzati non si fidavano di una banca proveniente da una terra ignota, che dava carta in pagamento e poi mostrava molta cattiva volont allorch era richiesta di barattarla con loro o largento; una resistenza che era incomprensibile nelle Due Sicilie, in quanto la carta del Banco era stimata pi delloro. Cos stando le cose, perch Bombrini si accoll la spesa di un affitto e lo stipendio degli impiegati spediti in colonia? La gente capisce qualcosa pi degli storici. A costo dapparire noioso, ripeto il concetto. La Banca Nazionale e con essa la generica borghesia capitalistica delle regioni toscopadane - attraverso i suoi esponenti al governo and perseguendo un risultato di accumulazione preliminare, che nel Sud assunse subito il volto del saccheggio e della spoliazione selvaggia. 7.11 Nelle pubbliche carte le patriottiche oscenit bombrinesche non figurano. Le serie storica degli incassi fatti dalla Nazionale per conto del ministero tesoro, che qui riporto, quella fornita dalla Banca Nazionale alla Commissione dInchiesta. Essa comprende solo gli incassi ufficialmente delegati dallo Stato alla Banca, mediante leggi e altri atti. Per esempio quelli relativi alla vendita dei beni demaniali o il collocamento di alcuni prestiti. Non comprende, invece, gli incassi fiscali, che dovrebbero corrispondere a quasi tutto lammontare delle imposte. Cionostante si tratta di una cifra elevata. Tab.7.11a Banca Nazionale Conto corrente con il Tesoro Lire Situazione all1. 1. 1860 Incassi 1860 Ammontare all1. 1. 1861 Incassi per il 1861 Ammontare all 1. 1. 1862 Incassi per il 1862 Ammontare all1. 1. 1863 Incassi per il 1863 Ammontare all1. 1. 1864 169.297.300 3.04.490 172.301790 23.429.380 195.731.178 79.101.145 274.832.343 128.991.412 401.823.755 303.526.578

Incassi per il 1864 Ammontare all1. 1. 1865 Incassi per il 1865 Ammontare all1. 1. 1866 Incassi per il 1866 Ammontare all1. 1. 1867 Incassi per il 1867 Ammontare all1. 1. 1868 Atti II, pag. 51

705.350.333 154.490.036 859.840.369 64.772.044 924.612.413 94.611.437 1.019.223.850

Nel viluppo di bugie coniate dalla storiografia unitaria, ce n una che vola pi alta delle altre: quella secondo cui il tesoro non fu un compiacente amico delle tresche della Banca Nazionale. Difatti nel 1851 il senato sabaudo bocci il disegno di legge cavouriano che avrebbe voluto affidare alla Banca Nazionale il servizio del tesoro. Fino al 1867 la situazione non sarebbe stata modificata. La verit che Cavour e Bombrini se ne fregarono del senato e delle sue deliberazioni. Landazzo fu contenuto al tempo del Regno di Sardegna e si dispieg pienamente solo dopo la conquista della Penisola. Le tesorerie provinciali furono impiantate dovunque, ma solo per la bassa cucina. Citt per citt, i dipendenti periferici del ministero del tesoro portavano il riscosso allo sportello locale della Banca Nazionale, che lo accreditava alla sede centrale, e questa a sua volta, dopo averlo fatto ben lievitare, lo accreditava al tesoro. Incassato il numerario, sia la sede centrale sia quelle periferiche effettuavano i pagamenti per conto del tesoro mediante biglietti della banca ermafrodita. Nel passaggio dal Piemonte sabaudo allItalia liberale da dante causa ad avente causa - la cosa and avanti tranquillamente e senza smorfie di sorta da parte dei ministri delle finanze succedutisi al governo. Essi dovevano soltanto far finta di non sapere. E debbono far finta di non sapere anche i nostri professori di storia. Anticipiamo una testimonianza resa alcuni anni dopo; una dichiarazione buttata l a caso Nellultima decade dellaprile 1866, qualche giorno prima di decretare il corso forzoso dei biglietti della Banca Nazionale, il ministro delle finanze, Antonio Scialoja onde precostituirsi un alibi - chiese al direttore generale del tesoro se, con le disponibilit di cassa, lo Stato fosse in condizione di far fronte agli impegni in scadenza. Linterpellato rispose con una succinta relazione, di cui trascrivo alcuni passi. Primo: Signor Ministro,

Mi pregio di trasmetterle, secondo il consueto, il prospetto dei fondi di cassa del Tesoro per la seconda decina di aprile, ossia esistenti la sera del 20 detto. Il prospetto dice: Tab. 7.11b I rapporti consuetudinari tra Banca Nazionale e Ministero del Tesoro I fondi ascendono a 112.800.000 E sono cos composti: Oro e argento 28.000.000 Biglietti della Banca Nazionale e della Banca 68.000.000 Toscana, e fedi di credito del Banco di Napoli Bronzo 15.280.000 Crediti in conto corrente colle Casse bancarie 1.520.000 estere Totale 112.800.000 Seconda parte della lettera: A primo aspetto, e nellattuale crisi commerciale e monetaria, pu far senso che a comporre il fondo di cassa entri una massa di 68 milioni in biglietti e fedi di credito. Il signor Ministro sa bene che si studiato questo fatto ed il modo di diminuire quella massa di carta, restringendo anche, ove fosse stato possibile, la facolt alle Casse (alle tesorerie provinciali, ndr) di ricevere la carta di quegli Stabilimenti, e vi si tornato sopra pi volte in previsione del futuro bisogno di danaro. Ma, oltrech una restrizione consimile, spargendo la diffidenza, avrebbe accelerata la gi minacciata crisi, si dovuto riconoscere che il Governo non poteva respingere le fedi di credito del Banco di Napoli, perch quelle debbonsi ricevere obbligatoriamente, in forza del decreto del 12 dicembre 1816 e dellarticolo 6 degli accordi presi in Torino fra il Governo e il Banco il 30 maggio 1864, in compenso dellonere assuntosi dal Banco di anticipare al Tesoro 20 milioni in buoni del Tesoro al 3 per cento; doveva accettare i biglietti della Banca Toscana, in forza della legge che approv i suoi statuti (articolo 11 del decreto granducale 8 luglio 1857); ed avendo sempre ricevuti come moneta quelli della Banca Nazionale Sarda, non era possibile per essa una distinzione odiosa Terzo: Infine esiste una convenzione del 17 marzo 1854, in forza della quale la Banca Nazionale Sarda, in compenso delle facilitazioni per il trasporto del suo numerario sulle ferrovie dello Stato (sic!), fa al Tesoro gratuitamente il passaggio dei fondi da una allaltra tesoreria, mediante mandati della

stessa banca, che non altrimenti vengono estinti che in biglietti. (Atti I, p. 282, 283) Chiaro? Chiarissimo. E chiaro altres che frequentemente anzi quasi sempre - alcuni nostrani nonch illustri storici della banca italiana scrivono baggianate. E purtroppo le scrivono pur sapendo che sono baggianate! Sugli intrallazzi e le prevaricazioni di Bombrini la Commissione parlamentare dinchiesta fece luce, ma non affond il coltello. E non difficile capire il perch. Filippo Cordova, che ne fu il presidente, e alcuni altri componenti, come Sella, erano stati ministri delle finanze e impareggiabili patrioti. Additare lillecito sarebbe stata la stessa cosa che addebitarlo al grande ministro, al rimpianto padre della patria cosiddetta nazionale, e a loro stessi. 7.12 La politica monetaria dei governi nazionali fu capace dinventare una classe sociale, ma non di avviare lo sviluppo. Il paese rimase inchiodato al suo secolare ritardo fin quando non arrivarono le rimesse dagli emigrati. La fuga allestro di un terzo del paese - le classi atte al lavoro - ne la cocente prova. Per trentanni ingenti risorse vennero spostate dalla produzione (attuale e potenziale) alla speculazione. Lo si fece attraverso lusura sul debito pubblico, cedendo beni del patrimonio pubblico, creando situazioni monopolistiche a favore dei tangentisti, elargendo capitali a imprese che si sapevano fasulle, persino mandando a morire decine di migliaia di persone in unimpresa coloniale finalizzata ad arricchire un armatore genovese. Leggiamo unanalisi prestigiosa di ci che era avvenuto in Francia poco pi di un decennio prima (e avveniva ancora nei decenni successivi). Cambiamo i nomi e ci troviamo di fronte allItalia sotto quel porcilaio che furono la Destra e la Sinistra, entrambe storiche[14]. Il disagio finanziario rese fin dall'inizio la monarchia di luglio dipendente dalla grande borghesia, e la sua dipendenza dalla grande borghesia fu la sorgente inesauribile di un crescente disagio finanziario. Impossibile subordinare l'amministrazione dello Stato all'interesse della produzione nazionale senza stabilire l'equilibrio nel bilancio, l'equilibrio tra le uscite e le entrate dello Stato. E come stabilire questo equilibrio senza limitare le spese dello Stato, cio senza vulnerare interessi che erano altrettanti sostegni del sistema dominante, e senza riordinare la ripartizione delle imposte, cio senza rigettare una parte notevole del peso delle imposte sulle spalle della grande borghesia stessa? L'indebitamento dello Stato era, al contrario l'interesse diretto della frazione della borghesia che governava e legiferava per mezzo delle Camere. Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione e la fonte principale del suo arricchimento. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offriva all'aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato, che, mantenuto artificiosamente sull'orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle

condizioni pi sfavorevoli. Ogni nuovo prestito era una nuova occasione di svaligiare il pubblico, che investe i suoi capitali in rendita dello Stato, mediante operazioni di Borsa al cui segreto erano iniziati il governo e la maggioranza della Camera. In generale la situazione instabile del credito pubblico e il possesso dei segreti di Stato offrivano ai banchieri e ai loro affiliati nelle Camere e sul trono la possibilit di provocare delle oscillazioni straordinarie, improvvise, nel corso dei titoli di Stato; e il risultato costante di queste oscillazioni non poteva essere altro che la rovina di una massa di capitalisti pi piccoli e l'arricchimento favolosamente rapido dei giocatori in grande. Perch il disavanzo dello Stato era nell'interesse diretto della frazione borghese dominante, si spiega come le spese straordinarie dello Stato negli ultimi anni del governo di Luigi Filippo superassero di molto il doppio delle spese straordinarie dello Stato sotto Napoleone, e toccassero quasi la somma annua di 400 milioni di franchi, mentre l'esportazione media complessiva della Francia raggiungeva d rado la somma di 750 milioni di franchi. Le enormi somme che in tal modo passavano per le mani dello Stato davano inoltre l'occasione a contratti di appalto fraudolenti, a corruzioni, a malversazioni, a bricconate d'ogni specie. Lo svaligiamento dello Stato, che si faceva in grande coi prestiti, si ripeteva al minuto nei lavori pubblici, i rapporti tra la Camera e il governo si moltiplicavano sotto forma di rapporti tra amministrazioni singole e singoli imprenditori. Al pari delle spese pubbliche in generale e dei prestiti dello Stato, la classe dominante sfruttava le costruzioni ferroviarie. Le camere addossavano allo Stato i carichi principali e assicuravano la manna dorata all'aristocrazia finanziaria speculatrice. Sono nella memoria di tutti gli scandali che scoppiarono alla Camera dei deputati quando il caso fece venire a galla che tutti quanti i membri della maggioranza, compresa una parte dei ministri, partecipavano come azionisti a quelle medesime costruzioni ferroviarie che essi facevano poi, come legislatori, eseguire a spese dello Stato []. La monarchia di luglio non era altro che una societ per azioni per lo sfruttamento della ricchezza nazionale francese, societ i cui dividendi si ripartivano fra i ministri, le Camere, 240 mila elettori e il loro seguito [] .Commercio, industria, agricoltura, navigazione, gli interessi della borghesia industriale dovevano sotto questo sistema essere continuamente minacciati e compromessi (Marx, 41 e segg.). Bisogna aggiungere che, in Italia, le risorse capitalizzate in rendita non provenivano dai surplus di un sistema a riproduzione allargata, ma da surplus contadini, che, unita lItalia, diventarono surplus da astinenza, realizzaticon la violenza delle armi e delle leggi di cui lo Stato sabaudo si serv senza pregiudizi umanitari e senza alcuno spirito di solidariet nazionale. Ci furono anche surplus da indebitamento regolarmente investiti in armamenti che, allatto, vennero finanziati con prestiti esteri, il cui rimborso venne dilazionato nel tempo e patriotticamente intestato alle future generazioni, sempre di contadini. Lespropriazione dei miseri in nome della speculazione ebbe come contropartita lomissione degli investimenti in agricoltura, come venti anni dopo dimostrer lInchiesta Jacini[15].

7.13 Appendice Linferno burocratico-fiscale in cui noi sudditi dello Stato italiano bruciamo il nostro lavoro ha la sua scaturigine nel fatto che lItalia la prosecuzione giuridica e mentale di uno Stato - quello sabaudo - che aveva poco rispetto per i suoi sudditi e nessuna fiducia nei propri funzionari. Lo squallore di quellente, in cui vanamente si cercherebbe un segno di quel che i costituenti statunitensi scrissero nella loro costituzione essere lo Stato in funzione della felicit dei cittadini - emerge con chiarezza dal confronto tra il sistema fiscale duosiciliano e quello sardo. Lerario del Regno delle Due Sicilie era strutturato su cinque fonti dentrata 1) 2) Imposta fondiaria Dazi doganali allentrata e alluscita delle merci

3) Privativa sul sale, sui tabacchi, sulle carte da gioco e sulle poveri da sparo. 4) giuridici 5) 6) francobolli) 7) Tassa fissa sulla registrazione e pubblicit dei negozi

Monopolio del gioco del lotto. Tasse sulle spedizioni postali di lettere e pacchi (i nostri Imposte locali

Imposizione vigenti nel regno di Sardegna al momento della sua trasformazione in Regno dItalia: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) Imposta fondiaria Imposta sui fabbricati Imposta sulla ricchezza mobile Imposta di fabbricazione Imposta sulle mani morte (opere pie) Imposta di successione Imposta sulle pensioni

8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) 18) 19) 20) 21) 22) 23) 24) 25)

Imposta sulle industrie Imposta sulle donazioni Imposta sui mutui Imposta sulle doti maritali Tassa fissa sulle adozioni e sulle emancipazioni Dazio sul consumo di carni e di alcolici Dazio sulle pelli e sui corami Imposta sui tabacchi Dazio sulla polvere da sparo, sul piombo e sui pallini da caccia Imposta sui pesi e le misure Dazio di esportazione sulla paglia, il fieno e lavena Carta bollata Imposta sulle insinuazioni fallimentari Imposta sulle vetture Tassa sul permesso di caccia Tassa sulle societ Tassa sanitaria Imposte locali

Lelenco difettoso. Le voci estorsive erano pi di cento. Ed ecco il commento di Nitti, tratto dallincipit della famosa analisi sulla formazione del bilancio dello Stato nazionale italiano (Nitti**. pag. 39 e seg.). La finanza napoletana, organizzata da un uomo di genio, il cavaliere Medici, era forse la pi adatta alla situazione economica del paese. Le entrate erano poche e grandi e di facile riscossione. Base di tutto l'ordinamento fiscale era una grande imposta fondiaria. Ed era cos bene organizzata che rappresentava un vero contrasto con il Piemonte, dov'era assai pi gravosa e di difficile riscossione : Il sistema di percezione della fondiaria - dice il cavaliere Sacchi [linviato di Cavour a Napoli conquistata, ndr], nella sua relazione del segretariato generale delle finanze -,

la prima e la pi importante delle risorse dello Stato, era incontrastabilmente il pi spedito, semplice e sicuro, che si avesse forse in Italia. Lo Stato, senza avervi quella minuziosa ingerenza, che vi ha in Francia e nelle antiche Province (Piemonte, Liguria, Valle dAosta), ove si fece perfino intervenire il potere legislativo nella spedizione degli avvisi di pagamento, avea assicurato a periodi fissi e ben determinati l' incasso del tributo, colle pi solide garanzie contro ogni malversazione per parte dei contabili [] Non vi era quasi alcuna imposta sulla ricchezza mobiliare. Poich questa si andava formando, il cavaliere Medici e i suoi continuatori aveano ritenuto che vi fosse pericolo grande a colpirla con imposte. Il commercio interno avea ogni agevolezza: la ricchezza mobiliare ed il commercio in ispecie esente in Napoli da ogni maniera d'imposizione diretta, mentre la ricchezza immobiliare gravata di un tributo, comparativamente all'entrata generale dello Stato, assai pi grave . [] Le tasse del registro e del bollo, gravissime in Piemonte, erano assai tenui nel Reame di Napoli. L'ordinamento delle fedi di credito del Banco di Napoli, mirabilmente semplice sotto questo aspetto, rendeva inutili le registrazioni. Il mirabile organismo finanziero delle Province Napoletane dice il cav. Sacchi, si vedeva soprattutto in quanto riguardava il funzionamento del Banco. [] Per spiegare questa differenza si sono invocate molte cause e molti fatti sono stati messi avanti: si parlato perfino di razze differenti, si discusso di razze inferiori e di razze superiori; quasi che ci che prodotto delle razze, cio di natura, mutasse da un decennio all'altro.

[1] Ma non pi di questo. I soci fondatori della Nazionale, liguri e piemontesi, continuarono ad avere la maggioranza azionaria fino alla consunzione della societ e il suo risorgimento come Banca dItalia. A compenso degli incommensurabili meriti degli antenati, i loro discendenti sono tuttora i soli soci privati della illustrissima Banca dItalia e si pappano il loro bel dividendo. [2] La giustificazione, oltre che ipocrita, cretina. I briganti stavano fra i boschi e non nelle citt, dove si pagavano le tasse. In effetti la Nazionale non inaugurava nuove sedi per fare il mestiere di banca, ma quello di tesoriere dello Stato e incassare loro e largento dei contribuenti. [3] Il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia furono le sole banche di diritto pubblico (cio dipendenti dal Tesoro) esistenti in Italia fino al dissesto della Banca Nazionale e alla creazione della Banca dItalia (1894). Tra questa data e

il 1926, in Italia si ebbero tre banche emettenti biglietti teoricamente convertibili in oro. Ma diversamente che nei banchi meridionali, il governatore della Banca dItalia non era (e non ) nominato dal governo, ma dallassemblea degli azionisti, cio dei maggiori capitalisti e dalle banche private. . [4] La cattedra torinese di economia politica fu fondata proprio per Antonio Scialoja. Quando questi fu eletto deputato, la cattedra pass allesule siciliano Francesco Ferrara. Evidentemente i torinesi, leconomia politica, preferivano farla anzich insegnarla. [5] Ignazio e Vincenzo Florio, Antonio Chiaramonte Bordonaro, Michele Pojero, Michele Raffo, Francesco Varvaro, tutti autorizzati a sdoganare le loro importazioni con cambiali doganali per ben 20.000 once (pari a 60 mila ducati, pari a circa 250 mila lire sabaude), nonch membri della Camera Consultiva di Commercio, Deputati della Borsa dei Cambi, Deputati della Cassa di Sconto, Governatori del Banco regio dei reali dominii ad di l del Faro (Giuffrida, pag 2). [6] A parere di chi scrive il pi penetrante fra storici del Sud. [7] Chi scrive aderisce alla tesi crociana, secondo cui linvoluzione del paese meridionale ha inizio con il regno normanno e l'introduzione (tardiva), sempre ad opera dei conquistatori normanni, del ruralismo feudale. Per volont del papato e ad opera delle potenze europee, specialmente della Spagna, il Sud divent la terra di nessuno che stava tra dette potenze e gli Arabi, presso cui il sistema di mercato era ancora vitale, e in seguito i Turchi, con cui si afferm linvoluzione del Mediterraneo orientale verso il feudalesimo orientale. Laristocrazia meridionale nacque in un paese in cui la rendita padronale aveva un forte carattere politico e in cui lopinione pubblica era mediata dal basso clero. In un quadro nazionale di marcata dipendenza militare, la rendita legata alla grazia del potente, e non alla buona conduzione della propriet. La borghesia, che nasce dal disfacimento dellaristocrazia feudale, conserva largamente la morale servile (o se vogliamo clientelare) di cui impregnato lambiente. [8] In verit Cavour e i suoi epigoni conoscevano il volto morale della propriet cadetta e lo valorizzarono nellinteresse toscopdano. Lammiraglio Persano, con una spesa di circa due milioni e qualche promessa di carriera, pot corrompere quasi tutti gli ufficiali della marina borbonica. Garibaldi, con una spesa di gran lunga minore, si liquid in quattro scaramucce un esercito di 120 uomini. I danari e le promesse corruppero persino alcuni fratelli di Ferdinando II e zii di Francesco II, il re in trono. [9] I governi dei grandi imperi Spagna, Portogallo, Olanda, Francia, Gran Bretagna puntarono costantemente al saccheggio di oro e argento per affermare il potere dello Stato non solo verso gli altri Stati, ma anche sui propri sudditi. La stessa cosa del petrolio, oggi.

[10] S incontrano pi dizioni: grano, grana, grani, grane, grana. Insomma una desinenza incerta sia al singolare che al plurale. [11] Torno a ricordare limportanza sociale della moneta divisionaria. Lammontare dei salari giornalieri stava sotto le monete argentee e auree. Per quel che riguarda il Regno meridionale erano di regola meno di un ducato. Nel Regno sardo, spesso anche meno di una lira (meno di un quarto di ducato). [12] In verit, sarebbe questo un capitolo da aprire. Infatti, le Due Sicilie conoscevano una forte contrapposizione politica tra padronato redditiero (e liberale o giacobino, che dir si voglia) e popolo contadino, mentre la posizione regia appariva come una mediazione. Invece nella nuova (si fa per dire) Italia, lo Stato divenne lagente militare della classe padronale. [13] La stessa cosa avverr 30/35 anni dopo con le rimesse degli emigrati. [14] E forse potremmo spiegarci anche lattuale porcilaio. [15] Si dovette certamente al fatto che la classe dei massari meridionali non partecip allintrallazo speculativo se, tra il 1861 e il 1887, lagricoltura meridionale progred con sorprendente velocit.

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